Relazione storica - Provincia di Ferrara
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Relazione storica - Provincia di Ferrara
Relazione storica “Cappellacci di zucca ferraresi” IGP Relazione storica_rev1bis.doc Pag. 1 di 9 Premessa La presente relazione storica ha lo scopo di illustrare le origini della pasta fresca denominata “Cappellacci di zucca di ferraresi” e descrivere il suo legame alla cultura e storia della Provincia di Ferrara. Prima di addentrarci nell’argomento è bene precisare che la cucina ferrarese, forse più di quella delle altre province dell’Emilia-Romagna, conserva tracce rinascimentali non solo nei suoi piatti più tradizionali ma anche nell’ordine delle portate e nell’abbinamento tra gli ingredienti. Elementi rinascimentali si ritrovano, in particolare, nel gusto per l’abbinamento tra ingredienti “dolci-salati” caratteristica presente in alcune delle ricette più identificative della gastronomia locale: dal “Pasticcio di maccheroni” ai “Cappellacci di zucca”. Nel primo caso abbiamo a che fare con un timballo di pasta, condita con funghi, carne, tartufi, successivamente ricoperto da una crosta di pasta frolla dolce. Nel caso dei “Cappellacci di zucca di Ferraresi” l’abbinamento tra dolce e salato è presente nel condimento con il quale viene tradizionalmente servita questa pasta, ovvero un ragù di carne che contrasta con il sapore dolce della zucca: “il connubio fra dolce e salato, di cui i cappellacci sono un vero e proprio emblema, è dominante nella cucina cinquecentesca”.1 Le origini storiche dei “Cappellacci di zucca ferraresi” Le fonti storiche sui “Cappellacci di zucca ferraresi ” sono estremamente precise ma allo stesso tempo piuttosto frammentate. Per tale ragione definire un percorso storico del prodotto con continuità non è facile. La parziale carenza nella documentazione storica è da imputare al fatto che la zucca è stata sempre un ortaggio piuttosto trascurato dalla letteratura scientifica (sia come prodotto fresco sia trasformato) perché considerata cibo ‘povero’, poco nutritivo e per questa ragione destinato unicamente alle classi contadine. Tuttavia, nella provincia di Ferrara, la sua abbondante produzione non ne ha limitato l’uso alle tavole nobiliari, come vedremo in seguito. I primi cenni ai “Cappellacci di zucca ferraresi ” si ritrovano proprio nei ricettari rinascimentali degli scalchi al servizio della famiglia d’Este di Ferrara che governò la città dal 1186 al 1597. 1 G. Berengan, “Favolosa zucca”, Ferrara 2004. Relazione storica_rev1bis.doc Pag. 2 di 9 Nel 1584 viene pubblicato a Ferrara “Dello Scalco”2, il ricettario di Giovan Battista Rossetti, cuoco presso la corte del duca Alfonso II d’Este. Qui troviamo i primi riferimenti ai “tortelli di zucca con il butirro”. Gli ingredienti sono gli stessi della ricetta attuale se non fosse per l’aggiunta di alcune spezie, come lo zenzero ed il pepe, oggi cadute in disuso ma all’epoca particolarmente diffuse.3 Sempre nello stesso ricettario il Rossetti riporta l’elenco delle portate servite in particolari circostanze come, ad esempio, la venuta di principi, rappresentanti diplomatici e uomini illustri ospitati presso il Duca. In occasione della venuta del Principe di Parma leggiamo che furono serviti otto piatti di “tortelloni tondi di monete di zucche” accompagnati in tavola, come era usanza dell’epoca, “da tante trombe, e tamburi, e sempre bellissime piegature”, cornice musicale dei banchetti.4 In occasione della cena offerta dal “Signor Bartolomeo Prosperi, à questi Serenissimi Principi, e Cavalieri, e Dame” furono preparati, invece, sei piatti di “tortelli di zucche con il latte”.5 Questi due importanti riferimenti al prodotto sono sufficienti per farci capire che i “Cappellacci di zucca ferraresi ” (allora detti anche tortelli), erano considerati preparazioni di lusso e prestigio, nonostante l’ingrediente “povero” del ripieno, ed in ogni caso degne di essere servite a tavola nelle occasioni ufficiali. Il loro consumo era limitato ai mesi tra agosto e gennaio; unica eccezione il periodo quaresimale quando a Ferrara i “Cappellacci di zucca ferraresi ” non erano consumati.6 2 Il titolo completo del trattato è: “Dello Scalco del sig.gio Battista Rossetti, scalco della Serenissima Madama Lucretia da Este Duchessa di Urbino, nel quale si contengono le qualità di uno Scalco perfetto, e tutti i carichi suoi, con diversi ufficiali a lui sottoposti. E gli ordini di una casa da Principe, e i modi di servirlo, con i banchetti come in tavole ordinarie. Con gran numero di banchetti alla Italiana e alla Allemanda, di varie bellissime invenzioni e desinari e cene familiari per tutti i mesi dell’anno, con apparecchi diversi di tavole, et con molte varietà di vivande, che si possono cavare di ciascuna cosa atta a mangiarli. E con tutto ciò che è buono ciascun mese: e con le provvigioni d farsi da esso Scalco in tempo di guerra”. Il trattato oltre che ad essere un fondamentale testo di gastronomia, rappresenta una importante fonte di documentazione storica relativamente alle strategie di politica internazionale avviate dal ducato ferrarese e che, a quei tempi, erano spesso definite in occasione di appositi banchetti. “Liste di banchetti, desinari e cene si susseguono senza sosta in questo complesso trattato a ricordare eventi particolari quale l’invito fatto a Parigi da Alfonso II al fratello del re, al duca e duchessa di Nemur, al duca di Guisa e alla duchessa di Saffio […] o il banchetto alla alemanna”. C. Benporat, introduzione al ricettario di Battista Rossetti, Ferrara 1584. 3 Da notare che i cappellacci erano allora denominati tortelli di zucca per differenziarli dai più comuni tortelli di carne, già allora in uso. I “Cappellacci di zucca” si sono anche differenziati per le dimensioni maggiori e per questo a volte sono indicati come ‘tortelloni’. M.A. Iori Galluzzi, N. Iori, M. Iannotta, “La cucina ferrarese”, Franco Muzio editore, Padova 1987, pag. 34. 4 Ricettario dello scalco Battista Rossetti, libro II, pag. 55. 5 Idem, pag. 100. 6 Come segnala Giulia Berengan nel testo Favolosa zucca il periodo di consumo dei “Cappellacci di zucca” si rivela come una particolarità tutta ferrarese: “i tortelli sono una presenza ricorrente nei menù nobiliari da agosto fino a gennaio. Fanno eccezione quelli di Quaresima, un particolare che sottolinea l’originalità dei cappellacci ferraresi rispetto all’usanza di altre città italiane di inserire i tortelli di zucca nei menù di magro o penitenziali” Relazione storica_rev1bis.doc Pag. 3 di 9 Da una lettura più approfondita del ricettario del Rossetti apprendiamo che la zucca era impiegata non solo nella preparazione dei cappellacci (o tortelli) ma anche come ingrediente di molti altri piatti, sia dolci che salati. Giovanna Berengan, nel prezioso testo “Favolosa zucca. Storie miti curiosità ricette dei cappellacci estensi” così scrive: “il trattato del Rossetti fornisce ampia testimonianza del rilievo assunto dalla zucca nei banchetti e nelle cene della Corte ferrarese. Non soltanto è ingrediente fondamentale per il ripieno dei cappellacci ma compare in numerosi piatti come l’arrosto di cappone coperto di medaglioni di zucca o la zucca intera usata per contenere pollastrelli ripieni”.7 Evidentemente abbinare la zucca alla carne era un accostamento molto diffuso e apprezzato se è vero che, anche in occasione di un altro banchetto, il Rossetti servì in tavola “tortelli di zucche e polpe di capponi in piatti numero otto”.8 Una minestra di zucca con la di mandorle è invece la ricetta che il Rossetti riporta nella sezione dedicata alla cucina di magro: “[ la minestra va] servita calda con zuccaro sopra ed essendo giorno di magro adoperasi acqua in loco di brodo”.9 Le altre preprazione del Rossetti che prevedono l’impiego della zucca sono: o frittelle da grasso e da magro di zucche (Libro III, pag. 515) o minestre di zucche (Libro III, pag. 517) o insalate con cime di zucche cotte (Libro III, pag. 526). Dopo aver riportato prioritariamente l’opera nella quale ritroviamo i riferimenti più chiari ed espliciti ai “Tortelli di zucca”, è doveroso citare il grande cuoco ferrarese Cristoforo da Messisbugo figura di spicco della gastronomia rinascimentale e punto di riferimento per molti corti italiane. Egli operò presso presso la Corte dei duchi d’Este nel periodo antecedente al Rossetti, dal 1524 al 1548, in qualità di scalco e di amministratore ducale. Marito di una nobile ferrarese e imparentato con alcune illustri famiglie di Ferrara, Cristoforo da Messisbugo apparteva ad un ceto più elevato di quello con il quale possono identificarsi gli altri autori dei ricettari tre-quattrocenteschi, i quali presumibilmente non furono che semplici cuochi. G. Berengan, “Favolosa zucca”, Ferrara 2004, pag. 1 7 G. Berengan, pag. 2. 8 Ricettario dello scalco Battista Rossetti, libro II, pag. 71-. 9 G. Berengan, pag. 2. Relazione storica_rev1bis.doc Pag. 4 di 9 La sua opera più famosa, “Banchetti composizione di vivande e apparecchio generale” del 1549, è un celebre testo di scalcheria rinascimentale, nel quale possiamo ritrovare ulteriori riferimenti all’utilizzo della zucca in cucina, sebbene essi non riguardino specificatamente i “Cappellacci di zucca ferraresi ”. Ai fini della presente relazione storica il testo del Messisbugo si rivela utile poiché conferma come la zucca fosse considerato ingrediente fondamentale di molte preparazioni, idonea ad essere impiegata nella preparazione di piatti dolci e salati. Probabilmente proprio per questa versatilità di impiego la zucca, meglio di altri ingredienti, simboleggia i gusti rinascimentali della tavola, tanto attenti alla ricerca di armonici abbinamenti agro-dolci. Altro dettaglio importante che fornisce il testo del Messisbugo riguarda le modalità di lavorazione della pasta all’uovo, detta anche ‘sfoglia’.10 Allora la sfoglia si otteneva mescolando uova, farina ed un poco di zafferano, quest’ultimo aggiunto per conferire più sapore e colore all’impasto. Marco Grimaldi, autore dell’articolo “Breve storia del ‘cappelletto’ ferrarese”, così scrive in merito all’utilizzo della spezia per la lavorazione della sfoglia: “durante la preparazione della pasta mi sono chiesto che funzione potesse avere lo zafferano […]. Alla fine della preparazione e dell’assaggio ebbi due risposte, infatti, mentre stendevo la pasta per poi tagliarla e farcirla mi accorgevo che, più la rendevo sottile, più apparivano evidenti macchiette, molto piccole di colore rosso, derivanti sicuramente dallo zafferano che quando è crudo è rosso, mentre dopo la cottura è giallo. […] la seconda risposta alla mia domanda la potrei intuire solo al momento della degustazione: infatti il sapore che lo zafferano conferiva al prodotto era abbastanza percettibile”.11 Proseguiamo ora nella descrizione storica del prodotto, riportando ulteriori ‘indizi’ che confermano le origini rinascimentali della ricetta. Tra questi è sicuramente da citare la presenza di una spezia molto comune allora: la noce moscata. E’ da notare che la ricetta originale riportata nel testo del Rossetti prevedeva l’impiego anche di altre spezie, ora non più usate, ma in linea con i gusti alimentari del 10 Il testo del Messisbugo si riferisce alla pasta impiegata per la lavorazione dei cappelletti o tortelli, dei quali i cappellacci sono naturale derivazione. Le origini dei cappelletti o tortelli (pasta all’uovo ripiena di un impasto a base di carne e forgiata nella stessa forma dei cappellacci ma con dimensioni inferiori) sono contese tra le città di Bologna, Modena e Ferrara. Le leggende circa le loro origini sono numerose e disparate, così come le teorie sulla loro composizione. La versione più ufficiale riporta che i cappelletti ferraresi si differenziano da quelli romagnoli per il ripieno meno grasso; nel bolognese, inoltre, sono chiamati tortellini. M. Grimaldi, “Breve storia del ‘cappelletto’ ferrarese”, La Pianura, n.3, 1995. 11 Idem, pag. 45. Relazione storica_rev1bis.doc Pag. 5 di 9 tempo: “ecco allora che nei tortelli proposti dal Rossetti troviamo anche zenzero e cannella per stuzzicare i palati aristocratici con gusti esotici, curiosi e pungenti”.12 Le spezie in generale, giunte dal lontano oriente a seguito dei pellegrini, furono oggetto di una vera e propria passione tra i commensali del tardo Medioevo e del Rinascimento. L’uso (e abuso) che allora se ne faceva in ogni preparazione (per condire i cibi, come omaggio tra potenti, come rimedi farmacologici, ecc.) è stato spiegato dai maggiori storici della gastronomia come una sorta di moda, l’ostentazione di uno status symbol, un modo per identificare un ceto potente, che poteva permettersi di pagare un prezzo decisamente elevato. La presenza della noce moscata per condire il ripieno dei “Cappellacci di zucca ferraresi ” conferma, quindi, non solo le origini rinascimentali della ricetta ma anche la sua diffusione come ‘cibo di corte’. La produzione di zucca nel ferrarese Descritte fin qui le origini del prodotto, che possiamo con certezza affermare essere risalenti alla prima metà del ‘500, proveremo ora a tracciare la storia del legame tra il consumo di zucca e le abitudini alimentari dei ferraresi. Il gran numero di pietanze nelle quali la zucca viene attualmente impiegata è valso ai ferraresi l’appellativo di magna zucca con il quale vengono identificati dalle altre province della Regione.13 Giuseppe Longhi, storico ferrarese, ed autore del fondamentale testo “Le donne, i cavalier, l’armi, gli amori e …la Cucina ferrarese” così commenta l’epiteto: “i bolognesi ci gratificano [noi ferraresi, n.d.r.] di essere cioè dei magna zucca, sia per l’abbondante produzione del cucurbitaceo nelle nostre campagne e sia per il largo consumo che ne veniva fatto. Zucca per minestra, zucca fritta per contorno, zucca arrostita nel forno, la così chiamata torta uita (torta e via) che sino a trent’anni fa veniva gridata lungo le strade”.14 I “Cappellacci di zucca ferraresi” possono essere quindi considerati la risposta ferrarese ai “Cappelletti”, altra pasta ripiena con macinato di carne tipica delle province di Modena e Bologna. I “Cappellacci di zucca” si differenziano dai Cappelletti bolognesi o modenesi non solo per la composizione del ripieno ma anche per le dimensioni maggiori della forma: da 12 L’uso delle altre spezie è evidentemente caduto in disuso. G. Berengan, pag. 2. 13 M.A. Galluzzi, N. Iori, M. Iannotta, “La cucina ferrarese”, Franco Muzzio editore, Padova 1987. 14 G. Longhi, “Le donne, i cavalier, l’armi, gli amori e …la Cucina ferrarese”, Edizioni Calderoni, Bologna 1984. Relazione storica_rev1bis.doc Pag. 6 di 9 qui l’origine del termine dialettale ferrarese caplaz ovvero tortelloni, con il quale i ferraresi identificano il prodotto. Qualche storico locale sostiene, tuttavia, che l’origine di questo termine dialettale abbia origine in riferimento alla forma del prodotto, vagamente somigliante a quella del cappello di paglia dei contadini ferraresi, chiamati per l'appunto caplaz.15 La zucca è stata sempre uno degli ingredienti base per l’alimentazione dei contadini ferraresi, fino agli anni Settanta dello scorso secolo. I suoi impieghi erano svariati e fantasiosi, come spesso succede quando la creatività gastronomica sopperisce alla carenza di alimenti. Il Longhi in merito agli stili di vita nelle campagne fino ai primi degli anni Ottanta scrive: “nelle famiglie che non potevano permettersi troppi lussi un piatto, che spandeva un penetrante profumo ricco nella sua povertà, erano le frittelle di fiori di zucca. […] Questa larga utilizzazione della zucca è andata in disuso ma sono rimasti i cappellacci.16 I cappellacci, con il batù di zucca e formaggio”. Fino agli anni Cinquanta per tradizione ogni ferrarese nel giorno di San Martino (11 novembre) portava in tavola i “Cappellacci di zucca ferraresi” al ragù di carne in accompagnamento a castagne e vino novello, come riporta il testo della Berengan precedentemente citato: “almeno fino agli anni Cinquanta non c’era famiglia di tradizione ferrarese che non festeggiasse il giorno di San Martino con i cappellacci. La zucca era allora ben stagionata e il ragù di carne che solo a Ferrara si usa per condirli veniva preparato anche con le parti del maiale già ‘maturo’ per essere trasformato in salami e salamine da sugo”.17 Queste ed altre evidenze, a partire dal fatto che ogni cuoca ferrarese conosce la ricetta e le tecniche di preparazione dei “Cappellacci di zucca ferraresi”, confermano il loro forte radicamento nella cultura alimentare della città di Ferrara. 15 M.A. Iori Galluzzi, N. Iori, M. Iannotta, pag. 34. G. Longhi, pag. 103, 104. L’autore sostiene che la produzione di zucca è andata in disuso probabilmente riferendosi al progressivo abbandono delle campagne ferraresi da parte dei contadini, principalmente dovuto allo scarso ricambio generazionale o alla concentrazione verso produzioni con più alto valore aggiunto. L’andamento della coltivazione di zucca è stato più dettagliatamente affrontato nella relazione tecnica allegata al disciplinare. In questa sede ci limiteremo a riportare i dati del Centro studi della Camera di Commercio di Ferrara dai quali apprendiamo che in un arco di tempo di circa 10 anni (dal 1993 al 2001), sebbene con andamenti altalenanti, la produzione di zucca è aumentata di 11.q.li/ha in media l’anno e la superficie coltivata di circa 1.000 ettari l’anno. 17 G. Berengana, pag. 14. 16 Relazione storica_rev1bis.doc Pag. 7 di 9 Conclusioni La presente Relazione storica ha cercato di focalizzare l’attenzione del lettore su alcuni aspetti fondamentali relativi alle origini del prodotto: 1. le origini ferraresi sono certe e documentate e risalgono al 1584, grazie ai riferimenti riportati nel ricettario di Giovan Battista Rossetti, scalco del duca Alfonso II d’Este di Ferrara; 2. la tecnica di lavorazione della pasta all’uovo (o sfoglia) è una tradizione consolidata nella provincia ferrarese e di origini perfino antecedenti a quelle dei “Cappellacci di zucca ferraresi”: i primi riferimenti risalgono infatti al 1549, anno di pubblicazione del ricettario di Cristoforo da Messisbugo, scalco presso di duchi d’Este; 3. i “Cappellacci di zucca” sono considerati la risposta ferrarese ai Cappelletti modenesi o bolognesi: il ripieno a base di carne, caratteristica di quest’ultimi, viene sostituito con quello a base di zucca perché da sempre uno degli ingredienti fondamentali dell’alimentazione ferrarese; non a caso i ferraresi sono scherzosamente epitetati ‘magna zucca’; 4. i “Cappellacci di zucca” rientrano tra i piatti principali dell’alimentazione contadina della campagne ferraresi, sebbene le loro origini, come dimostrato, siano di corte. Per la valenza culturale, gastronomica ed economica che la produzione di “Cappellacci di zucca ferraresi” riveste nel comparto produttivo locale, si ritiene che la tutela della denominazione tramite marchio IGP sia il giusto riconoscimento ad una lavorazione che da tutti viene riconosciuta come tipicamente ferrarese. N.b.: per approfondimenti tecnici, economici e culturali si rimanda alla Relazione tecnica. Relazione storica_rev1bis.doc Pag. 8 di 9 BIBLIOGRAFIA G. Berengan, “Favolosa zucca. Storie mite curiosità ricette dei cappellacci estensi”, Ferrara 2004-10-28 M. A. Iori Galluzzi, N. Iori, M. Iannotta, “La cucina ferrarese”, Franco Muzzio Editore, Padova 1987 M. Grimaldi, “Breve storia del ‘cappelletto’ ferrarese”, pubblicato sulla rivista “La Pianura”, anno 1997 G. Longhi, “Le donne i cavalier l’armi gli amori e … la Cucina ferrarese”, edizioni Calderoni, Bologna 1984 C. da Messisbugo, “Banchetti composizioni di vivande e apparecchio generale”, Neri Pozza Editore, Venezia 1960 (rist. edizione 1549). A. Molinari Pradelli, “La cucina dell’Emilia Romana”, Newton&Compton editori, Roma 2002 G. B. Rossetti, “Dello scalco”, Ferrara 1584 G. Roversi, D. Luccarini, “I tesori della tavola in Emilia Romana”, Carisbo, Bologna Relazione storica_rev1bis.doc Pag. 9 di 9