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Un Codice per frenare la fuga dei cervelli | 1
Giulia De Ponte
Il personale sanitario tra diritto alla salute e diritto a migrare:
l’Assemblea OMS approva un nuovo Codice di condotta per le
assunzioni di personale sanitario.
Il 21 maggio scorso l’Assemblea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha
approvato all’unanimità il Global Code of Practice on the International Recruitment of
Health Personnel. Si tratta del nuovo Codice internazionale per il reclutamento di
personale sanitario che punta a regolare e contenere la migrazione di medici e
infermieri qualificati formati in paesi impoveriti verso i paesi del Nord del mondo,
attraverso meccanismi che rafforzano al tempo stesso i sistemi sanitari di provenienza di
questi professionisti.
Il nuovo Codice è uno strumento importante per rispondere alla crisi del personale sanitario
a livello globale, e in particolare in Africa Sub-sahariana. Sappiamo infatti che in un
continente che sostiene il peso del 24 per cento del carico di malattia globale, ma ha solo il
3 per cento del personale sanitario mondiale, ogni anno decine di migliaia di medici e
infermieri specializzati decidono di emigrare verso paesi più ricchi, alla ricerca di
migliori condizioni di vita e di lavoro. Cinque paesi africani hanno addirittura tassi di
emigrazione di medici superiori al 50%, vale a dire che la metà dei medici che formano
lasciano il paese per lavorare in paesi OCSE[1]. Questa “fuga dei cervelli” comporta un
costo altissimo per il continente dal punto di vista economico e ancora di più in termini di
negazione del diritto alla salute per centinaia di migliaia di cittadini africani.
Il nuovo Codice, pur riconoscendo il diritto individuale di migrare alla ricerca di migliori
condizioni di vita, identifica una serie di principi a cui ciascun paese – attraverso i propri
attori pubblici, privati e no profit – può aderire per mitigare gli effetti negativi della
migrazione di personale sanitario sui sistemi sanitari dei paesi di provenienza. Tra essi:
il sostegno alla cosiddetta “migrazione circolare” del personale sanitario emigrato, così
che competenze e conoscenze acquisite siano fruibili sia dal paese di origine che da quello
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di arrivo;
la rinuncia al reclutamento attivo di personale sanitario dai paesi che affrontano le carenze
più marcate;
il sostegno – da parte dei paesi che assumono personale sanitario da paesi impoveriti – allo
sforzo di formazione nei paesi d’origine attraverso accordi di assistenza tecnica e
finanziaria;
una accurata pianificazione – da parte di ogni sistema sanitario – delle proprie necessità di
personale sanitario sul medio e lungo periodo, così da ridurre la propria dipendenza da
personale sanitario migrante.
Il nuovo Codice ha anche una portata innovativa in materia di raccolta di dati sulla
migrazione di personale sanitario e punta a creare dati empirici affidabili, ad oggi
inesistenti, su cui basare l’azione internazionale. Ogni paese membro dell’OMS, inclusa
dunque l’Italia, sarà infatti chiamato a dotarsi di un database e a condividere informazioni
su questo fenomeno ogni tre anni.
L’Italia come “paese di arrivo” di personale sanitario straniero
Tentando di collocare l’Italia nel quadro del fenomeno del brain drain di personale sanitario
e dunque nella sfera di applicazione del nuovo Codice, ci si accorge da subito che il nostro
paese non è tra quelli che maggiorente contribuiscono ad attirare personale sanitario
formato all’estero. Per quanto riguarda la migrazione di medici, infatti, la parte del leone in
termini assoluti la fanno Stati Uniti e Regno Unito, ma anche Australia, Irlanda e
Nuova Zelanda, che hanno percentuali di medici formati all’estero tra il 20 e il 40
per cento. Inferiori sono in genere le percentuali relative alle infermiere, nonostante un
paese come l’Irlanda sfiori addirittura il 50 per cento di infermiere formate all’estero [1].
L’Italia, al contrario, ha oggi addirittura una sovrabbondanza di medici a causa del gran
numero di iscritti alle facoltà di medicina nei decenni passati. Rimane difficile, inoltre, sia
per i medici formati all’estero siaper i medici stranieri formati in Italia, praticare la
professione in Italia, a causa di barriere linguistiche e/o burocratiche. La situazione tuttavia
cambierà nelle prossime decadi quando, a seguito dei pensionamenti dei medici oggi attivi,
il paese sperimenterà una scarsità di medici, che peraltro è già segnalabile oggi in alcune
specialità come anestesia e radiologia[2].
Il quadro invece è già oggi più critico se si guarda alla professione infermieristica: si
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diplomano infatti meno infermieri di quanti siano necessari anche solo per coprire il turn
over. Si sono dunque già moltiplicati gli sforzi di reclutamento di infermieri anche da altri
paesi, mentre le barriere al reclutamento internazionale sono state ridotte sia attraverso la
semplificazione del riconoscimento dei titoli stranieri, sia attraverso l’esenzione degli
infermieri dalle quote di immigrazione verso l’Italia. Le autorità sanitarie a livello nazionale
e regionale hanno sostenuto il reclutamento internazionale di infermieri, anche attraverso
agenzie private, nonostante poi gli infermieri stranieri siano spesso relegati al settore
privato e a contratti brevi[2].
Per quanto riguarda, infine, i paesi di provenienza degli infermieri stranieri che lavorano in
Italia, al contrario di altri paesi “grandi importatori” di personale sanitario, nel nostro paese
la maggioranza viene dalla Romania e dalla Polonia 2.
In questo contesto, dunque, l’approvazione del Codice invita il nostro paese, e in particolare
il nostro sistema sanitario, ad una riflessione di lungo termine sulle proprie necessità di
personale sanitario ai vari livelli professionali, oltre che sulla necessità di tarare ancora più
attentamente le proprie esigenze formative, in modo da ridurre la propria dipendenza da
personale formato a spese di altri paesi.
A medio termine, il Codice offre un’occasione per sostenere più attivamente i sistemi
sanitari dei paesi di origine del personale sanitario che lavora nelle strutture italiane
attraverso accordi di cooperazione internazionale, oltre che di stringere accordi bilaterali
con questi paesi per favorire la migrazione “circolare” e di ritorno.
Nell’immediato, infine, il Codice richiede all’Italia di aumentare gli sforzi nella raccolta dei
dati e nel monitoraggio dei flussi di personale sanitario verso il nostro paese, anche
attraverso l’istituzione di una banca dati e l’individuazione di un’autorità nazionale
responsabile del monitoraggio.
L’adozione del Codice, infine, con i suoi meccanismi procedurali che permetteranno di
monitorarne l’applicazione, impegna anche l’Italia al riconoscimento della responsabilità
che tutti gli Stati condividono di rafforzare i sistemi sanitari nei paesi impoveriti e di dare
attuazione al diritto alla salute.
Come per ogni accordo internazionale ora la sfida sta nella sua effettiva applicazione, che
richiederà il monitoraggio attento non solo da parte dell’OMS e di tutti gli stati membri, ma
anche della società civile e del personale sanitario dei paesi del Nord e del Sud.
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Giulia De Ponte, Coordinatrice Advocacy, AMREF Italia
Bibliografia
OECD Policy Brief. International Migration of Health Workers. Improving International Cooperation to address the Global Health Workforce Crisis. February 2010.
Jonathan Chaloff. Mismatches in the Formal Sector, Expansion in the Informal Sector:
Immigration of Health Professionals to Italy. OECD Health Working Paper n. 34, November
2008.
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