il danno da perdita dell`animale di affezione

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il danno da perdita dell`animale di affezione
IL DANNO DA PERDITA DELL’ANIMALE DI AFFEZIONE
di Simona Caterbi
Sommario: Premessa. 1. Il danno da perdita dell’animale di affezione nella prospettiva comparatistica. 2. Il danno
da perdita dell’animale di affezione presso le nostre Corti. 3. La dottrina e il danno da perdita dell’animale di affezione.
4. Il danno da perdita dell’animale di affezione nelle Sezioni Unite del 2008. 5. Il danno nella ipotesi di maltrattamento
di animali. 6. La sentenza n. 4493 del 25 febbraio 2009 e la riconoscibilità del danno in ipotesi di processo equitativo.
Critica. 7. Il riconoscimento costituzionale della perdita dell’animale di affezione. 8. Conclusioni.
PREMESSA
Il pregiudizio riconducibile alla perdita dell’animale di affezione, prima dell’intervento delle
Sezioni Unite del 2008, appariva, ai più, danno non patrimoniale pacificamente risarcibile.
La dottrina e la giurisprudenza che si erano occupate del tema, seppur non frequentemente
riscontrabile all’interno delle di giustizia nostrane, risultavano, infatti, orientate in senso
favorevole alla ammissione di detta voce di danno, anche se con argomentazioni a volte difformi
con riferimento, in particolare, alla individuazione della voce di danno nella quale ascrivere il
pregiudizio indicato.
D’altronde, trattavasi di tematica da tempo esaminata, con risposta positiva, dalle Corti di altri
Paesi, europei e non, e si riteneva, pertanto, scontato che nel nostro Paese la soluzione dovesse
essere in linea con quella offerta nei Paesi con i quali si tende a riscontrare analogia di vedute nel
settore del danno non patrimoniale che qui occupa.
2. IL DANNO DA PERDITA DELL’ANIMALE DI AFFEZIONE PRESSO LE NOSTRE
CORTI.
Le nostre Corti, infatti, nei pur non numerosi casi sottoposti alla loro attenzione hanno dato
risposta positiva all’interrogativo legato alla risarcibilità di tale posta di danno.
Una prima, isolata nonché lontana decisione si rinviene proprio nella giurisprudenza della Suprema
Corte, in ambito penale, nella quale, si afferma che “La uccisione di alcuni animali da cortile da
parte di un cane determina oltre che un danno patrimoniale anche un danno morale risarcibile”1.
Diversi anni dopo, la Pretura di Rovereto, anch’essa sempre nell’ambito di un giudizio penale, ha
affermato che “L'atto illecito che determina la malattia o la morte di un animale di compagnia è
fatto produttivo di danni morali nei confronti di chi lo accudiva e ne aveva cura, in ragione del
coinvolgimento in termini affettivi che la relazione tra l'uomo e l'animale domestico comporta,
dell'efficacia di completamento e arricchimento della personalità dell'uomo e quindi dei sentimenti
di privazione e di sofferenza psichica indotti dal comportamento illecito” 2.
La fattispecie sottoposta all’esame del giudicante aveva riguardato il procedimento instauratosi
nei confronti di un soggetto, zio della proprietaria dell’animale, il quale, in considerazione di
pregressi litigi di ambito familiare, aveva, volontariamente, investito ed ucciso l’animale della
ragazza.
La decisione appare pregevole anche laddove affronta il tema legato alla individuazione del
soggetto legittimato al risarcimento del danno. Nella decisione, infatti, il danno viene
riconosciuto in favore della ragazza che, seppur non iscritta come tale alla anagrafe canina, era
colei che si era da sempre occupata dell’animale. Si afferma, in particolare, che la qualità di
proprietario di un animale d'affezione debba essere ricercata sulla base di indici di natura
concreta in grado di evidenziare l'esercizio da parte di una o più persone di un potere di governo
1
Cass. pen. 17 ottobre 1968, n. 824 , in Cass. pen. 1969, 1068.
Pret. Rovereto, 15 giugno 1994, in Nuova Giur. Civ. comm, 1995, I, 133 con nota di ZATTI, Chi è il padrone del
cane?
2
e delle relative cure; non risultando, pertanto, decisiva, al fine di individuare il titolare di un
diritto reale sul cane, la registrazione dello stesso presso la cosiddetta "anagrafe canina".
A distanza di un anno, affronta nuovamente il tema il giudice conciliatore di Udine.
Il giudice onorario si trova ad esaminare il caso di una gattina deceduta a seguito
dell’investimento da parte di una vettura avvenuto nel cortile interno della abitazione della sua
padrona.
Il giudice accoglie la domanda di rifusione del pregiudizio. Lo stesso, peraltro, per tentare di
arginare le strette maglie del danno morale, ritiene che il pregiudizio patito dalla donna sia
riconducibile al danno biologico, che liquida, seppur in maniera equitativa e, come dallo stesso
giudicante ammesso, simbolica, in L. 50.0003.
Le conclusioni raggiunte dal Pretore trentino vengono ribadite nel 2001 dalla stessa Cassazione.
La Corte era, nel caso di specie, chiamata all’esame della statuizione di merito solo con
riferimento all’aspetto della legittimazione attiva, decisione che conferma rilevando che la
iscrizione all’anagrafe di cui alla Legge 281 del 1991 non conferisce agli animali il rango di beni
mobili registrati, così come del resto aveva affermato il Pretore di Rovereto nella decisione già
riportata4.
Con altra più nota decisione, il Tribunale di Roma, chiamato ad esaminare l’ipotesi di uno
yorkshire che, incappato in una rissa con ben due pit bull, aveva perso la vita, perdendo così la
vita, aveva negato ingresso al risarcimento, ritenendo la impossibilità di configurare un danno
morale in assenza di reato; affermando, peraltro, la indubbia esistenza di danno esistenziale, non
risarcito solo in considerazione della totale assenza di allegazioni sul punto5.
Si legge, in particolare, nella decisione che
“Il problema merita in questa sede di essere ulteriormente affrontato, dal momento che proprio
il danno per la perdita dell’animale d’affezione non sembra richiedere alcuna finzione del
verificarsi della lesione. Non e cioe’ necessario ricorre alla nozione di danno-evento, danno in
se’ considerato, in un campo in cui la realta’ e concretezza del dolore patito dal «padrone» per
effetto della perdita dell’animale — un certo pudore induce ad evitare l’espressione «lutto» — e
nozione dì comune esperienza. Diremmo, dunque, che la connotazione affettiva della relazione
instaurata tra l’uomo e il cane non richieda neppure di essere sottolineata…
In conclusione, tornando al tema, la relazione affettiva con per l’animale puo avere rilevanza
sul piano della tutela aquiliana, potendo richiedere che questa si estenda al risarcimento del
danno non patrimoniale patito in conseguenza della perdita di un affetto che puo’ essere
annoverato tra i beni della personalita’. Come e’ stato osservato in dottrina, la rilevanza
autonoma della relazione affettiva puo’ separare la posizione risarcitoria del proprietario da
quella del «padrone» dell’animale: nel caso di uccisione di animali senza valore, nulla puo’
essere dovuto al proprietario, ma molto puo’ essere dovuto al «padrone» dell’animale.
Le conclusioni raggiunte, del resto, non sono nuove in giurisprudenza, anche se la lesione subita
per effetto della rottura del legame affettivo con l’animale e’ stata per quanto consta ricondotta,
con qualche forzatura, nell’ambito del danno morale o di quello biologico”6.
Si assiste, però, poco prima delle Sezioni Unite, a quello che parte della dottrina ha considerato
una battuta di arresto, anche se, a nostro più sommesso avviso, debba considerarsi una lettura un
po’ troppo frettolosa e, soprattutto, non particolarmente chiara, della Corte sul tema che qui
occupa.
3
Conc. Udine, 9 marzo 1995, in Nuova Giur. Civ. comm, 1995, I, 784, con nota di CITARELLA – ZIVIZ, Il danno per
la morte dell’animale di affezione.
4
Cass. civ., sez III, 3 agosto 2001, in Danno e resp., 2001, 1161, con nota di BONETTA, Proprietari di cani: val più il
guinzaglio del tatuaggio.
5
Trib. Roma, 17 aprile 2002 in Giur. Merito, 2002, 1254.
6
Trib. Roma, cit., parte motiva.
La Corte, in particolare, veniva chiamata ad esprimersi in relazione al danno causato ad una
coppia proprietaria di un cavallo deceduto in seguito ad un incidente stradale (l’animale veniva
trasportato nell’apposito trailer che veniva pesantemente urtato da un mezzo pesante in
prossimità del casello autostradale di Parma).
La Corte, nella parte motiva della sua decisione, così testualmente afferma:
“Nel quarto motivo si deduce l’error in iudicando per la esclusione del danno esistenziale in
relazione alla perdita dell’amato cavallo (omissis), cui i coniugi erano particolarmente
affezionati, In senso contrario si osserva che, pur ammettendo questa Corte (V. Cass. SS unite 14
marzo 2006, n. 6572 e Cass. 15 giugno 2005, n. 15022) la tutela di situazioni soggettive
costituzionalmente protette o legislativamente protette come figure tipiche di danno non
patrimoniale, rientranti sotto l’ambito dell’art. 2059 c.c., costituzionalmente orientato, la
perdita del cavallo in questione, come animale da affezione, non sembra riconducibile sotto una
fattispecie di un danno esistenziale consequenziale alla lesione di un interesse della persona
umana alla conservazione di una sfera di integrità affettiva costituzionalmente protetta. La parte
che domanda la tutela di tale danno, ha l'onere della prova sia per l'an che per il quantum
debatur, e non appare sufficiente la deduzione di un danno in re ipsa, con il generico riferimento
alla perdita delle qualità della vita. Inoltre la specifica deduzione del danno esistenziale
impedisce di considerare la perdita, sotto un profilo diverso del danno patrimoniale (già
risarcito) o del danno morale soggettivo e transeunte”7.
Non appare in alcun modo chiaro il percorso interpretativo seguito nel passo che si è ora
riportato. La Corte sembra, infatti, in un primo momento, decisamente orientata nel bocciare
drasticamente la rifusione del danno da perdita dell’animale. Nella seconda parte, però, si
dilunga nel dare contezza del contenuto che la domanda deve possedere al fine di ottenere ristoro
del danno esistenziale, di fatto così ammettendo la possibilità che, dalla perdita di un animale di
affezione possa scaturire un danno non patrimoniale di tipo esistenziale.
3. LA DOTTRINA E IL DANNO DA PERDITA DELL’ANIMALE DI AFFEZIONE
La dottrina che si è occupata del tema, non molta, per la verità, in data antecedente alla decisione
delle Sezioni Unite del novembre 2008, appare anch’essa orientata in senso favorevole alla
ammissione di detta voce di danno, seppur con argomentazioni a volte difformi con riferimento,
in particolare, alla individuazione della voce di danno nella quale ascrivere il pregiudizio
indicato8.
In particolare, in dottrina si era osservato che le critiche di stampo moralistico a pronunce che
riconoscono tale forma di danno vengono superate dal numero sempre crescente di animali da
compagnia e dal mutato atteggiamento in genere nei confronti degli esseri non umani; che il
diritto e la giurisprudenza si sono evoluti per quanto riguarda i rapporti interpersonali diversi da
quelli tradizionali; che la concessione del risarcimento per danni affettivi per l’uccisione di un
animale non aprirebbe la strada ad un analogo diritto al risarcimento in caso di danneggiamento
o distruzione di un oggetto particolarmente caro, atteso che la relazione affettiva tra uomo e
animale nasce da un rapporto bilaterale con un essere sensibile ed è quindi molto diversa dalla
relazione con una cosa9.
Sempre in dottrina si è riconosciuto che la relazione affettiva con l’animale assume rilevanza
7
Cass. Civ., sez. III, 27 giugno 2007, n. 14846, parte motiva, in Danno e resp., 2008, 36, con nota di FOFFA, il
Danno non patrimoniale per l’uccisione di animale di affezione; in Resp. civ. prev.,2007, 2270, con nota di
CHINDEMI, Perdita dell’animale d’affezione: risarcibilità ex art. 2059 c.c. .
8
Sul tema di rinvengono gli scritti di THEILUNG DE COURTELARY, Danno esistenziale da uccisione
dell’animale da affezione in CENDON (a cura di), Persona e danno, Milano, 2004, vol. IV 4053; CASTIGNONE,
Morte dell’animale d’affezione, in CENDON-ZIVIZ (a cura di), I1 danno esistenziale, Milano, 2000, 267;
CITARELLA - ZIVIZ, op. cit., ZATTI, op. cit.; CHINDEMI, op. cit..; CASTIGNONE, L’uccisione dell’animale
d’affezione, in Trattato breve dei nuovi danni, (a cura di CENDON), Padova, 2001, 2457.
9
CASTIGNONE, Morte…, cit., 211.
sotto diversi profili; sotto il profilo della responsabilità civile, si rilevava che il danno va
risentito per la perdita di un affetto da annoverarsi tra i beni della personalità, di modo che tale
rilevanza verrebbe a separare la posizione risarcitoria del proprietario da quella del padrone
dell’animale: non il primo, ma il secondo, che instaura la relazione con l’animale, ha diritto ad
ottenere il risarcimento del danno10.
Si è, sempre in dottrina, osservato che il danno, necessariamente è di tipo non patrimoniale, ma
non biologico; che, in particolare, il danno deriva dal generico stato di angoscia della vittima,
riconducibile alla perdita, senza rinvio alla sussistenza di alcuna specifica patologia11.
Più di recente, nel pieno della elaborazione del danno esistenziale, si era dato, in dottrina, dato
rilievo alle ripercussioni esistenziali che si instaurano tra il «padrone» e l’animale d’affezione.
Ciò, in quanto gli animali d’affezione sono prevalentemente, fonte di compagnia, considerati dai
loro padroni come membri della famiglia, talora come qualcosa di simile ai bambini, così
venendo ad acquisire una sorta di status sociale.
All’alba della decisione delle Sezioni Unite, quindi, non solo la giurisprudenza, ma anche la
dottrina che si era occupata della tematica non aveva dubbi nel riconoscere la risarcibilità del
pregiudizio in esame.
4. IL DANNO DA PERDITA DELL’ANIMALE DI AFFEZIONE NELLE SEZIONI
UNITE DEL 2008.
Le Sezioni Unite della Cassazione, l’11 novembre 2008, con ben quattro sentenze gemelle, note
come le decisioni di San Martino, hanno svolto una nuova e, sotto diversi aspetti, inaspettata
revisione del danno non patrimoniale12.
Lo spunto nasceva dalla espressa richiesta a tal proposito formulata dal giudice rimettente13.
Le stesse si sono, altresì, pronunciate sul danno riconducibile alla sofferenza umana patita a
seguito della perdita dell’animale da affezione, giungendo alla negazione, totale, di tale forma di
danno, ritenuta di natura c.d. bagatellare.
La Corte individua tre ipotesi nelle quali, a suo avviso, il danno non patrimoniale può trovare
ingresso nell'ordinamento: a) in ipotesi di fatto costituente reato, atteso il tradizionale
collegamento della norma di cui all’art. 2059 c.c. con quella di cui all’art. 185 c.p.; b) in caso di
riconoscimento espresso da parte del legislatore di un danno non patrimoniale; c) in presenza di
lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione.
In tale ultima ipotesi, peraltro, la selezione del danno viene ad essere svolta dal giudice, con
10
ZATTI, op. cit. 138.
CITARELLA e ZIVIZ, op. cit., 786).
12
Cass. S.U. 11 novembre 2008, n. 26972, 26973, 26974, 26975. Le sentenze sono state pubblicate e commentate su
tutte le più note riviste giuridiche. Fra queste si segnalano TOMARCHIO, L'unitarieta' del danno non patrimoniale
nella prospettiva delle Sezioni unite, in Giur. It., 2009, 317; GAZZONI Il danno esistenziale, cacciato, come
meritava, dalla porta, rientrerà dalla finestra, in Dir.fam. e pers., 2009,73; BUSNELLI Le sezioni unite e il danno
non patrimoniale, in Riv. dir. civ., 2009, 97; TESCIONE, Per una concezione unitaria del danno non patrimoniale
(anche da contratto) oltre l'art. 2059 c.c., in Rass. dir. civ., 2009, 499; GAZZARA Danno non patrimoniale da
inadempimento: le SS.UU. e le prime applicazioni nella giurisprudenza di merito, in Danno e resp., 2009, 279;
PROCIDA MIRABELLI DI LAURO, LANDINI, SGANGA, 1) Il danno non patrimoniale secondo le sezioni unite.
Un "de profundis" per il danno esistenziale. 2) Danno biologico e danno morale soggettivo. 3) Le sezioni unite e
l'art. 2059 c.c.: censure, riordini e innovazioni del dopo principio,in Danno e resp., 2009, 19; ZIVIZ, Il danno non
patrimoniale: istruzioni per l'uso, in Resp. civ., prev., 2009, 94; POLETTI, La dualità del sistema risarcitorio e
l'unicità della categoria dei danni non patrimoniali, ivi, 2009, 1, 76; NAVARRETTA, Il valore della persona nei
diritti inviolabili e la complessità dei danni non patrimoniali,ivi, 2009, 63.
Si veda, inoltre, in tema, la monografia, Il danno non patrimoniale, Guida commentata alle decisioni S.U.
11 novembre 2008, nn. 26972/3/4/5/, AA.VV., Milano, 2009.
11
13
Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2008, n. 4712, in Resp. civ. e prev. 2008, 1559, con nota di FACCI, Verso un
"decalogo" delle Sezioni Unite sul danno esistenziale?
valutazione che non può prescindere dalla individuazione della sussistenza degli elementi
strutturali dell’art. 2043 c.c., condotta, danno e nesso causale.
Proprio nella consapevolezza del potere discrezionale del giudice nella individuazione di tali
diritti, ed in particolare, nella consapevolezza della capacità dilatatoria delle previsioni di cui
all’art. 2 della Costituzione, la Corte, dopo aver censurato l’indiscriminato riconoscimento di
tutela concesso sia dai giudici di merito, sia dalle stesse sezioni semplici, connesso al
riconoscimento di un non riconoscibile e non tutelabile diritto alla felicità, precisa quali siano i
confini entro i quali il giudice, nell’esercizio del detto potere debba attenersi.
Si afferma, così, che il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, come tale in grado
di cagionare un serio pregiudizio e che la lesione debba eccedere una soglia minima di
offensività.
Entrambi i requisiti devono essere accertati dal giudice secondo il parametro costituito dalla
coscienza sociale in un determinato momento storico.
Precisa, pertanto, che ogni pregiudizio di tipo esistenziale risulta risarcibile solo entro il limite
segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dell'evento di danno, mentre, non risulta
possibile riconoscere tutela risarcitoria se non si riscontra lesione di diritti costituzionalmente
inviolabili della persona.
In particolare, per quel che attiene ai danni, tradizionalmente individuati come bagatellari, la
Corte afferma espressamente che “Al danno esistenziale era dato ampio spazio dai giudici di
pace, in relazione alle più fantasiose, ed a volte risibili, prospettazioni di pregiudizi suscettivi di
alterare il modo di esistere delle persone:la rottura del tacco di una scarpa da sposa, l'errato
taglio di capelli, l'attesa stressante in aeroporto, il disservizio di un ufficio pubblico, l'invio di
contravvenzioni illegittime, la morte dell'animale di affezione, il maltrattamento di animali, il
mancato godimento della partita di calcio per televisione determinato dal black-out elettrico. In
tal modo si risarcivano pregiudizi di dubbia serietà, a prescindere dall'individuazione
dell'interesse leso, e quindi del requisito dell'ingiustizia”.
La Suprema Corte, pertanto, nell’arresto ora citato, avvicina, al solo fine di negare ristoro ad ogni
risarcimento, fattispecie completamente diverse fra loro, quali la rottura del tacco da sposa,
pregiudizi connessi ai disservizi delle aziende di viaggio e di trasporto ed il danno da perdita
dell’animale di affezione.
Come già osservato, scopo del presente scritto è quello di evidenziare la non con divisibilità delle
conclusioni raggiunte ed i motivi della stessa.
5. LA SENTENZA N. 4493 DEL 25 FEBBRAIO 2009 E LA RICONOSCIBILITÀ DEL
DANNO IN IPOTESI DI PROCESSO EQUITATIVO. CRITICA.
Anche in data successiva alle decisioni dello scorso novembre, è ancora la Cassazione, seppur a
sezioni semplici, a porre in dubbio il principio, affermato appena tre mesi prima dal supremo
Collegio, della irrisarcibilità del danno siffatto.
La Corte, trovatasi a statuire sulla richiesta risarcitoria del padrone di un gattino deceduto a seguito
della inadempiente prestazione professionale svolta da parte della clinica veterinaria alle cui cure
era stato sottoposto, conferma, infatti, la decisione di merito che aveva riconosciuto all’attore il
danno non patrimoniale da questi patito.
I giudici pervengono a tale affermazione seppur con un escamotage che, di fatto, non si pone in
contrasto con le conclusioni raggiunte a Sezioni Unite.
In particolare, il ricorso era svolto avverso una decisione del giudice di pace che si era pronunciato
secondo equità. Afferma, la Corte che “Nel giudizio secondo equità rimesso dal comma 2 dell’art.
113 c.p. c. al giudice di pace, venendo in rilievo l’equità c. d. «formativa » o « sostituti va » della
norma di diritto sostanziale, non opera la limitazione del risarcimento del danno non patrimoniale
ai soli casi determinati dalla legge, prevista dall’art. 2059 c. c., sia pure nell’interpretazione
costituzionalmente corretta di tale disposizione. Ne consegue che il giudice di pace, nell’ambito del
solo giudizio d’equità, può disporre il risarcimento del danno non patrimoniale anche fuori dei casi
determinati dalla legge e di quelli attinenti alla lesione dei valori della persona umana
costituzionalmente protetti, sempre che il danneggiato abbia allegato e provato (anche attraverso
presunzioni) il pregiudizio subito, essendo da escludere che il danno non patrimoniale rappresenti
una conseguenza automatica dell’illecito”14.
Detto in altri termini, la Suprema Corte ritiene che, laddove il giudizio permanga nei limiti del
giudizio di equità nessuna limitazione può essere apposta alla limitazione del danno non
patrimoniale, essendo il giudizio medesimo svincolato dai limiti normativi tradizionalmente imposti
alla decisione secondo diritto.
Non è chi non veda la non con divisibilità della affermazione, che, di fatto, giunge a disciplinare in
maniera diametralmente opposta fattispecie di per sé identiche fra loro.
6. IL DANNO NELLA IPOTESI DI MALTRATTAMENTO DI ANIMALI.
Occorre a questo punto svolgere delle brevi premesse sugli animali ed, in particolare, in ordine al
loro inquadramento all’interno del nostro ordinamento giuridico.
Gli animali, infatti, non vengono considerati in maniera particolare dall’ordinamento.
Gli stessi sono considerati come cose, ai sensi dell’art. 810 c.p., al pari di ogni altro bene
materiale.
Di qui, presumibilmente, l’atteggiamento della Corte che equipara, nella decisione ora riportata, la
rottura del tacco e la perdita della visione della partita della squadra del cuore alla morte
dell’animale.
Il codice civile si occupa di animali, solo nell’art. 2052, laddove si occupa del danno cagionato
dagli animali, e prevede la responsabilità del proprietario, ovvero di chi se ne serve, per i danni
cagionati dall’animale medesimo.
La norma, come appare evidente, non mira a tutelare l’animale, essendo volta alla salvaguardia di
coloro che vengono ad essere danneggiati dalla condotta dell’animale medesimo.
Per quel che attiene al codice penale, abbiamo invece maggiori approfondimenti.
L’originaria previsione del mero reato di maltrattamento di animali, prevista dall’art. 727 codice
penale che puniva, con una contravvenzione, la condotta di chiunque incrudelisce verso animali
ovvero li sottopone, senza necessità, a fatiche eccessive o a torture, è stata, di recente, soggetta a
revisione a seguito della introduzione, effettuata con legge 20 luglio 2004, n. 189 di specifiche
norme all’interno del codice penale. Ci riferiamo agli artt. 544 da bis a sexies c.p.), volte a
sanzionare i c.d. delitti contro il sentimento per gli animali, con le quali vengono punite, quali
forme di reato, le condotte di coloro che, con crudeltà o senza necessità, maltrattino o cagionino la
morte di animali.
Tali norme, indubbiamente, confermano la risarcibilità, ai sensi della mai contestata dicotomia fra
art. 2059 c.c. e art. 185 c.p.c., del danno non patrimoniale patito dal soggetto legato da rapporto di
affezione all’animale sottoposto ai detti maltrattamenti.
Premesso pertanto, che, quanto meno per quel che attiene alla morte ovvero al maltrattamento
dell’animale da affezione riconducibile a fatto reato ex art. 544 bis e ter c.p., vi è una indubbia
copertura normativa, atta, pertanto, a ricondurre la risarcibilità nei limiti di cui all’art. 2059 c.c.,
occorre interrogarsi circa la possibilità di individuare analoga norma di legge per quel che attiene
alla morte non riconducibile a fatto reato.
7. IL RICONOSCIMENTO COSTITUZIONALE DELLA PERDITA DELL’ANIMALE DI
14
Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2009, n. 4493, in Resp. civ. e prev. 2009, 5, 1013, con nota di BONA, cit.; in Il
civilista, 2009, 5, 56, con nota di FABIANI.
Per un particolare parallelo fra le decisioni del novembre 2008 e la decisione ora riportata, si veda, in
particolare, http://www.tribunale.varese.it/UserFiles/File/documenti/Nota%20Cass%20civ%2009%20n_%204493.pdf.
AFFEZIONE.
Occorre preliminarmente precisare come le considerazioni svolte dalla Corte, relative alla assenza
di danno non risarcibile legate al maltrattamento di animali risultano sconfessate dallo stesso
legislatore.
Purtroppo non sembra andata a buon fine una proposta di modifica dell’art. 9 della Costituzione,
discussa nel corso di una precedente legislatura, il cui nuovo testo, che appariva condiviso da tutte
le forze politiche, quale avrebbe dovuto stabilire che la Repubblica “tutela le esigenze, in materia
di benessere, degli animali in quanto esseri senzienti 15.
Pur in assenza di una chiara previsione costituzionale, si ritiene, però, che ben possa svolgersi una
ricostruzione delle norme in materia in senso critico e, come tale, atto a supportare la tesi volta alla
individuazione di un referente normativo di rango superiore.
La recente introduzione, all’interno del codice penale, di norme espressamente volte a sanzionare i
c.d. delitti contro il sentimento per gli animali, di cui si è detto al paragrafo precedente, appare già,
di per sé, un chiaro indice della consapevolezza del legislatore di non poter equiparare, ai fini
anche risarcitori, gli animali, ed in particolare, gli animali c.d. di affezione, agli altri beni della vita
quotidiana.
Detto in altri termini. E’ ben vero che gli animali, per il nostro codice civile, sono cose (e come tali,
analoghe ad ogni altro bene della vita quotidiana), ma è anche vero che, quanto meno per il codice
penale, si tratta di una cosa avente un disvalore diverso e superiore rispetto agli altri beni.
Sempre le predette norme penali si palesano quale ulteriore elemento di non condivisibilità, sul
punto, delle conclusioni raggiunte dalle Sezioni Unite le quali, da un lato, ammettono il
risarcimento del danno non patrimoniale in presenza di fatto reato e, dall’altro, negano il medesimo
risarcimento per la ipotesi di maltrattamento di animali, anch’esso fatto reato.
Ed allora, partendo da tali premesse, non rimane che procedere all’esame della normativa in tema,
al fine, come sopra evidenziato, di dare rilievo di rango superiore al danno che qui occupa.
Si individua così, in particolare, la Legge 14 agosto 1991, n. 281, c.d. Legge quadro in materia di
animali di affezione e prevenzione del randagismo, ha precisato che “Lo Stato promuove e
disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i
maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e
di tutelare la salute pubblica e l'ambiente”(art.1).
Da tale normativa emerge la consapevolezza, da parte dello Stato, del particolare legame che si
instaura fra l’animale ed il suo padrone, rapporto che non può essere limitato al solo profilo
affettivo fra proprietario e bene, così come del resto già evidenziato laddove si è dato adeguato
risalto alle normative penali.
Dagli elementi che si sono evidenziati sembra, a chi scrive, che il rapporto fra animale e padrone,
debba necessariamente inserirsi in una di quelle attività realizzatrici della persona cui la stessa carta
Costituzionale, con la previsione dell’art. 2, mostra di dare adeguata e particolare tutela.
Ne deriva, pertanto, la risarcibilità del danno, non patrimoniale, da perdita dell’animale di affezione,
sia sotto il profilo, in precedenza esplicato, del danno derivante da condotta costituente reato, sia
sotto il profilo, più frequente, fortunatamente, nella pratica, in cui la perdita dell’animale sia
riconducibile a mero fatto colposo ovvero ad inadempimento contrattuale.
In ossequio alle decisioni gemelle del 2008, infatti, nonostante la specifica presa di posizione sul
punto, deve, infatti, ritenersi il danno in esame come rientrante nei diritti a rilievo costituzionale che
si è inteso, con le dette decisioni, affermare.
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L’assunto viene riferito da DI MARZIO, Morte dell’animale d’affezione, cit. in www.personaedanno.it.