Rimediazioni locative: tra spazio e luogo, tra narrazione e dato1 Si

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Rimediazioni locative: tra spazio e luogo, tra narrazione e dato1 Si
Rimediazioni locative: tra spazio e luogo, tra narrazione e dato1
Si abitano solo luoghi popolati da spettri (M. de Certeau)
Le strategie adottate dai progetti locative media sono animate da due tensioni principali: la
prima è il tentativo di stabilire connessioni tra le persone e i luoghi, cercando di attivare
interpretazioni significanti dello spazio e facendo emergere le relazioni che esso ha con le
esperienze di vita quotidiana della gente che lo abita. La seconda è rappresentata dallo sforzo
di integrare la dimensione locale con quella globale, combinando esperienze e letture incarnate
e personali (local) con dati e visioni di sistema (global). Queste due esigenze, al cuore
dell’esperienza locative, determinano strategie di rappresentazione dei luoghi molto particolari,
che si caratterizzano per la loro natura ibrida e liminale, che scompiglia e mette in discussione
alcune dicotomie utilizzate tradizionalmente nella rimediazione dei luoghi.
La prima è l’opposizione tra mappa e percorso: i locative media propongono interpretazioni
originali e ibride di questi due assi che de Certeau (1990) considera come due logiche
fondamentali e opposte con cui intendiamo e rappresentiamo lo spazio in cui viviamo.
La seconda è l’opposizione tra logica narrativa e logica del database: invece di configurarsi
come strategie alternative e conflittuali (Manovich, 2001), nei progetti locative queste due
logiche appaiono strettamente correlate e la loro naturale alleanza si configura come una
strategia vincente con cui affrontare alcune fondamentali questioni, tra cui, ad esempio, la
dinamica locale/globale.
Nel riuscire a coniugare, in uno stesso ambiente mediale, progetto cartografico e tensioni di
fuga spazializzanti, dati globali di sistema e narrazioni personali e localizzate, i locative media
ci offrono sperimentazioni creative per ripensare il rapporto tra media, luoghi e soggetti.
Mappare i luoghi e percorrere gli spazi
Ne “L’invenzione del quotidiano”, de Certeau oppone lo «spazio» al «luogo». Nella sua
interpretazione, il luogo è «una configurazione stabile, istantanea di posizioni». Ragioniamo in
termini di luoghi ogni volta che intendiamo identificare, descrivere, vedere, conoscere: il luogo
è un ordine di significato stabilito e stabile, un progetto di senso sedimentato dalla tradizione e
dal linguaggio. Il luogo è, per questo, sempre un luogo di potere e di esclusione: in esso,
prendono forma alcune configurazioni significanti, mentre altre potenziali ne vengono escluse.
Al contrario, la nozione di «spazio» rimanda a un ambito di mobilità e di cambiamento, lo
1
Nell’articolo sono presenti riferimenti alle interviste svolte a Paula Levine e Jeremy Hight, artisti e teorici locative. Si
veda, per un loro profilo, pagXXX. Sono inoltre presenti riferimenti ai progetti locative presentati al City Centered
Festival, per la cui descrizione si rimanda allo stesso contributo.
spazio è «un luogo praticato», è quello che succede ai nomi quando vengono utilizzati, «è la
parola quando è parlata, quando è colta nell’ambiguità di una esecuzione». Con la nozione di
«spazio» de Certeau intende recuperare la dimensione viva, praticata e in divenire dei luoghi,
che non si riconducono solo al progetto stabile, ma che comprendono tutta una serie di usi e di
letture impreviste, non scontate, scorrette, illegittime e spesso d’opposizione. La pratica
quotidiana dei luoghi da parte delle persone ci rivela la possibilità di molteplici interpretazioni
dello spazio che ci circonda, e ci mostra come l’ordine stabile del luogo-progetto sia una
forzatura simbolica, necessaria a produrre saperi, conoscenze e discorsi, ma non esaustiva.
Accanto al discorso dei luoghi, esistono le «retoriche podistiche» degli spazi. Accanto a un
«Vedere, come conoscenza dell’ordine dei luoghi», esistono un «fare e un andare come azioni
spazializzanti». Accanto alle “mappa” come strumento di descrizione e conoscenza, esistono i
“percorsi”, che raccordano e orientano l’andare e il fare delle persone nello spazio.
Mappa e percorso costituiscono due strumenti di descrizione differenti e in opposizione, due
logiche a cui corrispondono due sfere di potere opposte, ma profondamente intrecciate: quello
strategico, del progetto, di chi vede dal nulla e rappresenta lo spazio funzionalizzandolo in
un’idea astratta e disincarnata (la città progetto-concetto, fatta di “luoghi”; la città
dell’urbanista, del cartografo, dello specialista); e quello tattico, quello delle pratiche
quotidiane degli abitanti, che disegnano percorsi sempre diversi, alternativi, molteplici,
inaspettati e sempre estranei e «sfuggenti alle totalizzazioni immaginarie dell’occhio» (la città
vissuta, fatta di “spazi”, cioè di luoghi praticati).
Come fa notare Jameson (1991), il rapporto tra mappa e percorso rimanda alla relazione tra
sapere scientifico – che, secondo la modernità cartesiana può dirsi “vero”, oggettivo e
trasparente proprio in virtù di un’operazione di astrazione dal vissuto dei soggetti – e la
dimensione incarnata, opaca e «precartografica» dell’esperienza della gente comune, che
tradizionalmente non ha mai avuto il potere di produrre mappe, ma solo itinerari personali.
Tutta la modernità si fonda in fondo su questa opposizione (che è poi la stessa dicotomia
cartesiana tra mente e corpo) e sull’oblio-sacrificio delle pratiche quotidiane, dei percorsi
individuali, come strategia di trasparenza necessaria al sapere scientifico. Anche per questi
motivi, le mappe sono state oggetto di una feroce contestazione nell’ambito della cultura
postmoderna, a cui va certamente riconosciuto il merito di avere svelato le insidie di dominio e
di controllo normativo insite in ogni cartografia: nascosta dall’apparente trasparenza di
un’oggettività scientifica, la mappa incarna in realtà il progetto dei soggetti del potere.
Il rifiuto della mappa ha portato così all’enfasi del suo opposto: il percorso, la deriva, come
strategia individuale, intima ed esistenziale di opposizione e decostruzione dei luoghi e delle
loro mappe, in quanto, sempre, strumenti compromessi con il potere.
Come possiamo tuttavia pensare a qualche forma di azione significativa in uno spazio
illeggibile, in uno spazio resistente a una lettura progettuale? L’azione è un progetto che
richiede capacità di lettura dello spazio. Il cambiamento richiede una mappa. Come ci ricorda
Jameson, una lettura esclusivamente “esistenziale” e privata non può essere di alcuna
efficacia: è necessaria «la coordinazione di dati esistenziali (la posizione empirica del soggetto)
con concezioni non vissute, astratte, della totalità geografica».
Mappe e percorsi hanno bisogno oggi più che mai di ritrovarsi complici: e se, per non cadere
nelle insidie totalizzanti, la mappa deve aprirsi ai percorsi (e il luogo alle pratiche), allo stesso
modo, per non abdicare alla possibilità di azione, i percorsi devono trovare una mappa.
Mappa e percorso nei locative media
I locative media sperimentano questa alleanza: essi affermano l’utilità cartografica della
mappa (intesa non come mappa colonizzatrice, ma come mappa impura, situata e
compromessa) e al contempo legittimano la dignità del percorso come strumento creativo e
dinamico di cambiamento.
Now we also are about to see a greater realization that this is perhaps the greatest era of
cartography in human history, and not for colonization and claiming per se, but driving,
travelling, seeing, learning and to some extent questioning2.
Le mappe locative sono, in primo luogo, strumenti per fare emergere le relazioni di potere che
intessono i luoghi. Mappare significa rendere evidenti le relazioni di significato, i frame culturali
entro i quali i luoghi sono nati e si sono trasformati, in una prospettiva che richiama da vicino
l’operazione critica3 della ricerca archeologica e genealogica proposta da Foucault e che
supera, come suggerisce Latour, la distinzione tra materialità e immaterialità. La mappatura
locative non riguarda solo i luoghi, ma, nell’epoca di “Internet of things”, e degli spimes di
Sterling4 (2005), anche gli oggetti che quotidianamente utilizziamo: diversi progetti ci invitano
a mappare la vita e gli spostamenti degli oggetti nel mondo, mettendo a nudo le relazioni
spaziali e di significato di cui essi sono intessuti (si veda a questo proposito il progetto del
SENSEable City Laboratory Trash Track5, o MILK6).
E se la mappe, come ogni strumento di rappresentazione, sono necessariamente strumenti di
potere e di controllo - scelgono che cosa includere ed escludere, dove tracciare i confini, che
cosa far vedere o occultare, rispondono ai punti di vista di chi le disegna, e sono, insomma,
sempre “compromesse”- nel caso delle mappe locative, questa compromissione è ritenuta un
valore: i progetti locative non hanno l’obiettivo di fornire una rappresentazione oggettiva,
neutra e scientifica del reale, né quindi di occultare le soggettività e i punti di vista parziali e
incarnati dei loro autori. Per questo sono mappe “impure”: a differenza delle mappe
scientifiche, sono mappe affettive, dove il coinvolgimento soggettivo di chi contribuisce a
2
«Stiamo assistendo a quella che è forse la più grande era cartografica nella storia dell’umanità, e senza che ci siano
obiettivi di colonizzazione o di rivendicazione, ma per viaggiare, guidare, vedere, imparare e per certi versi
contestare». Dall’intervista a Jeremy Hight.
3
«… when tied to a materialist vision, the recent turn to maps is among the strongest critiques of globalization
available to us» [… quando ancorata a una visione materialista, la recente svolta verso le mappe è una delle più forti
critiche alla globalizzazione che abbiamo a disposizione] (Tuters, Varnelis, 2006).
4
Gli spime sono gli oggetti aumentati e intelligenti del futuro, consapevoli dei contesti in cui vengono prodotti e
utilizzati / consumati, e in grado di fornirci informazioni sui luoghi che caratterizzano il loro ciclo di vita: «lo spime è un
insieme di relazioni […] è, per definizione, il protagonista di un processo documentato. E’ un’entità storica con una sua
traiettoria, accessibile e precisa, attraverso lo spazio e il tempo» (Sterling 2005: p.84 ed. it).
5
Cfr.: http://senseable.mit.edu/trashtrack/ [ultimo accesso 6 settembre 2010].
6
Cfr.: http://www.milkproject.net/[ultimo accesso 6 settembre 2010].
realizzarle è il vero punto di interesse, come nelle mappe cognitive di Kevin Lynch (1960) o
come insegna l’esperienza delle mappe di comunità (Clifford 2006). E come la carta rizomatica
di Deleuze7, la mappa locative è una mappa a più entrate, flessibili, malleabili, creativa,
strumento privilegiato di azione progettuale:
Then I moved into questioning mapping itself in a philosophical essay. It looked at how maps
are not only pragmatic tools but need to be de-fanged as they are born of war, territory,
prejudice, hoarding and protection of raw materials, natural and precious resources and death.
The “new” lands were not born in the air as the ships touched shore, but were claimed,
changed, and arbitrary lines to be increasingly accurating drawn above them in little documents.
Borders are like electrical wires, live, hot, and not just simple form but changing based on
perspective and distance. This led to developing malleable, multi layered digital mapping (not
google maps) adjustable, ever expanding open source augmentations and icons that can be
tagged with commentary, but not a simple note, but projects, animations, videos, community
discussions and now to open source geo spatial internet and map as publication, writing and
database/repository of history.
[…] Also the map is de-fanged. The function shifts, opens in a bloom from flat into growing,
shifting, expanding and yet that stem.. that small spot. It is key though not to focus only on it
being “ART” (caps intentional) or purely a layer of pragmatic outreach data. This is like taking
the jet stream and storms and unspooling them into two poles, one cold, the other also, cold. It
is that messy space in between, that is alive, that is full of possibility and growth and the beauty
of what simply is and how one sees it, shows it, experiences it, saves it from drowing a quiet
death in no water, but in a slow morass of forgetting and time seeping along as it does8.
Le parole di Hight rivelano come i progetti locative trovino la loro forza nell’in-between tra
luogo (progetto) e spazio (pratiche in divenire), tra mappa e percorso.
Nei progetti del Festival Citycentered di San Francisco9 possiamo riconoscere la presenza di
queste due tensioni – l’«ordine immobile e quasi mineralogico» della mappa e
la «frenesia
spazializzante» (de Certeau 1990) dei percorsi – ibridate in modalità differenti. In esperienze
come Beyond Boundaries, Tender Voice/TenderNoise, The Wireless Landscape…10 sembra
preminente l’utilizzo della mappa e dell’interpretazione dei contesti come luoghi: sono progetti
che puntano soprattutto sull’attività cartografica, sulla descrizione o sulla taggatura del mondo.
Ma in essi troviamo comunque forti indicatori di percorso. E, d’altro canto, progetti come
7
«La carta è aperta, è connettibile in tutte le sue dimensioni, smontabile, reversibile, suscettibile di ricevere
costantemente modificazioni. Può essere strappata, rovesciata, adattarsi a montaggi di ogni natura, essere messa in
cantiere da un individuo, un gruppo, una formazione sociale. La si può disegnare sopra un muro, concepirla come
un’opera d’arte, costruirla come un’azione politica o come una mediazione» (Deleuze, Guattari 1980, p.29 ed. it.).
8
«Poi ho cominciato a mettere in discussione l’attività di mappatura stessa da un punto di vista filosofico. Le mappe
non sono solo strumenti pragmatici, ma necessitano di essere “ripulite”, poiché nascono dalla guerra, dal territorio
inteso militarmente, dal pregiudizio, dalle staccionate e dalla difesa delle risorse preziose e dalla morte. Le “nuove”
terre non si sono materializzate nell’aria, appena le navi hanno toccato la costa, ma sono state conquistate, cambiate,
e linee arbitrarie sempre più accurate sono state disegnate su di esse in piccoli documenti. I confini sono come fili
elettrici, vivi, incandescenti, non sono semplicemente delle forme, essi cambiano in relazione a prospettiva e distanza.
Tutto ciò porta a un’attività di mappatura digitale processuale, in continuo sviluppo, malleabile, multilivello (non le
google map) e ad attività di “augmentation” sempre in espansione e open source, alla taggatura con commento, e non
solo con semplici note, ma con progetti, animazioni, video, discussioni di comunità e ora al internet geo-spaziale e
open source, alla mappa come forma di pubblicazione, scrittura e database storico […] La mappa è “ripulita”, la sua
funzione cambia, sboccia, da una dimensione piatta e scialba a una dimensione sempre in crescita, in espansione, in
cambiamento e tuttavia sempre radicata. Questa è la chiave: non interpretarla solo come ARTE o solo come livello di
dati. E’ come prendere la scia di un jet o i temporali e scinderli in due poli, uno freddo, l'altro, anch'esso, freddo. Ma è
quello spazio confuso nel mezzo che è vivo, che è pieno di possibilità e di crescita e di bellezza per quello che
semplicemente è, e per quello che ognuno può vedere, provare, salvandolo dal disegnare una morte quieta non in
qualche acqua, ma in un lento acquitrino di oblio, in cui il tempo filtra attraverso […]» Dall’intervista a Jeremy Hight.
9
Cfr. contributo xxx p. di questa rivista
10
Cfr. Cfr. contributo xxx p. di questa rivista pp.xxx
Transborder
Immigrant
Tool,
Every
Step,
Insights
the
Tenderloin,
UrbanRemix,
che
enfatizzano lo spazio e l’azione eversiva del flaneur, dei percorsi e della deriva, non
rinunciando tuttavia a proporre una visualizzazione strategica, progettuale, organizzata in
mappa.
I locative ci restituiscono, insomma, un panorama fatto di luoghi pronti a tramutarsi in spazi e
di spazi pronti a tramutarsi in luoghi. Il rapporto e la comunicazione continua tra questi due
poli è assicurato principalmente da un elemento: la narrazione.
La narrazione locative rimedia spazi e luoghi
Lo stesso de Certeau affida alla narrazione il ruolo di connettere spazi e luoghi. I racconti che
le persone fanno dei luoghi – sia i racconti collettivi tramandati da una cultura, sia i racconti
personali, quotidiani e privati - permettono ai progetti dei luoghi di aprirsi al cambiamento,
incarnandosi nelle pratiche comuni delle persone che li vivono, li abitano, li utilizzano. Le
narrazioni dei luoghi, come vere e proprie «pratiche ideatrici di spazio» (de Certau, 1990, p.
163 ed. it.), evocano e danno forma a quell’altrove sempre sfuggente del luogo (lo spazio
virtuale, lo spazio possibile), ai suoi molteplici livelli semantici, già sedimentati nella storia
passata, ora non più attivi, o magari ancora presenti e non visibili nella geografia prestabilita.
i racconti quotidiani narrano ciò che, malgrado tutto, si può fabbricare e costruire con una geografia
prestabilita […] (de Certau, 1990, p 163 ed. it.)
Le narrazioni locative attivano i progetti latenti dei luoghi, come ci conferma Paula Levine:
I’m really fascinated by the way open spaces in spite they’ve been so calculated for purposes and uses can be
repurposed for other things […] and one of the things that does this particularly well is narrative. Narrative is a
form that changes public spaces because of its ability to inscribing. So for example if you have a corner of a
block… and you know it’s just an intersection where you can cross over from one side of the street to an other… a
narrative can change that space it can overlayer it with an other kind of purpose, another kind of meaning that
just swell that space giving it a kind of form and body that is different from just the physical structure11.
Jeremy Hight conferma l’interesse per la narrazione, soprattutto in relazione alla possibilità di
riscoprire quello che non c’è più, o è meno conosciuto e a rischio di oblio:
Every place has stories, every person has stories, every parcel of time is a body full of experiences, moments,
collisions, etc. And we must save our history, places are losing their past, languages are dying, past areas are
being lost12.
11
«Sono molto affascinata dal modo in cui lo spazio, nonostante sia stato così programmato per certi scopi e usi possa
essere ri-programmato per altre cose […] e una delle cose che riesce a fare ciò particolarmente bene è la narrazione.
La narrazione è una forma che cambia gli spazi pubblici grazie alla sua capacità di inscrivere. Così, per esempio,
pensate a un angolo in un isolato… sapete che è solo un’intersezione di strade, dove è possibile attraversare la strada
da un lato all’altro… ma un racconto può cambiare quello spazio, può aggiungervi un livello, con un altro tipo di scopo,
un altro tipo di significato che semplicemente incrementa quello spazio fornendogli una forma e un corpo che sono
differenti dalla semplice sua struttura fisica, differenti». Dall’intervista a Paula Levine
12
«Ogni luogo ha delle storie, ogni persona ha storie, ogni attimo di tempo è un corpo pieno di esperienze, momenti,
collisioni… E dobbiamo salvare la nostra storia, i luoghi stanno smarrendo il loro passato, le lingue stanno morendo, e
aree del passato si stanno perdendo». Dall’intervista a Jeremy Hight.
Al Festival City Centered troviamo diversi progetti che utilizzano la narrazione in questo senso,
per evocare i sensi “altri” del luogo e introdurre in esso aperture spazializzanti, attraverso il
racconto di quello che c’era un tempo (Block of Time: O'Farrell Street) o di quello che è poco
conosciuto (Inside the Tendorline, Tender Voice), o segreto/invisibile (Tender Secret).
Possiamo affermare che, in questi casi, il ruolo della narrazione locative è quella di rimediare il
luogo in spazio.
Il ruolo della narrazione non si limita però solo a introdurre elementi spazializzanti nei luoghi,
ma ha il fondamentale compito di organizzare le azioni spazializzanti, che alcuni progetti
mettono in campo, in un progetto sensato. E questa è forse la sfida più difficile che i locative
media cercano di raccogliere, seguendo il doppio movimento suggerito da de Certeau, per cui
«i racconti effettuano dunque un lavoro che incessantemente trasforma i luoghi in spazi o gli
spazi in luoghi. Essi organizzano così i giochi dei rapporti mutevoli che gli uni intrattengono con
gli altri» (de Certau, 1990, p. 177 ed. it.)
I locative media offrono, cioè, alla frenesia che moltiplica gli spazi, l’occasione di ordinarsi, di
assumere un carattere progettuale utile all’azione, pronto alla condivisione e al confronto. E’
un ordine momentaneo, instabile, flessibile e sempre in discussione, un luogo compromesso e
parziale - «not necessarily by any means to any totality or linearity»13. In questi casi i locative
media affidano alla narrazione il compito di ri-mediare gli spazi in luoghi: in quei progetti in cui
prevale
nettamente
l’azione
spazializzante
(Transborder
Immigrant
Tool,
Insights
the
Tenderloin, Urban Remix), troviamo sempre qualche forma di strategia narrativa, seppur
opaca, instabile e multipla - come il gioco, la mappa, il racconto orale, i remix personalizzati che permette ai percorsi e alle derive personali di organizzarsi in un progetto.
Connettere fatti bruti, esperienze isolate e conferire loro un significato nella cornice della
nostra esistenza è, in fondo, la peculiarità dell’attività narrativa, a cui, come in molti
sottolineano14 non possiamo sottrarci. Le interviste ai due artisti locative confermano questo
approccio:
It’s hard to get away from narrative, it’s the way our brain works, it attempts to tie and make
connections and bridges between differences. It’s hard to stop creating a logic in our day to day life
and I think narrative is the way that does that15»
«To narrativize is to give connectivity (not necessarily by any means to any totality or linearity) and
some sort of balance or inter-relation/terpolation beyond just data/info and isolated nodes)16
13
«… non necessariamente e per alcuna ragione in modo totalitario o lineare». Dall’intervista con Jeremy Hight.
Per un escursus sul pensiero narrativo nell’ambito della sociologia dei media, cfr. Di Fraia (2004).
15
«E’ difficile sfuggire alla narrazione… è il modo in cui lavora il nostro cervello, cerca di legare e creare connessioni e
ponti tra le differenze. E’ difficile smettere di creare una logica nella nostra vita quotidiana e penso che la narrazione
sia il modo con cui riusciamo a fare tutto questo». Dall’intervista a Paula Levine.
16
«Narrare è dare connettività (non necessariamente e per alcuna ragione in modo totalitario o lineare ) e qualche
forma di coerenza o interrelazione/interpolazione tra semplici informazioni/dati e nodi isolati». Dall’intervista con
Jeremy Hight.
14
Database e narrazione: integrare i dati e le storie nelle mappe del futuro
I locative media affidano alla logica narrativa il ruolo fondamentale di rimediazione tra spazi e
luoghi. Ma come si configura il ruolo della logica che Manovich (2001) definisce come opposta
e nemica, quella del database?
Le esperienze locative mettano profondamente in discussione questa stessa dicotomia:
innanzitutto, come abbiamo visto, essi introducono un ruolo decisivo della narrazione in
ambienti altamente digitalizzati e in rete, smentendo la logica prevalentemente antinarrativa
del web e dei media digitali (Manovich 2001). Ma vanno oltre: nell’integrare, nello stesso
ambiente mediale, cataloghi di dati e racconti, semplici raccolte di informazioni e strumenti più
o meno narrativi per leggerli, essi ci rivelano come non abbia senso ragionare in un’ottica di
opposizione tra queste due logiche.
I know Manovich considers data base and narrative to be oppositional, the one is mutually
exclusive, it does not relate with the other. I don’t subscribe to that kind of isolation. I’d prefer to
see the relationship between the two, in a piece when one may be dominant and the other not […]
you can have a certain amount of one within the other or you can try to make your own narrative
from statistical cluster… but I do think they’re related, they’re like cousins […] They’re not the
same thing by any means but they do have elements of each others within themselves17.
La mappa - e in particolare la mappa digitale - è il medium che meglio si presta e più
incoraggia questa forma ibrida di rimediazione dello spazio e della realtà. Come ci ricorda de
Certeau18, sul campo delle carte geografiche si è svolta una storica battaglia tra due modi di rimediare il mondo (tra opacità e trasparenza; tra narrazione e database, tra mito e logos) e se,
fino al Medioevo, troviamo mappe in cui le due logiche coesistono con pari dignità, dalla
modernità e dalla nascita del pensiero scientifico in poi, si assiste a un progressivo oblio e
occultamento dei segni della logica narrativa, a favore della logica del data base e di una
rappresentazione trasparente e “oggettiva” della realtà, verso l’utopia della visualizzazione dei
dati in un contesto completamente a-narrativo.
17
«So che Manovich considera data base e narrazione come opposti, come logiche che si escludono a vicenda e che
non si relazionano l’una con l’altra. Ma non sono d’accordo con questo tipo di isolamento. Preferisco vedere la relazione
tra le due logiche, in alcuni punti una può essere dominante e l’altra no […] si può avere una certa quantità di una
nell’altra e si può cercare di creare una narrazione partendo da dati statistici… Ma penso che siano collegate, sono
come cugini […] Non sono assolutamente la stessa cosa, ma l’una contiene un po’ dell’altra e viceversa».
Dall’intervista a Paula Levine.
18
Il cambiamento delle carte geografiche analizzato da de Certeau per approfondire l’evoluzione del rapporto tra
mappa e percorso illustra bene anche il rapporto database/narrazione: le prime carte medioevali sono rappresentazioni
di percorsi, di un andare, sono ricche di indicazioni utili e performative (distanza in giorni di cammino, indicazioni su
dove alloggiare, dove fermarsi a pregare). La dimensione narrativa è significativa: il disegno è quasi un vero e proprio
diario di viaggio, con la rappresentazione degli eventi che si sono succeduti (pasti, combattimenti, traversate…). Dal
XV al XVII secolo la mappa diventa sempre più autonoma dal percorso, anche se rimangono figure narrative e
«descrittori di percorso» (navi, animali, personaggi di vario genere…). La mappa prevale poi progressivamente,
colonizzando lo spazio della rappresentazione ed eliminando le raffigurazioni pittoriche delle pratiche. L’operazione di
rendere leggibile lo spazio coincide con il rendere trasparente e invisibile all’occhio le pratiche: «trasformare l’agire in
leggibilità, facendo però dimenticare un modo di essere al mondo» (de Certeau 1990, pp. 179-182 ed. it).
Se oggi siamo ormai convinti che la narrazione, invece, sia un po’ ovunque19 e che non
possiamo considerare la mappa, anche la più scientifica, come un semplice data-base privo di
narrazioni, diventa importante produrre mappe che valorizzino la varietà di combinazioni di
queste due logiche, abbandonando la logica dicotomica che le ha opposte in passato:
mapping is a form of representation of space and the representation can be un-dominantly
qualitative or dominantly qualitative. It can shift in a continuum from objective to subjective and
through the history of mapping there has been arguments and examples of maps that combine both
of those things but perhaps if you don’t think abut it as a linear continuum but maybe as a kind of
graph where you have x and y axes.. as the map moves it can combine those two elements of
subjective and objective, of qualitative and quantitative20.
L’esperienza delle mappe locative ci insegna come ripopolare le mappe con i racconti,
affermando al contempo l’importanza del dato: è proprio dal successo di questa ibridazione che
possono nascere strategie sostenibili e utili per rappresentare e quindi abitare – progettando il mondo contemporaneo. L’odierno proliferare delle mappe come strumento privilegiato di
rappresentazione ci indica forse proprio questo: che la mappa è lo strumento più utile per
descrivere il mondo contemporaneo perché in grado di connettere i due poli della nostra
esperienza, il globale e il locale (lo spazio dei flussi e lo spazio dei luoghi). È dalla possibilità di
tenere insieme rappresentazioni personali e visioni collettive, esperienze private e discorsi in
grado di interpretarli, saperi personali quotidiani (quelli del bricoleur) e saperi scientifici (quelli
dell’ingegnere), che sta forse la via d’uscita per affrontare la crisi dovuta alla perdita di fiducia
nelle “grandi narrazioni” (Lyotard, 1981). Se oggi il mondo, come afferma Manovich, ci pare
una raccolta «infinita e destrutturata di immagini» (Manovich, 2001, p. 274 ed. it.), un
database senza senso, imprevedibile e indecifrabile, è allora più che mai necessario raccontare
e ricevere storie, per riuscire a interpretare questa complessità, integrando i suoi dati in una
cornice di senso che ci appartenga.
19
La svolta linguistica in filosofia, la semiotica, gli studi culturali ci ricordano la natura discorsiva di ogni sapere. La
narrazione è la condizione imprescindibile dell’esperienza e della conoscenza umana: il linguaggio e i sistemi simbolici
e culturali in cui siamo immersi condizionano il nostro modo di relazionarci con il mondo e plasmano ogni forma di
conoscenza, compresa quella scientifica.
20
«L’attività di mappatura è una forma di rappresentazione dello spazio e la rappresentazione può essere qualitativa in
modo dominante o non dominante. Ci si può muovere in un continuum tra oggettività e soggettività e nella storia delle
mappe troviamo esempi di mappe che combinano entrambi gli aspetti, ma forse non si dovrebbe pensare ad essi come
un continuum lineare, ma come una specie di grafico, con ascisse e ordinante… la mappa si muove e può combinare in
diversi modi questi due elementi, la soggettività e l‘oggettività, il qualitativo e il quantitativo». Dall’intervista a Paula
Levine.
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