Da una prima lettura del decreto legislativo 28/2010 in materia di

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Da una prima lettura del decreto legislativo 28/2010 in materia di
Approfondimento sui dubbi interpretativi relativi alle modifiche intervenute
sul D.Lgs 28/2010 sulla mediazione civile e commerciale
Dalla lettura del decreto legislativo 28/2010 in materia di mediazione civile e commerciale,
coordinato con le modifiche introdotte con il decreto legge 69 del 2013 così come
convertito con modificazioni dalla legge 98 del 2013, emergono elementi poco chiari che è
necessario risolvere al più presto – in attesa dell’emanazione delle modifiche al d.m. 180
da parte del Ministero della Giustizia o di eventuali circolari interpretative - al fine di
mettere in condizione gli Organismi di mediazione delle Camere di commercio di dare
piena attuazione alle normativa.

La derogabilità, o no, della competenza territoriale degli organismi di
mediazione per volontà delle parti
La risposta al quesito è che le parti possono derogare alla competenza territoriale degli
organismi di mediazione con appositi accordi o clausole. Infatti il legislatore non ha creato
una nuova ipotesi di competenza territoriale inderogabile, ma ha semplicemente rinviato
alla competenza del giudice dell’eventuale giudizio. Restano ferme quindi, a sensi
dell’art.28 cpc solo le ipotesi di competenza territoriale inderogabile previste nel codice di
procedura civile e nelle leggi speciali ivi richiamate.
L’art. 4 comma 1 introduce, per la prima volta nel d.lgs. 28/2010, una regola di
competenza territoriale degli organismi di mediazione.
Ed infatti, quella norma, rubricata “accesso alla mediazione”, prevede che “la domanda di
mediazione relativa alle controversie di cui all’art. 2 è presentata mediante deposito di
un’istanza di mediazione presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente
competente per la controversia”.
Ne deriva che per determinare la competenza dell’organismo di mediazione occorrerà fare
riferimento alle regole di competenza previste dal codice di procedura civile (artt. 7 e
segg.) nonché dalla leggi speciali (come, ad esempio, il d.lgs. c.d. Codice del Consumo).
Quel riferimento, peraltro, consente di risolvere il quesito teso a sapere se le parti possono
derogare, oppure no, alla competenza territoriale dell’organismo di mediazione.
Il codice di procedura civile all’art. 28 disciplina il “foro stabilito per accordo delle parti”
prevedendo che “la competenza per territorio può essere derogata per accordo delle parti,
salvo che per le cause previste nei nn. 1, 2,3 e 5 dell’art. 70, per i casi di esecuzione
forzata, di opposizione alla stessa, di procedimenti cautelari e possessori, di procedimenti
in camera di consiglio e per ogni altro caso in cui l’inderogabilità sia disposta
espressamente dalla legge”.
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Orbene, tutte le volte che l’ordinamento processuale consente alle parti di derogare alla
competenza territoriale dell’autorità giudiziaria non v’è motivo per negare che
quell’autonomia delle parti possa esplicarsi anche con riferimento alla competenza
territoriale degli organismi di mediazione.
Peraltro, vi è un importante dato normativo che conferma la correttezza di questa
conclusione e, cioè, il quinto comma dell’art 5 d.lgs. 28/2010, che disciplinando la clausola
di mediazione stabilisce , che “la domanda è presentata davanti all’organismo indicato
nella clausola”. Solo nel caso che l’indicazione concorde delle parti venga a mancare, la
domanda dovrà essere presentata “davanti ad un altro organismo iscritto, fermo il rispetto
dell’articolo 4, comma 1”.
Si tratta, con ogni evidenza, del riconoscimento del fatto che l’accordo delle parti può
derogare alla competenza territoriale di cui all’art. 4, comma 1, tutte le volte che
l’applicazione della norma porti all’identificazione di una competenza territoriale a sua volta
derogabile, cioè ad esclusione dei casi cui rinvia l’art.28 cpc.
Ciò premesso appare opportuno accennare alle modalità attraverso le quali può essere
esercitata l’autonomia privata in ordine alla competenza territoriale.
La prima ipotesi, probabilmente più frequente, sarà quella in cui dalla mancata
contestazione della parte invitata , deriverà l’implicito accordo di deroga. Qui manca
l’accordo preventivo, ma l’accettazione dell’invito a presentarsi davanti ad un ODM in un
luogo diverso da quello di competenza del giudice, provoca, come avviene nel processo,
la tacita accettazione della deroga.
Le parti possono, inoltre, disciplinare, soltanto la competenza territoriale con riferimento al
procedimento di mediazione, attraverso l’indicazione, in una clausola contrattuale, di una
città e/o di uno, o più specifici ODM che ivi abbiano sede.
Nel caso di successiva controversia, il giudice territorialmente competente sarà individuato
sulla base delle norme del codice di procedura civile e questo non comporterà modifiche
alla competenza territoriale scelta per la mediazione.
Al contrario se le parti hanno previsto soltanto una clausola di deroga al foro del giudice,
quella deroga opererà anche, ex art. 4, comma 1 d.lgs.28/2010, con riferimento alla fase di
mediazione.
Infine, un rilevante esempio di competenza territoriale inderogabile che può presentarsi
frequentemente, è quella disciplinata dal Codice del Consumo con riferimento alle
controversie con i consumatori dove è affermata la competenza esclusiva del giudice del
c.d. foro del consumatore, e cioè, domicilio o residenza del consumatore.

L’obbligo dell’assistenza dell’avvocato solo per le materie obbligatorie oppure
anche per le volontarie. Questo è un dubbio che nasce dal confronto tra le
previsioni contenute all’ art. 5 comma 1-bis, all’ art. 8 comma 1 e all’ articolo 12
comma 1 del decreto legislativo;
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La risposta al quesito è che senz’altro l’obbligo di assistenza tecnica opera con
riferimento alle ipotesi di mediazione obbligatoria e non per la mediazione c.d.
da clausola né per la mediazione volontaria per le ragioni di seguito indicate.
La legge n. 98 del 2013, che ha convertito con modificazioni il d.l. 69/2013 ha previsto
e disciplinato, per la prima volta, la presenza dell’avvocato nell’ambito del
procedimento di mediazione di cui al d.lgs. n. 28 del 2013, come assistente della parte.
La presenza dell’avvocato, come assistente della parte, è oggi espressamente
prevista:
a) dall’art. 5, comma 1-bis laddove stabilisce che “chi intende esercitare in giudizio
un'azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali,
divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di
aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria
da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità,
contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto, assistito dall'avvocato,
preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente
decreto” (fattispecie di mediazione obbligatoria);
b) dall’art. 8, comma 1, terzo periodo, laddove prevede che “al primo incontro e
agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono
partecipare con l'assistenza dell'avvocato”;
c) l’art. 12, primo comma, che, con riferimento all’efficacia esecutiva dell’accordo
amichevole, prevede, con una disposizione innovativa, che “ove tutte le parti
aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l'accordo che sia stato
sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per
l'espropriazione forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio, l'esecuzione
degli obblighi di fare e non fare, nonché per l'iscrizione di ipoteca giudiziale”. In
quel caso, prosegue la norma “gli avvocati attestano e certificano la conformità
dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico”.
Orbene, la nuova disciplina presenta una formulazione ambigua tale per cui
occorre domandarsi se:
a) l’obbligo dell’assistenza dell’avvocato sia previsto solo per le materie
obbligatorie oppure anche per le volontarie;
b) se l’avvocato che può assistere le parti in mediazione debba essere
necessariamente un avvocato (attualmente) iscritto all’Albo oppure no;
Quanto al dubbio sub a) è da dire che, nonostante il testo, nessun dubbio può
esserci su ciò che nella mediazione c.d. obbligatoria sia previsto l’obbligo di
assistenza dell’avvocato.
Diversamente, con riferimento alla mediazione c.d. volontaria (e, cioè, in tutte le
ipotesi in cui le parti decidono liberamente di tentare la mediazione in assenza di
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un obbligo di fonte legale) manca una disposizione chiara come quella prevista dal
comma 1-bis dell’art. 5 prima richiamato.
Anzi, proprio la constatazione che il legislatore abbia espressamente previsto
l’obbligo dell’assistenza tecnica nella disposizione dedicata alla c.d. mediazione
obbligatoria (comma 1-bis dell’art. 5) mentre nulla abbia detto con riferimento alle
altre ipotesi di mediazione, consente di ritenere percorribile un’interpretazione del
decreto legislativo nel senso che nell’ambito della mediazione volontaria non è
necessaria l’assistenza dell’avvocato.
Del resto, l’art. 4 d.lgs. 28/2010, dedicato all’accesso alla mediazione prevede
soltanto che “la domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all'articolo 2
è presentata mediante deposito di un'istanza presso un organismo nel luogo del
giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di più domande
relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all'organismo
territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda”.
Diversamente dal comma 1-bis dell’art. 5 la disciplina della domanda di mediazione
non impone che la domanda stessa sia presentata con l’assistenza dell’avvocato.
Ne deriva che l’art. 5, comma 1-bis è norma speciale rispetto all’art. 4 che regola la
domanda di mediazione per tutte le ipotesi di mediazione e, quindi, l’obbligo
dell’assistenza dell’avvocato deve ritenersi esistente soltanto nel caso di
mediazione obbligatoria (art. 5, comma 1-bis).
Per completezza è da dire che un argomento a sostegno della tesi
dell’obbligatorietà dell’assistenza dell’avvocato in tutte le ipotesi di mediazione
potrebbe derivare dall’art. 8, comma 1, terzo periodo.
Quella norma prevede, infatti, che “al primo incontro e agli incontri successivi, fino
al termine della procedura, le parti devono partecipare con l'assistenza
dell'avvocato”.
Senonché, l’articolo 8 può essere interpretato nel senso che esso disciplina le
modalità con le quali si intende attuato l’obbligo di assistenza dell’avvocato,
laddove questo esiste (e, cioè, nella mediazione obbligatoria).
In questo senso, esemplificando, l’obbligo di assistenza dell’avvocato è rispettato
soltanto se l’avvocato assiste la parte in ogni incontro di mediazione e non soltanto
se assiste la parte nel momento di sottoscrizione dell’accordo amichevole.
Inoltre, il testo dell’art. 8 non può essere dirimente anche per l’ulteriore ragione che
esiste un’altra norma, e cioè, il primo comma dell’art. 12, prima richiamato, che
ammette come <possibile> l’ipotesi che le parti non risultino assistite da un
avvocato escludendo che, in quel caso, l’accordo amichevole possa essere
immediatamente titolo esecutivo.
Da ultimo, è da dire che ipotizzare l’obbligatorietà dell’assistenza dell’avvocato
anche con riferimento alla mediazione volontaria (già criticabile anche solo per la
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mediazione obbligatoria) sarebbe in contrasto con l’autonomia privata.
Predicare l’esistenza di un obbligo di assistenza tecnica nell’ambito di un’attività
negoziale specie se volontaria (ancorché da taluno giustificata per gli effetti anche
processuali che ha la mediazione rispetto al processo civile già pendente o che la
parte ha intenzione di instaurare) non soltanto comprimerebbe la libertà negoziale
delle parti, ma avrebbe come effetto quello di onerare le parti di costi che devono
essere libere di decidere se sostenere oppure no.
Per completezza occorre sottolineare pure che l’obbligo di assistenza da parte di
un avvocato è prevista per tutte le parti che partecipano alla mediazione e, quindi,
anche con riferimento alla parte pubblica. Ne deriva che anche la Pubblica
Amministrazione dovrà essere assistita obbligatoriamente da un avvocato (se del
caso, in base alla normativa specifica, dall’Avvocatura dello Stato ovvero da un
avvocato del libero foro a ciò eventualmente delegato).

Quanto al profilo sub b) è necessario domandarsi, secondo quanto indicato nel
quesito, se l’assistenza obbligatoria debba essere fornita da un avvocato (attualmente)
iscritto all’albo.
La risposta al quesito è nel senso che laddove il legislatore ha previsto la presenza
di un <avvocato> ha inteso fare riferimento all’avvocato attualmente iscritto all’albo
ovvero, per le controversie rispetto alle quali possono rappresentare la parte in
giudizio, anche i praticanti abilitati al patrocinio e ciò per le ragioni che seguono.
Anche in questo caso il dubbio poteva nascere in considerazione del fatto che
mentre l’art. 16 comma 4-bis del d.lgs. 28/2010 ha previsto che “gli avvocati iscritti
all'albo sono di diritto mediatori”, gli art. 5, comma 1-bis, 8 e 12 (relativi
all’assistenza degli avvocati alle parti in mediazione) si limitano a prevedere
l’assistenza di un “avvocato”.
Senonché, la mancata indicazione della dizione “”iscritto all’albo” con riferimento
all’avvocato che deve assistere la parte in mediazione non è assolutamente
significativa. E ciò per una pluralità di ragioni.
In primo luogo, il terzo comma dell’art. 4 d.lgs. 28/2010 contiene una disposizione
che chiarisce quest’aspetto e che merita di essere riportata per esteso: “all'atto del
conferimento dell'incarico, l'avvocato è tenuto a informare l'assistito della possibilità
di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e
delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L'avvocato informa altresì
l'assistito dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione
di procedibilità della domanda giudiziale. L'informazione deve essere fornita
chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il
contratto tra l'avvocato e l'assistito è annullabile. Il documento che contiene
l'informazione è sottoscritto dall'assistito e deve essere allegato all'atto introduttivo
dell'eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del
documento, se non provvede ai sensi dell'articolo 5, comma 1-bis, informa la parte
della facoltà di chiedere la mediazione”.
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Orbene, in quella disposizione compare per ben tre volte l’espressione <avvocato>
senza alcun altra specificazione (e, cioè, non si dice <avvocato iscritto all’albo>)
ma nessuno può dubitare che l’avvocato al quale si riferisce il legislatore sia
l’avvocato iscritto all’albo dal momento che l’attività che viene disciplinata è quella
connessa all’incarico di rappresentanza in giudizio e, in ogni caso,
cronologicamente propedeutica all’esercizio di un’azione in giudizio.
In secondo luogo, vi è un’altra disposizione di legge che conferma l’interpretazione
giusta la quale l’espressione <avvocato> debba intendersi riferita allo <avvocato
iscritto all’albo> e, cioè, l’art. 2 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 recante Nuova
disciplina dell’ordinamento della professione forense.
E ciò a prescindere dalle specifiche ipotesi in cui taluno può continuare a fregiarsi
del titolo di avvocato pur non essendo più iscritto a un ordine e quindi non abilitato
all’attività forense.
Ecco allora che ben si spiega come la precisazione “avvocato iscritto all’albo”
contenuta nel comma 4-bis dell’art. 16 d.lgs. 28/2010 sia una precisazione
sovrabbondante, ma utile.
Ed infatti, trattandosi di una disciplina di favore per l’iscrizione nell’elenco dei
mediatori tenuto dagli organismi di mediazione e, cioè, di un’attività affatto diversa
dall’assistenza legale stragiudiziale, qualcuno avrebbe potuto anche sostenere che
quella disciplina sarebbe stata applicabile anche a quanti avessero potuto fregiarsi
(legittimamente) dell’uso del titolo di avvocato seppur non attualmente iscritti
all’albo.
Ne deriva che laddove il legislatore ha previsto la presenza di un <avvocato> ha
inteso fare riferimento all’avvocato attualmente iscritto all’albo ovvero, per le
controversie rispetto alle quali possono rappresentare la parte in giudizio, anche i
praticanti abilitati al patrocinio.
Non potrà, quindi, dirsi rispettato il requisito dell’assistenza dell’avvocato ogni
qualvolta, ad esempio, la parte sia assistita da un avvocato che non sia iscritto
all’ordine (perché ad esempio cancellato) ovvero da un soggetto che non ha il titolo
di avvocato (come, ad esempio, il soggetto che conseguito l’abilitazione
professionale ma non si è iscritto).
Resta inteso, ovviamente, che laddove all’incontro di mediazione dovessero essere
presenti, come “assistenti delle parti”, soggetti che non siano avvocati, la loro
presenza è assolutamente lecita, legittima e, quindi, senz’altro consentita così
come lo era nel vigore della disciplina originaria del d.lgs.28/2010, permettendo
così, ad esempio, al giurista di impresa di continuare a partecipare alla mediazione
seppur affiancato da un avvocato iscritto.
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Se il d.l. 69/2013 così come convertito con modificazioni dalla l. 98/2013 abbia
espressamente previsto la necessità che la parte debba essere personalmente
presente all’incontro di mediazione.
La risposta al quesito è che sebbene la presenza personale delle parti svolga un ruolo
fondamentale per la buona riuscita del procedimento di mediazione, nessuna norma
autorizza ad affermare che la parte non possa comparire tramite un
rappresentante sostanziale munito dei necessari poteri. Tuttavia, ai sensi dell’art.
7 del d.m.180, i regolamenti degli organismi possono prevedere ed è opportuno che lo
facciano come avviene nel Regolamento uniforme Unioncamere, disposizioni volte a
sollecitare le parti a presenziare personalmente all’incontro di mediazione, tranne casi
di reale impossibilità. Le modifiche apportate al d.lgs. 28/2010 dal d.l. 69/2013 così
come convertito con modificazioni dalla l. 98/2013 non mutano il quadro normativo
relativo alla presenza personale delle parti all’incontro di mediazione.
Ne deriva che occorrerà continuare a fare applicazione del principio generale del diritto
civile che consente sempre (salvo i casi di atti personalissimi tra i quali non rientra la
partecipazione all’incontro di mediazione) di compiere attività negoziale tramite un
rappresentante.
La parte potrà ,quindi, delegare con una procura in forma scritta (non autenticata) un
suo rappresentante avendo cura di munirlo dei necessari poteri.
Peraltro, anche nei casi in cui è prevista l’obbligatorietà dell’assistenza di un avvocato,
si deve ritenere che la parte possa nominare proprio rappresentante sostanziale
l’avvocato stesso che lo assiste, conferendogli, quindi, la rappresentanza sostanziale
(e ciò arg. ex art. 84, comma 2, e art. 86 c.p.c.)
Ciò che deve esser ben chiaro è che l’attribuzione del potere sostanziale all’avvocato
non può essere fondata soltanto sull’esistenza di un eventuale mandato alle liti, a
meno che quel mandato espressamente non comprenda anche il potere di
rappresentare sostanzialmente la parte nella fase di mediazione.


A. La piena gratuità, o meno, della mediazione per mancato accordo al primo
incontro, anche per le spese di avvio.
B. Se il primo incontro informativo possa essere considerato, nei regolamenti
degli organismi, una fase distinta, rappresentando dunque un passaggio
precedente rispetto all’incontro di mediazione.
A. La risposta è che siano dovute le spese di avvio del procedimento ed anche
le spese vive documentate che ben potrebbero sommarsi alle spese di avvio sulla
base di una precedente Circolare ministeriale.
Il compenso che non è dovuto ex art. 17, comma 5-ter d.lgs. 28/2010 riguarda le
Spese di mediazione.
B. La risposta è che il primo incontro ha senz’altro una sua autonomia,
disciplina e uno specifico contenuto, ma rappresenta pur sempre una
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fase del procedimento di mediazione.
La risposta A si basa sulle seguenti considerazioni.
Preliminarmente occorre muovere dai seguenti dati normativi:
a) il c.d. primo incontro di mediazione è stato previsto dal d.l. 69/2013 convertito
con modificazioni nella legge 98/2013;
b) il comma 5-ter dell’art. 17 d.lgs. 28/2010 ha previsto poi che “nel caso di
mancato accordo all'esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per
l'organismo di mediazione”.
Orbene, laddove all’esito del primo incontro di mediazione le parti non raggiungano
un accordo, il decreto legislativo prevede che le stesse non siano tenute a
corrispondere il compenso (rectius: le spese di mediazione) all’organismo di
mediazione.
Il che, però, non significa che non siano dovute le spese di avvio del procedimento
di mediazione a carico di entrambe le parti (e, cioè, quella attivante e quella invitata
che abbia aderito).
Diversamente si graverebbe troppo sugli organismi di mediazione che non godono
di alcun trasferimento da parte dello Stato e che già sopportano <pro bono> che le
indennità di mediazione non siano dovute per la parte che partecipa ad una
mediazione obbligatoria, versando in una situazione che legittima il gratuito
patrocinio.
Di conseguenza il compenso che non è dovuto ex art. 17, comma 5-ter d.lgs.
28/2010 riguarda le Spese di mediazione.
Sono, invece, certamente dovute, come detto, le spese di avvio del procedimento
di gestione del tentativo di conciliazione che non possono essere poste a carico
dell’organismo anche per ragioni di tutela della concorrenza.
Quanto alla risposta B e, cioè, che il primo incontro ha senz’altro una sua
autonomia, una disciplina e uno specifico contenuto, ma rappresenta pur sempre
una fase del procedimento di mediazione, è da dire quanto segue.
Tale conclusione è rafforzata dalla constatazione che il mediatore che presiede
quel primo incontro, è il mediatore nominato dal responsabile dell’organismo a
seguito della ricezione della domanda: ragione per cui il procedimento di
mediazione non può che essere in corso.
Inoltre, proprio perché il procedimento è già in corso e un mediatore è stato già
nominato, quel mediatore deve essere, possibilmente, in grado di portare a termine
il procedimento di mediazione
Ed infatti, all’esito di quell’incontro può accadere che:
I. Se il primo incontro si conclude senza che le parti abbiano raggiunto un accordo:
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1. il mediatore redige verbale di mancato accordo
2. nessun compenso è dovuto per l'organismo di mediazione
II. Se all’esito del primo incontro, le parti decidono di continuare nel procedimento
di mediazione:
1.
il mediatore redige un verbale in cui dà atto, da un lato della chiusura senza
accordo del primo incontro e, dall’altro, del fatto che le parti vogliono procedere
nel tentativo di conciliazione, avendo cura comunque di farlo sottoscrivere alle
parti e ai loro avvocati presenti
2.
da questo momento le parti sono tenute a corrispondere le spese di
mediazione (anche se il tentativo fallisce lo stesso giorno in cui si è svolto il
primo incontro: ed infatti, l’attività di mediazione è stata svolta).
III. All’esito del primo incontro le parti trovano l’accordo amichevole che definisce la
loro controversia:
1. Il mediatore redige verbale di accordo ai sensi dell’art. 11 d.lgs. 28/2010
2. Le parti sono tenute al pagamento delle spese di mediazione dovute,
determinate in base alle tariffe previste dall’Organismo prescelto.

Quale sia la tipologia di formazione che dovrebbe essere acquisita dagli avvocati
ai fini dell’iscrizione di diritto, considerato che la specifica previsione contenuta
all’art. 16 comma 4 –bis non chiarisce questo aspetto e fa riferimento alla
generica previsione dell’art. 55-bis del codice deontologico forense.
Con riferimento al tema, nulla autorizza a ritenere che la formazione possa
attualmente essere erogata da enti che non siano enti di formazione previsti e
disciplinati dal d.lgs. 28/2010 e d.m. 180/2010.
Effettivamente la normativa nulla prevede - né direttamente né indirettamente
attraverso il richiamo all’art. 55-bis del Codice deontologico degli avvocati - in
ordine al contenuto e modalità della formazione dell’avvocato-mediatore.
Dalla norma, infatti, si ricavano soltanto le seguenti indicazioni:
a) l’avvocato iscritto all’albo può chiedere di essere iscritto come mediatore ma
deve avere una formazione specifica.
b) l’attività formativa non può comportare oneri a carico della finanza pubblica (id
est non possono essere previsti corsi specifici per questi avvocati, i cui costi
ricadano direttamente o indirettamente sulla finanze pubbliche e, quindi, gli enti
pubblici di formazione non possono erogare corsi completamente gratuiti per gli
avvocati-mediatori di diritto, se utilizzano risorse pubbliche come, ad esempio,
le tasse di iscrizione ad un ordine professionale ovvero somme connesse alla
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previdenza forense ovvero ancora somme derivanti dall’esazione di diritti
amministrativi e/o fiscali).
c) una volta accreditato come mediatore, è comunque un “mediatore iscritto” e,
come tale, deve eseguire il tirocinio e l’aggiornamento previsti dalla normativa
vigente.
Poiché, come ricordato, nulla è detto in ordine a contenuto e modalità della
formazione, nulla può essere ipotizzato, dal momento che la materia è di esclusiva
competenza del Ministero della Giustizia che dovrebbe, quindi, provvedere
modificando il d.m. 180/2010 ovvero, al più - anche in considerazione dei tempi diramando apposita circolare esplicativa.
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INDENNITA’ DEL SERVIZIO DI MEDIAZIONE
all’entrata in vigore del d.lgsl.28/2010, come modificato dalla l. 98/2013 di conversione
del decreto legge n.69/2013
L'indennità di mediazione comprende le spese di avvio del procedimento e le spese di
mediazione. Sono altresì a carico delle parti le spese vive sostenute dall'Organismo di mediazione
per la gestione della procedura, debitamente documentate.
Le Spese di avvio, restano stabilite nella somma di euro 40,00 più IVA, che devono
essere versate alla presentazione della domanda di mediazione a cura della parte istante e a
cura della parte che accetta al momento della sua adesione al procedimento, relativamente a
tutte le ipotesi di mediazione previste dalla normativa: mediazione obbligatoria a pena di
improcedibilità, ivi compresa quella delegata,mediazione obbligatoria per contratto e
mediazione volontaria .
Anche la prevista Gratuità del Primo incontro ora disciplinato dalla legge, non si
riferisce dunque alle Spese di avvio, ma all’altra componente l’Indennità di mediazione
cioè le Spese di mediazione.
Spese di mediazione
Il legislatore nulla ha cambiato quanto al d.m. 180,come modificato dal d.m. 145,
rispetto alle tariffe, quindi resta valido il comma 14 dell’art.16,secondo il quale “ Gli
importi minimi delle indennità per ciascun scaglione di riferimento, come determinati a norma
della tabella A allegata al presente decreto, sono derogabili”.
Di conseguenza appare opportuno mantenere quanto già stabilito e cioè l’estensione
delle tariffe previste per i casi di mediazione obbligatoria anche alle procedure di
mediazione volontaria, fermo restando l’applicazione degli eventuali aumenti
previsti dall’art.16 comma 1 lettere,d) e c)
Valore della lite
Spesa per ciascuna parte
Fino a € 1.000,00
da € 1.001,00 a € 5.000,00
da € 5.001,00 a € 10.000,00
da € 10.001,00 a € 25.000,00
da € 25.001 ,00 a € 50.000,00
da € 50.001,00 a € 250.000,00
da € 250.00 1,00 a € 500.000,00
da € 500.001,00 a € 2.500.000,00
da € 2.500.00 1,00 a € 5.000.000,00
oltre € 5.000.000,00
€ 43,00 (+ IVA)*
€ 86,00 (+IVA)*
€160,00 (+IVA)*
€ 240,00 (+IVA)*
€ 400,00 (+IVA)*
€ 666,00 (+IVA)*
€ 1.000,00 (+IVA)*
€ 1.900,00 (+IVA)*
€ 2.600,00 (+IVA)*
€ 4.600,00 (+IVA)*
*(Nel caso di controversie internazionali l'IVA potrebbe non essere dovuta)
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