Bruni e la Ferrari della AF Corse hanno conquistato il
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Bruni e la Ferrari della AF Corse hanno conquistato il
n. 252 2 dicembre 2013 Bruni e la Ferrari della A F Corse hanno conquistato il titolo piloti e marche nel campionato FIA WEC, un successo arrivato all’ultimissima gara nonostante i palesi favori regolamentari di cui hanno goduto le A ston Martin Vantage nel corso della stagione VISTA CON IRIDE Registrazione al tribunale Civile di Bologna con il numero 4/06 del 30/04/2003 L’editoriale TRAGEDIE SEMPRE IN AGGUATO Direttore responsabile: Massimo Costa ([email protected]) Redazione: Stefano Semeraro Marco Minghetti Collaborano: Carlo Baffi Antonio Caruccio Marco Cortesi Alfredo Filippone Dario Lucchese Claudio Pilia Guido Rancati Dario Sala Silvano Taormina Filippo Zanier Tecnica: Paolo D’Alessio Produzione: Marco Marelli © Tutti gli articoli e le immagini contenuti nel Magazine Italiaracing sono da intendersi a riproduzione riservata ai sensi dell'Art. 7 R.D. 18 maggio 1942 n.1369 Fotografie: Photo4 Actualfoto Photo Pellegrini MorAle Realizzazione: Inpagina srl Via Giambologna, 2 40138 Bologna Tel. 051 6013841 Fax 051 5880321 [email protected] 2 Motorsport is dangerous, ok lo sappiamo. Però, cavolo. Morire in una manifestazione semi amatoriale per ricordare il compianto Simoncelli, e con un incidente che più o meno ha avuto la stessa dinamica, ha qualcosa di insopportabile. Da far venire il mal di testa per settimane. Non vogliamo rivestire il ruolo di “quelli del giorno dopo”, però è vero, sia per le quattro sia per le due ruote, che quando si organizzano eventi di questo genere, post stagione, per beneficenza o anche semplicemente per raccogliere un manipolo di piloti a riposo e divertirsi, la guardia viene abbassata. E’ capitato anche a noi di partecipare a qualche corsetta kartistica di fine anno su strani tracciati, pericolosi, con pali di qua e di là, alberi non lontani. Ma tanto è un gioco dicevano anche piloti professionisti. Come dire, sappiamo bene dov’è il confine che porta al rischio totale, qui è tutto sotto controllo. Ma non è così. L’incidente stupido, banale, anche a bassa velocità, è sempre in agguato. E anche manifestazioni sciocche, inutili o meno, devono mantenere livelli di sicurezza da F.1. C’è poco da fare. E il caso Romboni lo dimostra. Una scivolata come milioni di altre, ma con una moto difficile che il povero Doriano tra l’altro non aveva mai condotto prima (quindi anche una certa approssimazione di tutti), si è rivelata fatale. Perché? Perché Romboni è finito su un altro pezzo di quella mini pista, contromano, venendo travolto da un incopevole concorrente. Possibile che professionisti come Biaggi e Dovizioso, per esempio, lì presenti, non avessero calcolato che cadendo in quelle curvette senza alcuna protezione attorno, si sarebbe finiti su un successivo pezzo di pista? Possibilissimo, perché come detto sopra, in questi eventi si abbassa la guardia. Non si considera minimamente la presenza del rischio. Dicono che quel tracciato di Latina è omologato dalla Federazione internazionale, che era stato sconsigliato di mettere balle di paglie nelle curve per impedire, appunto, di tracimare oltre. Veti incomprensibili, a nostro avviso. La tragedia di Romboni speriamo apra gli occhi a tutti. E ricordi che quando ci si mette il casco in testa, fosse per una gara di F.1 e di Moto GP o per la più inutile corsetta amatoriale tra amici, il dramma fatale è sempre lì, sospeso nell’aria, pronto a farci piombare nella più totale tristezza. Il graffio di Baffi L’INIZIATIVA LA SETTIMANA DEGLI OSCAR Come da tradizione, con l’arrivo del mese di dicembre prepariamo la selezione per l’assegnazione dell’OSCAR 2013, ovvero quello che riteniamo essere il Pilota Italiaracing dell’anno. Fin dalla sua ideazione, nel 2004, vengono prese in considerazione categorie per monoposto non superiori alla Formula 3 mentre per regolamento, chi ha già ricevuto il “premio” non può essere più candidato. E’ il caso di Raffaele Marciello, che avrebbe certamente meritato di essere presente per la vittoria nel FIA F.3 European Championship, ma essendo stato insignito del Pilota Italiaracing 2011, rimane fuori dalla competizione. Per questa stagione, dopo attenta disamina, i nomi selezionati sono soltanto cinque anziché i soliti dieci che hanno contraddistinto le precedenti nove edizioni. Non si poteva fare diversamente, i risultati ottenuti dagli italiani in campo internazionale nella F.3 europea (a parte Marciello) e nei vari campionati nazionali non sono stati particolarmente brillanti così come vi è stata una certa carenza tricolore nella Renault ALPS. Aggiungedovi la sparizione della F.3 tricolore e del Challenge Renault 2.0 capirete che di più era impossibile ottenere. Ecco quindi il nostro elenco dei candidati per il Pilota Italiaracing 2013. 4 PILOTA ITALI I precedenti vincitori 2012 – Riccardo Agostini 2011 – Raffaele Marciello 2010 – Giovanni Venturini Riccardo Agostini vincitore 2012 qui impegnato durante la stagione in Auto GP 2009 – Andrea Caldarelli 2008 – Mirko Bortolotti 2007 – Edoardo Mortara 2006 – Edoardo Piscopo 2005 – Davide Rigon 2004 – Ronnie Quintarelli I cinque nomi selezionati La giuria Antonio Caruccio (Italiaracing) Roberto Chinchero (Autosprint, Gazzetta dello Sport, Autosport Japan) Marco Cortesi (Italiaracing, Autosprint) Massimo Costa (Italiaracing, Autosprint). Dario Lucchese (Italiaracing, Autosprint) Claudio Pilia (Italiaracing, Autosprint) Dario Sala (Italiaracing) Silvano Taormina (Italiaracing) Filippo Zanier (Italiaracing) Ignazio D’Agosto 8° Eurocup Renault Antonio Fuoco 1° F.Renault ALPS Luca Ghiotto 2° F.Renault ALPS 9° Eurocup Renault Dario Orsini 5° F.Abarth Alessio Rovera 1° F.Abarth ARACING 2013 5 L’INIZIATIVA LA SETTIMANA DEGLI OSCAR Ignazio D’Agosto Ha corso soltanto nella Eurocup Renault col team KTR e dopo un avvio complicato, alla seconda stagione nella serie ha cominciato a raccogliere importanti risultati come il terzo posto a Mosca gara 2, la vittoria di Spielberg nella prima corsa e altri piazzamenti in zona punti. Su di lui grava sempre il peso della mancanza di budget che gli ha impedito di partecipare a un maggior numero di gare in altri campionati, nel suo caso il Renaut NEC 6 7 L’INIZIATIVA LA SETTIMANA DEGLI OSCAR 8 Antonio Fuoco Rappresenta la grande sorpresa del 2013. Il giovanissimo pilota del Ferrari Driver Academy ha disputato il campionato di F.Renault ALPS provenendo direttamente dal karting e subito ha lasciato il segno. Ben presto si è capito che nonostante la assoluta mancanza di esperienza nelle formule, era il candidato alla vittoria finale salendo a numero uno all’interno del team Prema. Sei le vittorie totali, quattro i secondi posti, cinque le pole. Stupefacente anche la sua unica apparizione nella Eurocup Renault a Spa, dove ha ottenuto la pole in qualifica 2 e piazzandosi quinto e quarto nelle due gare belghe. 9 L’INIZIATIVA LA SETTIMANA DEGLI OSCAR Luca Ghiotto E’ stato l’antagonista di Fuoco fino all’ultimo appuntamento del campionato Renault ALPS. Il vicentino Ghiotto, del team Prema, ha disputato una eccellente seconda parte di stagione che lo ha visto cinque volte vincitore e dominatore della tappa finale di Imola. Ghiotto ha inoltre ottenuti buoni risultati nella Eurocup Renault segnando una bella vittoria a Spa dopo essere partito col secondo crono nella seconda corsa, una pole e il secondo tempo nelle due qualifiche di Le Castellet dove in gara 1 ha terminato secondo. Campionato, quello continentale, che ha concluso in nona posizione. 10 11 L’INIZIATIVA LA SETTIMANA DEGLI OSCAR Dario Orsini Si è piazzato quinto nel campionato della F.Abarth, ma quel che ci ha convinto di Orsini è il fatto che pur entrando in gioco a stagione ampiamente avviata e disputato dodici delle diciotto gare si è subito portato al vertice. Tre vittorie dimostrano il talento del giovane schierato dalla NBC che può vantare anche quattro secondi posti, due terzi , un sesto. Siamo curiosi ora di vederlo all’opera in contesti importanti. 12 13 L’INIZIATIVA LA SETTIMANA DEGLI OSCAR 14 Alessio Rovera E’ stato il dominatore della F.Abarth. Il fatto che vi fossero pochi iscritti alla categoria non toglie merito al pilota della Cram. Partito otto volte dalla pole su diciotto gare, Rovera ha ottenuto sei vittorie, quattro secondi posti, due terzi e diversi piazzamenti a punti. Un vero protagonista insomma, che ha sicuramente lasciato il segno e che merita ora di cimentarsi in campionati di respiro internazionale. 15 WEC GARA AD AL SAKHIR ALL’ULTIMO RESPIRO Bruni e la Ferrari si sono presi il mondiale piloti e marche nella corsa finale battendo la concorrenza dell'Aston Martin, crollata proprio quando il traguardo sembrava vicinissimo 16 Filippo Zanier Chissà cosa passava per la testa di Gimmi Bruni e Amato Ferrari sul gradino più alto del podio della 6 Ore del Bahrain. Uno campione del mondo per la prima volta in carriera, re di una tiratissima Classe GTE Pro, l'altro deus ex machina di un team che festeggia la seconda iride consecutiva ed è sempre di più il punto di riferimento nelle corse per vetture Gran Turismo. Una vera e propria festa in Rosso, che per loro ha un sapore ancora più dolce perché è arrivata all'ultima gara, in rimonta contro l'Aston Martin e contro una FIA che per buona parte della stagione ha mantenuto in vigore un Balance of Performance vergognoso, che sembrava disegnato apposta per consegnare il titolo mondiale alle Vantage nell'anno del centenario del costruttore inglese. FERRARI E BRUNI PIÙ FORTI DI PLACE DE LA CONCORDE La 458 GTE, che già aveva fatto la doppietta iride piloti-costruttori nel 2012, a inizio stagione era senza dubbio ancora la vettura da battere e così in Place de la Concorde hanno pensato fosse il caso di mettere le ali alle sue avversarie con regalie di ogni tipo: aerodinamica più libera, restrittori più larghi, serbatoi più capienti e uno sconto di peso impressionante, ben 40 chili. Alla Ferrari restava ancora un vantaggio in termini di consumo? Perfetto, via 5 litri dal serbatoio della Rossa, una decisione che gli uomini di Maranello avevano accettato con una certa incredulità: "I nostri ingegneri hanno lavorato mesi per fare un capolavoro, abbinare grandi performance a consumi ridotti rispetto alla concorrenza - ci aveva detto Bruni - ora tutto quel lavoro e le risorse spese sono è buttati, cancellati in un attimo". Poteva essere il colpo di grazia, e invece no. Perché se sulla gara singola, magari sprint, normalmente a vincere è la vettura più veloce, in un campionato che si disputa su sette gare Endurance più la 24 Ore di Le Mans, alla fine sono anche altri fattori a fare la differenza. Le decisioni giuste al muretto box, i pit-stop sempre perfetti, la capacità di cogliere in ogni weekend di gara il massimo che la propria competitività permette. Questo hanno fatto gli uomini di AF Corse, tenendo duro quando le cose non giravano per il verso giusto (i quinti posti a Silverstone e Le Mans e il quarto a Shanghai) e spingendo al massimo dove invece si poteva puntare al bersaglio grosso. Le vittorie a Spa e San Paolo e il secondo posto di Austin sono state senza dubbio meno di quanto il team avrebbe meritato, ma hanno comunque permesso a Bruni di arrivare a giocarsela all'ultima gara. E in Bahrain, all'improvviso, è stato come se il destino avesse deciso di ripianare le ingiustizie di una stagione in un giorno solo: la Ferrari n°51 si è involata al comando e non lo ha più mollato, spinta da stint sempre al limite sia per Bruni che per l'occasionale compagno Toni Vilander. 17 WEC GARA AD AL SAKHIR IL TONFO DELLA VANTAGE IL SACRIFICIO DI FISICHELLA Alle loro spalle, invece, lo squadrone Aston Martin è tornato sulla terra con un botto sordo: con 5 litri in meno nel serbatoio, grazie a un nuovo BoP leggermente più equilibrato entrato in vigore già a Shanghai, le Vantage sono state costrette a stint più corti ed hanno inseguito per tutta la gara. Poi, a due ore dalla fine, i sogni di gloria sono andati in fumo insieme al V8 della vettura di Stefan Mucke e Darren Turner: il propulsore ha iniziato a tossire, e dopo una breve sosta ai box al team non è rimasto altro che spingere la macchina nel garage. Rimanevano delle speranze per il titolo Marche, ma anche quelle si sono dissolte quando il motore della vettura superstite, quella di Bruno Senna, Pedro Lamy e Richie Stanaway, si è ammutolito. Due ritiri e faccia scurissima per David Richards, che sognava un clamoroso en plein e invece alla fine ha portato a casa il solo titolo piloti Pro-Am (con Jamie Campbell-Walter e Stuart Hall), poca cosa per festeggiare degnamente i 100 anni di storia della Casa. I ritiri delle Aston hanno spianato ulteriormente la strada a Bruni, che comunque il titolo lo avrebbe vinto anche se Turner-Mucke, a cui vanno i complimenti per una stagione davvero straordinaria, fossero arrivati secondi. La seconda piazza è andata a Bergmeister-Pilet che hanno portato in pista la Porsche 991 in configurazione 2014 e hanno preceduto l'altra Ferrari di Kamui Kobayashi e Giancarlo Fisichella. Ecco, forse l'unico punto grigio nella grande festa in rosso è l'assenza del nome di "Fisico" dall'albo d'oro di quest'anno: dopo che lui e Bruni hanno condiviso la macchina per tutta la stagione, per l'ultima gara la Ferrari ha deciso di separarli, per raddoppiare le chance di titolo in caso di guai per una delle due vetture. Alla fine, però, di guai non ne sono capitati e la classifica recita Bruni campione con 145 punti, davanti a Fisichella che è secondo con 135. Se da una parte può sembrare un'ingiustizia per l'ex pilota F.1 di Jordan, Renault, Force India e Ferrari, bisogna però riconoscere che quest'anno il livello delle prestazioni da lui fornite non è stato paragonabile con quanto messo in pista da Bruni. E poi basta avere memoria per ricordare che l'anno scorso era successo lo stesso proprio a "Gimmi": per andare a vincere il titolo GT Open a Barcellona aveva dovuto saltare proprio la gara WEC del Bahrain, consegnando così il mondiale nelle mani del solo Fisichella. Come a dire che, anche in questo caso, il destino alla fine ha voluto pareggiare i conti. Disastro Aston Martin con entrambe le Vantage ritirate 18 Podio di festa per gli equipaggi dell’AF Corse 19 WEC GARA AD AL SAKHIR La Casa giapponese vince l’ultima tappa stagionale mettendo finalmente a frutto il potenziale della TS030. In LMP2 è uno-due Oak Racing 20 TOYOTA SALVA L’ONORE 21 WEC GARA AD AL SAKHIR Filippo Zanier In casa Toyota, la 6 Ore del Bahrain era una sorta di ultima spiaggia. L'idea di rientrare a fine stagione alla sede della TMG a Colonia con la mezza vittoria del Fuji come unico successo da celebrare era semplicemente impensabile, non un dramma da harakiri, certo, ma comunque un disonore per la dirigenza giapponese impersonata dal team manager Yoshiaki Kinoshita. Per questo, all'interno del team tutti avevano caricato la gara di Sakhir di significati particolari, e quando Sébastien Buemi è passato per primo sotto la bandiera scacchi l'intero staff ha tirato un grosso sospiro di sollievo. Il pilota svizzero ha provato a spaventare tutti, lamentandosi di fastidiose vibrazioni al posteriore appena salito in macchina per l'ultimo stint, ma dal box lo hanno subito rassicurato e la TS030 è arrivata a fine gara senza problemi, regalando all'ex pilota Red Bull, a Stéphane Sarrazin ed Anthony Davidson il primo, meritato trionfo della stagione. Un successo che di certo non cambia le gerarchie del campionato, che ha visto l'Audi uscire nettamente vincitrice dal confronto, ma che almeno conforta Toyota che finalmente è riuscita a dimostrare il potenziale della propria coupé. La TS030 era sembrata decisamente più competitiva non appena aveva potuto contare sul nuovo kit ad alto carico introdotto da Interlagos in poi, ma fino a sabato scorso non era mai riuscita a concretizzare quel potenziale in gara. Questa volta invece tutto è andato per il verso giusto, con un vero e proprio dominio in qualifica che durante la corsa si è tramutato in un vantaggio di performance meno impressionante, ma costante. dovuto vedere Alexander Wurz parcheggiare a bordo pista al 57° giro per un guasto al motore innescato da una perdita d'olio, anche gli uomini di Ingolstadt hanno dovuto assistere al ritiro di Loic Duval alla tornata 93, anche in questo caso per un problema al motore. A consolare Wolfgang Ullrich e i suoi il fatto che quello del Bahrain sia stato il primo ritiro per cause tecniche della R18 in 23 gare disputate nelle sue varie declinazioni. E ORA SI ASPETTA L’ARRIVO DELLA PORSCHE E ora? Ora tutti pensano al 2014: c'è infatti da respingere l'attacco della Porsche, che è già in pista da tempo, ma ha dovuto ritardare i propri piani dopo che un incendio nel corso di un test al Paul Ricard ha seriamente danneggiato l'unico telaio disponibile. Audi ha dichiarato per bocca di Ullrich che il nuovo prototipo ha già girato in due diverse occasioni, e così i più indietro sembrano di nuovo gli uomini di Toyota. Il DT Pascal Vasselon ha detto che la TS040 (così si chiamerà) non si vedrà prima di fine gennaio, ma che facendo tesoro degli errori di quest'anno sarà equipaggiata con un motore elettrico anche all'anteriore, per diventare all'occorrenza una 4WD proprio come l'Audi. AUDI SOFFRE IL CALDO FASSLER DELUDE Le Audi R18, in difficoltà con le gomme nelle prove cronometrate, sono infatti andate molto meglio con le temperature più fredde della gara, svolta per gran parte sotto le luci artificiali, ma sono sempre sembrate leggermente in affanno rispetto alle Toyota. Se poi anche ci fosse stata una chance, a buttarla al vento ci ha pensato Marcel Fassler facendosi comminare un drive-through per aver sorpassato una vettura GT in regime di bandiere gialle, ennesimo errore di una stagione poco convincente per lo svizzero. Pareggio tra i due marchi, invece, per quanto riguarda i ritiri: se i giapponesi hanno 22 Ritiro per l’Audi campione di McNish-Kristensen-Duval OAK IRIDATA MA G-DRIVE… La gara del Bahrain ha messo la parola fine anche sulla LMP2, categoria che si è rivelata combattutissima. Alla fine il titolo è stato un affare in casa Morgan-Oak Racing, con Bertrand Baguette, Martin Plowman e Ricardo Gonzalez che con il quarto posto sono riusciti a tenere alle spalle Alex Brundle, Olivier Pla e David Heinemeier Hansson, secondi al traguardo e a conquistare il titolo. I neo-iridati devono comunque dire grazie al loro successo a quanto fatto alla 24 Ore di Le Mans, che vale doppio ai fini del punteggio, perché nel finale di stagione le loro performance sono state messe in ombra dalle prestazioni del team G-Drive, che con John Martin, Roman Rusinov e Mike Conway si è aggiudicato quattro delle ultime cinque gare. Non è bastato, ma la velocità mostrata è valsa a Conway la chiamata come pilota tester/riserva della Toyota per la stagione 2014. Gran gara anche per il team Pecom, in testa nelle prime ore e protagonista con Nicolas Minassian, Luis Perez-Companc e Pierre Kaffer. Proprio quest'ultimo è finito fuori pista nelle fasi finali per un problema ai freni, impattando le barriere con il posteriore e rientrando in pista molto attardato dopo una lunga sosta ai box. L'ORDINE DI ARRIVO SABATO 30 NOVEMBRE 2013 La gioia incontenibile di Rusinov 1 - Davidson/Buemi/Sarrazin (Toyota TS030 Hybrid) – Toyota – 199 giri 2 - Lotterer/Tréluyer/Fässler (Audi R8 e-tron quattro) – Audi – 1'10"585 3 - Rusinov/Martin/Conway (Oreca 03 Nissan) – G Drive – 15 giri 4 - Pla/Hansson/Brundle (Morgan Nissan) – OAK – 15 giri 5 - Wirdheim/Reip/Lancaster (Zytek Z11SN Nissan) – Greaves – 15 giri 6 - Baguette/Plowman/González (Morgan Nissan) – OAK – 17 giri 7 - Nicolet/Ihara/Cheng (Morgan-Nissan) - OAK - 19 giri 8 - Giroix/Kerr/Dolby (Oreca 03 Nissan) – Delta ADR – 21 giri 9 - Bruni/Vilander (Ferrari F458) – AF Corse – 24 giri 10 - Bergmeister/Pilet (Poorsche 911 RSR) – Manthey – 24 giri 11 - Kobayashi/Fisichella (Ferrari F458) – AF Corse – 25 giri 12 - Lieb/Lietz (Porsche 911 RSR) – Manthey – 25 giri 13 - Nygaard/Poulsen/Thiim (Aston Martin Vantage V8) – 26 giri 14 - Companc/Minassian/Kaffer (Oreca 03 Nissan) – Pecom – 27 giri 15 - Potolicchio/Aguas/Rigon (Ferrari F458) – 8-Star – 27 giri 16 - Collard/Griffin/Perrodo (Ferrari F458) – AF Corse – 27 giri 17 - Bornhauser/Canal/Rees (Chevrolet Corvette C6-ZR1) – 28 giri 18 - Hall/Campbell-Walter/Gothe (Aston Martin Vantage V8) - 30 giri 19 - Narac/Verney/Palttala (Porsche 911 RSR) – IMSA – 37 giri Non Classificati 145° giro Lamy/Senna/Stanaway 109° giro Turner/Mücke 93° giro Kristensen/Duval/McNish 86° giro Ried/Roda/Ruberti 83° giro Krohn/Jönsson/Mediani 64° giro Wurz/Lapierre/Nakajima 44° giro Belicchi/Beche/Prost 5° giro Holzer/Kraihamer/Charouz 0 giri Auer/Weeda/Liuzzi QUESTI I TITOLI ASSEGNATI WORLD ENDURANCE DRIVERS’ CHAMPIONSHIP McNish/Duval/Kristensen 162 punti WORLD ENDURANCE MANUFACTURER’ CHAMPIONSHIP Audi 207 WORLD ENDURANCE CUP FOR GT DRIVERS Gianmaria Bruni 145 WORLD ENDURANCE CUP FOT GT MANUFACTURERS Ferrari 255 FIA ENDURANCE TROPHY FOR PRIVATE LMP1 TEAMS Rebellion Racing 173.5 FIA ENDURANCE TROPHY FOR LMP2 DRIVERS Baguette/Plowman/Gonzalez 141.5 FIA ENDURANCE TROPHY FOR LMP2 TEAMS Oak Racing - n. 35 Morgan-Nissan 141.5 FIA ENDURANCE TROPHY FOR LMGTE PRO TEAMS AF Corse - n. 51 Ferrari 458 Italia 145 FIA ENDURANCE TROPHY FOR LMGTE AM DRIVERS Campbell-Walter/Hall 129 FIA ENDURANCE TROPHY FOR LMGTE AM TEAMS 8 Star Motorsports - n. 81 Ferrari 458 Italia 136 23 FORMULA 1 ADRIAN NEWEY «AVREI VOLUTO LAVORARE NEGLI ANNI ‘70» In questa lunga e interessantissima intervista il Mago di Stratford racconta la sua vita e il suo lavoro alla Red Bull, ripercorre gli anni eroici alla Fittipaldi e alla Leyton House e confessa tutti gli errori commessi e lezioni imparate. Il suo obiettivo è di continuare fino a quando si divertirà («anche se alla Red Bull se la caverebbero anche senza di me»), per ricaricare le pile gli basta qualche giorno ai Caraibi. Dai regolamenti si aspetterebbe più attenzione all'estetica e meno laccioli, a mollare tutto ci ha pensato solo nel 2002, per colpa della troppa politica. E il sogno proibito riguarda il passato… 24 25 FORMULA 1 ADRIAN NEWEY Lei è il progettista più di successo nella F.1 degli ultimi anni. Nel 2014 dopo anni di evoluzioni ci sarà una vera rivoluzione nei regolamenti: lei partirà davvero da un foglio bianco? «La prima cosa da fare è leggere i regolamenti in maniera molto, molto attenta. Bisogna leggere cosa dicono in realtà, più che quello che intendono dire, visto che le due cose non sempre coincidono. Dopo di che, li riduco in piccole sezioni. A quel punto cerco di estrarre dai regolamenti i pacchetti aerodinamici e meccanici che rappresentano la miglior soluzione per quelle aree. Ti inoltri un po' nelle singole ricerche e a un certo punto vedi di rimettere tutto insieme. Quello per me è il punto importante, il prodotto finale deve essere un tutt'uno, e non un insieme di pezzi incollato insieme». Quante persone sono coinvolte in questo processo? «Abbiamo oltre 100 ingegneri. Alla prima idea chiave lavora un piccolo gruppo. Per la RB10 abbiamo iniziato a dividere il lavoro relativo all'avantreno e al retrotreno dal punto di vista aerodinamico, e alla parte centrale intesa come pacchetto motore-raffreddamento. Ecco, il raffreddamento sarà un punto cruciale l'anno prossimo». Gli strumenti sono ancora veramente un foglio di carta e una matita? «Per un certo verso ancora sì. Mi sono laureato nel 1980, molto prima che si parlasse di progettazione CAD! Così ho sempre usato una tavola da disegno e non mi sono mai preso il tempo necessario per studiare la progettazione al computer (ride, ndr). Il fatto è che noi essenzialmente usiamo un linguaggio e alla fine, come nel parlare, ti affidi a quello che conosci meglio. Amo la tavola da disegno perché la maggior parte del lavoro lo faccio con una scala al 50 per cento, in modo da avere praticamente la macchina sotto i miei occhi, mentre il CAD ti limita all'ampiezza dello schermo. Detto questo sarebbe troppo faticoso per una struttura come la nostra avere troppa gente che lavora attorno ad un tavolo da disegno, perché in ultima istanza tutto deve passare attraverso il CAD per essere costruito». Il team principal della Red Bull, Chris Horner, sostiene che lei è completamente pazzo e non ha paura di nulla. Ci vogliono queste doti 26 per costruire le macchine vincenti degli ultimi anni e per accettare la nuova sfida del 2014, un anno nel quale la Red Bull ha oggettivamente tutto da perdere? «Non ne sono sicuro. Credo che si tratti meno di pazzia, ma del fatto di essere fiduciosi che la strada che hai imboccato sia quella buona. Devi metterci insieme passione e la convinzione di essere nel giusto. Lo si potrebbe chiamare il 'lato artistico' della faccenda, ma alla fine devi fare un passo indietro e cercare di essere oggettivo: sto facendo davvero la cosa giusta? Se la risposta è 'no', devi essere pronto a decidere che il lavoro dell'ultima ora, dell'ultimo giorno, dell'ultima settimana finirà nel cestino». Il processo di progettazione negli altri team probabilmente non è così diverso, cosa è dunque che fa la differenza? Lei sente una 'voce interiore' che le dice che cosa è giusto e che cosa sbagliato? «No, nessuna voce interiore. La chiamo la 'regola delle 24 ore'. Sembra ancora una buona idea 24 ore dopo? Questo decide se andare avanti o tirarci una croce sopra. In realtà sviluppi una sensibilità per una procedura del genere. Il cervello è una cosa sorprendente. Magari stai facendo qualcosa di completamente diverso, ad esempio preparare una tazza di tè, e improvvisamente capisci se stai facendo la cosa giusta o quella sbagliata». Lei ha progettato così tante vetture che hanno dato la possibilità di vincere a piloti oggi entrati nella leggenda: Nigel Mansell, Ayrton Senna, Alain Prost, Mika Hakkinen e ora Sebastian Vettel. Nel farlo prendeva in considerazione i loro pregi e i loro difetti? «Quando ero un giovane progettista, Robin Herd se ne venne fuori con una March che era stata progettata attorno alle caratteristiche di Ronnie Peterson. Onestamente non so dire se ho mai coscientemente pensato a fare una cosa del genere, progettare una vettura sull'idea di quale siano le caratteristiche di un pilota». Quindi non è mai stata la monoposto di Mansell, di Prost o di Vettel, ma quella di Adrian Newey… «Be', ciò che succede è che quando lavori con continuità con gli stessi piloti, come è accaduto a noi negli ultimi cinque anni con Sebastian Vettel e Mark Webber, è che ascolti le loro impressioni e l'evoluzione della macchina è almeno in parte il risultato di questi suggerimenti. Questo sì, succede». Quando ripensa a quei nomi - Senna, Prost, Mansell, eccetera - a che livello mette Vettel? Qual è la sua classifica personale? «Sarebbe ingiusto fare una classifica, mettere uno prima dell'altro, ma quello che posso dire è che Sebastian, senza il minimo dubbio, è uno dei grandi. I grandi piloti con cui ho avuto la fortuna di lavorare avevano in comune una cosa, l'intelligenza. La capacità di guidare la macchina e di mantenere allo stesso tempo una residua capacità mentale per capire cosa stavano facendo, e poi la capacità di ricordarselo una volta che ne erano scesi. Potevano rivivere nella loro testa quello che avevano appena sperimentato e combinarlo con la professionalità necessaria parlarne con gli ingegneri». “ Sarebbe ingiusto fare una classifica, mettere uno prima dell'altro, ma quello che posso dire è che Sebastian, senza il minimo dubbio, è uno dei grandi. I grandi piloti con cui ho avuto la fortuna di lavorare avevano in comune una cosa, l'intelligenza. La capacità di guidare la macchina e di mantenere allo stesso tempo una residua capacità mentale per capire cosa stavano facendo, e poi la capacità di ricordarselo una volta che ne erano scesi. Potevano rivivere nella loro testa quello che avevano appena sperimentato e combinarlo con la professionalità necessaria parlarne con gli ingegneri ” 27 FORMULA 1 ADRIAN NEWEY Lei è nel motorsport da circa 30 anni. Che cosa le hanno insegnato tutte queste stagioni? «Che la Formula 1 è un lavoro duro! (ride). Mi piace pensare di non essere cambiato tanto in questi anni, che la Formula 1 non ha cambiato la mia personalità, se vogliamo. Se ripenso agli anni dell'università, mi ricordo che la maggior parte dei miei compagni sognavano di progettare aerei, mentre io ho sempre voluto essere un progettista di automobili. Loro hanno poi lavorato a progetti nei quali potevano vedere il risultato del loro lavoro dopo 10, 15 anni, quando l'indicazione se il loro lavoro era stato buono, cattivo o ininfluente era ormai lontana anni luce. Questo non faceva per me. La cosa eccitante della Formula 1 è che ti dà un alto livello di indicazioni. Ti senti male se hai sbagliato, ma almeno lo sai. E poi c'è il tentativo di rimanere al vertice anche nel cambiamento. Dopo la laurea andai direttamente alla Fittipaldi - a quei tempi un piccolo team di Formula 1 - dove fui assunto come assistente aerodinamico, ma poi saltò fuo- 28 ri che ero il capo aerodinamico, perché ero l'unico! Anche quando passai alla Leyton Huse, un team dove lavoravano 55 persone, con sei ingegneri in totale e io che mi occupavo dell'aerodinamica, di progettare la macchina e costruirla, si trattava di una piccola realtà. Oggi non è possibile capirlo. Oggi c'è la Red Bull Racing con 600 dipendenti, cento e più ingegneri - tutto à diventato almeno dieci volte più grande. Quindi restare al vertice nonostante i cambiamenti tecnologici e gestuali è stata una sfida eccitante. Per venire alla risposta su cosa ho imparato in questi anni: rimanere fermi è mortale». E' soddisfatto di se stesso? Si mette a sedere in quei pochi momenti di quiete e si dice 'tutto sommato, niente male'? «No, non mi fermo mai a riflettere su queste cose. Cerco di curare i miei interessi, certo, e i miei interessi sono di solito anche la mia forza. Cerco di non partecipare a troppe riunioni. Passo il 50 per cento del mio tempo al tavolo di lavoro e il resto insieme ai miei colleghi in fabbrica per vedere cosa hanno trovato. Alle gare ovviamente passo del tempo con i piloti e questo mi da modo di sentirmi coinvolto in differenti aspetti che mi stimolano molto». Si è posto una data di scadenza? Si è mai detto 'ancora tre anni e posso ritirarmi', ad esempio? O pensa mai di dire a Chris Horner o a Helmut Marko 'ragazzi, non aspettatemi in ufficio oggi, e nemmeno domani'? «Non sarebbe nel mio stile. Sono stato coinvolto con la Red Bull Racing fin dall'inizio, quindi sento un forte legame di lealtà verso tutto lo staff. Non smetterei mai senza aver dato a tutti un sufficiente periodo di preavviso. Ma la verità vera è che fino a quando continuerò a divertirmi, andrò avanti. Probabilmente il momento in cui sono stato vicino a mollare la Formula 1 è stato nel 2002. C'era troppa politica - da parte della Ferrari e della FIA - e fu veramente un momento difficile». “ Certo, la macchina ideale va veloce e ha un aspetto affascinante. Ma chiunque nel paddock preferisce una macchina veloce ad una bella, le cose stanno così. Per me sarebbe giusto che i regolamenti dessero più importanza all'estetica. Ma la velocità stravince sulla bellezza Ha mai sbagliato clamorosamente un progetto? Qualcosa che ha sempre rimpianto… «Errori ne ho fatti, rimpianti mai avuti. Macchine che non hanno funzionato nemmeno lontanamente come mi aspettavo facessero: la Leyton House del 1989, immediatamente successiva a quella del 1988 che aveva cambiato direzione a tutta la Formula 1. Disegnammo la macchina a partire quasi solo dall'aerodinamica e poi cercammo di infilarci dentro le parti meccaniche. A quel tempo, nell'era dei turbo, quasi tutti cercavano di fare l'opposto, prima progettavano la meccanica e poi guardavano al lato aerodinamico, noi avevamo priorità completamente diverse. Tornando alla storia: dopo aver prodotto una buona macchina nel 1988, esagerammo con le ambizioni l'anno dopo. La macchi- na era semplicemente troppo complicata per le dimensioni del team, e anche per la nostra esperienza. Fu qualcosa da cui trarre una lezione. L'altra macchina sbagliata, un caso molto simile a quello, mostrò che quella lezione non l’avevo imparata fino in fondo. Fu la McLaren MP4-19A, quella del 2004. La Ferrari stava spazzando via tutti, e noi sentivamo di dover cambiare radicalmente, o almeno di provare a farlo. Ancora un avvolta commettemmo l'errore di spingere troppo a fondo. Lo facemmo così tanto che ci dimenticammo di fare i nostri compiti sufficientemente bene». Riceve offerte dagli altri team? Anche se tutti sanno del suo rapporto stretto con la Red Bull? «Sì, ne ricevo. Normale amministrazione. Se non le ricevessi mi preoccuperei! (ride, ndr)». Veniamo al 2014. Tutti dicono che, da quel si è visto fino ad ora, le monoposto saranno bruttissime da vedere… «Be', è il regolamento che definisce la macchina. Certo, la macchina ideale va veloce e ha un aspetto affascinante. Ma chiunque nel paddock preferisce una macchina veloce ad una bella, le cose stanno così. Per me sarebbe giusto che i regolamenti dessero più importanza all'estetica. Ma la velocità stravince sulla bellezza». Passando proprio ai regolamenti. Anni fa sembravano fatti come il Gruviera: tanti buchi e tanto spazio per le interpretazioni. Quanto è possibile oggi interpretarli? «Sempre meno. Lo F-duct fu un esempio molto intelligente di come aggirare un regolamento; gli scarichi furono un buon modo di interpretarli. Piccoli pezzi e minimi dettagli con cui ci infilammo nei piccoli buchi del regolamento. Ma lo spazio diventa sempre più piccolo. per me sarebbe stato affascinante essere un progettista all'inizio degli anni '70. Non c'erano in pratica regolamenti, ma d'altra parte anche le risorse per le ricerche erano minime. Venivi fuori con un a vettura, la facevi girare, e se eri stato fortunato funzionava bene. Se non andava, ritiravi fuori la macchina dell'anno precedente e speravi in meglio per l'anno seguente». ” Previsione per il 2014: possibile che qualcuno si dimostri all'improvviso due secondi più veloce di tutti gli altri? «Partiamo dai regolamenti. Possiamo dividerli in due parti: il gruppo del propulsore e i cambiamenti nell'aerodinamica. Questi ultimi sono grandi, ma non come quelli del 2009. Quindi sì, c'è la possibilità che un team se ne esca con una vittoria migliore della concorrenza, ma al di sopra di questo c'è la questione relativa al cambio dei motori, e non è assolutamente chiaro se uno dei motoristi ne ricaverà un vantaggio considerevole o no. Ma la macchina che svernicerà le altre sarà una macchina che combinerà un buon telaio e un buon motore, basta sbagliare una delle due cose e salteranno fuori i problemi. Chi dunque riuscirà a ottenere questo mix ideale? E' la grande domanda per tutti i noi, e aggiungerà pepe alla stagione 2014». Newey riesce ogni tanto a staccare? «Che ci crediate o no, ci riesco. Me ne vado ai Caraibi per qualche giorno e impedisco alla mia mente di correre. La Formula 1 è un impegno veramente logorante, e uno dei trucchi è mantenere l'equilibrio, perché sarebbe davvero facile finire con il lavorare e basta». Cosa succederebbe se lei decidesse che pochi giorni non bastano e avesse bisogno di un periodo più lungo per ricaricare le batterie? «Se la caverebbero». Ma come? «Io sono solo una persona - mi auguro una persona importante - ma le cose vanno avanti, sempre. E' vero che da quando sono alla Red Bull non l'ho mai fatto, solo fra un cambio di team e l'altro» Per chiudere, lei è considerato un genio della progettazione e i suoi risultati in pista lo confermano. Ma come va nella vita di tutti i giorni? Ad esempio sa cucinare? «Posso cucinare l'arrosto la domenica e so farmi degli spaghetti, ma non vado oltre. Diciamo che sono uno nella norma, altrimenti la mia famiglia avrebbe qualcosa da ridire». 29 FORMULA 1 MARK WEBBER 30 A RUOTA libera Ritiratosi dal mondiale, il pilota australiano racconta quelli che sono stati i personaggi che hanno in qualche modo aiutato o condizionato la sua lunga carriera Filippo Zanier Per togliersi qualche sassolino dalla scarpa, Mark Webber non ha praticamente nemmeno atteso di varcare i cancelli del paddock F.1 per l'ultima volta (almeno da pilota). L’australiano ha infatti rilasciato al giornalista britannico Peter Windsor una serie di interessanti dichiarazioni che tracciano ritratti chiari, a volte impietosi, delle persone con cui ha avuto a che fare nei suoi 13 anni di Formula 1: ce n'è per tutti, a partire dall'arcinemico Helmut Marko. 31 FORMULA 1 MARK WEBBER HELMUT MARKO "Ancora non ho capito qual è il suo ruolo all'interno del team quindi... Con me è stato molto critico fin dal primissimo giorno, ma alla fine è stato lui a portare Vettel nel team e devo riconoscergli che con lui ha a fatto un ottimo lavoro. Probabilmente gli dà fastidio che… i team di F.1 debbano schierare due macchine. Però purtroppo per lui è così". PATRICK HEAD "La gente probabilmente ci vede molto diversi, ma non posso parlare che bene di Flavio e di quello che ha fatto per me. È sempre stato leale, sempre schierato nel mio angolo quando ne avevo bisogno. Non parliamo spesso, ma il suo obiettivo più recente è stato cercare di assicurarmi un sedile in Ferrari per questa stagione, e ce l'aveva quasi fatta. Ovviamente sono stato deluso come tutti dal suo comportamento a Singapore nel 2008, ma personalmente posso giudicarlo solo per come si è comportato con me, ed è stato perfetto". "Un gran carattere unito a un'enorme esperienza. Purtroppo nei miei anni con la Williams non sapevo che la sua motivazione stava calando, soprattutto a causa dell'addio della BMW al team che lo colpì duramente. Non ci volevo credere, ma semplicemente Patrick faceva fatica a farsi coinvolgere dalle corse come un tempo. Un vero peccato, a volte mi dico che probabilmente non ho visto Patrick Head al meglio. Però l'ho visto arrabbiarsi davvero un paio di volte, con le vene che uscivano dal collo, e posso garantirvi che la maggior parte dei Team Principal sono delle ragazzine timide rispetto a lui. Una delle cose più belle me l'ha detta in Brasile, nella mia ultima gara per la Williams, quando mi strinse la mano e mi disse 'mi spiace non essere riuscito a darti macchine abbastanza buone nei tuoi anni qui'. Ha significato molto per me". NORBERT HAUG FERNANDO ALONSO FLAVIO BRIATORE "Lo incontrai la prima volta al GP d'Australia del '97. Avevo appena vinto il F.Ford Festival e quindi andai da lui a dargli il mio biglietto da visita, chiedendogli di tenere d'occhio la mia carriera. Sei mesi dopo il telefono suonò mentre stavo uscendo dalla doccia ed era Norbert che mi offriva di correre la 1000 Km del Nurburgring con la Mercedes il weekend successivo. Non mi sentivo all'altezza e glielo dissi, così invece che correre feci un test, e lì iniziò il mio rapporto con la Casa. Fu un gran bel periodo, ma le cose cambiarono dopo i decolli di Le Mans e la situazione divenne ancora più tesa quando decisi di lasciare il team. Questo però, non ha mai intaccato il mio rapporto 32 con Norbert, che da allora è sempre venuto a salutarmi sulla griglia dei GP. Mi ha aiutato e appoggiato, come ha fatto con molti giovani piloti in quegli anni". "Abbiamo corso l'uno contro l'altro fin dai tempi della F.3000, quindi ci conosciamo bene. Abbiamo percorsi simili, sia nel modo in cui siamo cresciuti che nella strada seguita per arrivare fino alla F.1: nessuna scorciatoia e sgobbare duro. Come pilota penso che in gara sia il migliore in assoluto, incredibile. La sua capacità di guidare una macchina a quei livelli per due ore è eccezionale, e se guardate al suo tasso di incidenti è bassissimo, segno che sa leggere la gara come nessuno. Certo c'è stato Singapore 2008, probabilmente al suo posto non avrei accettato di vincere così, ma non si può giudicare senza sapere tutto". ADRIAN NEWEY SEBASTIAN VETTEL "Adrian è una delle ragioni per cui ho continuato a correre in Red Bull. Quando si tratta di capire come funziona una macchina da corsa è il migliore con cui abbia mai lavorato, e di gran lunga. Ho lavorato con tanti progettisti, ma la capacità di Newey di dare al pilota quello che vuole e alla macchina quello che le serve per andare forte è veramente fenomenale. La gente lo vede come un timido, e di sicuro non è l'anima delle feste, ma è iper-competitivo. L'ho visto quando siamo stati battuti di brutto, e vi assicuro che non è qualcosa che lo diverte. Allo stesso tempo, però, non è il tipo che si esalta per una doppietta, è sempre motivato e concentrato, un faro per la squadra. Non ci sono parole abbastanza buone per descriverlo, davvero. È stato uno dei primi a venirmi a parlare nel Parc Fermé del GP di Malesia (quello in cui Vettel passò Webber ignorando l'ordine di scuderia, ndr). Sapeva come mi sentivo e anche lui non era affatto contento. C'è molto rispetto tra noi". "Ovviamente è dotato di un talento straordinario. Sappiamo che la sua forza sono la velocità in qualifica e i primi cinque giri di gara, sono quelli la sua firma e la parte di gara in cui è difficile da tenere a bada, perché è bravissimo. Tra noi sono successe talmente tante cose che quando penso al nostro rapporto mi vengono in mente per lo più episodi negativi, ed è un peccato perché nella vita cerco sempre di avere rispetto per tutti e dare alla gente più di una chance per dimostrarmi chi è. Ma come ho detto tra noi sono successe troppe cose. Probabilmente quando saremo intorno ai 50 anni vedremo tutto in modo diverso, ma ora è troppo presto. E alla fine non importa più di tanto né a me né a lui, semplicemente è andata così". CHRISTIAN HORNER "Probabilmente non siamo più vicini come una volta. Christian è destinato a restare con il team per lungo tempo, probabilmente per sempre, quindi in molte situazioni deve cercare di mantenere l'armonia ad ogni costo ed evitare polemiche. Purtroppo in alcune occasioni questo è successo a spese mie, ed è un fatto che ovviamente non ha fatto bene al nostro rapporto". DANIEL RICCIARDO "È bello sapere che la bandiera australiana sventolerà ancora. Non sarà facile per lui, ma nelle formule propedeutiche è stato bravo e sicuramente merita la chance. Sa che il momento per dare tutto è adesso, e che tutto è successo con le tempistiche giuste. Si trova nella migliore posizione per lottare per il titolo, e io ci sarò sempre per un consiglio al telefono. Già me ne chiede, su vari aspetti, ma alla fine farà a modo suo come fanno tutti i piloti". 33 FORMULA 1 MERCATO PILOTI TASK… FORCE! Con Maldonado che si è assicurato l’ambito seggiolino della Lotus, ora tutti coloro rimasti in ballo si stanno concentrando sulla Force India, in seconda battuta sulla Sauber, se proprio va male, rimane la Caterham e forse la Marussia, che non si decide a confermare Chilton 34 35 FORMULA 1 MERCATO PILOTI Massimo Costa Dunque, Pastor Maldonado ha messo a segno un colpo importante assicurandosi il sedile lasciato libero da Kimi Raikkonen nel team Lotus-Renault. Nonostante il pilota finlandese non sia stato pagato dalla squadra per tutto il 2013 (vergogna mondiale), nonostante l’uscita di scena del tecnico James Allison che ha portato la squadra di Gerald Lopez al vertice, nonostante arrivino voci di motori Renault non pagati, la Lotus continua ad essere meta ambita. E dalla Gran Bretagna ci si affanna a sostenere che la trattativa con la finanziaria Quantum non è tramontata, novità importante perché se rientrasse in gioco questa entità, unita alla PDVSA portata da Maldonado il budget sarebbe veramente da grande costruttore. Maldonado e Grosjean sulla carta rappresentano una coppia estremamente competitiva, talentuosa. Entrambi hanno vinto e convinto nelle formule pro- 36 pedeutiche tra F.3 europea, World Series Renault, GP2. Di sicuro si prospetta una convivenza non facile, considerando i due caratteri estremamente focosi, toccherà al team manager Eric Boullier sorvegliarli. Con Maldonado che chiude la corsa alla Lotus, Nico Hulkenberg dirotterà probabilmente sulla Force India, ma chi troverà come compagno? Un altro nuovo arrivo, Sergio Perez, che anch’egli sperava nella Lotus? Oppure Adrian Sutil, che dalla Germania sostengono che rimarrà in quello che è stato il suo unico team in F.1? E Paul Di Resta andrà veramente in Indycar? Possibile che nessuno lo voglia dopo tre ottime stagioni con la Force India? Si parla anche di Giedo Van der Garde… Se c’è ressa e confusione per entrare nella hospitality di Vijay Mallya, anche in Sauber non scherzano. Se Perez non si accorderà con la Force India, magari tornerà nel team che lo ha lanciato formando una squadra tutta messicana con Esteban Gutierrez? E Sergey Sirotkin? Che i frettolosi russi davano per certo come guida ufficiale, e ora sembra relegato a un ruolo di terzo pilota? Ma la Sauber è certamente ambita anche da Charles Pic, che vuole uscire dalla Caterham dove potrebbe tornare Heikki Kovalainen. La Marussia ha confermato Jules Bianchi, ma ancora tarda a dare l’ok a Max Chilton. Insomma, regna la confusione, certamente aumentata con l’ingresso inatteso nel calderone del mercato piloti di Perez. Mentre non vi è traccia di Fabio Leimer, campione GP2, o di Felipe Nasr, che solo qualche settimana fa sembrava addirittura raccomandato da Bernie Ecclestone. Per il brasiliano, forse un posticino da terzo pilota in Williams. Una cosa è certa: la FIA sta pensando a rendere permanenti e identificativi i numeri con i piloti, come avviene in Moto GP. Forse farebbe meglio a concentrarsi su come far sopravvivere la metà delle squadre presenti in F.1… FORMULA 1 TALENT SCOUT COSÌ HO SCOPE RICCIARDO Il manager italiano, da anni nel motorsport dove ha anche ricoperto il ruolo di direttore sportivo della Ferrari, racconta in esclusiva per Italiaracing come iniziò il rapporto con l’attuale compagno di squadra di Vettel 38 ERTO 39 FORMULA 1 TALENT SCOUT Marco Zecchi Ho conosciuto Daniel Ricciardo a Perth, in Australia, città dove sono cresciuto. Amici comuni, mi parlarono del signor Joe Ricciardo che aveva un figlio che correva in kart, un vero fenomeno suggerivano. Gli stessi amici mi organizzarono un incontro a casa di Joe Ricciardo, vero appassionato di corse e di Ferrari, affinché lo potessi conoscere e dargli qualche consiglio sul futuro agonistico del figlio. Il padre mi parlò della carriera di Daniel in Australia e onestamente il livello del karting era ed e ancora un po’ lontano rispetto all’Europa. Mi disse poi, che l’anno successivo Daniel avrebbe corso nella Formula BMW Asia e mi chiese cosa ne pensassi. Difficile dare una risposta su due piedi, ma visto il costo e il numero di gare, di cui una concomitante con la F.1 a Sepang, pensavo che fosse una buona idea anche perché se arrivava nei primi tre del campionato, poteva accedere alle Finali BMW a Valencia. Nel 2006 il rapporto tra me e la famiglia Ricciardo iniziò ad aumentare, Loro mi informavano sui risultati di Daniel e via dicendo. Quell’anno seguivo Robert Doornbos, terzo pilota alla Red Bull. Alla gara della Malesia, Daniel si era qualificato non bene per problemi tecnici. La gara si svolse sul bagnato e la vidi dal box della Red Bull, con 40 il Dott. Marko. Daniel fece una mega rimonta arrivando terzo. Nel campionato si piazzò terzo e a Valencia, con un team di medio valore, arrivò in finale e concluse quinto. L’ACCORDO MANAGERIALE CON LA FAMIGLIA Durante l’inverno feci un accordo di management con Joe Ricciardo per seguire Daniel in Europa. Non e mai facile la convivenza con i genitori di un pilota, ma chiarimmo subito le cose ed io insistetti per fare correre Daniel nel campionato Italiano di Formula Renault 2.0 perché in quel momento era senza ombra di dubbio la prima serie nazionale al mondo di maggiore qualità, mentre il Padre di Daniel voleva farlo correre in Inghilterra, una malinconia che hanno gli australiani… Fece quindi un test con RP Motorsport e andò subito forte ripetendosi anche nelle prove successive. Alla fine, Joe mi diede ascolto e con un budget minimo trovammo un accordo con la RP Motorsport, dove da tempo conoscevo l’ingegnere di pista e sapevo che era un ottimo elemento. Daniel dall’Australia si trasferì tutto solo a Vidigulfo, ridente località nell’hinterland milanese. Il team trattò Daniel in maniera impeccabile, mettendogli a disposizione tutto quello che potevano. Ho trovato nella mia carriera poche squadre nelle formule minori in grado di avere così tante attenzioni per il proprio pilota. Intanto, con i mezzi a disposizione non certo paragonabili ai top team, Daniel cominciava ad andare veramente forte. In quel anno in Formula Renault Italia c’erano diversi piloti Red Bull… L’AVVICINAMENTO ALLA RED BULL Partiamo dal presupposto che sapevo sin dal primo incontro che Ricciardo era speciale, quindi feci tutto quello che era nelle mia facoltà per piazzare Daniel in un Drivers Academy. Red Bull certo, ma all’epoca c’era anche Toyota molto attiva con i giovani e altre realtà che potevano garantire un futuro agonistico per lui, anche perché la famiglia e i pochi sponsor non potevano sopportare un altro anno di investimenti. Il padre fu chiaro su questo punto. Parlai con Toyota, ma mi sembravano troppo “fenomeni”, quindi iniziai a lavorare per cercare di far entrare Daniel nell’orbita Red Bull, sebbene molti manager o presunti tali mi sconsigliarono questa strada, dicendo che Red Bull ad un certo punto abbandonava i piloti. Ma devo dire che tutti quelli che non hanno ricevuto la conferma nel programma Junior Red Bull, in qualche maniera non hanno mai trovato il vero successo nelle corse, chi va forte e si comporta da professionista rimane nella famiglia RB, e per me questo e giusto. Durante l’anno di corse nella F.Renault Italia, il 90 per cento delle volte Daniel arrivava sempre davanti a qualcuno dei piloti del programma Junior di Marko. E questo faceva certamente sensazione. Ho lavorato un anno solamente per permettere a Daniel di essere al via del test di Estoril di fine anno, quello fatidico della selezione dei futuri piloti Red Bull. Ho usato tutte le mie conoscenze in F.1, dove ancora oggi ricordano quanto spingevo per lui, e stressato il Dott. Marko per inserire Daniel in quel test. La conferma arrivò appena tre giorni prima ed io ma soprattutto la famiglia Ricciardo devono ringraziare il Dott. Marko che ha capito le qualità di Daniel. Il test andò molto bene e fummo tutti contenti: Daniel era diventato un pilota Red Bull. Nel 2008, corse con i colori Red Bull sempre in Formula Renault, precisamente nel campionato WEC e in quello europeo. Vinse il primo, in quello continentale se la giocò fino all’ultimo con Bottas, attuale pilota Williams. (un altro che diventerà un fenomeno), che conquistò il titolo. L’anno successivo, il 2009, il padre di Daniel mi disse che non aveva più bisogno del mio lavoro perché ormai il figlio era gestito direttamente dalla Red Bull. In quel momento mi sono sentito defraudato e triste. Avevo utilizzato contatti e mezzi che non si possono neanche menzionare per aiutare Ricciardo, ma alla fine la vita va avanti e sono rimasto amico di Daniel e della famiglia. Nel mio cuore so che, oltre al suo immenso talento, è anche merito mio se Daniel è dove si trova ora. Penso sinceramente che Daniel diventerà un giorno campione del mondo e che magari nel futuro possa correre in Ferrari. 41 FORMULA 1 SOCIAL NETWORK 42 Montezemolo ha deciso di mettere il bavaglio ai tweet sarcastici di Alonso, dall'anno prossimo tutto ciò che tocca la Ferrari sarà comunicato dalla Ferrari. Un provvedimento che ricorda quelli presi in nazionale da Prandelli e al conclave dal Vaticano. Ma, come sottolinea Ecclestone, il problema della Rossa non sta tanto nella comunicazione, ma nella progettazione TWITTARE @ TRITARE? Stefano Semeraro In attesa di sapere come sarà la nuova monoposto dopo la rivoluzione motoristica e aerodinamica, di capire se Fernando Alonso e Kimi Raikkonen potranno andare d'accordo e se i nuovi acquisti fra i tecnici saranno funzionali, e di scoprire se la Red Bull comunque continuerà ad umiliare tutti, in Ferrari una decisione è stata presa: Alonso deve piantarla con i tweet birichini. I cinguettii che hanno a che fare con la Ferrari e le sue prestazioni (peraltro tutti in inglese) che hanno fatto imbufalire Luca Di Montezemolo, primo fra tutti quello in cui invocava come regalo di Natale una Red Bull. «Gli proibiremo di twittare», ha detto il Presidente della Ferrari, «ovviamente potrà farlo come tutti, dicendo quello che gli pare, ma tutto ciò che riguarda la Ferrari sarà comunicato da noi». Non è certo una novità, questa fobia da Twitter. L’allenatore della nazionale italiana Cesare Prandelli li ha vietati, alle Olimpiadi agli atleti era stato fortemente limitato l'utilizzo dei social media. Un "cinguettio" poi assolutamente proibito ai vari cardinali riuniti in Conclave. Giusto o sbagliato? Be' nel caso dell'elezione papale sicuramente sì, viste le esigenze di riservatezza della situazione. In altre occasioni il dubbio rimane, anche perché sempre di censura trattasi: e se quotidianamente ci lamentiamo indignati che i social media e lo stesso accesso a internet vengano limitati o negati in regimi poco democratici come la Cina, l'Iran o il Vietnam, come possiamo poi invocarli per mettere al bavaglio la coscienza di un singolo atleta nel nostro liberissimo mondo occidentale? In realtà a regolare la faccenda dovrebbe bastare il buon senso, purtroppo oggi merce rarissima. Prima di vietare bisognerebbe dialogare, prima di cinguettare in maniera inopportuna - perché esistono i tweet inopportuni, eccome se esistono - basterebbe riflettere qualche istante in più. Non sarà comunque un messaggio inviato o cancellato a mutare la stagione 2014 della Ferrari. Ci vorrà una macchina finalmente vincente, un team sereno, un Alonso motivato. Che è poi il punto su cui ha messo il dito Bernie Ecclestone, che ogni giorno ne spara una, ma che quando si toglie il cappello da Comunicatore Pazzo sa cogliere l'essenza ei problemi. «Il problema è la Ferrari o è Alonso? Sinceramente non lo so - ha ammesso l'attempato Supremo fra un'udienza e l'altra del processo che rischia di cancellarlo dal Circus - quello di cui ho paura è che Alonso perda la motivazione. Mi sembra che sia convinto che il team non sia in grado di dargli una macchina vincente, e questo potrebbe far perdere l'entusiasmo che serve in Ferrari. Fernando è un vincente, e onestamente spero che l'anno prossimo torni a farlo». Lo sperano in molti, specie in Italia. Prima di pensare a twittare, bisogna pensare non farsi tritare: dalla concorrenza. 43 FORMULA 1 LA CRITICA FAT 44 Si è conclusa una stagione dominata dalla Red Bull e da Vettel, un campionato che non ha esaltato più di tanto e che ha proposto diversi aspetti discutibili, ipocrisie varie e una sensazione che chi manovra il circus non si renda conto che regole poco chiare, superficialità, miopia, stanno portando tutti sul baratro TI E MISFATTI Testi e foto Paolo D’Alessio Per fortuna è finito. Di cosa stiamo parlando? Ma del mondiale 2013, ovviamente, uno dei più stucchevoli, dei più noiosi e scontati, ed aggiungeremmo anche inutili, di tutti i tempi. Un mondiale che per mesi si è cercato di mantenere vivo artificialmente, con qualche sterile polemica, con la rincorsa ai record di Sebstian Vettel e veramente poco altro. Un mondiale che, a ben guardare, più che per la celebratissima superiorità tecnica della Red Bull, va in archivio con tante perplessità sulla salute e sulla gestione di quella che, a torto o a ragione, continua ad essere definita la “categoria regina dell’automobilismo mondiale”. Ma è veramente così, la Formula 1 continua ad essere quel campionato di riferimento che in tanti hanno descritto o il suo regno comincia a scricchiolare? E ancora quali criticità ha evidenziato nel 2013 e come dovrebbe cambiare, per tornare ad essere veramente il top dell’automobilismo mondiale? 45 FORMULA 1 LA CRITICA UNA SUPERIORITÀ ARTIFICIALE Partiamo, e non poteva essere altrimenti, dal caso Red Bull. Da anni vince, anzi no, domina la scena e tutti a tessere le lodi della monoposto del “bibitaro” austriaco e di quel geniaccio di Adrian Newey, il progettista più pagato e tra i più creativi della storia della F.1. Ma è tutta gloria quella che circonda il poker iridato di Vettel e delle sue “RB”, o c’è dell’altro? Sul fatto che le Red Bull delle ultime stagioni siano state le migliori macchine del lotto non ci sono dubbi, molte perplessità sorgono invece sul come si siano potute imporre per tanti anni di fila. Newey, lo ripetiamo, è uno dei migliori progettisti di tutte le epoche, senza dubbio il numero uno dei tecnici in circolazione. Un progettista che sa sfornare soluzioni vincenti ogni anno e, cosa non trascurabile, sa far crescere le sue creature senza soluzione di continuità, apportando significative modifiche ad ogni gara, cosa che ad esempio non accade in casa Ferrari, dove ad ogni Gran Premio vengono testati nuovi pezzi, ma quelli che poi funzionano veramente sono un numero esiguo. Ma Newey, è doveroso sottolinearlo, in questi anni è stato anche aiutato da un “for- 46 mat” che sembrava fatto apposta per esaltare le doti della Red Bull, da regole talvolta miopi, più spesso poco ponderate, che hanno portato ad una vera e propria dittatura tecnica delle monoposto austro-inglesi. Regole che hanno monopolizzato l’attenzione dei tecnici sulla componente aerodinamica, ed in particolare sulla parte posteriore della monoposto, alla ricerca di una deportanza che è diventata l’obiettivo primario dei progettisti. E’ stato così fin dal 2009, da quando cioè la Federazione ha rimescolato le carte, imponendo la grande ala anteriore a tutta larghezza, la riduzione di quella posteriore e il ritorno alle gomme slick. In rapida successione abbiamo avuto il doppio diffusore del 2009, l’assetto “rake” del 2010, gli scarichi “soffiati” del 2011, e lo sfruttamento dell’effetto Coanda di queste due ultime stagioni. Tutte soluzioni che, lo ripetiamo, hanno riguardato il fronte aerodinamico e, in particolare, l’asse posteriore della monoposto dove, con vari artifici, era possibile recuperare una spinta verso il basso simile a quella che si aveva ai tempi delle famigerate minigonne. Il tutto sotto lo sguardo compiacente della Federazione che, pur rendendosi conto della cosa, non è intervenuta o è intervenuta solo con piccoli aggiustamenti, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ora, ha ancora senso parlare di categoria regina dell’automobilismo mondiale, se la buona parte della ricerca si concentra sul fronte aerodinamico, trascurando le altre componenti della monoposto? Ha senso parlare di sofisticazione tecnica se tutto si riduce ad una mera sfida tra uomini delle gallerie del vento? Tra un ristrettissimo numero di addetti ai lavori? Probabilmente no, ma tant’è, per anni si è andati avanti così, salvo poi rendersi conto che nel 2014 la questione scarichi verrà azzerata dall’ubicazione di questi ultimi alla base della presa d’aria motore. Cosa che, per la cronaca, in GP2 accade da tempo immemorabile. Peccato che nessuno se ne sia accorto, dando vita a quattro stucchevoli edizioni del mondiale che, sia ben chiaro, Vettel e la sua Red Bull hanno strameritato, ma non hanno certo contribuito ad incrementare la popolarità della Formula 1. Anzi.... L’AFFAIRE GOMME Se le regole non cambiano, se una vettura domina per anni la scena, se lo spettacolo langue e i sorpassi latitano, cosa fare per rivitalizzare il format? Semplice, puntare sulle variabili. Introdurre, ad esempio, il kers o l’ala mobile, per facilitare i sorpassi, ma soprattutto intervenire sulle gomme, da sempre croce e delizia delle competizioni automobilistiche. Infrangendo però, una delle regole, non scritta, ma da sempre in uso nel caso del fornitore unico, secondo la quale questi accessori neri e tondi dovrebbero essere tutti uguali e concedere a tutti le medesime possibilità di affermazione. Cosa che quest’anno non ci pare proprio sia capitata. Facciamo una breve cronistoria: si parte, ad inizio stagione, con gomme di nuova costruzione e mescole che, per volontà dello stesso Bernie Ecclestone, devono degradarsi ancora più rapidamente, per garantire sorpassi e colpi di scena. Detto fatto: nei primi Gran Premi dell’anno la leadership della Red Bull vacilla, su piste che, da metà gara in poi, vengono invase da residui di battistrada che creano vere e proprie traiettorie obbligatorie, all’interno del nastro d’asfalto. L’immagine di categoria ipertecnologica, con tutti quei detriti sulla pista, non è certo delle più edificanti, ma lo spettacolo ne guadagna, ergo bisogna andare avanti così. Fino a Montecarlo, quando si viene a scoprire che le Mercedes-divora gomme di Nico Rosberg e Lewis Hamilton hanno svolto una serie di test (cosa tassativamente proibita dal regolamento) sulla pista di Barcellona, dove un paio di giorni prima si era disputato il Gran Premio di Spagna che, per inciso, aveva visto le frecce d’argento naufragare, dopo un avvio brillante. Proprio per problemi di gomme. Le accuse e i veti incrociati si sprecano, ma il tutto viene archiviato dal Tribunale giudicante della Federazione, come se nulla fosse accaduto. Tappa successiva il Gran Premio d’Inghilterra, dove le nuove gomme Pirelli, con carcassa metallica scoppiano, come si trattasse di palloncini. Cosa fare? Per motivi di sicurezza si torna all’antico, alla struttura in aramidico, vale a dire a gomme molto simili a quelle del 2012. La Red Bull va a nozze con questo tipo di coperture, la Mercedes non peggiora più di tanto le sue performance, la Lotus si riprende nel finale di stagione, dopo qualche gara di appannamento e dopo avere allungato il passo, mentre altri team, vedi Force India, ma soprattutto Ferrari, vanno in crisi, coi risultati che tutti conosciamo. Tutto, lo ripetiamo, accade in regime di monogomma, con pneumatici che teoricamente non dovrebbero avvantaggiare nessuno. Peccato che il valore di questo avverbio sia stato stravolto dagli eventi e un accessorio, come le gomme, si sia trasformato nell’ago della bilancia di un mondiale condizionato da troppe variabili... 47 FORMULA 1 LA CRITICA TRA IPOCRISIA E MIOPIA Il corvo nero, la mannaia sanzionatoria, la scure dei tagli indiscriminati, scegliete voi l’immagine che preferite, veleggiava sinistra sulla corsia box da anni, ed è bastato che una gomma non ben fissata sulla Red Bull di Mar Webber, durante un concitato pit-stop del Gran Premio di Germania, ferisse un cameraman, per fare scattare la tagliola. A partire dall’Ungheria di quest’anno, per ogni sessione di prove non cronometrate, in corsia box sono ammessi solo 25, tra fotografi e giornalisti. Il sogno di Mr. E, di cacciare via tutti dai box, affidando a tre o quattro fidate agenzie fotografiche dei soliti noti (magari con passaporto inglese) si sta concretizzando. Il tutto per sacrosanti motivi di sicurezza. Il fatto poi che il cameraman ferito fosse un operatore di Mr. E, che vuole offrire alla televisione digitale ogni minimo dettaglio dei Gran Premi, è del tutto irrilevante. Come irrilevante è la preoccupazione sulla sicurezza degli operatori dell’informazione, che non è certo una priorità della moderna Formula 1. Quando ti concedono un pass per pit-lane e pista, devi firmare uno scarico di responsabilità e sui pass è chiaramente indicato il fatto che “motor sport is dangerous”. In caso di incidente, dunque, 48 gli organizzatori dell’evento si sono tolti ogni responsabilità, ma la finalità dell’ennesimo giro di vite, come detto, è un’altra e fa capo a ragioni ben meno nobili. Quali? Tanto per cambiare, i soldi. Ogni minima possibilità di fare business va sfruttata, trascurando il fatto che buona parte della popolarità della F.1 la si deve proprio a quei bistrattati media, che da anni fanno da cassa di risonanza per un Circus che avrebbe bisogno di una profonda, radicale, ristrutturazione. E invece no, meglio mettere al bando la stampa, che spesso rompe le scatole, ficca il naso in questioni (specialmente di carattere tecnico) che dovrebbero essere circoscritte solo a pochi intimi, e soprattutto non paga i pass. Largo invece ai lasciapassare da vendere ad annoiati e incompetenti ospiti dei vari sponsor, che pagano prezzi esorbitanti, per essere ingozzati come tacchini nei vari hospitality o non vedere o capire quasi nulla dell’evento al quale stanno partecipando. Ebbene si, questo è l’aspetto meno glamour della Formula 1 “modern style”, che poco o nulla ha a che fare con la Formula 1 con la “F” maiuscola dei vari Enzo Ferrari o Colin Chapman, ma continua a produrre guadagni stratosferici. Almeno per qualcuno. E se provi farlo capire a chi di dovere, ti sciorinano dati entusiasmanti sulla popolarità della Formula 1 e sull’audience televisiva, che metterebbero a tacere chiunque. Peccato che, dopo una frequentazione quasi quarantennale del Circus, sia difficile credere a questi ritornelli. Prendiamo ad esempio la vendita dei diritti televisivi alle TV a pagamento. I dati sono impietosi per l’esiguo numero degli abbonati e questo non capita solo in Italia. Eppure te la vendono come un evento epocale, come il toccasana per incrementare la polarità della categoria regina dell’automobilismo sportivo. Balle: basta parlare con qualche ventenne per rendersi conto di come l’appeal della Formula 1 sia in netto calo e come lo spettacolo dei Gran Premi sia ormai destinato ad un pubblico di quaranta-cinquantenni che, in molto casi, spengono il video pochi giri dopo il via. Ma chi se ne frega, l’importante è sbattere fuori dalla corsia box quei rompiscatole di fotografi e giornalisti e gettare i presupposti per una pit lane ancora più esclusiva, ancora più off limit per la stampa. Una pit-lane dove, udite udite, nel 2014 pochi fortunati potranno ancora accedere “gratis” poi, a partire dal 2015 non è detto che non si paghi. E SE LA STAMPA SCIOPERASSE? In merito sono circolate parecchie indiscrezioni negli ultimi tempi e il fatto che alla Federazione sia stato recentemente ceduto l’uno per cento del business della Formula 1 non fa di certo dormire sonni tranquilli ai media. I quali, da parte loro hanno le loro brave colpe: non interessa la carta stampata, i fotografi sono solo inutili rompiscatole? Ebbene,senza emulare gli eccessi di certi sindacalisti nostrani, proviamo ad immaginare quotidiani e periodici che in tutto il mondo, almeno per un Gran Premio, escono solo con notizie e senza immagini e al posto di queste ultime tanti spazi neri: come pensate reagirebbero la Federazione ed Ecclestone? Invece no, si continua ad accettare supinamente ogni diktat, come se nulla fosse. Tanti mugugni, ma nessuna rimostranza che lasci veramente il segno e il potere dei soliti noti che cresce in una Formula 1 sempre più feudale, più isolata e più autoreferenziale. Peccato che il caso dei media “ghettizzati” in sala stampa non sia l’unico a creare inquietudine nell’attuale Formula 1. Cosa dire dell’abdicazione in favore della televisione digitale? Nulla da eccepire sulla qualità del prodotto, sulla tempestività e sulla completezza dell’informazione ma, provate a parlare con gli sponsor e vi renderete conto di quale malcontento serpeggi nei paddock. Il famoso costo-contatto, che mette in relazione i soldi investiti, col numero di persone che vengono raggiunte da un determinato messaggio pubblicitario (nel caso della Formula 1 dalla visione di un marchio presente sulla carrozzeria di una monoposto) è cresciuto a dismisura nell’ultimo anno. Un conto è trasmettere certe immagini in chiaro, e raggiungere platee di svariati milioni di persone, altra cosa è intercettare l’attenzione di un numero ridotto di potenziali consumatori. Il tutto in un periodo di grave recessione economica, dove le risorse (leggi sponsorizzazioni) diventano una merce sempre più rara e dove i team in grado di affrontare, senza patemi d’animo un’intera stagione di Formula 1, si contano sulle dita di una mano. Il mondo reale è questo, ma pochi nel Circus della velocità pare se ne siano resi conto. Quanto tempo potrà ancora andare avanti così? 49 SPECIALE IL CUORE NELLE CORSE - 8A PUNTATA America, l'etica d Uno straordinario capitolo del nostro viaggio, dedicato alla filosofia della gare americane. Andrea Toso della Dallara ci racconta le sue esperienze di oltre tre lustri a contatto con tutte le realtà made in Usa, spiegandoci la filosofia genuina e pragmatica di un ambiente dove il contatto, la partecipazione, i diritti del pubblico e l'understatement dei proprietari sono il pane quotidiano. E da solo l'affresco di un grande personaggio come A.J. Foyt vale il piacere della lettura di Andrea Toso, con la collaborazione di Stefano Semeraro Siamo arrivati, caro Andrea, ad un capitolo che personalmente mi intriga: il rapporto fra due mondi motoristici diversi, quello europeo e quello americano. Inizio citando il caro amico Fabio Della Vida, agente e talent-scout tennistico (è stato lui che ha “scoperto” Martina Hingis) e figlio di Carlo, il grandissimo organizzatore di eventi sportivi che nel dopoguerra rilanciò il tennis in Italia e portò da queste parti gli Harlem Globetrotters. Per Fabio, «il grande insegnamento di papà è stato di copiare dagli americani, che pensano le cose per il pubblico». Ti chiedo: è così anche nel mondo delle corse? Noi europei più “tecnici”, loro più attenti allo spettacolo? «Per iniziare, e per le implicazioni culturali che esprime, vorrei approfondire questo concetto sotto due aspetti: il “contatto” e il “livello di partecipazione”. Come esempio del “contatto fisico” possiamo anche partire dal confronto di sport simili. Il football americano sta al calcio come la IndyCar sta alla Formula 1. La discriminante in questo caso è: il contatto è permesso o il contatto è vietato? La risposta è che il Motor racing americano è uno sport di contatto, e il suo paradigma è la Nascar. Una delle richieste fondamentali della IndyCar nel 2011 per il progetto della nuova macchina, infatti, verteva proprio sul dato di fatto che in quelle gare il contatto c’è, ed è permesso. Compito di Dallara era ridurre il rischio delle conseguenze del contatto, cioè i danni per sé e per gli altri. Per questo la nuova Indycar presenta le innovative protezioni alle ruote posteriori e la carrozzeria è più larga delle ruote. “Contatto” significa anche vicinan- 50 za del pubblico all’evento e per questo nel calendario Indycar delle ultime due o tre stagioni sono diventati più frequenti gli eventi nei circuiti cittadini (o “street course”): Toronto, Detroit, St.Petersburg, San Paulo, Long Beach, Baltimore, Houston. Più che la velocità in curva, uno spettatore a bordo pista è colpito dall’accelerazione, dal rumore, dalla prossimità. Ovviamente il contatto implica rischio di incidenti in pista e fuori dalla pista, ed il rischio a sua volta moltiplica spettacolo, emozione, adrenalina, ricordi intensi, creazione di eroi, storia. In Europa invece il contatto è sanzionato. La F1 corre nei circuiti cittadini solo a Monte-Carlo e questa gara tuttora affascina. Le esperienze a Valencia non hanno avuto successo, mentre le gare di Singapore e Montreal sono troppo lontane e comunque scomode come fuso orario per il telespettatore a casa. In F.1 i nuovi circuiti tipo Bahrain, Istanbul, China, Mosca, Malesia, Korea, Austin non hanno sconnessioni e sono costruiti con ampie vie di fuga che però allontano lo spettatore seduto in tribuna. Oltre all’aspetto del contatto, e fortemente legato a questo, c’è l’aspetto del livello di partecipazione all’evento. In Europa appena i commissari toccano una macchina, questa è squalificata e per quel pilota la gara è finita senza discussione. Negli Stati Uniti invece i commissari cercano in ogni modo di riavviare il motore e di trainare ai box la macchina anche se incidentata; i meccanici durante la gara possono lavorare nei garage per riparare i danni per consentire al pilota di terminare la gara anche se doppiato. Per questo le macchine da corsa americane devono essere robuste, facili da smontare e da riparare, e per questo nei garage della Nascar è proibito l’uso dell’elettricità e dell’aria compressa per lavorare sulle macchine: la tecnologia differenzia artificialmente la competizione tra le persone, la tecnologia non è il cuore delle competizioni e neppure della nostra vita. dello spettacolo 51 SPECIALE IL CUORE NELLE CORSE - 8A PUNTATA Cerchiamo allora anche noi, per quanto possiamo, di sfrondare e di liberare il cuore dalla tecnologia inutile che brucia il nostro tempo personale in videogiochi e altri passatempi passivi. I benefici di questo spirito di “partecipazione”, poco comprensibile per noi europei, sono molteplici: lo sponsor vede la macchina inquadrata in televisione e ne è contento; il pubblico celebra il mito dell’ “underdog” , dell’ “outsider” che talvolta vince e comunque sempre convince; il pilota e la squadra tutta dimostrano spirito combattivo “against all odds where every position counts” perché al termine delle gare americane tutte le posizioni danno diritto a dei punti! Questo messaggio penetra positivamente nello spirito dello spettatore americano perché conferma la parte ottimista della nostra realtà quotidiana: nelle gare automobilistiche, così come nei film americani, non ci si arrende mai: la gara è contro se stessi per fare il meglio data qualunque circostanza e nonostante gli ostacoli che tutti prima o poi incontriamo. Ti confesso che in quindici anni di corse americane non ho mai visto nessuno, sia davanti sia dietro le telecamere, gioire se e quando l’avversario si ritira. Al calare della bandiera a scacchi ciascuno ha fatto il proprio meglio e su questo è misurato nel punteggio e nella considerazione dei tifosi; una vittoria in cui l’avversario si è ritirato non è una vittoria piena e il valore di una vittoria è determinato dal valore dell’avversario… A me, questa mentalità di misurarsi con se stessi e non contro qualcun altro piace tantissimo e ne abbiamo già parlato nelle puntate precedenti: se sprechi energia e pensieri ad odiare il tuo avversario e gioisci del suo male, sei un misero. E questo vale anche tra aziende che sprecano energie e soldi per conquistare, ad ogni costo!, quote di mercato invece di cercare nuove strade e sviluppare i propri prodotti». E, come accennavo all'inizio, nell'”american way” è soprattutto il pubblico a godere i vantaggi di una impostazione diversa delle gare... «Giungo ora al punto della tua citazione: chi finanzia, Chi paga il Motor Racing? La risposta è semplice: il pubblico, chi paga il biglietto e l’abbonamento alla televisione via satellite e alle riviste specializzate, chi colleziona “merchandise” (più prosaicamente mercanzia). Se il pubblico finanzia e paga, allora il pubblico è padrone e Re e il Re vuole essere divertito dallo spettacolo e pretende la precedenza. Chi è pagato fornisce “servizi”, cioè “serve” e quindi non è sempre libero di fare quello che vuole e come vuole. Il Motor Racing è quindi uno 52 spettacolo che diverte il Re-pubblico e il pubblico siamo noi. Siamo noi che finanziamo lo spettacolo a cui partecipiamo e lo finanziamo in modo selettivo acquistando un prodotto piuttosto che un altro; bibite, telefoni, automobili, orologi, carburanti. L’acquisto selettivo degli appassionati di automobili è guidato ovviamente dagli investimenti pubblicitari per cui le sponsorizzazioni hanno il ritorno dell’investimento degli acquisti: nessuno sponsor fa beneficenza. Per gli americani questo concetto è più diretto e palese; per gli europei è più indiretto e celato perché in Europa chi fornisce “servizi” cerca di sfruttare (propriamente staccare i frutti dall'albero senza pensarci troppo), di far leva sugli aspetti tecnici dello spettacolo per caricare lo spettacolo stesso di suggestioni e quindi vendere i prodotti derivati. Non vedo tanto una contrapposizione tecnica-spettacolo, quanto un rapporto più o meno diretto tra chi fornisce lo spettacolo e chi paga per goderlo. Da qui discende un diverso rispetto per il pubblico; si, penso che esista una diversa cultura del rispetto. Gli Americani sono inclusivi e sopra tutto rispettano il pubblico: ad esempio hanno una regola che definisce l’altezza massima delle attrezzature in pit lane affinché la vista dalle tribune non ne sia ostruita; le tribune sono incredibilmente vicine al tracciato; i muretti in corsia box a Indianapolis sono così bassi che si scavalcano agevolmente. I piloti devono partecipare alle “Autograph Sessions” finché c’è uno spettatore in coda. Tutte le frequenze di comunicazione radio tra i piloti e il muretto sono disponibili sul giornale locale e su Internet. I piloti, al termine della giornata di prove e qualifiche, con la tuta da gara vanno nei supermercati a firmare autografi senza scorta, senza telecamere e spiegano semplicemente: “sto facendo il mio lavoro”. Gli Europei sono esclusivi, sono attenti al marchio e lo usano per sopravvalutare la percezione del prezzo dei prodotti (macchine di lusso, accessori, profumi, pelletteria e vestiti): hai notato quanto siano rari i marchi americani nel settore del lusso? Gli Americani in generale giustificano la tecnologia solo se riduce il prezzo dei beni a pari servizi, come è evidente per gli elettro-domestici o “domestici elettronici”, quali l’aspirapolvere, la lavatrice, il telefono, la televisione; se questo non succede, gli Americani non si vergognano di continuare ad usare quello che hanno. Per la mia esperienza nel settore Motor Racing americano, osservo che se a distanza di cinque/dieci anni si discute la fornitura di una nuova macchina, gli ame- ricani pretendono una riduzione di prezzo e non sempre comprendono i costi aggiuntivi legati alla ricerca, alle nuove tecnologie di progettazione e calcolo, alle procedure di controllo qualità. Gli americani non impediscono l'accesso nel paddock, anzi il biglietto di accesso al paddock ha un prezzo inferiore a quello di qualunque tribuna perché dal paddock non si vede lo spettacolo; gli Europei invece hanno creato nel paddock delle aree ospitalità il cui invito è indice di esclusività e di prestigio. In America il proprietario dello Speedway di Indianapolis si mette in coda al chiosco per comperare in contanti un “hot dog” nel giorno della gara vestito di una T-shirt anonima, non per trascuratezza ma come segno di rispetto perché non vuole porre distanze; inoltre si mette regolarmente in coda per imbarcarsi sul charter che riporta a casa piloti e meccanici dal Giappone o da Long Beach e si siede a fianco di chi capita e con lui parla tranquillamente. In Europa ciò è impensabile. “ La Nascar è l'esempio dell'inclusività: accesso pressoché libero ai box, ai piloti, ai dati, alle officine delle squadree In che modo pensi che la natura delle corse da una parte e dall’altra dell’Atlantico sia stata condizionata, “informata” dalla diversa storia, e dalle differenze culturali e sociali fra i due continenti? Da noi l’eredità del mondo classico, negli Usa il culto della frontiera. «La geografia determina la storia e la cultura più di quanto non pensiamo. La disponibilità di spazio condiziona la nostra vita quotidiana, il nostro umore, i nostri pensieri e i nostri sogni; la potenza della geografia è così forte che se guardiamo tutto il mappamondo, dobbiamo ammettere che la civiltà occidentale non poteva non iniziare in Grecia (un mare ampio ma chiuso con molte isole tra loro vicine) e in Mesopotamia (una ampia terra fertile tra due fiumi importanti) il cui clima favorisce la vita all'aperto e lo scambio di merci e di idee. Lo spazio aperto, la prateria, i cavalli liberi, le “strip” dei dragster del New Mexico proprio non possono esistere in Europa. L’av- ” vento delle prime automobili in Europa a inizio Novecento ha sconvolto l’urbanistica delle città vincolate da mura e fossati centenari, caratterizzate da vicoli stretti accessibili a piedi o con un solo cavallo e punteggiate da poche piazze perché lo spazio all’interno delle mura era prezioso: proprio in Italia, nel Medioevo, abbiamo inventato il concetto di Comune che significa “cum-moenia” o “cum-munus” cioè “mura a difesa di uno spazio comune” e “doveri comuni”. Non esiste una città americana che abbia avuto mura di cinta e strade strette, anzi la città di frontiera americana si sviluppa lungo la dritta via principale, celebrata nei film di genere western e luogo ideale per gli inseguimenti a cavallo tra lo sceriffo e i briganti». Proviamo ora a fornire un quadro sintetico di come si differenzia la struttura delle corse da noi e da loro? Quali categorie sono più importanti, chi le finanzia, quale filosofia sta dietro al loro sviluppo. «La Nascar e' l'esempio dell'inclusivita': accesso pressoché libero ai box, ai piloti, ai dati, alle officine delle squadre. In termini di immagine (vetture a ruote coperte ) e di valore commerciale (budget tipico moltiplicato per il numero degli iscritti più contratti pubblicitari), questa categoria è analoga al DTM e ai Prototipi Le Mans Europei e richiede l’esposizione diretta di tre o quattro costruttori di automobili: in Nascar troviamo GM, Toyota e Ford; in DTM ci sono BMW, Audi e Mercedes; a Le Mans gareggiano Porsche, Audi, Toyota e Honda. Nel settore delle ruote scoperte, sia la Formula 1 sia la IndyCar sono finanziatate non solo dai costruttori automobilistici, ma anche da colossi multinazionali che producono beni e servizi di consumo quali bibite energetiche, telefoni, compagnie di assicurazione, elettronica... Ma la Formula 1 rispetto alla Indycar ha un valore commerciale di almeno un ordine di grandezza superiore. La Formula 1 è l’esempio dell’esclusività: le dichiarazioni, i video e le fotografie dei pilo- 53 SPECIALE IL CUORE NELLE CORSE - 8A PUNTATA “ AJ Foyt è un personaggio di frontiera di quasi due secoli fa, cuore immenso e spirito affascinante ti sono filtrate e verificate da poderosi uffici stampa; le immagini riprese durante l’evento da chiunque sono proprietà intellettuale della F1! Per rispondere alla seconda parte della tua domanda, onestamente non comprendo la filosofia che si nasconde dietro lo sviluppo tecnologico previsto per la Formula 1 2014 con motori turbo, batterie, freni rigenerativi. Vedremo». Da dove nasce la passione americana per gli ovali, che noi non condividiamo? «Torniamo ai cavalli! Gli ovali sono derivati dagli ippodromi, con piste di terra battuta non asfaltate. Su questi ovali, di lunghezza variabile dal quarto di miglio (400 metri) ai due miglia e mezzo (4 chilometri di Indianapolis e Pocono) si organizzano gare di “Midget e “Late model”, automobili con motori di oltre 600 cavalli. Questa tradizione è molto radicata e diffusa: i piloti gareggiano due o tre volte alla settimana, arrivano al pomeriggio con la macchina da corsa caricata sul rimorchio e tornano a casa a tarda sera dopo la gara; spesso tra i piloti puoi vedere i celebri 54 ” professionisti della Nascar gareggiare nelle Midget con vero impegno e Talvolta i campioni delle Midget competono con discreto successo alla 500 Miglia di Indianapolis (nel 2012 Bryan Clauson e in anni precedenti JJ Yeley, Jason Leffler, Steve Kinser). E’ più difficile per un pilota americano adattarsi al nostro modo di correre, o vice-versa? «A parti invertite negli stessi anni e circa con le stesse macchine, Michael Andretti ha corso in Formula 1 alla McLaren e Nigel Mansell ha corso in IndyCar con Newman-Haas. Gli anni di Mansell in IndyCar e di Michael Andretti in Formula 1 sono stati il perigeo tra le orbite della Formula 1 e della IndyCar e forse in quegli anni abbiamo perso l’occasione per stabilire un campionato del mondo del Motor Racing a ruote scoperte con regole simili. Conosco personalmente Michael Andretti ed ho parlato con lui un paio di volte della sua esperienza in Europa: ho inteso da lui che il motivo principale del suo insuccesso in Formula 1 è stato l’ambiente un po’ nevrotico e auto-referenziale ed essenzial- mente poco rispettoso dei diritti del pubblico. Tra i piloti con esperienza europea ed un discreto successo negli Stati Uniti oltre a Mansell ricordo Mario Andretti, Alex Zanardi, Juan Pablo Montoya, Eddie Cheever, Dario Franchitti, Tony Kanaan, Helio Castro Neves, Dan Wheldon e Kenny Brack: in generale posso dire che i piloti che gareggiano nelle gare americane sono o sono diventati più sereni, disponibili e semplici di cuore. Un pilota italiano capace di conquistare il cuore degli americani è stato Alessandro Zanardi: quale la chiave secondo te del suo successo umano, oltre che professionale, negli Usa? «Alex, quando parla, tocca il cuore ed esprime emozioni semplici e dirette; muove le mani, mostra una ricchissima varietà di espressioni facciali e sfodera un repertorio infinito di storie, storielle, aneddoti e barzellette; ha una mente lucida e razionale, due mani d’oro con cui riesce a fare miracoli al tornio nel suo garage e infine ha il talento di andare veloce con qualunque mezzo con due AJ Foyt a Indy nel 1967 ruote o più. Alex è italiano e negli Stati Uniti ha incontrato l’italiano Ganassi, così italiano che il suo soprannome “Chip” è legato a come la madre di origine piemontese lo chiamava per significare “piccolo mio”. I due si sono trovati e si sono piaciuti al punto che Alex è l’unico ad avere una macchina di Ganassi: tutte le altre macchine, di tutti gli anni, sono gelosamente custodite nella sede della squadra a Indianapolis. Alex e' sovrumano quando si impegna nelle sfide impossibili ed è modello di comportamento positivo per una intera generazione di ragazzi di tutto il mondo». So che hai avuto modo di incontrare A.J. Foyt: che personaggio è? che esperienza hai tratto dall’incontro? «Conosco AJ dal 1997, quando per la prima volta abbiamo progettato e costruito le Indycar per i circuiti ovali: per quella stagione di corse A.J. aveva comperato da noi quattro macchine senza neppure chiedere un preventivo, nulla!. Ma noi all’epoca eravamo così ignoranti delle gare sugli ovali che il risultato della prima gara fu disastroso e la domenica stessa, prima della fine della gara, AJ. aveva già comperato quattro macchine della concorrenza. Per tutte le gare della stagione, A.J. ci ha osservati da lontano per vedere come reagivamo alla difficoltà. All’ultima gara, ha rispolverato dalle ragnatele una delle nostre macchine, senza avvisarci, senza chiedere dati e assetti e... ha vinto la gara. Da lì in poi si è dimostrato un uomo di una dolcezza infinita, prodigo di consigli, mai in ritardo nei pagamenti. Quest’anno a Indianapolis dopo una grave operazione alla schiena era tornato in pista per seguire le sue macchine ed aveva saputo che eravamo lì nelle vicinanze: senza esitazione ha piantato in asso gli appuntamenti con giornalisti e operatori per venire a trovarci. Dice spesso “No phoonies”, che in Texano descrive i venditori incompetenti, sorridenti fuori tempo, vestiti bene e vuoti dentro; altre espressioni tipiche hanno a che fare con lo “sterco del toro” e compagnia cantando. La sua frase preferita è: “A.J. crede negli Stati Uniti, nella famiglia e in se stesso, e non necessariamente in questo preciso ordine”. Quando in pista sento di dover ricaricare le pile dell’entusiasmo, vado da lui e lì mi sento un personaggio della favola di Esopo del vecchio Leone saggio che tiene udienza nella sua caverna. In meno di tre minuti ti fa la pesatura come Minosse: se non gli piaci, non gli piaci per tutta la vita ed allora è meglio che gli giri intorno e bene al largo perché ti può anche sparare! E’ uno “vero”: si è qualificato a Indianapolis senza tuta e con la T-shirt, durante una 500 Miglia si è fermato ai box, è sceso dalla macchina, ha regolato personalmente l’alettone, è risalito ed infine ha vinto la gara! E’ un personaggio di frontiera di quasi due secoli fa, cuore immenso e spirito affascinante, è soddisfatto della vita che ha vissuto e così goloso di gelati che fa installare una macchina per gelati nel suo garage durante la 500 Miglia di Indianapolis, a disposizione di tutti, ma proprio di tutti, compresi i tifosi. Il fatto che a 76 anni mi abbia invitato nella sua officina sperduta nelle praterie del Texas e che abbia annullato una sessione di fisioterapia in ospedale per incontrarmi mi ha fatto tremare dalla commozione». Indianapolis, il grande mito americano delle corse. Ti sfido a spiegarci cosa significa nello spazio…. Di una risposta. «Indy 500 non e' “la gara delle 500 miglia”, ma la ricorrenza del Memorial Day che commemora tutti i soldati americani morti in battaglia. Indy 500 non e' una gara internazionale, ma profondamente nazionale e locale. Le celebrazioni del Memorial Day nel circuito di Indianapolis iniziano alle 8 del mattino con sfilate di reduci, inni, applausi, lancio di palloncini e preghiere che culminano, appena prima della partenza della gara e dopo cinque ore di liturgia collettiva, nel canto struggente e lugubre di “Back Home Indiana”. Questo canto richiama alla memoria e a casa nell’Indiana, vivi o morti, tutti gli uomini caduti in battaglia. Indy 500 rinnova ogni anno ai presenti il legame arcaico tra gloria e morte, cioè il senso (più o meno condivisibile, ma comunque fortissimo) del combattere per la patria e per la gloria. È il Mito della sfida a viso aperto con la morte. Subito dopo questo canto segue un breve silenzio profondo e vibrante, quindi Mary Hulman scandisce al microfono le stesse parole che da cento anni danno inizio alla gara: “Ladies and Gentlemen, start your engines!”. Sempre le stesse parole, niente di più, niente di meno: ogni volta non trattengo le lacrime per l’emozione. Lo Speedway di Indianapolis, durante la Indy 500 e' la Cattedrale dove si celebra il Rito del Motorsport, nel senso di vero spirito sportivo. Chi va a Indianapolis per assistere alla gara ogni cinque/dieci anni probabilmente non coglie il senso dell’evento e forse pensa che questo spettacolo sia ruspante e grezzo. Ma il Mito 55 SPECIALE IL CUORE NELLE CORSE - 8A PUNTATA di Indy è semplice, negli anni sempre uguale a se stesso: gli attori, cioè i piloti, gli ingegneri e il pubblico stesso, cambiano nel tempo ma di questo Mito sono ministri, cioè servitori. Rutherford, Unser, Foyt, Andretti, Parnelli Jones, Mears, e tanti altri piloti plurivincitori della 500 Miglia, quando a Indianapolis camminano nei garage non cercano le inquadrature delle telecamere, ma sono timidi testimoni del loro incontro con la gloria e la morte». Esistono, fra Europa e Usa, anche due modi contrapposti di a la interpretare l’engineering motoristico? «Rispetto ai circuiti europei, i circuiti americani sono più sconnessi, la manutenzione dell’asfalto e delle strutture è più approssimativa: per questo gli ingegneri nelle gare americane lavorano di più sugli ammortizzatori, sulle regolazioni meccaniche, sull’affidabilità, sulla riduzione degli attriti e sul raffreddamento piuttosto che sui dettagli dell’aerodinamica. Gli ingegneri ed i meccanici americani hanno un rapporto molto forte con i propri piloti i quali sono realmente parte del team senza finzioni e senza artifici perché gareggiano per numerosi anni nello stesso team e frequentemente restano nelle officine a scherzare con i meccanici e ad accogliere i visitatori occasionali». Il recente film di Ron Howard, “Rush”, è il tributo di un regista hollywoodiano ad una categoria in fondo poco popolare negli Usa come la Formula 1. Vorrei sapere se il film ti è piaciuto e se ne hai tratto qualche considerazione sull’argomento. «Sì, il film mi è piaciuto perché coglie il cuore delle corse, che è per me la sfida tra uomini. Il film mi è piaciuto perché offre pochi o minimi cenni al budget, al motore o alle gomme, all'aerodinamica o alle sospensioni, tutti aspetti tecnici che scolorano nel tempo. Solo le imprese degli eroi muovono e commuovono, al di là del fatto di guidare una McLaren o una Ferrari (con buona pace di Enzo Ferrari). Il successo di Dallara negli usa è invece la prova che fra i due mondi ci possono essere rapporti profondi e proficui: ci spieghi come è nata e in cosa consiste la “chimica” fra Varano e gli States ? «La chimica del nostro successo? La profonda convinzione che la stima viene prima degli affari. Se, per forzare un buon affare per te ma cattivo per la controparte, svendi la stima, in un sistema chiuso e limitato quale la comunità del Motorsport e all’occasione successiva 56 sei messo fuori dal giro. Forse gli Inglesi di Lola, Reynard e GForce erano visti con il pregiudizio timoroso dei coloni verso gli imperiali dominatori di Sua Maestà Britannica, certo è che noi di Dallara ci siamo sempre messi al livello dei nostri clienti e talvolta anche un po’ sotto. In quindici anni di gare americane, di fronte alle scelte più delicate, ho sempre chiesto a me stesso: questa decisione alternativa è nell'interesse della comunità IndyCar nel lungo termine? Se la risposta era positiva, anche se la strada comportava vantaggi inferiori per Dallara, ho sempre aderito con convinzione e il tempo ha pagato con una misura “piena, scossa e traboccante” come si recita canta nel Salmo. A questo proposito vorrei confrontare le due teorie economiche del prezzo, il “prezzo di mercato” e il “giusto prezzo”. La teoria del “prezzo di mercato” vale per prodotti di massa in mercati aperti o in forte espansione, in cui non conosci personalmente il tuo cliente e il tuo cliente non conosce il prodotto bene quanto te: pensiamo ad esempio a prodotti come un televisore, un telefono, una lavatrice o un personal computer. In questo tipo di mercato devi lottare per il fatturato, i volumi, rinforzi il marchio, combatti i concorrenti e solleciti i fornitori per cercare un vantaggio competitivo in un oceano di prodotti simili; qui il prezzo è basato sulla percezione del valore da parte del cliente e per migliorare questa percezione fai leva sul marchio. La teoria del “giusto prezzo” si applica invece in mercati limitati o in decrescita. Le domande fondamentali per riconoscere in quale dei due contesti si trovi il Motor Racing sono due e molto semplici: “Conosci personalmente i tuoi clienti?” e “Il tuo cliente conosce il prodotto meglio di te?”. Nell’ambito del mercato a “giusto prezzo” il fornitore non sfrutta, ma rispetta il cliente: pensiamo all’artigiano di “Madame” nel suo “atelier” a Parigi nel ‘700 o a Michelangelo che nel ‘500 dipingeva la Cappella Sistina per il Papa. Io vedo il Motor Racing come un mercato per cui per lo più vale la teoria del “giusto prezzo” perché le macchine da competizione non sono prodotti di massa, perché i fornitori conoscono personalmente i clienti (“le squadre corse”) e perché i clienti conoscono il prodotto come e più del fornitore perché solo loro usano in pista le macchine da corsa. Da qui discende che secondo me Dallara è più simile all’artigiano nel suo atelier che ad una fabbrica. Così Dallara oggi come l’artigiano a Parigi nel ‘700 che lavorava nell’atelier a fianco del palazzo, fa da moderatore del consumo eccessivo, decide le piccole scorte tenendo conto della realtà della propria clientela che conosce molto bene e personalmente. Nel definire il prezzo, l’artigiano segue il concetto di "giusto profitto", per sopravvivere con dignità e lasciare in eredità ai figli l’attività; non può seguire la teoria del Dizionario "prezzo di mercato" che richiede la profonda conoscenza dei prezzi della concorrenza e delle relazioni multinazionali, la stima precisa dei propri costi fissi di struttura e di magazzino. L’artigiano tratta merci arcinote, contratta il "giusto prezzo" con il cliente arrivando velocemente all'accordo sul valore. L’artigiano dell’Atelier del ‘700 trattava bene la domestica di Madame per deferenza e talvolta convenienza, ma Madame lo minacciava di andare a comperare altrove; l’artigiano faceva piccoli doni nelle grandi occasioni per ottenere la benevolenza di Madame e talvolta faceva la cresta: c’era di fatto un forte legame di reciproca dipendenza tra cliente e fornitore. Anche oggi gli Atelier del Motor Racing, eredi dell’artigiano, riescono a porsi come depositari di affidabilità, merito, riservatezza e confidenzialità e il "giusto prezzo” tiene in vita sia il cliente sia il fornitore, legati tra loro da consuetudini e da un destino comune; l’applicazione del "prezzo di mercato" potrebbe risultare distruttivo per uno o per l'altro. Nella teoria del "giusto prezzo" il cliente conosce il fornitore e sa come il fornitore spende i soldi e lo giudica, potendo anche alla fine cambiare fornitore e quindi interrompere la relazione; il cliente talvolta compra a credito o con dilazione, può sostituire la merce, ricevere dal fornitore dei consigli e raccontargli pettegolezzi senza timore di leggerli il giorno dopo su Internet». Frizione " dal latino "frisare", in italiano "fregare" o “sfregare”. Il termine descrive il principio di funzionamento della frizione che genera attrito in funzione della forza tra due superfici in movimento che sfregano tra di loro. Sterzo Una parola di d'origine longobarda che descrive il "manico dell'aratro". Autodromo Torniamo alle corse dei cavalli da cui tanti vocaboli del Motor Racing derivano. Nel primo novecento, con l’avvento prepotente delle automobili, la parola Autodromo è stata coniata per analogia a ippo-dromo, lo stadio per le corse dei cavalli. Circuito (Circo ) Un’altra parola legata al vocabolario dei cavalli! Simile a cerchio, indica l’area quasi ovale e comunque a perimetro chiuso di un anfiteatro nel quale si eseguivano in epoca romana i giochi specialmente equestri Corsa Dal latino “correre”, proprio dell’acqua dei fiumi; è una parola nata in Italia nel ‘700. Ecco una divertente definizione dell’epoca: “propriamente l’atto del correre e in senso speciale l’andare girando e rigirando che fanno le carrozze e le persone per passatempo o sollazzo in una o più vie della città”. Da questa parola sono nate poi “Corsia” (lo spazio vuoto o delimitato nei teatri o negli stadi), “Corriere” (informazione scambiata durante la corsa), “Corsaro” (pirata inglese che con navi piccole e velocissime attaccava i galeoni spagnoli carichi d’oro), Corsivo (scritto di “corsa) Lap Dall’inglese medioevale læppa che significava “striscia” o “ornamento di un vestito”, nel senso di garlanda, parte inferiore di un vestito. Da lì nel ‘700 è passato a indicare “aggiunta di una stoffa sopra un’altra”, “ ricopertura” e nel tardo ‘800 il significato si è esteso al gergo delle corse dei cavalli nell’espressione “lap somebody” or “get a lap ahead (of someone) on a track" Una vista del Museo Dallara a Indianapolis Giro “Gyros” in greco e latino, indica “curvo”, “rotondo”, “piegato ad arco”: propriamente la linea tracciata sul terreno per delimitare uno spazio di proprietà. 57 RALLY IL PAGELLONE DI FINE ANNO 58 L’ANNATA PERFETTA DI OGIER 59 RALLY IL PAGELLONE DI FINE ANNO Guido Rancati Sébastien Ogier 9,5 Valter Pierangioli 9 La sua non è l'annata perfetta, ma gli somiglia assai. Nove volte primo e sette volte autore del miglior tempo nella Power Stage, il francese conquista il suo primo titolo iridato e trascina la Volkswagen alla conquista del mondiale costruttori. Tanta roba. Poche o tante che siano, alla vigilia del Puglia e Lucania, l'aritmetica gli concede ancora qualche chances di accaparrarsi la coroncina dei terraioli. Invece, davanti a un elenco iscritti miserrimo, il vignaiolo senese rinuncia a partire. Perché un titolo varrà anche qualcosa, ma la dignità non ha prezzo. François-Xavier Demaison 9 E' tutto vero: la Volkswagen gli ha messo a disposizione un budget considerevole e un asso come Ogier e gli ha dato la possibilità di testare la Polo in ogni situazione. Ma è anche vero che Efics, al debutto come responsabile di un progetto, ha fatto vedere di saperci fare parecchio. Più di tanti che, chissà perché, se la tirano da fenomeni. Sébastien Loeb 8,5 Thierry Neuville 8,5 Jost Capito 8,5 Si accomiata dalla serie iridata con una capriola fuori programma sull'asfalto di casa sua e non è bello. Ma nelle altre tre sortite l'Extraterrestre raccoglie due vittorie e un secondo posto per un totale di sessantotto punti che equivalgono a una media di diciassette punti a ogni presenza. Inferiore solo a quella di Ogier. Torna dal Monte-Carlo a mani vuote e quelli che sanno sempre tutto scuotono la testa. Ma non sempre il buon giorno si vede dal mattino e il resto della stagione si incarica di dimostrare quanto il ragazzo ci sappia fare: undici volte su tredici all'arrivo, va a podio in sette occasioni e ripaga così la fiducia accordatagli da Malcolm Wilson. Con interessi da strozzinaggio. La Polo non l'ha disegnata lui e non è lui che l'ha pilotata sulle strade del mondiale. Ma il team principal della Volkswagen ha il merito di evitare ogni tensione interna e, soprattutto, l'onestà intellettuale necessaria a riconoscere che la maggior parte del merito va attribuita al nuovo fenomeno francese. Malcolm Wilson 8 Le sue armate non fanno sfracelli e nella classifica finale del mondiale costruttori sia Volkswagen, sia Citroen sono davanti alla Ford. Ma senza di lui e la sua MSport il Grande Ovale Blu non sarebbe stato neppure in campo. E Neuville non ce l'avrebbe forse fatta a mostrare tutto il suo valore. Giovanni Bernacchini 8 Quei fenomeni che si occupano della comunicazione della federazione italiana sono troppo miopi per vedere oltre l'orticello tricolore e lo ignorano. Eppure, una volta ancora, è soprattutto il copilota milanese a ricordare al mondo che il Bel Paese è sempre terra di santi, poeti e... navigatori. 60 Loriano Norcini 8 Alberto Pirelli 8 Robert Kubica 7,5 Insieme a un manipolo di amici ha pensato l'lnternational Rally Cup e l'ha fatta crescere dispetto di tutto e di tutti. Anche e soprattutto di coloro che non riescono neppure a vedere la punta dei loro nasi e ogni giorno ne pensano una per ostacolarlo. Inutilmente perché quella che era la serie alternativa è ormai una delle poche che funzionano nel disastrato rallismo italiano. Sarà anche che, come diceva uno dei tristi figuri che occupano le stanze del potere, a lui basta alzare il telefono per parlare con gran parte dei top-manager italiani. Resta il fatto che l'industriale milanese è riuscito ancora a proporre una serie, Raceday Ronde Terra, che piace a chi corre e che distribuisce premi importanti. E non solo in vil metallo. Sbatte ancora un po' troppo, l'asso polacco. Ma la sua marcia nel Wrc-2 è trionfale sia sull'asfalto, sia sulla terra e non serve leggere i fondi del caffé per intuire che ha ancora notevolissimi margini di miglioramento. Elfyn Evans 7 Esapekka Lappi 7 Un primo e due secondi posti nelle sue sei incursioni nel Wrc-2 la dicono già lunga sulle doti del figlio d'arte gallese. Ma è il sesto posto assoluto in Sardegna, al debutto con la Fiesta Wrc e con Giovanni Bernacchini, a brillare come un diamante. Thierry Neuville Non s'è rotta la macchinetta, la mamma finlandese seguita a sfornare piloti potenzialmente bravi come quelli che hanno fatto la storia della specialità. Il ragazzotto lo prova e riprova in tutte le serie alle quali partecipa. Anche sull'asfalto del Sanremo che non è esattamente il campo di gioco più adatto ai finnici. Robert Kubica 61 RALLY IL PAGELLONE DI FINE ANNO Mauro Trentin 7 Pontus Tidemand 7 Non corre tanto, il terraiolo veneto, ma ogni volta che lo fa non passa inosservato. Sbaglia poco e ottiene molto: una carta sicura da giocare. Dalla Svezia con ardore. Va davvero forte il ragazzo che scrive il proprio nome nel mundialito junior e, c'è da scommetterci, lo dimostrerà anche quando avrà fra le mani un gingillo più performante della Fiestina. Paolo Andreucci 7 Nasser Al-Attiyah 6,5 Jari-Matti Latvala 6,5 Senza mai esagerare con i rischi aggiunge altre perle alla sua ricchissima collana. Protagonista ogni volta che ha fra le mani la 207, dimostra al mondo cosa si può fare con una 208 R2: un grande vero. Corre meno del solito, ma a il suo lo fa come sempre. E i tre quinti posti che raccoglie in cinque presenze confermano che è nettamente il più bravo fra quelli che hanno una dote da portare alla squadra. Ma anche di alcuni che ambiscono a essere protagonisti... Il confronto diretto con Ogier è di quelli difficili assai da vincere e lo perde. Ma pur se non riesce ad aggiungere un'altra vittoria al suo palmares, il finlandese si rende più utile alla causa di quanto non fosse abituato a fare in passato. Non sarà tantissimo, ma è già qualcosa. Jari-Matti Latvala 62 Andrea Nucita 6,5 Giandomenico Basso 6,5 Craig Breen 6,5 Sébastien Chardonnet 6,5 Umberto Scandola 6,5 Andrea Crugnola 6,5 Altro giro, altro regalo. Per sé e per quelli che lo supportano. Il siciliano dal piede pesante e la testa pensante mette al sicuro un altro titolo, facendo finta di credere che gli servirà ad allargare i propri orizzonti. Tre bussi in una stagione non sono pochi, ma più che gli errori in corso d'opera sul bilancio del veneto pesa quello di essersi lasciato convincere a frequentare con una certa frequenza una serie, quella tricolore, che lo intristisce. Il rovescio della medaglia sono le tre squillanti vittorie al Ciocco, a Madeira e soprattutto a Sanremo. Dani Sordo ha festeggiato in Germania la sua prima vittoria iridata La Peugeot gli da la possibilità di gareggiare e l'irlandese la prende al volo. Spremendo assai spesso tutto quello che ancora c'è da spremere dalla pluridecorata 207 Super2000. Non sempre incanta, il nipotino dell'uomo che mise Bernard Darniche su una Stratos. Però fa quello che deve per imporsi nel Wrc-3 e portarsi a casa il premio messo in palio dalla Citroen: cinque rally mondiali con una DS3 R5. E quando assaggia la terra dell'Adriatico non è comparsa. Non può perdere la sfida per il titolo italiano e la vince. Ma dà l'impressione di patire la pressione e strada facendo perde qualche confronto di troppo. Anche quello sanremese dove, con il titolo in tasca, poteva correre con la mente sgombra. Impegnato su due fronti, il varesino sfonda in entrambi. Bravo nell'italiano e molto bravo nell'International Rally Cup, si guadagna l'occasione di rimettere il naso oltre confine. Dani Sordo 6 Jan Kopecky 6 Bryan Bouffier 6 L'occasione attesa da anni arriva e il cantabrico si ritrova a correre con una DS3 ufficiale e senza il confronto con Loeb. Vince finalmente la sua prima gara iridata e salva così il suo bilancio, ma perde l'occasione di proporsi come top driver. Vince un campionato europeo che non può perdere e va bene. Però non fa molto per convincere di meritarsi una vera chance nel mondiale. Non impedisce a Kopecky di conquistare la corona continentale, ma almeno ci prova e, spesso, con mezzi inferiori al céco. Ciliegina sulla torta, il successo al Tour de Corse che lo proietta nella storia del rallismo francese e non solo. 63 RALLY IL PAGELLONE DI FINE ANNO Alessandro Perico 6 Andreas Mikkelsen 6 Stefano Albertini 6 Mikko Hirvonen 5,5 Mads Ostberg 5,5 Juho Hanninen 5,5 Evgeny Novikov 5 Lorenzo Bertelli 5 Andrea Carella 4,5 Torna dopo tempo immemorabile a respirare l'aria frizzante dell'attico di un podio e potrebbe essere la ripartenza di una carriera altalenante. Lo frenano un paio di errori e la scarsissima attitudine alle strade bianche. Ufficiale per ora solo di complemento alla Volkswagen, il biondo fa quello che ragionevolmente può. Alternando cose belle a cose meno belle, commettendo qualche sbaglio perché nessuno nasce imparato. Neppure nella terra dei vichinghi. Una volta, una sola, al 1000 Miglia, segue l'istinto e va al massimo. Gli va male e si rassegna a seguire le istruzioni di chi gli permette di correre. Anche se non è portando borracce che si fa carriera... Un paio di secondi posti e tre terzi, poca roba anche con un'auto che ha smesso di essere la più bella del reame. Gaspar, raccoglie molto meno di quanto si aspettava e di quanto alla Citroen si aspettavano da lui. E forse, paradossalmente, succede perché gli manca un rifermento come Loeb. Non vive la sua stagione migliore. La donnaccia con la cornocupia non gli è amica, ma il norvegese ci mette anche un po' di suo e alla fine si ritrova fra le mani un terzo posto e qualche altro piazzamento non troppo lontano dal podio. Poca roba. Sul palcoscenico mondiale raccoglie meno di quanto semina. Comunque lascia il segno dove passa e si guadagna l'ingaggio della Hyundai per spalleggiare Neuville in un'avventura che potrebbe essere anche più bella di quanto qualcuno pensi. E' veloce e lo conferma una volta di più mettendosi in saccoccia cinque punti nelle Power Stage. Però commette ancora errori ed errorini che, con la sua esperienza, dovrebbe saper evitare. L'italiano meglio piazzato nelle classifiche iridate, ventiduesimo nel Wrc-2, sulla terra sarda illude e si illude. Ma non ha cambiato passo e le altre gare della stagione sono lì a provarlo. A prescindere da cosa decideranno – se decideranno – i federali, la stagione del piacentino è fatta più da scuri che da chiari. E i confronti con Andreucci di inizio stagione sono imbarazzanti. 64 Mads Ostberg Andreas Mikkelsen Simone Campedelli 4 Khalid Al-Qassimi 4 Valentino Rossi 3 Marco Rogano 0,5 Una DS3 R3 per il mundialito e un'altra per l'italiano: impegnato su due fronti, il cesenate colleziona una lunga serie di errori e non centra nessuno degli obiettivi che s'era fissato. E' veloce come Creso, l'emiro. In sette presenze rastrella due noni e un decimo posto. Meno del minimo sindacale, per uno che il mondiale lo frequenta da anni e che dispone di una vuerecì ufficiale. Sordo non gli lascia scampo nella gimcana monzese di fine stagione, ma il Dottore si mette dietro Dindo Capello e tanto gli basta per tornare a menarla con la storia che prima o poi si dedicherà ai rally. E c'è pure chi pare continuare a prenderlo sul serio... Nominatosi – o nominato, cambia poco – promoter delle serie tricolori, il figlio per così dire d'arte non prende nessuna decisione utile a rilanciare i rally nel Bel Paese. In compenso tenta di importare il formato unico al quale il mondiale ha rinunciato da un po'. Il mezzo punto è di incoraggiamento: può fare meglio. 65 DAKAR CARLOS SAINZ LA SVOLTA DEL MATADOR Il campione spagnolo ha cambiato team e vettura a un mese dall'inizio della Dakar. Ecco perché e che cosa si aspetta il due volte iridato dei rally dalla sua settima partecipazione al Raid più famoso del mondo 66 R 67 DAKAR CARLOS SAINZ Filippo Zanier Tra le doti necessarie per essere campioni, c'è senza dubbio la lungimiranza. Leggere il futuro meglio degli altri, che si tratti di interpretare le insidie di una gara o di scegliere il mezzo o il team al quale associarsi per garantirsi il successo, fa spesso la differenza fra i buoni piloti e quelli che a fine stagione portano a casa un titolo, magari essendo accusati di esserci riusciti solo perché avevano la macchina migliore. Carlos Sainz ancora non sa se la Dakar 2014 sarà sua, ma in attesa di partire per il Sud America ha fatto lavorare il suo istinto di campione e a poco più di un mese dal via del raid ha cambiato programmi: ha abbandonato il buggy del Qatar Rally Team di Nasser Al-Attiyah e ha portato armi e bagagli (e sponsorizzazione Red Bull) alla SMG di Philippe Gache, anch'essa in gara con un buggy che "il Matador" considera però più competitivo. Nel paddock di Alcaniz, dove si trovava per seguire (come fa sempre) il figlio Carlos Jr. impegnato nei test WSR, lo abbiamo incontrato per sapere di più sulle motivazioni che lo hanno spinto a questa decisione, e sullo spirito con cui parte per la sua settima Dakar. La scelta di cambiare team e macchina a poco più di un mese dal via ha spiazzato tutti, cosa ti ha convinto a una decisione così drastica? "Mi sono reso conto che il team di Nasser Al-Attiyah, il Qatar Rally Team, non stava lavorando come doveva in previsione di una gara così dura e ho capito che non saremmo andati lontano. Così ho parlato con la Red Bull e ho detto loro che secondo me era il caso di puntare su un'altra squadra e un'altra macchina, in particolare sul buggy di Gache. Una soddisfazione me l'ha poi data proprio Nasser: appena due giorni dopo il mio annuncio, anche lui ha abbandonato il suo team per passare alla Mini X-Raid. E se anche il proprietario decide di non correre con la propria squadra, forse vuol dire che ci ho visto giusto". Perché proprio con la vettura di Gache, che non ha nessun particolare supporto ufficiale? "Ho conosciuto Philippe 68 in occasione di un test che ho fatto nel 2012 con una delle sue Porsche storiche, e ci siamo capiti al volo. Ha il giusto mix di passione e competenza, e ha oltre 10 anni di esperienza con la Dakar, per cui non gli manca certo la preparazione. Ovviamente sappiamo che contro le Mini ufficiali la sfida è improba, ma vedremo". Il vostro buggy è un 2 ruote motrici, una scelta strana per una gara con molti tratti sterrati. Spiegaci quali sono le sue caratteristiche. "La Dakar sta tentando di equiparare le prestazioni di vetture a trazione integrale e quelle 2WD, anche se non è facile. Se si opta per una 4WD si ha un grande vantaggio nei tratti molto impervi, ma bisogna accettare di avere meno potenza e un peso maggiore. Nel caso di un buggy 2WD come il nostro, invece, siamo molto leggeri, e con il motore V8 Chevrolet che montiamo possiamo contare su circa 400 CV. Oltre a questo possiamo contare su un sistema che ci permette di variare la pressione degli pneumatici dall'abitacolo, e su un'escursione delle sospensioni più ampia per affrontare meglio gli sterrati più duri. Quest'ultima caratteristica, però, diventa uno svantaggio nei tratti di strada più battuta con curve veloci. Li la macchina si corica troppo, e il passo gara ne risente". Quindi cosa vi aspettate a livello di competitività? "In pratica ci aspettiamo di essere i più veloci nei tratti con piste molto aperte, che ci permetteranno di sfruttare appieno tutta la nostra potenza. Nelle altre situazioni, invece, dovremmo essere un po' svantaggiati, però abbiamo intrapreso questo programma sapendo che sarebbe stato una sfida". sionante, dodici vetture. Oltre a dare l'idea di quanto hanno preso sul serio l'impegno, è un grosso vantaggio perché avere così tanti equipaggi permette anche di avere più aiuto nel caso si dovessero verificare situazioni impreviste. Come rivali i più duri saranno senza dubbio Stéphane Peterhansel e Nani Roma, è una previsione abbastanza facile da fare". Chi ti aspetti possano essere i tuoi rivali più agguerriti? "Le Mini hanno uno spiegamento di forze impres- Hai vissuto sia la Dakar africana che quella in Sud America, quale preferisci? "Dal punto di vista tecnico sono entrambe molto difficili, e anche a livello di rischi sono molto simili, le probabilità di ritiro nell'una o nell'altra direi che si equivalgono. Dal punto di vista del pilota, però, preferisco la nuova versione. In Africa, per quanto il deserto sia magico, molte zone si somigliano. In Sud America il paesaggio è molto più vario, e sono più varie anche le superfici che ci troviamo ad affrontare. Quest'anno poi, ci sarà una prova speciale che sarà una vera e propria impresa: la tappa 4, da San Juan a Chilechito, avrà 657 km di Speciale e 211 di trasferimento, una sfida massacrante sia per noi sia per le macchine. E sinceramente sono molto curioso di affrontarla". 69 RENAULT 3.5 DEAN STONEMAN O N O S “ 70 ” O T A N I R iore to l g i m nto ra pron e m o nel m annico è o to a t t o terr ilota brit monopos n i a t a è st a, ma il p do delle cure a r e i r car malatti nel mon tutto le a u s a L tta o pieno ato del u r b a da un are a temp abbandon a torn se non ha anche 71 RENAULT 3.5 DEAN STONEMAN Massimo Costa Batteva forte il sole sulla carriera di Dean Stoneman. Nel 2010, l’inglese aveva vinto il campionato di F.2, testato la Williams F.1 e si era avvicinato al mondo World Series Renault. Tanto che l’11 gennaio del 2011 aveva firmato con ISR divenendo il compagno di squadra di Daniel Ricciardo. Tutto brillava. Ma neanche il tempo di realizzare il momento felice, che il suo fisico ha cominciato a emettere strani segnali, fino alla sentenza: tumore ai testicoli. Era il 21 gennaio 2011. Uno shock. Cicli intensivi di chemioterapia, molto pesanti, lo avevano costretto a lasciare il motorsport per pensare a ben altro. Brutti momenti. Fino al ritorno alla fine di quella stagione, nei test WSR. “Ricordo bene quella prova, lo feci proprio ad Alcaniz sei settimane dopo aver subìto un intervento chirurgico durato sette ore. 72 Il team ISR aveva tenuto quella parte di soldi che depositammo a inizio stagione per correre nel campionato e così avevo colto l’occasione per riprovarci. Ma non è stata una buona idea, a pensarci ora”. Troppo debole nel fisico, Stoneman ha poi deciso di rimanere ancora fermo per tutto il 2011, proseguendo le cure. Che ancora oggi deve affrontare, purtroppo, di tanto in tanto per controllare la situazione: “Mi si intorpidiscono le punte delle dita ogni volta, ma ci sono abituato ormai”, dice il britannico che un mese fa è tornato con decisione nel mondo delle formule. Nel 2012, qualche gara con le Radical, quest’anno un impegno concreto nella Porsche Carrera Cup inglese chiusa al 5° posto. Poi, la decisione di tornare e l’iscrizione con Koiranen alla prova finale della GP3 ad Abu Dhabi. Dove ha meravigliato conquistando il podio in gara 2: “Mio padre sosteneva che sarebbe stato un successo concludere tra i primi dieci…”. Stoneman ha partecipato anche ai test GP3 sempre negli Emirati, poi si è calato nell’abitacolo della Renault 3.5 ad Alcaniz per una tre giorni col team Carlin. Piuttosto timido, accompagnato dal padre e dalla ragazza, ha dovuto fare i conti con una vettura alquanto veloce e impegnativa e non ha particolarmente brillato: “Nel 2014 correrò in monoposto, questo è certo, e riprenderò il filo del discorso interrotto nel gennaio 2011. Dovrò decidere tra GP3 e WSR”. A destra, Stoneman sul podio di Abu Dhabi GP3 nella gara del rientro in monoposto Nel 2011 ha guidato la Williams F.1, foto sotto 73 NASCAR IL PAGELLONE JOHNSON POI TUTTI GLI AL I voti della stagione Sprint Cup 2013 rispecchiano la classifica con qualche eccezione. Principalmente brilla la redenzione del “fuorilegge” Kurt Busch, mentre sulle valutazioni pesano alcuni incidenti e combine. Non è stato un anno particolarmente lineare ed il mercato cambierà le cose ulteriormente, ma sono arrivate chiare indicazioni su chi è stato protagonista e potrà esserlo l’anno prossimo 74 LTRI 75 NASCAR IL PAGELLONE Marco Cortesi Jimmie Johnson 10 Matt Kenseth 9 Di lui si è detto tutto. Irraggiungibile anche quest’anno. Se proprio gli si vuol trovare un neo, è quello di aver sempre e solo vinto con un team ed un capotecnico, ma come per Sebastian Vettel, sta di fatto che nessuno dei suoi compagni di squadra ha mai vinto quanto lui. Insieme al tedesco F.1, è senza discussioni il migliore al mondo. Al debutto col Joe Gibbs Racing rischia di vincere il primo titolo della Toyota in Sprint Cup con sette vittorie e 12 top-5. In alcune circostanze, Johnson è sembrato giocare al gatto col topo con lui, ma comunque, Kenseth è stato l’unico avversario possibile e, con un pizzico di fortuna in più, per lui ci sarà un nuovo titolo. Kurt Busch 8,5 Jeff Gordon 8 La sua stagione col Furniture Row Racing ha del miracoloso. Mai un piccolo team con una singola vettura era entrato ai playoff. La squadra si concentra su alcune tipologie di piste e il talento di Busch fa il resto. Manca la vittoria, ma il pilota di Las Vegas è spesso stato in grado, quando ha potuto, di restare al top dall’inizio alla fine. Senza contare sulla fortuna o sugli incidenti altrui. 8 A tratti è stato in grado di dare dei grattacapi a Johnson e dopo tante stagioni, esattamente da quando ha portato al team Hendrick il compagno-rivale, si è finalmente ritrovato in lotta per il titolo. La posizione in classifica non rispecchia il suo anno, a tratti anche sfortunato. Ora deve puntare a qualche vittoria in più. Kevin Harvick 7,5 Il team Childress non è storicamente nel suo momento migliore di forma ma comunque il cuore e il piede di Harvick fanno la differenza. Continua a mancare un pizzico di intelligenza e freddezza tattica. Quattro vittorie, buoni risultati e l’addio alla squadra che l’ha portato al debutto in Sprint Cup per il team Stewart-Haas. Kyle Busch 6,5 Continua ad essere uno dei piloti con il talento puro più brillante. Stavolta, paga qualche errorino, ma soprattutto diverse toccate ricevute e qualche guaio tecnico, finendo comunque con il suo miglior risultato in sprint Cup, il quarto posto. Certo, Kenseth, appena arrivato al Joe Gibbs Racing, è stato subito in lotta per il titolo… Kasey Kahne 6 Il “bello” del team Hendrick è l’unico che in alcune gare riesca a tenere il passo del suo caposquadra, anche se in diverse occasioni si è perso per strada. Spedito a muro ben sei volte quest’anno, c’è da pensare che ci sia in qualche modo “portato”. Alla fine, chiude con due vittorie ed il penultimo posto in Chase For The Cup. 76 Kyle Busch Matt Kenseth 77 NASCAR IL PAGELLONE Jimmie Johnson 78 Kevin Harvick Dale Earnhardt 6 Ryan Newman 5,5 Greg Biffle 5,5 Joey Logano 5 Carl Edwards 5 Clint Bowyer 4 Le prestazioni in pista continuano a non tenere il passo di una fama più grande di lui, anche se sul finale di stagione si sono viste ottime cose, e ha mostrato finalmente consistenza e aggressività. Peccato che non basti, e le vittorie non arrivino, e dopo tante occasioni mancate avere in squadra Johnson non lo aiuta. Ammesso a conseguenza del Richmond-gate nella corsa al titolo, ha brillato solo a tratti - troppo brevi - rimanendo spesso coinvolto in incidenti. E’ vero che non è stato il migliore anno dello Stewart-Haas Racing, ma alla fine Newman si è visto precedere anche da Kurt Busch. Tanto odiato e assunto proprio da Stewart e Haas dopo il suo allontanamento. Nel 2014 correrà per il Richard Childress Racing. Diversi buoni risultati. ma non abbastanza considerando che guida per una vera superpotenza in termini di budget e tecnica. Passa un po’ dal non avere la grinta, a qualche esagerazione. Quello che ha per battere Johnson sembra non bastare. L’ex giovane promessa entra in Chase For The Cup al contrario del campione in carica Keselowski e regala al team Penske una vittoria. Però, nei playoff approda solo a grazie ad uno degli intrighi di Richmond anche se, al contrario di Truex, non viene penalizzato. In più, pesa la toccata rifilata di proposito a Hamlin che ha causato al rivale un serio infortunio alla schiena. E’ davvero incomprensibile, il Roush Fenway Racing. Nonostante un budget da top-team e materiale di prim’ordine, i suoi alfieri non riescono ad emergere. Dopo la sconfitta ad opera di Stewart nel 2011, il pilota del Missouri non è stato più lo stesso, anche se sembrava essersi ripreso ad inizio stagione. Per la squadra ci saranno grandi cambiamenti, vedremo il risultato. Anche se avesse avuto buoni risultati in Chase For The Cup, sulla sua stagione pesa come un macigno il testacoda “di proposito” in Michigan, e lui non si è ripreso. Un anno da dimenticare con un colpo di spugna prima possibile. 79 WTCC I PROTAGONISTI IL PAGELLONE DI FINE ANNO Diamo i voti ai protagonisti del Mondiale Turismo che hanno partecipato a tutte le prove di una stagione lunga e combattuta e che ha visto uscire vincitore il solito Muller 80 E 81 WTCC I PROTAGONISTI 82 Dario Sala Yvan Muller 10 Gabriele Tarquini 9,5 Per la prima volta dopo anni ha corso da privato e senza aver affontato i test che una Casa ufficiale normalmente affonta. E' vero che disponeva della miglior macchina, ma lui ha saputo sfruttarla come nessuno. Il successo lo ha costruito con la massima costanza possibile. In prova ha ottenuto otto pole position che significano 40 punti. Poi, sono arrivate sette vittorie e tanti, tanti piazzamenti. La solita macchina da guerra fatta di velocità e intelligenza. Ad oggi il miglior pilota di vetture Turismo. Non gli si può dare dieci solo perché non ha vinto il titolo. Gabriele in ogni caso ha portato a termine una gran stagione da pilota ufficiale Honda, facendo crescere la macchina moltissimo. Due vittorie e diversi podi sono il bottino, ma anche molte battute a vuoto, per incidenti o affidabilità, che alla fine hanno pesato sulla lotta finale. Quando però ha potuto, è stato il solito leone... anzi “cinghiale”. James Nash 9 Rob Huff 9 Tom Chilton 8 Norbert Michelisz 8 Michel Nykjaer 8 Ha vinto il titolo degli Indipendenti al secondo anno nel WTCC. La sua è stata una buona stagione nella quale ha mostrato notevoli miglioramenti. Alla fine sono arrivate anche due vittorie, ma sulla costanza per finire tutte le gare nelle zone alte della classifica c'è ancora molto da imparare. Il potenziale comunque sembra esserci. Il campione del mondo 2012 è passato dalla macchina più forte del lotto alla più vecchia. La Seat Leon della Munnich per quanto ben preparata è una macchina ormai datata. Rob però, non si è perso d'animo e alle fine è riuscito a portarla al successo, dimostrando un certo mestiere e attitudine alla vittoria. Anche per lui due prime posizioni, una delle quali nella ormai sua Macao. Alla vigilia della gara di Macao sembrava addirittura poter ottenere il secondo posto in classifica generale. Come spesso accaduto, è invece rimasto con un pugno di mosche in mano. Qualche errore di troppo ha segnato la sua stagione. Sono arrivate due vittorie e dei bei piazzamenti, ma sono in molti a pensare che avrebbe potuto dare di più. A volte ha offerto la sensazione di accontentarsi. Macchina nuova, la Honda, e tante cose da imparare e capire. Norbert con molta umiltà ha abbassato la testa e si è dato da fare. Quando la macchina lo ha assistito non ha quasi mai tradito arrivando anche a segnare la pole e vincere davanti allo stato maggiore della Honda. Occorre più costanza se vorrà fare il definitivo salto di qualità. Le due Honda di Tarquini e Monteiro Non gli si può dare di più perché non ha finito la stagione, ma Michel è stato davvero impressionante. Quando ha lasciato era al secondo posto in classifica. Merito di tre vittorie e buoni piazzamenti. Non male per uno che era rientrato nel mondiale quest'anno. Un vero peccato abbia dovuto abbandonare il campionato per motivi economici, meriterebbe di restare in pianta stabile. 83 WTCC I PROTAGONISTI Josè Maria Lopez lode speciale Arrivare nel WTCC senza averlo mai visto e vincere non è da tutti. Farlo nella gara di casa e con una BMW 320 TC vecchia di anni ti rende speciale. Meriterebbe un 10, ma non sarebbe giusto verso gli altri. Una lode però può prenderla senza dubbio. Speriamo di poterlo rivedere il prossimo anno con la Citroen. Tiago Monteiro 7 Tom Coronel 7 Pepe Oriola 6 Non è stato all'altezza del suo compagno di squadra Tarquini, ma alla fine anche lui è riuscito a far vincere la Honda. Spesso ha pagato l'affidabilità della macchina (provava nuove soluzioni in gara?) mentre altre volte ha commesso qualche errore di troppo. La stagione però, alla fine ha svoltato in maniera positiva. Quando la macchina glielo ha consentito lui non ha tradito arrivando ad ottenere due vittorie. Non è colpa della Roal, ma della BMW che sul Turismo non investe più nulla da tempo immemore. La solita guida spettacolare ha caratterizzato la stagione di Tom, ma anche qualche errore che gli ha pregiudicato un classifica migliore. La sufficienza arriva solo perché ha ottenuto una vittoria con la Seat Leon per il resto la sua è stata una stagione condita da troppi zeri in classifica. Quando è passato alla Cruze ha navigato in posizioni più alte, ma non ha raccolto quello che le premesse indicavano. MacDowall e Nash 84 Jose Maria Lopez Mehdi Bennani 6 James Thompson 6 Stefano D'Aste 6 Alex Macdowall 5 Sufficienza per l'impegno. Mehdi guidava la BMW ottimamente preparata dal Proteam, ma pur sempre una macchina che ha dato tutto. Ha ottenuto due secondi posti, ma ha collezionato anche qualche errore. Una certa crescita c'è stata. Ora dovrà confermarla con la Honda, acquistata dal Proteam. Una guida tecnica sicura che lo aiuterà tantissimo. La Lada era davvero troppo indietro rispetto alla concorrenza per ottenere di più. I tanti limiti della Granta hanno influito sulla sua guida. Pochi piazzamenti a punti, qualche errore e tanto anonimato hanno caratterizzato la stagione. Si spera nei nuovi regolamenti. Correre in proprio con una BMW non è proprio la la cosa più facile nel WTCC. Troppe cose a cui far fronte. Stefano ha dato ancora spettacolo, ma la sua scelta ha chiaramente pesato sui risultati. Questa infatti è stata la sua peggior stagione degli ultimi anni. La grinta non è mai mancata. Stefano D’Aste Con la macchina di cui disponeva ci si poteva attendere di più. Troppo altalenante. Belle prestazioni a cui hanno fatto seguito troppi zeri in classifica. Pur essendo al secondo anno con la Cruze ha perso il confronto con il compagno che vi debuttava. 85 CTCC IL PUNTO 2013 Il movimento cinese pian piano sta crescendo e grazie all’impegno della Federazione nazionale e di alcuni sponsor vi è un campionato che sembra funzionare piuttosto bene: quello riservato alle vetture Turismo. Ecco quel che è accaduto questa stagione 86 OLTRE LA GRAN NDE MURAGLIA 87 CTCC IL PUNTO 2013 Silvano Taormina Cresce l'interesse verso il motorsport in Cina, un Paese che fino a non molto tempo fa è rimasto lontano dalla scena internazionale, ma che adesso vuole ritagliarsi un proprio spazio nel mondo delle competizioni automobilistiche. Entrata in Formula 1 una decina di anni addietro con il proprio Gran Premio, negli anni ha accolto anche altre categorie come la MotoGP, il DTM, il FIA GT1, il WTCC e il WEC. Nonostante tale impegno, ha faticato non poco a far breccia sugli appassionati locali soffrendo una costante carenza di pubblico in occasione dei principali eventi motoristici internazionali. A dispetto di ciò, entro i confini della Grande Muraglia si sta sviluppando un certo movimento intorno al motorsport grazie all'impegno della FASC (la Federazione automobilistica cinese) e di alcuni sponsor istituzionali che stanno promuovendo questo sport a livello nazionale. Negli anni sono nate così diverse serie monomarca che hanno riscosso un certo successo in termini di partecipanti. Tra queste la Volskwagen Scirocco Cup, la Formula Master China e l'Audi R8 Cup solo per citarne alcune. Questi campionati, pur riservati quasi esclusivamente a piloti cinesi che difficilmente si mettono in gioco oltreconfine, sono cresciuti nel corso degli anni suscitando un certo interesse nel pubblico locale che, stagione dopo stagione, ha affollato sempre di più gli autodromi. PRESENTE LA FIAT CON LA VIAGGIO Tra i vari campionati istituiti nell'ultimo decennio, uno su tutti è riuscito ad affermarsi con decisione. Si tratta del China Touring Car Championship, la serie nazionale riservata alle Super Turismo. Inaugurato nel 2004, il CTCC è uno dei pochi campionati cinesi basato sulla libera competizione tra marchi e, tutt'oggi, l'unica serie Turismo nazionale che ha abbracciato in pieno il più recente regolamento tecnico del WTCC (quello rispondente all'Appendice J 2011 del regolamento FIA). La formula si è rivelata vincente e la risposta dei Costruttori non ha tardato ad arrivare. Ford, Volkswagen e Kia sono scesi in campo in veste semi-ufficiale tramite le loro filiali nazionali mentre Honda e Chevrolet forniscono i propri modelli ad alcune compagini indipendenti. Presente anche la Fiat, grazie all'iniziativa di un team privato che ha sviluppato la versione racing della Viaggio (uno dei modelli di punta nel mercato cine- 88 se). Il campionato si articola in otto appuntamenti con gara unica ed è suddiviso in due categorie, ovvero la Super Production riservata alle S2000 (sia 1.6l turbo che 2.0l aspirate normalmente) e la China Production per le S1600. In quest'ultima sono presenti anche un paio di costruttori locali quali la Baic e la Haima (oltre a Toyota, Hyundai e Vw). Jiang LA FORD VINCE CON YAN LA SFIDA CONTRO LA VW La stagione 2013 ha riproposto ancora una volta il duello tra Ford e Volkswagen, entrambe presenti con quattro vetture a testa. Da una parte la Casa tedesca ha proposto le nuove Polo al posto delle Scirocco, sempre con il supporto tecnico della spagnola Sunred che ha messo a punto il propulsore. Dall'altra quella di Detroit è scesa in campo con l'ultima generazione di Focus a tre volumi, a sua volta assistita dalla statunitense Montune. Il titolo lo ha conquistato Andy Yan per i colori del Changan Ford Racing Team, forte dei suoi tre successi in otto gare. Il pilota di Hong Kong solo nell'ultima prova di Shanghai ha avuto la meglio sull'ex-A1 GP Tengyi Jiang, suo compagno di squadra tra le fila della Ford. Il campionato è iniziato nel segno del campione 2011 Rui Wang, vincitore nella bagnatissima season-opener di Zhuhai con la Polo del del Vw 333 Racing Team. Subito dopo è salito in cattedra Andy Yan , con i trionfi sul corto di Shanghai, Tianma e Ordos, ha messo le basi per la conquista del titolo. Wang ha provato a rifarsi sotto con il successo di Chengdu, accompagnato sul podio dai team-mates Xiaole He e Zack Gao. Nella successiva prova di Guandong la Ford ha risposto con una tripletta capitanata da Jiang, seguito da Yan e He. Il penultimo appuntamento stagionale di Zhuhai ha regalato l'unico successo dell'anno al campione uscente Han Han, oramai fuori dalla contesa per il titolo. Nel weekend finale di Shanghai ( a contorno del WTCC), a Yan è bastato un ottavo posto per assicurarsi lo scettro nel giorno in cui Jiang non è riuscito ad andare oltre la seconda posizione. La vittoria di Zhendong Zhang ha permesso al portacolori della Volkswagen di avere la meglio sul compagno di squadra Wang per il terzo posto in campionato. Nella più piccola China Production Class il titolo è finito nelle mani di Xu Chen che ha portato in trionfo la Haima sconfiggendo la Toyota Yaris del Guangzhou Racing affidata a Yang Liu. Xu Chen Yan La classifica Wang e Zhang 1 - Andy Yan (Ford) 67 2 - Tengyi Jiang (Ford) 61 3 - Zhendong Zhang (Volkswagen) 57 4 - Rui Wang (Volkswagen) 49 5 - Xiaole He (Ford) 47 6 - Han Han (Volkswagen) 41 7 - Xinzhe Xie (Ford) 40 8 - Zack Gao (Volkswagen) 32 9 - Chuhan Huang (Kia) 21 10 - Lifeng Lam (Kia) 18 11 - Shenjun Zhang (Fiat) 12 12 - Michael Song (Kia) 11 89 IL DRAMMA DORIANO ROMBONI 90 UNA TRAGEDIA CHE FA RIFLETTERE Nel motorsport il rischio è sempre presente e al di là della retorica del giorno dopo, nelle competizioni fatte per “gioco” o per beneficenza o per ricordare un amico scomparso, è proprio necessario non prestare attenzione alle più banali condizioni di sicurezza? Luigi Ansaloni Morire per beneficenza, perdere la vita nello stesso identico modo di colui che ricordi facendo quello che più ami, cioè andare in moto. Il destino a volte si diverte, e si sa che a volte il divertimento può diventare nudo, crudo, beffardo, tragico. La tragedia di Latina e la morte di Doriano Romboni nel giorno del “Sic Day”, la manifestazione dedicata al povero Marco Simoncelli scomparso due anni fa a Sepang, non deve solo provocare un naturale e immancabile dolore e strazio, ma deve anche fare riflettere. Non tanto sul significato di vita, destino, fatalità, ma soprattutto sulle modalità di queste tragedie, sul modo in cui si sviluppano. Romboni aveva 44 anni, padre di tre figli, era stato, insieme a Loris Capirossi e Max Biaggi, uno dei grandi protagonisti della riscossa italiana nel motomondiale nei primi anni ’90, prima della rivelazione di Valentino Rossi e l’inizio del suo dominio decennale. “Rombo” era un pilota tutto coraggio, tutto cuore, ma non solo: pur non ottenendo gli stessi risultati dei suoi colleghi più famosi, aveva comunque vinto sei gare, e aveva trionfato in circuiti come Laguna Seca, con quella sua moto gialla Hb numero 15 che faceva impazzire chiunque e inventava traiettorie che sembravano folli solo a pensarle. Forse non ha ottenuto quello che meritava nella sua carriera, Romboni, ma era amato e stimato da tutti, colleghi e addetti ai lavori, al netto di quella retorica sempre presente in occasioni simili. Sicuramente non meritava di morire in questo modo, nelle prove di un circuito (a norma? Ne siamo sicuri?) di Latina, travolto da una moto in una giornata che doveva essere di festa, di ricordo. E il ricordo, per quanto violento, forte e tragico, c’è stato, eccome. Rombo se n’è andato infatti nello stesso identico modo del Sic. Un incidente che, dobbiamo essere chiari, non può essere evitato e che sempre farà parte delle corse a due ruote. Perché se perdi il controllo, scivoli, cadi e rimani in mezzo alla pista, devi solo sperare che nessuno ti centri in pieno. Non ci sono tecnologie, vie di fuga, e non si può nemmeno dire di tenere distanze di sicurezza, come in autostrada o nella provinciale. Non ci sono altre possibilità. Sono le corse, e nelle corse a volte si muore. E contro questo tipo di incidente, non c’è assolutamente nulla da fare. Né nel motomondiale, né nelle gare ama- toriali. Questo non vuol dire che si devono alzare le braccia in segno di resa e non si debbono fare delle domande. Simoncelli è morto in una gara di MotoGP, facendo quello che più amava, certo, ma stava facendo crudamente il proprio lavoro, in una gara valida per il campionato del mondo, in un circuito assolutamente a norma, con tutte le protezioni e le precauzioni del caso. Romboni era un ex pilota che era tornato a guidare solo per beneficenza, così, per gioco, in un circuito "adatto" all'occasione. Qualcuno, forse, e lo si dice senza voler per forza colpevolizzare qualcuno o senza cercare per forza un responsabile, ha preso la manifestazione per quello che era: una garetta, un'occasione non agonistica. Questo è proprio il punto: quando si corre, in moto o in auto, non si fa mai per gioco. Un pilota, seppur ex, vorrà sempre vincere, vorrà dare il massimo, perché lo ha nel sangue, lo ha nell’istinto. Non esistono gare o garette. Proprio per questo, la riflessione viene spontanea, senza troppi fronzoli e senza troppi moralismi: va bene, va benissimo la beneficenza, ma è davvero necessario farla correndo, a 200 chilometri all’ora? 91