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iraq
Testo e foto: Laura Silvia Battaglia
Baghdad
«L
e prossime vacanze di
Eid le passiamo qui.
Almeno una giornata».
Zeinab ha una figlia adolescente e
tanta voglia di normalità. Per questo ogni tanto si fa trascinare dalla
ragazza e la porta al primo centro
commerciale di Baghdad. Si chiama Mansour Mall ed è una di quelle cattedrali del consumo identiche
a se stesse in qualsiasi città del
mondo. L’unica differenza con Detroit o con Parigi è che, uscendo
dal centro commerciale, ci sono
dieci soldati in assetto militare,
tre blindati e due checkpoint. Per
il resto, tutto secondo programma,
dal blockbuster ai fastfood.
Il centro commerciale è stato aperto tre anni fa e ci sono voluti una
teoria di permessi e una serie di
riflessioni sulla fattibilità del progetto e sulla sua messa in sicurezza. «Il parcheggio è molto piccolo
e non lo ingrandiremo, proprio per
limitare gli attacchi con bombe:
Baghdad non
siamo ancora a
«Per più di dieci
riusciti a risolanni in Iraq ci è
vere questa cristato negato di
ticità», racconsognare davanti
ta Ammar M.
a uno schermo,
Alkhafaji, maadesso questo
nager
della
tempo vogliamo
struttura. Nonoriprendercelo»,
spiega il manager stante possa essere un target
del primo e unico
perfetto per gli
multisala
attacchi terroristici, gli abitanti di Baghdad, soprattutto i giovani, lo considerano
il simbolo commerciale di una nuova era. Nel weekend dell’ultimo Eid
(la fine del Ramadan) è stato frequentato da 63mila avventori che,
dalle strade già affollate del quartiere di Mansour, ricco di negozi e
ristoranti solo per «baghdadi» doc,
passano a godersi le patatine fritte
nel nuovo tempio dello shopping.
24 Popoli novembre 2013
Prove di normalità
a Baghad
Fare shopping in un centro commerciale,
andare al cinema, correre all’aperto: gesti
ordinari in tempo di pace, non in una città
che negli ultimi dieci anni ha conosciuto
ogni forma di violenza. Viaggio in una capitale
che tenta di rinascere, dai giovani
FILMMAKER SOTTO LE BOMBE
Hassan ha 28 anni, lavora come
cameraman e filmmaker. Per lui, a
dispetto delle apparenze, il primo
centro commerciale di Baghdad
ha un grande pregio: dentro c’è
un multisala. «A Baghdad non ci
sono sale cinematografiche da più
di dieci anni. Da quando hanno
aperto questo cinema sono sempre
qui e qui porto i miei amici ogni
settimana». Se Hassan è appassio-
nato, Zaid Jawad, il quarantenne
manager della struttura che, patriotticamente, si chiama Iraqi Cinema, lo è ancora di più: «Tra poco
passeremo da quattro a sette sale.
Questa struttura è il sogno della
mia vita divenuto realtà: per più di
dieci anni in Iraq ci è stato negato
di sognare davanti a uno schermo,
adesso questo tempo vogliamo riprendercelo».
Zaid sceglie con cura i film, so-
In queste pagine e nella successiva, alcuni
momenti dell’Iraqi Social Forum, svoltosi
a Baghdad dal 26 al 28 settembre.
prattutto americani, qualche volta
egiziani, li calibra sulla clientela
(giovani e famiglie, bambini) e
ogni tanto fa capolino nelle sale.
«Perché ne godo», dice. Ha anche
pensato di dedicare una zona del
multisala ai giovani filmmaker che
vogliono incontrarsi per progettare: «Li aiuto perché mi piacerebbe
che il cinema iracheno rinascesse e
perché io mi sento uno di loro. Magari riuscissi a fare il produttore,
piuttosto che il gestore!».
Dentro l’Iraqi Cinema, Ali, Abdo,
Ameer, Mustafa e Hussan si incontrano nella sala delle playstation.
tare ai compagni. I registi del film
saranno Ameer, che è figlio d’arte,
e Hussan che ha già presentato un
film nella competizione internazionale del Baghdad Film Festival.
«Io, invece, sono sempre l’addetto
agli effetti speciali», aggiunge Mustafa che, a detta dei compagni, ha
buone capacità anche nella scrittura delle sceneggiature.
I cinque, compreso Hassan, che
fa da cameraman e produttore,
girano con una fotocamera full
Hd. È il massimo che si possono permettere. Altri loro colleghi,
come Wareth, 23 anni, hanno a
Sono tutti allievi dell’Accademia
di Arte e Cinema di Baghdad. Prima si scatenano con la nuova versione di God of War, sfidandosi alla
consolle con diversi tipi di armi,
poi si siedono tranquilli. Hanno in
progetto un film con Ali per protagonista e che interpreta, come al
solito, il gangster. «Vorrei levarmi
di dosso questo cliché - dice -; ho
impersonato Gilgamesh in un altro
film e non mi è dispiaciuto», fa no-
disposizione solo un iPhone, che a
Baghdad ha il suo perché. «Non è
possibile girare, filmare all’aperto, avere dei permessi: siamo in
gabbia. In molte situazioni, specie
in prossimità dei checkpoint non è
possibile testimoniare quanto sta
accadendo», dice il ragazzo che
viene da Sadr City, uno dei quartieri più turbolenti di Baghdad.
Wareth ha provato a raccontare
questa generazione mutilata dai
ricordi dell’infanzia e ora intrappolata in una città che ama e odia
allo stesso tempo, nel suo corto
They were here: l’operazione è
stata possibile solo usando questa
tecnologia e rischiando parecchio.
NIENTE MARATONA
Il fatto è che, a Baghdad, a fronte
di dieci anni di guerra e innumerevoli traumi, accanto a quel che
rimane di una generazione stanca e con poche speranze, quella
dei quarantenni, ce n’è un’altra
che per forza
di cose vuole
In un solo giorno,
credere nel fulo scorso
turo. Banat, 23
30 settembre,
anni, laureata
sono scoppiate
in Lingue, si
14 autobombe,
sente depauquasi in
perata del suo
contemporanea,
diritto a diin diversi punti
vertirsi, come
della città:
fanno tutte le
54 i morti, dozzine
altre ventenni
i feriti
del mondo globalizzato, con i leggins e l’ultimo
modello di cellulare: «Quando ero
piccola avevamo la guerra, adesso
le bombe. Io e i miei colleghi di
università non possiamo uscire
la sera come vorremmo, non si
può fare tardi. Sto sempre a casa
perché mio padre si preoccupa.
Lavoro e casa, casa e lavoro. Ma
ho vent’anni, sono stanca di questa
situazione».
Per questo Banat ha accettato di
fare la volontaria durante l’Iraqi
Social Forum, il convegno annuale
di tutte le organizzazioni irachene
non governative (ma partecipano
anche alcune straniere, tra cui
l’italiana Un ponte per...): «Qui
incontro i cooperanti internazionali, ma soprattutto sto con miei
coetanei che credono che un Iraq
di pace, diritti umani e giustizia
sociale sia possibile».
I ragazzi della capitale ci credono
così tanto che si erano messi in
mente di organizzare una maratonovembre 2013 Popoli 25
iraq
na in città, proprio per l’apertura
del Forum, il 26 settembre. L’hanno preparata per un anno, salvo
poi dovere ridimensionare l’evento
e trasformarlo in una corsa di 400
metri all’interno dell’Università di
Baghdad. «Così è più sicuro», dice
Forat, sempre con il sorriso sulle
labbra, nonostante gli attacchi suicidi con autobombe e la violenza
diffusa stiano rendendo impossibile la vita agli abitanti della
capitale.
In un solo giorno, lo scorso 30 settembre, sono scoppiate 14 autobombe, quasi contemporaneamente, in
diversi punti della città: 54 i morti,
dozzine i feriti (la stima dei civili
morti dall’attacco anglo-americano
a oggi è di circa 120mila). Gli
obiettivi degli attentatori sono i
luoghi affollati: i mercati, i par-
26 Popoli novembre 2013
cheggi. Oppure i checkpoint. Anche Baghdad Film Festival al Palestiil Forum avrebbe potuto esserlo, sia ne Hotel, nell’Iraqi Social Forum
per il sostegno e la protezione che i cittadini si sono confrontati su
ha ricevuto dalle istituzioni gover- povertà, matrimoni precoci, regolamentazione del sinative sia per il luogo
stema dei contractors,
prescelto, quel Centro Nell’Iraqi Social
minoranze etniche, diCulturale di Baghdad Forum, svoltosi
visioni settarie, libertà
che affaccia nell’affol- a settembre, i
di stampa ed espreslatissimo mercato dei cittadini si sono
sione, partecipazione.
libri, all’inizio di Al- confrontati su
Mutanabbi Street: la povertà, matrimoni Temi caldissimi che,
nella società irachena,
via dei caffè, degli in- precoci,
tellettuali e della cul- regolamentazione dove la mazzetta è uno
stile di vita, l’acqua e
tura irachena.
del sistema dei
la luce corrente non
Ma il Forum è stato contractors e
sono servizi garantiti
una sfida anche per i altri temi caldi
ed è molto pericoloso
temi prescelti. Nell’anmanifestarsi critici nei
no in cui Baghdad si
confronti del governo,
vuole ergere a capitale
della cultura del mondo arabo, trovano raramente la possibilità
con la settimana dedicata all’E- di essere messi sul tavolo della
gitto nel Teatro nazionale e il politica e del dibattito sociale.