TU SEI IL CRISTO DI DIO XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

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TU SEI IL CRISTO DI DIO XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
TU SEI IL CRISTO DI DIO
XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – anno C – LUCA 9,18-24
Il brano va collocato dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci e nel contesto del termine della predicazione di Gesù
in Galilea. È la premessa della partenza verso Gerusalemme. Gesù chiede ai suoi amici se gli altri hanno capito chi sia
lui. Gradatamente conduce i suoi discepoli a rispondere allo stesso interrogativo. Pietro risponde per tutti e questo dà
occasione a Gesù di spiegare che il destino che lo aspetta è un destino di sofferenza, di rifiuto, di morte, ma che
culminerà con la risurrezione. La pericope termina con la chiamata di Gesù a seguirlo.
………………….
18. Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa
domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?».
Silenzio, solitudine, preghiera: Luca ci presenta un Gesù che vive in costante rapporto con il Padre. Il dialogo con Lui è
la fonte della sua pace, del suo donarsi, della conoscenza della propria identità. Per questo dedica tempo alle folle, ma
dedica tempo anche alla preghiera solitaria. Questo avviene specialmente nel contesto dei momenti decisivi della sua
vita.
Anche noi siamo chiamati ad una forte intimità con il Padre, proprio per conoscere noi stessi davanti a Dio e per avere il
coraggio e la forza di essere testimoni di Lui nel mondo.
La domanda che Egli pone a ciascuno è la stessa di 2000 anni fa: “Le folle, chi dicono che io sia?”. Pone per primo la
domanda nei confronti di chi è esterno al gruppo, ma la sua intenzione è quella di verificare cosa i suoi più vicini
avevano capito di Lui.
Chi è per noi il Cristo? Un personaggio famoso, un uomo che ha fatto prodigi, un mito creato dalla fantasia, un esempio
da seguire?
La domanda raggiunge il profondo del nostro essere e lo scuote da certezze superficiali, da discorsi fatti, da formule
imparate a memoria, da luoghi comuni. Non basta la definizione imparata a catechismo, occorre capire se per noi Gesù
è una Persona che ha influenza nella nostra vita, se dà significato al nostro esistere.
19. Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto».
I discepoli rispondono secondo il modello religioso del tempo. La folla aveva già scambiato Giovanni Battista per il
Messia; oppure attendevano Elia, il grande profeta, che doveva tornare.
20. Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio».
La domanda diventa personale, rivolta a ciascun discepolo. Pietro risponde per tutti con una professione di fede: “Tu sei
il Cristo di Dio”. Purtroppo non è ancora in grado di capire fino in fondo il messaggio di Gesù, che sarebbe stato
completo solo con la passione, morte e risurrezione.
Gesù ha dovuto lottare per capire la propria strada, ha dovuto immergersi nella preghiera per non essere violento, non
farsi valere, non diventare “qualcuno che conta”, non adeguarsi all’idea falsa di Messia che la gente si era costruita.
Egli sapeva di essere il Cristo di Dio, ma semplice, umile, sofferente, destinato ad essere messo a morte, ma risorgere.
A noi Cristo chiede di dare una risposta alla domanda “Chi sono io per te?”, non con una facile copiatura da qualche
testo teologico, ma con una esistenziale affermazione che indichi chi è per noi il Signore.
Abbiamo bisogno di esplicitare quanto il Cristo occupi i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre giornate, il nostro
cuore, il nostro tempo.
È una risposta che dobbiamo rinnovare continuamente perché non basta darla a venti, quaranta, sessant’anni: occorre
darla sempre con ardore, con passione. Io sono solo in riferimento al fatto che Cristo è tutto per me.
21. Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno.
Perché Cristo chiede di tacere? Non ha ancora compiuto la sua missione fino in fondo. Solo successivamente l’annuncio
dovrà essere fatto a tutte le genti. Non si può correre il rischio di annunciare un Messia diverso. Il Cristo è colui che
deve soffrire tantissimo, essere torturato, ucciso e risorgere il terzo giorno.
22. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli
scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».
Il Padre non vuole la morte del Figlio, ma sa trarre il maggior bene anche da questa ingiusta condanna e da questa
enorme sofferenza, provocata dagli uomini. Dio è presente silenziosamente in questa morte apparentemente senza
senso. Già l’Antico Testamento parlava del Giusto sofferente (Salmo 33,20; Isaia 53,4) e Cristo realizza pienamente
anche questa profezia.
23. Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi
segua.
Gesù chiama tutti alla sua sequela. Seguirlo vuol dire molto più che accogliere il suo insegnamento; vuol dire,
soprattutto, fare la sua esperienza di persona itinerante, portando avanti il suo progetto.
Siamo cristiani se annunciamo che la vita è un passaggio, un pellegrinaggio; se camminiamo portando con amore la
propria croce; se diventiamo comprensivi anche verso chi ci è vicino, perché capiamo la fatica che gli altri fanno a
portare la propria croce; se diventiamo capaci di sostenerci a vicenda, costruendo una società più fraterna.
Rinnegare se stesso vuol dire vivere non da padroni, ma consapevoli di una grazia ricevuta, che non possiamo
amministrare.
Vuol dire rinunciare ai falsi desideri e non assecondare la mentalità corrente. Vuol dire non lasciarci trascinare dalle
mode, dal potere, dal guadagno facile. Vuol dire essere sinceri, veritieri, anche se questo rende scomodi e soli. Vuol dire
essere coerenti con la propria coscienza.
“Prendere la propria croce” vuol dire sapere che ci aspetta un supplizio: il condannato era costretto a portarsi lo
strumento di morte fino al luogo della sua tragica fine. Seguire il Cristo è, perciò, accettare il rischio, la prova, la stessa
sorte riservata al Maestro, che per amore nostro ha accettato la morte più orrenda e vergognosa. Noi non siamo chiamati
a portare la sua croce, ma la nostra, la mia croce per contribuire alla redenzione operata da Cristo e realizzare il sogno
di Dio, che è quello di una umanità incamminata in modo creativo verso una vita sotto l’ispirazione dello Spirito.
“Prendere la propria croce” vuol dire amare fino in fondo, fino a dare tutto.
24. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».
Rifiutare Cristo ci sottopone al suo giudizio. Non sarà condannato chi è disposto a patire e morire per Lui. Gesù non ci
ha promesso di essere felici su questa terra.
Ogni giorno il cristiano è chiamato a morire alle proprie esigenze, al proprio benessere, al proprio tornaconto, per essere
un dono per gli altri, espropriato di tutto, per essere amore.
Tutti noi siamo chiamati a portare ogni giorno la croce, sia del martirio (se Dio lo permetterà), sia del quotidiano
compimento del proprio dovere, accogliendo le sofferenze, le contrarietà, le fatiche di una fedeltà, pazientemente offerta
in forza dell’amore a Lui.
Se cerchiamo di salvare la nostra vita rispondendo di sì al mondo, perderemo l’amicizia con il Signore. Se, invece,
diremo sì a Cristo, riusciremo a passare dal meno al più.
Suor Emanuela Biasiolo