Il quotidiano giuridico

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Il quotidiano giuridico
N. 00009/20012REG.PR
ROV.COLL..
N. 000003/2012 REG.RIC.A.P..
R E P U B B L I C A
I T A L I A N A
IN
N NOME DE
EL POPOL
LO ITALIAN
NO
Il Coonsiglio di Stato
in sedee giurisdiziionale (Ad
dunanza Pllenaria)
ha p
pronunciato la presente
SE
ENTENZ
ZA
sul ricorrso numeero di reegistro ggenerale 3 di A.P
P. del 20012, prop
posto da::
Gestore dei Serviizi Elettriici-Gse SSpa, in peersona deel legale rrappresen
ntante proo
tempore, rrappresenttato e diffeso dagli avvocati Francesco Anaclerrio, Stefan
no Crisci,,
Marco B
Bonacina e Carlo Malinconnico, con
n domicillio eletto presso lo
l studio
o
dell’avv. Stefano Crisci
C
in Roma,
R
via Parigi n.11;
contro
Officina dell'Amb
biente s.rr.l., in peersona deel legale rappresenntante prro tempore,,
Montanaa s.r.l., in persona del legalle rappressentante pro
p temporre, Paola Scuntaro,,
o Andreaa, Racani Maurizioo, Toffoleetti Danilla, Toffolletti Daniilo, Painaa
Mansoldo
Giancarlo
o, Rossett Claudio, Della Roossa Livio
o, Mastella Cristianno, Ghideelli Giulio
o
Natale, SSergio To
otis, Mau
uro Fasanno, tutti rappresen
r
ntati e diffesi dagli avvocatii
Riccardo
o Tagliaferrri, Marco
o Noferi, Iacopo Tozzi
T
e Marco
M
Anntonio Vaallini, con
n
domicilio
o eletto presso
p
lo studio deell’avvocaato Enrico
o Gambaa in Romaa, via dell
Casale Sttrozzi, 31;;
neii confront
nti di
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, Autorità per l’energia elettrica e
il gas, Ministero delle attività produttive, in persona dei rispettivi legali
rappresentanti pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello
Stato, domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
e con l'intervento di
ad
opponendum:
Azienda Agricola Sant'Anna S.S., in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentato e difeso dagli avvocati Marco Noferi, Iacopo Tozzi, Alessandro
Tarducci e Stefano Scudellaro, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato
Enrico Gamba in Roma, via del Casale Strozzi, 31;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE IV n.
02126/2006, resa tra le parti, concernente della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA
- MILANO: SEZIONE IV n. 02126/2006, resa tra le parti, concernente CRITERI
PER
INCENTIVAZIONE
PRODUZ.
ENERGIA
ELETTRICA
CON
PRODUZ. ENERGIA SOLARE
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 marzo 2012 il Cons. Roberto
Giovagnoli e uditi per le parti gli avvocati Crisci, Malinconico, Tarducci e
l’avvocato dello Stato Ventrella;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (“Attuazione della direttiva
2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”) dispone che “Entro sei mesi dalla data di
entrata in vigore del presente decreto, il Ministro delle attività produttive, di concerto con il
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, d'intesa con la Conferenza unificata, adotta
uno o più decreti con i quali sono definiti i criteri per l'incentivazione della produzione di energia
elettrica dalla fonte solare” (art. 7, comma 1).
2. In attuazione è stato adottato il decreto del Ministro delle attività produttive del
28 luglio 2005 (di concerto con il Ministro dell’ambiente), recante “Criteri per
l'incentivazione della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte”,
in cui è prevista l’erogazione di una tariffa incentivante ai soggetti responsabili
della realizzazione e dell’esercizio di impianti fotovoltaici che è corrisposta per un
periodo di venti anni decorrenti dalla entrata in esercizio dell’impianto (art. 7,
comma 7) in misura diversa per gli impianti di potenza nominale inferiore o
superiore a 20 KW (articoli 5, comma 2, e 6, commi 2 e 3); ‘soggetto attuatore’ che
eroga le tariffe incentivanti è il Gestore dei Servizi Energetici s.p.a. (in seguito
GSE; già GRTN).
Nel testo originario del decreto è disposto che l’aggiornamento delle tariffe
incentivanti “di cui all’art. 5, comma 2, e all’art. 6, commi 2 e 3, viene effettuato a decorrere
dal primo gennaio di ogni anno sulla base del tasso di variazione annuo, riferito ai dodici mesi
precedenti, dei prezzi al consumo delle famiglie di operai e impiegati rilevati dall’ISTAT” (art.
6, comma 6).
L’art. 6, comma 6, ora citato, è stato sostituito con l’art. 4, comma 1, del successivo
decreto ministeriale del 6 febbraio 2006, per il quale “L'aggiornamento delle tariffe
incentivanti di cui all’art. 5, comma 2, lettera b), all’art. 6, comma 2, lettera b), e all’art. 6,
comma 3, lett. b), viene effettuato per ciascuno degli anni successivi al 2006 sulla base del tasso di
variazione annuo, riferito ai dodici mesi precedenti, dei prezzi al consumo per le famiglie di operai
e impiegati rilevati dall'Istat”.
Il medesimo decreto ministeriale del 6 febbraio 2006 ha stabilito, con l’art. 8,
comma 1, che le modifiche o integrazioni apportate con l’art. 4 e altri articoli al
decreto ministeriale del 2005 “si applicano alle domande inoltrate successivamente alla data
di entrata in vigore del D.M. del 28 luglio 2005”.
3. L’Autorità per l’energia elettrica e il gas (in seguito Autorità) ha ritenuto
opportuno apportare alla propria precedente deliberazione n. 188 del 2005, recante
le modalità per l’erogazione delle tariffe incentivanti degli impianti fotovoltaici, “le
medesime modifiche ed integrazioni di cui al decreto ministeriale 6 febbraio 2006”,
provvedendovi con la deliberazione n. 40 del 20 febbraio 2006.
4. La s.r.l. Montana, la s.r.l. Officina dell’Ambiente, i signori Giancarlo Paina,
Danilo Toffoletti, Maurizio Racani, Andrea Mansoldo, Paola Scuntaro, Giulio
Natale Ghidelli, Mauro Fasano, Cristiano Mastella, Livio Della Rossa, Sergio Totis
e Claudio Rosset, che avevano presentato istanze per la realizzazione di impianti
fotovoltaici, e per la conseguente ammissione al regime dell’incentivazione, ai sensi
del d.m del 28 luglio 2005 prima delle modifiche ad esso apportate dal d.m. del 6
febbraio 2006, con il ricorso n. 1128 del 2006 proposto al Tribunale
amministrativo regionale per la Lombardia, hanno chiesto l’annullamento del detto
decreto del 6 febbraio 2006 e della deliberazione dell’Autorità n. 40 del 2006.
I ricorrenti hanno lamentato la retroattività delle nuove disposizioni, poiché: nella
nuova versione dell’art. 6, comma 6, del d.m. del 28 luglio 2005, l’adeguamento
ISTAT risulta riconosciuto soltanto alle tariffe di cui alla lettera b) del comma 2
dell’art. 5 e dei commi 2 e 3 dell’art. 6, e non anche per quelle di cui alla lettera a)
dei medesimi commi, cioè le tariffe per gli impianti, come quelli degli esponenti, la
cui domanda è stata presentata nel 2005 o nel 2006; l’art. 8, comma 1, del d.m. del
6 febbraio 2006 prevede che la suddetta modifica, disposta con l’art. 4, comma 1,
del medesimo d.m., si applica alle domande presentate dopo l’entrata in vigore del
d.m. 28 luglio 2005, quindi anche a quelle dei ricorrenti, presentate certamente
prima dell’adozione del d.m. impugnato ma dopo la vigenza del d.m. del luglio
2005.
5. Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sede di Milano, con la
sentenza n. 2126 del 2006, ha accolto il ricorso limitatamente all’impugnazione
dell’art. 8, comma 1, del d.m 6 febbraio 2006, ha respinto la domanda di
annullamento del precedente art. 4, comma 1, e ha dichiarato inammissibile
l’impugnazione della deliberazione dell’Autorità, alla quale ha riconosciuto
carattere meramente attuativo delle determinazioni ministeriali.
6. In particolare, il giudice di primo grado ha ritenuto l’illegittimità dell’effetto
retroattivo attribuito alla modificazione del sistema di adeguamento delle tariffe
che, originariamente garantito anno per anno, per effetto del combinato disposto
degli artt. 4, comma 1, e 8, comma 1, del d.m. 6 febbraio 2006 è stato di fatto
abolito per gli impianti per i quali le domande di autorizzazione sono state
presentate negli anni 2005 e 2006. L’art. 8, comma 1, del decreto impugnato
risulterebbe così lesivo del generale principio di irretroattività, di cui all’art. 11 delle
preleggi, del principio della certezza del diritto e della tutela dell’affidamento, che
hanno attinenza anche a parametri comunitari data la derivazione della disciplina
sulla promozione delle fonti rinnovabili.
7. Avverso tale sentenza ha proposto appello principale il GSE e, nelle forme
dell’appello incidentale, ne hanno chiesto la riforma anche i Ministeri dello
sviluppo economico e dell’ambiente per identici motivi.
La s.r.l. Montana e gli altri ricorrenti in primo grado, invece, hanno proposto
appello incidentale sotto altri profili, tendenti alla riforma della sentenza nella parte
in cui ha respinto il primo motivo del ricorso, con il quale si deduceva l’illegittimità
del decreto impugnato in quanto avente natura di regolamento, emanato in carenza
di copertura legislativa e in spregio alle disposizioni procedimentali di cui all’art. 17
legge 23 agosto 1988, n. 400, e nella parte in cui ha dichiarato inammissibile, per
difetto di interesse, l’impugnazione della deliberazione dell’Autorità n. 40 del 24
febbraio 2006.
Ha svolto intervento ad opponendum l’Azienda agricola Sant’Anna s.s..
8. Con l’appello principale Il GSE ha contestato le statuizioni della sentenza di
primo grado, sostenendo che l’impugnato decreto non ha determinato alcun
effetto retroattivo, essendosi limitato ad interpretare il precedente d.m.; che
l’importo della tariffa incentivante erogata al richiedente era fisso nella misura
vigente al momento di ammissione al beneficio senza alcun aggiornamento; che
l’art. 7 del d. lgs. n. 387 del 2003 stabilisce che le tariffe incentivanti siano di
importo decrescente; che comunque sussiste il potere di modificare un rapporto
continuativo in corso, quale è quello di specie.
Di analogo tenore è l’appello incidentale proposto dai Ministeri dello sviluppo
economico e dell’ambiente.
9. La Sesta Sezione, con ordinanza 2 febbraio 2012, n. 572 ha rimesso la causa
all’Adunanza Plenaria rilevando che:
- l’esame dell’appello incidentale autonomo proposto dagli originari ricorrenti,
proponendo censure le quali, investendo l’intero decreto impugnato, sono
potenzialmente tali da determinare, ove accolte, l’inammissibilità degli appelli
principale e incidentale dei Ministeri per carenza di interesse dovrebbe, secondo le
indicazioni dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 7 aprile 2011, n. 4, essere
condotto con priorità rispetto all’analisi del merito della controversia;
- il Collegio non può tuttavia procedere a tale valutazione, dato che l’esito del
giudizio è nel senso della rimessione della decisione all’Adunanza Plenaria ai sensi
dell’art. 99 del Codice del processo amministrativo, il cui comma 4 determina la
devoluzione dell’intera controversia, anche per quanto riguarda le questioni
preliminari del ricorso;
- ciò in quanto il Collegio ritiene di dissentire da quanto deciso con la precedente
sentenza della Sezione sesta di questo Consiglio di Stato, 14 aprile 2008, n. 1435, in
cui era stata esaminata la medesima questione per cui è causa, con il rigetto
dell’appello proposto dal GSE avverso la sentenza del TAR per la Lombardia, n.
2125 del 2006, coeva a quella impugnata con l’appello in epigrafe.
La Sesta Sezione ha quindi rimesso all’esame dell’Adunanza Plenaria il ricorso per
cui è causa, ai sensi dell’art. 99, comma 1, del Codice del processo amministrativo,
poiché la divergenza con il precedente specifico potrebbe dare luogo a contrasti
giurisprudenziali.
10. Nell’ordinanza di rimessione si richiama anzitutto la sentenza di questo
Consiglio di Stato, n. 1435 del 2008, con la quale si è affermato, in sintesi, che:
- dalla lettura degli articoli 8, commi 1 e 2, dell’impugnato decreto del 6 febbraio
2006 emerge che è lo stesso Ministero a qualificare l’intervento quale modifica e
integrazione del precedente decreto, e non come interpretazione o semplice
precisazione, come invece sostenuto dall’appellante e che, per alcune modifiche
(comma 2), l’applicabilità è limitata alle domande inoltrate successivamente
all’entrata in vigore del decreto, mentre altre modifiche, tra cui quelle qui
contestate, si applicano anche alle domande presentate in base al d.m. del 2005;
- se non si fosse trattato di modifiche sostanziali non vi sarebbe stato perciò
bisogno di disciplinare espressamente l’applicabilità temporale delle norme e
l’effetto retroattivo di tali modifiche;
- il Ministero non ha scelto la strada di adottare norme interpretative, avendo
espressamente qualificato come modifiche ed integrazioni le nuove disposizioni;
né ha optato per un motivato intervento diretto ad incidere su rapporti di durata;
ha, invece, intrapreso una strada meno lineare, modificando con effetto retroattivo
il precedente decreto per poi sminuire in giudizio la portata dell’intervento;
- l’annullamento del solo art. 8.1 è idoneo a soddisfare l’interesse degli appellati a
non vedere, senza adeguata motivazione, modificato il sistema di incentivazione
vigente al momento della presentazione della domanda e della successiva
assegnazione delle tariffe incentivanti.
11. I motivi di dissenso dell’ordinanza di rimessione rispetto a tali valutazioni, sono
quindi così indicati:
- innanzitutto, la autoqualificazione di una norma non vincola l’interprete, e la
rubrica della stessa non costituisce sintomo inequivocabile e imprescindibile della
natura della norma stessa;
- che l’art. 4, comma 1, del d.m. 6 febbraio 2006 possa avere natura di
interpretazione autentica dell’art. 6, comma 6, del precedente decreto non appare
implausibile, alla luce di quanto stabilito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di
Stato con la sentenza 24 maggio 2011, n. 9 la quale, partendo dal presupposto che
il legislatore è certamente abilitato ad adottare norme di interpretazione autentica
con l'effetto proprio della vincolatività retroattiva, ha evidenziato l’evidente
pericolo che, attribuendo ad una norma l’etichetta di interpretazione autentica, le
sia attribuita una vincolatività retroattiva altrimenti non attivabile. Come ricorda
l’Adunanza Plenaria, ad evitare questo pericolo la Corte costituzionale, da ultimo
con la sentenza 11 giugno 2010, n. 209, ha chiarito che il primo, indefettibile
presupposto perché una norma sia qualificabile di interpretazione autentica è che il
significato della norma interpretata con essa scelto “rientri tra le possibili varianti di
senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore”.
Occorre quindi che il significato della norma interpretata enucleato da quella
sottoposta ad esame rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con
ciò vincolando un significato già ascrivibile alla norma anteriore: ciò sul
presupposto, evidentemente, che la disposizione interpretata presenti una obiettiva
incertezza sul significato normativo che ne può scaturire, con la possibilità di più di
un significato, e che tra questi significati rientri ragionevolmente quello ritenuto
autentico;
- tale sembra la portata del combinato disposto degli artt. 4, comma 1, e 8, comma
1, del decreto impugnato, rispetto all’art. 6, comma 6, del d.m. modificato; difatti, il
meccanismo delineato dal decreto del 2006 non appare in contrasto né con la
lettera, né con la ratio di tale prescrizione;
- neppure appare condivisibile la violazione del principio dell’affidamento, che la
sentenza impugnata ravvisa a cagione del fatto che i ricorrenti avevano presentato
le domande di autorizzazione fidando nell’adeguamento Istat delle tariffe, sulla
base del quale avevano elaborato i piani finanziari: la tutela dell’affidamento
presuppone infatti, secondo la Corte costituzionale (sentenze n. 525 del 22
novembre 2000 e n. 416 del 4 novembre 1999) che la legge, pur legittimamente
retroattiva, come è quella interpretativa, incida irragionevolmente su situazioni
regolate da leggi precedenti.
DIRITTO
1. Occorre partire dall’esame della questione, per la cui decisione la causa è stata
rimessa all’Adunanza Plenaria, concernente la natura, innovativa o meramente
interpretativa, da attribuire all’art. 4, comma 1, del decreto ministeriale 6 febbraio
2006.
L’esatta definizione del contenuto e della portata del decreto ministeriale risulta,
infatti, nella prospettazione di parte, preliminare rispetto alla questione – sollevata
dagli originari ricorrenti nell’appello incidentale – della natura regolamentare o
amministrativa del decreto ministeriale in questione.
2. A questo fine l’Adunanza Plenaria ritiene decisivo richiamare l’art. 7 del d.lgs. n.
387 del 2003, in quanto fonte primaria legittimante l’adozione dei decreti
ministeriali e perciò norma sovraordinata che fissa gli scopi che i decreti devono
conseguire con la disciplina di attuazione, e quindi avente valenza di parametro
vincolante per l’interpretazione del loro contenuto.
L’articolo dispone che l’importo della tariffa incentivante è “decrescente” (comma 2,
lett. d), per cui appare logico ritenere che i decreti ministeriali attuativi debbano in
linea di principio essere idonei ad assicurare tale risultato.
Ciò comporta che deve ritenersi più coerente con la norma citata il fatto che la
tariffa resti fissa nel suo valore nominale per il periodo in cui è riconosciuta ed
erogata poiché ciò comporterebbe in termini reali un andamento appunto
decrescente.
Al contrario, la tesi sostenuta dai ricorrenti in primo grado, secondo cui l’art. 6,
comma 6, del decreto ministeriale 28 luglio 2005 avrebbe riconosciuto il diritto
all’aggiornamento annuale delle tariffe incentivanti sulla base del tasso di inflazione
annuo, darebbe luogo ad una tariffa crescente in termini nominali e costante in termini
reali.
E’ sulla base di questo presupposto che va valutato l’art. 6, comma 6, del decreto
ministeriale 28 luglio 2005.
3. Al riguardo va osservato preliminarmente che la norma presenta oggettive
incertezze interpretative generate dall’ambiguità del testo. Difatti, la previsione
dell’aggiornamento dal primo gennaio di ogni anno può essere riferita sia, come
pretendono le parti, alle tariffe fissate negli anni precedenti sia, come proposto
dall’Autorità nel decreto in esame, alla determinazione iniziale della tariffa.
Non può dunque ritenersi incompatibile con il testo della norma una
interpretazione secondo cui l’aggiornamento con il tasso di inflazione sia da
applicare solo in sede di definizione delle tariffe da riconoscere agli impianti
realizzati successivamente al 2006, ma che poi (quindi anche per gli impianti
realizzati a partire dal 2007), una volta che si è riconosciuta la tariffa, questa debba
rimanere nominalmente fissa per 20 anni.
3.1. In quest’ottica, e in questo quadro normativo, può ragionevolmente
concludersi che l’art. 6 del decreto ministeriale 6 febbraio 2006, non faccia altro
che esplicitare e chiarire una delle possibili interpretazioni della norma e perdippiù
l’interpretazione più coerente – come si è detto – con il dettato del decreto
legislativo.
Ne consegue che con tale decreto è stata data l’interpretazione autentica del testo
del detto comma del d.m. del 2005, nel momento in cui è precisato che
l’aggiornamento delle tariffe per gli impianti di cui alla lettera b) “viene effettuato per
ciascuno degli anni successivi al 2006”, essendo altresì convergente con ciò l’ulteriore
previsione, di cui all’art. 8, comma 1, dello stesso d.m., per il quale la suddetta
modifica si applica “alle domande inoltrate successivamente alla data di entrata in vigore del
D.M. 28 luglio 2005”.
Tale soluzione, peraltro, è la più favorevole per gli operatori tra quelle consentite
dall’art. 7 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387: il vincolo del carattere
decrescente della tariffa viene infatti assicurato mantenendola fissa a livello
nominale e lasciandola decrescente solo in termini reali.
4. Da questa conclusione discende altresì che non può configurarsi un legittimo
affidamento da parte dei soggetti che abbiano presentato domande negli anni 2005
e 2006, a fronte di una interpretazione del testo del d.m. del 2005 obiettivamente
già in atto individuabile, prioritaria in ragione della sua diretta rispondenza alla
norma di legge, di conseguenza, di certo riconoscibile da parte di operatori esperti
del settore.
5. Così chiarita la portata del d.m. 6 febbraio 2006, occorre ora esaminare i motivi
dell’appello incidentale con i quali gli originari ricorrenti, sul presupposto della
natura regolamentare del decreto in esame, lamentano:
- la violazione e falsa applicazione dei principi desumbili dagli artt. 3, 25 e 97 Cost.
in quanto si tratterebbe di un regolamento adottato senza autorizzazione
legislativa;
- la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 delle preleggi, in quanto si
tratterebbe di un regolamento illegittimamente retroattivo;
- la violazione e falsa applicazione dei principi desumibili dall’art. 17 legge 23
agosto 1988, n. 400, in quanto si tratterebbe, secondo la tesi degli appellanti, di un
regolamento adottato senza rispettare le regole procedimentali contenute nel citato
art. 17 e, segnatamente, senza che abbia formato oggetto né di parere del Consiglio
di Stato, né di visto della Corte dei conti.
In ordine alle prime due censure, le considerazioni già svolte in ordine alla natura
interpretativa dell’art. 4, comma 1, del decreto ministeriale 6 febbraio 2006 (che si
è limitato ad una mera precisazione di un significato precettivo già enucleabile del
decreto ministeriale 28 luglio 2005) consentono di escludere la violazione sia del
principio di riserva di legge sia del principio di irretroattività.
5.1. La base legislativa è, infatti, offerta dall’art. 7, comma 2, lett. d) del decreto
legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, che attribuisce al Ministero delle attività
produttive il potere di adottare uno o più decreto per disciplinare i criteri per
l’incentivazione della produzione di energia da fonte solare.
Tale disposizione è fonte di un potere certamente destinato a non esaurirsi con
l’emanazione del primo decreto attuativo. Da un lato, infatti, la stessa disposizione
legislativa prevede espressamente la possibilità di una pluralità di decreti
ministeriali (adotta uno o più decreti”); dall’altro lato, la possibilità che il potere
attribuito venga esercitato con più atti discende dal principio di inesauribilità del
potere amministrativo, a sua volta corollario della necessità che la tutela
dell’interesse pubblico sia continuamente assicurata.
L’emanazione del decreto ministeriale 6 febbraio 2006 aveva, quindi, una chiara
base legislativa, a maggior ragione se si considera che, nel caso di specie, si tratta di
mere precisazioni di regole già vigenti.
5.2. Ugualmente, appurata la natura meramente interpretativa e non innovativa del
decreto ministeriale impugnato, deve escludersi la violazione del principio di
retroattività.
5.3. Meritano, invece, maggiore attenzione le censure tese a dimostrare la
violazione delle regole procedimentali che l’art. 17 legge n. 400 del 1988 prevede
per l’adozione dei regolamenti ministeriali.
Tale censura è stata disattesa dal Tribunale amministrativo regionale con la
seguente motivazione: “a parte il fatto che il menzionato art. 7 del d.lgs. n. 387/2003
parla soltanto di “decreti” senza alcun riferimento all’eventuale carattere regolamentare degli
stessi, la lettura del D.m. gravato induce al Collegio a qualificarlo piuttosto come atto generale,
rivolto agli operatori del settore fotovoltaico, piuttosto che atto normativo indirizzato a tutti i
consociati”.
Il citato passaggio motivazionale solleva alcune perplessità.
5.3.1. Da un lato, infatti, laddove enfatizza la circostanza che l’art. 7 d.lgs. n. 387
del 2003 parli soltanto di decreti, senza specificarne il carattere regolamentare,
sembra ammettere che possano esistere decreti ministeriali a contenuto normativo
ma non avente carattere regolamentare (perché non espressamente qualificati
come tali dal legislatore o, semmai, espressamente qualificati in senso non
regolamentare), come tali sottratti al procedimento disciplinato dall’art. 17 legge n.
400 del 1988. Sembra ammettere, in altri termini che, tranne i casi in cui la legge
richieda espressamente il regolamento, il Ministero, destinatario di un potere
normativo, possa di volta in volta decidere se esercitarlo con lo strumento
regolamentare (come tale soggetto al procedimento di cui all’art. 17 legge n. 400
del 1988) o con altri atti di natura non regolamentare.
5.3.2. Dall’altro lato, laddove desume la natura non regolamentare dalla circostanza
che il decreto in questione si applichi solo agli operatori del settore fotovoltaico e
non a tutti i consociati, sembrerebbe ritenere che sia atto normativo soltanto
quello che si rivolga indistintamente ad ogni consociato, con ciò negando la natura
normativa di ogni previsione settoriale.
5.4. Entrambe tali affermazioni, intese nella loro assolutezza, non possono essere
condivise e meritano alcune precisazioni.
5.4.1. In primo luogo, deve rilevarsi che, nonostante la crescente diffusione di quel
fenomeno efficacemente descritto in termini di “fuga dal regolamento” (che si
manifesta, talvolta anche in base ad esplicite indicazioni legislative, tramite
l’adozione di atti normativi secondari che si autoqualificano in termini non
regolamentari) deve, in linea di principio, escludersi che il potere normativo dei
Ministri e, più in generale, del Governo possa esercitarsi medianti atti “atipici”, di
natura non regolamentare, specie laddove la norma che attribuisce il potere
normativo nulla disponga (come in questo caso) in ordine alla possibilità di
utilizzare moduli alternativi e diversi rispetto a quello regolamentare tipizzato
dall’art. 17 legge n. 400 del 1988.
5.4.2. In secondo luogo, non può certamente essere condivisa la conclusione
secondo cui un atto può essere qualificato come normativo soltanto se si indirizza,
indistintamente, a tutti i consociati.
L’ordinamento conosce innumerevoli casi di disposizioni “settoriali” della cui
natura normativa nessuna dubita. Ciò in quanto la “generalità” e l’“astrattezza”
che, come comunemente si riconosce, contraddistinguono la “norma”, non
possono e non devono essere intesi nel senso di applicabilità indifferenziata a
ciascun soggetto dell’ordinamento, ma, più correttamente, come idoneità alla
ripetizione nell’applicazione (generalità) e come capacità di regolare una serie
indefinita di casi (astrattezza).
Il carattere normativo di un atto non può pertanto essere disconosciuto solo
perché esso si applica esclusivamente agli operatori di un settore (nelle specie ai
titolari di impianti per la produzione di energia da fonte solare) dovendosi, al
contrario, verificare, se, in quel settore, l’atto è comunque dotato dei sopradescritti
requisiti della generalità e dell’astrattezza.
In
relazione
a
tale
profilo,
non
può
non
richiamarsi
l’elaborazione
giurisprudenziale che ormai da tempo, utilizza, proprio, al fine di distinguere tra
atto normativo e atto amministrativo generale, il requisito della indeterminabilità
dei destinatari, rilevando che è atto normativo quello i cui destinatari sono
indeterminabili sia a priori che a posteriori (essendo proprio questa la conseguenza
della generalità e dell’astrattezza), mentre l’atto amministrativo generale ha
destinatari indeterminabili a priori, ma certamente determinabili a posteriori in quanto
è destinato a regolare non una serie indeterminati di casi, ma, conformemente alla
sua natura amministrativa, un caso particolare, una vicenda determinata, esaurita la
quale vengono meno anche i suoi effetti.
5.5. Proprio alla luce di tali coordinate ermeneutiche deve, nel caso di specie,
riconoscersi la natura normativa del decreto ministeriale in questione.
6. Occorre tuttavia rilevare che nel caso di specie anche l’originario decreto 28
luglio 2005 (oggetto di precisazione da parte del successivo decreto 6 febbraio
2006) è stato emanato senza seguire la procedura prescritta per i regolamenti
ministeriali dall’art. 17 legge n. 400 del 1988.
Sotto questo profilo, quindi, il Ministero per le attività produttive, nel procedere
alla suddetta interpretazione, ha, in base al principio dell’identità formale del
contrarius actus, seguito lo stesso procedimento che già era stato adottato per l’atto
su cui si andava ad incidere.
Ebbene, in queste condizioni anzitutto – e sotto un profilo sostanziale - il
denunciato profilo di illegittimità andrebbe a colpire, prima ancora che il decreto 6
febbraio 2006, il decreto oggetto 28 luglio 2005, ovvero la fonte stessa del diritto
alla tariffa incentivante di cui si lamenta il mancato aggiornamento. Trattandosi
allora di regolamento illegittimo (sotto il profilo procedurale) anch’esso andrebbe
disapplicato (sebbene non oggetto di specifica impugnazione). Si andrebbe, però,
in tal modo a realizzare un risultato ultroneo e contrastante con lo stesso interesse
azionato in giudizio dagli originari ricorrenti, perché verrebbe meno lo stesso
fondamento del diritto di cui essi lamentano, sotto il profilo quantitativo, il
mancato aggiornamento al tasso di inflazione.
Focalizzando poi l’attenzione sul profilo formale, la legittimità procedurale del
d.m. 6 febbraio 2006 non può essere contestata, atteso che esso è stato adottato
seguendo il medesimo procedimento già seguito in occasione dell’emanazione del
primo.
Non può mettersi in discussione, dunque, la sua idoneità ad incidere sull’atto “a
monte” di identica natura e la cui efficacia non è – né lo poteva – essere contestata.
7. L’infondatezza delle censura mosse contro il d.m. 6 febbraio 2006 implica
evidentemente anche il rigetto dei motivi (dichiarati inammissibili in primo grado
sul presupposto della non immediata lesività) proposti avverso la delibera n.
40/2006 dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas. Si tratta, infatti, di un atto
meramente attuativo del d.m. 6 febbraio 2006, di cui gli originari ricorrenti hanno
fatto valere solo motivi di illegittimità derivata dalla asserita illegittimità del d.m. 6
febbraio 2006.
8. Alla luce delle considerazioni che precedono, deve accogliersi l’appello
principale proposto da GSE e gli appelli incidentali proposti dai Ministeri dello
sviluppo economico e dai Ministeri dell’ambiente e della tutela del territorio. Deve,
invece, respingersi l’appello incidentale proposto dagli originari ricorrenti. Per
l’effetto, deve essere riformata la sentenza appellata, con conseguente rigetto del
ricorso proposto in primo grado.
Data la complessità delle questioni esaminate, sussistono i presupposti per
compensare integralmente le spese del doppio grado di giudizio fra tutte le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria) definitivamente
pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie l’appello principale
proposto da GSE e gli appelli incidentali proposti dai Ministeri dello sviluppo
economico e dai Ministeri dell’Ambiente e della tutela del territorio.
Respinge l’appello incidentale proposto da Officina dell'Ambiente s.r.l., Montana
s.r.l. e dai signori Paola Scuntaro, Mansoldo Andrea, Racani Maurizio, Toffoletti
Danila, Toffoletti Danilo, Paina Giancarlo, Rosset Claudio, Della Rossa Livio,
Mastella Cristiano, Ghidelli Giulio Natale, Sergio Totis, Mauro Fasano.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2012 con
l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Coraggio, Presidente
Giorgio Giovannini, Presidente
Gaetano Trotta, Presidente
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Stefano Baccarini, Presidente
Alessandro Botto, Consigliere
Marzio Branca, Consigliere
Aldo Scola, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Anna Leoni, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere, Estensore
Raffaele Greco, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere
IL PRESIDENTE
L'ESTENSORE
IL SEGRETARIO
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/05/2012
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Il Dirigente della Sezione