Responsabilità ambientale e rischio d`impresa
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Responsabilità ambientale e rischio d`impresa
Responsabilità ambientale e rischio d’impresa avv. Angelo Merlin - [email protected] Docente di diritto ambientale al master in “Caratterizzazione e risanamento siti contaminati” – UNIVERSITA’ CA’ FOSCARI - VENEZIA Villafranca, 21 settembre 2011 Il “rischio responsabilità” in materia ambientale Diverse tipologie di “RESPONSABILITÀ AMBIENTALE”: responsabilità civile (risarcitoria e/o ripristinatoria); responsabilità amministrativa; responsabilità penale (sia personale che degli Enti). 1. Diverse le funzioni e le finalità. 2. Diverse le conseguenze giuridiche. 3. Diversi i meccanismi processuali. 4. Possibile coesistenza delle fattispecie. 2 La responsabilità civile risarcitoria e/o ripristinatoria Art. 300, comma 1° d.lgs. 152/2006 “È danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima”. (cfr. la definizione di “danno” di cui alla direttiva 2004/35/CE) 3 (segue) La responsabilità civile risarcitoria e/o ripristinatoria Art. 300, comma 2° d.lgs. 152/2006 Ai sensi della direttiva 2004/35/CE è danno ambientale il deterioramento provocato: alle specie ed agli habitat naturali protetti dalla normativa nazionale e comunitaria; alle acque interne, attraverso azioni che incidono in modo significativamente negativo sullo stato ecologico, chimico e/o quantitativo oppure sul potenziale ecologico delle acque interessate (direttiva 2000/60/CE); alle acque costiere e territoriali, anche attraverso azioni svolte in acque internazionali; al terreno mediante contaminazioni che creino un rischio significativo di effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana e per l’ambiente. 4 (segue) La responsabilità civile risarcitoria e/o ripristinatoria Per interpretare i concetti “senza definizione” di: 1) “deterioramento”, vedere l’Allegato 3, punto 1 alla parte sesta, quando parla di “riportare l’ambiente danneggiato alle condizioni originarie” definite dall’art. 302, comma 11, come “le condizioni, al momento del danno, delle risorse naturali e dei servizi che sarebbero esistite se non si fosse verificato il danno ambientale, stimate sulla base delle migliori informazioni disponibili”; 2) “significativo”, vedere l’Allegato 4 alla parte sesta che definisce i criteri tecnici per stabilire il carattere “significativo” di un danno (stato di conservazione, servizi offerti dai valori ricreativi connessi, capacità di rigenerazione naturale). 5 Principali esclusioni Le norme sul danno ambientale non si applicano: al danno causato da una emissione, un evento o un incidente verificatosi prima della data di entrata in vigore del d.lgs. 152/2006; al danno in relazione al quale siano trascorsi più di 30 anni dall’emissione, dall’evento o dall’incidente che l’hanno causato; al danno o alla minaccia di danno causati da inquinamento di carattere diffuso, se non sia stato possibile accertare un nesso causale tra danno e singoli operatori; alle situazioni di inquinamento per le quali sia in corso o sia intervenuta bonifica, salvo che ad esito di tale bonifica non permanga un danno ambientale. 6 Tipologie di misure contro il rischio, anche potenziale, per la salute e l’ambiente Misure precauzionali (art. 301): presuppongono il rischio – da individuare sulla base di una preliminare valutazione scientifica obiettiva – di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e l’ambiente. Misure di prevenzione contro la minaccia imminente di danno ambientale (art. 304). Misure di ripristino del danno ambientale (art. 305) 7 Il risarcimento del danno ambientale L’art. 311 del d.lgs. 152/2006 stabilisce le seguenti gradualità: 1. obbligazione all’effettivo ripristino della precedente situazione; 2. in mancanza del ripristino, all’adozione di misure di riparazione complementari e compensative secondo le modalità prescritte dall’Allegato II alla direttiva 2004/35/CE; 3. quando l’effettivo ripristino o l’adozione di misure di riparazione complementari o compensative risultino in tutto o in parte omessi, impossibili o eccessivamente onerosi ai sensi dell’art. 2058 c.c. o, comunque, attuati in modo incompleto o difforme rispetto a quelli prescritti, il danneggiante è obbligato in via sostitutiva al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato, determinato conformemente ad un decreto del Ministero dell’ambiente che dovrà essere emanato. 8 (segue) Il risarcimento del danno ambientale il risarcimento del danno ambientale spetta esclusivamente allo Stato (Cassazione, Sez. III, 22.11.2010, n. 41015); gli altri Enti territoriali possono agire, in forza dell’art. 2043 c.c., per il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale, ulteriore e concreto, che abbiano dato prova di aver subito dalla medesima condotta lesiva dell’ambiente in relazione alla lesione di altri loro diritti patrimoniali (es. spese sostenute per attività di ripristino e danni alla lesione dell’immagine); dalla compromissione dell’ambiente possono derivare altre tipologie di lesioni risarcibili ex art. 2043 c.c. (ad es. alle persone fisiche). 9 Responsabilità amministrativa (bonifica dei siti contaminati) La “scoperta” del superamento dei valori soglia di contaminazione autonomi controlli dell’impresa eventi improvvisi e/o repentini accertamenti della P.G. Le decisioni dell’imprenditore rischio economico rischio “di responsabilità” 10 Quando un sito è contaminato nelle sue diverse matrici BONIFICA (art. 240, comma 1°, lett. p)) L’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR*) *CSR: i livelli di contaminazione delle matrici ambientali, da determinare caso per caso con l’applicazione della procedura di analisi di rischio sito specifica e sulla base dei risultati del piano di caratterizzazione, il cui superamento richiede la messa in sicurezza e la bonifica. I livelli di concentrazione così definiti costituiscono livelli di accettabilità per il sito (art. 240, comma 1°, lett. c)). 11 (segue) Quando un sito è contaminato nelle sue diverse matrici Sito contaminato (art. 240, comma 1°, lett. e)) sito nel quale i valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR) risultano superati Sito non contaminato (art. 240, comma 1°, lett. f)) sito nel quale la contaminazione rilevata nelle matrici ambientali risulta inferiore ai valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC)* superiore ai valori di concentrazione soglia di contaminazione, ma inferiore ai valori di concentrazione soglia di rischi (CSR) *CSC: i livelli di contaminazione delle matrici ambientali che costituiscono valori al di sopra dei quali è necessaria la caratterizzazione del sito e l’analisi di rischio sito specifica, come individuati nell’Allegato 5 alla parte IV del presente decreto. Nel caso in cui il sito potenzialmente contaminato sia ubicato in un’area interessata da fenomeni antropici o naturali che abbiano determinato il superamento di una o più concentrazioni soglia di contaminazione, queste ultime si assumono pari al valore di fondo esistente per tutti i parametri considerati (art. 240, comma 1°, lett.b)). 12 Quando sono contaminate le acque sotterranee? L’art. 2, comma 43 del D. Lgs. n. 4/2008 stabilisce che per la bonifica delle acque sotterranee “la CSR per ciascun contaminante deve essere fissata equivalente alle CSC di cui all’Allegato 5 della parte quarta del presente decreto” violazione della legge delega che rende, sotto questo profilo, incostituzionale il D. Lgs. n. 4/2008 per contrasto con l’art. 76 Cost.? Inoltre: 1. l’individuazione del c.d. “punto di conformità”, vale a dire del “punto a valle idrogeologico della sorgente al quale deve essere garantito il ripristino dello stato originale […] del corpo idrico sotterraneo […] onde consentire tutti i suoi usi potenziali”: in attuazione del principio di precauzione, tale punto viene ora individuato “non oltre i confini del sito contaminato oggetto di bonifica” 13 Come viene individuato il responsabile dell’inquinamento Art. 239 del D. Lgs. n. 152/2006 L’art. 239 precisa che tutta la disciplina delle bonifiche e del ripristino ambientale risulta armonizzata con i principi e le norme comunitarie, con particolare riferimento al principio “chi inquina paga”. 14 (segue) Come viene individuato il responsabile dell’inquinamento “L’obbligo di bonifica è posto in capo al responsabile dell’inquinamento che le Autorità amministrative hanno l’onere di ricercare ed individuare, mentre il proprietario non responsabile dell’inquinamento o altri soggetti interessati hanno una mera facoltà di effettuare interventi di bonifica” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V. 16.6.2009, n. 3885 e T.A.R. Abruzzo (PE), Sez. I, 13.05.2011, n. 318; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 13.01.2011, n. 6). Il proprietario del sito, anche quando non responsabile, resta comunque soggetto all’onere di eseguire gli interventi ambientali ai fine di evitare l’espropriazione del terreno, gravato ex lege da onere reale e privilegio speciale (Consiglio di Stato, Sez. VI, 15.7.2010, n. 4561) 15 (segue) Come viene individuato il responsabile dell’inquinamento La decisione comunitaria del 9.03.2010, n. C – 378/08 “conformemente al principio chi inquina paga l’obbligo di riparazione incombe agli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell’inquinamento o al rischio di inquinamento … l’autorità competente è tenuta ad accertare, in osservanza delle norme nazionali in materia di prova, quale operatore abbia provocato il danno ambientale” 16 L’accertamento del nesso di causalità tra condotta ed inquinamento Quali sono le norme nazionali in materia di prova per accertare la responsabilità ambientale? “l’imputabilità dell’inquinamento può avvenire per condotte attive ma anche per condotte omissive e la prova può essere data in via diretta ed indiretta, ossia in quest’ultimo caso, l’amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale si può avvalere anche di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c. (le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignorato), prendendo in considerazioni elementi di fatto dai quali possono trarsi indizi gravi, precisi e concordanti, che inducano a ritenere verosimile, secondo l’“id quod plerumque accidit” che si sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori”, Consiglio di Stato, sez. V, 16.06.2009, n. 3885; T.A.R. Emilia Romagna (PR), Sez. I, 28.6.2011, n. 218) 17 (segue) L’accertamento del nesso di causalità tra condotta ed inquinamento E la decisione del Giudice comunitario? “per poter presumere l’esistenza di un nesso di causalità tra l’inquinamento accertato e l’attività del singolo o dei diversi operatori, l’autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato o la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate ed i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività”, Corte di Giustizia UE 9.07.2010, n. C – 378/08 18 Quale rilevanza ha l’accertamento dell’esistenza di inquinamento di tipo diffuso? c’è inquinamento diffuso quando “la contaminazione o le alterazioni chimiche, fisiche o biologiche delle matrici ambientali sono determinate da fonti diffuse e non imputabili ad una singola origine” (art. 240, comma 1°, lett. q) “l’inquinamento diffuso non rientra nella sfera di applicazione della direttiva 2004/35, bensì in quella dell’ordinamento nazionale”, cfr. Corte di Giustizia UE, 9.03.2010, n. C – 378/08 “in tema di inquinamento diffuso, la bonifica resta a cura della P.A. ed i relativi vantaggi dei privati, proprietari o detentori dei fondi bonificati, in termini di aumento di valore del fondo, potranno costituire giusta causa di recupero delle corrispondenti somme, nei limiti ordinari delle azioni di arricchimento”, cfr. T.A.R. Friuli Venezia Giulia 17.12.2009, n. 837 19 Il rapporto tra bonifica e risarcimento del danno ambientale È un rapporto “critico” e “delicato” e … inesplorato dalla giurisprudenza per l’“estremo tecnicismo” della materia che richiede conoscenze altamente specialistiche in più settori diversi tra di loro; per le “caratteristiche della normativa di settore”: disciplina speciale con problemi di coordinamento ed armonizzazione con il diritto comunitario; per le “opzioni ideologiche” che indirizzano il legislatore al contemperamento tra tutela dell’ambiente ed interesse alla produzione; ma …. soprattutto … perché si tratta di due discipline “concorrenti”, ma tra di loro non coordinate 20 Il collegamento e “concorso” iniziale: l’avvio comune dei due regimi Art. 242, comma 1°, d.lgs. n. 152/2006: al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell’inquinamento deve anche comunicare tale situazione “ai sensi e con le modalità” di cui all’art. 304, comma 2° (Parte sesta Titolo II) del d.lgs. n. 152/2006 inadempimento asservito dalla sanzione amministrativa “non inferiore a mille euro né superiore a tremila euro per ogni giorno di ritardo” (art. 304, comma 2°, ultima parte) 21 La priorità procedimentale e sostanziale “condizionata” Art. 303, comma 1° lett. i) del d.lgs. n. 152/2006 afferma la priorità procedimentale del regime della bonifica a condizione che “siano effettivamente avviate le procedure relative alla bonifica o sia stata avviata o sia intervenuta bonifica dei siti nel rispetto delle norme vigenti in materia” la mancata puntualizzazione del “momento” o dell’“atto” costituente l’avvio della procedura di bonifica potrebbe creare conflitti tra prescrizioni e decisioni 22 E all’esito della bonifica? Se all’esito della bonifica permane un danno ambientale si applicano le disposizioni della parte sesta del d.lgs. n. 152/2006 (art. 303, comma 1°, lett. i) ultima parte) l’intervento sussidiario del regime della responsabilità per danno ambientale sembrerebbe coprire l’area residua del “danno non ripristinato”, atteso che bonifica e ripristino ambientale vanno eseguiti cumulativamente (art. 240, comma 1°, lett.re l) e q)) 23 (segue) E all’esito della bonifica? Che l’area residua del danno non ripristinato coincida con la “fase risarcitoria per equivalente pecuniario” appare dal disposto di cui all’art. 313, comma 1°, del d.lgs. n. 152/2006, laddove si fa riferimento alla mancata attivazione “delle procedure di ripristino ai sensi del Titolo V della parte quarta” 24 (segue) E all’esito della bonifica? Il risarcimento per equivalente pecuniario può essere richiesto dal Ministero dell’Ambiente al responsabile dell’inquinamento (art. 313, comma 2°, del d.lgs. n. 152/2006): quando quest’ultimo non abbia provveduto in tutto o in parte al ripristino nel termine prescritto (ripristino inteso anche come adozione di misure di riparazione complementare e compensativa); quando il ripristino risulti in tutto o in parte impossibile o eccessivamente oneroso (in attesa del decreto del Ministero dell’Ambiente che dovrebbe individuare i “criteri di determinazione del risarcimento per equivalente e dell’eccessiva onerosità”, cfr. art. 311, comma 3°, del d.lgs. n. 152/2006); quando “si tratta di danno derivante, medio tempore, dalla mancata disponibilità di una risorsa ambientale intatta, ossia le c.d. perdite provvisorie, previste espressamente come componente del danno risarcibile dalla direttiva 2004/35/CE”, cfr. Cass. Pen., Sez. III, 2.05.2007 (ud. 6.03.2007), n. 16575 25 La responsabilità penale Principali modelli di incriminazione nel diritto penale ambientale 1. Modelli incentrati sul superamento di determinati valori di accettabilità contenuti in “tabelle” predisposte dal diritto amministrativo. 2. Modelli incentrati sull’inosservanza di provvedimenti amministrativi e giudiziari. 3. Modelli incentrati sull’ “esercizio non autorizzato” dalla P.A.. Utilizzazione, in via generale, del modello contravvenzionale (d.lgs. 152/2006) che pone problemi di “efficacia”: (a) esiguità sanzionatoria delle pene edittali previste; (b) ricorso all’istituto dell’oblazione; (c) ridotto termine prescrizionale. 26 Le principali ipotesi delittuose art. 260 d.lgs. 152/2006: “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti” (la natura del reato e la cornice edittale consentono mezzi di ricerca della prova – intercettazioni – e rendono possibili misure cautelari personali non adattabili per i reati ambientali contravvenzionali); art. 258, comma 4, ultima parte d.lgs. 152/2006: falsa indicazione nel certificato di analisi della natura, composizione e caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti ed utilizzo dello stesso durante il trasporto; art. 452 c.p.: avvelenamento colposo di acque destinate all’alimentazione; art. 635 c.p.: danneggiamento delle acque; art. 434 e 449 c.p.: disastro c.d. innominato (nelle rispettive forme dolosa o colposa); art. 416 c.p.: associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati in materia ambientale (in questo caso è prevista anche la responsabilità da reato della Società ai sensi dell’art. 24-ter del d.lgs. 231/2001) 27 Il rischio “penale” in sede di indagini preliminari • Applicazione del sequestro preventivo delle “cose pertinenti al reato” allo scopo di impedire che la loro libera disponibilità: (1) “possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato”; (2) “possa agevolare la commissione di altri reati”. • Applicazione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria. In questi casi, sussiste per l’impresa un danno economico in termini di diminuzione: • del reddito; • della competitività; • della credibilità nei confronti dei clienti e dei fornitori; • del peggioramento dell’immagine aziendale. 28 Il rischio “penale” a seguito del processo • L’inflizione di una “pena” può comportare necessarie modifiche alla governance societaria (il problema dell’imputazione gravante indistintamente su tutti i componenti del CdA ed il problema della non delegabilità dei poteri relativi alla struttura ed alla organizzazione aziendale); • Conseguenze amministrative sulle autorizzazioni ambientali in possesso dell’azienda (es. applicazione del comma 13, lett. c) dell’art. 208 del d.lgs. 152/2006); • Conseguenze amministrative in ordine al rinnovo di “iscrizioni” ambientali e/o conseguenze relative all’esclusione alle gare di appalto (cfr. CdS, Sez. V, n. 1586 del 15.03.2011); • Conseguenze risarcitorie e/o ripristinatorie (subordinazione della sospensione condizionale della pena alla rimozione dei rifiuti e/o alla bonifica, condanna al risarcimento del danno ambientale nei confronti dello Stato, condanna al risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale che soggetti singoli o associati dimostrino di aver subito dalla condotta lesiva dell’ambiente). 29 1° esempio • Imputazione riguardante la contaminazione di una falda acquifera che ne ha comportato l’ “avvelenamento”, estesa in diversi Comuni della pianura. • Condanna in primo grado del legale rappresentante della Società alla pena di anni 2 e mesi 2 di reclusione ed al risarcimento di tutti i danni cagionati dal delitto alle parti civili costituite. • Condanna al pagamento di una provvisionale provvisoriamente esecutiva a favore di: a) Ministero dell’Ambiente per euro 1.500.000,00, a titolo di risarcimento del danno ambientale; b) vari Comuni interessati per euro 500.000,00, ciascuno a titolo di risarcimento del danno patrimoniale; c) diversi cittadini per euro 50.000,00, ognuno a titolo di risarcimento del danno patrimoniale e morale. 30 2° esempio • Varie imputazioni riguardanti una illecita gestione di rifiuti, configurante il traffico illecito, oltre a diverse ipotesi contravvenzionali. • Condanna in primo grado del legale rappresentante della Società alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione, oltre alla condanna di dirigenti e di preposti a pene inferiori ad anni 2 di reclusione, ed al risarcimento di tutti i danni cagionati dai reati contestati alle parti civili costituite. • Condanna al pagamento di una provvisionale provvisoriamente esecutiva a favore di: a) Ministero dell’Ambiente per euro 300.000,00, a titolo di risarcimento del danno ambientale; b) Provincia e Comune per euro 5.000,00, ciascuno a titolo di risarcimento del danno morale; c) nr. 3 Associazioni ambientaliste per euro 10.000,00, ciascuna a titolo di risarcimento del danno morale. 31 3° esempio • Imputazione riguardante molestie olfattive (art. 674 c.p.) causate dalle emissioni di uno stabilimento industriale, oltre a diverse ipotesi contravvenzionali riguardanti anche il reato di omessa bonifica di un sito contaminato. • Condanna in primo grado di tutti i componenti del Consiglio di Amministrazione alla pena di mesi 15 di reclusione, subordinando l’applicazione della sospensione condizionale della pena alla bonifica del sito ed al ripristino dello stato dei luoghi, oltre al risarcimento di tutti i danni cagionati dai reati contestati alle parti civili costituite. • Condanna al pagamento di una provvisionale provvisoriamente esecutiva a favore di: a) Provincia e Comune per euro 50.000,00, a titolo di risarcimento del danno ambientale; b) nr. 60 cittadini per euro 1.500,00, ciascuno a titolo di risarcimento del danno morale; c) una Associazione ambientalista per euro 5.000,00, a titolo di risarcimento del danno morale. 32 La responsabilità da reato delle imprese per la violazione delle norme ambientali (d.lgs. n. 121/2011) Art. 1 – modifiche al C.P.: vengono introdotte nel nostro codice penale due nuove fattispecie di reato contravvenzionale ed, in particolare l’art. 727-bis c.p. (“Uccisione, distruzione, prelievo o possesso di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette”) e l’art. 733-bis c.p. (“Danneggiamento di habitat”) Art. 2 – modifiche al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231: viene allargato il novero dei reati presupposto ai fini della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ex d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 ai reati ambientali introducendo l’art. 25-undecies 33 (… segue) La responsabilità da reato delle imprese per la violazione delle norme ambientali (d.lgs. n. 121/2011) I reati ambientali inseriti tra i reati presupposto ex d.lgs. 231/2001 reati di cui agli artt. 727-bis e 733-bis c.p. reati di cui all’art. 137 d.lgs. 152/06 (scarichi di acque reflue industriali); reati di cui all’art. 256 d.lgs. 152/06 (attività di gestione rifiuti non autorizzata); reati di cui all’art. 257 d.lgs. 152/06 (bonifica di siti); reato di cui all’art. 258, comma 4, d.lgs. 152/06 (trasporto di rifiuti); reato di cui all’art. 259 d.lgs. 152/06 (traffico illecito di rifiuti); reato di cui all’art. 260 d.lgs. 152/06 (attività organizzata finalizzata al traffico illecito di rifiuti); 34 (… segue) I reati ambientali inseriti tra i reati presupposto ex d.lgs. 231/2001 reato di cui all’art. 260-bis d.lgs. 152/06 (SISTRI) reato di cui all’art. 279 d.lgs. 152/06 (emissioni in atmosfera); reati previsti dalla Legge 7 febbraio 1992, n. 150 (protezione di specie animali e vegetali in via di estinzione e di animali pericolosi); reati previsti dall’art. 3, comma 6, della legge 28 dicembre 1993, n. 549 (tutela ozono); reati previsti dal d.lgs. 6 novembre 2007, n. 202 (inquinamento doloso e colposo provocato dalle navi). 35 (… segue) La responsabilità da reato delle imprese per la violazione delle norme ambientali (d.lgs. n. 121/2011) Sanzioni pecuniarie ex d.lgs. 231/2001 Il Governo ha inteso suddividere tutte le condotte in tre classi di gravità ed ha calibrato le sanzioni pecuniarie in relazione alle stesse. In particolare ha previsto: (i) la sanzione pecuniaria sino a 250 quote 1, per i reati sanzionati con l’ammenda ovvero con la pena dell’arresto sino ad 1 anno alternativa o congiunta a quella dell’ammenda ovvero con la pena dell’arresto sino a 2 anni alternativa alla pena pecuniaria (es. gestione non autorizzata di rifiuti non pericolosi); (ii) la sanzione pecuniaria da 150 a 250 quote, per i reati sanzionati con la reclusione sino a 2 anni ovvero con la pena dell’arresto sino a 2 anni sola a congiunta a quella dell’ammenda (es. gestione non autorizzata di rifiuti pericolosi – art. 256, 1^ comma lett. b)); (iii) la sanzione pecuniaria da 200 a 300 quote, per i reati sanzionati con la reclusione sino a 3 anni ovvero con la pena dell’arresto sino a 3 anni (es. discarica non autorizzata di rifiuti pericolosi – art. 256, comma 3, secondo periodo); Per il solo reato previsto dall’art. 260 del d.lgs. 152/2006 (“Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”) – in ragione del particolare rigore del trattamento sanzionatorio – ha previsto la sanzione pecuniaria da 300 a 500 quote, per il caso previsto dal comma 1, e da 400 a 500 quote per il caso previsto dal comma 2 (rifiuti ad alta radioattività). 1 Valore quota: variabile da un minimo di Euro 258,00= ad un massimo di Euro 1.549,00= 36 (… segue) La responsabilità da reato delle imprese per la violazione delle norme ambientali (d.lgs. n. 121/2011) Sanzioni interdittive ex d.lgs. 231/2001 Il decreto legislativo prevede – inoltre – l’applicazione delle sanzioni interdittive di cui all’art. 9, comma 2, del d.lgs. 231/01 (interdizione dall’esercizio dell’attività, sospensione o revoca delle autorizzazioni, delle licenze o delle concessioni funzionali alla commissione dell’illecito, divieto di contrarre con la pubblica amministrazione, esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi, divieto di pubblicizzare beni o servizi) in caso di condanna per uno dei seguenti reati: (i) art. 137, commi 2, 5, secondo periodo e 11 d.lgs. 152/06 (scarico non autorizzato con riferimento alle sostanze pericolose indicate nelle Tabelle 3/A e 5 dell’Allegato 5; superamento dei valori limite tabellari fissati per le sostanze indicate nella Tabella 3/A dell’Allegato 5; violazione del divieto di scarico sul suolo e di scarico di acque termali); (ii) art. 256, comma 3, secondo periodo d.lgs. 152/06 (discarica non autorizzata di rifiuti pericolosi); (iii) art. 260 d.lgs. 152/06 (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti); (iv) artt. 8 e 9, comma 2, d.lgs. 202/07 (inquinamento doloso provocato dalle navi ovvero colposo con danni permanenti o di particolare gravità alla qualità delle acque o a specie animali o vegetali) per una durata non superiore a 6 mesi 37 Criteri di collegamento tra la commisurazione della sanzione pecuniaria ed interdittiva e le condotte riparatorie e/o ripristinatorie art. 11, comma 1, d.lgs. 231/2001: “nella commisurazione della sanzione pecuniaria il Giudice determina il numero delle quote tenendo conto …. dell’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto …” art. 14, comma 1, d.lgs. 231/2001: “Il Giudice determina il tipo e la durata delle sanzioni interdittive sulla base dei criteri indicati all’art. 11” 38 (… segue) La responsabilità da reato delle imprese per la violazione delle norme ambientali (d.lgs. n. 121/2011) Sanzione dell’interdizione definitiva Viene altresì previsto che “Se l'ente o una sua unità organizzativa vengono stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati di cui all’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 [n.d.r. “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”], e all’articolo 8 del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 202 [n.d.r. inquinamento doloso provocato dalle navi] , si applica la sanzione dell'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività ai sensi dell'articolo 16, comma 3, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.” 39 La disciplina Presupposti della responsabilità La legge prevede la responsabilità da reato degli enti, a titolo di illecito amministrativo, qualora ricorrano i seguenti presupposti (art. 5): 1. il reato commesso sia compreso tra quelli per i quali è prevista questa responsabilità; 2. il reato sia stato commesso da: a) persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso (soggetti “apicali”); b) persone sottoposte alla direzione o vigilanza di uno dei soggetti apicali; 3. il reato sia stato commesso nell’interesse dell’ente o a suo vantaggio; 4. il reato non sia stato commesso nell’esclusivo interesse di chi ha agito o di terzi. 40 Come può dimostrare la società di non essere colpevole? 1. Aver adottato ed attuato un efficace MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE e CONTROLLO. 2. Aver istituito un ORGANISMO DI VIGILANZA (OdV) interno all’Ente che abbia compiti di iniziativa e di controllo sulla efficacia del modello e che sia dotato di piena autonomia nell’esercizio della supervisione. REATO COMMESSO DA SOGGETTI APICALI “persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria o funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione ed il controllo dello stesso” L’ente si libera della responsabilità se prova che modello efficace nel prevenire i reati della stessa specie di quello commesso; modello attuato; istituzione di un OdV autonomo che abbia vigilato; volontaria e consapevole violazione o non osservanza dei modelli atti a prevenire la commissione dei reati colposi. 41 (segue) Come può dimostrare la società di non essere colpevole? L’ente si libera della responsabilità se prova che modello efficace nel prevenire i reati della stessa specie di quello commesso; modello attuato; istituzione di un OdV autonomo che abbia vigilato. 43 Caratteristiche dei Modelli I Modelli di organizzazione e gestione devono rispondere alle seguenti esigenze: individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi i reati; prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire; individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati; prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli; introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. 43 Perché adottare il modello organizzativo (m.o.) L’adozione del m.o. costituisce un onere e non un obbligo per l’ente ma: “la mancata adozione del modello, in presenza dei presupposti oggettivi e soggettivi indicati negli articoli 5 e 6 del D.Lgs. n. 231/01 è sufficiente ad integrare la fattispecie sanzionatoria, costituita dall’omissione delle previste doverose cautele organizzative e gestionali idonee a prevenire talune tipologie criminose” (cfr. Cass. pen., sez. VI, 9.7.2009, n. 36083) 44 (segue) Perché adottare il modello organizzativo (m.o.) 4. la mancata adozione di un adeguato m.o. che conduca all’applicazione di una sanzione potrebbe comportare profili di responsabilità risarcitoria nei confronti degli amministratori dell’ente (cfr. Trib. Milano, sez. VIII civile, 13.2.2008, n. 17774); 5. l’art. 2043 del c.c. attribuisce al collegio sindacale un controllo di legalità sulla “adeguatezza dell’organizzazione imprenditoriale”. Si tratta di un controllo mirato ad assicurare che l’organizzazione della gestione “dei rischi di impresa” sia funzionale all’osservanza della legge e quindi, fra l’altro, che non agevoli la commissione di reati. 45