Il quotidiano giuridico
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N. 00009/20012REG.PR ROV.COLL.. N. 000003/2012 REG.RIC.A.P.. R E P U B B L I C A I T A L I A N A IN N NOME DE EL POPOL LO ITALIAN NO Il Coonsiglio di Stato in sedee giurisdiziionale (Ad dunanza Pllenaria) ha p pronunciato la presente SE ENTENZ ZA sul ricorrso numeero di reegistro ggenerale 3 di A.P P. del 20012, prop posto da:: Gestore dei Serviizi Elettriici-Gse SSpa, in peersona deel legale rrappresen ntante proo tempore, rrappresenttato e diffeso dagli avvocati Francesco Anaclerrio, Stefan no Crisci,, Marco B Bonacina e Carlo Malinconnico, con n domicillio eletto presso lo l studio o dell’avv. Stefano Crisci C in Roma, R via Parigi n.11; contro Officina dell'Amb biente s.rr.l., in peersona deel legale rappresenntante prro tempore,, Montanaa s.r.l., in persona del legalle rappressentante pro p temporre, Paola Scuntaro,, o Andreaa, Racani Maurizioo, Toffoleetti Danilla, Toffolletti Daniilo, Painaa Mansoldo Giancarlo o, Rossett Claudio, Della Roossa Livio o, Mastella Cristianno, Ghideelli Giulio o Natale, SSergio To otis, Mau uro Fasanno, tutti rappresen r ntati e diffesi dagli avvocatii Riccardo o Tagliaferrri, Marco o Noferi, Iacopo Tozzi T e Marco M Anntonio Vaallini, con n domicilio o eletto presso p lo studio deell’avvocaato Enrico o Gambaa in Romaa, via dell Casale Sttrozzi, 31;; neii confront nti di Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, Autorità per l’energia elettrica e il gas, Ministero delle attività produttive, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; e con l'intervento di ad opponendum: Azienda Agricola Sant'Anna S.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Marco Noferi, Iacopo Tozzi, Alessandro Tarducci e Stefano Scudellaro, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Enrico Gamba in Roma, via del Casale Strozzi, 31; per la riforma della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE IV n. 02126/2006, resa tra le parti, concernente della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE IV n. 02126/2006, resa tra le parti, concernente CRITERI PER INCENTIVAZIONE PRODUZ. ENERGIA ELETTRICA CON PRODUZ. ENERGIA SOLARE Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 marzo 2012 il Cons. Roberto Giovagnoli e uditi per le parti gli avvocati Crisci, Malinconico, Tarducci e l’avvocato dello Stato Ventrella; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Il decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (“Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”) dispone che “Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, d'intesa con la Conferenza unificata, adotta uno o più decreti con i quali sono definiti i criteri per l'incentivazione della produzione di energia elettrica dalla fonte solare” (art. 7, comma 1). 2. In attuazione è stato adottato il decreto del Ministro delle attività produttive del 28 luglio 2005 (di concerto con il Ministro dell’ambiente), recante “Criteri per l'incentivazione della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte”, in cui è prevista l’erogazione di una tariffa incentivante ai soggetti responsabili della realizzazione e dell’esercizio di impianti fotovoltaici che è corrisposta per un periodo di venti anni decorrenti dalla entrata in esercizio dell’impianto (art. 7, comma 7) in misura diversa per gli impianti di potenza nominale inferiore o superiore a 20 KW (articoli 5, comma 2, e 6, commi 2 e 3); ‘soggetto attuatore’ che eroga le tariffe incentivanti è il Gestore dei Servizi Energetici s.p.a. (in seguito GSE; già GRTN). Nel testo originario del decreto è disposto che l’aggiornamento delle tariffe incentivanti “di cui all’art. 5, comma 2, e all’art. 6, commi 2 e 3, viene effettuato a decorrere dal primo gennaio di ogni anno sulla base del tasso di variazione annuo, riferito ai dodici mesi precedenti, dei prezzi al consumo delle famiglie di operai e impiegati rilevati dall’ISTAT” (art. 6, comma 6). L’art. 6, comma 6, ora citato, è stato sostituito con l’art. 4, comma 1, del successivo decreto ministeriale del 6 febbraio 2006, per il quale “L'aggiornamento delle tariffe incentivanti di cui all’art. 5, comma 2, lettera b), all’art. 6, comma 2, lettera b), e all’art. 6, comma 3, lett. b), viene effettuato per ciascuno degli anni successivi al 2006 sulla base del tasso di variazione annuo, riferito ai dodici mesi precedenti, dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati rilevati dall'Istat”. Il medesimo decreto ministeriale del 6 febbraio 2006 ha stabilito, con l’art. 8, comma 1, che le modifiche o integrazioni apportate con l’art. 4 e altri articoli al decreto ministeriale del 2005 “si applicano alle domande inoltrate successivamente alla data di entrata in vigore del D.M. del 28 luglio 2005”. 3. L’Autorità per l’energia elettrica e il gas (in seguito Autorità) ha ritenuto opportuno apportare alla propria precedente deliberazione n. 188 del 2005, recante le modalità per l’erogazione delle tariffe incentivanti degli impianti fotovoltaici, “le medesime modifiche ed integrazioni di cui al decreto ministeriale 6 febbraio 2006”, provvedendovi con la deliberazione n. 40 del 20 febbraio 2006. 4. La s.r.l. Montana, la s.r.l. Officina dell’Ambiente, i signori Giancarlo Paina, Danilo Toffoletti, Maurizio Racani, Andrea Mansoldo, Paola Scuntaro, Giulio Natale Ghidelli, Mauro Fasano, Cristiano Mastella, Livio Della Rossa, Sergio Totis e Claudio Rosset, che avevano presentato istanze per la realizzazione di impianti fotovoltaici, e per la conseguente ammissione al regime dell’incentivazione, ai sensi del d.m del 28 luglio 2005 prima delle modifiche ad esso apportate dal d.m. del 6 febbraio 2006, con il ricorso n. 1128 del 2006 proposto al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, hanno chiesto l’annullamento del detto decreto del 6 febbraio 2006 e della deliberazione dell’Autorità n. 40 del 2006. I ricorrenti hanno lamentato la retroattività delle nuove disposizioni, poiché: nella nuova versione dell’art. 6, comma 6, del d.m. del 28 luglio 2005, l’adeguamento ISTAT risulta riconosciuto soltanto alle tariffe di cui alla lettera b) del comma 2 dell’art. 5 e dei commi 2 e 3 dell’art. 6, e non anche per quelle di cui alla lettera a) dei medesimi commi, cioè le tariffe per gli impianti, come quelli degli esponenti, la cui domanda è stata presentata nel 2005 o nel 2006; l’art. 8, comma 1, del d.m. del 6 febbraio 2006 prevede che la suddetta modifica, disposta con l’art. 4, comma 1, del medesimo d.m., si applica alle domande presentate dopo l’entrata in vigore del d.m. 28 luglio 2005, quindi anche a quelle dei ricorrenti, presentate certamente prima dell’adozione del d.m. impugnato ma dopo la vigenza del d.m. del luglio 2005. 5. Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sede di Milano, con la sentenza n. 2126 del 2006, ha accolto il ricorso limitatamente all’impugnazione dell’art. 8, comma 1, del d.m 6 febbraio 2006, ha respinto la domanda di annullamento del precedente art. 4, comma 1, e ha dichiarato inammissibile l’impugnazione della deliberazione dell’Autorità, alla quale ha riconosciuto carattere meramente attuativo delle determinazioni ministeriali. 6. In particolare, il giudice di primo grado ha ritenuto l’illegittimità dell’effetto retroattivo attribuito alla modificazione del sistema di adeguamento delle tariffe che, originariamente garantito anno per anno, per effetto del combinato disposto degli artt. 4, comma 1, e 8, comma 1, del d.m. 6 febbraio 2006 è stato di fatto abolito per gli impianti per i quali le domande di autorizzazione sono state presentate negli anni 2005 e 2006. L’art. 8, comma 1, del decreto impugnato risulterebbe così lesivo del generale principio di irretroattività, di cui all’art. 11 delle preleggi, del principio della certezza del diritto e della tutela dell’affidamento, che hanno attinenza anche a parametri comunitari data la derivazione della disciplina sulla promozione delle fonti rinnovabili. 7. Avverso tale sentenza ha proposto appello principale il GSE e, nelle forme dell’appello incidentale, ne hanno chiesto la riforma anche i Ministeri dello sviluppo economico e dell’ambiente per identici motivi. La s.r.l. Montana e gli altri ricorrenti in primo grado, invece, hanno proposto appello incidentale sotto altri profili, tendenti alla riforma della sentenza nella parte in cui ha respinto il primo motivo del ricorso, con il quale si deduceva l’illegittimità del decreto impugnato in quanto avente natura di regolamento, emanato in carenza di copertura legislativa e in spregio alle disposizioni procedimentali di cui all’art. 17 legge 23 agosto 1988, n. 400, e nella parte in cui ha dichiarato inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione della deliberazione dell’Autorità n. 40 del 24 febbraio 2006. Ha svolto intervento ad opponendum l’Azienda agricola Sant’Anna s.s.. 8. Con l’appello principale Il GSE ha contestato le statuizioni della sentenza di primo grado, sostenendo che l’impugnato decreto non ha determinato alcun effetto retroattivo, essendosi limitato ad interpretare il precedente d.m.; che l’importo della tariffa incentivante erogata al richiedente era fisso nella misura vigente al momento di ammissione al beneficio senza alcun aggiornamento; che l’art. 7 del d. lgs. n. 387 del 2003 stabilisce che le tariffe incentivanti siano di importo decrescente; che comunque sussiste il potere di modificare un rapporto continuativo in corso, quale è quello di specie. Di analogo tenore è l’appello incidentale proposto dai Ministeri dello sviluppo economico e dell’ambiente. 9. La Sesta Sezione, con ordinanza 2 febbraio 2012, n. 572 ha rimesso la causa all’Adunanza Plenaria rilevando che: - l’esame dell’appello incidentale autonomo proposto dagli originari ricorrenti, proponendo censure le quali, investendo l’intero decreto impugnato, sono potenzialmente tali da determinare, ove accolte, l’inammissibilità degli appelli principale e incidentale dei Ministeri per carenza di interesse dovrebbe, secondo le indicazioni dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 7 aprile 2011, n. 4, essere condotto con priorità rispetto all’analisi del merito della controversia; - il Collegio non può tuttavia procedere a tale valutazione, dato che l’esito del giudizio è nel senso della rimessione della decisione all’Adunanza Plenaria ai sensi dell’art. 99 del Codice del processo amministrativo, il cui comma 4 determina la devoluzione dell’intera controversia, anche per quanto riguarda le questioni preliminari del ricorso; - ciò in quanto il Collegio ritiene di dissentire da quanto deciso con la precedente sentenza della Sezione sesta di questo Consiglio di Stato, 14 aprile 2008, n. 1435, in cui era stata esaminata la medesima questione per cui è causa, con il rigetto dell’appello proposto dal GSE avverso la sentenza del TAR per la Lombardia, n. 2125 del 2006, coeva a quella impugnata con l’appello in epigrafe. La Sesta Sezione ha quindi rimesso all’esame dell’Adunanza Plenaria il ricorso per cui è causa, ai sensi dell’art. 99, comma 1, del Codice del processo amministrativo, poiché la divergenza con il precedente specifico potrebbe dare luogo a contrasti giurisprudenziali. 10. Nell’ordinanza di rimessione si richiama anzitutto la sentenza di questo Consiglio di Stato, n. 1435 del 2008, con la quale si è affermato, in sintesi, che: - dalla lettura degli articoli 8, commi 1 e 2, dell’impugnato decreto del 6 febbraio 2006 emerge che è lo stesso Ministero a qualificare l’intervento quale modifica e integrazione del precedente decreto, e non come interpretazione o semplice precisazione, come invece sostenuto dall’appellante e che, per alcune modifiche (comma 2), l’applicabilità è limitata alle domande inoltrate successivamente all’entrata in vigore del decreto, mentre altre modifiche, tra cui quelle qui contestate, si applicano anche alle domande presentate in base al d.m. del 2005; - se non si fosse trattato di modifiche sostanziali non vi sarebbe stato perciò bisogno di disciplinare espressamente l’applicabilità temporale delle norme e l’effetto retroattivo di tali modifiche; - il Ministero non ha scelto la strada di adottare norme interpretative, avendo espressamente qualificato come modifiche ed integrazioni le nuove disposizioni; né ha optato per un motivato intervento diretto ad incidere su rapporti di durata; ha, invece, intrapreso una strada meno lineare, modificando con effetto retroattivo il precedente decreto per poi sminuire in giudizio la portata dell’intervento; - l’annullamento del solo art. 8.1 è idoneo a soddisfare l’interesse degli appellati a non vedere, senza adeguata motivazione, modificato il sistema di incentivazione vigente al momento della presentazione della domanda e della successiva assegnazione delle tariffe incentivanti. 11. I motivi di dissenso dell’ordinanza di rimessione rispetto a tali valutazioni, sono quindi così indicati: - innanzitutto, la autoqualificazione di una norma non vincola l’interprete, e la rubrica della stessa non costituisce sintomo inequivocabile e imprescindibile della natura della norma stessa; - che l’art. 4, comma 1, del d.m. 6 febbraio 2006 possa avere natura di interpretazione autentica dell’art. 6, comma 6, del precedente decreto non appare implausibile, alla luce di quanto stabilito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 24 maggio 2011, n. 9 la quale, partendo dal presupposto che il legislatore è certamente abilitato ad adottare norme di interpretazione autentica con l'effetto proprio della vincolatività retroattiva, ha evidenziato l’evidente pericolo che, attribuendo ad una norma l’etichetta di interpretazione autentica, le sia attribuita una vincolatività retroattiva altrimenti non attivabile. Come ricorda l’Adunanza Plenaria, ad evitare questo pericolo la Corte costituzionale, da ultimo con la sentenza 11 giugno 2010, n. 209, ha chiarito che il primo, indefettibile presupposto perché una norma sia qualificabile di interpretazione autentica è che il significato della norma interpretata con essa scelto “rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore”. Occorre quindi che il significato della norma interpretata enucleato da quella sottoposta ad esame rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato già ascrivibile alla norma anteriore: ciò sul presupposto, evidentemente, che la disposizione interpretata presenti una obiettiva incertezza sul significato normativo che ne può scaturire, con la possibilità di più di un significato, e che tra questi significati rientri ragionevolmente quello ritenuto autentico; - tale sembra la portata del combinato disposto degli artt. 4, comma 1, e 8, comma 1, del decreto impugnato, rispetto all’art. 6, comma 6, del d.m. modificato; difatti, il meccanismo delineato dal decreto del 2006 non appare in contrasto né con la lettera, né con la ratio di tale prescrizione; - neppure appare condivisibile la violazione del principio dell’affidamento, che la sentenza impugnata ravvisa a cagione del fatto che i ricorrenti avevano presentato le domande di autorizzazione fidando nell’adeguamento Istat delle tariffe, sulla base del quale avevano elaborato i piani finanziari: la tutela dell’affidamento presuppone infatti, secondo la Corte costituzionale (sentenze n. 525 del 22 novembre 2000 e n. 416 del 4 novembre 1999) che la legge, pur legittimamente retroattiva, come è quella interpretativa, incida irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti. DIRITTO 1. Occorre partire dall’esame della questione, per la cui decisione la causa è stata rimessa all’Adunanza Plenaria, concernente la natura, innovativa o meramente interpretativa, da attribuire all’art. 4, comma 1, del decreto ministeriale 6 febbraio 2006. L’esatta definizione del contenuto e della portata del decreto ministeriale risulta, infatti, nella prospettazione di parte, preliminare rispetto alla questione – sollevata dagli originari ricorrenti nell’appello incidentale – della natura regolamentare o amministrativa del decreto ministeriale in questione. 2. A questo fine l’Adunanza Plenaria ritiene decisivo richiamare l’art. 7 del d.lgs. n. 387 del 2003, in quanto fonte primaria legittimante l’adozione dei decreti ministeriali e perciò norma sovraordinata che fissa gli scopi che i decreti devono conseguire con la disciplina di attuazione, e quindi avente valenza di parametro vincolante per l’interpretazione del loro contenuto. L’articolo dispone che l’importo della tariffa incentivante è “decrescente” (comma 2, lett. d), per cui appare logico ritenere che i decreti ministeriali attuativi debbano in linea di principio essere idonei ad assicurare tale risultato. Ciò comporta che deve ritenersi più coerente con la norma citata il fatto che la tariffa resti fissa nel suo valore nominale per il periodo in cui è riconosciuta ed erogata poiché ciò comporterebbe in termini reali un andamento appunto decrescente. Al contrario, la tesi sostenuta dai ricorrenti in primo grado, secondo cui l’art. 6, comma 6, del decreto ministeriale 28 luglio 2005 avrebbe riconosciuto il diritto all’aggiornamento annuale delle tariffe incentivanti sulla base del tasso di inflazione annuo, darebbe luogo ad una tariffa crescente in termini nominali e costante in termini reali. E’ sulla base di questo presupposto che va valutato l’art. 6, comma 6, del decreto ministeriale 28 luglio 2005. 3. Al riguardo va osservato preliminarmente che la norma presenta oggettive incertezze interpretative generate dall’ambiguità del testo. Difatti, la previsione dell’aggiornamento dal primo gennaio di ogni anno può essere riferita sia, come pretendono le parti, alle tariffe fissate negli anni precedenti sia, come proposto dall’Autorità nel decreto in esame, alla determinazione iniziale della tariffa. Non può dunque ritenersi incompatibile con il testo della norma una interpretazione secondo cui l’aggiornamento con il tasso di inflazione sia da applicare solo in sede di definizione delle tariffe da riconoscere agli impianti realizzati successivamente al 2006, ma che poi (quindi anche per gli impianti realizzati a partire dal 2007), una volta che si è riconosciuta la tariffa, questa debba rimanere nominalmente fissa per 20 anni. 3.1. In quest’ottica, e in questo quadro normativo, può ragionevolmente concludersi che l’art. 6 del decreto ministeriale 6 febbraio 2006, non faccia altro che esplicitare e chiarire una delle possibili interpretazioni della norma e perdippiù l’interpretazione più coerente – come si è detto – con il dettato del decreto legislativo. Ne consegue che con tale decreto è stata data l’interpretazione autentica del testo del detto comma del d.m. del 2005, nel momento in cui è precisato che l’aggiornamento delle tariffe per gli impianti di cui alla lettera b) “viene effettuato per ciascuno degli anni successivi al 2006”, essendo altresì convergente con ciò l’ulteriore previsione, di cui all’art. 8, comma 1, dello stesso d.m., per il quale la suddetta modifica si applica “alle domande inoltrate successivamente alla data di entrata in vigore del D.M. 28 luglio 2005”. Tale soluzione, peraltro, è la più favorevole per gli operatori tra quelle consentite dall’art. 7 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387: il vincolo del carattere decrescente della tariffa viene infatti assicurato mantenendola fissa a livello nominale e lasciandola decrescente solo in termini reali. 4. Da questa conclusione discende altresì che non può configurarsi un legittimo affidamento da parte dei soggetti che abbiano presentato domande negli anni 2005 e 2006, a fronte di una interpretazione del testo del d.m. del 2005 obiettivamente già in atto individuabile, prioritaria in ragione della sua diretta rispondenza alla norma di legge, di conseguenza, di certo riconoscibile da parte di operatori esperti del settore. 5. Così chiarita la portata del d.m. 6 febbraio 2006, occorre ora esaminare i motivi dell’appello incidentale con i quali gli originari ricorrenti, sul presupposto della natura regolamentare del decreto in esame, lamentano: - la violazione e falsa applicazione dei principi desumbili dagli artt. 3, 25 e 97 Cost. in quanto si tratterebbe di un regolamento adottato senza autorizzazione legislativa; - la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 delle preleggi, in quanto si tratterebbe di un regolamento illegittimamente retroattivo; - la violazione e falsa applicazione dei principi desumibili dall’art. 17 legge 23 agosto 1988, n. 400, in quanto si tratterebbe, secondo la tesi degli appellanti, di un regolamento adottato senza rispettare le regole procedimentali contenute nel citato art. 17 e, segnatamente, senza che abbia formato oggetto né di parere del Consiglio di Stato, né di visto della Corte dei conti. In ordine alle prime due censure, le considerazioni già svolte in ordine alla natura interpretativa dell’art. 4, comma 1, del decreto ministeriale 6 febbraio 2006 (che si è limitato ad una mera precisazione di un significato precettivo già enucleabile del decreto ministeriale 28 luglio 2005) consentono di escludere la violazione sia del principio di riserva di legge sia del principio di irretroattività. 5.1. La base legislativa è, infatti, offerta dall’art. 7, comma 2, lett. d) del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, che attribuisce al Ministero delle attività produttive il potere di adottare uno o più decreto per disciplinare i criteri per l’incentivazione della produzione di energia da fonte solare. Tale disposizione è fonte di un potere certamente destinato a non esaurirsi con l’emanazione del primo decreto attuativo. Da un lato, infatti, la stessa disposizione legislativa prevede espressamente la possibilità di una pluralità di decreti ministeriali (adotta uno o più decreti”); dall’altro lato, la possibilità che il potere attribuito venga esercitato con più atti discende dal principio di inesauribilità del potere amministrativo, a sua volta corollario della necessità che la tutela dell’interesse pubblico sia continuamente assicurata. L’emanazione del decreto ministeriale 6 febbraio 2006 aveva, quindi, una chiara base legislativa, a maggior ragione se si considera che, nel caso di specie, si tratta di mere precisazioni di regole già vigenti. 5.2. Ugualmente, appurata la natura meramente interpretativa e non innovativa del decreto ministeriale impugnato, deve escludersi la violazione del principio di retroattività. 5.3. Meritano, invece, maggiore attenzione le censure tese a dimostrare la violazione delle regole procedimentali che l’art. 17 legge n. 400 del 1988 prevede per l’adozione dei regolamenti ministeriali. Tale censura è stata disattesa dal Tribunale amministrativo regionale con la seguente motivazione: “a parte il fatto che il menzionato art. 7 del d.lgs. n. 387/2003 parla soltanto di “decreti” senza alcun riferimento all’eventuale carattere regolamentare degli stessi, la lettura del D.m. gravato induce al Collegio a qualificarlo piuttosto come atto generale, rivolto agli operatori del settore fotovoltaico, piuttosto che atto normativo indirizzato a tutti i consociati”. Il citato passaggio motivazionale solleva alcune perplessità. 5.3.1. Da un lato, infatti, laddove enfatizza la circostanza che l’art. 7 d.lgs. n. 387 del 2003 parli soltanto di decreti, senza specificarne il carattere regolamentare, sembra ammettere che possano esistere decreti ministeriali a contenuto normativo ma non avente carattere regolamentare (perché non espressamente qualificati come tali dal legislatore o, semmai, espressamente qualificati in senso non regolamentare), come tali sottratti al procedimento disciplinato dall’art. 17 legge n. 400 del 1988. Sembra ammettere, in altri termini che, tranne i casi in cui la legge richieda espressamente il regolamento, il Ministero, destinatario di un potere normativo, possa di volta in volta decidere se esercitarlo con lo strumento regolamentare (come tale soggetto al procedimento di cui all’art. 17 legge n. 400 del 1988) o con altri atti di natura non regolamentare. 5.3.2. Dall’altro lato, laddove desume la natura non regolamentare dalla circostanza che il decreto in questione si applichi solo agli operatori del settore fotovoltaico e non a tutti i consociati, sembrerebbe ritenere che sia atto normativo soltanto quello che si rivolga indistintamente ad ogni consociato, con ciò negando la natura normativa di ogni previsione settoriale. 5.4. Entrambe tali affermazioni, intese nella loro assolutezza, non possono essere condivise e meritano alcune precisazioni. 5.4.1. In primo luogo, deve rilevarsi che, nonostante la crescente diffusione di quel fenomeno efficacemente descritto in termini di “fuga dal regolamento” (che si manifesta, talvolta anche in base ad esplicite indicazioni legislative, tramite l’adozione di atti normativi secondari che si autoqualificano in termini non regolamentari) deve, in linea di principio, escludersi che il potere normativo dei Ministri e, più in generale, del Governo possa esercitarsi medianti atti “atipici”, di natura non regolamentare, specie laddove la norma che attribuisce il potere normativo nulla disponga (come in questo caso) in ordine alla possibilità di utilizzare moduli alternativi e diversi rispetto a quello regolamentare tipizzato dall’art. 17 legge n. 400 del 1988. 5.4.2. In secondo luogo, non può certamente essere condivisa la conclusione secondo cui un atto può essere qualificato come normativo soltanto se si indirizza, indistintamente, a tutti i consociati. L’ordinamento conosce innumerevoli casi di disposizioni “settoriali” della cui natura normativa nessuna dubita. Ciò in quanto la “generalità” e l’“astrattezza” che, come comunemente si riconosce, contraddistinguono la “norma”, non possono e non devono essere intesi nel senso di applicabilità indifferenziata a ciascun soggetto dell’ordinamento, ma, più correttamente, come idoneità alla ripetizione nell’applicazione (generalità) e come capacità di regolare una serie indefinita di casi (astrattezza). Il carattere normativo di un atto non può pertanto essere disconosciuto solo perché esso si applica esclusivamente agli operatori di un settore (nelle specie ai titolari di impianti per la produzione di energia da fonte solare) dovendosi, al contrario, verificare, se, in quel settore, l’atto è comunque dotato dei sopradescritti requisiti della generalità e dell’astrattezza. In relazione a tale profilo, non può non richiamarsi l’elaborazione giurisprudenziale che ormai da tempo, utilizza, proprio, al fine di distinguere tra atto normativo e atto amministrativo generale, il requisito della indeterminabilità dei destinatari, rilevando che è atto normativo quello i cui destinatari sono indeterminabili sia a priori che a posteriori (essendo proprio questa la conseguenza della generalità e dell’astrattezza), mentre l’atto amministrativo generale ha destinatari indeterminabili a priori, ma certamente determinabili a posteriori in quanto è destinato a regolare non una serie indeterminati di casi, ma, conformemente alla sua natura amministrativa, un caso particolare, una vicenda determinata, esaurita la quale vengono meno anche i suoi effetti. 5.5. Proprio alla luce di tali coordinate ermeneutiche deve, nel caso di specie, riconoscersi la natura normativa del decreto ministeriale in questione. 6. Occorre tuttavia rilevare che nel caso di specie anche l’originario decreto 28 luglio 2005 (oggetto di precisazione da parte del successivo decreto 6 febbraio 2006) è stato emanato senza seguire la procedura prescritta per i regolamenti ministeriali dall’art. 17 legge n. 400 del 1988. Sotto questo profilo, quindi, il Ministero per le attività produttive, nel procedere alla suddetta interpretazione, ha, in base al principio dell’identità formale del contrarius actus, seguito lo stesso procedimento che già era stato adottato per l’atto su cui si andava ad incidere. Ebbene, in queste condizioni anzitutto – e sotto un profilo sostanziale - il denunciato profilo di illegittimità andrebbe a colpire, prima ancora che il decreto 6 febbraio 2006, il decreto oggetto 28 luglio 2005, ovvero la fonte stessa del diritto alla tariffa incentivante di cui si lamenta il mancato aggiornamento. Trattandosi allora di regolamento illegittimo (sotto il profilo procedurale) anch’esso andrebbe disapplicato (sebbene non oggetto di specifica impugnazione). Si andrebbe, però, in tal modo a realizzare un risultato ultroneo e contrastante con lo stesso interesse azionato in giudizio dagli originari ricorrenti, perché verrebbe meno lo stesso fondamento del diritto di cui essi lamentano, sotto il profilo quantitativo, il mancato aggiornamento al tasso di inflazione. Focalizzando poi l’attenzione sul profilo formale, la legittimità procedurale del d.m. 6 febbraio 2006 non può essere contestata, atteso che esso è stato adottato seguendo il medesimo procedimento già seguito in occasione dell’emanazione del primo. Non può mettersi in discussione, dunque, la sua idoneità ad incidere sull’atto “a monte” di identica natura e la cui efficacia non è – né lo poteva – essere contestata. 7. L’infondatezza delle censura mosse contro il d.m. 6 febbraio 2006 implica evidentemente anche il rigetto dei motivi (dichiarati inammissibili in primo grado sul presupposto della non immediata lesività) proposti avverso la delibera n. 40/2006 dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas. Si tratta, infatti, di un atto meramente attuativo del d.m. 6 febbraio 2006, di cui gli originari ricorrenti hanno fatto valere solo motivi di illegittimità derivata dalla asserita illegittimità del d.m. 6 febbraio 2006. 8. Alla luce delle considerazioni che precedono, deve accogliersi l’appello principale proposto da GSE e gli appelli incidentali proposti dai Ministeri dello sviluppo economico e dai Ministeri dell’ambiente e della tutela del territorio. Deve, invece, respingersi l’appello incidentale proposto dagli originari ricorrenti. Per l’effetto, deve essere riformata la sentenza appellata, con conseguente rigetto del ricorso proposto in primo grado. Data la complessità delle questioni esaminate, sussistono i presupposti per compensare integralmente le spese del doppio grado di giudizio fra tutte le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie l’appello principale proposto da GSE e gli appelli incidentali proposti dai Ministeri dello sviluppo economico e dai Ministeri dell’Ambiente e della tutela del territorio. Respinge l’appello incidentale proposto da Officina dell'Ambiente s.r.l., Montana s.r.l. e dai signori Paola Scuntaro, Mansoldo Andrea, Racani Maurizio, Toffoletti Danila, Toffoletti Danilo, Paina Giancarlo, Rosset Claudio, Della Rossa Livio, Mastella Cristiano, Ghidelli Giulio Natale, Sergio Totis, Mauro Fasano. Compensa le spese del doppio grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2012 con l'intervento dei magistrati: Giancarlo Coraggio, Presidente Giorgio Giovannini, Presidente Gaetano Trotta, Presidente Pier Giorgio Lignani, Presidente Stefano Baccarini, Presidente Alessandro Botto, Consigliere Marzio Branca, Consigliere Aldo Scola, Consigliere Francesco Caringella, Consigliere Anna Leoni, Consigliere Roberto Giovagnoli, Consigliere, Estensore Raffaele Greco, Consigliere Angelica Dell'Utri, Consigliere IL PRESIDENTE L'ESTENSORE IL SEGRETARIO DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 04/05/2012 (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.) Il Dirigente della Sezione