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Giurisprudenza
Ambiente
ƒ CORTE
DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Sez. V,
Sentenza C - 247/07
4 dicembre 2008
TUTELA DELL’AMBIENTE - Elaborazione di alcuni piani e programmi relativi all'ambiente Partecipazione del pubblico - Mancata trasposizione entro il termine prescritto Inadempimento di Stato - (Regno Unito della Gran Bretagna e d'Irlanda del Nord) Direttiva 2003/35/CE.
Non recependo, entro il termine prescritto, le disposizioni legislative, regolamentari ed
amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 26 maggio 2003, che prevede la partecipazione del pubblico in occasione
dell'elaborazione di alcuni piani e programmi relativi all'ambiente, e che modifica, per quanto
riguarda la partecipazione del pubblico e l'accesso alla giustizia, le direttive 85/337/CEE e
96/61/CE del Consiglio, il Regno Unito della Gran Bretagna e d'Irlanda del Nord è venuto meno agli
obblighi che gli incombono ai sensi di questa direttiva. (Testo ufficiale: En ne prenant pas, dans le
délai prescrit, les dispositions législatives, réglementaires et administratives nécessaires pour se
conformer à la directive 2003/35/CE du Parlement européen et du Conseil, du 26 mai 2003,
prévoyant la participation du public lors de l’élaboration de certains plans et programmes relatifs à
l’environnement, et modifiant, en ce qui concerne la participation du public et l’accès à la justice,
les directives 85/337/CEE et 96/61/CE du Conseil, le Royaume-Uni de Grande-Bretagne et
d’Irlande du Nord a manqué aux obligations qui lui incombent en vertu de cette directive).
(a cura della rivista giuridica AmbienteDiritto.it)
ƒ Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 6 novembre 2008, Causa C-405/07 P
Misure da adottare contro l’inquinamento atmosferico da emissioni dei veicoli a motore Disposizione nazionale derogatoria che anticipa l’abbassamento del valore limite
comunitario delle emissioni di particelle prodotte da taluni veicoli nuovi con motore
diesel - Rifiuto della Commissione - Specificità del problema. (Direttiva 98/69/Ce) La Corte
ha deciso che la sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 27 giugno 2007,
causa T-182/06, Regno dei Paesi Bassi/Commissione, è annullata, così come la decisione
2006/372/Ce, relativa al progetto di disposizioni nazionali notificato dal Regno dei Paesi Bassi a
norma dell’articolo 95, paragrafo 5, del trattato Ce le quali fissano limiti per le emissioni di
particelle nei veicoli con motore diesel, è annullata. La Commissione delle Comunità europee è
condannata alle spese. Il Tribunale ha commesso un errore di diritto nel concludere che la
Commissione, adottando la decisione controversa, non avesse violato né il dovere di diligenza né
l’obbligo di motivazione.La Commissione - hanno sottolineato i giudici del Lussemburgo - per
valutare l’esistenza di un problema specifico di qualità dell’aria ambiente nei Paesi Bassi, non ha
tenuto debito conto dell’insieme dei dati pertinenti, specie di quelli relativi all’anno 2004. Ciò
premesso, il Tribunale non poteva, senza incorrere in un errore di diritto, respingere il ricorso del
Regno dei Paesi Bassi in quanto infondato concludendo che la Commissione avesse giustamente
considerato non specifico il problema del rispetto dei valori limite comunitari di concentrazione
delle particelle nell’aria ambiente.
(Diritto comunitario e internazionale, Il sole 24 Ore, novembre-dicembre 2008, n. 6)
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ƒ Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 6 novembre 2008, Causa C-381/07
Inquinamento dell’ambiente idrico - Sostanze pericolose - Scarichi - Autorizzazione
preventiva - Fissazione di norme di emissione - Regime dichiarativo - Piscicolture.
(Direttiva 2006/11/Ce)
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 6 della direttiva
2006/11/Ce, concernente l’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate
nell’ambiente idrico della Comunità. Tale articolo non può essere interpretato nel senso che esso
consente agli Stati membri, una volta che siano stati adottati, in applicazione di tale articolo,
programmi di riduzione dell’inquinamento delle acque comprendenti standard di qualità ambientale,
di istituire, per taluni impianti ritenuti scarsamente inquinanti, un regime dichiarativo cui si
accompagni un richiamo di tali prescrizioni e un diritto, a favore dell’autorità amministrativa, di
opporsi all’apertura di un’azienda o d’imporre valori limite per lo scarico specifici per l’impianto
interessato.
(Diritto comunitario e internazionale, Il sole 24 Ore, novembre-dicembre 2008, n. 6)
Appalti
ƒ CORTE COSTITUZIONALE – 17 dicembre 2008, n. 411
APPALTI – Regole concorrenziali e principi comunitari di libera circolazione delle merci –
Tutela della concorrenza – Competenza esclusiva del legislatore statale.
La disciplina delle procedure di gara e, in particolare, la regolamentazione della qualificazione e
selezione dei concorrenti, delle procedure di affidamento e dei criteri di aggiudicazione, ivi
compresi quelli che devono presiedere all’attività di progettazione, mirano a garantire che le
medesime si svolgano nel rispetto delle regole concorrenziali e dei princípi comunitari della libera
circolazione delle merci, della libera prestazione dei servizi, della libertà di stabilimento, nonché dei
princípi costituzionali di trasparenza e parità di trattamento (sentenze n. 431 e n. 401 del 2007).
Esse, in quanto volte a consentire la piena apertura del mercato nel settore degli appalti, sono
riconducibili all’àmbito della tutela della concorrenza, di esclusiva competenza del legislatore
statale (sentenze n. 401 del 2007, n. 345 del 2004), che ha titolo pertanto a porre in essere una
disciplina integrale e dettagliata delle richiamate procedure (adottata con il d.lgs. n. 163 del 2006),
la quale, avendo ad oggetto il mercato di riferimento delle attività economiche, può influire anche
su materie attribuite alla competenza legislativa delle Regioni (sentenza n. 430 del 2007).
APPALTI – Fase negoziale – Esecuzione del rapporto contrattuale – Ordinamento civile –
Competenza esclusiva del legislatore statale.
La fase negoziale dei contratti della pubblica amministrazione, che ricomprende l’intera disciplina di
esecuzione del rapporto contrattuale, incluso l’istituto del collaudo, si connota per la normale
mancanza di poteri autoritativi in capo al soggetto pubblico, sostituiti dall’esercizio di autonomie
negoziali e deve essere ascritta all’àmbito materiale dell’ordinamento civile (sentenza n. 401 del
2007), di competenza esclusiva del legislatore statale, che l’ha esercitata adottando le disposizioni
del d.lgs. n. 163 del 2006.
APPALTI – Regioni a statuto speciale – Art. 4, c. 5 d.lgs. n. 163/2006 – Obbligo di
conformare la legislazione regionale in materia di appalti a quanto stabilito dal codice.
L’art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 163 del 2006, il quale, nella parte in cui stabilisce che «le Regioni a
statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano adeguano la propria legislazione
secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle relative norme di attuazione», impone anche
alle Regioni ad autonomia speciale di conformare la propria legislazione in materia di appalti
pubblici a quanto stabilito dal Codice stesso.
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APPALTI – Regione Sardegna - Norme della L.R. n. 5/2007 – Illegittimità costituzionale.
E’ fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, commi 1 e 6, dell’art. 9, dell’art. 11,
commi 12, 13, 14, 15 e 16, dell’art. 13, commi 3, 4 e 10, dell’art. 16, comma 12, dell’art. 20,
comma 5, dell’art. 21, comma 1, dell’art. 22, commi 2, 14, 17 e 18, dell’art. 24, dell’art. 26,
comma 2, dell’art. 30, comma 3, dell’art. 34, comma 1, degli artt. 35, comma 2, e 36, degli artt.
38, comma 1, e 39, commi 1 e 3, degli artt. 40 e 41, dell’art. 46, commi 4 e 7, dell’art. 51, commi
1 e 3, dell’art. 54, commi 1, 2, 8, 9, 10 e 11, degli artt. 57, 58, 59 e 60, e dell’allegato I (punti
45.23, 45.24, 45.25) della legge della Regione Sardegna 7 agosto 2007, n. 5 (Procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi, in attuazione della direttiva
comunitaria n. 2004/18/CE del 31 marzo 2004 e disposizioni per la disciplina delle fasi del ciclo
dell’appalto), in quanto incidenti su materie riservate alla competenza esclusiva dello stato (tutela
della concorrenza e ordinamento civile).
ƒ TAR LAZIO, Roma, Sez.II ter – 9 dicembre 2008, n. 11147
APPALTI - Contenzioso pendente tra la stazione appaltante e l’impresa partecipante alla
gara – Affidamento di distinto appalto – Ricorso giurisdizionale – Interesse –
Sussistenza.
La circostanza che la società interessata sia parte avversa di un contenzioso avviato con la stazione
appaltante riguardante una precedente gara, non è tale da escludere l’interesse a promuovere un
ricorso che riguarda l’affidamento di un appalto di fornitura e servizi del tutto distinto, seppure di
oggetto analogo, da quello di cui alla predetta controversia.
(a cura della rivista giuridica AmbienteDiritto.it)
ƒ Tribunale di Modena, sentenza 13 agosto 2008 n. 1296
Variazioni al progetto - Variazioni concordate o indicate dal committente - Forma scritta
– Necessità - Esclusione. (Cc, articoli 1659 e 1661)
Il requisito della forma scritta, previsto dall’articolo 1659 del Cc nell’ipotesi di variazioni alle
modalità esecutive dell’opera apportate per iniziativa dell’appaltatore, non trova applicazione al
caso in cui dette variazioni siano concordate con il committente o da questi indicate. In tal caso,
infatti, deve applicarsi l’articolo 1661 del Cc che consente al committente di apportare variazioni al
progetto riconoscendo all’appaltatore il diritto al compenso per i maggiori lavori eseguiti, anche se
il prezzo dell’opera era stato determinato globalmente.
(Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 13 dicembre 2008, n. 49)
ƒ Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 14 luglio 2008, n. 19305
Appalto - Difformità e vizi dell’opera - Rovina e difetti di cose immobili - Responsabilità Condizioni – Accertamento - Insindacabilità in cassazione. (Cc, articolo 1669; Cpc, articolo
360)
Tra i gravi difetti, previsti dall’articolo 1669 del Cc, idonei a configurare una responsabilità del
costruttore vanno inquadrate tutte quelle deficienze costruttive incidenti sulla funzionalità e
abitabilità dell’immobile, comportanti una menomazione del godimento del proprietario, sempre
che sia ravvisabile un pericolo per la durata e la considerazione dell’immobile. La valutazione del
giudice del merito, in ordine alla responsabilità dell’appaltatore ai sensi della ricordata disposizione,
costituisce apprezzamento di merito che sfugge al sindacato di legittimità, ove sorretta da
motivazione esente da vizi logici o giuridici. (M.Fin.)
(Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 29 novembre 2008, n. 47)
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ƒ Corte d’appello di Roma, sezione II, sentenza 19 giugno 2008 n. 2606
Determinazione del corrispettivo - Calcolo dell’Iva - Assenza di specificazione - Esercizio
di impresa e pregressa emissione di fatture - Irrilevanza. (Dpr 26 ottobre 1972 n. 633,
articolo 18, comma 2)
Ai fini della determinazione del corrispettivo di appalto, nel caso in cui nel contratto non sia
specificato se il prezzo è o meno comprensivo di Iva, non ha nessuna rilevanza né il fatto che la
società appaltante sia nell’esercizio di impresa, né il fatto che fossero state emesse in precedenza
delle fatture cosicché il prezzo indicato deve ritenersi al netto dell’Iva. Ai sensi dell’articolo 18,
comma 2, del Dpr 633/1972, infatti per le operazioni imponibili per le quali non è obbligatoria
l’emissione di fattura (come nel caso di specie) il prezzo deve essere inteso - sempre e comunque come comprensivo di Iva anche se non è specificato (fermo il divieto di patti contrari) e, quindi,
non ha rilevanza la pregressa emissione di fatture, perché nel caso specifico non era richiesta, né
l’esercizio di impresa, perché ciò determina solo l’obbligo per la società di versare l’Iva ma non ha
rilevanza alcuna per il calcolo del prezzo.
(Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 6 dicembre 2008, n. 48)
ƒ Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 16 maggio 2008, n. 12452
Appalti pubblici - Associazione temporanea di imprese - Divieto di modificazione della
composizione delle associazioni temporanee e dei consorzi - Nullità - Controversia tra le
associate - Irrilevanza. (Cc, articolo 1418; legge 11 febbraio 1994 n. 109; Dlgs 17 marzo 1995
n. 158, articolo 23; legge 18 novembre 1998 n. 315, articolo 9)
L’articolo 13 della legge n. 109 del 1994 (applicabile nella specie ratione temporis) nel disciplinare
la partecipazione dei concorrenti riuniti nelle forme dell’associazione temporanea di imprese e dei
consorzi alle procedure di affidamento in materia di lavori pubblici, dispone, al comma 5, che nel
caso di presentazione di offerte da parte di dette associazioni o consorzi non ancora costituiti,
questa sia sottoscritta da tutte le imprese che li costituiranno e che contenga l’impegno che, in
caso di aggiudicazione della gara, le stesse imprese conferiranno mandato collettivo speciale con
rappresentanza a una di esse, da qualificare come capogruppo e da indicare in sede di offerta, la
quale stipulerà il contratto in nome e per conto proprio e delle mandanti. A tale disposizione (che
risulta rafforzata dal comma 6 dello stesso articolo 13, secondo cui l’inosservanza della stessa
comporta l’annullamento della aggiudicazione o la nullità del contratto) è stato aggiunto, a opera
dell’articolo 9, comma 24, della legge n. 415 del 1998, il comma 5-bis dello stesso articolo 13, sul
divieto di qualsiasi modificazione della composizione delle associazioni temporanee e dei consorzi
rispetto a quella risultante dall’impegno presentato in sede di offerta. Deriva da quanto precede,
pertanto, che qualora sia stata modificata la composizione dell’associazione temporanea di impresa
e non sia stata dichiarata la nullità dell’atto di aggiudicazione o del contratto tra il committente e
l’associazione, tale nullità non può essere dichiarata nella diversa controversia (rispetto alla quale è
estraneo il committente) sorta tra le imprese associate e nella quale si deduca un preteso
inadempimento contrattuale tra le parti stesse. (M.Fin.)
(Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 29 novembre 2008, n. 47)
ƒ Corte d’appello di Roma, sezione II, sentenza 27 febbraio 2008, n. 2375
Appalti pubblici - Contratti della Pa – Requisito della forma scritta - Necessità - Carenza
– Conseguenze - Nullità del contratto - Sussistenza. (Cc, articolo 1325; Dlgs 12 aprile 2006
n. 163)
Gli appalti conclusi dalla pubblica amministrazione, anche quando questa agisca iure privatorum,
richiedono a pena di nullità la forma scritta; a tal fine è necessario che le parti, prima dell’inizio dei
lavori, sottoscrivano, contestualmente, un atto dal quale si evinca la regolamentazione dell’opera
da eseguire e il corrispettivo da corrispondere. Ne discende che il negozio concluso dalle parti solo
dopo l’esecuzione dell’opera con l’intento di attribuire efficacia ex tunc a un precedente accordo
verbale, è nullo e in quanto tale non sanabile ai sensi dell’articolo 1423 del codice civile.
(Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 29 novembre 2008, n. 47)
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Atti e provvedimenti amministrativi
ƒ Consiglio di Stato, Sezione VI, Decisione 17 ottobre 2008, n. 5055
Atti e provvedimenti amministrativi - Attività amministrativa - Potere-dovere
dell’amministrazione - Dopo nomina commissario ad acta - Possibilità.
La nomina da parte del giudice amministrativo del commissario ad acta non priva l’amministrazione
del potere di provvedere direttamente sull’istanza, nell’esercizio delle proprie potestà
ordinamentali.
Atti e provvedimenti amministrativi - Attività amministrativa - Riesame disposto a
seguito di ordinanza cautelare del giudice amministrativo - Ordinari termini
procedimentali - Applicabilità - Conseguenza.
L’azione amministrativa conseguente a ordinanza cautelare del giudice amministrativo che dispone
il riesame dell’atto negativo impugnato è da ritenersi assoggettata agli ordinari termini
procedimentali, con la conseguenza che anche con riguardo a essa può formarsi con il decorso dei
detti termini il silenzio-assenso.
(Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 22 novembre 2008, n. 46)
Contratti della Pa
ƒ Tribunale di Bari sezione III, sentenza 18 giugno 2008 n. 1545
Incarichi professionali - Delibera di conferimento - Omessa specificazione del compenso
dovuto al professionista - Conseguenze - Nullità della delibera - Estensione del vizio al
contratto d’opera professionale - Sussistenza. (Rd 3 marzo 1934 n. 383, articoli 284 e 288)
La validità e la vincolatività del conferimento a un professionista privato, da parte dei competenti
organi collegiali di un ente locale, dell’incarico per la progettazione di un’opera pubblica sono
subordinate all’indicazione, nella relativa delibera, del compenso dovuto e dei mezzi finanziari per
farvi fronte, con la conseguenza che, in mancanza, la nullità della delibera deve intendersi estesa al
contratto di prestazione d’opera professionale successivamente stipulato, il quale perde altresì
l’idoneità a costituire titolo per il compenso. (Nella fattispecie, il giudicante ha escluso che la
pretesa di pagamento del corrispettivo, avanzata da un professionista privato nei confronti di un
ente locale, fosse sorretta da valido titolo costitutivo, in quanto, pur essendo la copertura di spesa
assicurata dalle somme già stanziate per il progetto, la delibera assunta dal competente organo
non conteneva alcuna indicazione sull’ammontare del compenso dovuto).
(Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 29 novembre 2008, n. 47)
Edilizia e urbanistica
ƒ Corte di Cassazione penale, Sezione III, sentenza 18 novembre 2008, n. 42892
Reati edilizi - Esecuzione di lavori in assenza o in difformità del titolo abilitativo Responsabilità del comproprietario - Condizioni. (Dpr 6 giugno 2001 n. 380, articoli 11 e 44;
Cp, articoli 110 e seguenti)
In materia di reati edilizi, la responsabilità del comproprietario, qualora questi non risulti
committente o esecutore dei lavori, non può essere fondata solo sul generico riferimento
all’anzidetta qualità soggettiva, ma deve essere desunta da indizi precisi e concordanti, quali
l’accertamento della concreta situazione in cui è stata svolta l’edificazione abusiva, i rapporti di
parentela con l’esecutore dell’opera, ovvero il committente o il proprietario.
(Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 13 dicembre 2008, n. 49)
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Reati edilizi - Interventi subordinati a permesso di costruire - Fattispecie. (Dpr 6 giugno
2001 n. 380, articoli 3, 10 e 44)
Rientra tra gli interventi di ristrutturazione edilizia subordinati a permesso di costruire, ai sensi
dell’articolo 10, comma 1, lettera c), del Dpr 6 giugno 2001 n. 380, portando alla realizzazione di
un organismo edilizio in parte diverso dal precedente, con modificazione della sagoma dell’edificio,
nonché delle superfici utili dello stesso, l’intervento sostanziatosi nella parziale rimozione della
copertura in tegole di un immobile con successiva realizzazione di un terrazzino a tasca.
(Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 13 dicembre 2008, n. 49)
ƒ TAR Lazio, Sezione I-quater, sentenza 30 ottobre 2008, n. 9438
Ordinanza per esecuzione di opere – Demolizione opere edilizie abusive - Autorità
competente a emettere l’ordinanza - Legge 15 maggio 1997 n. 127 – Vincolo
pertinenziale - Legge 25 marzo 1982 n. 94.
Quanto viene lamentata è l’incompetenza del soggetto che ha adottato l’ordinanza di demolizione,
in quanto «per l’atto de quo la competenza è riservata alla sola persona del sindaco». In esito al
radicale rinnovamento negli anni Novanta a opera della legge 142/1990 e del Dlgs 29/1993,
sfociato nella legge 127/1997 l’ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive rientra nella
competenza del dirigente comunale ovvero, nei comuni sprovvisti di tale qualifica, dei responsabili
degli uffici e dei servizi e non del Sindaco, trattandosi di tipico potere gestionale.
Sulla sussistenza o meno del vincolo pertinenziale addotto nella fattispecie, va osservato che in
passato alla pertinenza edilizia, soggetta al regime autorizzatorio in luogo di quello concessorio ex
articolo 7, comma 2, lettera a), del Dl 9/1982, convertito dalla legge 94/1982, sono state
riconosciute peculiarità proprie diverse dalla nozione civilistica. È stato così delineato un concetto di
pertinenza più restrittivo di quello del codice civile. Con il Dpr 380/2001 è stata introdotta una
nuova disciplina. Argomentando dall’articolo 3, comma 1, lettera e.6), del citato decreto
presidenziale, debbono essere ricondotti nell’ambito delle pertinenze gli interventi che comportino
la realizzazione di un volume non superiore al 20% di quello dell’edificio principale.
(Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 22 novembre 2008, n. 46)
ƒ Tribunale penale di Bologna, sentenza 29 ottobre 2008 n. 2890
Realizzazione del manufatto - Permesso di costruire - Necessità - Destinazione del
manufatto. (Dpr 6 giugno 2001 n. 380, articoli 44 e 37)
In tema di reati edilizi, quando il manufatto è destinato a fungere da cucina è soggetto al permesso
di costruire e la sua abusiva realizzazione integra il reato di cui all’articolo 44 del Dpr 380/2001.
Quando invece è destinato a fungere da mero magazzino o deposito attrezzi ha da qualificarsi
come mera pertinenza e come tale - ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera l), della legge
regionale 25 novembre 2002 n. 31 e della delibera 10 marzo 2004 n. 15 del Consiglio comunale di
Minerbio - soggetta a mera denuncia di inizio attività, la cui omissione non dà luogo a un illecito
penale, ma a un semplice illecito amministrativo, sanzionato ai sensi dell’articolo 37 del Dpr
380/2001.
(Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 29 novembre 2008, n. 47)
ƒ Corte di Cassazione, Sezione III, sentenza 7 ottobre 2008, n. 24769
Vincoli urbanistici - Osservanza - Necessità – Nei rapporti tra privati - Conseguenze Locazione di un fondo per uno scopo non consentito da vincoli di destinazione - Nullità.
(Costituzione, articoli 42 e 44; Cc, articolo 1418)
I vincoli di destinazione dei fondi a determinate finalità costituiscono un limite alla proprietà
terriera privata, conforme al dettato costituzionale, essendo essi volti a conseguire il razionale
sfruttamento del suolo (da intendersi nel senso di ottimale utilizzazione agricola o di salvaguardia
del territorio) e alla promozione di equi rapporti sociali, in ciò sostanziandosi la relativa
funzionalizzazione. Deriva da quanto precede, pertanto, che la abusività urbanistica di immobili
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assume rilievo non solo nei rapporti tra privato e pubblica amministrazione. I vincoli posti dalle
disposizioni urbanistiche (tali essendo quelle poste sia da leggi speciali che da regolamenti edilizi
comunali e da piani regolatori), infatti, rilevano anche sul piano dei rapporti privatistici della vita
comune di relazione, incidendo sul contenuto del diritto di proprietà, sugli atti di disposizione e del
bene e sulla responsabilità extracontrattuale. In particolare qualora sia stato oggetto di locazione
un terreno avente, urbanisticamente, destinazione «verde agricolo e bosco» e le parti abbiano
inteso perseguire l’intento di asservire il fondo stesso a «deposito di materiali edili», e il godimento
di questo si sia estrinsecato secondo modalità attuative di tale convenuta destinazione, un tale
contratto - alla pari dell’accessorio patto di prelazione in caso di vendita - è nullo in quanto volto a
realizzare un godimento del bene corrispondente al risultato vietato dall’ordinamento, atteso che
non solo persegue un interesse non meritevole di tutela, ma si risolve addirittura in termini di
dannosità sociale. (M.Fin.)
(Guida al diritto, Il Sole 24 Ore, 22 novembre 2008, n. 46)
ƒ CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 19/09/2008, Sentenza n. 35912
URBANISTICA ED EDILIZIA - Disciplina antisismica - Intervento edilizio in zona sismica
in assenza di autorizzazione - Natura permanente del reato.
In tema di contravvenzioni antisismiche, a seguito dell'entrata in vigore del d.p.r. 6 giugno 2001,
n. 380 (che ha abrogati, sostituendole, le precedenti fattispecie contemplate dagli artt. 17, 18 e 20
della legge 2 febbraio 1974, n. 64), i reati previsti dagli artt. 93 e 94 del citato decreto, sanzionati
dall'art, 95, hanno natura di reati permanenti, in quanto il primo (art. 93) permane sino a quando
chi intraprese l'intervento edilizio in zona sismica non presenta la relativa denuncia con l'allegato
progetto, ovvero non termina l'intervento e il secondo (art. 94), permane sino a quando chi
intraprende l'intervento edilizio in zona sismica lo termina ovvero ottiene la relativa autorizzazione
(Cass. pen. sez. III sent. 5 dicembre 2007, n. 3069, Mirabelli).
(a cura della rivista giuridica AmbienteDiritto.it)
ƒ Tribunale di Bari, sezione IV, sentenza 24 giugno 2008, n. 1563
Edilizia popolare ed economica - Cooperative per l’edilizia popolare - Controversie
inerenti ai rapporti sociali - Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo Presupposti. (Rd 28 aprile 1938 n. 1165, articolo 131)
In tema di cooperative per la costruzione di alloggi economici e popolari, e, in particolare, di
controversie inerenti ai rapporti sociali, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
richiede la sussistenza non solo del requisito soggettivo, ossia la qualificazione della cooperativa
come sovvenzionata dallo Stato, ma altresì del requisito oggettivo, consistente nella fruizione del
contributo statale per la costruzione degli alloggi.
(Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 29 novembre 2008, n. 47)
ƒ Corte di Cassazione, Sezione III, sentenza 19 giugno 2008, n. 16628
Assegnazione di alloggi economici e popolari con patto di futura vendita - Trasferimento
della proprietà dell’alloggio - Presupposti. (Dpr 1265/1956, articolo 27; legge 43/1949,
articoli 12-19; Dpr 616/1977, articoli 91-95; legge 457/1978, articolo 52)
In tema di assegnazione di alloggi economici e popolari con patto di futura vendita, il trasferimento
della proprietà dell’alloggio non si determina automaticamente con l’esercizio della facoltà di
riscatto, né con il completo pagamento del prezzo, ma solo quando sia stata perfezionata l’attività
negoziale implicante il riconoscimento, da parte dell’istituto, dell’esistenza dei presupposti fissati
dalla legge per l’esercizio del diritto al trasferimento medesimo; con la conseguenza che l’ente
proprietario o gestore conserva, fino a detto trasferimento, il potere di rilevare ragioni di
decadenza dai diritti collegati all’assegnazione. (M.Pis.)
(Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 29 novembre 2008, n. 47)
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Energia
T.A.R. LOMBARDIA,Milano, Sez.III – 10 dicembre 2008, n.5771
ƒ ENERGIA – Contratto di tolling – Funzione e causa – Ripartizione dei rischi legali alla
produzione di energia elettrica.
Nel contratto di tolling un soggetto (il toller) fornisce combustibile ad un altro soggetto (il
processor) che gestisce la centrale elettrica; quest’ultimo riconsegna al toller l’energia prodotta
utilizzando il combustibile fornito, dietro pagamento da parte del toller di un prezzo per l’utilizzo
della centrale (la tolling fee). La funzione di tale contratto è quella di ripartire i rischi, connessi
all’attività di produzione dell’energia elettrica, fra i due soggetti innanzi citati: il toller si assume il
rischio delle variazioni di prezzo del combustibile e del prezzo dell’energia elettrica; mentre il
processor dal canto suo si limita a mettere a disposizione la capacità produttiva della sua centrale,
trasformando il combustibile in energia. Tale funzione risulta ancor più chiara se si considera che la
tolling fee non è commisurata al prezzo dell’energia prodotta, ma ad un corrispettivo fissato nel
contratto che va a remunerare l’attività di trasformazione in sé considerata. La causa di tale
contratto risulta pertanto più affine a quella dell’appalto o della somministrazione di servizi,
piuttosto che a quella della compravendita. Il toller potrebbe essere anche un acquirente finale di
energia; ma più frequentemente trattasi di soggetto che vende l’energia ritirata dalla centrale del
processor nei mercati elettrici. Per questo motivo tale soggetto può essere considerato a pieno
titolo un operatore di mercato, essendo egli riconducibile alla figura del grossista (se non a quella
del produttore; cfr. art. 2, comma 18, del d.lgs. 16 marzo 1999 n. 79 in base al quale “Produttore
è la persona fisica o giuridica che produce energia elettrica indipendentemente dalla proprietà
dell'impianto”).
ENERGIA – Liberalizzazione del mercato elettrico – Terna s.p.a. – Sicurezza del sistema –
Equilibrio tra energia caricata sulla rete ed energia consumata – Mercato del giorno
prima – Servizio di dispacciamento – Mercato per i servizi di dispacciamento.
A seguito dell’emanazione del d.lgs. n.79/99, il mercato elettrico italiano, ed in particolare il
mercato di produzione dell’energia, è stato oggetto di liberalizzazione; ne è scaturito un sistema
che consente a chiunque sia in possesso di determinati requisiti, ed abbia conseguito una apposita
autorizzazione, di produrre energia elettrica, connettersi alla rete nazionale e vendere nel mercato
l’energia prodotta. Affinché tale sistema possa operare in maniera efficiente è necessario che la
rete elettrica nazionale sia gestita da un soggetto estraneo agli interessi dei singoli produttori, ai
quali deve essere assicurato un trattamento imparziale in ordine all’accesso alla rete stessa. Il
legislatore ha pertanto stabilito di sottrarre ad Enel, proprietaria della rete, la gestione di questa,
ed ha deciso di affidare tale incombenza ad una società appositamente costituita: Terna s.p.a. Fra i
compiti che competono a quest’ultima vi è quello di garantire la sicurezza del sistema: poiché
l’energia elettrica è un bene che non può essere immagazzinato e stoccato (se non per minimi
quantitativi), è necessario che, istante per istante, la quantità di energia che viene caricata sulla
rete dai produttori, sia pari alla quantità di energia che viene via via prelevata dai consumatori. La
quantità di energia elettrica immessa giorno per giorno nella rete dipende, in prima battuta,
dall’entità della domanda e dell’offerta come risultanti dalle contrattazioni che si svolgono nel
mercato elettrico del giorno prima (MGP). In tale mercato, che si svolge quotidianamente, i
produttori e gli acquirenti si accordano per la vendita e l’acquisto della quantità di energia
necessaria al soddisfacimento della domanda relativa al giorno successivo. Poiché tuttavia la
quantità di energia immessa in rete, istante per istante, dai produttori non coincide perfettamente
con la quantità consumata, è necessario un intervento da parte del Gestore della Rete atto a
riequilibrare il sistema. Terna garantisce tale equilibrio attraverso l’espletamento di un apposito
servizio: il servizio di dispacciamento. Nella pratica il Gestore della rete stipula contratti con
soggetti specificamente abilitati, titolari di impianti denominati unità di produzione o di consumo, i
quali si obbligano a immettere e/o a prelevare energia elettrica secondo le disposizioni impartite
dal Gestore stesso, cosicché sia costantemente assicurato l’equilibrio del sistema, e cioè sia
garantito che la quantità di energia immessa nella rete, sia costantemente pari alla quantità
prelevata. I contratti sopra citati vengono stipulati in un apposito mercato dell’energia elettrica,
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denominato mercato per i servizi di dispacciamento (MSD). Attraverso la conclusione dei contratti
testé menzionati, Terna è in grado di impartire agli operatori, anche mediante la formulazione di
specifici programmi, le disposizioni necessarie affinché questi ultimi immettano nel (e prelevino
dal) sistema energia elettrica, cosicché esso permanga in costante equilibrio.
ENERGIA – Sicurezza del sistema – Terna – Unità essenziali per la sicurezza del sistema
elettrixo – Del. n. 111/2006 AEEG – Aspetto qualitativo e quantitativo dell’offerta –
Prezzo dell’energia necessaria all’erogazione del servizio di dispacciamento.
L’intervento di Terna attraverso il reperimento di risorse sul mercato dei servizi di dispacciamento
non è il solo strumento di cui dispone il Gestore della Rete per garantire la sicurezza del sistema.
Con la deliberazione n. 111/2006, l’AEEG ha introdotto un nuovo istituto, quello delle unità
essenziali per la sicurezza del sistema elettrico. Tale istituto prevede che talune delle unità
abilitate, il cui apporto sia ritenuto indefettibile per la sicurezza, vengano inserite in un determinato
elenco (quello delle unità essenziali appunto) e che, a seguito di tale inclusione, Terna possa
esercitare su di esse particolari poteri che le consentono di dettare vincoli e criteri in ordine alle
offerte di energia che dette unità andranno a fare nei mercati elettrici: in tal modo il Gestore della
Rete è in grado di influire sia sull’aspetto quantitativo e qualitativo dell’offerta (non solo sull’offerta
del mercato per il servizio di dispacciamento), sia sul prezzo dell’energia necessaria all’erogazione
del servizio di dispacciamento.
ENERGIA – Unità essenziali – Competenza dell’AEEG – Fondamento – Servizio di
dispacciamento – Limitazioni.
La competenza in materia di unità essenziali è ricavabile da talune norme di carattere primario:
art. 2, comma 12, della legge n. 481/95, art. 3, comma 3 del d.lgs. 79/99. Fra i servizi presi in
considerazione delle predette norme vi è anche il servizio di dispacciamento volto a garantire la
sicurezza del sistema, e pertanto in tale materia l’Autorità può intervenire emanando apposite
direttive e prescrizioni dirette ad assicurare specifici livelli di qualità delle prestazioni rese
nell’ambito di tale servizio. L’istituto delle unità essenziali, configurato dagli artt. 63 e seguenti
della deliberazione dell’AEEG n. 111/06 - in quanto strumento di garanzia per un efficace
espletamento del servizio di dispacciamento, ed in definitiva di garanzia della qualità delle
prestazioni rese nell’ambito di tale servizio in occasione di circostanze di particolari criticità – trova
pertanto fondamento nelle succitate disposizioni di carattere primario. Il mercato afferente al
servizio di dispacciamento può subire l’intervento di regole che vanno a limitare il gioco della
concorrenza qualora ricorrano circostanze di particolare criticità che rendono opportuno contenere i
costi di sicurezza del sistema. Del resto si deve considerare del tutto ragionevole un regime che
preveda siffatte limitazioni, giacché, soprattutto in caso di rischio di gravi squilibri nel sistema, gli
operatori potrebbero abusare della propria posizione e spingere il costo delle risorse essenziali per
la sicurezza a livelli anormalmente elevati, così determinando condizioni di criticità idonee a
compromettere le stesse esigenze di sicurezza.
Essendo tuttaviail regime del libero mercato
quello di carattere generale, è ovvio che ogni limitazione che ad esso si impone deve essere
circoscritta ad ipotesi particolari, e deve essere disposta attraverso l’adozione di provvedimenti
adeguatamente motivati che diano conto delle ragioni di interesse pubblico connesse alla sicurezza
del sistema che richiedono l’introduzione di misure derogatorie.
ƒ CONSIGLIO
DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA – 9
dicembre 2008, n. 1006
ENERGIA –Impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili –
D.lgs.n. 387/2003 – Regione siciliana –Diretta applicazione – Autorizzazione unica –
Procedimento unico.
Le disposizioni del d. lgs. n. 387/2003, e segnatamente l’art. 12, trovano diretta applicazione nei
confronti della Regione siciliana, ai sensi degli artt. 16 ed 11, comma 8, della legge 4 febbraio
2005, n. 11, recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo
dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”. Pertanto, in base ai
principi posti dai comma 3 e 4 del predetto art. 12, la costruzione e l'esercizio degli impianti di
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produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili richiede “un’autorizzazione unica”, a
seguito di “un procedimento unico”, al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate,
mediante conferenza dei servizi. In tal modo, le determinazioni delle amministrazione interessate,
devono essere espresse solo in sede di conferenza di servizi, così da assicurare l’unicità del
procedimento, mediante il coordinamento dei vari interessi pubblici, rilevanti per l’autorizzazione
unica finale.
ENERGIA – V.I.A. - Impianti di produzione di energia mediante sfruttamento del vento –
Assoggettamento a V.I.A. - Allegato B), del D.P.R. 12 aprile 1996, punto 2, lett. e).
I progetti d’impianti industriali per la produzione di energia mediante lo sfruttamento del vento
sono assoggettati alla procedura di valutazione d'impatto ambientale, ai sensi dell’allegato B), del
D.P.R. 12 aprile 1996, punto 2, lett. e), aggiunta dall'art. 2 D.P.C.M. 3 settembre 1999.
ENERGIA – V.I.A. – Costruzione ed esercizio degli impianti eolici - Conferenza di servizi
– D.P.R. 12 aprile 1996 – L.R. Sicilia n. 6/2001 – Principio di obbligatorietà della
conferenza di servizi – Soprintendenza per i beni archeologici – Parere sulla
compatibilità paesaggistica – Esercizio del potere al di fuori della conferenza di servizi –
Illegittimità.
Nel contesto normativo di cui al D.P.R. 12 aprile 1996, a cui principi fa richiamo la L.R. Sicilia 3
maggio 2001, n. 6, e alla luce del principio di obbligatorietà della conferenza di servizi (articolo 14,
comma 2, l. n. 241 del 1990, come modificato dall'articolo 8 della legge 11 febbraio 2005, n. 15)
tutte le amministrazioni tenute ad adottare le proprie determinazioni, ai fini della valutazione
d’impatto ambientale per la costruzione e l'esercizio degli impianti eolici, devono esprimere il
proprio avviso in sede di conferenza dei servizi. Ciò comporta che la Soprintendenza per i beni
archeologici non ha il potere di pronunciarsi sull’istanza di autorizzazione al di fuori della
conferenza di servizi: infatti, per quanto, astrattamente, il potere di rilasciare pareri sulla
compatibilità paesaggistica spetti alla Soprintendenza, lo stesso deve necessariamente essere
esercitato all’interno della procedura di cui si è accennato.
(a cura della rivista giuridica AmbienteDiritto.it)
Espropriazione
ƒ Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 11 settembre 2008 n. 23399
Espropriazione - Indennità - Articolo 5-bis del Dl n. 333 del 1992 - Dichiarazione di
illegittimità costituzionale della norma - Criterio applicabile - Articolo 2, comma 90, della
legge n. 244 del 2007 - Efficacia retroattiva – Ai giudizi in corso - Esclusione Conseguenze. (Legge 25 giugno 1865 n. 2359, articolo 39; Dl 11 luglio 1992 n. 333, convertito
dalla legge 8 agosto 1992 n. 359, articolo 5-bis; Dpr 8 giugno 2001 n. 327, articolo 57; legge 24
dicembre 2007 n. 244, articolo 2)
Dichiarata, nelle more del giudizio (nella specie: in pendenza del ricorso per cassazione avverso la
sentenza che aveva quantificato l’indennità) la illegittimità costituzionale dell’articolo 5-bis del
decreto legge n. 333 del 1992, convertito nella legge n. 359 del 1992, trova applicazione, per la
determinazione dell’indennizzo di aree fabbricabili, il criterio generale fissato dall’articolo 39 della
legge n. 2359 del 1865, l’indennizzo - cioè - è pari al valore venerale del bene, atteso che tale
disposizione non può ritenersi abrogata per effetto dell’articolo 57 del Dpr n. 327 del 2001. Nella
specie, inoltre, non trova applicazione lo ius superveniens costituito dall’articolo 2, commi 89 e 90,
della legge n. 244 del 2007 (secondo cui quando l’espropriazione è finalizzata ad attuare interventi
di riforma economico sociale l’indennità è ridotta del venticinque per cento) atteso che la norma
intertemporale contenuta nel comma 90 ricordato prevede una limitata retroattività della nuova
disciplina di determinazione dell’indennità di espropriazione solo con riferimento ai procedimenti
espropriativi e non anche ai giudizi in corso. (M.Fin.)
(Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 13 dicembre 2008, n. 49)
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ƒ Corte d’appello di Napoli, sezione I civile, sentenza 8 luglio 2008 n. 2752
Requisizioni per insediamenti per i senza tetto - Trasformazione in occupazioni
preordinate all’espropriazione - Obbligo di esproprio a carico dei comuni - Sussistenza Effettiva realizzazione degli insediamenti - Necessità. (Legge 19 aprile 1984 n. 80, articolo 6,
comma 4)
Nel caso in cui, in concreto, il fondo requisito non sia stato mai utilizzato per la posa in opera di
insediamenti provvisori per i senza tetto (nel senso che sono state realizzate le opere di
preparazione e di urbanizzazione, ma poi gli alloggi provvisori ricavati da containers non vi sono
stati mai collocati), manca il presupposto per l’applicazione dell’articolo 6, comma 4, della legge
80/1984 che, disposta la trasformazione di tali requisizioni in occupazioni preordinate alle
espropriazioni, pone l’obbligo di espropriazione solo a carico dei comuni che abbiano utilizzato i
fondi requisiti per l’installazione di tali insediamenti provvisori.
(Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 13 dicembre 2008, n. 49)
Giustizia amministrativa
ƒ Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, Decisione 10 novembre 2008, n. 11
Giudizio amministrativo - Appalto - Ricorso - Ricorso incidentale - Interesse a ricorrere Condizioni.
In capo al ricorrente avverso un atto di aggiudicazione di gara pubblica svolta tra due soli
concorrenti sussiste un interesse a ricorrere non solo quando l’annullamento dell’atto
amministrativo lesivo è di per sé idoneo a realizzare l’interesse diretto e immediato del singolo, ma
anche quando il predetto annullamento comporti la rinnovazione della procedura di gara con esito
favorevole al ricorrente
Giudizio amministrativo - Appalto pubblico - Ricorso - Ricorso incidentale - Appello Appello incidentale - Ordine di trattazione - Principio di parità delle parti - Imparzialità
del giudice. (Legge 1034/1971, articolo 22; Rd 1054/1924, articolo 34; Costituzione, articolo
111)
Per i principi della parità delle parti e di imparzialità del giudice, quando le due uniche imprese
ammesse alla gara abbiano ciascuna impugnato l’atto di ammissione dell’altra, la scelta in merito
all’ordine di trattazione tra appello principale e appello incidentale non può avere rilievo decisivo
sull’esito della lite. Pertanto la fondatezza del ricorso incidentale, esaminato preliminarmente, non
preclude l’esame di quello principale, né la fondatezza del ricorso principale, esaminato
preliminarmente, preclude l’esame di quello incidentale, poiché entrambe le imprese sono titolari
dell’interesse minore e strumentale all’indizione di una ulteriore gara.
Giudizio amministrativo - Ordinamento processuale - Ordine di esame sui ricorsi - Scelta
discrezionale del giudice - Sussistenza.
L’ordinamento processuale amministrativo non detta alcuna disposizione né pone criteri generali
circa l’ordine di esame del ricorso principale e di quello incidentali. La relativa scelta è pertanto
lasciata al prudente apprezzamento del giudice adito, censurabile unicamente sotto il profilo
dell’irragionevolezza, circostanza che non ricorre nel caso in cui la priorità data al ricorso
incidentale sia giustificata dalle censure nello stesso dedotte, suscettibili di incidere sull’interesse a
ricorrere del ricorrente principale e, quindi, sulla sussistenza di una condizione dell’azione.
(Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 6 dicembre 2008, n. 48)
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Inquinamento
TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I – 12 dicembre 2008, n.1767
INQUINAMENTO – A.I.A. – D.lgs. n. 59/2005 – Poteri del sindaco in relazione al TULS
1265/1934 in materia di industrie insalubri – Coordinamento e limiti.
L’autorizzazione integrata ambientale è istituto introdotto nel nostro ordinamento dal d. lgs. 18
febbraio 2005 n°59; essa si propone, a fini di maggiore efficacia ed efficienza, di sostituire con un
unico titolo abilitativo i molti di essi che in precedenza erano necessari per far funzionare un
impianto industriale inquinante. Con l’’A.I.A. risulta pertanto contraddittorio un potere come quello
riconosciuto al Sindaco dagli artt. 216 e 217 T.U.L.S. in relazione al D.M. 5 settembre 1994: se al
Sindaco stesso fosse consentito, attraverso la dichiarazione di insalubrità, di obbligare in qualsiasi
momento l’industria destinataria del provvedimento, ancorché fornita di A.I.A., ad allontanarsi
dall’abitato, è evidente che di autorizzazione integrata, e onnicomprensiva, non si potrebbe più
parlare, e l’obiettivo della legge sarebbe frustrato. In proposito, quindi, il legislatore del d. lgs.
59/2005, al comma 11 dell’art. 5, ha previsto un coordinamento fra le due discipline, imponendo
all’autorità che rilascia l’A.I.A. di acquisire, in sede di istruttoria, le “prescrizioni del Sindaco di cui
agli articoli 216 e 217 del regio decreto 27 luglio 1934 n°1265”, di tenerne conto nel rilascio
dell’autorizzazione; al Sindaco ha conferito poi un potere di intervento anche a posteriori,
consentendogli “in presenza di circostanze intervenute successivamente al rilascio
dell’autorizzazione” e qualora “lo ritenga necessario nell’interesse della salute pubblica” di chiedere
alla Regione il riesame, in vista ovviamente di una revoca o modifica, dell’autorizzazione stessa. In
sintesi, il potere di far allontanare un’industria in quanto insalubre è degradato a potere di
intervento e di promozione procedimentale nei riguardi della Regione, che ormai accentra tutte le
competenze in materia.
(a cura della rivista giuridica AmbienteDiritto.it)
CONSIGLIO DI STATO, Sez. V – 5 dicembre 2008, n. 6055
INQUINAMENTO – Bonifica di siti contaminati - Art. 17 d.lgs. n. 22/97 – Misura ablatoria
personale – Rapporti con la disciplina di cui agli art. 91, R.D. 45/1901, art. 9 R.D. n.
1406/1931, artt. 216, 226 e 227 del T.U.L.S. n. 1265/1934, art. 17 D.P.R. n. 303/1956.
La peculiarità dell’istituto disciplinato dall’art. 17 risiede nella sua natura di misura ablatoria
personale, consentita in apicibus dall’art. 23 Cost., la cui adozione crea in capo al destinatario un
obbligo di attivazione, consistente nel porre in essere determinati atti e comportamenti
unitariamente finalizzati al recupero ambientale dei siti inquinati. Le norme di cui all’ art. 91 del
R.D. n. 45/1901; l’art. 9 del R.D. n. 1406/1931; gli artt. 216, 226 e 227 del T.U.L.S. n. 1265/1934
e l’art. 17 del D.P.R. n. 303/1956 non avevano tale connotazione e, dunque, non rappresentavano
un antecedente dell’art. 17.
INQUINAMENTO – Bonifica di siti contaminati - Art. 17 d.lgs. n. 22/97 – Confronto con le
disposizioni di cui agli artt. 2043,2050 e 2058 c.c. – Continuità normativa tra l’art. 2043
c.c. e l’art. 17 d.lgs. n. 22/97- Inconfigurabilità – Applicazione dell’art. 17 ad un
soggetto estinto prima del 1997 – Illegittimità.
Ponendo a confronto l’art. 17 del d.lgs. n. 22/97 con il plesso normativo composto dagli artt. 2043,
2050 (considerata,nella specie, l’obiettiva pericolosità dell’attività industriale di produzione di
coloranti) e 2058 (sul risarcimento in forma specifica), le differenze tra gli istituti rispettivamente
disciplinati sono talmente numerose e tanto profonde, da non consentire la formulazione di alcun
giudizio di continuità tra le stesse. Non è pertanto ravvisabile continuità normativa tra l’art. 2043
c.c. e il menzionato art. 17 del decreto Ronchi : ne discende che la seconda previsione non si
presenta come meramente procedimentale rispetto alla prima e che un’eventuale applicazione
dell’art. 17 ad un soggetto estinto prima del 1997 trasmoderebbe in una non consentita
applicazione retroattiva della legge.
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INQUINAMENTO – Siti contaminati - Società responsabile dell’inquinamento – Estinzione
anteriore al 1997 – Applicabilità dell’art. 17 d.lgs. n. 22/97 – Esclusione – Altri strumenti
di intervento – Cd. successione economica.
Nei confronti dei successori di società responsabili degli inquinamenti che si siano estinte prima del
1997 non è possibile applicare l’art. 17 del decreto Ronchi (oggi artt. 239 e ss.) E’ però possibile
far valere, a regime, l’ordinaria responsabilità civilistica di tipo aquiliano; inoltre, sul versante
amministrativo, rimangono comunque adottabili (come già avveniva in epoca antecedente
all’entrata in vigore del decreto Ronchi) i provvedimenti contingibili contemplati dall’ordinamento
per i casi di qualificate urgenze di intervenire. In particolare, nei provvedimenti contingibili e
urgenti l’imputazione soggettiva degli obblighi di attivazione, discrezionalmente individuati
dall’amministrazione procedente, può motivatamente seguire anche le diverse regole della
successione c.d. “economica” (per un’applicazione della successione economica in materia di
concorrenza, è utile il richiamo alla recente sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità
europee 11.12.2007, in causa C-280/06, pronunciata su rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato)
che consentono, per la migliore e immediata tutela di fondamentali interessi superindividuali, di
derogare al generale principio della personalità e, in ossequio al canone del “chi inquina paga”, di
onerare chi abbia beneficiato delle valenze economiche, anche latenti, di un bene-impresa dei
correlativi costi dell’internalizzazione delle diseconomie esterne prodotte.
INQUINAMENTO – Bonifica di siti contaminati – Accertamenti tecnici – Art. 223 c.p.p. –
Applicabilità – Esclusione – Prelievo e analisi dei campioni – Procedura – Allegato 2 del
D.M. n. 471/99.
In materia di accertamenti tecnici prodromici ai provvedimenti finalizzati alla bonifica dei siti
contaminati, non è invocabile l’art. 223 disp. att. c.p.p., dal momento che questa disposizione
certamente non esprime un principio generale: si tratta piuttosto una previsione speciale del diritto
processuale penale, dettata all’unico fine di stabilire le condizioni alle quali è consentita la
migrazione, nel fascicolo del dibattimento, dei verbali di analisi non ripetibili e di quelli di revisione
e alla cui eventuale violazione corrisponde solo la sanzione endoprocessuale della nullità a regime
intermedio ex art. 180 c.p.p. (Cass., sez. III pen., 28.6.2006, n. 37400). In sede amministrativa il
contraddittorio procedimentale sugli accertamenti tecnici può svolgersi secondo altre modalità e la
regola del preventivo avviso, pur configurandosi come una forte tutela, non è sempre imposta
dall’ordinamento né deve essere necessariamente osservata, potendo ugualmente assicurarsi,
seguendo altri schemi procedurali, una piena dialettica tra l’amministrazione e gli interessati. E’
questo il caso del D.M. n. 471/1999 che, nell’Allegato 2, reca una completa e dettagliata disciplina
delle “Procedure di riferimento per il prelievo e l'analisi dei campioni”, prevedendo, tra l’altro, dei
campioni supplementari “per eventuali contestazioni e controanalisi”.
(a cura della rivista giuridica AmbienteDiritto.it)
Previdenza e assistenza
ƒ Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza 28 ottobre 2008, n. 25888
Cassa edile - Natura di ente di previdenza e assistenza - Conseguenze - Idoneità
dell’attestazione del credito per l’emissione di decreto ingiuntivo. (Cpc, articolo 635)
La Cassa edile deve essere ricompresa, al pari degli altri enti di previdenza e assistenza, nella
previsione di cui al comma 2 dell’articolo 635 del Cpc, cosicché deve riconoscersi l’idoneità
dell’attestazione del credito a costituire prova ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo. (F.S.Iv.)
(Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 13 dicembre 2008, n. 49)
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ƒ Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza 21 luglio 2008, n. 20080
Infortuni sul lavoro e malattie professionali – Malattia del lavoratore - Fasce orarie di
reperibilità - Giustificatezza dell’assenza - Effettuazione di visita cardiologica già fissata
- Idoneità. (Dl 463/1983, convertito dalla legge 638/1983, articolo 5)
Per giustificare la violazione dell’obbligo di reperibilità in determinati orari non è richiesta l’assoluta
indifferibilità della prestazione sanitaria da effettuare durante le cosiddette fasce orarie, ma basta
un serio e fondato motivo che giustifichi l’allontanamento da essa. (Nella specie, la Suprema corte
ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto giustificata l’assenza del lavoratore
allontanatosi dal domicilio per l’effettuazione di un elettrocardiogramma e di una visita
cardiologica, anche perché il differimento dell’appuntamento avrebbe comportato il rischio di un
rinvio molto lungo, «stante le ben note difficoltà in cui versa il servizio sanitario»). (F.S.Iv.)
(Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 6 dicembre 2008, n. 48)
Pubblica amministrazione
ƒ Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 18 giugno 2008, n. 16577
Progetto di opera pubblica - Non preceduto da valido incarico professionale - Utilità per
l’ente pubblico - Liquidazione del compenso professionale. (Cc, articoli 1226 e 2041)
Nel caso dell’elaborazione, a favore di un ente pubblico, che ne abbia riconosciuto l’utilità, di un
progetto di opera pubblica non preceduta da un valido incarico professionale conferito
contrattualmente, l’indennizzo dovuto ex articolo 2041 del Cc al professionista va liquidato, nei
limiti dell’arricchimento dell’ente, con riguardo all’entità dell’effettiva perdita patrimoniale subita
dal professionista, da accertarsi tenendo conto delle spese anticipate per l’esecuzione dell’opera e
del mancato guadagno, da determinarsi eventualmente anche ex articolo 1226 del Cc, che lo
stesso avrebbe ricavato dal normale svolgimento della sua attività professionale nel periodo di
tempo dedicato invece all’esecuzione dell’opera utilizzata dall’ente pubblico, senza la possibilità di
far ricorso a parametri contrattuali. (M.Pis.)
(Guida al diritto, Il Sole 24 Ore, 22 novembre 2008, n. 46)
Pubblico impiego
ƒ Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza 5 novembre 2008, n.26556
Impiego pubblico - Riassunzione del dipendente cessato dal servizio - Natura - Effetti.
(Costituzione, articolo 97; Dpr 3/1957, articolo 132)
Nel rapporto di lavoro con le amministrazioni pubbliche, l’istituto della riammissione in servizio, al
pari di quello cosiddetto dello scorrimento della graduatoria, risponde all’interesse pubblico di
procedere alla copertura di vacanze utilizzando l’esito di procedure concorsuali pregresse, nel
rispetto, quindi, del precetto recato dall’articolo 97 della Costituzione, e presuppone, di
conseguenza, il potere ampiamente discrezionale di provvedere alla copertura dei posti con tale
modalità. La domanda di riammissione del dipendente cessato dal servizio deve qualificarsi come
proposta di stipulazione di un nuovo contratto di lavoro, che l’amministrazione può accettare o
rifiutare; la riassunzione origina un nuovo rapporto, del tutto svincolato dal precedente.
(Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 13 dicembre 2008, n. 49)
ƒ Corte dei conti, sez. regionale di controllo per il Molise, delibera n. 34 del 14 ottobre
2008
Responsabilità amministrativa - Copertura assicurativa - Con oneri anche solo in parte a
carico della PA - È inammissibile
Una struttura contrattuale che, nell’assicurare i danni conseguenti da condotte connotate da colpa
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lieve, indichi come beneficiario il dipendente e contempli la ripartizione del pagamento del premio
assicurativo per il 50% a carico dell’ente e per il 50% a carico del dipendente si pone in contrasto
con la norma giuridica disciplinante il settore e disattende una consolidata giurisprudenza
contabile, sicché la stipula di una polizza assicurativa per responsabilità amministrativa
patrimoniale derivante da colpa lieve a favore dei propri dirigenti e dei titolari di posizione
organizzativa, responsabili di procedimento con il pagamento del relativo premio per il 50% a
carico dell’ente e per il 50% a carico dell’assicurato, viola l’art. 3, co. 59, della legge 24 dicembre
2007, n. 244 (finanziaria 2008) e i principi affermati da una consolidata giurisprudenza contabile.
ª
NOTA
Inammissibile l’assicurazione per responsabilità amministrativa patrimoniale con oneri
anche solo in parte a carico della PA. La sezione molisana di controllo della Corte dei conti ha
preso posizione sull’applicazione dell’art. 3, co. 59, della legge n. 244/2007, specificando che esso
ha positivizzato un principio affermato da una consolidata giurisprudenza contabile circa
l’illegittimità della stipulazione di po- lizze assicurative per la copertura di danni che amministratori
e dipendenti dell’ente locale potrebbero essere chiamati a risarcire all’ente medesimo o ad altri enti
pubblici, quale conseguenza di un’accertata responsabilità amministrativa o contabile. Per una
uniforme giurisprudenza contabile, infatti, “il pagamento, da parte di un ente locale, dei premi
assicurativi per polizze stipulate a favore dei propri dipendenti a copertura delle conseguenze
derivanti da sentenze di condanna della Corte dei conti, che discendono dagli illeciti amministrativi,
non può che definirsi danno per l’erario, in quanto del tutto privo di sinallagma e non rispondente
ad alcun interesse pubblico” (Corte dei conti, sez. giurisdiz. Umbria, 10 dicembre 2002, n. 553).
Anzitutto, per la delibera in commento, il divieto sancito dalla norma, anche se espressamente
riferito ai soli amministratori degli enti pubblici, in considerazione del riportato orientamento
giurisprudenziale e della ratio della norma, è senz’altro da intendersi come riferito a tutti i
dipendenti pubblici. Inoltre, hanno osservato i giudici contabili molisani, la traslazione del rischio
dal soggetto imputabile e riconosciuto colpevole all’ente divenuto creditore operata da una siffatta
copertura assicurativa vanificherebbe la funzione sanzionatoria e deterrente che, oltre a quella
risarcitoria, è connotato proprio della responsabilità amministrativa, come indicato dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 371/1998. La giurisprudenza contabile è infatti orientata nel
senso di riconoscere all’ente pubblico la possibilità di assicurare esclusivamente i rischi che
rientrano nella sfera della propria responsabilità patrimoniale come le conseguenze di fatti causativi
di danno posti in essere da amministratori e dipendenti pubblici senza dolo o colpa grave. Per
siffatta tipologia di danni l’ente può ricorrere ad una copertura assicurativa, stipulando una polizza
in cui l’ente sia al tempo stesso l’assicurato ed il beneficiario. In altri termini, assicurandosi per fatti
dannosi commessi da amministratori e dipendenti con “colpa lieve”, l’ente si tutela da danni che,
diversamente, rimarrebbero a suo carico giacché in assenza di un elemento soggettivo connotato
da dolo o colpa grave non sarebbe possibile un’azione di rivalsa. Integra invece un’ipotesi di danno
erariale il comportamento dell’ente che assicuri i danni, scaturenti da fatti connotati da colpa grave
o dolo integranti responsabilità amministrativa e contabile, dei quali non deve rispondere ma che
anzi lo vedrebbero nella veste di creditore. Nei termini e con i limiti indicati per i giudici contabili
molisani è dunque ammissibile che l’ente stipuli una polizza assicurativa per il risarcimento dei
danni causati dagli amministratori e dipendenti con “colpa lieve”, fermo restando che il divieto
posto dall’art. 3, co. 59, della legge n. 244/2007 non incide sulla disciplina dettata dall’art. 86, co.
5, del Dlgs n. 267/2000, che prevede la possibilità per i comuni, le province, le comunità montane,
le Unioni di comuni ed i consorzi tra enti locali di assicurare i propri amministratori contro i rischi
conseguenti all’espletamento del loro mandato. Con l’avvertenza che la citata copertura
assicurativa non può, comunque, comprendere la responsabilità amministrativa e contabile. Quanto
all’ipotesi di ripartire il pagamento del premio assicurativo, a copertura di danni arrecati all’ente per
fatti dannosi commessi con colpa lieve, per un 50% a carico dell’ente ed un 50% a carico dei
dirigenti e dei titolari di posizione organizzativa che vengono ritenuti i reali beneficiari della polizza,
la delibera in esame ha affermato che non è dato intendere quale sarebbe per i dipendenti
“assicurati” l’utilità ricavabile dalla stipula di una polizza assicurativa siffatta, non essendo
configurabile la responsabilità amministrativa in presenza di un elemento soggettivo integrante la
sola colpa lieve e, conseguentemente, a quale titolo avverrebbe la loro partecipazione al
pagamento della metà del premio.
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In effetti, sembrerebbe configurarsi un contratto che dal lato dei dipendenti appare privo di causa,
cioè privo di ragione concreta. E poiché una struttura contrattuale che, nell’assicurare i danni
conseguenti da condotte connotate da colpa lieve, indichi come beneficiario il dipendente e
contempli la ripartizione del pagamento del premio assicurativo per il 50% a carico dell’ente e per il
50% a carico del dipendente si pone in contrasto con la norma giuridica disciplinante il settore e
disattende una consolidata giurisprudenza contabile, la sezione molisana ha concluso nel senso che
la stipula di una polizza assicurativa per responsabilità amministrativa patrimoniale derivante da
colpa lieve a favore dei propri dirigenti e dei titolari di posizione organizzativa, responsabili di
procedimento con il pagamento del relativo premio per il 50% a carico dell’ente e per il 50% a
carico dell’assicurato, sia violativa dell’art. 3, co. 59, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge
finanziaria 2008) e dei principi affermati da una consolidata giurisprudenza contabile.
(Massimiliano Atelli, Guida al Pubblico Impiego, Il Sole 24Ore, dicembre 2008, n. 12)
ƒ
Corte dei conti, sez. III giurisdiz. centrale d’appello, sentenza n. 314 del 13
ottobre 2008
Danno erariale - Ravvisibilità nel rifiuto del dipendente di restituire somme percepite
senza titolo - Esclusione
Il rifiuto opposto alla restituzione di somme, percepite sulla base di un formale provvedimento di
attribuzione, non può certo configurare alcuna violazione di obblighi di servizio, rientrando la
pretesa alla restituzione di somme in un ordinario rapporto civilistico tra dipendente e datore di
lavoro.
ª
NOTA
Niente giudizio contabile per il dipendente che rifiuta di restituire somme percepite
senza titolo. Con la decisione n. 314, la terza sezione centrale d’appello della Corte dei conti ha
affermato che, per consolidata giurisprudenza, si riconosce la responsabilità del dipendente (con
conseguente attrazione del relativo giudizio nella cognizione del giudice contabile) per il danno
conseguito all’indebita percezione di emolumenti solo nell’ipotesi in cui vi abbia dato causa con il
proprio comportamento fraudolento o per mancato adempimento degli obblighi di servizio. Il che
non accade nel caso di mero rifiuto di restituire una somma non spettante (diverso sarebbe,
invece, il fatto percettivo quale conseguenza del mancato adempimento di obblighi di servizio). In
altri termini, il rifiuto opposto alla restituzione di somme, percepite sulla base di un formale
provvedimento di attribuzione, non può certo configurare alcuna violazione di obblighi di servizio,
rientrando la pretesa alla restituzione di somme in un ordinario rapporto civilistico tra dipendente e
datore di lavoro.
(Massimiliano Atelli, Guida al Pubblico Impiego, Il Sole 24Ore, dicembre 2008, n. 12)
ƒ Corte di cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 settembre 2008, n. 22929
Impiegati regionali, provinciali e comunali - Art. 15, co. 2, del decreto del presidente
della regione Sicilia n. 26/1999 - Compenso di posizione di responsabilità Individuazione dei beneficiari nel contratto decentrato - Riconoscimento del diritto Adozione del contratto decentrato
Spetta alla contrattazione collettiva integrativa individuare i soggetti beneficiari del “compenso di
posizione di responsabilità” previsto dall’art. 15, co. 2, del decreto del presidente della regione
Sicilia n. 26 dell’11 novembre 1999, che rinvia espressamente, a tal fine, alla contrattazione
decentrata, dovendosi escludere che l’espressione “individuazione” usata nel testo normativo
assuma valore meramente ricognitivo; ne consegue che, ove il contratto collettivo integrativo non
sia stato concluso, non è configurabile alcun diritto soggettivo all’attribuzione dell’emolumento.
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ª NOTA
Il diritto all’attribuzione del compenso di posizione di responsabilità sorge solo
all’adozione del contratto collettivo integrativo. La decisione in esame si presenta di
particolare interesse, poiché, a prescindere dalla specifica pretesa dedotta nel merito, si
caratterizza per la sua portata di carattere generale, in quanto relativa alla pretesa del
riconoscimento di compensi aggiuntivi in assenza della contrattazione decentrata di riferimento,
ribadendo principi di base che governano la c.d. gerarchia delle fonti anche nell’ambito della
contrattazione collettiva. Nella fattispecie un funzionario della regione Sicilia chiedeva
l’accertamento del diritto all’adeguamento del compenso previsto dall’art. 15 del decreto del
presidente della Regione Sicilia 11 novembre 1999, n. 26, recettivo di un accordo per il personale
regionale per il biennio economico 1998-1999 e per il quadriennio giuridico 1998-2001.
L’amministrazione riteneva di dover pagare tale compenso solo dopo l’individuazione degli aventi
diritto da parte della contrattazione collettiva integrativa. Secondo la Suprema corte la lettura della
norma contrattuale non lascia incertezze sulla legittimità dell’orientamento espresso
dall’amministrazione, poiché il citato art. 15 prevede la concessione di un “compenso revocabile di
posizione di responsabilità” a favore, tra gli altri, dei dirigenti coordinatori di gruppi di lavoro
formalmente costituiti - quale era l’interessato - previa la loro individuazione in sede di
contrattazione decentrata. Il termine “individuazione”, usato sia a proposito dei soggetti beneficiari
del compenso sia dei criteri di attribuzione entro un minimo ed un massimo stabiliti nel contratto
nazionale, non può significare “ricognizione” - come avevano asserito i giudici di merito - di
soggetti già individuati, ma proprio individuazione degli aventi diritto tout court.
(Massimiliano Atelli, Guida al Pubblico Impiego, Il Sole 24Ore, dicembre 2008, n. 12)
Rifiuti
ƒ Cassazione, sezione III penale, 1° ottobre 2008, n. 37280,
Rifiuti - Rifiuti speciali non pericolosi - Materiale inerte da demolizione – Abbandono Artt. 192 e 256, D.Lgs. n. 152/2006
In caso di condanna (o sentenza di patteggiamento della pena) per il reato di inquinamento
previsto dall’articolo 257, D.Lgs. n. 152/2006, il giudice può subordinare la concessione del
predetto beneficio alla bonifica del sito inquinato secondo le procedure regolamentate dallo stesso
decreto legislativo, in virtù della norma specifica prevista del medesimo articolo 257, comma 3,
mentre, in caso di condanna (o di sentenza di patteggiamento della pena) per gli altri reati in
materia di gestione dei rifiuti o per altri reati che cagionino danni ambientali, il giudice può
subordinare la sospensione condizionale della pena al ripristino ambientale o a una bonifica del sito
non legislativamente regolamentata pur, tuttavia, soggetta al controllo dell’autorità giudiziaria o di
un organo tecnico appositamente delegato, in virtù del principio generale consacrato nell’articolo
165 c.p., secondo il quale il detto beneficio può essere subordinato alla eliminazione delle
conseguenze dannose o pericolose del reato.
ª
NOTA
La sentenza in esame trae origine dal provvedimento del 22 gennaio 2008 mediante il quale il
Tribunale monocratico di L’Aquila dichiarava un soggetto colpevole:
a) del reato di cui all’articolo 192 e all’articolo 256, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006, in relazione al
comma 1, lettera a) perché quale titolare dell’omonima impresa individuale esercente attività di
movimento terra ed edile aveva illecitamente abbandonato o depositato in modo incontrollato rifiuti
speciali non pericolosi, consistenti in inerti da demolizione di edifici;
b) del reato di cui all’articolo 734 c.p., perchè, nella qualità e con la condotta suddette, aveva
alterato la bellezza naturale del luogo, soggetto a speciale protezione dell’autorità e per l’effetto lo
condannava alla pena di 2.500 euro di ammenda, col beneficio della non menzione della condanna,
e disponeva la restituzione dell’area sequestrata subordinatamente alla bonifica della stessa a
spese e a cura dell’imputato sotto il controllo della competente stazione del Corpo Forestale dello
Stato.
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In particolare, il Giudice monocratico aveva accertato e osservato che:
- in esito alla demolizione di un fabbricato appartenente ad altro soggetto, il reo aveva ricevuto da
questi l’incarico di smaltire il materiale risultante dalla demolizione;
- l’imprenditore, senza alcuna autorizzazione amministrativa, aveva trasportato e smaltito il
materiale in un’area di proprietà di un terzo dove i rifiuti giacevano da circa un mese quando il
Corpo Forestale dello Stato aveva proceduto al sequestro;
- i rifiuti, accatastati in modo disordinato e disomogeneo, alteravano indubbiamente la bellezza del
luogo paesaggisticamente tutelato.
Il difensore dell’imputato, avverso la sentenza del Giudice di merito, aveva proposto ricorso per
Cassazione deducendo, tra l’altro, l’erronea applicazione degli articoli 256 e 257, D.Lgs. n.
152/2006, nonché esercizio di potestà riservata all’autorità amministrativa, laddove la sentenza
impugnata aveva subordinato la restituzione dell’area alla bonifica della stessa a carico
dell’imputato.
Nel ricorso, l’imputato aveva richiamato, al riguardo, l’articolo 239, D.Lgs. n. 152/2006, secondo il
quale le disposizioni relative alla bonifica dei siti contaminati non si applicano alle ipotesi di
abbandono di rifiuti, e l’articoa lo 192 dello stesso decreto, secondo il quale colui che si è reso
responsabile di abbandono, di deposito incontrollato o di immissione nelle acque superficiali o
sotterranee di rifiuti, è tenuto a procedere alla rimozione, al recupero o allo smaltimento dei rifiuti
stessi in solido col proprietario o con i gestori dell’area.
Secondo il difensore, si trattava di procedure nelle quali per legge interviene l’autorità
amministrativa (Regione, Provincia e Comune), con la conseguenza che l’autorità giudiziaria non ha
competenza in materia.
La Corte di Cassazione ha ritenuto fondata la doglianza sopra descritta mediante la quale il
ricorrente censurava la subordinazione della restituzione dell’area sequestrata alla previa bonifica
della stessa, in quanto la restituzione della cosa sequestrata non poteva essere sottoposta a
condizione.
Infatti, nel caso di sequestro probatorio, l’articolo 262 c.p.p., prevede che, con la sentenza di
merito, il giudice debba ordinare la restituzione delle cose sottoposte a sequestro, essendo venute
meno le esigenze probatorie che l’aveva giustificato, a meno che, su apposita istanza di parte,
decida di convertire il sequestro a fini di garanzia dei crediti indicati nell’articolo 316 c.p.p., o a fini
di prevenzione ex articolo 321 c.p.p., ovvero disponga la confisca nelle ipotesi consentite (del cit.
articolo 262, commi 2, 3 e 4).
Analogamente, nel caso di sequestro preventivo, a norma dell’articolo 323 c.p.p., il giudice che
pronuncia la sentenza di condanna deve ordinare la restituzione delle cose sequestrate, a meno
che non ne disponga la confisca o che, sempre su apposita istanza della parte legittimata, decida di
mantenere il sequestro a fini di garanzia conservativa.
In entrambe le ipotesi, quindi, la restituzione è atto dovuto e incondizionato, sul presupposto che
sono tipicamente venute a mancare le esigenze che legittimavano il sequestro, salva la possibilità
di convertire il sequestro per gli altri fini determinati dalla legge o di sostituirlo con la confisca.
In caso di reati in materia di rifiuti, per perseguire lo scopo di ripristinare ecologicamente le aree
inquinate, l’ordinamento offre al giudice penale una sola possibilità, che è quella di concedere, ove
possibile, la sospensione condizionale della pena, e di subordinarla alla bonifica del sito.
Nel caso di specie, il Giudice di merito non ha ritenuto di concedere la sospensione condizionale
della pena, non potendo - ovviamente - subordinare il beneficio alla bonifica del sito inquinato, ma
neppure condizionare a questa bonifica la restituzione (dovuta) dell’area sequestrata.
(Maria Melizzi, Ambiente&Sicurezza, Il Sole 24 Ore, 9 dicembre 2008, n. 23)
Sicurezza ed igiene del lavoro
ƒ Corte di Cassazione penale, Sezione IV, sentenza 12 novembre 2008 n. 42129
Infortuni sul lavoro - Normativa antinfortunistica - Datore di lavoro - Obbligo di garantire
la sicurezza nel luogo di lavoro - Utilizzo da parte di un lavoratore di un mezzo privo
dello strumentario di sicurezza - Lavoratore adibito a compiti diversi - Pretesa
interruzione del nesso causale - Esclusione. (Dpr 27 aprile 1955 n. 547, articoli 4 e seguenti;
Cc, articolo 2087; Dpr 9 aprile 2008 n. 81, articolo 18; Cp, articolo 41)
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Correttamente viene affermata la responsabilità del datore di lavoro, che abbia omesso di dotare
un trattore utilizzato nell’azienda delle necessarie misure di sicurezza e di assicurarne la corretta
manutenzione, per la morte di un lavoratore il quale, alla guida del mezzo, abbia subito un
incidente mortale proprio in ragione delle rilevate condizioni del mezzo. Né, in senso contrario,
potrebbe opporsi l’interruzione del nesso causale, in ragione del verificarsi di una causa eccezionale
sopravvenuta, connessa all’imprevedibilità dell’uso del trattore da parte del lavoratore, per essere
stato questi adibito a compiti diversi. Ciò perché, in ogni caso, la condotta del lavoratore, che abbia
fatto uso del mezzo, sia pure nell’esercizio di compiti diversi da quelli demandatagli, non è per
nulla estranea all’area di rischio connessa al contesto lavorativo e non integra un evento
eccezionale idoneo a interrompere il nesso causale tra la condotta colposa del datore di lavoro e
l’evento letale determinato dall’uso del mezzo.
(Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 13 dicembre 2008, n. 49)
ƒ Corte di Cassazione penale, Sezione feriale, sentenza 22 ottobre 2008, n. 39513
Sicurezza e igiene del lavoro - Contravvenzioni - Estinzione - Prescrizione al
contravvenzione per la regolarizzazione - Finalità - Efficacia estintiva - Condizioni. (Dlgs
19 dicembre 1994 n. 758, articoli 20 e seguenti)
Il decreto legislativo 19 dicembre 1994 n. 758, contenente modificazioni alla disciplina
sanzionatoria in materia di lavoro, ha introdotto uno specifico rimedio amministrativo, quale è
quello previsto dagli articoli 20 e seguenti, per la sollecita rimozione delle situazioni antigiuridiche
in materia di sicurezza del lavoro: la procedura amministrativa, perché possa concludersi con
l’estinzione del reato, presuppone non solo l’eliminazione della situazione di pericolo, ma anche il
pagamento della sanzione amministrativa. (Da queste premesse, la Corte ha ritenuto non
sufficiente, per la invocata declaratoria di estinzione, l’accertata rimozione della situazione di
pericolo, attestata nella specie dalla stessa chiusura dello stabilimento, in assenza dell’avvenuto
pagamento della sanzione amministrativa).
(Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 29 novembre 2008, n. 47)
ƒ Corte d’appello di Potenza, sezione Lavoro, sentenza 18 luglio 2008, n. 808
Infortuni sul lavoro - Azione di risarcimento – Distribuzione dell’onere della prova Individuazione. (Cc, articolo 2697; Cpc, articolo 409)
L’onere della prova gravante sul lavoratore che agisca per il risarcimento del danno riportato a
seguito di un infortunio sul lavoro è limitato alla dimostrazione dell’esistenza del rapporto
lavorativo e al nesso di causalità tra la situazione lavorativa rischiosa e l’evento dannoso
verificatosi e non si estende, invece, sino a richiedere la prova, da parte sua, del collegamento
dell’evento dannoso con l’inosservanza di una specifica norma inmateria di sicurezza sul lavoro; ciò
poiché spetta invece al datore di lavoro, che voglia sottrarsi da una statuizione in termini di
responsabilità nei suoi confronti, fornire la prova dell’avvenuta adozione di tutte le cautele idonee
ad impedire il verificarsi del danno ivi compreso il rispetto delle norme inerenti la sicurezza sociale.
(Guida al diritto, Il Sole 24 ORE, 13 dicembre 2008, n. 49)
ƒ Cassazione penale, sez. IV, 10 luglio 2008, n. 28529
Prevenzione degli infortuni sul lavoro – Cantiere edile – Subappalto dei lavori Infortunio del dipendente del subappaltatore – Responsabilità dei soggetti della
“catena” dell’appalto e del subappalto - Valutazione - Criteri
L’appaltante (e il subappaltante è tale nel caso di ulteriore subappalto) è il destinatario delle
disposizioni antinfortunistiche, sia in caso di accertata carenza di idoneità tecnico-professionale
dell’appaltatore nella tutela della salute dei lavoratori, sia qualora l’evento si ricolleghi causalmente
anche alla sua condotta colposa, la quale può ravvisarsi nell’aver consentito l’inizio dei lavori in
presenza di situazioni di fatto pericolose, ovvero quando la mancata adozione delle misure di
prevenzione prescritte sia immediatamente percepibile, ovvero nel caso di mancato controllo delle
medesime, ovvero quando si sia comunque ingerito nell’organizzazione di lavoro dell’appaltatore.
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ª
NOTA
Durante i lavori di copertura di alcuni capannoni, il dipendente di un subappaltatore (assunto
irregolarmente), privo di qualsiasi misura di protezione (cinture di sicurezza), era precipitato dal
tetto riportando lesioni mortali. Dell’episodio erano stati ritenuti responsabili l’appaltatore principale
(che si era continuamente ingerito nell’attività di cantiere svolta dall’appaltatore) e il datore di
lavoro dell’infortunato (nonché il subappaltatore di 1° livello, il quale aveva patteggiato la pena in
grado di appello). L’appaltatore principale aveva contestato la sua ingerenza nei lavori oggetto di
subappalto (erroneamente desunta dalla presenza di un dipendente sul luogo dell’infortunio) e
aveva respinto l’obbligo, da parte sua, di predisposizione delle misure di prevenzione, tanto più
considerando che i lavori in questione erano stati ulteriormente subappaltati a sua insaputa. Il subsubappaltatore, dal canto suo, aveva contestato l’esistenza del rapporto di lavoro e aveva
addossato alle altre imprese esecutrici l’obbligo di predisporre le misure di prevenzione. La
Suprema Corte ha ritenuto entrambi i ricorsi infondati e li ha conseguentemente rigettati.
Rilevando che l’infortunio si era verificato prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 626/1994, la
Cassazione ha fatto applicazione dei principi generali preesistenti (peraltro, in parte riprodotti
nell’art. 7 D.Lgs. n. 626/ 1994) in tema di coordinamento tra l’appaltante e l’appaltatore
nell’applicazione delle misure di prevenzione antinfortunistiche. Secondo la Cassazione, l’appaltante
(il subappaltante è tale nel caso di ulteriore subappalto) è il destinatario delle disposizioni
antinfortunistiche «qualora l’evento si ricolleghi causalmente anche alla sua condotta colposa che
può ravvisarsi nell’aver con sentito l’inizio dei lavori in presenza di situazioni di fatto pericolose
ovvero quando la mancata adozione delle misure di prevenzione prescritte sia immediatamente
percepibile ovvero nel caso di mancato controllo delle medesime». Il committente deve rispondere,
inoltre, degli eventi dannosi cagionati dall’appaltatore e riconducibili alla sua carenza di idoneità
tecnico-professionale nella tutela della salute dei lavoratori (Cass. pen., sez. IV, 14 gennaio 2008,
n. 8589). Inoltre, è pacifico che il committente deve rispondere della violazione delle regole di
prevenzione quando si sia comunque ingerito nell’organizzazione di lavoro dell’appaltatore. Questo
è quanto, per l’appunto, risulta essersi verificato nel caso in esame, dove, secondo gli accertamenti
dei Giudici di merito, era risultato che appaltatore e subappaltatore collaboravano nel cantiere e
che il primo, oltre a essersi riservato un potere di verifica sull’esecuzione dei lavori, aveva messo a
disposizione una gru e una persona che la manovrava, ai fini del sollevamento in altezza dei
materiali necessari per la realizzazione dell’opera e anche per il sollevamento e la posa dei bancali.
Secondo la Cassazione «non si trattava dunque della presenza casuale di un dipendente sul luogo
dell’infortunio ma di una concreta e continuativa collaborazione tra le due imprese nell’esecuzione
dell’opera che le rendeva entrambe garanti della sicurezza». Per altro verso si trattava di
subappalto parziale (come accertato nei gradi di merito), poiché il cantiere rimaneva nella
disponibilità (anche) dell’appaltatore, conseguentemente tenuto a salvaguardare la sicurezza di
chiunque si trovasse a operare nello stesso. Quanto ai contenuti del rapporto di lavoro, la
Cassazione ha ritenuto corretto l’accertamento dei Giudici di appello, i quali avevano fondato il
convincimento circa l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato dalle circostanze che: l il
subappaltatore, nell’ultimo mese, si era avvalso costantemente della collaborazione della vittima; l
il giorno dell’incidente gli erano state date indicazioni sulla movimentazione dei bancali; l il
contratto di subappalto prevedeva l’obbligo, per il subappaltatore, di fornire la manodopera
necessaria per l’esecuzione dei lavori.
(Pierguido Soprani, Ambiente&Sicurezza, Il Sole 24 Ore, 9 dicembre 2008, n. 23)
ƒ Corte di Cassazione penale, sez. IV, 9 luglio 2008, n. 27961
Prevenzione infortuni – Cantiere edile – Obblighi del datore di lavoro dell’impresa
appaltatrice – È garante dell’incolumità fisica dei propri dipendenti – Rilevanza della
qualifica di piccolo imprenditore – Valutazione – Non rileva – Affidamento alla condotta
del Direttore dei lavori – Esclusione - della responsabilità – Non sussiste
Le molteplici qualifiche prevenzionisti che possedute (datore di lavoro dell’impresa appaltatrice,
capo cantiere e RSPP) e la personale direzione dei lavori, presuppongono il personale
coinvolgimento e l’obbligo di garanzia dell’incolumità fisica dei propri dipendenti, a nulla rilevando
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63
lo status di piccolo imprenditore e la colpa concorrente del geometradirettore dei lavori nel
cantiere. Né è invocabile il c.d. principio di affidamento (in base al quale il soggetto che interagisce
con altri è autorizzato a fare assegnamento sull’osservanza delle regole cautelari da parte di questi
ultimi): infatti detto principio non opera in presenza di una situazione giuridica in cui il soggetto è
autonomamente tenuto a svolgere un’attività di controllo e vigilanza, il che gli impedisce
giuridicamente di fare affidamento sull’osservanza delle regole cautelari da parte degli altri.
ª
NOTA
Il socio accomandatario di una S.a.s. aveva ottenuto lavori in appalto consistenti nella
predisposizione di un locale unico, facente parte di un precedente locale commerciale, mediante
l’abbassamento del livello della pavimentazione di una parte dello stesso. Dopo aver sbancato e
abbassato il vecchio pavimento tutt’intorno ai muri perimetrali e a un pilastro posto al centro del
vano, si era iniziato a scalzare ulteriormente con un piccone il materiale sottostante il pilastro e si
stava per eseguire il lavoro di sottofondazione dello stesso predisponendo un’armatura, quando
improvvisamente il pilastro e una parte della volta soprastante erano crollati, investendo l’imputato
e un suo dipendente, il quale aveva riportato gravi lesioni. La causa dell’evento era stata
individuata nella mancata predisposizione di idonei puntellamenti del pilastro e di adeguate
armature per il consolidamento della volta a crociera, nonché nella mancanza, nel piano operativo
di sicurezza, di una valutazione adeguata dei rischi relativi alle opere di sbancamento e di
sottomurazione. Nei gradi di merito l’imputato era stato condannato per la violazione del D.P.R. n.
164/ 1956 e del D.Lgs. n. 626/1994 (pena di euro 700,00 di ammenda), oltre che per il reato di
lesioni colpose (20 giorni di reclusione, sostituita con la pena dellamulta di euro 760,00). IGiudici
ne avevano ritenuto la responsabilità giacché lo stesso, nel POS da lui predisposto, si era
qualificato responsabile dell’impresa, capo cantiere, caposquadra e responsabile del servizio di
prevenzione e protezione. Inoltre l’imputato aveva diretto personalmente i lavori, impartendo le
specifiche prescrizioni per l’esecuzione, cosicché era stata individuata a suo carico la specifica
posizione di garanzia facente capo al datore di lavoro. Con il ricorso per Cassazione l’imputato
avevamesso in evidenza che l’accertamento della responsabilità non teneva conto della sua
posizione di piccolo imprenditore, né delle circostanze del caso concreto, le quali non sembravano
giustificare un giudizio di prevedibilità e di evitabilità dell’evento nei suoi confronti. In realtà, il
geometradirettore dei lavori aveva omesso di evidenziare i problemi tecnici ricorrenti
nell’esecuzione delle opere e i rischi prevedibili a carico dei lavoratori che solo lui era in grado di
individuare in relazione alla qualifica professionale posseduta. La Corte di Cassazione è stata, però,
di avviso contrario, ritenendo corretta l’individuazione della responsabilità dell’imputato, in
relazione alle molteplici qualifiche prevenzionistiche da lui possedute (datore di lavoro dell’impresa
appaltatrice, capo cantiere e RSPP), che ne presupponevano il personale coinvolgimento nella
tutela delle condizioni di lavoro dei dipendenti, con l’obbligo di garantire l’incolumità fisica dei
prestatori di lavoro, individuando gli specifici rischi operativi e adottando tutte le misure necessarie
per assicurare che i lavori nel cantiere si svolgessero in condizioni di sicurezza. Secondo i Giudici di
legittimità, nel caso di specie non era invocabile il cosiddetto principio di affidamento (in base al
quale il soggetto che interagisce con altri è autorizzato a fare assegnamento sull’osservanza delle
regole cautelari da parte di questi ultimi); infatti questo principio non opera in presenza di una
situazione giuridica in cui il soggetto è autonomamente tenuto a svolgere un’attività di controllo e
di vigilanza, il che gli impedisce giuridicamente di fare affidamento sull’osservanza delle regole
cautelari da parte degli altri.
(Pierguido Soprani, Ambiente&Sicurezza, Il Sole 24 Ore, 9 dicembre 2008, n. 23)
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