Sala 3. Il cammino per l`annessione all`Italia
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Sala 3. Il cammino per l`annessione all`Italia
Sala 3. Il cammino per l’annessione all’Italia I moti del Veneto nel 1864 - Tentativi insurrezionali ai confini dell’Impero L’unificazione dell’Italia lascia irrisolte le questioni di Roma e del Veneto. Mentre il re e il governo sono al lavoro per trovare una soluzione legale, lo schieramento democratico pianifica nuove iniziative insurrezionali. A Sarnico e in Aspromonte, volontari garibaldini avviano spedizioni verso il Veneto e Roma, ma le azioni sono bloccate dall’esercito regio per ordine del governo liberale, che teme il propagarsi della corrente democratica. C’è fermento anche tra i patrioti delle città venete e friulane. Qui, l’ipotesi insurrezionale appoggiata da Mazzini prevede la creazione di bande armate e la pianificazione di un’azione coordinata. La polizia austriaca, sulle tracce dei cospiratori, compromette il piano, ma i friulani decidono di agire comunque. La banda di Navarons, guidata da Andreuzzi, compie alcune incursioni ed è protagonista di uno scontro a fuoco con la polizia austriaca, mentre la banda di Majano, guidata da Cella, si mette in movimento verso le montagne. Ma il mancato coordinamento con le altre bande e la limitata adesione popolare costringono gli uomini a disperdersi. Il fallimento del moto solleva in seguito un acceso dibattito tra le forze politiche. La terza guerra di indipendenza e l’unione all’Italia - Il difficile cammino del Friuli Tra il 1865 e il 1866 le tensioni tra Austria e Prussia, che si contendono la supremazia in Germania, sembrano sul punto di sfociare in un conflitto. Intuita la possibilità di risolvere la questione veneta, il governo italiano tratta con la Prussia per sottrarre territori all’Impero asburgico. Nel frattempo, in Veneto e Friuli si riorganizzano le bande e molti volontari partono per unirsi alle divisioni italiane e garibaldine. L’Italia entra in guerra durante l’estate: i garibaldini avanzano vittoriosi in Trentino, ma l’esercito del Regno, allo sbando dal punto di vista strategico e organizzativo, subisce pesanti sconfitte. Tuttavia gli austriaci, più preoccupati degli altri fronti di guerra, hanno iniziato a ritirarsi. Il 24 luglio sul castello di Udine è issata la bandiera tricolore e due giorni dopo le truppe del generale Cialdini entrano in città; ma gli austriaci sono ancora a Gemona, Tarcento, Cividale e Tolmezzo e i friulani hanno la sensazione che la guerra non sia ancora finita. A ottobre, la pace di Vienna sposta il confine italiano sulla linea dell’Isonzo. La Venezia Giulia e Trieste, oltre al Trentino, rimangono fuori dal territorio nazionale e il problema delle “terre irredente” costituirà fino alla Grande Guerra un motivo di tensione all’interno del Paese e di grave attrito con l’Austria. Il Friuli dopo il 1866 - La costruzione di una terra periferica Nominato Commissario regio, il 2 agosto Quintino Sella giunge a Udine. Il suo lavoro per riorganizzare efficacemente la provincia e affrontare i problemi del territorio ha inizio quasi subito. Benché incontri un clero friulano diffidente e avverta la mancanza di partecipazione popolare, Sella si attiva per coinvolgere la nuova classe dirigente e in pochi mesi mette in atto forze innovatrici in campo economico, sociale e culturale. Sostiene in parlamento i progetti per il canale LedraTagliamento, che mira a risolvere le carenze idriche del territorio, e per la linea ferroviaria Pontebbana, indispensabile per potenziare le reti di trasporto e comunicazione; favorisce l’apertura delle prime filiali delle banche nazionali, che aiutano con i loro prestiti lo sviluppo della provincia. Con l’obiettivo di assicurare il consenso al nuovo Regno, punta sull’associazionismo e sulla stampa: fonda il “Circolo indipendenza”, che riunisce i liberali moderati, appoggia la fondazione del «Giornale di Udine», diretto da Pacifico Valussi, appena rientrato dall’esilio, e concorre alla creazione della Società operaia di Mutuo Soccorso. Attento a incoraggiare l’istruzione e la formazione, partecipa all’apertura dell’Istituto Tecnico Zanon e della prima biblioteca pubblica, accanto al Museo cittadino, in palazzo Bartolini. 1866. Il Friuli in Italia - Una terra emarginata e fragile All’atto dell’unione all’Italia, il Friuli è una provincia periferica ed emarginata. Fra le inchieste che Il Regno mette in atto per conoscere la realtà del Paese, la relazione del barone Morpurgo rileva la fragilità economica della terra friulana. L’agricoltura di mera sussistenza condotta con sistemi arretrati è colpita dalle malattie della vite e del baco da seta e non può sostenere la concorrenza di altre regioni più fertili; l’industria è marginale e lo stato di povertà è aggravato dal prelievo fiscale di un Regno in forte disavanzo. Il lento e difficile sviluppo economico è una delle cause dei mali della “questione sociale”. I contadini vivono un’immobilizzante apatia: senza lavoro, in condizioni igieniche precarie e tra malattie endemiche e ricorrenti epidemie. Sempre più persone, per la mancanza cronica di lavoro, emigrano, intensificando un fenomeno di lunga data che ora si rivolge anche oltreoceano e riguarda intere famiglie. . La nuova classe dirigente più illuminata, costretta ad affrontare accanto al riordino amministrativo questa lunga serie di problemi, si adopera perché i processi di modernizzazione avviati dal commissario Sella abbiano compimento: Accanto agli interventi di aiuto al credito e per l’innovazione agricola e industriale, incoraggia l’istruzione, appoggia nuove forme di solidarietà sociale a favore dei disagiati e rivolge l’attenzione a sensibilizzare tutti i cittadini all’impegno civile e alla partecipazione politica.