Testo critico di Grazia De Palma

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Testo critico di Grazia De Palma
 A membro di segugio
Testo critico di Grazia De Palma
Trani, 21 marzo 2011
Sole, cielo terso e vento, molto vento. Siamo vicini al mare ed è mattino inoltrato.
Finalmente la primavera, la sua luce, i suoi colori. Abbiamo appuntamento e mi viene a
prendere in una piazzetta adiacente al suo studio: bicicletta, felpa rossa con cappuccio ed
occhiali scuri, pantaloni ancora sporchi di pittura. Come al primo appuntamento tra due
vecchi amici dal bicchiere facile mi guarda e fa un sorriso piuttosto soddisfatto, e
sbirciando un pò di lato inizia a pedalare lentamente. Lui non è antipatico ma gli piace
sembrare tale. E’ affascinato dall’idea di poter avere molti nemici. Perché i nemici sono
come gli intellettuali. Cercano di distrarti, anche se nella maggior parte dei casi affermano
la tua notorietà. “Cosa non hai capito quando ti ho detto che odio gli intellettuali?” Me lo
sono chiesto a lungo, poi a mia insaputa, con una calma olimpica ho incrociato le braccia,
preso carta e penna e ho attraversato l’uscio del suo studio che consapevole di trovarsi,
vicino al cimitero e i depuratori della fogna, mi è parso un luogo molto luminoso piuttosto
confortevole, a tratti sobrio, e nonostante le cianfrusaglie, quasi necessarie-diluenti,
vernici, cavalletti, bollette già pagate, un calcio balilla, un sacco da box per sfogarsi,
molte lampade, c’è di tutto anche un motorino, un’oca di quattro metri, ed una consunta
poltrona in pelliccia marrone; è interessante notare che intorno a me inizia a delinearsi la
prima impronta di arte non confezionata. Tra un circolo culturale ed un ex salottificio
demodé, in questo spazio di mille metri quadrati Dario si sente stretto perfino da solo.
Sarà colpa del suo ego sempre in espansione. Veloce nel dipingere fino a farsi venire il
torcicollo. Lui è così. Alto, moro, occhi verdi, longitipo, 43 e mezzo di scarpe, un pò di
pancia. Pelo e contropelo sulla tela, anche per dieci ore di seguito.
Non è proprio l’identikit del classico pittore realista-iperealista da galleria milanese, ma
piuttosto quello di un outsider che ubbidisce al richiamo della natura. Come un Mowgli
contemporaneo. Diretto e determinato. Semplice ma talvolta irragionevole da far drizzare i
capelli. Pensieroso, introspettivo a metà tra un Dio onnipotente ed un Oloferne dalla testa
mozzata, con la rosa in bocca, riceve ed esprime il potere del sogno e dell'abbondanza.
Terrorista del divertimento e del pudore come provocazione sessuale, il suo imperativo è
l'interiorità, l'introspezione, l’intuizione. Sembrerebbe il ritratto di un uomo di una certa età.
Niente da fare, Dario è giovane, e nella tenace ricerca di se stesso ha in mente solo una
cosa “realizzare tutto ciò che desidera”. Se ci vogliono molte vite per fare una sola
persona come afferma Carlos Fuentes, allora è meglio essere visionari fino alla fine.
Quando si deve parlare del lavoro di un artista, bisogna essere maledettamente
disponibili, altrimenti si rischia di scivolare in bla bla inutili. Ma se non ti vuoi sporcare le
mani con la patafisica di Alfred Jarry puoi trovare nuove filosofie possibili ed altri dripping
più contemporanei per raccontare la storia di quell’animale che da sempre si morde la
coda e va su di giri quando si nomina la parola “arte”. Quando penso al calcolo delle
possibilità di riuscita sul quoziente Dario, ho buona ragione di credere che si può
scommettere su di un talento, perché tutto pare funzionare. Annuso questa armonia di
fine secolo come una delle pillole di questo mondo fatto per abitare l’arte e non per
passarci in punta di piedi o inosservati. Dario è un cane sciolto. Non è un manieristico, né
un concettuale. Non si preoccupa se la teoria di Schröndinger del gatto vivo o morto nella
scatola sia vera o sia falsa, personalmente i gatti preferisce allungarli, è questo il suo
paradosso. Osserva la gente perché il suo principale interesse è la figura umana. La
gente racconta l’arte anche senza saperlo. Ed è lì che come un fisico umanista lui diventa
complice di tutte quelle vite degli esseri umani che circolano nella sua testa. E’ il canarino
nella miniera di carbone, una professione per una creatura ipersensibile che può cadere
stecchita al primo veleno che esala l’inconscio lupanare dell’arte. Eppure nonostante i
diluenti al nitro, Dario si eccita ancora al canto malato della nostra società mentre resta
nella sua sacca da canguro ad impiegare ore ed ore a dipingere, manco fosse la più
laboriosa delle pornostar del circondario. Si interessa all'arte da quando è nato, sin da
piccolo pasticciava dappertutto. Mentre suo nonno gli insegnava a leggere e scrivere,
Dario riempiva di disegni i bordi dei fogli, realizzando come delle cornici di scarabocchi.
Ha portato con se questa mania fino alle scuole superiori poi ha smesso di scrivere sui
quaderni e quindi ha smesso di disegnare i bordi. Dopo l'istituto d'arte, è arrivata
l'accademia che ha delucidato certe congetture riguardo la farragginosa formazione
artistica di un individuo, confermando ancora una volta che artisti si nasce, non si diventa.
La pittura è un modo per esprimere un pensiero, un’idea, nient'altro. E’ solo un mezzo che
l’artista utilizza per esprimere se stesso. “Tutto ciò che prima non esisteva ed ora esiste è
materia. l'arte è al centro dell'universo di chi la ama. Io sono follemente innamorato.
Credo di essere schiavo di essa. Uno schiavo d'amore” .
Ma in un tempo di cosificazioni l’eccessiva produzione di arte fa male? Che faccia male o
meno non importa, l’importante è che ci sia, se fa male a qualcuno, vuol dire che fa bene
a qualcun’altro. Il problema è che ora tutto è arte. Ma non si tratta del desiderio
di
apparire di amare, di sperare. L’arte è un desiderio per chi l’acquista. L’arte è tutta intorno
a te, devi solo raccoglierla.
Se ognuno di noi è il risultato della propria biografia, la giornata tipo di Dario Agrimi ha il
sapore dell’ordine. Quel rigore di chi cerca, come il vecchio signore che ogni giorno si
siede nella Sala Bordone della Pinacoteca di Vienna e guarda un celebre quadro di
Tintoretto, i difetti nella pretesa ossessiva del capolavoro. Dorme poco, si alza e non fa
colazione, poi inizia a lavorare, pranza e si rilassa con dieci minuti di televisione
spazzatura che gli dà una carica positiva, per continuare a lavorare fino alle dieci di sera.
E’ vero non è un tipo facile, né uno dai rutti all’aglio, né un medico anche se potrebbe
diventarlo nel caso le cose andassero male, ma quando dipinge accende l’ipod e
bombardato continuamente dagli stessi brani musicali si concentra per diciotto ore su di
un quadro. La musica è un chiodo fisso che dà un ritmo al suo habitat creativo. Lascia la
lettura a chi ha tempo per diventare un moccioso intellettuale senza fondo. A chi mai
serviranno questi libri?
E già, in un mondo di fanatici, c’è sempre una rivoluzione in atto che non è simbiotica a
quella di Joseph Beuys, ma è consumata continuamente dal lavoro dell’artista. Noi siamo
la rivoluzione per noi stessi e nella liquida incertezza di ogni giorno sforniamo piccoli
Bauman dell’arte. In questo mondo di trappole e di oscillamenti, se le cose volgono al
peggio Dario che fa? Combatte. Scoperchia con una faccia tutt’altro che timida, la tomba
dell’ego, mentre si appropria di pennelli, tele e colori per dar vita ad eccitanti corpi vestiti,
animali da compagnia imbalsamati. E dopo aver compiuto il gesto della creazione di tutto
questo bestiario del turbocapitalismo, ne apre il recinto e lascia andare via un imprecisato
numero di personaggi. Un branco indomabile.
Tra realtà ed ironia, riflessione e classificazione. Improvvisazione ed adattamento, lui
rappresenta se stesso mentre mi illustra divertito il titolo della sua mostra personale: A
membro di segugio. Si, perché la vita non sai mai cosa ti riserva. “La vita ti sorprende.
Goditela per imparare. Per fare e pensare ciò che vuoi dire…. che ci posso fare, sono un
umanista e per giunta, ottimista! ”.
Il titolo è una citazione di uno dei più grandi filosofi contemporanei mascherati da comuni
cittadini ovvero zio Sabino.” Zio Sabino è lo zio di un mio amico che durante un pranzo e
una bella chiacchierata tra uomini e donne, esce dal cilindro conviviale questa citazione
per dire “ragazzi non tirate fuori sempre le cose fatte a cazzo di cane, ovvero non fate le
cose a membro di segugio. Fate le cose…per bene!”.
Dario si è letteralmente innamorato di questa frase perché alla fine è un modo elegante e
raffinato che dire qualcosa di volgare. Cazzo è un sinonimo di pene, solo che puoi parlare
di pene ma non di cazzo perché il suono di questa parola è da censurare.
La morale non deve essere esplicita ma implicita che deve catturare chi dall’esterno,
vede. Tu sei il frutto delle tue esperienze, puoi trovare la morale ed il contenuto anche in
cose che apparentemente non ce l’hanno e prima o poi, se sei un artista verrà fuori.
A primo sguardo, sembra una mostra casta, fatti di grandi dipinti e di saldi equilibri.
Eppure…dici che è casto? Dici che due topi, ovvero due ratti delle chiaviche colti nell’atto
sessuale sono casti? E le persone vestite? Una persona nuda è casta perché non è
mascherata, truccata. Ed ecco il colpo di scena, i lavori di Dario sono tutt’altro che casti,
perché c’è più pornografia in qualcuno vestito che in qualcuno nudo ed è la curiosità di
vedere cosa c’è dietro, cosa c’è dentro, cosa c’è sotto, che regge l’attenzione dello
sguardo. La non castità. Se guardi una persona nuda hai visto tutto. Devi riuscire a
raggiungere ciò che vuoi vedere.
A membro di segugio, ovvero cerchiamo di vedere i punti di vista diversi delle cose,
perché tutte le cose hanno un punto di vista diverso.
Dieci dipinti su tela in smalto sintetico lucido, e due installazioni: l’oca, e i topi.
L’esposizione oscilla tra una ricostruzione apparente e razionale di una realtà e una
rappresentazione molto personale di una finestra sull’origine sociale. Attenzione però, in
tutto questo scompiglio “ordinato” l’unica parola che ci interessa è OSCILLA, perché i
lavori di Dario Agrimi sono in equilibrio. C’è chi cammina sui tacchi, chi si arrampica ad
una corda, chi galleggia nell’aria. Chi salta. E c’è chi aspetta. Tutte le figure cercano
equilibrio nello spazio, anche la coppia di turisti, dipinta su di una tela di due metri e
settantacinque per due metri e settantacinque. E’ un dipinto che ti fa pensare a qualcosa
di non detto. Ad una realtà celata, borgesianamente quasi contraffatta e spacciata per
veritiera. Uno scatto all’aeroporto Praga. Due persone viste in un mentre, in un momento
del viaggio durante il quale non stai facendo nulla…ma sei consapevole siano proprio
questi i momenti che valorizzano la tua meta. Macrolife, appunto.
Come un discorso sospeso, le figure in bilico si reggono a mezz’aria quasi a toccare la
testa dei visitatori ed in veste di angeli sembrano volare voltandosi indietro. L’equilibrio è
qualunque cosa. Tutto è in equilibrio, l’esistenza , i palazzi, il bicchiere. Tutto è in
equilibrio. Basta solo il pensarci per rendersi conto del valore che l’equilibrio ha nella vita
delle persone. Il quadro dell’uomo mentre su arrampica ad una corda intitolato frenulo
mostra le sue precise condizioni di stabilità, idem per la gallina ben bilanciata sull’uovo
d’oro. Anche l’oca dal collo abnorme. Un raro esempio di taxidermia surreale. L’oca
rappresenta il desiderio di avere e di raggiungere qualcosa senza sforzo. Senza doversi
muovere. E’ come quando vuoi illuminare una stanza ma sei seduto distante
dall’interruttore e lo guardi perché vorresti avere poteri di telecinesi per spegnere la luce.
Qualunque cosa oscilla. E’ l’accordo tacito o il segreto di pulcinella? L’accordo tacito è il
segreto di pulcinella, nel senso che il segreto di pulcinella lo sa solo pulcinella: è un
accordo tacito con se stesso nel non divulgarlo.
Quando guardo il suo lavoro, la mia mente si muove sempre verso molte direzioni. Come
mai? Non bisogna seguire una strada per avere una coerenza artistica, si possono
seguire più strade tenendo a mente che la non coerenza potrebbe essere una coerenza.
L’importante è percorrere la propria strada e se uno non riesce a seguirla forse è perché
non l’ha trovata. Bisogna solo trovarla. Partendo dal presupposto di non voler sentirsi
riconoscibile, se l’artista deve essere un ruolo vuol dire che tu devi interpretare altri ruoli.
L’essere artista è una condizione, è come essere cretini, belli, grassi, è una condizione,
non puoi farci nulla, puoi evitare di farlo anche se prima o poi viene fuori. La maggior
parte degli artisti sanno quello che fanno ma non sanno dirlo, non è facile dire quello che
stai facendo, perché una cosa così naturale, la fai e basta. Perché qui non si tratta di fare
ma di essere. E non puoi sfuggire a ciò che sei, non ha senso. Poi c’è un piccolo trucco:
un bravo artista mente spesso. Il mentire continuamente fa si che il calcolo delle
probabilità ti sia contro perché prima o poi verrai scoperto. Deve mentire il giusto con
cognizione di causa in modo che non sia riconosciuta la menzogna. Deve mentire per
quello che serve. L’arte è la menzogna che ci permette di conoscere la verità, dove per
verità si intende conoscere se stessi o il mondo. Fu scritto sul tempio dell'Oracolo di Delfi.
Ed oggi più che mai l’esortazione di Socrate, a trovare la verità dentro di sé anziché nel
mondo delle apparenze, è una faccenda che ci accompagna tutti. Non è facile conoscersi,
solo in punto di morte uno può dirsi “ora mi conosco” perché solo in punto di morte sai che
non potrai crescere e dopo non ci saranno cose che potrai fare, esperienze che potrai
vivere. Al momento della fine dell’esistenza puoi dire che ti conosci.
Ecco che Dario ha a cuore la percezione che muta l’antropos, ovvero l’essere in divenire
che si evolve sensorialmente e tale evoluzione condiziona l’arte. La fa crescere, e nella
convinzione che il limite dell’evoluzione sia l’involuzione, ogni cosa è organizzata per
sollazzare le masse. E’ tutto, un uroboros, un serpente che si morde la coda. E’ un
incantamento. Ma i suoi incantamenti sono la maggior parte delle cose che le persone
reputano negative, e fondamentalmente ciò che lo appassiona maggiormente è il
comportamento degli esseri umani. Va studiato. Dipinto.
Si potrebbe definire un fascinatore di immagini o un predatore di sogni? Anche se le
nostre emozioni non sono nostre, come Emily Dickinson raccomandava: racconta tutta la
verità, ma raccontala interpretandola.
Utilizza la fotografia come base della pittura e successivamente si libera del giogo
dell’invenzione? Non serve il giogo dell’invenzione, perché non è questione di inventare.
Lui non imita una fotografia, ne fa una propria. Nel momento nel quale devo fare un
quadro pittorico, siccome la resa deve essere più reale possibile, e sono le ombre che
fanno la realtà, le ombre non le puoi inventare perché si tratta di matematica non le puoi
calcolare, puoi cercare, ma è un lavoro quasi impossibile e che porta via tanto tempo
quindi scatto una fotografia per raccontare ciò che voglio dipingere e che ho già disegnato
nella mia testa. E scatto per realizzare un‘immagine così come è stata pensata. A quel
punto l’artista scorge i riferimenti per capire dove intervenire cromaticamente e quindi un
eventuale errore gli dà la possibilità di avere una resa, il più vicino possibile alla realtà. La
foto dunque è l’immagine trovata (l’objet trouvè) o quella già pronta per l’uso (ready
made) che ti permette di creare una nuova immagine pittorica? La foto è studiata nei
minimi particolari a tavolino, è precedente alla realizzazione dell’opera e successiva
all’ideazione. E’ un mentre. Ed anche una traccia del reale che gli permette di creare una
nuova immagine pittorica. Alessandro Baricco dice che il nuovo viene definito barbarico,
da chi è resistente alla modernità e non comprende le esigenze delle generazioni
seguenti. Se un uomo è barbarico vuol dire che c’è un ritorno, siamo sempre al punto di
partenza. Si, diciamo di si. Il nuovo va solamente utilizzato per farlo diventare vecchio.
Nelle opere di Dario c’è sempre quel pò di nuovo che deve darti la spinta per andare
avanti e per fare in modo che il poco diventi discretamente abbondante.
I suoi lavori non sono accenni poetici di una realtà spudorata. La poesia c’è e se qualcuno
la scorge che ben venga. Ci si può vedere di tutto, perché lui ha la tendenza a vedere
poesia un pò dappertutto anche in una macchia. Penso che riuscire a scorgere qualcosa
in un’altra è una capacità che ci portiamo dentro che non puoi calcolare, non puoi
decidere, non puoi vedere. Puoi solamente dimostrare. E’ un aura da accarezzare. Il bello
di Platone è ciò che si offre all’occhio, alla mente. E’ proporzione ed armonia, imitazione
della natura. Per Aristotele corrisponde all’ordine, al vedere le cose con chiarezza e
rappresentarle con perfetta obiettività. Per Kant le cose sono belle anche se
oggettivamente non lo manifestano, ma perché sono capaci di eccitare le nostre forze
spirituali. Il suo concetto di bello? Il bello è tutto ciò con cui puoi fare sesso. Non è il bello
di Leonardo da Vinci né quello di Gerhard Richter. E’ il bello di Dario Agrimi. Sesso è tutto
ciò di cui ti innamori. E l’innamorarsi è sessuale.
I toni scanzonati dei suoi discorsi fanno pensare che un pò si prende gioco delle cose che
fa o che dice. E come se ogni giorno cercasse degli esercizi per fottere la mente. La
mente va fottuta. Lo sai bene che puoi fare una guerra vera e propria con un paio di
sandali ed un uso sapiente delle parole. L’esercizio stimola la mente. Fottere è esercizio.
Come gli esercizi di stile. Dopotutto Raymond Queneau e Ghandi potrebbero essere
imbattibili compagni di un picnic domenicale…basta non prenderli troppo sul serio.“Non mi
interessa cosa pensano gli altri di me. Io cerco di vivere in armonia con la natura, con me
stesso e con il senso dell’equilibrio di cui parlo. Con l’equilibrio ed il senso del bilico di
queste opere, o il senso del confine. I confini devono essere superati ma questo è un
clichè.“
“A membro di segugio”, è molto di più di quello che dice il titolo. E’ sempre molto di più.
Anche se tu vedi un film, il titolo rimane il titolo, è sempre un’introduzione anche se il film
è una schifezza sarà sempre di più del titolo. E questo film racconta un momento della
sua testa. Del suo bio parco. “Io rappresento il tipo di artista che veste i panni di Dio e da
uomo non avendo possibilità di concepire partorisco opere. Nel momento in cui le realizzo
io creo, e creare è divino”. Ha scelto una missione difficile da compiere in modo che non
rimarrà mai a secco per poter dire “ora che faccio?”.
Mi domando allora se sia davvero necessario andare in giro a parlare del grande
spettacolo di quest’epoca vuota dove l’arte ha bisogno sempre di un consenso. Mah… per
farla franca, lancio l’ultima sfida, impaziente di conoscere l’ultima risposta.
“….Senti, ma dove stiamo andando?”. “Boh. A Fanculo? Stiamo andando in vacanza“.
Intanto i due topi imbalsamati si accoppiano in un angolo della galleria non curanti degli
occhi indiscreti che masticano aria e delle bocche distratte che sorseggiano gin. Alcune
persone guardano, altre vedono. Forse è un miracolo, per tutti i soldi che gli costa, come
minimo potrebbe riuscire a scoprire Dio! Il resto include solo etichette, spiccioli, imballi di
cartone, e fisher.
Buono a sapersi.