Introduzione - Archivio di Stato di Catania

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Introduzione - Archivio di Stato di Catania
ARCHIVIO DI STATO DI CATANIA
Corporazioni Religiose Soppresse
“Monastero di Santa Chiara, San Girolamo e Monte Vergini”
(1576 – 1882)
Inventario
a cura di Eugenia Lombardo
(Novembre 2007)
Informatizzazione
a cura di Maria Nunzia Villarosa
(Marzo 2008)
INTRODUZIONE
a cura di Eugenia Lombardo
LA CHIESA E IL MONASTERO DI SANTA CHIARA DI CATANIA.
Come dà notizia il Rasà Napoli nella sua guida per la città di Catania, il
monastero di Santa Chiara nacque in seguito al volere di Antonio Paternò,
barone di Oxina, che chiese, morendo, che i suoi beni e la sua casa si
dedicassero alla erezione di tale complesso monastico. A questi beni,
successivamente Chiara Statella aggiunse i suoi. I lavori ebbero inizio nel
1563.
Al monastero di Santa Chiara furono aggregati quello di Montevergine,
edificato nel 1220 grazie ad elemosine, e quello di San Girolamo, fondato nel
1396 per opera di Giovanni Battista e Pietro Seminara. L’unione delle tre case
religiose si ebbe in virtù di un decreto pontificio del 1697.
Danneggiata gravemente dal terremoto del 1693, fu ricostruita a partire dal
1760 su progetto di Giuseppe Palazzotto, che vi lavorò per quattro anni
rendendola il suo capolavoro.
Venne riedificato anche il monastero nel quale Verga ambientò il romanzo del
1871, “Storia di una capinera”.
La chiesa sorge nell’odierna via Garibaldi, allora Ferdinanda; è da molti
considerata la “sorella gemella della chiesa di San Giuliano”. Oggi, il
monastero è adibito ad ufficio comunale.
Il tirocinio formativo da me svolto presso l’Archivio di Stato di Catania mi ha
portato a sviluppare competenze di base nel settore dell’archiviazione
occupandomi del lavoro di schedatura della serie “Monastero di Santa Chiara”,
appartenente al fondo delle “Corporazioni Religiose Soppresse” di Catania e
che consta di 10 buste (recanti i nn. di corda dal 231 al 240), interessanti
aspetti vari della vita del monastero.
Gli atti delle prime tre buste riguardano strettamente la contabilità del
monastero, difatti troviamo un Libro Mastro e due Giornali di cassa (queste
sono le uniche buste ad avere una coperta, in cartone, mentre le altre sono
scritture sciolte prive di coperta); la busta n. 234 ha per oggetto un Censo di
bolla; la n. 235 un incartamento relativo alla terre in contrada Ciappino, in
territorio di Caltanissetta, una della proprietà del monastero; atti di varia natura
si riscontrano nelle ultime cinque buste, dalla gestione di altre proprietà a
scritture diverse attinenti a pratiche giudiziarie, espropriazioni forzate, vendite,
borderò d’ipoteche ed altro su ulteriori beni e diritti posseduti dal monastero in
diversi comuni (dalla stessa Catania e dintorni, a Misterbianco, Carlentini,
Piazza Armerina, fino a Biscari e Vittoria).
Gli atti da me schedati attengono grosso modo al XIX secolo ma gli estremi
cronologico variano in ciascuna busta, per un arco di tempo complessivo che
va dal 1576 (data di un testamento contenuto nella busta n. 238) al 1882.
È bene segnalare come da alcuni atti notarili si venga a conoscenza della
denominazione originaria ed ufficiale della casa religiosa, quale “Venerabile
Monastero di Santa Chiara, San Girolamo e Monte Vergini”. Tale
denominazione risale sicuramente all’unione dei tre monasteri per opera di un
decreto pontificio del 15 giugno 1697 segnalato da una voce in un Indice a
carta 100 della busta n. 240, ma il cui documento risulta mancante.
Denominazione poi persa col tempo a favore del semplice “Monastero di
Santa Chiara”.
Il lavoro è stato da me svolto con particolare interesse in quanto tra le righe
dei vari atti è possibile cogliere quella che era la vita del monastero, le
abitudini delle consorelle, i rapporti con altri ordini e chiese (come la
congregazione del SS. Crocifisso, la chiesa di San Domenico o San
Francesco d’Assisi, la Casa dei Minoriti), con comuni o singole famiglie,
l’ordinamento interni della casa religiosa (mi riferisco, ad esempio, alla dote
monastica che ogni novizia doveva rendere), gli interesse economici curati
dall’amministrazione.
I libri di contabilità, i primi di cui ho preso visione, offrono già un esempio di
come è possibile evincere da atti di diversa natura quelle che erano le
abitudini delle monache, dagli alimenti all’organizzazione della celebrazione
delle Sante Messe e di festività varie. L’arco cronologico che permettono di
vagliare va dal 1862 al 1882.
Il Libro Mastro (insieme al quale si trova il relativo Indice), busta n. 231,
presenta un elenco nominale di creditori e debitori del monastero,
menzionando quindi singole famiglie piuttosto che comuni o banchi; il Giornale
di cassa, busta n. 232 e 233, prosegue invece per “argomenti”, raggruppando
le spese o le entrate sotto una stessa categoria. Ecco che troviamo spese
relative al cibo o al sapone, spese per la cantina o per l’infermeria, per le
messe o festività varie, elemosine a vari (agli Eremiti di San Corrado, Poveri
Accattoni, Padri Mendicanti), spese notarili o per opere di fabbrica e
ristrutturazione. Gli introiti generalmente si dovevano a elargizioni o pagamenti
ricevuti da vecchi debitori, doti monastiche o fitto e vendita di fondi e terreni.
Da notare un bilancio riassuntivo che periodicamente (gennaio, maggio e
settembre di ogni anno) veniva redatto, comparando entrate ed uscite.
Curioso il resoconto alla carta 91 della busta n. 231 dello stato
dell’amministrazione del monastero sotto le varie gestioni. I libri contabili
appaiono molto precisi, si nota la cura nell’annotare i dati con le dovute
precisazioni per ciascuna voce.
Come detto sopra, le prime tre buste sono le uniche ad avere una coperta, in
cartone, e con cartulazione originaria.
Le ultime sette buste riguardano scritture sciolte prive di coperta. Le buste n.
234 e 235 non presentano cartulazione, per le restanti trattasi di cartulazione
posteriore. Gli estremi cronologici variano di busta in busta per un lasso di
tempo complessivo che va dal 1612 al 1869, al di là di un testamento del 1576
contenuto nella busta n. 238.
Prendendo visione dei vari atti si deduce quanti e quali fossero gli interessi
economici del monastero in vari comuni, a partire dalle terre di sua proprietà
che dava in affitto sino alle soggiogazioni che pesavano per più decenni su
singoli.
Dagli atti di affitto, vendita ed espropriazioni forzate si viene a conoscenza di
quali siano stati i possedimenti del monastero. Come detto sopra, l’intera
busta n. 235 riguarda le terre in contrada Ciappino, appartenente al comune di
Aidone, in provincia di Caltanissetta; la n. 236, invece, presenta documenti
attinenti all’affitto del feudo Roccadia, con “alberi, case, stalle, acqua ed altro”,
territorio appartenente al comune di Carlentini; atri fondi di cui si trova notizia
nelle successive buste sono quello detto della Raccomandata (Misterbianco),
il fondo Bicocca (Catania), le chiuse Mulia e Fondo grande (Sant’Agata Lì
Battiati).
Gli introiti per il monastero, come ho già accennato, erano comunque di varia
natura. Accanto alla gestione dei possedimenti, di primaria importanza erano
sicuramente le donazioni, le elemosine, nonché eredità di personaggi più o
meno importanti del tempo che lasciavano tutti i loro beni al monastero. Da
questi lasciti spontanei spesso avevano origine soggiogazioni che gravavano
sugli eredi del donatore anche a distanza di più decenni e, dalle molte citazioni
in giudizio, si evince che le varie amministrazioni del monastero traevano
grande profitto da esse, tanto da protrarre i contenziosi giudiziari per molto
tempo, fino ad ottenere la somma promessa e quanto maturato nel tempo.
Un esempio importante, che mi ha particolarmente colpito essendo originaria
delle località riguardanti gli atti, si trova alla carta 109 della busta n. 237,
inerente il sequestro a danno del Principe di Biscari ad istanza dell’allora
badessa del monastero. L’atto di citazione di tale sequestro viene rilasciato
nelle mani di un certo Giuseppe Castiglione e compagni domiciliati in Vittoria e
Biscari (odierna Acate), tutti debitori del Principe. La badessa chiede che gli
venga pagata la somma di once 358, maturata dal 1826 in virtù un atto
soggiogatorio di 8 once annuali stipulato dal Principe in favore del monastero
nel 1790. Questo testimonia come anche un personaggio di rilevo come il
Principe di Biscari dovette sottostare alle pressioni economiche del
monastero.
Oltre a quello del Principe di Biscari, in altre circostanze compaiono i nomi di
vari esponenti più o meno illustri della nobiltà del tempo e del luogo, come la
famiglia Ursino Recupero, il barone Marziani o il Principe Rebuldone.