Bruni e la Ferrari della AF Corse hanno conquistato il

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Bruni e la Ferrari della AF Corse hanno conquistato il
n.
252
2 dicembre
2013
Bruni e la Ferrari
della A F Corse hanno
conquistato il titolo
piloti e marche nel
campionato FIA WEC,
un successo arrivato
all’ultimissima gara
nonostante i palesi
favori regolamentari
di cui hanno goduto
le A ston Martin
Vantage nel corso
della stagione
VISTA
CON IRIDE
Registrazione al tribunale Civile di Bologna
con il numero 4/06 del 30/04/2003
L’editoriale
TRAGEDIE
SEMPRE
IN AGGUATO
Direttore responsabile:
Massimo Costa
([email protected])
Redazione:
Stefano Semeraro
Marco Minghetti
Collaborano:
Carlo Baffi
Antonio Caruccio
Marco Cortesi
Alfredo Filippone
Dario Lucchese
Claudio Pilia
Guido Rancati
Dario Sala
Silvano Taormina
Filippo Zanier
Tecnica:
Paolo D’Alessio
Produzione:
Marco Marelli
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Motorsport is dangerous, ok lo sappiamo. Però, cavolo. Morire in una manifestazione semi amatoriale per ricordare il
compianto Simoncelli, e con un incidente che più o meno ha
avuto la stessa dinamica, ha qualcosa di insopportabile. Da
far venire il mal di testa per settimane. Non vogliamo rivestire il ruolo di “quelli del giorno dopo”, però è vero, sia per
le quattro sia per le due ruote, che quando si organizzano
eventi di questo genere, post stagione, per beneficenza o
anche semplicemente per raccogliere un manipolo di piloti a
riposo e divertirsi, la guardia viene abbassata. E’ capitato
anche a noi di partecipare a qualche corsetta kartistica di fine
anno su strani tracciati, pericolosi, con pali di qua e di là,
alberi non lontani. Ma tanto è un gioco dicevano anche piloti
professionisti. Come dire, sappiamo bene dov’è il confine che
porta al rischio totale, qui è tutto sotto controllo. Ma non è
così. L’incidente stupido, banale, anche a bassa velocità, è
sempre in agguato. E anche manifestazioni sciocche, inutili
o meno, devono mantenere livelli di sicurezza da F.1. C’è poco
da fare. E il caso Romboni lo dimostra. Una scivolata come
milioni di altre, ma con una moto difficile che il povero Doriano tra l’altro non aveva mai condotto prima (quindi anche
una certa approssimazione di tutti), si è rivelata fatale. Perché? Perché Romboni è finito su un altro pezzo di quella mini
pista, contromano, venendo travolto da un incopevole concorrente. Possibile che professionisti come Biaggi e Dovizioso, per esempio, lì presenti, non avessero calcolato che
cadendo in quelle curvette senza alcuna protezione attorno,
si sarebbe finiti su un successivo pezzo di pista? Possibilissimo, perché come detto sopra, in questi eventi si abbassa la
guardia. Non si considera minimamente la presenza del
rischio. Dicono che quel tracciato di Latina è omologato dalla
Federazione internazionale, che era stato sconsigliato di mettere balle di paglie nelle curve per impedire, appunto, di tracimare oltre. Veti incomprensibili, a nostro avviso. La tragedia di Romboni speriamo apra gli occhi a tutti. E ricordi che
quando ci si mette il casco in testa, fosse per una gara di F.1
e di Moto GP o per la più inutile corsetta amatoriale tra amici,
il dramma fatale è sempre lì, sospeso nell’aria, pronto a farci
piombare nella più totale tristezza.
Il graffio di Baffi
L’INIZIATIVA
LA SETTIMANA DEGLI OSCAR
Come da tradizione, con l’arrivo del mese di dicembre prepariamo la selezione per l’assegnazione
dell’OSCAR 2013, ovvero quello che riteniamo essere il Pilota Italiaracing dell’anno. Fin dalla sua
ideazione, nel 2004, vengono prese in considerazione categorie per monoposto non superiori alla
Formula 3 mentre per regolamento, chi ha già ricevuto il “premio” non può essere più candidato.
E’ il caso di Raffaele Marciello, che avrebbe certamente meritato di essere presente per la vittoria
nel FIA F.3 European Championship, ma essendo stato insignito del Pilota Italiaracing 2011, rimane fuori dalla competizione. Per questa stagione, dopo attenta disamina, i nomi selezionati sono
soltanto cinque anziché i soliti dieci che hanno contraddistinto le precedenti nove edizioni. Non
si poteva fare diversamente, i risultati ottenuti dagli italiani in campo internazionale nella F.3
europea (a parte Marciello) e nei vari campionati nazionali non sono stati particolarmente brillanti così come vi è stata una certa carenza tricolore nella Renault ALPS. Aggiungedovi la sparizione della F.3 tricolore e del Challenge Renault 2.0 capirete che di più era impossibile ottenere.
Ecco quindi il nostro elenco dei candidati per il Pilota Italiaracing 2013.
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PILOTA ITALI
I precedenti vincitori
2012 – Riccardo Agostini
2011 – Raffaele Marciello
2010 – Giovanni Venturini
Riccardo Agostini
vincitore 2012
qui impegnato durante
la stagione in Auto GP
2009 – Andrea Caldarelli
2008 – Mirko Bortolotti
2007 – Edoardo Mortara
2006 – Edoardo Piscopo
2005 – Davide Rigon
2004 – Ronnie Quintarelli
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I cinque nomi selezionati
La giuria
Antonio Caruccio (Italiaracing)
Roberto Chinchero (Autosprint, Gazzetta dello Sport, Autosport Japan)
Marco Cortesi (Italiaracing, Autosprint)
Massimo Costa (Italiaracing, Autosprint).
Dario Lucchese (Italiaracing, Autosprint)
Claudio Pilia (Italiaracing, Autosprint)
Dario Sala (Italiaracing)
Silvano Taormina (Italiaracing)
Filippo Zanier (Italiaracing)
Ignazio D’Agosto
8° Eurocup Renault
Antonio Fuoco
1° F.Renault ALPS
Luca Ghiotto
2° F.Renault ALPS
9° Eurocup Renault
Dario Orsini
5° F.Abarth
Alessio Rovera
1° F.Abarth
ARACING 2013
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L’INIZIATIVA
LA SETTIMANA DEGLI OSCAR
Ignazio D’Agosto
Ha corso soltanto nella Eurocup Renault col team KTR e
dopo un avvio complicato, alla seconda stagione nella serie
ha cominciato a raccogliere importanti risultati come il
terzo posto a Mosca gara 2, la vittoria di Spielberg nella
prima corsa e altri piazzamenti in zona punti. Su di lui grava
sempre il peso della mancanza di budget che gli ha
impedito di partecipare a un maggior numero di gare in altri
campionati, nel suo caso il Renaut NEC
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L’INIZIATIVA
LA SETTIMANA DEGLI OSCAR
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Antonio Fuoco
Rappresenta la grande sorpresa del 2013. Il giovanissimo pilota del Ferrari
Driver Academy ha disputato il campionato di F.Renault ALPS provenendo
direttamente dal karting e subito ha lasciato il segno. Ben presto si è capito
che nonostante la assoluta mancanza di esperienza nelle formule, era il
candidato alla vittoria finale salendo a numero uno all’interno del team Prema.
Sei le vittorie totali, quattro i secondi posti, cinque le pole. Stupefacente anche
la sua unica apparizione nella Eurocup Renault a Spa, dove ha ottenuto la pole
in qualifica 2 e piazzandosi quinto e quarto nelle due gare belghe.
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L’INIZIATIVA
LA SETTIMANA DEGLI OSCAR
Luca Ghiotto
E’ stato l’antagonista di Fuoco fino all’ultimo appuntamento del campionato
Renault ALPS. Il vicentino Ghiotto, del team Prema, ha disputato una eccellente
seconda parte di stagione che lo ha visto cinque volte vincitore e dominatore
della tappa finale di Imola. Ghiotto ha inoltre ottenuti buoni risultati nella
Eurocup Renault segnando una bella vittoria a Spa dopo essere partito col
secondo crono nella seconda corsa, una pole e il secondo tempo nelle due
qualifiche di Le Castellet dove in gara 1 ha terminato secondo. Campionato,
quello continentale, che ha concluso in nona posizione.
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L’INIZIATIVA
LA SETTIMANA DEGLI OSCAR
Dario Orsini
Si è piazzato quinto nel campionato della F.Abarth, ma quel che ci ha
convinto di Orsini è il fatto che pur entrando in gioco a stagione
ampiamente avviata e disputato dodici delle diciotto gare si è subito
portato al vertice. Tre vittorie dimostrano il talento del giovane schierato
dalla NBC che può vantare anche quattro secondi posti, due terzi , un sesto.
Siamo curiosi ora di vederlo all’opera in contesti importanti.
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L’INIZIATIVA
LA SETTIMANA DEGLI OSCAR
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Alessio Rovera
E’ stato il dominatore della F.Abarth. Il fatto che vi fossero pochi iscritti alla categoria
non toglie merito al pilota della Cram. Partito otto volte dalla pole su diciotto gare,
Rovera ha ottenuto sei vittorie, quattro secondi posti, due terzi e diversi piazzamenti
a punti. Un vero protagonista insomma, che ha sicuramente lasciato il segno e che
merita ora di cimentarsi in campionati di respiro internazionale.
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WEC
GARA AD AL SAKHIR
ALL’ULTIMO
RESPIRO
Bruni e la Ferrari si sono presi il mondiale piloti e marche
nella corsa finale battendo la concorrenza dell'Aston Martin,
crollata proprio quando il traguardo sembrava vicinissimo
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Filippo Zanier
Chissà cosa passava per la testa di Gimmi Bruni e Amato Ferrari
sul gradino più alto del podio della 6 Ore del Bahrain. Uno campione del mondo per la prima volta in carriera, re di una tiratissima Classe GTE Pro, l'altro deus ex machina di un team che
festeggia la seconda iride consecutiva ed è sempre di più il punto
di riferimento nelle corse per vetture Gran Turismo. Una vera e
propria festa in Rosso, che per loro ha un sapore ancora più dolce
perché è arrivata all'ultima gara, in rimonta contro l'Aston Martin
e contro una FIA che per buona parte della stagione ha mantenuto
in vigore un Balance of Performance vergognoso, che sembrava
disegnato apposta per consegnare il titolo mondiale alle Vantage
nell'anno del centenario del costruttore inglese.
FERRARI E BRUNI PIÙ FORTI
DI PLACE DE LA CONCORDE
La 458 GTE, che già aveva fatto la doppietta iride piloti-costruttori nel 2012, a inizio stagione era senza dubbio ancora la vettura
da battere e così in Place de la Concorde hanno pensato fosse il
caso di mettere le ali alle sue avversarie con regalie di ogni tipo:
aerodinamica più libera, restrittori più larghi, serbatoi più
capienti e uno sconto di peso impressionante, ben 40 chili. Alla
Ferrari restava ancora un vantaggio in termini di consumo? Perfetto, via 5 litri dal serbatoio della Rossa, una decisione che gli
uomini di Maranello avevano accettato con una certa incredulità:
"I nostri ingegneri hanno lavorato mesi per fare un capolavoro,
abbinare grandi performance a consumi ridotti rispetto alla concorrenza - ci aveva detto Bruni - ora tutto quel lavoro e le risorse
spese sono è buttati, cancellati in un attimo". Poteva essere il colpo di grazia, e invece no. Perché se sulla gara singola, magari
sprint, normalmente a vincere è la vettura più veloce, in un campionato che si disputa su sette gare Endurance più la 24 Ore di
Le Mans, alla fine sono anche altri fattori a fare la differenza. Le
decisioni giuste al muretto box, i pit-stop sempre perfetti, la capacità di cogliere in ogni weekend di gara il massimo che la propria
competitività permette. Questo hanno fatto gli uomini di AF Corse, tenendo duro quando le cose non giravano per il verso giusto
(i quinti posti a Silverstone e Le Mans e il quarto a Shanghai) e
spingendo al massimo dove invece si poteva puntare al bersaglio
grosso. Le vittorie a Spa e San Paolo e il secondo posto di Austin
sono state senza dubbio meno di quanto il team avrebbe meritato,
ma hanno comunque permesso a Bruni di arrivare a giocarsela
all'ultima gara. E in Bahrain, all'improvviso, è stato come se il
destino avesse deciso di ripianare le ingiustizie di una stagione in
un giorno solo: la Ferrari n°51 si è involata al comando e non lo
ha più mollato, spinta da stint sempre al limite sia per Bruni che
per l'occasionale compagno Toni Vilander.
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WEC
GARA AD AL SAKHIR
IL TONFO DELLA VANTAGE
IL SACRIFICIO DI FISICHELLA
Alle loro spalle, invece, lo squadrone Aston Martin è tornato sulla terra con un
botto sordo: con 5 litri in meno nel serbatoio, grazie a un nuovo BoP leggermente
più equilibrato entrato in vigore già a Shanghai, le Vantage sono state costrette a
stint più corti ed hanno inseguito per tutta la gara. Poi, a due ore dalla fine, i sogni
di gloria sono andati in fumo insieme al V8 della vettura di Stefan Mucke e Darren
Turner: il propulsore ha iniziato a tossire, e dopo una breve sosta ai box al team
non è rimasto altro che spingere la macchina nel garage. Rimanevano delle speranze per il titolo Marche, ma anche quelle si sono dissolte quando il motore della
vettura superstite, quella di Bruno Senna, Pedro Lamy e Richie Stanaway, si è
ammutolito. Due ritiri e faccia scurissima per David Richards, che sognava un clamoroso en plein e invece alla fine ha portato a casa il solo titolo piloti Pro-Am
(con Jamie Campbell-Walter e Stuart Hall), poca cosa per festeggiare degnamente
i 100 anni di storia della Casa. I ritiri delle Aston hanno spianato ulteriormente
la strada a Bruni, che comunque il titolo lo avrebbe vinto anche se Turner-Mucke,
a cui vanno i complimenti per una stagione davvero straordinaria, fossero arrivati
secondi. La seconda piazza è andata a Bergmeister-Pilet che hanno portato in pista
la Porsche 991 in configurazione 2014 e hanno preceduto l'altra Ferrari di Kamui
Kobayashi e Giancarlo Fisichella. Ecco, forse l'unico punto grigio nella grande
festa in rosso è l'assenza del nome di "Fisico" dall'albo d'oro di quest'anno: dopo
che lui e Bruni hanno condiviso la macchina per tutta la stagione, per l'ultima gara
la Ferrari ha deciso di separarli, per raddoppiare le chance di titolo in caso di guai
per una delle due vetture. Alla fine, però, di guai non ne sono capitati e la classifica
recita Bruni campione con 145 punti, davanti a Fisichella che è secondo con 135.
Se da una parte può sembrare un'ingiustizia per l'ex pilota F.1 di Jordan, Renault,
Force India e Ferrari, bisogna però riconoscere che quest'anno il livello delle prestazioni da lui fornite non è stato paragonabile con quanto messo in pista da Bruni.
E poi basta avere memoria per ricordare che l'anno scorso era successo lo stesso
proprio a "Gimmi": per andare a vincere il titolo GT Open a Barcellona aveva
dovuto saltare proprio la gara WEC del Bahrain, consegnando così il mondiale
nelle mani del solo Fisichella. Come a dire che, anche in questo caso, il destino
alla fine ha voluto pareggiare i conti.
Disastro Aston Martin
con entrambe le Vantage ritirate
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Podio di festa
per gli equipaggi
dell’AF Corse
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WEC
GARA AD AL SAKHIR
La Casa giapponese vince l’ultima tappa stagionale
mettendo finalmente a frutto il potenziale
della TS030. In LMP2 è uno-due Oak Racing
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TOYOTA
SALVA
L’ONORE
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WEC
GARA AD AL SAKHIR
Filippo Zanier
In casa Toyota, la 6 Ore del Bahrain era una
sorta di ultima spiaggia. L'idea di rientrare
a fine stagione alla sede della TMG a Colonia con la mezza vittoria del Fuji come unico successo da celebrare era semplicemente impensabile, non un dramma da harakiri, certo, ma comunque un disonore per la
dirigenza giapponese impersonata dal
team manager Yoshiaki Kinoshita. Per questo, all'interno del team tutti avevano caricato la gara di Sakhir di significati particolari, e quando Sébastien Buemi è passato
per primo sotto la bandiera scacchi l'intero
staff ha tirato un grosso sospiro di sollievo.
Il pilota svizzero ha provato a spaventare
tutti, lamentandosi di fastidiose vibrazioni
al posteriore appena salito in macchina per
l'ultimo stint, ma dal box lo hanno subito
rassicurato e la TS030 è arrivata a fine gara
senza problemi, regalando all'ex pilota Red
Bull, a Stéphane Sarrazin ed Anthony
Davidson il primo, meritato trionfo della
stagione.
Un successo che di certo non cambia le
gerarchie del campionato, che ha visto l'Audi uscire nettamente vincitrice dal confronto, ma che almeno conforta Toyota che
finalmente è riuscita a dimostrare il potenziale della propria coupé. La TS030 era
sembrata decisamente più competitiva non
appena aveva potuto contare sul nuovo kit
ad alto carico introdotto da Interlagos in
poi, ma fino a sabato scorso non era mai
riuscita a concretizzare quel potenziale in
gara. Questa volta invece tutto è andato per
il verso giusto, con un vero e proprio dominio in qualifica che durante la corsa si è tramutato in un vantaggio di performance
meno impressionante, ma costante.
dovuto vedere Alexander Wurz parcheggiare a bordo pista al 57° giro per un guasto al
motore innescato da una perdita d'olio,
anche gli uomini di Ingolstadt hanno dovuto assistere al ritiro di Loic Duval alla tornata 93, anche in questo caso per un problema al motore. A consolare Wolfgang
Ullrich e i suoi il fatto che quello del
Bahrain sia stato il primo ritiro per cause
tecniche della R18 in 23 gare disputate nelle sue varie declinazioni.
E ORA SI ASPETTA
L’ARRIVO DELLA PORSCHE
E ora? Ora tutti pensano al 2014: c'è infatti
da respingere l'attacco della Porsche, che è
già in pista da tempo, ma ha dovuto ritardare i propri piani dopo che un incendio nel
corso di un test al Paul Ricard ha seriamente danneggiato l'unico telaio disponibile.
Audi ha dichiarato per bocca di Ullrich che
il nuovo prototipo ha già girato in due
diverse occasioni, e così i più indietro sembrano di nuovo gli uomini di Toyota. Il DT
Pascal Vasselon ha detto che la TS040 (così
si chiamerà) non si vedrà prima di fine gennaio, ma che facendo tesoro degli errori di
quest'anno sarà equipaggiata con un motore elettrico anche all'anteriore, per diventare all'occorrenza una 4WD proprio come
l'Audi.
AUDI SOFFRE IL CALDO
FASSLER DELUDE
Le Audi R18, in difficoltà con le gomme nelle prove cronometrate, sono infatti andate
molto meglio con le temperature più fredde
della gara, svolta per gran parte sotto le luci
artificiali, ma sono sempre sembrate leggermente in affanno rispetto alle Toyota. Se
poi anche ci fosse stata una chance, a buttarla al vento ci ha pensato Marcel Fassler
facendosi comminare un drive-through per
aver sorpassato una vettura GT in regime
di bandiere gialle, ennesimo errore di una
stagione poco convincente per lo svizzero.
Pareggio tra i due marchi, invece, per quanto riguarda i ritiri: se i giapponesi hanno
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Ritiro per l’Audi campione
di McNish-Kristensen-Duval
OAK IRIDATA
MA G-DRIVE…
La gara del Bahrain ha messo la parola fine
anche sulla LMP2, categoria che si è rivelata combattutissima. Alla fine il titolo è stato
un affare in casa Morgan-Oak Racing, con
Bertrand Baguette, Martin Plowman e
Ricardo Gonzalez che con il quarto posto
sono riusciti a tenere alle spalle Alex Brundle, Olivier Pla e David Heinemeier Hansson, secondi al traguardo e a conquistare
il titolo. I neo-iridati devono comunque
dire grazie al loro successo a quanto fatto
alla 24 Ore di Le Mans, che vale doppio ai
fini del punteggio, perché nel finale di stagione le loro performance sono state messe
in ombra dalle prestazioni del team G-Drive, che con John Martin, Roman Rusinov e
Mike Conway si è aggiudicato quattro delle
ultime cinque gare. Non è bastato, ma la
velocità mostrata è valsa a Conway la chiamata come pilota tester/riserva della Toyota per la stagione 2014. Gran gara anche per
il team Pecom, in testa nelle prime ore e
protagonista con Nicolas Minassian, Luis
Perez-Companc e Pierre Kaffer. Proprio
quest'ultimo è finito fuori pista nelle fasi
finali per un problema ai freni, impattando
le barriere con il posteriore e rientrando in
pista molto attardato dopo una lunga sosta
ai box.
L'ORDINE DI ARRIVO
SABATO 30 NOVEMBRE 2013
La gioia incontenibile
di Rusinov
1 - Davidson/Buemi/Sarrazin (Toyota TS030 Hybrid) – Toyota – 199 giri
2 - Lotterer/Tréluyer/Fässler (Audi R8 e-tron quattro) – Audi – 1'10"585
3 - Rusinov/Martin/Conway (Oreca 03 Nissan) – G Drive – 15 giri
4 - Pla/Hansson/Brundle (Morgan Nissan) – OAK – 15 giri
5 - Wirdheim/Reip/Lancaster (Zytek Z11SN Nissan) – Greaves – 15 giri
6 - Baguette/Plowman/González (Morgan Nissan) – OAK – 17 giri
7 - Nicolet/Ihara/Cheng (Morgan-Nissan) - OAK - 19 giri
8 - Giroix/Kerr/Dolby (Oreca 03 Nissan) – Delta ADR – 21 giri
9 - Bruni/Vilander (Ferrari F458) – AF Corse – 24 giri
10 - Bergmeister/Pilet (Poorsche 911 RSR) – Manthey – 24 giri
11 - Kobayashi/Fisichella (Ferrari F458) – AF Corse – 25 giri
12 - Lieb/Lietz (Porsche 911 RSR) – Manthey – 25 giri
13 - Nygaard/Poulsen/Thiim (Aston Martin Vantage V8) – 26 giri
14 - Companc/Minassian/Kaffer (Oreca 03 Nissan) – Pecom – 27 giri
15 - Potolicchio/Aguas/Rigon (Ferrari F458) – 8-Star – 27 giri
16 - Collard/Griffin/Perrodo (Ferrari F458) – AF Corse – 27 giri
17 - Bornhauser/Canal/Rees (Chevrolet Corvette C6-ZR1) – 28 giri
18 - Hall/Campbell-Walter/Gothe (Aston Martin Vantage V8) - 30 giri
19 - Narac/Verney/Palttala (Porsche 911 RSR) – IMSA – 37 giri
Non Classificati
145° giro Lamy/Senna/Stanaway
109° giro Turner/Mücke
93° giro Kristensen/Duval/McNish
86° giro Ried/Roda/Ruberti
83° giro Krohn/Jönsson/Mediani
64° giro Wurz/Lapierre/Nakajima
44° giro Belicchi/Beche/Prost
5° giro Holzer/Kraihamer/Charouz
0 giri Auer/Weeda/Liuzzi
QUESTI I TITOLI
ASSEGNATI
WORLD ENDURANCE DRIVERS’ CHAMPIONSHIP
McNish/Duval/Kristensen
162 punti
WORLD ENDURANCE MANUFACTURER’ CHAMPIONSHIP
Audi 207
WORLD ENDURANCE CUP FOR GT DRIVERS
Gianmaria Bruni
145
WORLD ENDURANCE CUP FOT GT MANUFACTURERS
Ferrari 255
FIA ENDURANCE TROPHY FOR PRIVATE LMP1 TEAMS
Rebellion Racing
173.5
FIA ENDURANCE TROPHY FOR LMP2 DRIVERS Baguette/Plowman/Gonzalez
141.5
FIA ENDURANCE TROPHY FOR LMP2 TEAMS
Oak Racing - n. 35 Morgan-Nissan
141.5
FIA ENDURANCE TROPHY FOR LMGTE PRO TEAMS
AF Corse - n. 51 Ferrari 458 Italia
145
FIA ENDURANCE TROPHY FOR LMGTE AM DRIVERS
Campbell-Walter/Hall
129
FIA ENDURANCE TROPHY FOR LMGTE AM TEAMS 8 Star Motorsports - n. 81 Ferrari 458 Italia
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FORMULA
1
ADRIAN NEWEY
«AVREI VOLUTO
LAVORARE
NEGLI ANNI ‘70»
In questa lunga e interessantissima intervista il Mago di Stratford racconta la sua vita
e il suo lavoro alla Red Bull, ripercorre gli anni eroici alla Fittipaldi
e alla Leyton House e confessa tutti gli errori commessi
e lezioni imparate. Il suo obiettivo è di continuare fino a quando
si divertirà («anche se alla Red Bull se la caverebbero
anche senza di me»), per ricaricare le pile gli basta
qualche giorno ai Caraibi. Dai regolamenti si aspetterebbe
più attenzione all'estetica e meno laccioli, a mollare tutto
ci ha pensato solo nel 2002, per colpa della troppa politica.
E il sogno proibito riguarda il passato…
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FORMULA
1
ADRIAN NEWEY
Lei è il progettista più di successo
nella F.1 degli ultimi anni. Nel 2014
dopo anni di evoluzioni ci sarà una
vera rivoluzione nei regolamenti:
lei partirà davvero da un foglio
bianco?
«La prima cosa da fare è leggere i regolamenti in maniera molto, molto attenta.
Bisogna leggere cosa dicono in realtà, più
che quello che intendono dire, visto che le
due cose non sempre coincidono. Dopo di
che, li riduco in piccole sezioni. A quel
punto cerco di estrarre dai regolamenti i
pacchetti aerodinamici e meccanici che
rappresentano la miglior soluzione per
quelle aree. Ti inoltri un po' nelle singole
ricerche e a un certo punto vedi di rimettere tutto insieme. Quello per me è il punto importante, il prodotto finale deve essere un tutt'uno, e non un insieme di pezzi
incollato insieme».
Quante persone sono coinvolte in
questo processo?
«Abbiamo oltre 100 ingegneri. Alla prima
idea chiave lavora un piccolo gruppo. Per
la RB10 abbiamo iniziato a dividere il
lavoro relativo all'avantreno e al retrotreno dal punto di vista aerodinamico, e alla
parte centrale intesa come pacchetto
motore-raffreddamento. Ecco, il raffreddamento sarà un punto cruciale l'anno
prossimo».
Gli strumenti sono ancora veramente un foglio di carta e una matita?
«Per un certo verso ancora sì. Mi sono laureato nel 1980, molto prima che si parlasse di progettazione CAD! Così ho sempre
usato una tavola da disegno e non mi sono
mai preso il tempo necessario per studiare
la progettazione al computer (ride, ndr).
Il fatto è che noi essenzialmente usiamo
un linguaggio e alla fine, come nel parlare,
ti affidi a quello che conosci meglio. Amo
la tavola da disegno perché la maggior
parte del lavoro lo faccio con una scala al
50 per cento, in modo da avere praticamente la macchina sotto i miei occhi,
mentre il CAD ti limita all'ampiezza dello
schermo. Detto questo sarebbe troppo
faticoso per una struttura come la nostra
avere troppa gente che lavora attorno ad
un tavolo da disegno, perché in ultima
istanza tutto deve passare attraverso il
CAD per essere costruito».
Il team principal della Red Bull,
Chris Horner, sostiene che lei è
completamente pazzo e non ha paura di nulla. Ci vogliono queste doti
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per costruire le macchine vincenti
degli ultimi anni e per accettare la
nuova sfida del 2014, un anno nel
quale la Red Bull ha oggettivamente
tutto da perdere?
«Non ne sono sicuro. Credo che si tratti
meno di pazzia, ma del fatto di essere fiduciosi che la strada che hai imboccato sia
quella buona. Devi metterci insieme passione e la convinzione di essere nel giusto.
Lo si potrebbe chiamare il 'lato artistico'
della faccenda, ma alla fine devi fare un
passo indietro e cercare di essere oggettivo: sto facendo davvero la cosa giusta? Se
la risposta è 'no', devi essere pronto a decidere che il lavoro dell'ultima ora, dell'ultimo giorno, dell'ultima settimana finirà
nel cestino».
Il processo di progettazione negli
altri team probabilmente non è così
diverso, cosa è dunque che fa la differenza? Lei sente una 'voce interiore' che le dice che cosa è giusto e che
cosa sbagliato?
«No, nessuna voce interiore. La chiamo la
'regola delle 24 ore'. Sembra ancora una
buona idea 24 ore dopo? Questo decide se
andare avanti o tirarci una croce sopra. In
realtà sviluppi una sensibilità per una procedura del genere. Il cervello è una cosa
sorprendente. Magari stai facendo qualcosa di completamente diverso, ad esempio preparare una tazza di tè, e improvvisamente capisci se stai facendo la cosa
giusta o quella sbagliata».
Lei ha progettato così tante vetture
che hanno dato la possibilità di vincere a piloti oggi entrati nella leggenda: Nigel Mansell, Ayrton Senna, Alain Prost, Mika Hakkinen e
ora Sebastian Vettel. Nel farlo prendeva in considerazione i loro pregi e
i loro difetti?
«Quando ero un giovane progettista,
Robin Herd se ne venne fuori con una
March che era stata progettata attorno
alle caratteristiche di Ronnie Peterson.
Onestamente non so dire se ho mai
coscientemente pensato a fare una cosa
del genere, progettare una vettura sull'idea di quale siano le caratteristiche di
un pilota».
Quindi non è mai stata la monoposto di Mansell, di Prost o di Vettel,
ma quella di Adrian Newey…
«Be', ciò che succede è che quando lavori
con continuità con gli stessi piloti, come è
accaduto a noi negli ultimi cinque anni
con Sebastian Vettel e Mark Webber, è che
ascolti le loro impressioni e l'evoluzione
della macchina è almeno in parte il risultato di questi suggerimenti. Questo sì, succede».
Quando ripensa a quei nomi - Senna, Prost, Mansell, eccetera - a che
livello mette Vettel? Qual è la sua
classifica personale?
«Sarebbe ingiusto fare una classifica, mettere uno prima dell'altro, ma quello che
posso dire è che Sebastian, senza il minimo dubbio, è uno dei grandi. I grandi piloti
con cui ho avuto la fortuna di lavorare avevano in comune una cosa, l'intelligenza. La
capacità di guidare la macchina e di mantenere allo stesso tempo una residua capacità mentale per capire cosa stavano facendo, e poi la capacità di ricordarselo una
volta che ne erano scesi. Potevano rivivere
nella loro testa quello che avevano appena
sperimentato e combinarlo con la professionalità necessaria parlarne con gli ingegneri».
“
Sarebbe ingiusto fare una classifica, mettere uno prima
dell'altro, ma quello che posso dire è che Sebastian, senza il minimo
dubbio, è uno dei grandi. I grandi piloti con cui ho avuto la fortuna di
lavorare avevano in comune una cosa, l'intelligenza. La capacità
di guidare la macchina e di mantenere allo stesso tempo una residua
capacità mentale per capire cosa stavano facendo, e poi la capacità
di ricordarselo una volta che ne erano scesi. Potevano rivivere nella loro
testa quello che avevano appena sperimentato e combinarlo
con la professionalità necessaria parlarne con gli ingegneri
”
27
FORMULA
1
ADRIAN NEWEY
Lei è nel motorsport da circa 30
anni. Che cosa le hanno insegnato
tutte queste stagioni?
«Che la Formula 1 è un lavoro duro! (ride).
Mi piace pensare di non essere cambiato
tanto in questi anni, che la Formula 1 non
ha cambiato la mia personalità, se vogliamo. Se ripenso agli anni dell'università,
mi ricordo che la maggior parte dei miei
compagni sognavano di progettare aerei,
mentre io ho sempre voluto essere un progettista di automobili. Loro hanno poi
lavorato a progetti nei quali potevano
vedere il risultato del loro lavoro dopo 10,
15 anni, quando l'indicazione se il loro
lavoro era stato buono, cattivo o ininfluente era ormai lontana anni luce. Questo non faceva per me. La cosa eccitante
della Formula 1 è che ti dà un alto livello
di indicazioni. Ti senti male se hai sbagliato, ma almeno lo sai. E poi c'è il tentativo
di rimanere al vertice anche nel cambiamento. Dopo la laurea andai direttamente
alla Fittipaldi - a quei tempi un piccolo
team di Formula 1 - dove fui assunto come
assistente aerodinamico, ma poi saltò fuo-
28
ri che ero il capo aerodinamico, perché ero
l'unico! Anche quando passai alla Leyton
Huse, un team dove lavoravano 55 persone, con sei ingegneri in totale e io che mi
occupavo dell'aerodinamica, di progettare
la macchina e costruirla, si trattava di una
piccola realtà. Oggi non è possibile capirlo. Oggi c'è la Red Bull Racing con 600
dipendenti, cento e più ingegneri - tutto à
diventato almeno dieci volte più grande.
Quindi restare al vertice nonostante i
cambiamenti tecnologici e gestuali è stata
una sfida eccitante. Per venire alla risposta su cosa ho imparato in questi anni:
rimanere fermi è mortale».
E' soddisfatto di se stesso? Si mette
a sedere in quei pochi momenti di
quiete e si dice 'tutto sommato,
niente male'?
«No, non mi fermo mai a riflettere su queste cose. Cerco di curare i miei interessi,
certo, e i miei interessi sono di solito
anche la mia forza. Cerco di non partecipare a troppe riunioni. Passo il 50 per cento del mio tempo al tavolo di lavoro e il
resto insieme ai miei colleghi in fabbrica
per vedere cosa hanno trovato. Alle gare
ovviamente passo del tempo con i piloti e
questo mi da modo di sentirmi coinvolto
in differenti aspetti che mi stimolano molto».
Si è posto una data di scadenza? Si è
mai detto 'ancora tre anni e posso
ritirarmi', ad esempio? O pensa mai
di dire a Chris Horner o a Helmut
Marko 'ragazzi, non aspettatemi in
ufficio oggi, e nemmeno domani'?
«Non sarebbe nel mio stile. Sono stato
coinvolto con la Red Bull Racing fin dall'inizio, quindi sento un forte legame di
lealtà verso tutto lo staff. Non smetterei
mai senza aver dato a tutti un sufficiente
periodo di preavviso. Ma la verità vera è
che fino a quando continuerò a divertirmi, andrò avanti. Probabilmente il
momento in cui sono stato vicino a mollare la Formula 1 è stato nel 2002. C'era
troppa politica - da parte della Ferrari e
della FIA - e fu veramente un momento
difficile».
“
Certo, la macchina ideale va veloce e ha un aspetto affascinante.
Ma chiunque nel paddock preferisce una macchina veloce ad una bella,
le cose stanno così. Per me sarebbe giusto che i regolamenti dessero più
importanza all'estetica. Ma la velocità stravince sulla bellezza
Ha mai sbagliato clamorosamente
un progetto? Qualcosa che ha sempre rimpianto…
«Errori ne ho fatti, rimpianti mai avuti.
Macchine che non hanno funzionato nemmeno lontanamente come mi aspettavo
facessero: la Leyton House del 1989,
immediatamente successiva a quella del
1988 che aveva cambiato direzione a tutta
la Formula 1. Disegnammo la macchina a
partire quasi solo dall'aerodinamica e poi
cercammo di infilarci dentro le parti meccaniche. A quel tempo, nell'era dei turbo,
quasi tutti cercavano di fare l'opposto, prima progettavano la meccanica e poi guardavano al lato aerodinamico, noi avevamo
priorità completamente diverse. Tornando alla storia: dopo aver prodotto una
buona macchina nel 1988, esagerammo
con le ambizioni l'anno dopo. La macchi-
na era semplicemente troppo complicata
per le dimensioni del team, e anche per la
nostra esperienza. Fu qualcosa da cui trarre una lezione. L'altra macchina sbagliata,
un caso molto simile a quello, mostrò che
quella lezione non l’avevo imparata fino in
fondo. Fu la McLaren MP4-19A, quella del
2004. La Ferrari stava spazzando via tutti,
e noi sentivamo di dover cambiare radicalmente, o almeno di provare a farlo.
Ancora un avvolta commettemmo l'errore
di spingere troppo a fondo. Lo facemmo
così tanto che ci dimenticammo di fare i
nostri compiti sufficientemente bene».
Riceve offerte dagli altri team?
Anche se tutti sanno del suo rapporto stretto con la Red Bull?
«Sì, ne ricevo. Normale amministrazione.
Se non le ricevessi mi preoccuperei! (ride,
ndr)».
Veniamo al 2014. Tutti dicono che,
da quel si è visto fino ad ora, le
monoposto saranno bruttissime da
vedere…
«Be', è il regolamento che definisce la
macchina. Certo, la macchina ideale va
veloce e ha un aspetto affascinante. Ma
chiunque nel paddock preferisce una macchina veloce ad una bella, le cose stanno
così. Per me sarebbe giusto che i regolamenti dessero più importanza all'estetica.
Ma la velocità stravince sulla bellezza».
Passando proprio ai regolamenti.
Anni fa sembravano fatti come il
Gruviera: tanti buchi e tanto spazio
per le interpretazioni. Quanto è possibile oggi interpretarli?
«Sempre meno. Lo F-duct fu un esempio
molto intelligente di come aggirare un
regolamento; gli scarichi furono un buon
modo di interpretarli. Piccoli pezzi e minimi dettagli con cui ci infilammo nei piccoli
buchi del regolamento. Ma lo spazio
diventa sempre più piccolo. per me sarebbe stato affascinante essere un progettista
all'inizio degli anni '70. Non c'erano in
pratica regolamenti, ma d'altra parte
anche le risorse per le ricerche erano
minime. Venivi fuori con un a vettura, la
facevi girare, e se eri stato fortunato funzionava bene. Se non andava, ritiravi fuori
la macchina dell'anno precedente e speravi in meglio per l'anno seguente».
”
Previsione per il 2014: possibile che
qualcuno si dimostri all'improvviso
due secondi più veloce di tutti gli
altri?
«Partiamo dai regolamenti. Possiamo
dividerli in due parti: il gruppo del propulsore e i cambiamenti nell'aerodinamica.
Questi ultimi sono grandi, ma non come
quelli del 2009. Quindi sì, c'è la possibilità
che un team se ne esca con una vittoria
migliore della concorrenza, ma al di sopra
di questo c'è la questione relativa al cambio dei motori, e non è assolutamente
chiaro se uno dei motoristi ne ricaverà un
vantaggio considerevole o no. Ma la macchina che svernicerà le altre sarà una macchina che combinerà un buon telaio e un
buon motore, basta sbagliare una delle
due cose e salteranno fuori i problemi. Chi
dunque riuscirà a ottenere questo mix
ideale? E' la grande domanda per tutti i
noi, e aggiungerà pepe alla stagione
2014».
Newey riesce ogni tanto a staccare?
«Che ci crediate o no, ci riesco. Me ne vado
ai Caraibi per qualche giorno e impedisco
alla mia mente di correre. La Formula 1 è
un impegno veramente logorante, e uno
dei trucchi è mantenere l'equilibrio, perché sarebbe davvero facile finire con il
lavorare e basta».
Cosa succederebbe se lei decidesse
che pochi giorni non bastano e avesse bisogno di un periodo più lungo
per ricaricare le batterie?
«Se la caverebbero».
Ma come?
«Io sono solo una persona - mi auguro una
persona importante - ma le cose vanno
avanti, sempre. E' vero che da quando
sono alla Red Bull non l'ho mai fatto, solo
fra un cambio di team e l'altro»
Per chiudere, lei è considerato un
genio della progettazione e i suoi
risultati in pista lo confermano. Ma
come va nella vita di tutti i giorni?
Ad esempio sa cucinare?
«Posso cucinare l'arrosto la domenica e so
farmi degli spaghetti, ma non vado oltre.
Diciamo che sono uno nella norma, altrimenti la mia famiglia avrebbe qualcosa da
ridire».
29
FORMULA
1
MARK WEBBER
30
A RUOTA
libera
Ritiratosi dal mondiale, il pilota australiano racconta
quelli che sono stati i personaggi che hanno in qualche
modo aiutato o condizionato la sua lunga carriera
Filippo Zanier
Per togliersi qualche sassolino dalla scarpa, Mark Webber non ha
praticamente nemmeno atteso di varcare i cancelli del paddock F.1
per l'ultima volta (almeno da pilota). L’australiano ha infatti rilasciato al giornalista britannico Peter Windsor una serie di interessanti dichiarazioni che tracciano ritratti chiari, a volte impietosi,
delle persone con cui ha avuto a che fare nei suoi 13 anni di Formula
1: ce n'è per tutti, a partire dall'arcinemico Helmut Marko.
31
FORMULA
1
MARK WEBBER
HELMUT MARKO
"Ancora non ho capito qual è il suo ruolo all'interno del team quindi...
Con me è stato molto critico fin dal primissimo giorno, ma alla fine
è stato lui a portare Vettel nel team e devo riconoscergli che con lui
ha a fatto un ottimo lavoro. Probabilmente gli dà fastidio che… i team
di F.1 debbano schierare due macchine. Però purtroppo per lui è
così".
PATRICK HEAD
"La gente probabilmente ci vede molto diversi, ma non posso parlare
che bene di Flavio e di quello che ha fatto per me. È sempre stato
leale, sempre schierato nel mio angolo quando ne avevo bisogno. Non
parliamo spesso, ma il suo obiettivo più recente è stato cercare di
assicurarmi un sedile in Ferrari per questa stagione, e ce l'aveva quasi
fatta. Ovviamente sono stato deluso come tutti dal suo comportamento a Singapore nel 2008, ma personalmente posso giudicarlo
solo per come si è comportato con me, ed è stato perfetto".
"Un gran carattere unito a un'enorme esperienza. Purtroppo nei miei
anni con la Williams non sapevo che la sua motivazione stava calando, soprattutto a causa dell'addio della BMW al team che lo colpì
duramente. Non ci volevo credere, ma semplicemente Patrick faceva
fatica a farsi coinvolgere dalle corse come un tempo. Un vero peccato,
a volte mi dico che probabilmente non ho visto Patrick Head al
meglio. Però l'ho visto arrabbiarsi davvero un paio di volte, con le
vene che uscivano dal collo, e posso garantirvi che la maggior parte
dei Team Principal sono delle ragazzine timide rispetto a lui. Una
delle cose più belle me l'ha detta in Brasile, nella mia ultima gara per
la Williams, quando mi strinse la mano e mi disse 'mi spiace non
essere riuscito a darti macchine abbastanza buone nei tuoi anni qui'.
Ha significato molto per me".
NORBERT HAUG
FERNANDO ALONSO
FLAVIO BRIATORE
"Lo incontrai la prima volta al GP d'Australia del '97. Avevo appena
vinto il F.Ford Festival e quindi andai da lui a dargli il mio biglietto
da visita, chiedendogli di tenere d'occhio la mia carriera. Sei mesi
dopo il telefono suonò mentre stavo uscendo dalla doccia ed era Norbert che mi offriva di correre la 1000 Km del Nurburgring con la Mercedes il weekend successivo. Non mi sentivo all'altezza e glielo dissi,
così invece che correre feci un test, e lì iniziò il mio rapporto con la
Casa. Fu un gran bel periodo, ma le cose cambiarono dopo i decolli
di Le Mans e la situazione divenne ancora più tesa quando decisi di
lasciare il team. Questo però, non ha mai intaccato il mio rapporto
32
con Norbert, che da allora è sempre venuto a salutarmi sulla griglia
dei GP. Mi ha aiutato e appoggiato, come ha fatto con molti giovani
piloti in quegli anni".
"Abbiamo corso l'uno contro l'altro fin dai tempi della F.3000, quindi
ci conosciamo bene. Abbiamo percorsi simili, sia nel modo in cui siamo cresciuti che nella strada seguita per arrivare fino alla F.1: nessuna
scorciatoia e sgobbare duro. Come pilota penso che in gara sia il
migliore in assoluto, incredibile. La sua capacità di guidare una macchina a quei livelli per due ore è eccezionale, e se guardate al suo tasso
di incidenti è bassissimo, segno che sa leggere la gara come nessuno.
Certo c'è stato Singapore 2008, probabilmente al suo posto non avrei
accettato di vincere così, ma non si può giudicare senza sapere tutto".
ADRIAN NEWEY
SEBASTIAN VETTEL
"Adrian è una delle ragioni per cui ho continuato a correre in Red Bull.
Quando si tratta di capire come funziona una macchina da corsa è il
migliore con cui abbia mai lavorato, e di gran lunga. Ho lavorato con
tanti progettisti, ma la capacità di Newey di dare al pilota quello che
vuole e alla macchina quello che le serve per andare forte è veramente
fenomenale. La gente lo vede come un timido, e di sicuro non è l'anima
delle feste, ma è iper-competitivo. L'ho visto quando siamo stati battuti di brutto, e vi assicuro che non è qualcosa che lo diverte. Allo stesso
tempo, però, non è il tipo che si esalta per una doppietta, è sempre
motivato e concentrato, un faro per la squadra. Non ci sono parole
abbastanza buone per descriverlo, davvero. È stato uno dei primi a
venirmi a parlare nel Parc Fermé del GP di Malesia (quello in cui Vettel
passò Webber ignorando l'ordine di scuderia, ndr). Sapeva come mi
sentivo e anche lui non era affatto contento. C'è molto rispetto tra noi".
"Ovviamente è dotato di un talento straordinario. Sappiamo che
la sua forza sono la velocità in qualifica e i primi cinque giri di
gara, sono quelli la sua firma e la parte di gara in cui è difficile da
tenere a bada, perché è bravissimo. Tra noi sono successe talmente tante cose che quando penso al nostro rapporto mi vengono in
mente per lo più episodi negativi, ed è un peccato perché nella
vita cerco sempre di avere rispetto per tutti e dare alla gente più
di una chance per dimostrarmi chi è. Ma come ho detto tra noi
sono successe troppe cose. Probabilmente quando saremo intorno ai 50 anni vedremo tutto in modo diverso, ma ora è troppo
presto. E alla fine non importa più di tanto né a me né a lui, semplicemente è andata così".
CHRISTIAN HORNER
"Probabilmente non siamo più vicini come una volta. Christian è
destinato a restare con il team per lungo tempo, probabilmente per
sempre, quindi in molte situazioni deve cercare di mantenere l'armonia ad ogni costo ed evitare polemiche. Purtroppo in alcune occasioni questo è successo a spese mie, ed è un fatto che ovviamente non
ha fatto bene al nostro rapporto".
DANIEL RICCIARDO
"È bello sapere che la bandiera australiana sventolerà ancora.
Non sarà facile per lui, ma nelle formule propedeutiche è stato
bravo e sicuramente merita la chance. Sa che il momento per
dare tutto è adesso, e che tutto è successo con le tempistiche giuste. Si trova nella migliore posizione per lottare per il titolo, e
io ci sarò sempre per un consiglio al telefono. Già me ne chiede,
su vari aspetti, ma alla fine farà a modo suo come fanno tutti i
piloti".
33
FORMULA
1
MERCATO PILOTI
TASK…
FORCE!
Con Maldonado che si è assicurato l’ambito seggiolino della
Lotus, ora tutti coloro rimasti in ballo si stanno concentrando
sulla Force India, in seconda battuta sulla Sauber, se proprio va
male, rimane la Caterham e forse la Marussia,
che non si decide a confermare Chilton
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35
FORMULA
1
MERCATO PILOTI
Massimo Costa
Dunque, Pastor Maldonado ha messo a
segno un colpo importante assicurandosi il
sedile lasciato libero da Kimi Raikkonen
nel team Lotus-Renault. Nonostante il
pilota finlandese non sia stato pagato dalla
squadra per tutto il 2013 (vergogna mondiale), nonostante l’uscita di scena del tecnico James Allison che ha portato la squadra di Gerald Lopez al vertice, nonostante
arrivino voci di motori Renault non pagati,
la Lotus continua ad essere meta ambita. E
dalla Gran Bretagna ci si affanna a sostenere che la trattativa con la finanziaria Quantum non è tramontata, novità importante
perché se rientrasse in gioco questa entità,
unita alla PDVSA portata da Maldonado il
budget sarebbe veramente da grande
costruttore. Maldonado e Grosjean sulla
carta rappresentano una coppia estremamente competitiva, talentuosa. Entrambi
hanno vinto e convinto nelle formule pro-
36
pedeutiche tra F.3 europea, World Series
Renault, GP2. Di sicuro si prospetta una
convivenza non facile, considerando i due
caratteri estremamente focosi, toccherà al
team manager Eric Boullier sorvegliarli.
Con Maldonado che chiude la corsa alla
Lotus, Nico Hulkenberg dirotterà probabilmente sulla Force India, ma chi troverà
come compagno? Un altro nuovo arrivo,
Sergio Perez, che anch’egli sperava nella
Lotus? Oppure Adrian Sutil, che dalla Germania sostengono che rimarrà in quello
che è stato il suo unico team in F.1? E Paul
Di Resta andrà veramente in Indycar?
Possibile che nessuno lo voglia dopo tre
ottime stagioni con la Force India? Si parla anche di Giedo Van der Garde… Se c’è
ressa e confusione per entrare nella
hospitality di Vijay Mallya, anche in Sauber non scherzano. Se Perez non si accorderà con la Force India, magari tornerà
nel team che lo ha lanciato formando una
squadra tutta messicana con Esteban
Gutierrez? E Sergey Sirotkin? Che i frettolosi russi davano per certo come guida
ufficiale, e ora sembra relegato a un ruolo
di terzo pilota? Ma la Sauber è certamente
ambita anche da Charles Pic, che vuole
uscire dalla Caterham dove potrebbe tornare Heikki Kovalainen. La Marussia ha
confermato Jules Bianchi, ma ancora tarda a dare l’ok a Max Chilton. Insomma,
regna la confusione, certamente aumentata con l’ingresso inatteso nel calderone
del mercato piloti di Perez. Mentre non vi
è traccia di Fabio Leimer, campione GP2,
o di Felipe Nasr, che solo qualche settimana fa sembrava addirittura raccomandato
da Bernie Ecclestone. Per il brasiliano,
forse un posticino da terzo pilota in Williams. Una cosa è certa: la FIA sta pensando a rendere permanenti e identificativi i
numeri con i piloti, come avviene in Moto
GP. Forse farebbe meglio a concentrarsi
su come far sopravvivere la metà delle
squadre presenti in F.1…
FORMULA
1
TALENT SCOUT
COSÌ HO SCOPE
RICCIARDO
Il manager italiano, da anni nel motorsport dove ha anche ricoperto
il ruolo di direttore sportivo della Ferrari, racconta in esclusiva per Italiaracing
come iniziò il rapporto con l’attuale compagno di squadra di Vettel
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ERTO
39
FORMULA
1
TALENT SCOUT
Marco Zecchi
Ho conosciuto Daniel Ricciardo a Perth, in
Australia, città dove sono cresciuto. Amici
comuni, mi parlarono del signor Joe Ricciardo che aveva un figlio che correva in
kart, un vero fenomeno suggerivano. Gli
stessi amici mi organizzarono un incontro
a casa di Joe Ricciardo, vero appassionato
di corse e di Ferrari, affinché lo potessi
conoscere e dargli qualche consiglio sul
futuro agonistico del figlio. Il padre mi parlò della carriera di Daniel in Australia e
onestamente il livello del karting era ed e
ancora un po’ lontano rispetto all’Europa.
Mi disse poi, che l’anno successivo Daniel
avrebbe corso nella Formula BMW Asia e
mi chiese cosa ne pensassi. Difficile dare
una risposta su due piedi, ma visto il costo
e il numero di gare, di cui una concomitante con la F.1 a Sepang, pensavo che fosse
una buona idea anche perché se arrivava
nei primi tre del campionato, poteva accedere alle Finali BMW a Valencia. Nel 2006
il rapporto tra me e la famiglia Ricciardo
iniziò ad aumentare, Loro mi informavano
sui risultati di Daniel e via dicendo. Quell’anno seguivo Robert Doornbos, terzo
pilota alla Red Bull. Alla gara della Malesia, Daniel si era qualificato non bene per
problemi tecnici. La gara si svolse sul
bagnato e la vidi dal box della Red Bull, con
40
il Dott. Marko. Daniel fece una mega
rimonta arrivando terzo. Nel campionato
si piazzò terzo e a Valencia, con un team di
medio valore, arrivò in finale e concluse
quinto.
L’ACCORDO MANAGERIALE
CON LA FAMIGLIA
Durante l’inverno feci un accordo di management con Joe Ricciardo per seguire
Daniel in Europa. Non e mai facile la convivenza con i genitori di un pilota, ma chiarimmo subito le cose ed io insistetti per
fare correre Daniel nel campionato Italiano di Formula Renault 2.0 perché in quel
momento era senza ombra di dubbio la
prima serie nazionale al mondo di maggiore qualità, mentre il Padre di Daniel voleva
farlo correre in Inghilterra, una malinconia che hanno gli australiani… Fece quindi
un test con RP Motorsport e andò subito
forte ripetendosi anche nelle prove successive. Alla fine, Joe mi diede ascolto e con
un budget minimo trovammo un accordo
con la RP Motorsport, dove da tempo
conoscevo l’ingegnere di pista e sapevo che
era un ottimo elemento. Daniel dall’Australia si trasferì tutto solo a Vidigulfo,
ridente località nell’hinterland milanese. Il
team trattò Daniel in maniera impeccabile,
mettendogli a disposizione tutto quello
che potevano. Ho trovato nella mia carriera poche squadre nelle formule minori in
grado di avere così tante attenzioni per il
proprio pilota. Intanto, con i mezzi a
disposizione non certo paragonabili ai top
team, Daniel cominciava ad andare veramente forte. In quel anno in Formula
Renault Italia c’erano diversi piloti Red
Bull…
L’AVVICINAMENTO
ALLA RED BULL
Partiamo dal presupposto che sapevo sin
dal primo incontro che Ricciardo era speciale, quindi feci tutto quello che era nelle
mia facoltà per piazzare Daniel in un Drivers Academy. Red Bull certo, ma all’epoca
c’era anche Toyota molto attiva con i giovani e altre realtà che potevano garantire
un futuro agonistico per lui, anche perché
la famiglia e i pochi sponsor non potevano
sopportare un altro anno di investimenti.
Il padre fu chiaro su questo punto. Parlai
con Toyota, ma mi sembravano troppo
“fenomeni”, quindi iniziai a lavorare per
cercare di far entrare Daniel nell’orbita
Red Bull, sebbene molti manager o presunti tali mi sconsigliarono questa strada,
dicendo che Red Bull ad un certo punto
abbandonava i piloti. Ma devo dire che tutti quelli che non hanno ricevuto la conferma nel programma Junior Red Bull, in
qualche maniera non hanno mai trovato il
vero successo nelle corse, chi va forte e si
comporta da professionista rimane nella
famiglia RB, e per me questo e giusto.
Durante l’anno di corse nella F.Renault
Italia, il 90 per cento delle volte Daniel
arrivava sempre davanti a qualcuno dei
piloti del programma Junior di Marko. E
questo faceva certamente sensazione. Ho
lavorato un anno solamente per permettere a Daniel di essere al via del test di Estoril
di fine anno, quello fatidico della selezione
dei futuri piloti Red Bull. Ho usato tutte le
mie conoscenze in F.1, dove ancora oggi
ricordano quanto spingevo per lui, e stressato il Dott. Marko per inserire Daniel in
quel test. La conferma arrivò appena tre
giorni prima ed io ma soprattutto la famiglia Ricciardo devono ringraziare il Dott.
Marko che ha capito le qualità di Daniel. Il
test andò molto bene e fummo tutti contenti: Daniel era diventato un pilota Red
Bull. Nel 2008, corse con i colori Red Bull
sempre in Formula Renault, precisamente
nel campionato WEC e in quello europeo.
Vinse il primo, in quello continentale se la
giocò fino all’ultimo con Bottas, attuale
pilota Williams. (un altro che diventerà un
fenomeno), che conquistò il titolo.
L’anno successivo, il 2009, il padre di
Daniel mi disse che non aveva più bisogno
del mio lavoro perché ormai il figlio era
gestito direttamente dalla Red Bull. In quel
momento mi sono sentito defraudato e triste. Avevo utilizzato contatti e mezzi che
non si possono neanche menzionare per
aiutare Ricciardo, ma alla fine la vita va
avanti e sono rimasto amico di Daniel e
della famiglia. Nel mio cuore so che, oltre
al suo immenso talento, è anche merito
mio se Daniel è dove si trova ora. Penso
sinceramente che Daniel diventerà un
giorno campione del mondo e che magari
nel futuro possa correre in Ferrari.
41
FORMULA
1
SOCIAL NETWORK
42
Montezemolo ha deciso di mettere il bavaglio ai tweet
sarcastici di Alonso, dall'anno prossimo tutto ciò che
tocca la Ferrari sarà comunicato dalla Ferrari. Un
provvedimento che ricorda quelli presi in nazionale da
Prandelli e al conclave dal Vaticano. Ma, come sottolinea
Ecclestone, il problema della Rossa non sta tanto nella
comunicazione, ma nella progettazione
TWITTARE
@ TRITARE?
Stefano Semeraro
In attesa di sapere come sarà la nuova monoposto
dopo la rivoluzione motoristica e aerodinamica, di
capire se Fernando Alonso e Kimi Raikkonen potranno andare d'accordo e se i nuovi acquisti fra i tecnici
saranno funzionali, e di scoprire se la Red Bull
comunque continuerà ad umiliare tutti, in Ferrari una
decisione è stata presa: Alonso deve piantarla con i
tweet birichini. I cinguettii che hanno a che fare con
la Ferrari e le sue prestazioni (peraltro tutti in inglese)
che hanno fatto imbufalire Luca Di Montezemolo, primo fra tutti quello in cui invocava come regalo di
Natale una Red Bull. «Gli proibiremo di twittare», ha
detto il Presidente della Ferrari, «ovviamente potrà
farlo come tutti, dicendo quello che gli pare, ma tutto
ciò che riguarda la Ferrari sarà comunicato da noi».
Non è certo una novità, questa fobia da Twitter. L’allenatore della nazionale italiana Cesare Prandelli li ha
vietati, alle Olimpiadi agli atleti era stato fortemente
limitato l'utilizzo dei social media. Un "cinguettio" poi
assolutamente proibito ai vari cardinali riuniti in Conclave.
Giusto o sbagliato? Be' nel caso dell'elezione papale
sicuramente sì, viste le esigenze di riservatezza della
situazione. In altre occasioni il dubbio rimane, anche
perché sempre di censura trattasi: e se quotidianamente ci lamentiamo indignati che i social media e lo
stesso accesso a internet vengano limitati o negati in
regimi poco democratici come la Cina, l'Iran o il Vietnam, come possiamo poi invocarli per mettere al
bavaglio la coscienza di un singolo atleta nel nostro
liberissimo mondo occidentale? In realtà a regolare la
faccenda dovrebbe bastare il buon senso, purtroppo
oggi merce rarissima. Prima di vietare bisognerebbe
dialogare, prima di cinguettare in maniera inopportuna - perché esistono i tweet inopportuni, eccome se
esistono - basterebbe riflettere qualche istante in più.
Non sarà comunque un messaggio inviato o cancellato a mutare la stagione 2014 della Ferrari. Ci vorrà
una macchina finalmente vincente, un team sereno,
un Alonso motivato. Che è poi il punto su cui ha messo
il dito Bernie Ecclestone, che ogni giorno ne spara
una, ma che quando si toglie il cappello da Comunicatore Pazzo sa cogliere l'essenza ei problemi. «Il problema è la Ferrari o è Alonso? Sinceramente non lo so
- ha ammesso l'attempato Supremo fra un'udienza e
l'altra del processo che rischia di cancellarlo dal Circus - quello di cui ho paura è che Alonso perda la motivazione. Mi sembra che sia convinto che il team non
sia in grado di dargli una macchina vincente, e questo
potrebbe far perdere l'entusiasmo che serve in Ferrari. Fernando è un vincente, e onestamente spero che
l'anno prossimo torni a farlo». Lo sperano in molti,
specie in Italia. Prima di pensare a twittare, bisogna
pensare non farsi tritare: dalla concorrenza.
43
FORMULA
1
LA CRITICA
FAT
44
Si è conclusa una stagione dominata
dalla Red Bull e da Vettel, un campionato
che non ha esaltato più di tanto e che ha
proposto diversi aspetti discutibili,
ipocrisie varie e una sensazione che chi
manovra il circus non si renda conto che
regole poco chiare, superficialità, miopia,
stanno portando tutti sul baratro
TI E MISFATTI
Testi e foto
Paolo D’Alessio
Per fortuna è finito. Di cosa stiamo parlando? Ma del mondiale
2013, ovviamente, uno dei più stucchevoli, dei più noiosi e scontati,
ed aggiungeremmo anche inutili, di tutti i tempi. Un mondiale che
per mesi si è cercato di mantenere vivo artificialmente, con qualche
sterile polemica, con la rincorsa ai record di Sebstian Vettel e veramente poco altro. Un mondiale che, a ben guardare, più che per la
celebratissima superiorità tecnica della Red Bull, va in archivio con
tante perplessità sulla salute e sulla gestione di quella che, a torto
o a ragione, continua ad essere definita la “categoria regina dell’automobilismo mondiale”. Ma è veramente così, la Formula 1
continua ad essere quel campionato di riferimento che in tanti hanno descritto o il suo regno comincia a scricchiolare? E ancora quali
criticità ha evidenziato nel 2013 e come dovrebbe cambiare, per
tornare ad essere veramente il top dell’automobilismo mondiale?
45
FORMULA
1
LA CRITICA
UNA SUPERIORITÀ ARTIFICIALE
Partiamo, e non poteva essere altrimenti,
dal caso Red Bull. Da anni vince, anzi no,
domina la scena e tutti a tessere le lodi della
monoposto del “bibitaro” austriaco e di quel
geniaccio di Adrian Newey, il progettista più
pagato e tra i più creativi della storia della
F.1. Ma è tutta gloria quella che circonda il
poker iridato di Vettel e delle sue “RB”, o c’è
dell’altro? Sul fatto che le Red Bull delle ultime stagioni siano state le migliori macchine
del lotto non ci sono dubbi, molte perplessità sorgono invece sul come si siano potute
imporre per tanti anni di fila. Newey, lo
ripetiamo, è uno dei migliori progettisti di
tutte le epoche, senza dubbio il numero uno
dei tecnici in circolazione. Un progettista
che sa sfornare soluzioni vincenti ogni anno
e, cosa non trascurabile, sa far crescere le
sue creature senza soluzione di continuità,
apportando significative modifiche ad ogni
gara, cosa che ad esempio non accade in
casa Ferrari, dove ad ogni Gran Premio vengono testati nuovi pezzi, ma quelli che poi
funzionano veramente sono un numero esiguo. Ma Newey, è doveroso sottolinearlo, in
questi anni è stato anche aiutato da un “for-
46
mat” che sembrava fatto apposta per esaltare le doti della Red Bull, da regole talvolta
miopi, più spesso poco ponderate, che hanno portato ad una vera e propria dittatura
tecnica delle monoposto austro-inglesi.
Regole che hanno monopolizzato l’attenzione dei tecnici sulla componente aerodinamica, ed in particolare sulla parte posteriore
della monoposto, alla ricerca di una deportanza che è diventata l’obiettivo primario
dei progettisti. E’ stato così fin dal 2009, da
quando cioè la Federazione ha rimescolato
le carte, imponendo la grande ala anteriore
a tutta larghezza, la riduzione di quella
posteriore e il ritorno alle gomme slick. In
rapida successione abbiamo avuto il doppio
diffusore del 2009, l’assetto “rake” del 2010,
gli scarichi “soffiati” del 2011, e lo sfruttamento dell’effetto Coanda di queste due
ultime stagioni. Tutte soluzioni che, lo ripetiamo, hanno riguardato il fronte aerodinamico e, in particolare, l’asse posteriore della
monoposto dove, con vari artifici, era possibile recuperare una spinta verso il basso
simile a quella che si aveva ai tempi delle
famigerate minigonne. Il tutto sotto lo
sguardo compiacente della Federazione
che, pur rendendosi conto della cosa, non è
intervenuta o è intervenuta solo con piccoli
aggiustamenti, e i risultati sono sotto gli
occhi di tutti. Ora, ha ancora senso parlare
di categoria regina dell’automobilismo
mondiale, se la buona parte della ricerca si
concentra sul fronte aerodinamico, trascurando le altre componenti della monoposto? Ha senso parlare di sofisticazione tecnica se tutto si riduce ad una mera sfida tra
uomini delle gallerie del vento? Tra un
ristrettissimo numero di addetti ai lavori?
Probabilmente no, ma tant’è, per anni si è
andati avanti così, salvo poi rendersi conto
che nel 2014 la questione scarichi verrà
azzerata dall’ubicazione di questi ultimi alla
base della presa d’aria motore. Cosa che, per
la cronaca, in GP2 accade da tempo immemorabile. Peccato che nessuno se ne sia
accorto, dando vita a quattro stucchevoli
edizioni del mondiale che, sia ben chiaro,
Vettel e la sua Red Bull hanno strameritato,
ma non hanno certo contribuito ad incrementare la popolarità della Formula 1.
Anzi....
L’AFFAIRE GOMME
Se le regole non cambiano, se una vettura
domina per anni la scena, se lo spettacolo langue e i sorpassi latitano, cosa fare per rivitalizzare il format? Semplice, puntare sulle
variabili. Introdurre, ad esempio, il kers o
l’ala mobile, per facilitare i sorpassi, ma
soprattutto intervenire sulle gomme, da sempre croce e delizia delle competizioni automobilistiche. Infrangendo però, una delle
regole, non scritta, ma da sempre in uso nel
caso del fornitore unico, secondo la quale
questi accessori neri e tondi dovrebbero essere tutti uguali e concedere a tutti le medesime
possibilità di affermazione. Cosa che quest’anno non ci pare proprio sia capitata. Facciamo una breve cronistoria: si parte, ad inizio stagione, con gomme di nuova costruzione e mescole che, per volontà dello stesso
Bernie Ecclestone, devono degradarsi ancora
più rapidamente, per garantire sorpassi e colpi di scena. Detto fatto: nei primi Gran Premi
dell’anno la leadership della Red Bull vacilla,
su piste che, da metà gara in poi, vengono
invase da residui di battistrada che creano
vere e proprie traiettorie obbligatorie, all’interno del nastro d’asfalto. L’immagine di
categoria ipertecnologica, con tutti quei
detriti sulla pista, non è certo delle più edificanti, ma lo spettacolo ne guadagna, ergo
bisogna andare avanti così. Fino a Montecarlo, quando si viene a scoprire che le Mercedes-divora gomme di Nico Rosberg e Lewis
Hamilton hanno svolto una serie di test (cosa
tassativamente proibita dal regolamento)
sulla pista di Barcellona, dove un paio di giorni prima si era disputato il Gran Premio di
Spagna che, per inciso, aveva visto le frecce
d’argento naufragare, dopo un avvio brillante. Proprio per problemi di gomme.
Le accuse e i veti incrociati si sprecano, ma il
tutto viene archiviato dal Tribunale giudicante della Federazione, come se nulla fosse
accaduto. Tappa successiva il Gran Premio
d’Inghilterra, dove le nuove gomme Pirelli,
con carcassa metallica scoppiano, come si
trattasse di palloncini. Cosa fare? Per motivi
di sicurezza si torna all’antico, alla struttura
in aramidico, vale a dire a gomme molto simili a quelle del 2012. La Red Bull va a nozze
con questo tipo di coperture, la Mercedes non
peggiora più di tanto le sue performance, la
Lotus si riprende nel finale di stagione, dopo
qualche gara di appannamento e dopo avere
allungato il passo, mentre altri team, vedi
Force India, ma soprattutto Ferrari, vanno in
crisi, coi risultati che tutti conosciamo. Tutto,
lo ripetiamo, accade in regime di monogomma, con pneumatici che teoricamente non
dovrebbero avvantaggiare nessuno. Peccato
che il valore di questo avverbio sia stato stravolto dagli eventi e un accessorio, come le
gomme, si sia trasformato nell’ago della
bilancia di un mondiale condizionato da
troppe variabili...
47
FORMULA
1
LA CRITICA
TRA IPOCRISIA E MIOPIA
Il corvo nero, la mannaia sanzionatoria, la
scure dei tagli indiscriminati, scegliete voi
l’immagine che preferite, veleggiava sinistra sulla corsia box da anni, ed è bastato
che una gomma non ben fissata sulla Red
Bull di Mar Webber, durante un concitato
pit-stop del Gran Premio di Germania,
ferisse un cameraman, per fare scattare la
tagliola. A partire dall’Ungheria di quest’anno, per ogni sessione di prove non cronometrate, in corsia box sono ammessi
solo 25, tra fotografi e giornalisti. Il sogno
di Mr. E, di cacciare via tutti dai box, affidando a tre o quattro fidate agenzie fotografiche dei soliti noti (magari con passaporto inglese) si sta concretizzando. Il tutto
per sacrosanti motivi di sicurezza. Il fatto
poi che il cameraman ferito fosse un operatore di Mr. E, che vuole offrire alla televisione digitale ogni minimo dettaglio dei
Gran Premi, è del tutto irrilevante. Come
irrilevante è la preoccupazione sulla sicurezza degli operatori dell’informazione,
che non è certo una priorità della moderna
Formula 1. Quando ti concedono un pass
per pit-lane e pista, devi firmare uno scarico di responsabilità e sui pass è chiaramente indicato il fatto che “motor sport is
dangerous”. In caso di incidente, dunque,
48
gli organizzatori dell’evento si sono tolti
ogni responsabilità, ma la finalità dell’ennesimo giro di vite, come detto, è un’altra
e fa capo a ragioni ben meno nobili. Quali?
Tanto per cambiare, i soldi. Ogni minima
possibilità di fare business va sfruttata, trascurando il fatto che buona parte della
popolarità della F.1 la si deve proprio a quei
bistrattati media, che da anni fanno da cassa di risonanza per un Circus che avrebbe
bisogno di una profonda, radicale, ristrutturazione. E invece no, meglio mettere al
bando la stampa, che spesso rompe le scatole, ficca il naso in questioni (specialmente di carattere tecnico) che dovrebbero
essere circoscritte solo a pochi intimi, e
soprattutto non paga i pass. Largo invece
ai lasciapassare da vendere ad annoiati e
incompetenti ospiti dei vari sponsor, che
pagano prezzi esorbitanti, per essere
ingozzati come tacchini nei vari hospitality
o non vedere o capire quasi nulla dell’evento al quale stanno partecipando. Ebbene si,
questo è l’aspetto meno glamour della Formula 1 “modern style”, che poco o nulla ha
a che fare con la Formula 1 con la “F” maiuscola dei vari Enzo Ferrari o Colin Chapman, ma continua a produrre guadagni
stratosferici. Almeno per qualcuno. E se
provi farlo capire a chi di dovere, ti sciorinano dati entusiasmanti sulla popolarità
della Formula 1 e sull’audience televisiva,
che metterebbero a tacere chiunque. Peccato che, dopo una frequentazione quasi
quarantennale del Circus, sia difficile credere a questi ritornelli. Prendiamo ad
esempio la vendita dei diritti televisivi alle
TV a pagamento. I dati sono impietosi per
l’esiguo numero degli abbonati e questo
non capita solo in Italia. Eppure te la vendono come un evento epocale, come il toccasana per incrementare la polarità della
categoria regina dell’automobilismo sportivo. Balle: basta parlare con qualche ventenne per rendersi conto di come l’appeal
della Formula 1 sia in netto calo e come lo
spettacolo dei Gran Premi sia ormai destinato ad un pubblico di quaranta-cinquantenni che, in molto casi, spengono il video
pochi giri dopo il via. Ma chi se ne frega,
l’importante è sbattere fuori dalla corsia
box quei rompiscatole di fotografi e giornalisti e gettare i presupposti per una pit
lane ancora più esclusiva, ancora più off
limit per la stampa. Una pit-lane dove, udite udite, nel 2014 pochi fortunati potranno
ancora accedere “gratis” poi, a partire dal
2015 non è detto che non si paghi.
E SE LA STAMPA SCIOPERASSE?
In merito sono circolate parecchie indiscrezioni negli ultimi tempi e il fatto che alla Federazione sia stato recentemente ceduto l’uno per
cento del business della Formula 1 non fa di
certo dormire sonni tranquilli ai media. I quali,
da parte loro hanno le loro brave colpe: non
interessa la carta stampata, i fotografi sono
solo inutili rompiscatole? Ebbene,senza emulare gli eccessi di certi sindacalisti nostrani,
proviamo ad immaginare quotidiani e periodici che in tutto il mondo, almeno per un Gran
Premio, escono solo con notizie e senza immagini e al posto di queste ultime tanti spazi neri:
come pensate reagirebbero la Federazione ed
Ecclestone? Invece no, si continua ad accettare
supinamente ogni diktat, come se nulla fosse.
Tanti mugugni, ma nessuna rimostranza che
lasci veramente il segno e il potere dei soliti
noti che cresce in una Formula 1 sempre più
feudale, più isolata e più autoreferenziale. Peccato che il caso dei media “ghettizzati” in sala
stampa non sia l’unico a creare inquietudine
nell’attuale Formula 1. Cosa dire dell’abdicazione in favore della televisione digitale? Nulla
da eccepire sulla qualità del prodotto, sulla
tempestività e sulla completezza dell’informazione ma, provate a parlare con gli sponsor e vi
renderete conto di quale malcontento serpeggi
nei paddock. Il famoso costo-contatto, che
mette in relazione i soldi investiti, col numero
di persone che vengono raggiunte da un determinato messaggio pubblicitario (nel caso della
Formula 1 dalla visione di un marchio presente
sulla carrozzeria di una monoposto) è cresciuto
a dismisura nell’ultimo anno. Un conto è trasmettere certe immagini in chiaro, e raggiungere platee di svariati milioni di persone, altra
cosa è intercettare l’attenzione di un numero
ridotto di potenziali consumatori. Il tutto in un
periodo di grave recessione economica, dove le
risorse (leggi sponsorizzazioni) diventano una
merce sempre più rara e dove i team in grado
di affrontare, senza patemi d’animo un’intera
stagione di Formula 1, si contano sulle dita di
una mano. Il mondo reale è questo, ma pochi
nel Circus della velocità pare se ne siano resi
conto. Quanto tempo potrà ancora andare
avanti così?
49
SPECIALE
IL CUORE NELLE CORSE - 8A PUNTATA
America, l'etica d
Uno straordinario capitolo del nostro viaggio, dedicato alla filosofia
della gare americane. Andrea Toso della Dallara ci racconta le sue esperienze
di oltre tre lustri a contatto con tutte le realtà made in Usa,
spiegandoci la filosofia genuina e pragmatica di un ambiente dove il contatto,
la partecipazione, i diritti del pubblico e l'understatement dei proprietari
sono il pane quotidiano. E da solo l'affresco di un grande personaggio
come A.J. Foyt vale il piacere della lettura
di Andrea Toso,
con la collaborazione di Stefano Semeraro
Siamo arrivati, caro Andrea, ad un capitolo
che personalmente mi intriga: il rapporto fra
due mondi motoristici diversi, quello europeo e quello americano. Inizio citando il caro
amico Fabio Della Vida, agente e talent-scout
tennistico (è stato lui che ha “scoperto” Martina
Hingis) e figlio di Carlo, il grandissimo organizzatore di eventi sportivi che nel dopoguerra rilanciò il tennis in Italia e portò da queste
parti gli Harlem Globetrotters. Per Fabio, «il
grande insegnamento di papà è stato di copiare dagli americani, che pensano le cose per il
pubblico». Ti chiedo: è così anche nel mondo
delle corse? Noi europei più “tecnici”, loro
più attenti allo spettacolo?
«Per iniziare, e per le implicazioni culturali che esprime, vorrei approfondire questo concetto sotto due
aspetti: il “contatto” e il “livello di partecipazione”.
Come esempio del “contatto fisico” possiamo anche
partire dal confronto di sport simili. Il football americano sta al calcio come la IndyCar sta alla Formula
1. La discriminante in questo caso è: il contatto è permesso o il contatto è vietato? La risposta è che il
Motor racing americano è uno sport di contatto, e il
suo paradigma è la Nascar. Una delle richieste fondamentali della IndyCar nel 2011 per il progetto della
nuova macchina, infatti, verteva proprio sul dato di
fatto che in quelle gare il contatto c’è, ed è permesso.
Compito di Dallara era ridurre il rischio delle conseguenze del contatto, cioè i danni per sé e per gli altri.
Per questo la nuova Indycar presenta le innovative
protezioni alle ruote posteriori e la carrozzeria è più
larga delle ruote. “Contatto” significa anche vicinan-
50
za del pubblico all’evento e per questo nel calendario
Indycar delle ultime due o tre stagioni sono diventati
più frequenti gli eventi nei circuiti cittadini (o “street
course”): Toronto, Detroit, St.Petersburg, San Paulo,
Long Beach, Baltimore, Houston. Più che la velocità
in curva, uno spettatore a bordo pista è colpito dall’accelerazione, dal rumore, dalla prossimità. Ovviamente il contatto implica rischio di incidenti in pista
e fuori dalla pista, ed il rischio a sua volta moltiplica
spettacolo, emozione, adrenalina, ricordi intensi,
creazione di eroi, storia. In Europa invece il contatto
è sanzionato. La F1 corre nei circuiti cittadini solo a
Monte-Carlo e questa gara tuttora affascina. Le esperienze a Valencia non hanno avuto successo, mentre
le gare di Singapore e Montreal sono troppo lontane
e comunque scomode come fuso orario per il telespettatore a casa. In F.1 i nuovi circuiti tipo Bahrain,
Istanbul, China, Mosca, Malesia, Korea, Austin non
hanno sconnessioni e sono costruiti con ampie vie di
fuga che però allontano lo spettatore seduto in tribuna. Oltre all’aspetto del contatto, e fortemente legato
a questo, c’è l’aspetto del livello di partecipazione
all’evento. In Europa appena i commissari toccano
una macchina, questa è squalificata e per quel pilota
la gara è finita senza discussione. Negli Stati Uniti
invece i commissari cercano in ogni modo di riavviare
il motore e di trainare ai box la macchina anche se
incidentata; i meccanici durante la gara possono
lavorare nei garage per riparare i danni per consentire al pilota di terminare la gara anche se doppiato.
Per questo le macchine da corsa americane devono
essere robuste, facili da smontare e da riparare, e per
questo nei garage della Nascar è proibito l’uso dell’elettricità e dell’aria compressa per lavorare sulle
macchine: la tecnologia differenzia artificialmente la
competizione tra le persone, la tecnologia non è il
cuore delle competizioni e neppure della nostra vita.
dello spettacolo
51
SPECIALE
IL CUORE NELLE CORSE - 8A PUNTATA
Cerchiamo allora anche noi, per quanto
possiamo, di sfrondare e di liberare il cuore
dalla tecnologia inutile che brucia il nostro
tempo personale in videogiochi e altri passatempi passivi. I benefici di questo spirito
di “partecipazione”, poco comprensibile
per noi europei, sono molteplici: lo sponsor
vede la macchina inquadrata in televisione
e ne è contento; il pubblico celebra il mito
dell’ “underdog” , dell’ “outsider” che talvolta vince e comunque sempre convince;
il pilota e la squadra tutta dimostrano spirito combattivo “against all odds where
every position counts” perché al termine
delle gare americane tutte le posizioni danno diritto a dei punti! Questo messaggio
penetra positivamente nello spirito dello
spettatore americano perché conferma la
parte ottimista della nostra realtà quotidiana: nelle gare automobilistiche, così come
nei film americani, non ci si arrende mai:
la gara è contro se stessi per fare il meglio
data qualunque circostanza e nonostante
gli ostacoli che tutti prima o poi incontriamo. Ti confesso che in quindici anni di corse americane non ho mai visto nessuno, sia
davanti sia dietro le telecamere, gioire se e
quando l’avversario si ritira. Al calare della
bandiera a scacchi ciascuno ha fatto il proprio meglio e su questo è misurato nel punteggio e nella considerazione dei tifosi; una
vittoria in cui l’avversario si è ritirato non
è una vittoria piena e il valore di una vittoria
è determinato dal valore dell’avversario… A
me, questa mentalità di misurarsi con se
stessi e non contro qualcun altro piace tantissimo e ne abbiamo già parlato nelle puntate precedenti: se sprechi energia e pensieri ad odiare il tuo avversario e gioisci del
suo male, sei un misero. E questo vale
anche tra aziende che sprecano energie e
soldi per conquistare, ad ogni costo!, quote
di mercato invece di cercare nuove strade e
sviluppare i propri prodotti».
E, come accennavo all'inizio,
nell'”american way” è soprattutto il
pubblico a godere i vantaggi di una
impostazione diversa delle gare...
«Giungo ora al punto della tua citazione:
chi finanzia, Chi paga il Motor Racing? La
risposta è semplice: il pubblico, chi paga il
biglietto e l’abbonamento alla televisione
via satellite e alle riviste specializzate, chi
colleziona “merchandise” (più prosaicamente mercanzia). Se il pubblico finanzia e
paga, allora il pubblico è padrone e Re e il
Re vuole essere divertito dallo spettacolo e
pretende la precedenza. Chi è pagato fornisce “servizi”, cioè “serve” e quindi non è
sempre libero di fare quello che vuole e
come vuole. Il Motor Racing è quindi uno
52
spettacolo che diverte il Re-pubblico e il
pubblico siamo noi. Siamo noi che finanziamo lo spettacolo a cui partecipiamo e lo
finanziamo in modo selettivo acquistando
un prodotto piuttosto che un altro; bibite,
telefoni, automobili, orologi, carburanti.
L’acquisto selettivo degli appassionati di
automobili è guidato ovviamente dagli
investimenti pubblicitari per cui le sponsorizzazioni hanno il ritorno dell’investimento degli acquisti: nessuno sponsor fa beneficenza.
Per gli americani questo concetto è più
diretto e palese; per gli europei è più indiretto e celato perché in Europa chi fornisce
“servizi” cerca di sfruttare (propriamente
staccare i frutti dall'albero senza pensarci
troppo), di far leva sugli aspetti tecnici dello
spettacolo per caricare lo spettacolo stesso
di suggestioni e quindi vendere i prodotti
derivati. Non vedo tanto una contrapposizione tecnica-spettacolo, quanto un rapporto più o meno diretto tra chi fornisce lo
spettacolo e chi paga per goderlo. Da qui
discende un diverso rispetto per il pubblico; si, penso che esista una diversa cultura
del rispetto. Gli Americani sono inclusivi e
sopra tutto rispettano il pubblico: ad esempio hanno una regola che definisce l’altezza
massima delle attrezzature in pit lane affinché la vista dalle tribune non ne sia ostruita; le tribune sono incredibilmente vicine al
tracciato; i muretti in corsia box a Indianapolis sono così bassi che si scavalcano agevolmente.
I piloti devono partecipare alle “Autograph
Sessions” finché c’è uno spettatore in coda.
Tutte le frequenze di comunicazione radio
tra i piloti e il muretto sono disponibili sul
giornale locale e su Internet. I piloti, al termine della giornata di prove e qualifiche,
con la tuta da gara vanno nei supermercati
a firmare autografi senza scorta, senza telecamere e spiegano semplicemente: “sto
facendo il mio lavoro”. Gli Europei sono
esclusivi, sono attenti al marchio e lo usano
per sopravvalutare la percezione del prezzo
dei prodotti (macchine di lusso, accessori,
profumi, pelletteria e vestiti): hai notato
quanto siano rari i marchi americani nel
settore del lusso? Gli Americani in generale
giustificano la tecnologia solo se riduce il
prezzo dei beni a pari servizi, come è evidente per gli elettro-domestici o “domestici
elettronici”, quali l’aspirapolvere, la lavatrice, il telefono, la televisione; se questo
non succede, gli Americani non si vergognano di continuare ad usare quello che
hanno. Per la mia esperienza nel settore
Motor Racing americano, osservo che se a
distanza di cinque/dieci anni si discute la
fornitura di una nuova macchina, gli ame-
ricani pretendono una riduzione di prezzo
e non sempre comprendono i costi aggiuntivi legati alla ricerca, alle nuove tecnologie
di progettazione e calcolo, alle procedure di
controllo qualità.
Gli americani non impediscono l'accesso
nel paddock, anzi il biglietto di accesso al
paddock ha un prezzo inferiore a quello di
qualunque tribuna perché dal paddock non
si vede lo spettacolo; gli Europei invece
hanno creato nel paddock delle aree ospitalità il cui invito è indice di esclusività e di
prestigio. In America il proprietario dello
Speedway di Indianapolis si mette in coda
al chiosco per comperare in contanti un
“hot dog” nel giorno della gara vestito di
una T-shirt anonima, non per trascuratezza
ma come segno di rispetto perché non vuole porre distanze; inoltre si mette regolarmente in coda per imbarcarsi sul charter
che riporta a casa piloti e meccanici dal
Giappone o da Long Beach e si siede a fianco di chi capita e con lui parla tranquillamente. In Europa ciò è impensabile.
“
La Nascar è l'esempio dell'inclusività: accesso pressoché
libero ai box, ai piloti, ai dati, alle officine delle squadree
In che modo pensi che la natura delle
corse da una parte e dall’altra dell’Atlantico sia stata condizionata,
“informata” dalla diversa storia, e
dalle differenze culturali e sociali fra
i due continenti? Da noi l’eredità del
mondo classico, negli Usa il culto della frontiera.
«La geografia determina la storia e la cultura più di quanto non pensiamo. La disponibilità di spazio condiziona la nostra vita
quotidiana, il nostro umore, i nostri pensieri
e i nostri sogni; la potenza della geografia è
così forte che se guardiamo tutto il mappamondo, dobbiamo ammettere che la civiltà
occidentale non poteva non iniziare in Grecia (un mare ampio ma chiuso con molte isole tra loro vicine) e in Mesopotamia (una
ampia terra fertile tra due fiumi importanti)
il cui clima favorisce la vita all'aperto e lo
scambio di merci e di idee.
Lo spazio aperto, la prateria, i cavalli liberi,
le “strip” dei dragster del New Mexico proprio non possono esistere in Europa. L’av-
”
vento delle prime automobili in Europa a
inizio Novecento ha sconvolto l’urbanistica
delle città vincolate da mura e fossati centenari, caratterizzate da vicoli stretti accessibili a piedi o con un solo cavallo e punteggiate da poche piazze perché lo spazio all’interno delle mura era prezioso: proprio in Italia, nel Medioevo, abbiamo inventato il concetto di Comune che significa “cum-moenia”
o “cum-munus” cioè “mura a difesa di uno
spazio comune” e “doveri comuni”. Non esiste una città americana che abbia avuto
mura di cinta e strade strette, anzi la città di
frontiera americana si sviluppa lungo la dritta via principale, celebrata nei film di genere
western e luogo ideale per gli inseguimenti
a cavallo tra lo sceriffo e i briganti».
Proviamo ora a fornire un quadro
sintetico di come si differenzia la
struttura delle corse da noi e da loro?
Quali categorie sono più importanti,
chi le finanzia, quale filosofia sta dietro al loro sviluppo.
«La Nascar e' l'esempio dell'inclusivita':
accesso pressoché libero ai box, ai piloti, ai
dati, alle officine delle squadre. In termini
di immagine (vetture a ruote coperte ) e di
valore commerciale (budget tipico moltiplicato per il numero degli iscritti più contratti pubblicitari), questa categoria è analoga al DTM e ai Prototipi Le Mans Europei
e richiede l’esposizione diretta di tre o quattro costruttori di automobili: in Nascar troviamo GM, Toyota e Ford; in DTM ci sono
BMW, Audi e Mercedes; a Le Mans gareggiano Porsche, Audi, Toyota e Honda. Nel
settore delle ruote scoperte, sia la Formula
1 sia la IndyCar sono finanziatate non solo
dai costruttori automobilistici, ma anche
da colossi multinazionali che producono
beni e servizi di consumo quali bibite energetiche, telefoni, compagnie di assicurazione, elettronica... Ma la Formula 1 rispetto
alla Indycar ha un valore commerciale di
almeno un ordine di grandezza superiore.
La Formula 1 è l’esempio dell’esclusività: le
dichiarazioni, i video e le fotografie dei pilo-
53
SPECIALE
IL CUORE NELLE CORSE - 8A PUNTATA
“
AJ Foyt è un personaggio di frontiera di quasi
due secoli fa, cuore immenso e spirito affascinante
ti sono filtrate e verificate da poderosi uffici
stampa; le immagini riprese durante
l’evento da chiunque sono proprietà intellettuale della F1! Per rispondere alla seconda parte della tua domanda, onestamente
non comprendo la filosofia che si nasconde
dietro lo sviluppo tecnologico previsto per la
Formula 1 2014 con motori turbo, batterie,
freni rigenerativi. Vedremo».
Da dove nasce la passione americana
per gli ovali, che noi non condividiamo?
«Torniamo ai cavalli! Gli ovali sono derivati
dagli ippodromi, con piste di terra battuta
non asfaltate. Su questi ovali, di lunghezza
variabile dal quarto di miglio (400 metri) ai
due miglia e mezzo (4 chilometri di Indianapolis e Pocono) si organizzano gare di “Midget e “Late model”, automobili con motori di
oltre 600 cavalli. Questa tradizione è molto
radicata e diffusa: i piloti gareggiano due o
tre volte alla settimana, arrivano al pomeriggio con la macchina da corsa caricata sul
rimorchio e tornano a casa a tarda sera dopo
la gara; spesso tra i piloti puoi vedere i celebri
54
”
professionisti della Nascar gareggiare nelle
Midget con vero impegno e Talvolta i campioni delle Midget competono con discreto
successo alla 500 Miglia di Indianapolis (nel
2012 Bryan Clauson e in anni precedenti JJ
Yeley, Jason Leffler, Steve Kinser).
E’ più difficile per un pilota americano
adattarsi al nostro modo di correre, o
vice-versa?
«A parti invertite negli stessi anni e circa con
le stesse macchine, Michael Andretti ha corso in Formula 1 alla McLaren e Nigel Mansell
ha corso in IndyCar con Newman-Haas. Gli
anni di Mansell in IndyCar e di Michael
Andretti in Formula 1 sono stati il perigeo tra
le orbite della Formula 1 e della IndyCar e
forse in quegli anni abbiamo perso l’occasione per stabilire un campionato del mondo
del Motor Racing a ruote scoperte con regole
simili. Conosco personalmente Michael
Andretti ed ho parlato con lui un paio di volte
della sua esperienza in Europa: ho inteso da
lui che il motivo principale del suo insuccesso in Formula 1 è stato l’ambiente un po’
nevrotico e auto-referenziale ed essenzial-
mente poco rispettoso dei diritti del pubblico. Tra i piloti con esperienza europea ed un
discreto successo negli Stati Uniti oltre a
Mansell ricordo Mario Andretti, Alex Zanardi, Juan Pablo Montoya, Eddie Cheever,
Dario Franchitti, Tony Kanaan, Helio Castro
Neves, Dan Wheldon e Kenny Brack: in
generale posso dire che i piloti che gareggiano nelle gare americane sono o sono diventati più sereni, disponibili e semplici di cuore.
Un pilota italiano capace di conquistare il cuore degli americani è stato Alessandro Zanardi: quale la chiave
secondo te del suo successo umano,
oltre che professionale, negli Usa?
«Alex, quando parla, tocca il cuore ed esprime emozioni semplici e dirette; muove le
mani, mostra una ricchissima varietà di
espressioni facciali e sfodera un repertorio
infinito di storie, storielle, aneddoti e barzellette; ha una mente lucida e razionale, due
mani d’oro con cui riesce a fare miracoli al
tornio nel suo garage e infine ha il talento di
andare veloce con qualunque mezzo con due
AJ Foyt a Indy nel 1967
ruote o più. Alex è italiano e negli Stati Uniti
ha incontrato l’italiano Ganassi, così italiano
che il suo soprannome “Chip” è legato a
come la madre di origine piemontese lo chiamava per significare “piccolo mio”. I due si
sono trovati e si sono piaciuti al punto che
Alex è l’unico ad avere una macchina di
Ganassi: tutte le altre macchine, di tutti gli
anni, sono gelosamente custodite nella sede
della squadra a Indianapolis. Alex e' sovrumano quando si impegna nelle sfide impossibili ed è modello di comportamento positivo per una intera generazione di ragazzi di
tutto il mondo».
So che hai avuto modo di incontrare
A.J. Foyt: che personaggio è? che
esperienza hai tratto dall’incontro?
«Conosco AJ dal 1997, quando per la prima
volta abbiamo progettato e costruito le Indycar per i circuiti ovali: per quella stagione di
corse A.J. aveva comperato da noi quattro
macchine senza neppure chiedere un preventivo, nulla!. Ma noi all’epoca eravamo
così ignoranti delle gare sugli ovali che il
risultato della prima gara fu disastroso e la
domenica stessa, prima della fine della gara,
AJ. aveva già comperato quattro macchine
della concorrenza. Per tutte le gare della stagione, A.J. ci ha osservati da lontano per
vedere come reagivamo alla difficoltà. All’ultima gara, ha rispolverato dalle ragnatele
una delle nostre macchine, senza avvisarci,
senza chiedere dati e assetti e... ha vinto la
gara. Da lì in poi si è dimostrato un uomo di
una dolcezza infinita, prodigo di consigli,
mai in ritardo nei pagamenti. Quest’anno a
Indianapolis dopo una grave operazione alla
schiena era tornato in pista per seguire le sue
macchine ed aveva saputo che eravamo lì
nelle vicinanze: senza esitazione ha piantato
in asso gli appuntamenti con giornalisti e
operatori per venire a trovarci. Dice spesso
“No phoonies”, che in Texano descrive i venditori incompetenti, sorridenti fuori tempo,
vestiti bene e vuoti dentro; altre espressioni
tipiche hanno a che fare con lo “sterco del
toro” e compagnia cantando. La sua frase
preferita è: “A.J. crede negli Stati Uniti, nella
famiglia e in se stesso, e non necessariamente in questo preciso ordine”. Quando in pista
sento di dover ricaricare le pile dell’entusiasmo, vado da lui e lì mi sento un personaggio
della favola di Esopo del vecchio Leone saggio che tiene udienza nella sua caverna. In
meno di tre minuti ti fa la pesatura come
Minosse: se non gli piaci, non gli piaci per
tutta la vita ed allora è meglio che gli giri
intorno e bene al largo perché ti può anche
sparare! E’ uno “vero”: si è qualificato a
Indianapolis senza tuta e con la T-shirt,
durante una 500 Miglia si è fermato ai box,
è sceso dalla macchina, ha regolato personalmente l’alettone, è risalito ed infine ha
vinto la gara! E’ un personaggio di frontiera
di quasi due secoli fa, cuore immenso e spirito affascinante, è soddisfatto della vita che
ha vissuto e così goloso di gelati che fa installare una macchina per gelati nel suo garage
durante la 500 Miglia di Indianapolis, a
disposizione di tutti, ma proprio di tutti,
compresi i tifosi. Il fatto che a 76 anni mi
abbia invitato nella sua officina sperduta
nelle praterie del Texas e che abbia annullato
una sessione di fisioterapia in ospedale per
incontrarmi mi ha fatto tremare dalla commozione».
Indianapolis, il grande mito americano delle corse. Ti sfido a spiegarci cosa
significa nello spazio…. Di una risposta.
«Indy 500 non e' “la gara delle 500 miglia”,
ma la ricorrenza del Memorial Day che commemora tutti i soldati americani morti in
battaglia. Indy 500 non e' una gara internazionale, ma profondamente nazionale e
locale. Le celebrazioni del Memorial Day nel
circuito di Indianapolis iniziano alle 8 del
mattino con sfilate di reduci, inni, applausi,
lancio di palloncini e preghiere che culminano, appena prima della partenza della gara e
dopo cinque ore di liturgia collettiva, nel
canto struggente e lugubre di “Back Home
Indiana”. Questo canto richiama alla memoria e a casa nell’Indiana, vivi o morti, tutti gli
uomini caduti in battaglia. Indy 500 rinnova
ogni anno ai presenti il legame arcaico tra
gloria e morte, cioè il senso (più o meno condivisibile, ma comunque fortissimo) del
combattere per la patria e per la gloria. È il
Mito della sfida a viso aperto con la morte.
Subito dopo questo canto segue un breve
silenzio profondo e vibrante, quindi Mary
Hulman scandisce al microfono le stesse
parole che da cento anni danno inizio alla
gara: “Ladies and Gentlemen, start your
engines!”. Sempre le stesse parole, niente di
più, niente di meno: ogni volta non trattengo
le lacrime per l’emozione. Lo Speedway di
Indianapolis, durante la Indy 500 e' la Cattedrale dove si celebra il Rito del Motorsport,
nel senso di vero spirito sportivo. Chi va a
Indianapolis per assistere alla gara ogni cinque/dieci anni probabilmente non coglie il
senso dell’evento e forse pensa che questo
spettacolo sia ruspante e grezzo. Ma il Mito
55
SPECIALE
IL CUORE NELLE CORSE - 8A PUNTATA
di Indy è semplice, negli anni sempre uguale
a se stesso: gli attori, cioè i piloti, gli ingegneri e il pubblico stesso, cambiano nel tempo
ma di questo Mito sono ministri, cioè servitori. Rutherford, Unser, Foyt, Andretti, Parnelli Jones, Mears, e tanti altri piloti plurivincitori della 500 Miglia, quando a Indianapolis camminano nei garage non cercano
le inquadrature delle telecamere, ma sono
timidi testimoni del loro incontro con la gloria e la morte».
Esistono, fra Europa e Usa, anche due
modi contrapposti di a la interpretare
l’engineering motoristico?
«Rispetto ai circuiti europei, i circuiti americani sono più sconnessi, la manutenzione
dell’asfalto e delle strutture è più approssimativa: per questo gli ingegneri nelle gare
americane lavorano di più sugli ammortizzatori, sulle regolazioni meccaniche, sull’affidabilità, sulla riduzione degli attriti e sul
raffreddamento piuttosto che sui dettagli
dell’aerodinamica. Gli ingegneri ed i meccanici americani hanno un rapporto molto forte con i propri piloti i quali sono realmente
parte del team senza finzioni e senza artifici
perché gareggiano per numerosi anni nello
stesso team e frequentemente restano nelle
officine a scherzare con i meccanici e ad
accogliere i visitatori occasionali».
Il recente film di Ron Howard,
“Rush”, è il tributo di un regista hollywoodiano ad una categoria in fondo
poco popolare negli Usa come la Formula 1. Vorrei sapere se il film ti è piaciuto e se ne hai tratto qualche considerazione sull’argomento.
«Sì, il film mi è piaciuto perché coglie il cuore
delle corse, che è per me la sfida tra uomini.
Il film mi è piaciuto perché offre pochi o
minimi cenni al budget, al motore o alle
gomme, all'aerodinamica o alle sospensioni,
tutti aspetti tecnici che scolorano nel tempo.
Solo le imprese degli eroi muovono e commuovono, al di là del fatto di guidare una
McLaren o una Ferrari (con buona pace di
Enzo Ferrari).
Il successo di Dallara negli usa è invece la prova che fra i due mondi ci possono essere rapporti profondi e proficui: ci spieghi come è nata e in cosa consiste la “chimica” fra Varano e gli States ?
«La chimica del nostro successo? La profonda convinzione che la stima viene prima degli
affari. Se, per forzare un buon affare per te ma
cattivo per la controparte, svendi la stima, in
un sistema chiuso e limitato quale la comunità del Motorsport e all’occasione successiva
56
sei messo fuori dal giro. Forse gli Inglesi di
Lola, Reynard e GForce erano visti con il pregiudizio timoroso dei coloni verso gli imperiali dominatori di Sua Maestà Britannica,
certo è che noi di Dallara ci siamo sempre
messi al livello dei nostri clienti e talvolta
anche un po’ sotto. In quindici anni di gare
americane, di fronte alle scelte più delicate,
ho sempre chiesto a me stesso: questa decisione alternativa è nell'interesse della comunità IndyCar nel lungo termine? Se la risposta
era positiva, anche se la strada comportava
vantaggi inferiori per Dallara, ho sempre aderito con convinzione e il tempo ha pagato con
una misura “piena, scossa e traboccante”
come si recita canta nel Salmo. A questo proposito vorrei confrontare le due teorie economiche del prezzo, il “prezzo di mercato” e il
“giusto prezzo”. La teoria del “prezzo di mercato” vale per prodotti di massa in mercati
aperti o in forte espansione, in cui non conosci personalmente il tuo cliente e il tuo cliente
non conosce il prodotto bene quanto te: pensiamo ad esempio a prodotti come un televisore, un telefono, una lavatrice o un personal
computer. In questo tipo di mercato devi lottare per il fatturato, i volumi, rinforzi il marchio, combatti i concorrenti e solleciti i fornitori per cercare un vantaggio competitivo in
un oceano di prodotti simili; qui il prezzo è
basato sulla percezione del valore da parte del
cliente e per migliorare questa percezione fai
leva sul marchio. La teoria del “giusto prezzo”
si applica invece in mercati limitati o in decrescita. Le domande fondamentali per riconoscere in quale dei due contesti si trovi il Motor
Racing sono due e molto semplici: “Conosci
personalmente i tuoi clienti?” e “Il tuo cliente
conosce il prodotto meglio di te?”. Nell’ambito del mercato a “giusto prezzo” il fornitore
non sfrutta, ma rispetta il cliente: pensiamo
all’artigiano di “Madame” nel suo “atelier” a
Parigi nel ‘700 o a Michelangelo che nel ‘500
dipingeva la Cappella Sistina per il Papa. Io
vedo il Motor Racing come un mercato per
cui per lo più vale la teoria del “giusto prezzo”
perché le macchine da competizione non
sono prodotti di massa, perché i fornitori
conoscono personalmente i clienti (“le squadre corse”) e perché i clienti conoscono il prodotto come e più del fornitore perché solo loro
usano in pista le macchine da corsa.
Da qui discende che secondo me Dallara è più
simile all’artigiano nel suo atelier che ad una
fabbrica. Così Dallara oggi come l’artigiano a
Parigi nel ‘700 che lavorava nell’atelier a
fianco del palazzo, fa da moderatore del consumo eccessivo, decide le piccole scorte
tenendo conto della realtà della propria
clientela che conosce molto bene e personalmente. Nel definire il prezzo, l’artigiano
segue il concetto di "giusto profitto", per
sopravvivere con dignità e lasciare in eredità
ai figli l’attività; non può seguire la teoria del
Dizionario
"prezzo di mercato" che richiede la profonda
conoscenza dei prezzi della concorrenza e
delle relazioni multinazionali, la stima precisa dei propri costi fissi di struttura e di
magazzino. L’artigiano tratta merci arcinote,
contratta il "giusto prezzo" con il cliente arrivando velocemente all'accordo sul valore.
L’artigiano dell’Atelier del ‘700 trattava bene
la domestica di Madame per deferenza e talvolta convenienza, ma Madame lo minacciava di andare a comperare altrove; l’artigiano
faceva piccoli doni nelle grandi occasioni per
ottenere la benevolenza di Madame e talvolta
faceva la cresta: c’era di fatto un forte legame
di reciproca dipendenza tra cliente e fornitore. Anche oggi gli Atelier del Motor Racing,
eredi dell’artigiano, riescono a porsi come
depositari di affidabilità, merito, riservatezza
e confidenzialità e il "giusto prezzo” tiene in
vita sia il cliente sia il fornitore, legati tra loro
da consuetudini e da un destino comune;
l’applicazione del "prezzo di mercato"
potrebbe risultare distruttivo per uno o per
l'altro. Nella teoria del "giusto prezzo" il
cliente conosce il fornitore e sa come il fornitore spende i soldi e lo giudica, potendo
anche alla fine cambiare fornitore e quindi
interrompere la relazione; il cliente talvolta
compra a credito o con dilazione, può sostituire la merce, ricevere dal fornitore dei consigli e raccontargli pettegolezzi senza timore
di leggerli il giorno dopo su Internet».
Frizione
" dal latino "frisare", in italiano "fregare" o “sfregare”.
Il termine descrive il principio di funzionamento della frizione che genera attrito in funzione della forza
tra due superfici in movimento che sfregano tra di
loro.
Sterzo
Una parola di d'origine longobarda che descrive il
"manico dell'aratro".
Autodromo
Torniamo alle corse dei cavalli da cui tanti vocaboli
del Motor Racing derivano. Nel primo novecento, con
l’avvento prepotente delle automobili, la parola Autodromo è stata coniata per analogia a ippo-dromo, lo
stadio per le corse dei cavalli.
Circuito (Circo )
Un’altra parola legata al vocabolario dei cavalli! Simile a cerchio, indica l’area quasi ovale e comunque a
perimetro chiuso di un anfiteatro nel quale si eseguivano in epoca romana i giochi specialmente equestri
Corsa
Dal latino “correre”, proprio dell’acqua dei fiumi; è
una parola nata in Italia nel ‘700. Ecco una divertente
definizione dell’epoca: “propriamente l’atto del correre e in senso speciale l’andare girando e rigirando
che fanno le carrozze e le persone per passatempo o
sollazzo in una o più vie della città”. Da questa parola
sono nate poi “Corsia” (lo spazio vuoto o delimitato
nei teatri o negli stadi), “Corriere” (informazione
scambiata durante la corsa), “Corsaro” (pirata inglese
che con navi piccole e velocissime attaccava i galeoni
spagnoli carichi d’oro), Corsivo (scritto di “corsa)
Lap
Dall’inglese medioevale læppa che significava “striscia” o “ornamento di un vestito”, nel senso di garlanda, parte inferiore di un vestito. Da lì nel ‘700 è
passato a indicare “aggiunta di una stoffa sopra un’altra”, “ ricopertura” e nel tardo ‘800 il significato si è
esteso al gergo delle corse dei cavalli nell’espressione
“lap somebody” or “get a lap ahead (of someone) on
a track"
Una vista del Museo Dallara a Indianapolis
Giro
“Gyros” in greco e latino, indica “curvo”, “rotondo”,
“piegato ad arco”: propriamente la linea tracciata sul
terreno per delimitare uno spazio di proprietà.
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RALLY
IL PAGELLONE DI FINE ANNO
58
L’ANNATA
PERFETTA
DI OGIER
59
RALLY
IL PAGELLONE DI FINE ANNO
Guido Rancati
Sébastien Ogier
9,5
Valter Pierangioli
9
La sua non è l'annata perfetta, ma gli somiglia assai. Nove volte primo e sette volte
autore del miglior tempo nella Power Stage, il francese conquista il suo primo titolo
iridato e trascina la Volkswagen alla conquista del mondiale costruttori. Tanta roba.
Poche o tante che siano, alla vigilia del Puglia e Lucania, l'aritmetica gli concede
ancora qualche chances di accaparrarsi la coroncina dei terraioli. Invece, davanti
a un elenco iscritti miserrimo, il vignaiolo senese rinuncia a partire. Perché un titolo
varrà anche qualcosa, ma la dignità non ha prezzo.
François-Xavier Demaison 9
E' tutto vero: la Volkswagen gli ha messo a disposizione un budget considerevole
e un asso come Ogier e gli ha dato la possibilità di testare la Polo in ogni situazione.
Ma è anche vero che Efics, al debutto come responsabile di un progetto, ha fatto
vedere di saperci fare parecchio. Più di tanti che, chissà perché, se la tirano da fenomeni.
Sébastien Loeb
8,5
Thierry Neuville
8,5
Jost Capito
8,5
Si accomiata dalla serie iridata con una capriola fuori programma sull'asfalto di
casa sua e non è bello. Ma nelle altre tre sortite l'Extraterrestre raccoglie due vittorie
e un secondo posto per un totale di sessantotto punti che equivalgono a una media
di diciassette punti a ogni presenza. Inferiore solo a quella di Ogier.
Torna dal Monte-Carlo a mani vuote e quelli che sanno sempre tutto scuotono la
testa. Ma non sempre il buon giorno si vede dal mattino e il resto della stagione si
incarica di dimostrare quanto il ragazzo ci sappia fare: undici volte su tredici all'arrivo, va a podio in sette occasioni e ripaga così la fiducia accordatagli da Malcolm
Wilson. Con interessi da strozzinaggio.
La Polo non l'ha disegnata lui e non è lui che l'ha pilotata sulle strade del mondiale.
Ma il team principal della Volkswagen ha il merito di evitare ogni tensione interna
e, soprattutto, l'onestà intellettuale necessaria a riconoscere che la maggior parte
del merito va attribuita al nuovo fenomeno francese.
Malcolm Wilson
8
Le sue armate non fanno sfracelli e nella classifica finale del mondiale costruttori
sia Volkswagen, sia Citroen sono davanti alla Ford. Ma senza di lui e la sua MSport il Grande Ovale Blu non sarebbe stato neppure in campo. E Neuville non ce
l'avrebbe forse fatta a mostrare tutto il suo valore.
Giovanni Bernacchini 8
Quei fenomeni che si occupano della comunicazione della federazione italiana sono
troppo miopi per vedere oltre l'orticello tricolore e lo ignorano. Eppure, una volta
ancora, è soprattutto il copilota milanese a ricordare al mondo che il Bel Paese è
sempre terra di santi, poeti e... navigatori.
60
Loriano Norcini
8
Alberto Pirelli
8
Robert Kubica
7,5
Insieme a un manipolo di amici ha pensato l'lnternational Rally Cup e l'ha fatta
crescere dispetto di tutto e di tutti. Anche e soprattutto di coloro che non riescono
neppure a vedere la punta dei loro nasi e ogni giorno ne pensano una per ostacolarlo. Inutilmente perché quella che era la serie alternativa è ormai una delle poche
che funzionano nel disastrato rallismo italiano.
Sarà anche che, come diceva uno dei tristi figuri che occupano le stanze del potere,
a lui basta alzare il telefono per parlare con gran parte dei top-manager italiani.
Resta il fatto che l'industriale milanese è riuscito ancora a proporre una serie, Raceday Ronde Terra, che piace a chi corre e che distribuisce premi importanti. E non
solo in vil metallo.
Sbatte ancora un po' troppo, l'asso polacco. Ma la sua marcia nel Wrc-2 è trionfale
sia sull'asfalto, sia sulla terra e non serve leggere i fondi del caffé per intuire che ha
ancora notevolissimi margini di miglioramento.
Elfyn Evans
7
Esapekka Lappi
7
Un primo e due secondi posti nelle sue sei incursioni nel Wrc-2 la dicono già lunga
sulle doti del figlio d'arte gallese. Ma è il sesto posto assoluto in Sardegna, al debutto
con la Fiesta Wrc e con Giovanni Bernacchini, a brillare come un diamante.
Thierry Neuville
Non s'è rotta la macchinetta, la mamma finlandese seguita a sfornare piloti potenzialmente bravi come quelli che hanno fatto la storia della specialità. Il ragazzotto
lo prova e riprova in tutte le serie alle quali partecipa. Anche sull'asfalto del Sanremo che non è esattamente il campo di gioco più adatto ai finnici.
Robert Kubica
61
RALLY
IL PAGELLONE DI FINE ANNO
Mauro Trentin
7
Pontus Tidemand
7
Non corre tanto, il terraiolo veneto, ma ogni volta che lo fa non passa inosservato.
Sbaglia poco e ottiene molto: una carta sicura da giocare.
Dalla Svezia con ardore. Va davvero forte il ragazzo che scrive il proprio nome nel
mundialito junior e, c'è da scommetterci, lo dimostrerà anche quando avrà fra le
mani un gingillo più performante della Fiestina.
Paolo Andreucci
7
Nasser Al-Attiyah
6,5
Jari-Matti Latvala
6,5
Senza mai esagerare con i rischi aggiunge altre perle alla sua ricchissima collana.
Protagonista ogni volta che ha fra le mani la 207, dimostra al mondo cosa si può
fare con una 208 R2: un grande vero.
Corre meno del solito, ma a il suo lo fa come sempre. E i tre quinti posti che raccoglie
in cinque presenze confermano che è nettamente il più bravo fra quelli che hanno
una dote da portare alla squadra. Ma anche di alcuni che ambiscono a essere protagonisti...
Il confronto diretto con Ogier è di quelli difficili assai da vincere e lo perde. Ma pur
se non riesce ad aggiungere un'altra vittoria al suo palmares, il finlandese si rende
più utile alla causa di quanto non fosse abituato a fare in passato. Non sarà tantissimo, ma è già qualcosa.
Jari-Matti Latvala
62
Andrea Nucita
6,5
Giandomenico Basso
6,5
Craig Breen
6,5
Sébastien Chardonnet
6,5
Umberto Scandola
6,5
Andrea Crugnola
6,5
Altro giro, altro regalo. Per sé e per quelli che lo supportano. Il siciliano dal piede
pesante e la testa pensante mette al sicuro un altro titolo, facendo finta di credere
che gli servirà ad allargare i propri orizzonti.
Tre bussi in una stagione non sono pochi, ma più che gli errori in corso d'opera sul
bilancio del veneto pesa quello di essersi lasciato convincere a frequentare con una
certa frequenza una serie, quella tricolore, che lo intristisce. Il rovescio della medaglia sono le tre squillanti vittorie al Ciocco, a Madeira e soprattutto a Sanremo.
Dani Sordo
ha festeggiato in
Germania la sua prima
vittoria iridata
La Peugeot gli da la possibilità di gareggiare e l'irlandese la prende al volo. Spremendo assai spesso tutto quello che ancora c'è da spremere dalla pluridecorata
207 Super2000.
Non sempre incanta, il nipotino dell'uomo che mise Bernard Darniche su una Stratos. Però fa quello che deve per imporsi nel Wrc-3 e portarsi a casa il premio messo
in palio dalla Citroen: cinque rally mondiali con una DS3 R5. E quando assaggia
la terra dell'Adriatico non è comparsa.
Non può perdere la sfida per il titolo italiano e la vince. Ma dà l'impressione di
patire la pressione e strada facendo perde qualche confronto di troppo. Anche quello sanremese dove, con il titolo in tasca, poteva correre con la mente sgombra.
Impegnato su due fronti, il varesino sfonda in entrambi. Bravo nell'italiano e molto
bravo nell'International Rally Cup, si guadagna l'occasione di rimettere il naso oltre
confine.
Dani Sordo
6
Jan Kopecky
6
Bryan Bouffier
6
L'occasione attesa da anni arriva e il cantabrico si ritrova a correre con una DS3
ufficiale e senza il confronto con Loeb. Vince finalmente la sua prima gara iridata
e salva così il suo bilancio, ma perde l'occasione di proporsi come top driver.
Vince un campionato europeo che non può perdere e va bene. Però non fa molto
per convincere di meritarsi una vera chance nel mondiale.
Non impedisce a Kopecky di conquistare la corona continentale, ma almeno ci prova e, spesso, con mezzi inferiori al céco. Ciliegina sulla torta, il successo al Tour de
Corse che lo proietta nella storia del rallismo francese e non solo.
63
RALLY
IL PAGELLONE DI FINE ANNO
Alessandro Perico
6
Andreas Mikkelsen
6
Stefano Albertini
6
Mikko Hirvonen
5,5
Mads Ostberg
5,5
Juho Hanninen
5,5
Evgeny Novikov
5
Lorenzo Bertelli
5
Andrea Carella
4,5
Torna dopo tempo immemorabile a respirare l'aria frizzante dell'attico di un podio
e potrebbe essere la ripartenza di una carriera altalenante. Lo frenano un paio di
errori e la scarsissima attitudine alle strade bianche.
Ufficiale per ora solo di complemento alla Volkswagen, il biondo fa quello che ragionevolmente può. Alternando cose belle a cose meno belle, commettendo qualche
sbaglio perché nessuno nasce imparato. Neppure nella terra dei vichinghi.
Una volta, una sola, al 1000 Miglia, segue l'istinto e va al massimo. Gli va male e
si rassegna a seguire le istruzioni di chi gli permette di correre. Anche se non è portando borracce che si fa carriera...
Un paio di secondi posti e tre terzi, poca roba anche con un'auto che ha smesso di
essere la più bella del reame. Gaspar, raccoglie molto meno di quanto si aspettava
e di quanto alla Citroen si aspettavano da lui. E forse, paradossalmente, succede
perché gli manca un rifermento come Loeb.
Non vive la sua stagione migliore. La donnaccia con la cornocupia non gli è amica,
ma il norvegese ci mette anche un po' di suo e alla fine si ritrova fra le mani un
terzo posto e qualche altro piazzamento non troppo lontano dal podio. Poca roba.
Sul palcoscenico mondiale raccoglie meno di quanto semina. Comunque lascia il
segno dove passa e si guadagna l'ingaggio della Hyundai per spalleggiare Neuville
in un'avventura che potrebbe essere anche più bella di quanto qualcuno pensi.
E' veloce e lo conferma una volta di più mettendosi in saccoccia cinque punti nelle
Power Stage. Però commette ancora errori ed errorini che, con la sua esperienza,
dovrebbe saper evitare.
L'italiano meglio piazzato nelle classifiche iridate, ventiduesimo nel Wrc-2, sulla
terra sarda illude e si illude. Ma non ha cambiato passo e le altre gare della stagione
sono lì a provarlo.
A prescindere da cosa decideranno – se decideranno – i federali, la stagione del
piacentino è fatta più da scuri che da chiari. E i confronti con Andreucci di inizio
stagione sono imbarazzanti.
64
Mads Ostberg
Andreas Mikkelsen
Simone Campedelli
4
Khalid Al-Qassimi
4
Valentino Rossi
3
Marco Rogano
0,5
Una DS3 R3 per il mundialito e un'altra per l'italiano: impegnato su due fronti, il
cesenate colleziona una lunga serie di errori e non centra nessuno degli obiettivi
che s'era fissato.
E' veloce come Creso, l'emiro. In sette presenze rastrella due noni e un decimo
posto. Meno del minimo sindacale, per uno che il mondiale lo frequenta da anni
e che dispone di una vuerecì ufficiale.
Sordo non gli lascia scampo nella gimcana monzese di fine stagione, ma il Dottore
si mette dietro Dindo Capello e tanto gli basta per tornare a menarla con la storia
che prima o poi si dedicherà ai rally. E c'è pure chi pare continuare a prenderlo sul
serio...
Nominatosi – o nominato, cambia poco – promoter delle serie tricolori, il figlio
per così dire d'arte non prende nessuna decisione utile a rilanciare i rally nel Bel
Paese. In compenso tenta di importare il formato unico al quale il mondiale ha
rinunciato da un po'. Il mezzo punto è di incoraggiamento: può fare meglio.
65
DAKAR
CARLOS SAINZ
LA SVOLTA
DEL MATADOR
Il campione spagnolo ha cambiato team e vettura a un mese dall'inizio della Dakar.
Ecco perché e che cosa si aspetta il due volte iridato dei rally dalla sua settima
partecipazione al Raid più famoso del mondo
66
R
67
DAKAR
CARLOS SAINZ
Filippo Zanier
Tra le doti necessarie per essere campioni,
c'è senza dubbio la lungimiranza. Leggere
il futuro meglio degli altri, che si tratti di
interpretare le insidie di una gara o di scegliere il mezzo o il team al quale associarsi
per garantirsi il successo, fa spesso la differenza fra i buoni piloti e quelli che a fine
stagione portano a casa un titolo, magari
essendo accusati di esserci riusciti solo perché avevano la macchina migliore. Carlos
Sainz ancora non sa se la Dakar 2014 sarà
sua, ma in attesa di partire per il Sud America ha fatto lavorare il suo istinto di campione e a poco più di un mese dal via del
raid ha cambiato programmi: ha abbandonato il buggy del Qatar Rally Team di Nasser Al-Attiyah e ha portato armi e bagagli
(e sponsorizzazione Red Bull) alla SMG di
Philippe Gache, anch'essa in gara con
un buggy che "il Matador" considera
però più competitivo. Nel paddock di
Alcaniz, dove si trovava per seguire
(come fa sempre) il figlio Carlos Jr.
impegnato nei test
WSR,
lo abbiamo incontrato per sapere di più sulle motivazioni che lo hanno spinto a questa
decisione, e sullo spirito con cui parte per
la sua settima Dakar.
La scelta di cambiare team e macchina a poco più di un mese dal via ha
spiazzato tutti, cosa ti ha convinto a
una decisione così drastica?
"Mi sono reso conto che il team di Nasser
Al-Attiyah, il Qatar Rally Team, non stava
lavorando come doveva in previsione di
una gara così dura e ho capito che non
saremmo andati lontano. Così ho parlato
con la Red Bull e ho detto loro che secondo
me era il caso di puntare su un'altra squadra e un'altra macchina, in particolare sul
buggy di Gache. Una soddisfazione me l'ha
poi data proprio Nasser: appena due giorni
dopo il mio annuncio, anche lui ha
abbandonato il suo team per passare alla Mini X-Raid. E se anche
il proprietario decide di non correre con la propria squadra, forse vuol dire che ci ho visto giusto".
Perché proprio con la
vettura di Gache, che
non ha nessun particolare supporto ufficiale?
"Ho conosciuto Philippe
68
in occasione di un test che ho fatto nel 2012
con una delle sue Porsche storiche, e ci siamo capiti al volo. Ha il giusto mix di passione e competenza, e ha oltre 10 anni di
esperienza con la Dakar, per cui non gli
manca certo la preparazione. Ovviamente
sappiamo che contro le Mini ufficiali la sfida è improba, ma vedremo".
Il vostro buggy è un 2 ruote motrici,
una scelta strana per una gara con
molti tratti sterrati. Spiegaci quali
sono le sue caratteristiche.
"La Dakar sta tentando di equiparare le
prestazioni di vetture a trazione integrale
e quelle 2WD, anche se non è facile. Se si
opta per una 4WD si ha un grande vantaggio nei tratti molto impervi, ma bisogna
accettare di avere meno potenza e un peso
maggiore. Nel caso di un buggy 2WD
come il nostro, invece, siamo molto leggeri, e con il motore V8 Chevrolet che montiamo possiamo contare su circa 400 CV.
Oltre a questo possiamo contare su un
sistema che ci permette di variare la pressione degli pneumatici dall'abitacolo, e su
un'escursione delle sospensioni più ampia
per affrontare meglio gli sterrati più duri.
Quest'ultima caratteristica, però, diventa
uno svantaggio nei tratti di strada più battuta con curve veloci. Li la macchina si
corica troppo, e il passo gara ne risente".
Quindi cosa vi aspettate a livello di
competitività?
"In pratica ci aspettiamo di essere i più veloci
nei tratti con piste molto aperte, che ci permetteranno di sfruttare appieno tutta la
nostra potenza. Nelle altre situazioni, invece,
dovremmo essere un po' svantaggiati, però
abbiamo intrapreso questo programma
sapendo che sarebbe stato una sfida".
sionante, dodici vetture. Oltre a dare l'idea
di quanto hanno preso sul serio l'impegno,
è un grosso vantaggio perché avere così
tanti equipaggi permette anche di avere più
aiuto nel caso si dovessero verificare situazioni impreviste. Come rivali i più duri
saranno senza dubbio Stéphane Peterhansel e Nani Roma, è una previsione abbastanza facile da fare".
Chi ti aspetti possano essere i tuoi rivali più agguerriti?
"Le Mini hanno uno spiegamento di forze impres-
Hai vissuto sia la Dakar africana che
quella in Sud America, quale preferisci?
"Dal punto di vista tecnico sono entrambe
molto difficili, e anche a livello di rischi
sono molto simili, le probabilità di ritiro
nell'una o nell'altra direi che si equivalgono. Dal punto di vista del pilota, però, preferisco la nuova versione. In Africa, per
quanto il deserto sia magico, molte zone si
somigliano. In Sud America il paesaggio è
molto più vario, e sono più varie anche le
superfici che ci troviamo ad affrontare.
Quest'anno poi, ci sarà una prova speciale
che sarà una vera e propria impresa: la tappa 4, da San Juan a Chilechito, avrà 657 km
di Speciale e 211 di trasferimento, una sfida
massacrante sia per noi sia per le macchine.
E sinceramente sono molto curioso di
affrontarla".
69
RENAULT
3.5
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anche
71
RENAULT
3.5
DEAN STONEMAN
Massimo Costa
Batteva forte il sole sulla carriera di Dean
Stoneman. Nel 2010, l’inglese aveva vinto
il campionato di F.2, testato la Williams F.1
e si era avvicinato al mondo World Series
Renault. Tanto che l’11 gennaio del 2011
aveva firmato con ISR divenendo il compagno di squadra di Daniel Ricciardo. Tutto
brillava. Ma neanche il tempo di realizzare
il momento felice, che il suo fisico ha
cominciato a emettere strani segnali, fino
alla sentenza: tumore ai testicoli. Era il 21
gennaio 2011. Uno shock. Cicli intensivi di
chemioterapia, molto pesanti, lo avevano
costretto a lasciare il motorsport per pensare a ben altro. Brutti momenti. Fino al
ritorno alla fine di quella stagione, nei test
WSR. “Ricordo bene quella prova, lo feci
proprio ad Alcaniz sei settimane dopo aver
subìto un intervento chirurgico durato sette ore.
72
Il team ISR aveva tenuto quella parte di soldi che depositammo a inizio stagione per
correre nel campionato e così avevo colto
l’occasione per riprovarci. Ma non è stata
una buona idea, a pensarci ora”. Troppo
debole nel fisico, Stoneman ha poi deciso
di rimanere ancora fermo per tutto il 2011,
proseguendo le cure. Che ancora oggi deve
affrontare, purtroppo, di tanto in tanto per
controllare la situazione: “Mi si intorpidiscono le punte delle dita ogni volta, ma ci
sono abituato ormai”, dice il britannico che
un mese fa è tornato con decisione nel mondo delle formule. Nel 2012, qualche gara
con le Radical, quest’anno un impegno concreto nella Porsche Carrera Cup inglese
chiusa al 5° posto.
Poi, la decisione di tornare e l’iscrizione con
Koiranen alla prova finale della GP3 ad Abu
Dhabi. Dove ha meravigliato conquistando
il podio in gara 2: “Mio padre sosteneva che
sarebbe stato un successo concludere tra i
primi dieci…”. Stoneman ha partecipato
anche ai test GP3 sempre negli Emirati, poi
si è calato nell’abitacolo della Renault 3.5
ad Alcaniz per una tre giorni col team Carlin. Piuttosto timido, accompagnato dal
padre e dalla ragazza, ha dovuto fare i conti
con una vettura alquanto veloce e impegnativa e non ha particolarmente brillato: “Nel
2014 correrò in monoposto, questo è certo,
e riprenderò il filo del discorso interrotto
nel gennaio 2011. Dovrò decidere tra GP3 e
WSR”.
A destra, Stoneman sul podio
di Abu Dhabi GP3 nella gara
del rientro in monoposto
Nel 2011 ha guidato la
Williams F.1, foto sotto
73
NASCAR
IL PAGELLONE
JOHNSON
POI TUTTI GLI AL
I voti della stagione Sprint Cup 2013 rispecchiano la
classifica con qualche eccezione. Principalmente brilla la
redenzione del “fuorilegge” Kurt Busch, mentre sulle
valutazioni pesano alcuni incidenti e combine. Non è stato
un anno particolarmente lineare ed il mercato cambierà le
cose ulteriormente, ma sono arrivate chiare indicazioni su
chi è stato protagonista e potrà esserlo l’anno prossimo
74
LTRI
75
NASCAR
IL PAGELLONE
Marco Cortesi
Jimmie Johnson
10
Matt Kenseth
9
Di lui si è detto tutto. Irraggiungibile anche quest’anno. Se proprio gli
si vuol trovare un neo, è quello di aver sempre e solo vinto con un
team ed un capotecnico, ma come per Sebastian Vettel, sta di fatto
che nessuno dei suoi compagni di squadra ha mai vinto quanto lui.
Insieme al tedesco F.1, è senza discussioni il migliore al mondo.
Al debutto col Joe Gibbs Racing rischia di vincere il primo titolo della
Toyota in Sprint Cup con sette vittorie e 12 top-5. In alcune circostanze, Johnson è sembrato giocare al gatto col topo con lui, ma comunque, Kenseth è stato l’unico avversario possibile e, con un pizzico di
fortuna in più, per lui ci sarà un nuovo titolo.
Kurt Busch
8,5
Jeff Gordon
8
La sua stagione col Furniture Row Racing ha del miracoloso. Mai un
piccolo team con una singola vettura era entrato ai playoff. La squadra
si concentra su alcune tipologie di piste e il talento di Busch fa il resto.
Manca la vittoria, ma il pilota di Las Vegas è spesso stato in grado,
quando ha potuto, di restare al top dall’inizio alla fine. Senza contare
sulla fortuna o sugli incidenti altrui.
8
A tratti è stato in grado di dare dei grattacapi a Johnson e dopo tante
stagioni, esattamente da quando ha portato al team Hendrick il compagno-rivale, si è finalmente ritrovato in lotta per il titolo. La posizione in classifica non rispecchia il suo anno, a tratti anche sfortunato.
Ora deve puntare a qualche vittoria in più.
Kevin Harvick
7,5
Il team Childress non è storicamente nel suo momento migliore di
forma ma comunque il cuore e il piede di Harvick fanno la differenza.
Continua a mancare un pizzico di intelligenza e freddezza tattica.
Quattro vittorie, buoni risultati e l’addio alla squadra che l’ha portato
al debutto in Sprint Cup per il team Stewart-Haas.
Kyle Busch 6,5
Continua ad essere uno dei piloti con il talento puro più brillante. Stavolta, paga qualche errorino, ma soprattutto diverse toccate ricevute
e qualche guaio tecnico, finendo comunque con il suo miglior risultato
in sprint Cup, il quarto posto. Certo, Kenseth, appena arrivato al Joe
Gibbs Racing, è stato subito in lotta per il titolo…
Kasey Kahne
6
Il “bello” del team Hendrick è l’unico che in alcune gare riesca a tenere
il passo del suo caposquadra, anche se in diverse occasioni si è perso
per strada. Spedito a muro ben sei volte quest’anno, c’è da pensare
che ci sia in qualche modo “portato”. Alla fine, chiude con due vittorie
ed il penultimo posto in Chase For The Cup.
76
Kyle Busch
Matt Kenseth
77
NASCAR
IL PAGELLONE
Jimmie Johnson
78
Kevin Harvick
Dale Earnhardt
6
Ryan Newman
5,5
Greg Biffle
5,5
Joey Logano
5
Carl Edwards
5
Clint Bowyer
4
Le prestazioni in pista continuano a non tenere il passo di una fama
più grande di lui, anche se sul finale di stagione si sono viste ottime
cose, e ha mostrato finalmente consistenza e aggressività. Peccato che
non basti, e le vittorie non arrivino, e dopo tante occasioni mancate
avere in squadra Johnson non lo aiuta.
Ammesso a conseguenza del Richmond-gate nella corsa al titolo, ha
brillato solo a tratti - troppo brevi - rimanendo spesso coinvolto in
incidenti. E’ vero che non è stato il migliore anno dello Stewart-Haas
Racing, ma alla fine Newman si è visto precedere anche da Kurt Busch.
Tanto odiato e assunto proprio da Stewart e Haas dopo il suo allontanamento. Nel 2014 correrà per il Richard Childress Racing.
Diversi buoni risultati. ma non abbastanza considerando che guida
per una vera superpotenza in termini di budget e tecnica. Passa un
po’ dal non avere la grinta, a qualche esagerazione. Quello che ha per
battere Johnson sembra non bastare.
L’ex giovane promessa entra in Chase For The Cup al contrario del
campione in carica Keselowski e regala al team Penske una vittoria.
Però, nei playoff approda solo a grazie ad uno degli intrighi di
Richmond anche se, al contrario di Truex, non viene penalizzato. In
più, pesa la toccata rifilata di proposito a Hamlin che ha causato al
rivale un serio infortunio alla schiena.
E’ davvero incomprensibile, il Roush Fenway Racing. Nonostante un
budget da top-team e materiale di prim’ordine, i suoi alfieri non riescono ad emergere. Dopo la sconfitta ad opera di Stewart nel 2011, il
pilota del Missouri non è stato più lo stesso, anche se sembrava essersi
ripreso ad inizio stagione. Per la squadra ci saranno grandi cambiamenti, vedremo il risultato.
Anche se avesse avuto buoni risultati in Chase For The Cup, sulla sua
stagione pesa come un macigno il testacoda “di proposito” in Michigan, e lui non si è ripreso. Un anno da dimenticare con un colpo di
spugna prima possibile.
79
WTCC
I PROTAGONISTI
IL
PAGELLONE
DI FINE ANNO
Diamo i voti ai protagonisti del Mondiale
Turismo che hanno partecipato a tutte
le prove di una stagione lunga
e combattuta e che ha visto
uscire vincitore il solito Muller
80
E
81
WTCC
I PROTAGONISTI
82
Dario Sala
Yvan Muller
10
Gabriele Tarquini
9,5
Per la prima volta dopo anni ha corso da privato e senza aver affontato
i test che una Casa ufficiale normalmente affonta. E' vero che disponeva della miglior macchina, ma lui ha saputo sfruttarla come nessuno. Il successo lo ha costruito con la massima costanza possibile. In
prova ha ottenuto otto pole position che significano 40 punti. Poi,
sono arrivate sette vittorie e tanti, tanti piazzamenti. La solita macchina da guerra fatta di velocità e intelligenza. Ad oggi il miglior pilota
di vetture Turismo.
Non gli si può dare dieci solo perché non ha vinto il titolo. Gabriele
in ogni caso ha portato a termine una gran stagione da pilota ufficiale
Honda, facendo crescere la macchina moltissimo. Due vittorie e diversi podi sono il bottino, ma anche molte battute a vuoto, per incidenti
o affidabilità, che alla fine hanno pesato sulla lotta finale. Quando però
ha potuto, è stato il solito leone... anzi “cinghiale”.
James Nash
9
Rob Huff
9
Tom Chilton
8
Norbert Michelisz
8
Michel Nykjaer
8
Ha vinto il titolo degli Indipendenti al secondo anno nel WTCC. La
sua è stata una buona stagione nella quale ha mostrato notevoli
miglioramenti. Alla fine sono arrivate anche due vittorie, ma sulla
costanza per finire tutte le gare nelle zone alte della classifica c'è ancora molto da imparare. Il potenziale comunque sembra esserci.
Il campione del mondo 2012 è passato dalla macchina più forte del
lotto alla più vecchia. La Seat Leon della Munnich per quanto ben preparata è una macchina ormai datata. Rob però, non si è perso d'animo
e alle fine è riuscito a portarla al successo, dimostrando un certo
mestiere e attitudine alla vittoria. Anche per lui due prime posizioni,
una delle quali nella ormai sua Macao.
Alla vigilia della gara di Macao sembrava addirittura poter ottenere il
secondo posto in classifica generale. Come spesso accaduto, è invece
rimasto con un pugno di mosche in mano. Qualche errore di troppo
ha segnato la sua stagione. Sono arrivate due vittorie e dei bei piazzamenti, ma sono in molti a pensare che avrebbe potuto dare di più.
A volte ha offerto la sensazione di accontentarsi.
Macchina nuova, la Honda, e tante cose da imparare e capire. Norbert
con molta umiltà ha abbassato la testa e si è dato da fare. Quando la
macchina lo ha assistito non ha quasi mai tradito arrivando anche a
segnare la pole e vincere davanti allo stato maggiore della Honda.
Occorre più costanza se vorrà fare il definitivo salto di qualità.
Le due Honda di Tarquini e Monteiro
Non gli si può dare di più perché non ha finito la stagione, ma Michel
è stato davvero impressionante. Quando ha lasciato era al secondo
posto in classifica. Merito di tre vittorie e buoni piazzamenti. Non
male per uno che era rientrato nel mondiale quest'anno. Un vero peccato abbia dovuto abbandonare il campionato per motivi economici,
meriterebbe di restare in pianta stabile.
83
WTCC
I PROTAGONISTI
Josè Maria Lopez
lode speciale
Arrivare nel WTCC senza averlo mai visto e vincere non è da tutti.
Farlo nella gara di casa e con una BMW 320 TC vecchia di anni ti
rende speciale. Meriterebbe un 10, ma non sarebbe giusto verso gli
altri. Una lode però può prenderla senza dubbio. Speriamo di poterlo
rivedere il prossimo anno con la Citroen.
Tiago Monteiro
7
Tom Coronel
7
Pepe Oriola
6
Non è stato all'altezza del suo compagno di squadra Tarquini, ma alla
fine anche lui è riuscito a far vincere la Honda. Spesso ha pagato l'affidabilità della macchina (provava nuove soluzioni in gara?) mentre
altre volte ha commesso qualche errore di troppo. La stagione però,
alla fine ha svoltato in maniera positiva.
Quando la macchina glielo ha consentito lui non ha tradito arrivando
ad ottenere due vittorie. Non è colpa della Roal, ma della BMW che
sul Turismo non investe più nulla da tempo immemore. La solita guida spettacolare ha caratterizzato la stagione di Tom, ma anche qualche
errore che gli ha pregiudicato un classifica migliore.
La sufficienza arriva solo perché ha ottenuto una vittoria con la Seat
Leon per il resto la sua è stata una stagione condita da troppi zeri in
classifica. Quando è passato alla Cruze ha navigato in posizioni più
alte, ma non ha raccolto quello che le premesse indicavano.
MacDowall e Nash
84
Jose Maria Lopez
Mehdi Bennani
6
James Thompson
6
Stefano D'Aste
6
Alex Macdowall
5
Sufficienza per l'impegno. Mehdi guidava la BMW ottimamente preparata dal Proteam, ma pur sempre una macchina che ha dato tutto. Ha
ottenuto due secondi posti, ma ha collezionato anche qualche errore.
Una certa crescita c'è stata. Ora dovrà confermarla con la Honda, acquistata dal Proteam. Una guida tecnica sicura che lo aiuterà tantissimo.
La Lada era davvero troppo indietro rispetto alla concorrenza per ottenere di più. I tanti limiti della Granta hanno influito sulla sua guida.
Pochi piazzamenti a punti, qualche errore e tanto anonimato hanno
caratterizzato la stagione. Si spera nei nuovi regolamenti.
Correre in proprio con una BMW non è proprio la la cosa più facile nel
WTCC. Troppe cose a cui far fronte. Stefano ha dato ancora spettacolo,
ma la sua scelta ha chiaramente pesato sui risultati. Questa infatti è stata
la sua peggior stagione degli ultimi anni. La grinta non è mai mancata.
Stefano D’Aste
Con la macchina di cui disponeva ci si poteva attendere di più. Troppo
altalenante. Belle prestazioni a cui hanno fatto seguito troppi zeri in
classifica. Pur essendo al secondo anno con la Cruze ha perso il confronto con il compagno che vi debuttava.
85
CTCC
IL PUNTO 2013
Il movimento cinese pian piano sta crescendo e grazie all’impegno
della Federazione nazionale e di alcuni sponsor vi è un campionato
che sembra funzionare piuttosto bene: quello riservato alle vetture Turismo.
Ecco quel che è accaduto questa stagione
86
OLTRE LA GRAN
NDE MURAGLIA
87
CTCC
IL PUNTO 2013
Silvano Taormina
Cresce l'interesse verso il motorsport in
Cina, un Paese che fino a non molto tempo
fa è rimasto lontano dalla scena internazionale, ma che adesso vuole ritagliarsi un
proprio spazio nel mondo delle competizioni automobilistiche. Entrata in Formula 1
una decina di anni addietro con il proprio
Gran Premio, negli anni ha accolto anche
altre categorie come la MotoGP, il DTM, il
FIA GT1, il WTCC e il WEC. Nonostante
tale impegno, ha faticato non poco a far
breccia sugli appassionati locali soffrendo
una costante carenza di pubblico in occasione dei principali eventi motoristici internazionali. A dispetto di ciò, entro i confini
della Grande Muraglia si sta sviluppando
un certo movimento intorno al motorsport
grazie all'impegno della FASC (la Federazione automobilistica cinese) e di alcuni
sponsor istituzionali che stanno promuovendo questo sport a livello nazionale.
Negli anni sono nate così diverse serie
monomarca che hanno riscosso un certo
successo in termini di partecipanti. Tra
queste la Volskwagen Scirocco Cup, la Formula Master China e l'Audi R8 Cup solo per
citarne alcune. Questi campionati, pur
riservati quasi esclusivamente a piloti cinesi che difficilmente si mettono in gioco
oltreconfine, sono cresciuti nel corso degli
anni suscitando un certo interesse nel pubblico locale che, stagione dopo stagione, ha
affollato sempre di più gli autodromi.
PRESENTE LA FIAT
CON LA VIAGGIO
Tra i vari campionati istituiti nell'ultimo
decennio, uno su tutti è riuscito ad affermarsi con decisione. Si tratta del China
Touring Car Championship, la serie nazionale riservata alle Super Turismo. Inaugurato nel 2004, il CTCC è uno dei pochi campionati cinesi basato sulla libera competizione tra marchi e, tutt'oggi, l'unica serie
Turismo nazionale che ha abbracciato in
pieno il più recente regolamento tecnico del
WTCC (quello rispondente all'Appendice J
2011 del regolamento FIA). La formula si è
rivelata vincente e la risposta dei Costruttori non ha tardato ad arrivare. Ford, Volkswagen e Kia sono scesi in campo in veste
semi-ufficiale tramite le loro filiali nazionali mentre Honda e Chevrolet forniscono i
propri modelli ad alcune compagini indipendenti. Presente anche la Fiat, grazie
all'iniziativa di un team privato che ha sviluppato la versione racing della Viaggio
(uno dei modelli di punta nel mercato cine-
88
se). Il campionato si articola in otto appuntamenti con gara unica ed è suddiviso in
due categorie, ovvero la Super Production
riservata alle S2000 (sia 1.6l turbo che 2.0l
aspirate normalmente) e la China Production per le S1600. In quest'ultima sono presenti anche un paio di costruttori locali
quali la Baic e la Haima (oltre a Toyota,
Hyundai e Vw).
Jiang
LA FORD VINCE CON YAN
LA SFIDA CONTRO LA VW
La stagione 2013 ha riproposto ancora una
volta il duello tra Ford e Volkswagen,
entrambe presenti con quattro vetture a
testa. Da una parte la Casa tedesca ha proposto le nuove Polo al posto delle Scirocco,
sempre con il supporto tecnico della spagnola Sunred che ha messo a punto il propulsore. Dall'altra quella di Detroit è scesa
in campo con l'ultima generazione di
Focus a tre volumi, a sua volta assistita
dalla statunitense Montune. Il titolo lo ha
conquistato Andy Yan per i colori del
Changan Ford Racing Team, forte dei suoi
tre successi in otto gare. Il pilota di Hong
Kong solo nell'ultima prova di Shanghai
ha avuto la meglio sull'ex-A1 GP Tengyi
Jiang, suo compagno di squadra tra le fila
della Ford. Il campionato è iniziato nel
segno del campione 2011 Rui Wang, vincitore nella bagnatissima season-opener
di Zhuhai con la Polo del del Vw 333
Racing Team. Subito dopo è salito in cattedra Andy Yan , con i trionfi sul corto di
Shanghai, Tianma e Ordos, ha messo le
basi per la conquista del titolo. Wang ha
provato a rifarsi sotto con il successo di
Chengdu, accompagnato sul podio dai
team-mates Xiaole He e Zack Gao. Nella
successiva prova di Guandong la Ford ha
risposto con una tripletta capitanata da
Jiang, seguito da Yan e He. Il penultimo
appuntamento stagionale di Zhuhai ha
regalato l'unico successo dell'anno al campione uscente Han Han, oramai fuori dalla
contesa per il titolo. Nel weekend finale di
Shanghai ( a contorno del WTCC), a Yan è
bastato un ottavo posto per assicurarsi lo
scettro nel giorno in cui Jiang non è riuscito ad andare oltre la seconda posizione.
La vittoria di Zhendong Zhang ha permesso al portacolori della Volkswagen di avere
la meglio sul compagno di squadra Wang
per il terzo posto in campionato. Nella più
piccola China Production Class il titolo è
finito nelle mani di Xu Chen che ha portato in trionfo la Haima sconfiggendo la
Toyota Yaris del Guangzhou Racing affidata a Yang Liu.
Xu Chen
Yan
La classifica
Wang e Zhang
1 - Andy Yan (Ford) 67
2 - Tengyi Jiang (Ford) 61
3 - Zhendong Zhang (Volkswagen) 57
4 - Rui Wang (Volkswagen) 49
5 - Xiaole He (Ford) 47
6 - Han Han (Volkswagen) 41
7 - Xinzhe Xie (Ford) 40
8 - Zack Gao (Volkswagen) 32
9 - Chuhan Huang (Kia) 21
10 - Lifeng Lam (Kia) 18
11 - Shenjun Zhang (Fiat) 12
12 - Michael Song (Kia) 11
89
IL
DRAMMA
DORIANO ROMBONI
90
UNA TRAGEDIA
CHE FA
RIFLETTERE
Nel motorsport il rischio è sempre presente e al di là della retorica
del giorno dopo, nelle competizioni fatte per “gioco” o per beneficenza
o per ricordare un amico scomparso, è proprio necessario
non prestare attenzione alle più banali condizioni di sicurezza?
Luigi Ansaloni
Morire per beneficenza, perdere la vita
nello stesso identico modo di colui che
ricordi facendo quello che più ami, cioè
andare in moto. Il destino a volte si diverte,
e si sa che a volte il divertimento può
diventare nudo, crudo, beffardo, tragico.
La tragedia di Latina e la morte di Doriano
Romboni nel giorno del “Sic Day”, la manifestazione dedicata al povero Marco
Simoncelli scomparso due anni fa a
Sepang, non deve solo provocare un naturale e immancabile dolore e strazio, ma
deve anche fare riflettere. Non tanto sul
significato di vita, destino, fatalità, ma
soprattutto sulle modalità di queste tragedie, sul modo in cui si sviluppano. Romboni aveva 44 anni, padre di tre figli, era stato, insieme a Loris Capirossi e Max Biaggi,
uno dei grandi protagonisti della riscossa
italiana nel motomondiale nei primi anni
’90, prima della rivelazione di Valentino
Rossi e l’inizio del suo dominio decennale.
“Rombo” era un pilota tutto coraggio, tutto
cuore, ma non solo: pur non ottenendo gli
stessi risultati dei suoi colleghi più famosi,
aveva comunque vinto sei gare, e aveva
trionfato in circuiti come Laguna Seca, con
quella sua moto gialla Hb numero 15 che
faceva impazzire chiunque e inventava traiettorie che sembravano folli solo a pensarle. Forse non ha ottenuto quello che meritava nella sua carriera, Romboni, ma era
amato e stimato da tutti, colleghi e addetti
ai lavori, al netto di quella retorica sempre
presente in occasioni simili.
Sicuramente non meritava di morire in
questo modo, nelle prove di un circuito (a
norma? Ne siamo sicuri?) di Latina, travolto da una moto in una giornata che
doveva essere di festa, di ricordo. E il ricordo, per quanto violento, forte e tragico, c’è
stato, eccome. Rombo se n’è andato infatti
nello stesso identico modo del Sic. Un incidente che, dobbiamo essere chiari, non
può essere evitato e che sempre farà parte
delle corse a due ruote. Perché se perdi il
controllo, scivoli, cadi e rimani in mezzo
alla pista, devi solo sperare che nessuno ti
centri in pieno. Non ci sono tecnologie, vie
di fuga, e non si può nemmeno dire di tenere distanze di sicurezza, come in autostrada o nella provinciale. Non ci sono altre
possibilità. Sono le corse, e nelle corse a
volte si muore. E contro questo tipo di incidente, non c’è assolutamente nulla da fare.
Né nel motomondiale, né nelle gare ama-
toriali. Questo non vuol dire che si devono
alzare le braccia in segno di resa e non si
debbono fare delle domande. Simoncelli è
morto in una gara di MotoGP, facendo
quello che più amava, certo, ma stava
facendo crudamente il proprio lavoro, in
una gara valida per il campionato del mondo, in un circuito assolutamente a norma,
con tutte le protezioni e le precauzioni del
caso.
Romboni era un ex pilota che era tornato
a guidare solo per beneficenza, così, per
gioco, in un circuito "adatto" all'occasione.
Qualcuno, forse, e lo si dice senza voler per
forza colpevolizzare qualcuno o senza cercare per forza un responsabile, ha preso la
manifestazione per quello che era: una
garetta, un'occasione non agonistica. Questo è proprio il punto: quando si corre, in
moto o in auto, non si fa mai per gioco. Un
pilota, seppur ex, vorrà sempre vincere,
vorrà dare il massimo, perché lo ha nel
sangue, lo ha nell’istinto. Non esistono
gare o garette. Proprio per questo, la riflessione viene spontanea, senza troppi fronzoli e senza troppi moralismi: va bene, va
benissimo la beneficenza, ma è davvero
necessario farla correndo, a 200 chilometri all’ora?
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