Partenza dalla terza elementare Un tasso è il rapporto fra un certo
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Partenza dalla terza elementare Un tasso è il rapporto fra un certo
Partenza dalla terza elementare Un tasso è il rapporto fra un certo ammontare che ci interessa ed un certo altro ammontare di riferimento, e ci dà l’idea di quale sia la proporzione del fenomeno di interesse rispetto al termine di riferimento. Per esempio, il tasso di assenza a lezione è dato dal rapporto fra il numero di assenti ed il numero totale di studenti iscritti al corso. In quanto rapporto, un tasso è in genere un numero decimale, e nei casi più comuni è un numero inferiore a uno (v. l’esempio del tasso di assenza a lezione). Molti umani fanno fatica a capire al volo i numeri con la virgola, e allora si possono inventare vari modi per rappresentare quel rapporto. Per esempio, se gli studenti iscritti sono 200 e gli assenti di oggi sono 40, il tasso di assenza si può esprimere in tutti i modi seguenti: 40 20 2 1 = “due decimi” = = “un quinto” = 0,2 = “zero virgola due” = = “venti centesimi” = 200 100 10 5 …e infiniti altri ancora, a parole o in numeri. L’ultimo termine è quello che dà più fastidio a molti umani (immaginate una classe di 210 con 17 17 assenti: tasso di assenza = = 0,08095 approssimato). Si trae allora spunto dal fatto che è più 210 facile capire le parti di cento che quelle dell’unità: si moltiplica il numero decimale, risultato del rapporto, per cento (nel primo esempio viene 20) e si pronuncia il risultato con l’aggiunta della locuzione, appunto, “percento”, oppure si scrive il numero seguito da “%” (sempre nel primo esempio abbiamo allora “venti percento”, oppure 20%). In genere, queste percentuali vengono nominate con al massimo una cifra decimale (cosicché nel secondo esempio abbiamo 8,1%). Nel seguito, nel pensare ad un tasso, potete immaginare una qualsiasi delle forme che precedono, ma la più diffusa è la rappresentazione percentuale. Ciò che conta è avere in mente che si tratta di una proporzione. Esempio: il tasso di disoccupazione (u) è il rapporto fra i disoccupati (U) e il numero di coloro che potrebbero lavorare, chiamati forze di lavoro (FL). Quindi u = U , spesso pronunciato come FL percentuale; il tasso di disoccupazione in Italia nel 2008 è stato il 7,2%. Passaggio alla seconda− −terza media, e oltre! Tassi di un certo rilievo sono i cosiddetti tassi di variazione o variazioni percentuali: che siano “percentuali” deriva semplicemente dalla rappresentazione; che siano variazioni deriva da un nostro interesse nel misurare come una certa grandezza varia. Se x è la grandezza, ed essa vale x0 in un certo momento iniziale (“data zero”) e x1 in un certo momento successivo (“data uno”), allora la sua variazione ovviamente è x1 − x0 , e il suo tasso di variazione, diciamo v, è il rapporto fra la variazione e il valore di partenza: v= x1 − x0 x0 (1) (d’ora in poi lasciamo perdere che si possa nominare come una percentuale, e consideriamolo come numero decimale). Ora, immaginate che qualcuno vi informi solo sul valore iniziale e sul tasso di variazione: con queste informazioni, a partire dalla (1), potete calcolare il valore di arrivo (spero sappiate fare i passaggi): x1 = x0 (1 + v ) (2) Il tasso di variazione può essere negativo [potenza dell’algebra (che, guarda caso, è un nome arabo!)]: ciò indica una diminuzione, e in tal caso (1 + v ) è un numero minore di uno. Il numero (1 + v ) si chiama anche fattore di variazione: lo si moltiplica per il valore iniziale per ottenere quello finale; alternativamente, può essere visto come rapporto fra valore finale e valore iniziale. Se per esempio sapete che la vostra grandezza è aumentata del 7% (=0,07), per trovare il valore di arrivo dovete moltiplicare quello di partenza per 1,07. Se, viceversa, sapete per esempio che il rapporto fra il valore di arrivo e quello di partenza, cioè il fattore di variazione, è 1,25 deducete che la grandezza è aumentata del 25%; se infine sapete che quel rapporto è 0,9 deducete che la grandezza è diminuita del 10% ( v = −0,1 ). Se il tempo trascorso tra la “data zero” e la “data uno” è una unità intera (di solito un anno, ma talora si può parlare anche in termini di trimestri o mesi), allora il tasso di variazione si chiama tasso di crescita. Se la grandezza di cui si parla è un prezzo, o una media di prezzi, il suo tasso di crescita si chiama tasso di inflazione: un tasso di inflazione elevato non significa che i prezzi sono alti ma che sono cresciuti molto. Ora ci concentriamo sui tassi di crescita annui. Supponete ora di sapere che la vostra grandezza, a partire dal valore iniziale x0 , anche nel secondo anno aumenti con lo stesso tasso di crescita v, cosicché alla fine del secondo anno il suo valore, x2 , 2 è dato ovviamente da x2 = x1 (1 + v ) . Usando poi la (2) fate presto a vedere che x2 = x0 (1 + v ) , e di conseguenza T xT = x0 (1 + v ) (3) immaginando che la grandezza cresca per T anni sempre al tasso v. Quindi la crescita complessiva T per T anni, in termini di tasso o percentuale, è (1 + v ) − 1 . Esempio: il PIL cresce per vent’anni al 2%. Intuitivamente, un novellino direbbe che globalmente è 20 cresciuto del 40%. Invece il calcolo di prima ci dice che il PIL dopo vent’anni è (1,02 ) = 1,49 (valore approssimato) volte il suo valore iniziale: la grandezza è aumentata del 49%. Più elevati sono il tasso di crescita e il numero di anni trascorsi, più forte è questo effetto “esponenziale”, e più sbagliata è l’intuizione del novellino. Sul testo di Blanchard c’è l’esempio della produttività che cresce dell’1% all’anno per 50 anni: alla 50 fine sarà cresciuta di (1,01) = 1,64 volte, cioè del 64%. Problema inverso. Supponete che qualcuno vi informi sul valore iniziale, x0 , e quello finale dopo T anni, xT , di una certa grandezza; sapreste calcolare il suo tasso medio di crescita? Il tasso medio è quello che, se fosse stato sempre lo stesso, avrebbe prodotto in T anni proprio quella variazione da x0 a xT (il tasso effettivo può ben essere diverso di anno in anno, ma qui ci interessa la media). xT , x0 ricordando che x0 e xT sono noti mentre v è incognito. Con un balzo matematico da dottorato in fisica teorica, potete poi calcolare: T Ebbene, se il tasso medio, uguale per T anni, è v, allora ottenete dalla (3) che (1 + v ) = (1 + v ) = T xT x0 e dunque v = T xT x0 − 1 (4) Esempio: il PIL delle Repubblica delle Banane era 500 nel 1978, ed è diventato 1.200 nel 2008. Sono passati trent’anni, dunque calcolo 30 1200 500 = 30 2,4 = 1,0296 , poi sottraggo uno: il tasso di crescita medio è stato dunque del 2,96% (approssimato al 3% se non voglio pronunciare troppi decimali). Applicazione. Voi sapete certo che se vi indebitate per una certa cifra S, dopo un anno dovete restituire quella cifra più gli interessi. Sapete anche che per calcolare l’ammontare degli interessi dovete prendere la somma inizialmente presa a prestito e moltiplicarla per un numerello chiamato tasso di interesse (una percentuale). Per esempio, se avete preso a prestito 1000 euro e il tasso di interesse è il 5%=0,05, allora fate 1000⋅0,05 e trovate 50. L’anno dopo, cioè, dovete restituire 50 di interessi, oltre ai 1000 euro iniziali. Più in astratto, se prendete a prestito S e il tasso di interesse è r, l’ammontare dovuto dopo un anno, che si chiama montante, è S + Sr = S (1 + r ) . Letto così, il tasso di interesse r è il tasso di crescita del vostro debito (e (1 + r ) è il fattore di crescita). Supponete ora di non restituire nulla dopo un anno, e rinviare di un altro anno la restituzione: il valore del nuovo debito ad inizio del secondo anno è S (1 + r ) , e durante il secondo anno maturerà altri interessi con lo stesso meccanismo appena visto. Dopo due anni il vostro debito diventa dunque 2 T pari a S (1 + r ) , e dopo T anni senza restituzione diventa S (1 + r ) . Esempio: prendete a prestito 1000 euro all’8% (un cosiddetto TAEG piccolo rispetto a quello sui prestiti personali che oggi vanno di moda: il TAEG, comunque, è scritto in piccolissimo nelle pubblicità, posto che sia scritto); se restituite tutto dopo 10 anni senza rate intermedie, dovrete 10 restituire 1000 ⋅ (1,08) = 2519 euro (più naturalmente un sacco di spese e more e diritti). Occhio ai prestiti personali, e soprattutto a non essere insolventi di anno in anno! La matematica finanziaria vi insegnerà a calcolare gli schemi di restituzione più usuali, più o meno elaborati (rate periodiche costanti, quote capitale costanti, eccetera). Ma al momento questo non ci interessa.