PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO – MANUALE (integra

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PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO – MANUALE (integra
PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO – MANUALE ( e appunti)
Capitolo 1: LO STUDIO DELLO SVILUPPO
La psicologia dello sviluppo ha 3 domande chiave:
1. qual è la natura del cambiamento che caratterizza lo sviluppo?
2. quali processi causano questo cambiamento?
3. si tratta di un cambiamento continuo e graduale o viceversa discontinua e improvviso?
1. Alcuni considerano lo sviluppo di natura quantitativa per cui lo sviluppo è visto come un
accrescimento o graduale accumulo di cambiamenti del tempo. Il comportamentismo
considera il bambino come un organismo interamente plasmato dalle esperienze e
dall’apprendimento.
Altri considerano lo sviluppo di natura qualitativa per cui lo sviluppo è un cambio qualitativo.
Sono teorie organismiche come quelle di Piaget e Vygotskij, che considerano il bambino come
un attivo costruttore delle proprie capacità e lo sviluppo è dovuto a influenze interne piuttosto
che a fattori ambientali esterni. (modello dello sviluppo cognitivo per stadi attraverso i quali
cambia la caratteristica del funzionamento cognitivo).
2. Le cause del processo si distinguono in fattori genetici ( Chomosky) e fattori ambientali
( Skinner e comportamentismo. Per Watson il bambino era tabula rasa, non c’entrava la
genetica, ma pensava avessero influenza i fattori esterni.). Le teorie organismiche ( Bruner,
approcci interattivo-costruzionisti) si collocano in una posizione intermedia, pensano che lo
sviluppo sia frutto di un’interazione di fattori esterni e interni. Le influenze si combinano tra
di loro in modi complessi e le esperienze del bambino possono effettivamente influire sul tipo
di capacità che acquisisce.
3. Considerare lo sviluppo continuo e graduale va d’accordo con l’idea di cambiamenti
quantitativi, mentre considerarlo discontinuo e improvviso va d’accordo con teorie
qualitative. In realtà si può anche qui parlare di una sorta di interazione. Alcuni studiosi
vedono il cambiamento come continuo all’interno di uno stadio ma discontinuo nel passaggio
da uno stadio all’altro. Piaget invece pensa che ci siano funzioni che restano invarianti nel
corso dello sviluppo (continuità) mentre le strutture cognitive cambiano da uno stadio all’altro
(discontinuità).
Principali prospettive teoriche:
Si possono individuare diversi approcci allo studio dello sviluppo: il comportamentismo,
l’empirismo logico-neo positivismo, il cognitivismo, la psicanalisi, l’approccio storico-culturale,
l’approccio interattivo-costruzionista e oggi le neuroscienze e la psicologia culturale.
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Comportamentismo: (Watson 1913). È stata la prima vera scuola della psicologia
(1879) ed esiste ancora, anche se ci sono altre prospettive. L’organismo vine modellato
e plasmato dall’ambiente e tende a ripetere i comportamenti che hanno avuto
conseguenze soddisfacenti (rinforzo positivo) ed eliminare quelli spiacevoli (rinforzo
negativo). Metodo d’indagine: osservazione e sperimentazione. Ci sono poi altre 2
correnti, quella più estrema comportamentismo radicale, influenzata dalle idee di
Snkinner, secondo cui lo sviluppo è una lunga sequenza di esperienze di
apprendimento, che è regolato da due fondamenta li processi, il condizionamento
classico e il condizionamento operante. L’altra è più recente e meno radicale e si ispira
alla teoria dell’apprendimento sociale di Bandura che sostiene che l’apprendimento
derivi anche dall’osservazione senza rinforzo. (apprendimento per osservazione); egli
crede anche in alcuni rinforzi intrinseci che non dipendono dall’esterno., da un ruolo al
bambino, quello di organizzare e interpretare le informazioni provenienti dall’ambiente.
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Empirismo logico-neo positivismo: scienze dei fenomeni misurabili e osservabili, si
definiscono così i comportamenti e le condotte delle persone negli ambienti in cui
vivono, attraverso relazioni di stimolo-risposta. L’uomo viene visto come un soggetto
che ha condotte in forte connessione con l’ambiente, si ha una visone un po’
meccanicistica ( emette delle risposte in base agli stimoli che vengono prodotti).
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Cognitivismo: (Neisser, anni ’60). I processi cognitivi diventano l’oggetto di ricerca. La
mente dell’uomo è il suo mondo interiore, quindi non può essere osservabile, e viene
paragonata con il computer che elabora le informazioni. Il soggetto è soggetto attivo
con delle variabili. La relazione cognitiva accordo la ricerca in laboratorio ed elaborano
dei modelli grazie alla ricerca. Oggetto di questa è l’emozione, che viene vista come un
fenomeno complesso in cui la componente cognitiva è importante. Le emozioni
provengono proprio dalla valutazione cognitivista degli eventi. Con il cognitivismo
diventano di uso le parole modello, rappresentazione e schema mentale. (modello
evolutivo dello sviluppo della comprensione delle emozioni nei bambini).
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Psicanalisi: (Freud 1900/05) Freud propone le basi del pensiero psicanalitico e della
psicanalisi come teoria, scuola. Questa nasce dall’insoddisfazione di F per le spiegazioni
scientifiche e forme di disagio psicologico. F concepisce una spiegazione che tiene conto
anche dei fattori interni e non solo quelli fisico-organici e pensa che ciò che diventiamo
fa i conti con la nostra storia infantile e affettiva (primi anni di vita sono importanti). Se
per il cognitivismo contano i processi di pensiero (memoria e apprendimento), la
psicanalisi pone al centro la ricerca dello sviluppo psico-affettivo. Da importanza ai
conflitti interni (amore e odio, unione e separazione). Non si sofferma sulle cause e gli
effetti del comportamento, quanto sulla ricostruzione della storia personale degli
individui per cercarne i nessi significativi. Metodi di indagine a minimo controllo (al
contrario dei due sopra), come osservazione naturalistica, colloquio clinico.
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Approccio storico-culturale: (Vygotskij “pensiero e linguaggio 1934). V è interessato
agli effetti che i prodotti culturali hanno sui processi del pensiero, per esempio
alfabetizzazione e scrittura che favoriscono la nascita del pensiero critico. L’uomo crea
con la sua intelligenza dei prodotti culturali e l’uso di questi è molto importante, perché
pone al centro la cultura e le sue pratiche.
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Approcco interattivo-costruzionista: (costruzionismo, Piaget, Bruner, Schaffer).
L’idea di fondo è che non esista sviluppo senza interazione, anche quella adultobambino, che consente lo sviluppo del linguaggio. Bruner ha contribuito a cambiare i
paradigmi della ricerca e ha fatto ricerche sullo sviluppo comunicativo e linguistico dei
bambini e ha collegato lo sviluppo del linguaggio a quello comunicativo nei termini di
interazione madre-bambino.
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Neuroscienze e psicologia culturale: oggi l’approccio allo sviluppo è portato avanti
da queste che fanno propria la teoria di Vygotskij.
Differenze individuali nello sviluppo:
All’interno dello sviluppo sono individuabili alcune differenze individuali secondo teorie
classiche, come le concezioni stadiali, come Piaget e Freud, dello sviluppo cognitivo e
affettivo. Gli stadi offrono utili criteri di riferimento, anche se la validità di questa
concezione è ora fortemente dibattuta. Le differenze individuali intese sia come
interindividuali (individui diversi) sia come intraindividuali ( stesso individuo), possono
essere spiegate se si considera la complessa interazione tra fattori maturativi e ruolo
dell’ambiente, dell’apprendimento e dell’istruzione, in quest’ottica le differenzi vengono
viste anche come meccanismo che contribuiscono alla costrizione delle capacità che si
sviluppano. Queste si manifestano in diversi aspetti dello sviluppo. Alcuni psicologi hanno
analizzato le differenze nel temperamento, altri hanno analizzato differenze nel linguaggio.
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Il temperamento è lo stile di comportamento di un individuo quando interagisce
con l’ambiente. È stata fatta una ricerca longitudinale che ha mostrato che ciascun
individuo è dotato di caratteristiche temperamentali che persistono dall’infanzia fino
all’età adulta (basso o alto livello di attività). Secondo Chess e Thomas ciò che conta
è la compatibilità tra le caratteristiche temperamentali del bambino e quelle del
genitore (livello simile ok, livelli diversi no ok).
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La popolarità di alcuni ragazzi rispetto ad altri è caratterizzata da forti differenze
individuali. Aspetto all’aspetto esteriore e le dimensioni fisiche, conta molto il
comportamento. Ragazzi popolari hanno un comportamento più positivo con gli altri,
per questo piacciono, cercano di dare una mano e non sono aggressivi.
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Il linguaggio e il ritmo di acquisizione di questo. La precocità di alcuni bambini e
la lentezza di altri è nella norma, chi parla più tardi di un altro bambino (per
esempio 20 mesi) non dimostrerà poi un ritardo nel linguaggio. La precocità spesso
si associa a variabili sociodemografiche.
La ricerca psicologica
l’obiettivo della ricerca psicologica e rispondere alle domande. Esistono due tipi di metodi di
indagine: la ricerca longitudinale e la ricerca trasversale.
La ricerca longitudinale: è la miglior ricerca per definizione. Studia il cambiamento nel corso
del tempo e consiste nell’avere soggetti che vengono seguiti e studiati nel tempo per
approfondire degli aspetti particolari (irritabilità, frustrazione, sopportazione del dolore ecc). Lo
stesso gruppo viene osservato e valutato per un periodo di tempo. Con questa ricerca è
possibile vedere le modificazioni anche il relazione al rapporto madre/bambino. Viene fatto su
un gruppo (gruppo di ricerca) e può durare anche diversi anni (a breve e a lungo termine)
Vantaggi: la ricerca permette la non monitorizzazione, consente di seguire lo sviluppo
individuale nel tempo e di rispondere a domande sulla stabilità del comportamento indagato.
Svantaggi: è costosa e c’è il rischio di perdere i soggetti nel corso del tempo, difficoltà di
confusione tra i cambiamenti legati all’età e quelli di tipo sociale e storico che si verificano nel
corso della ricerca.
La ricerca trasversale: vengono presi nel tempo soggetti di età diverse e si effettua su
persone e bambini di differenti età per constatare la differenza nello stesso momento, senza
valutare i cambiamenti individuali. Si giunge a dei valori in media. Vantaggi: è veloce, facile da
replicare e meno costosa. Svantaggi: non si evidenziano cambiamenti personali perché viene
osservato un unico momento temporale.
Metodi di ricerca
Ci sono tre metodi di ricerca: l’esperimento, l’osservazione e la ricerca quasi sperimentale e
correlazionale.
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L’esperimento: c’è l’intervento attivo del ricercatore che non solo osserva, ma
modifica l’ambiente, talvolta lo produce intenzionalmente. Massimo intervento del
ricercatore sul fenomeno. Il ricercatore predispone una situazione in cui ci sono note le
variabili, alcune le manipola sistematicamente applicando anche un controllo (variabili
indipendenti) e rileva se la modificazione influenza in qualche modo il comportamento
indagato (variabile dipendente). Con la ricerca sperimentale si arriva a stabilire una
relazione causa-effetto e si fa un’analisi della relazione tra le variabili in risposta alla
manipolazione. Un gruppo sperimentale viene sottoposto alla manipolazione della
variabile indipendente, l’altro, il gruppo di controllo, non riceve nessun trattamento o
uno diverso. Se i cambiamenti si rilevano solo nel gruppo sperimentale allora l’ipotesi
viene confermata, altrimenti viene rifiutata.
Esso quindi si caratterizza per la manipolazione e il controllo delle variabili e per
l’assegnazione casuale dei soggetti ai gruppo sperimentali e di controllo. Può essere in
laboratorio o ambiente naturale. Vantaggi: messa in rilievo delle relazioni causa effetto
tra variabili e può essere replicato per conferma o disconferma. Svantaggi:
l’osservazione può portare i soggetti a comportarsi in maniera diversa che nella vita
reale. I risulatiti possono difficilmente essere generalizzati. La generalizzabilità
corrisponde alla validità esterna della ricerca non sempre efficace, mentre di solito si ha
una buona validità interna.
-
La ricerca quasi sperimentale e correlazionale: In alcuni casi non è possibile
manipolare le variabili indipendenti o assegnare i soggetti casualmente (es:
maltrattamento, malnutrizione, assenza della madre..), ma si cercano soggetti che
abbiano presente questa variabile. Questi sono disegni quasi-sperimentali nei quali si
confrontano gruppi la cui composizione non è casuale. (bambini inseriti precocemente
all’asilo nido e allevati in famiglia per studiare il modo in cui sviluppano il linguaggio). Il
disegno correlazionale permette di misurare il grado si associazione tra variabili senza
manipolarle sperimentalmente e quindi senza distinguere i due gruppi (sperimentale e
di controllo) e si usa quando non è possibile individuare gruppi che differiscono per
l’aspetto che interessa il ricercatore o si è interessati a descrivere il rapporto tra due
due variabili (cambiamenti in una corrispondono ai cambiamenti nell’altra). l’uso di
disegni correlazionali ha scopo descrittivo e non permette la relazione causa effetto.
-
L’osservazione: Minimo intervento del ricercatore, che osserva senza intervenire. Con
l’osservazione si seleziona un fenomeno degno di interesse e raccoglie informazioni su
di esso nel modo più completo e accurato. È un’attività complessa e impegnativa,
soggetta a distorsioni ed esposta a rischi della soggettività del ricercatore. Avviene la
descrizione delle relazioni esistenti tra le variabili senza la manipolazione, questo
permette quindi di osservare un comportamento spontaneo, non alterato dalla
manipolazione. Questa può essere condotta in modi diversi a seconda dell’ambiente
che può essere naturale o artificiale (laboratorio) e della situazione che può essere
strutturata o non strutturata. Dall’incrocio di questi aspetti si possono ricavare 4 tipi
di studi:
o
Se l’ambiente è naturale e di vita quotidiana si hanno gli Studi sul campo, più
o meno strutturati da interventi del ricercatore;
o
Se l’ambiente è artificiale si hanno le Osservazioni in laboratorio, più o meno
strutturate.
o
Strange situation se si ha l’ambiente artificiale e lo studio strutturato.
L’ambiente artificiale, quindi, non è essenzialmente legato allo studio strutturato, così
come l’ambiente naturale non è necessariamente legato allo studio non strutturato.
Esistono poi due tipi di osservazione:
-
Osservazione naturalistica: condotta in ambiente naturale e ha il minimo
grado di controllo sull’oggetto di studio. Questa viene usata con l’approccio
etologico che da molta importanza al fatto che non ci sia influenza sul
comportamento del bambino, che può essere osservato nella sua spontaneità
(l’osservatore si maschera e passa inosservato).
-
Osservazione controllata: costata in ambiente naturale strutturato o
laboratorio e ha un medio/alto livello di controllo sull’oggetto di studio.
Manipolazione sulla variabile indipendente. Ci sono obiettivi descrittivi e può
essere guidata dalla formulazione di ipotesi che il ricercatore deve verificare.
Ci sono 3 fasi di osservazione:
1. selezione del fenomeno da osservare
2. registrazione del fenomeno individuato
3. codifica dei dati registrati.
É importante in queste fasi individuare le fonti di errore di cui il ricercatore deve essere
consapevole:
-
la reattività controllata in presenza del ricercatore,
-
l’innaturalità dei comportamenti
-
il fatto che determinati comportamenti possano dipendere da condizioni
psicofisiche e da capacità personali
-
il fatto che i ricercatori possano influenzare
aspettative e facendo commenti valutativi
-
adozione da parte dei ricercato di schemi di codifica troppo complessi e difficili
da applicare.
l’osservazione
formulando
Altri metodi di ricerca sono interviste e questionari, utilizzabili per interrogare i bambini sulle
proprie idee, esperienze, motivazioni e anche gli adulti. Attuabile solo con bambini sopra i 7-8
anni e c’è da tenere conto la possibile resistenza da parte di adolescenti di rispondere. Esistono
questionari a domande chiuse (strutturati) o aperte.
Capitolo 2: LO SVILUPPO FISICO E MOTORIO
Lo sviluppo prenatale
Sono i 9 mesi di vita del bambino passati nella pancia della madre.il feto è esposto a una serie
di fattori ambientali a causa dello stretto rapporto con l’organismo materno nella vita
intrauterina, oltre che al patrimonio genetico dei genitori. Attraverso il sangue della madre
passano nutrimento, ossigeno ma anche agenti che possono lasciate tracce sullo sviluppo
successivo ( sostante chimiche, virus). Oggi si sa molto sugli agenti teratogeni, quei fattori
ambientali che causano un danno congenito nell’embrione e nel feto. Questa fase si divide in
periodo embrionale e fetale.
-
Periodo embrionale: dalla terza all’ottava settimana di vita intrauterina. È un periodo
delicato, a rischio di aborti spontanei, nel bambino c’è la divisione e specializzazione
cellulare che sa origini a diverse regioni corporee e a tessuti specializzati. È il periodo di
più rapida crescita nell’intera vita umana. È il periodo per fare la billocentesi.
-
Periodo fetale: dalla nona settimana alla fine della gestazione. Il corpo del bambino si
proporziona (la testa in particolare che fino a quel momento era grande al resto del
corpo ne diventa un quarto, e si formano bene gli organi esterni. Fin dal quarto mese la
madre può avvertire i movimenti del bambino e se ne può sentire il battito del cuore
(con l’ecografia). Fino al 5 mese non potrebbe vivere senza la connessione alla
placenta, anche se è formato. Dopo i 5 mesi la pelle è formato, anche con peli e unghie
e il feto sa chiudere e aprire gli occhi. È il periodo dell’amniocentesi per vedere possibili
malformazioni genetiche. Il feto si posiziona con la testa verso il basso per occupare
meglio lo spazio. Tra 26 e 28 settimane il feto oltrepassa la linea che separa la
sopravvivenza e la morte in caso di nascita prematura.
La nascita
La gravidanza dura 40 settimane in media e il bambino viene al mondo con le competenze
necessarie per vivere nell’ambiente extrauterino. Si trova ad affrontare, pero’, dei compiti
nuovi: respirare ossigeno da solo (ossigenazione autonoma mette subito i polmoni evitando
così un’ipossia) , nutrirsi per la sua bocca e abituarsi a una temperatura non più del tutto
regolare. Nel corso della gravidanza il feto si prepara a rispondere anche allo stress della
nascita producendo livelli elevati di ormoni dello stress che consentono un’importante
protezione dalle situazione sfavorevoli, il passaggio dalla vita intrauterina a quella extrauterina
richiede un adattamento degli organi. È per questo importante porre grande importanza ai
bisogni per uno crescita e uno sviluppo ottimale (tra cui buona rapporto madre-bambino e
precoce attaccamento al seno).
Parlando di crescita del neonato, si parla sia di crescita legata alla moltiplicazione cellulare che
determina l’aumento di volume dell’organismo, sia il processo di differenziazione e sviluppo
delle diverse funzioni corporee e psichiche. La crescita è anche asimmetrica, nel senso che ci
sono periodi di crescita più rapida rispetto ad altri (età del lattante e pubertà sono i più veloci,
sia a livello fisico che neurologico).

Velocità di crescita pre-natale: è massima nei primi 6 mesi di gravidanza, insieme
all’accrescimento staturo-ponderale si modificano le proporzioni corporee.

Velocità di crescita post-natale: questa viene suddivisa in fasi il periodo neonatale
(nascita-28 giorno di vita), prima infanzia (0-3 anni), seconda infanzia (3-5/6 anni),
terza infanzia (7-10 anni), preadolescenza (11-13 anni), adolescenza (13- 19
anni), giovane età adulta (+19). Il cambiamento delle caratteristiche fisiche
misurabili con esattezza (peso, altezza, circonferenza cranica ecc..) possono essere
descritte in media e cambiano da bambino a bambino.
L’alimentazione ha un ruolo molto importante per una crescita equilibrata.
Il neonato quando nasce ha limitazioni e caratteristiche e il suo repertorio si distingue in
termini di postura (posizione del capo e degli arti su pino)e movimenti riflessi. Questi
movimenti sono tipici del neonato, ma dopo i primissimi mesi di vita devono scomparire.
Questo sono movimenti riflessi di:

Rotazione del capo: se viene toccato sulla guancia gira la testa prima verso il lato
stimolato e poi verso l’altro lato;

Suzione: quando la bocca è a contatto con qualcosa inizia a succhiare (importante per
il nutrimento, la suzione del seno);

Moro: con un rumore forte o per una stimolazione sulla schiena produce contrazione
dei muscoli dorsali e un movimento delle braccia in avanti (abduzione e estensione degli
arti);

Babinsky: prodotto in relazione allo strofinamento della piante del piede che apre e
chiude le dita;

Presa: chiusura della mano quando gli viene toccato il palmo;

Marcia automatica: quando viene posto verticalmente muove i piedi e le gambe in
senso di cammino;

Ammiccamento: se c’è una fonte luminosa chiudere gli occhi.
Già nelle prime fasi di sviluppo il sistema nervoso è capace di produrre spontaneamente
movimenti ritmici o fasici, il neonato quindi reagisce agli stimoli ed è capace di produrre
spontaneamente movimenti autogenerati.
Il neonato è considerato soggetto competente e attivo dalla concezione neurofisiologica
moderna (non più come un insieme meccanico di sistemi isolati che devono essere stimolati,
secondo la concezione neurofisiologica classica) in quanto collabora alla nascita e mostra di
possedere una segnalazione sociale primaria (il pianto), è quindi “attrezzato” alla sua
sopravvivenza. Si parla di intrasoggettività primaria per parlare di quella competenza
comunicativa che aiuta l’interazione madre/padre-bambino.
Il neonato è in grado di estrarre informazioni dall’ambiente che lo circonda tramite i suoi
recettori sensoriali: vista, udito, odorato, gusto e tatto. La maggior parte di ciò che il neonato
è capace di percepire dipende dal suo stato, Prechtl distingue 5 diversi stati di coscienza :
sonno profondo, sonno attivo, veglia tranquilla, veglia attiva, pianto e irrequietezza (si ripetono
ciclicamente). Il miglior stato per stabile uno scambio sociale con il bambino è quello di veglia
tranquilla, dopo essere stato nutrito.
Sviluppo motorio
La teoria classica (Gesell e Amatruda) ipotizza una relazione causale tra lo sviluppo di nuove
strutture neuroanatomiche e la comparsa di nuove abilità motorie. Con la maturazione del
sistema nervoso i comportamenti controllati dai centri sottocorticali passano sotto il controllo di
strutture corticali più evolute. Lo sviluppo motorio ha delle “leggi” ritenute invariabili, la più
importante è la legge della progressione cefalocaudale (controllo del capo prima degli arti) e
prossimo-distale.
Questo modello è stato criticato negli anni perché troppo semplice, quando lo sviluppo motorio
è in realtà molto complesso. Secondo l’approccio Hip lo sviluppo delle funzione corrisponde
alla costruzione di un sistema gerarchico di routine, schemi e rappresentazioni che diviene più
complesso con la crescita e la ricezione degli stimoli esterni (mente umana come computer).
Secondo la teoria dei sistemi dinamici lo sviluppo motorio del bambino è dovuto maggiormente
all’interazione di diversi sistemi (fattori intrinseci al sistema nervoso, fattori ambientali e
caratteristiche biomeccaniche dell’individuo). L’acquisizione di una nuova condotta dipende
quindi dalla cooperazione tra i diversi sottosistemi che contribuiscono a quella specifica
condotta. Secondo coloro che appoggiano le teorie dei sistemi dinamici la scomparsa della
marcia automatica e la ricomparsa nei mesi successivi è dovuta a fattori fisici, nel lattante la
forza dei muscoli delle gambe non è più sufficiente a sostenere il peso del corpo.
Nel corso dei primi due anni di vita il bambino conquista le principali abilità motorie:

Tendenza del bambino a raggiungere una maggiore mobilità (gattonaggio);

Tendenza a conquistare la posizione eretta (mani libere per toccare).
Lo sviluppo posturale
Si possono delineare delle tappe tramite le quali il bambino arriva ad ottenere una posizione
eretta. Ci sono tappe comuni a tutti i bambini (con possibile variazione di mesi), ma anche
alcune “individuali” o che possono essere “saltate”, - gattonaggio-). Età:
1. sollevamento del mento (da sdraiato sul ventre)
2. sollevamento del torace “ “
3. allungamento delle braccia tentativo invano di afferrare
4. capacità di stare seduto con l’aiuto
5. capacità di stare seduto in grembo e di afferrare gli oggetti
6. capacità di stare seduto sul seggiolone e fare cade gli oggetti (diventa un gioco)
7. capacità di stare seduto solo
8/9. inizio gattonaggio (con in tutti i bambini, ci sono anche varie modalità, come lo
strisciare o il muoversi da seduti con il sedere)
9. capacità di gattonare bene
10/11. capacità di tirarsi in piedi e movimento a costiera (appoggiato su tavolini o
mobiletti)
11/12. capacità di stare in piedi solo
12. capacità di camminare con aiuto
13. capacità di camminare solo.
La conquista della deambulazione provoca una forte euforia nel bambino, seguita da una fase
di scoraggiamento quando si accorge che camminando può anche cadere.
Lo sviluppo della prensione
Nel corso del primo anno di vita si sviluppa un’altra abilità motoria, la manipolazione. Circa al 2
mese di vita il bambino comincia a sviluppare la prensione, che si differenzia dal riflesso di
presa perché è volontaria. Il bambino si tende verso un oggetto e lo afferra. Si possono
distinguere 3 tipi di avvicinamento che corrispondono all’utilizzazione delle 3 articolazioni
interessate: spalla, gomito e mano.

A 5/6 mesi: All’inizio c’è solo l’articolazione della spalla, mentre la mano rimane fissa
rispetto all’avambraccio

A 7/8 mesi: l’articolazione del gomito consente lo spostamento dell’avambraccio e della
mano avanti e indietro.

Da 8 mesi in poi: le tre articolazioni sono coordinate tra loro e consentono alla mano di
arrivare direttamente all’oggetto.
Il gesto della prensione anche attraversa un processo di evoluzione:

Prensione cubito-palmare: l’oggetto viene afferrato dalla parte cubitale della mano
(sotto il mignolo) senza l’utilizzo del pollice;

Prensione digito-palmare: l’oggetto viene condotto verso il palmo e afferrato
utilizzando tre dita insieme, pollice, indice e medio;

Prensione radio-digitale: l’oggetto viene posto sotto l’indice e la prensione implica
l’opposizione fra pollice e indice. (pag 53).
Lo sviluppo di afferrare le cose è motricità fine. Inizialmente non c’è differenziazione della
funzione delle dita, poi inizia a differenziare l’uso del pollice, più in là dell’in là dell’indice e del
medio. Intorno al primo anno di vita i bambini si esercitano a prendere oggetti piccoli tra
pollice e indice.
Dopo che ha imparato ad afferrare l’oggetto e a trattenerlo in mano, il bambino deve imparare
a lasciarlo andare. All’inizio perde semplicemente l’oggetto perché la mano si apre
involontariamente (calo di attenzione e quindi spostamento delle energie). Già tra i 6 e 8 mesi
il bambino impara a lasciar andare l’oggetto volontariamente (gioco con un adulto di far cadere
il gioco affinché gli venga ripreso). Durante il primo semestre di vita quando il bambino ancora
non si muove autonomamente sono importanti la prensione e la manipolazione, perché queste
gli permettono di entrare in contatto con l’ambiente circostante e il bambino può provocare
trasformazioni e non limitarsi a contemplare visivamente gli oggetti senza intervenire su
questi.
Ogni bambino ha ovviamente il proprio ritmo e vengono a delinearsi molte differenze nel modo
in cui avviene lo sviluppo motorio, per questo è andato in crisi il tradizionale modello
maturativo. Molto importanti sono anche le esperienze fatte dal bambino, le sue motivazioni e
le sollecitazioni ambientali.
Lo sviluppo puberale
In questa fase il corpo attraversa nuovamente un periodo di grandi cambiamenti. La pubertà
è un segnale biologico che segna il passaggio dalla condizione di bambino alla condizione di
preadolescente e adolescente. Ci sono cambiamenti fisici, somatici, corporei, psicologici e
ormonali e segnano una rottura e non una continuità.
Nella fase prepuberale iniziano a manifestarsi le prime modificazioni corporee (arrotondamento
forme e aumento di peso) e il corpo è molto importante nella pubertà. Le due modificazione,
cha accomunano prima femmine e poi maschi, sono lo scatto della crescita e lo sviluppo
degli organi sessuali.
La crescita non è più graduale, ma forte e improvvisa, aumenta il peso, c’è una modificazione
della massa muscolare e un ingrandimento degli organi interni. Nelle femmine le modificazioni
fisiche sono lo sviluppo del seno, comparsa dei peli pubici, arrotondamento dei fianchi,
menarca (primo ciclo mestruale). Nei maschi le modificazioni fisiche visibili sono la crescita dei
testicoli e del pene, la comparsa dei peli pubici, la modificazione nella voce, la prima
eiaculazione e la crescita della barba.
Nelle successive fasi postpuberale e tarda adolescenza i mutamenti sono meno evidenti e
proseguono portando a compimento la diffusione della peluria, lo sviluppo dei tessuti
sottocutanei e lo stabilizzarsi della forza muscolare.
Nello sviluppo puberale esiste un’ampia variabilità individuale dovuta a fattori genetici e
ambientali. Nelle società moderne è stata constata un’anticipazione dell’inizio della pubertà di
3-4 anni, questi cambiamenti avvengono prima, c’è un’anticipazione della pubertà
(biologicamente) e un’adolescenza più lunga (mentalità dell’adolescente, fatica ad assumersi
delle responsabilità). Un’adeguata alimentazione, una maggior igiene anticipano la crescita
biologica, affiancata dalla crescita “mentale” precoce dovuta a una componente culturale, come
la televisione. Per le femmine l’anticipazione della pubertà può provocare qualche piccolo
problema, come un arrivo precoce del menarca, un forte sviluppo corporeo che non
corrisponde o corrisponde a quello psicologico. Questo può portare a problemi di
internalizzazione (depressione e disagio, problemi alimentari) e esternalizzazione
(comportamenti devianti), quando una ragazza matura prima si sente “fuori posto” e ha
esigenze diverse nei confronti dei coetanei. Anche uno sviluppo ritardato può provocare simile
disagio, specialmente nei ragazzi, dove uno sviluppo precoce non rappresenta un problema.
(off time hypothesis)
Questi forti cambiamenti mettono alla prova la capacità di adattamento dell’adolescente
introducendo il problema di confronto con i coetanei in un’età in cui le qualità fisiche
rappresentano una grande fonte di valutazione. È importante l’accettazione del proprio corpo
(che riveste un ruolo molto importante) per la costruzione del proprio sé, una poca
accettazione provoca un disagio psicologico (l’adolescente che non si accetta può tendere alla
manipolazione del corpo con tatuaggi o piercing per renderlo più bello). Per questo è
necessario un processo di mentalizzazione del corpo, quindi una riflessione su di esso a cui
viene assegnato un significato relazionale, sociale, sentimentale, erotico, generativo ed etico
(complessità del rapporto mente-corpo). C’è spesso la paura di apparire brutti nei confronti dei
coetanei, dismorfofobia, che può portare a malattie fisiche e psicologiche.
Capitolo 3: LO SVILUPPO PERCETTIVO
La percezione storicamente è il primo ambito di ricerca psicologica (annu ’20, ’30, ’40)
affrontato dalla psicologia generale. Gli organi di senso forniscono informazioni essenziali sulla
realtà che ci circonda e permettono di percepire i sapori, gli odori, i suoni, gli oggetti ecc... Il
modo in cui non percepiamo non è una semplice registrazione della realtà. Ma
un’organizzazione dinamica e significativa dei dati della realtà. La percezione consente di
analizzare, selezionare, coordinare, organizzare coerentemente e significativamente i dati. Si
distingue così la percezione dalla sensazione.
La sensazione è l’effetto oggettivo e immediato provocato dagli stimoli sui diversi apparati
dell’organismo (quelli di senso); è un processo attraverso cui le informazioni dell’ambiente
vengono recepite dai recettori sensoriali e trasmesse al cervello.
La percezione è invece un processo attivo e dinamico di elaborazione degli stimoli sensoriali
che procede attraverso l’analisi, la selezione, il coordinamento e la elaborazione delle
informazioni. È un’operazione mediante la quale ognuno di noi si mette in contatto con il
mondo esterno attraverso una personale e soggettiva interpretazione degli stimoli che
provengono dal mondo esterno. Percepire significa acquisire consapevolezza della realtà
fenomenica per mezzo di sensazioni che vengono dai diversi organi di senso, attraverso i quali
si conosce il mondo esterno.
I neonati sono dotati di capacità sensoriali e sono in grado di rispondere a stimoli luminosi,
acustici e di reagire a sollecitazioni tattile e gustative. Helmhotltz aveva la concezione del
neonato come tabula rasa, ma già all’inizio del ‘900 è stata proposta un’altra prospettiva
basata sull’idea che la strutturazione percettiva della realtà contenga elementi già organizzati
a cui l’essere umano è predisposto e che può cogliere in modo immediato grazie alla dotazione
naturale. Grazie poi all’esplorazione e all’esperienza, il bambino scopre sia le caratteristiche
permanenti di ciò che lo circonda sia le proprietà transitorie di oggetti e di persone.
Un eccitamento del SNP (sistema nervoso periferico) fa si che vangano trasmessi mediante
sequenze di messaggi nervosi da una sede alla corteccia celebrale (SNC sistema nervoso
centrale) dove c’è l’elaborazione e la codificazione. Attraverso questo processo si crea uno
stato psichico che corrisponde a una percezione della realtà ambientale. La realtà percepita è
fenomenica, appare al singolo soggetto e può essere diversa dalla realtà fisica (illusioni ottiche
o sonore, allucinazioni). È una realtà in parte rielaborata personalmente.
Principali teorie dello sviluppo percettivo:
-
TEORIA INNATISTA: Gestalt è una scuola psicologica che si crea negli anni ’30 ’40 e
significa “costruzione”. Questa scuola elabora una teoria che ha alla base una teoria
innatista, quindi l’idea che sin dalla nascita si abbia una cerca predisposizione ad
organizzare dati fenomenici secondo certe e precise regole. I dati che arrivano a colpire
i sensi vengono organizzati e questa organizzazione segue regole precise. I gestaltisti
svolgono ricerche su questa teoria.
-
TEORIA EMPIRISTICA: Hebb, anni ’50 ’60 Gli empiristi ritengono che noi impariamo ad
organizzare il mondo grazie all’esperienza e all’apprendimento e che non sia già tutto
dato.
Gli psicologi dello sviluppo che si sono occupati di percezione sono Piaget e Bruner:
-
Piaget: percezione subordinata a cognizione, capacità percettive del bambino legate allo
sviluppo cognitivo del bambino nei vari stadi
-
Bruner: percezione in relazione a una funzione psicologica che aiuta i processi cognitivi
del bambino ( e viceversa).
Oggi studi della percezione legati alle neuroscienze.
Qualche decennio fa Spitz descriveva il bambino fino a 3 mesi come immerso in un universo
indifferenziato e capace di rispondere agli stimoli esterni solo in funzione di una percezione
introcettiva. Ora quest’immagine è pero’ stata superata dalle recenti ricerche, a partire da
quelle sulle percezione gustative e olfattive.
Percezione gustativa e olfattiva
Il neonato è sensibile a diverse stimolazioni che lo raggiungono tramite i recettori che gli
permettono di percepire anche odori e sapori. Queste due capacità hanno importanza per la
nutrizione e per il ruolo di mediazione nella relazione con l’adulto che si prende cura del
bambino.
La sensibilità gustativa è stata oggetto di molte ricerche che hanno subito chiarito il fatto
che i neonati siano in grado di manifestare figurazioni facciali differenti a seconda dei sapori
piacevoli (espressioni di soddisfazione e gradimento) o sgradevoli (espressioni di disgusto e
irritazione). Lo si capisce anche grazie alla capacità di suzione.
La sensibilità olfattiva appare ben sviluppata alla nascita, matura già nella fase fetale. Il
neonato reagisce subito ai diversi tipi di odore (ammoniaca, anice, acido acetico) e lo si capisce
sempre dalle diverse configurazioni facciali. Una particolare risposta è stata rilevata nei
confronti dei segnali olfattivi di riconoscimento nei confronti del latte della madre (prova del
cotone).
Percezione uditiva
L’orecchio è un organo che riceve dall’esterno l’onda sonora. La conformazione anatomica
dell’organo recettore non presenta grandi differenze rispetto a quello dell’adulto, anche se le
dimensioni sono diversi; l’area corticale di percezione uditiva continua a svilupparsi negli anni.
Le ricerche su questa percezione dimostrano che i neonati sono reattivi ai suoni dopo la nascita
e orientino lo sguardo verso un suono ritmico (percezione uditiva precoce). Si è anche
dimostrata la capacità di discriminare suoni umani da altri suoni.
È stato anche dimostrata una preferenza per la voce materna dallo studio di Fifer e
DeCasper, da cui è emerso che i bambini dopo aver ascoltato per ore la voce materna,
ascoltano sia la voce materna che quella di una donna sconosciuta e preferiscono e
riconoscono quella materna (attraverso i movimenti di suzione non alimentare). Gli autori
ipotizzano un apprendimento prenatale e oggi si sa che i suoni possono raggiungere il feto
provocando risposte motorie e modificazioni del ritmo cardiaco a partire dalla 20 settimana. Lo
stimolo uditivo viene già percepito nella fase fetale per questo discriminano e preferiscono la
voce materna (anche storia o melodia già ascoltata). La voce paterna non viene discriminata,
quindi si pensa che la particolarità della voce materna sia il fatto che venga sentita e
trasmessa internamente ed esternamente (il feto non discrimina la voce della mamma
registrata, che quindi non proviene dall’interno).
Percezione visiva
L’imperfezione del sistema visivo del neonato dipende dalla macula lutea, nella retina, che non
è ancora maturata e impedisce la visione centrale. L’acuità visiva non è completamenti
sviluppata, alla nascita è solo di 20 cm, poi migliora e diventa adeguata intorno al 4 mese. I
movimenti oculari consentono l’ispezione visiva dell’ambiente e sono governati dalal zona
motoria corticale che alla nascita appare sufficientemente sviluppata e così il neonato può
compiere i movimenti coniugati che consento un’ampia esplorazione del campo visivo in
direzione orizzontale e può compiere anche movimenti di inseguimento (visione in profondità).
Il riflesso pupillare rivela che il neonato è sensibile alle diverse intensità degli stimoli visivi; la
coordinazione e la convergenza indispensabili per la messa a fuoco degli stimoli e per la
percezione della profondità cominciano a comparire anche poche ore dopo la nascita.
Entro i 3 mesi si verifica un forte miglioramento poiché con lo sviluppo della visione binoculare
si definisce la capacità di mettere a fuoco gli oggetti con entrambi gli occhi.
I neonati hanno la percezione cromatica fin dal primo mese di vita discriminano rosso
confrontato con blu e verde e a 3 mesi hanno una visione tricomatica perché differenziano le 3
tonalità.
Per i neonati si può parlare di attenzione selettiva e fissazione perché, anche a meno di
una settimana, interrompono la suzione se qualcosa li incuriosisce e inseguono oggetti grandi
in movimento con lo sguardo e preferiscono stimoli curvilinei concentrando la propria
attenzione sui contorni soprattutto se gli stimoli sono più strutturati e complessi che uniformi e
semplici (PARADIGMA DELLA PREFERENZA DI FISSAZIONE). Le capacità attentive si coniugano
con quelli di fissazione dando luogo a un’attenzione focalizzata che consente di elaborare le
informazioni dell’ambiente. Questa diventa importante dato che rappresenta un parametro
attraverso cui viene studiata l’attività cognitica nelle prime fasi di vita (direzione dello sguardo
e tempi di fissazione del neonato per esplorare uno stimolo sono indicativi di un’attività
cognitiva che seleziona, elabora e immagazzina le informazioni). I piccoli sono attratti dalla
novità dello stimolo e dalla sua complessità, anche se troviamo delle differenze individuali nelle
strategie utilizzate per selezionare ed elaborare l’informazione fornita dallo stimolo
(PARADIGMA DELLA ASSUEFAZIONE-RECUPERO, anche quando le cose vengono riproposte
dopo diverso tempo, quindi riconoscono la diversità degli stimoli). (es: short-lookers, tempi di
reazione brevi da aspetti generali a aspetti particolari, e long-lookers esame elemento per
elemento).
L’attenzione obbligatoria è il fatto che i bambini, nei primi mesi, sembrano così attratti da uno
stimolo da non riuscire a distogliere lo sguardo, fissano qualcosa a lungo e sembrano anche
interessati. Le ricerche hanno dimostrato che in realtà questo implica una difficoltà a
distogliere lo sguardo e fissano qualcosa a causa dell’imperfetta coordinazione tra sistema
oculomotorio e sistema attenzionale o per immaturazione neuronale.
“Camera di Fantz” Fantz negli anni ‘50/’60 svolse molte ricerche sul neonato e creò questo
dispositivo di ricerca che consente al ricercatore di capire dove il bambino pone la sua
attenzione, grazie all’immagine riflessa nella cornea secondo la metodica della “tecnica di
riflessione corneale”.
La preferenza del volto. Secondo Schaffer esiste una predisposizione iniziale per il volto
umano che stimola l’attenzione selettiva del neonato, perché possiedono una serie di
caratteristiche a cui l’apparato percettivo infantile è predisposto. In particolare il volto della
madre. I visi hanno una “struttura schematica” e per questo il bambino li preferisce, anche
solo la sagoma di questo, con dei puntini per gli occhi, piuttosto che un volto disorganizzato o
una sagoma vuota. I contorni del volto sono marchiati e nitidi (esplorati dal bambino già a un
mese di vita), il volto è simmetrico ed è anche una sorta di predisposizione a scegliere ciò che
è utile per predisposizione (genitori utili per la sopravvivenza). A 2 mesi l’attenzione si
focalizza su un numero più elevato di elementi sia interni che esterni e preferiscono da subito il
volto in movimento. L’ipotesi strutturale di Johnsone e Morton considera il neonato dotato di
un meccanismo sottocorticale chiamato Conspec che lo rende sensibile alle caratteristiche del
volto e di un meccanismo chiamato Conlearm che diventa attivo verso i 2 mesi e consente di
acquisire informazioni dettagliate sui singoli volti e di discriminarli.
Ricerche (Field) hanno dimostrato che il bambino preferisce guardare il volto della madre
piuttosto che uno estraneo già dopo 2 giorni dalla nascita. (Con una sciarpa intorno ai capelli
discriminazione a un mese, con una maschera a 4 mesi). Verso i 3 mesi il volto dell’estraneo
inizia ad essere stabilmente e attentamente osservato e diventano abili nel discriminare un
volto sorridente da uno imbronciato, si crea una sensibilità alle diverse espressioni del volto
(soprattutto tra i 3 e i 7 mesi) e c’è una preferenza per quelli sorridenti, come anche per quelli
attraenti perché sono più inerenti al modello di volto.
Costanze percettive. Sono dei processi con i quali percepiamo gli oggetti dell’ambiente come
invarianti e costanti anche al variare delle stimolazioni, l’acquisizione di queste è un processo
molto lungo e graduale anche se esistono forme precoci di elaborazione degli stimoli che
consentono al piccolo di percepire una certa stabilità e identità nel riconoscimento degli
oggetti. Assumono importanza forma e dimensione, e si parla di costanza della forma (
identificare la forma di un oggetto anche se questo cambia orientamento o inclinazione) e
costanza della dimensione (riconoscere la grandezza di un oggetto anche se si allontana o
avvicina).
Percezione della profondità.
Ricerche condotte dai Gibson che cercano di capire quando il bambino inizia a capire la
profondità con un dispositivo chiamato visual cliff: il bambino viene collocato su un piano
rialzato coperto da un drappo a scacchi neri e bianchi che viene prolungato da un vetro
trasparente, sotto questo viene collocato un tessuto identico così da essere interpretato come
un suo prolungamento e creare l’effetto di un precipizio. Con questo cercano di capire dai
comportamenti del bambino quando si accorge del pericolo. Se il bambino si ferma mostrando
timore vuol dire che percepisce la profondità (6 mesi). pericolo: accelerazione battito cardiaco
e ricerca della figura di attaccamento.
Ci sono delle leggi per l’organizzazione della percezione visiva:

LEGGE DELLA NECESSITA’ DI ARTICOLARE SFONDO E FIGURA

LEGGE DELLA SOMIGLIANZA

LEGGE DELLA VICINANZA.
Nella comprensione delle forme la percezione segue la legge della chiusura delle forma che
prevale sulla regola della continuità di direzione. A 5 o 6 anni i bambini seguono le linee
continue e le descrivono come una linea greca attraversata da una retta o come una greca e
spezzata sovrapposte. Linee percepire come contorno.

In erà prescolare si parla del fenomeno del sincretismo infantile (esperimento di
Heiss e Sander) intendendo quel fenomeno per cui la percezione della struttura di
insieme ostacola l’individualizzazione delle singole parti, e dunque il tutto resiste alla
scomposizione alla quale lo si vorrebbe sottoporre. Si ha difficoltà a individuare le
componenti di una struttura. Dai 6 anni circa si ha una percezione analitica e quindi c’è
una discriminazione e si arriva poi a una fase in cui il bambino sa passare dal tutto alle
parti e dalle parti al tutto e questo è il sincretismo sintetico.

In età scolare, dopo il 6 anni, si ha un’evoluzione nella percezione determinata dallo
sviluppo di capacità cognitive che consentiranno successivamente una più marcata
inversione di tendenza caratterizzata dalla subordinazione della percezione alla
cognizione. Tra i 6 e o anni si assiste al superamento del sincretismo infantile ed
emerge una migliore capacità di analisi e di esplorazione e sistematica degli stimoli. Si
assiste alla articolazione gerarchica del campo fenomenico, che procede di pari passo
con la capacità di adottare una prospettiva reversibile che consente di esplorare il tutto
per passare alle singole parti e viceversa. Viene acquisita la capacità di compiere una
esplorazione esaustiva, segnalata da numero di movimenti oculari che vengono
equamente impiegati per esplorare forme diverse sulle quali esprimere un giudizio di
uguaglianza. E progrediscono la costanza della grandezza (che raggiunge la costanza
perfetta) e della forma.
Percezione tattile
Il tatto consente il contatto che è molto importante perché fornisce calore, vicinanza fisica. C’è
una preferenza biologica per l’esperienza del contatto (bisogno di base). Esperimento di Spitz
con le scimmie influenzato da Harlow degli anni ’50. si parla di Holding e Handling (contatto
fisico, contenimento affettivo con mani e abbracci).
Capitolo 4: LO SVILUPPO COGNITIVO
PIAGET (1896-1980)
È il primo autore che parla di sviluppo cognitivo. Egli è svizzero, nasce a Ginevra e produce
negli anni ’20-’30-’40 in una condizione un po’ particolare, il suo studio infatti è influenzato dal
contesto in cui vive (la Svizzera è neutrale e al di fuori dei conflitti mondiali e europei).
Si laurea in biologia con una tesi sui molluschi e da qui passa all’adattamento dell’uomo
all’ambiente. I molluschi infatti sono animali semplici che si adattano alle condizioni ambientali.
Egli si affianca inoltre alla filosofia di Kant, alla matematica e alla logica. Kant parla dell’origine
della conoscenza e per questo Piaget giunge al bambino, perché da lì parte lo sviluppo della
conoscenza. (piano empirico).
Egli crea la Scuola di Epistemologia Genetica che si occupa appunto di origine e sviluppo dei
processi di conoscenza (Episteme= conoscenza e Genesi= origine, quindi modi, funzionamenti
e processi del conoscere) ed è una scuola di Psicologia Genetica.
Nel panorama psicologico del tempo si parlava di paradigma comportamentista (il
comportamentismo studia i comportamenti osservabili) quindi ciò che studia P è in contrasto
con questo, dato che. Ma l’intelligenza è un caso particolare di adattamento biologico,
l’organismo costruisce materialmente nuove forme per adattarsi (quindi visibilmente), mentre
l’intelligenza costruisce nuove strutture mentali per comprendere e spiegare l’ambiente (quindi
non visibili). Egli è in contrasto anche con la teoria innatista (Gestalt). P pensa che le strutture
cognitive non hanno origine solo interna, ma le pressione esterne non sono le uniche cause
dello sviluppo, ma diventano importanti nella misura in cui l’organismo le incorpora.
P è un cognitivista antilitteram va controcorrente ed è innovativo, dato che ha un oggetto di
studio nuovo, che verrà poi preso in esame da altri studiosi più in là. Questo ritardo è anche
dovuto al fatto che P scriveva in lingua francese e solo i paesi vicini alla Francia erano in grado
di leggere (Italia), mentre Inghilterra e Stati Uniti scoprono P solo con la traduzione dei suoi
scritti. Non c’è quindi possibilità di dialogo e confronto culturale e scientifico negli anni delle
ricerche e della pubblicazione.
P propone una teoria organismica i cui elementi base sono:
-
Lo sviluppo è comprensibile all’interno della storia evolutiva della specie di cui
l’organizzazione biologica e psicologica dell’uomo costituisce l’apice;
-
L’organismo è attivo e si modifica attraverso gli scambi con l’ambiente;
-
Lo sviluppo consiste nella trasformazione di strutture che non sono innate, ma si
costituiscono grazie all’individuo.
La modalità di funzionamento dell’intelligenza di un bambino e di un adulto è la stessa, perché
ci sono delle strutture variabili (diverse, quindi, secondo l’età) e delle funzioni invarianti.
Secondo questa teoria lo sviluppo del singolo (ontogenetico) è collegato a quello della specie
(filogenetico) e per questo P vuole proporre una teoria universale. (influenza degli studi di
biologia). Egli da fondamentale importanza anche al costruttivismo (tipico Piagetiano), cioè
all’idea che il soggetto costruisca la propria conoscenza (influenza di Kant, che diceva che la
conoscenza è il risultato del rapporto del soggetto con l’oggetto da conoscere che viene
costruito dai due.
I fattori alla base dello sviluppo del pensiero secondo P (capacità di conoscere) sono:
1. MATURAZIONE (di strutture biologiche). Senza questa non c’è sviluppo, la base
biologica è come la dotazione di partenza che ha il suo ritmo di sviluppo.
2. ESPERIENZA e ESERCIZIO del soggetto che conosce oggetti del mondo fisico e con i
quali si esercita, si confronta e fa esperienza. Sono oggetti inanimati, egli non parla mai
del mondo sociale.
3. INTERAZIONE soggetto/oggetto. P lo pone come un fattore di sviluppo, ma non è mai
preso troppo in considerazione, egli non si basa né fonda sull’interazione.
4. PRINCIPIO DI EQUILIBRAZIONE (più avanti).
Per P la conoscenza nasce dall’azione, da cui ha origine il processo di conoscenza umana. Egli
parla anche di schemi di azione. Lo sviluppo mentale è guidato dallo stesso principio che regola
l’evoluzione biologica degli organismo viventi, secondo il quale le strutture interne si
modificano quando devono fra fronte a nuovi bisogni. Tali modificazione sono il risultato
dell’interazione tra due processi: assimilazione e accomodamento. La presenza di questi due
meccanismi psicologici è continuamente attestata nei processi di conoscenza. Non sono
meccanismi semplici presenti solo all’inizio e il loro funzionamento lo si trova di continuo nello
sviluppo cognitivo. Per questo sono funzioni invarianti.
-
Assimilazione: assimilare, far propri, incorporare i dati dell’esperienza alle
strutture che già si possiedono. Tende alla conservazione.
-
Accomodamento: modificare schemi e strutture che già si possiedono per
conoscere un dato nuovo. Tende alla novità.
Ci sono dei momenti in cui uno dei due prevale sull’altro, ma in genere convivono garantendo
un equilibrio tra continuità e cambiamento e così determinano l’adattamento dell’organismo
all’ambiente. Nel passaggio da uno stato all’altro, nel momento di novità, con l’imitazione il
bambino accomoda (es quando coordina occhio mano), nel mezzo di uno stato, quando gioca il
bambino assimila (es quando succhia il dito).
Lo sviluppo cognitivo è un processo continuo (funzioni invarianti) ma anche discontinuo
(modificazione strutturali di ordine qualitativo e quantitativo). P parla di stadi di sviluppo e
questo evidenzia la rottura e il cambiamento forte tra uno stadio e l’altro e l’aspetto di
discontinuità dello sviluppo. Ogni stadio ha una particolare forma di organizzazione psicologica
e il passaggio da uno stadio all’altro può essere graduale e l’età può variare, ma ogni stadio è
qualitativamente diverso dal precedente e internamente coerente. Le acquisizioni di uno stadio
non si perdono con il passaggio allo stadio successivo, ma vengono integrate in strutture più
evolute ( integrazione gerarchica tra stadi).
4 stadi evolutivi (stadio= periodo di tempo piuttosto definito durante il quale le condotte
intelligenti hanno caratteristiche comuni):
-
Sensomotorio 0/2 anni circa (il bambino di 2 anni comprende il mondo in base a ciò
che può fare con gli oggetti e con le informazioni sensoriali)
-
Pre-operatorio 2/6-7 anni circa (Il bambino si rappresenta mentalmente gli oggetti e
comincia a comprendere la loro classificazione in gruppi. Inizia a capire l’esistenza dei
punti di vista degli altri e compaiono i primi giochi di fantasia)
-
Operatorio concreto 7/11 anni circa (La capacità logica del bambino progredisce
grazie allo sviluppo di nuove operazioni mentali, come l’addizione, la sottrazione. È
ancora legato a situazione specifiche, ma sa compiere manipolazioni mentali e fisiche)
-
Operatorio formale 12 e oltre (L’adolescente è in grado di elaborare idee, eventi e
oggetto, sa immaginare cose che non ha mai visto o che non sono ancora successe. Sa
organizzare informazioni in modo sistematico e completo e pensare in termini ipoteticodeduttivi).
Lo stadio sensomotorio
Questo stadio copre i primi 2 anni di vita e non si parla ancora di pensieri ma di azioni, di
schemi di azione. Esso è caratterizzato dalla risposta di tipo sensoriale e motorio del bambino
piccolo alla realtà, dalla reazione immediata del bambino e dal fatto che il bambino non
possiede nessuna rappresentazione interna degli oggetti, non possiede immagini mentali né
parole. Lo stadio sensomotorio è a sua volta articolato in 6 principali sottostadi data la
ricchezza di cambiamenti che avvengono nel primo anno e mezzo di vita:
1. ESERCIZIO DEI RIFLESSI. 0-1,5 mesi. I riflessi sono reazioni innate e il bambino si
esercita e le applica a situazioni sempre crescenti (succhia tutto quello che trova e non
solo il dito e stringe tutto ciò che tocca il palmo della mano). Si manifesta un’iniziale
capacità di discriminazione: il neonato se ha fame non succhia un oggetto che non sia il
capezzolo. In questo sottostadio il neonato è in uno stato di egocentrismo radicale e
non ha consapevolezza né di sé né del mondo esterno.
2. REAZIONI CIRCOLARI PRIMARIE E PRIMI ADATTAMENTI ACQUISITI. 1,5-4 mesi.
L’attività sensomotorio si trasforma in funzione dell’esperienza e quando trova un
risultato nuovo il bambino cerca di conservarlo ripetendolo. P chiama questi bisogni
reazione circolare primaria perché le azioni sono tutte centrate sul corpo del bambino e
questa permette la costruzioni di schemi nuovi. Il bambino diventa capace di procurarsi
quelle attività che gli provocano piacere (suzione della coperta, osservazione dei giochi
sopra la culla). La capacità di conservare i dati dell’esperienza trasforma
l’organizzazione biologica in organizzazione psicologica.
3. REAZIONI CIRCOLARI SECONDARIE. 4-8 mesi. Il bambino ha un maggior interesse per
il mondo esterno e non si limita a riprodurre un risultato interessante scoperto sul
proprio corpo, ma vuole conservare, ripetendola, un’azione che ha provocato uno
spettacolo interessante nell’ambiente. Le reazioni circolari secondarie non sono dei
riflessi, ma non sono ancora intelligenti, in quanto scoperte per caso. Il bambino
acquisisce la capacità di coordinare gli schemi della visione e della prensione che
consente al bambino di afferrare gli oggetti visti e di portare davanti agli occhi oggetti
afferrati.
4. COORDINAZIONE DI SCHEMI SECONDARI E LA LORO APPLICAZIONE ALLE SITUAZIONI
NUOVE. 8-12 mesi. Compare la condotta della costanza dell’oggetto fisico. Fino agli 8
mesi se un oggetto esce dal suo campo visivo non esiste più, invece a partire da questo
sottostadio il bambino ricerca l’oggetto che quindi continua a esserci. Compare una
differenziazione tra mezzi e fini e il bambino utilizza gli schemi che già ha applicandoli
in una situazione nuova. Usa quindi gli schemi secondari del terzo sottostadio per scopi
diversi. È la fase delle condotte esplorative, il bambino inizia il gattonaggio e i primi
esperimenti di deambulazione.
5. REAZIONI CIRCOLARI TERZIARIE E LA SCOPERTA DI MEZZI NUOVI MEDIANTE
SPERIMENTANZIONE ATTIVA. 12-18 mesi. Il bambino scopre nuove capacità e nuove
condotte che rappresentano per la prima volta una ricerca della novità. La scoperta di
nuovi schemi avviene per mezzo delle reazioni circolari terziarie, quando trova un
risultato interessante il bambino non solo lo ripete, ma lo varia e lo modifica per
studiarlo. Sono esperienze per vedere caratterizzate dall’interesse per la novità. Tre
condotte tipiche: la condotta del supporto (avvicinare un oggetto lontano trascinando il
supporto su cui è appoggiato), la condotta della cordicella (usare una cordicella come
prolungamento dell’oggetto per entrane in possesso) e condotta del bastone (per
raggiungere oggetti fuori dal campo di prensione del bambino).
6. INVENZIONE DI MEZZI NUOVI MEDIANTE COMBINAZIONE MENTALE. 18-24 mesi. Il
bambino in una situazione nuova compie un atto mentale, cioè anticipa mentalmente
egli effetti dell’azione e prevede quali azioni avranno successo e quali falliranno. Le
azioni vengono interiorizzate e questa nuova capacità segna la comparsa della
rappresentazione. La costruzione della nozione di oggetto permanente si completa e
questa con quelle di spazio, tempo e casualità consentono al bambino di agire in una
ambiente in cui gli oggetti sono dotati di esistenza propria. La comparsa della
rappresentazione fa si che il bambino percepisca anche il proprio corpo come oggetto in
mezzo agli altri, rappresenti se stesso e immagini i propri spostamenti nello spazio
come se li vedessero dall’esterno. Questo sottostadio segna la fine del primo stadio e
l’inizio del secondo. Gli schemi di azione diventano schemi mentali.
Lo stadio pre-operatorio
Il passaggio dagli schemi di azione alle rappresentazioni mentali segna il passaggio a questo
stadio. Qui né il bambino di 3 né quello di 6, nonostante le differenze a livello linguistico e
motorio, possiedono totalmente l’operazione mentale ma non si basano più su schemi di
azione. Le principali manifestazioni dell’attività rappresentativa sono:
-
L’imitazione differita, che è molto importante per i processi di crescita. Il bambino
dopo un po’ di tempo ripete azioni o parole viste e sentite prima. C’è stata
l’interiorizzazione di quella condotta, egli si è creato delle immagini mentali che hanno
fatto si che egli ripetesse azioni e parole in un momento successivo. L’immagine
mentale è la forma con cui la realtà viene rappresentata mentalmente.
-
Il gioco simbolico e di finzione, è un altro indicatore di capacità rappresentativa. È il
gioco in cui il bambino fa finta di essere e usa gli oggetti come se fossero (es: banana
di plastica come telefono). L’oggetto evoca una realtà non percepita, ma rappresentata.
Con i suoi giochi gli schemi di azioni (il gioco di aprire e chiudere, fondamentale nel
primo stadio) diventano schemi mentali.
-
Uso del linguaggio verbale, il bambino sa utilizzare degli schemi verbali per
nominare un oggetto e per descrivere la realtà che ha rappresentato nella sua mente.
-
Uso del segno grafico, tentativo di rappresentare graficamente la realtà, attraverso
dei disegni.
Tutti questi comportamenti si riferiscono a una realtà non percepita in quel momento, ma
evocata. Questi vengono usati uno alla volta. L’egocentrismo del bambino diventa
egocentrismo cognitivo/intellettuale il bambino ha difficoltà a riconoscere che gli altri
possano percepire in modo diverso dal proprio gli oggetti del mondo fisico, quindi una difficoltà
di decentramento per assumere il punto di vista dell’altro. P ha ideato l’esperimento delle 3
montagne (si chiede al bambino di scegliere una serie di fotografie che mostrino una
prospettiva diversa dalla propria, ma sotto i 9 anni il bambino non sa immaginare quale
potrebbe essere la prospettiva di un’altra persona). In questo stadio le azioni mentali sono
rigide e irreversibili, il pensiero può andare al di là dei dati attuali perché ricostruisce azioni
passate e anticipa le conseguenze non ancora compiute, ma a causa della irreversibilità
ciascuna rappresentazione mentale rimane isolata e non si coordina con le altre (pensiero
prelogico e intuitivo). Intorno ai 6 anni il bambino impara a decentrarsi e a non considerare se
stesso come unico punto di riferimento.
Lo stadio operatorio concreto
Le azioni interiorizzate (schemi mentali) si coordinano e raggruppano per dare luogo a
strutture d’insieme dette operazioni mentali/intellettuali/cognitive che sono sistemi organizzati
di azioni caratterizzate da reversibilità per cui a ogni operazione ne corrisponde una inversa e
dalla nozione di conservazione. Il bambino si rappresenta l’azione e l’inverso di questa per
tornare al punto di partenza (es: strada casa-scuola e scuola-casa).
-
Reversibilità significa che il pensiero è flessibile e permette quindi di poter tornare al
punto da cui si è partiti.
-
Nozione di conservazione di quantità, lunghezza, sostanza e numero. Questo dimostra
la capacità del bambino di usare operazioni mentali e tornare al punto di partenza.
Compiti di conservazione: Conservazione del liquido con recipienti diversi e
conservazione della materia con la plastilina modellata in forme diverse.
Operatorio concreto significa che il bambino ha a che fare con la realtà attraverso esperienze
tangibili e non astratte.
Lo stadio operatorio formale
Il bambino diventa adolescente e preadolescente, si ha l’ingresso in uno stadio di sviluppo in
cui il ragazzo sa compiere delle operazioni logiche su premesse non fattuali ma ipotetiche,
ricavando conclusioni logiche. Egli organizza ciò che è percettivamente evidente e immagina e
prende in esame soluzioni possibili. Non si basa solo sul concreto, ma anche sull’astratto, sul
“come se”. Il pensiero operatorio formale diventa
-
ipotetico-deduttivo: l’adolescente tenta di scoprire il reale partendo dal possibile. Il
mondo reale si configura come serie di ipotesi da confermare e smentire
empiricamente. Si attuano due processi: per induzione (dal caso specifico a leggi
generali) e per deduzione (da leggi generali, cioè rapporti già noti tra i fenomeni, a
prevedere un fenomeno specifico).
-
Preposizionale: il ragazzo non manipola solo dati fattuali, ma può lavorare anche su
proposizioni che si riferiscono a dati fenomenici. (logica della connessione). I dati delle
operazioni concrete dello stadio precedente vengono resi in forma di proposizioni e
collegati tra loro per mezzo di altre proposizioni che li mettono in rapporto secondo
connessioni logiche di vario tipo (es: se questo, allora quello).
-
Si avvale della combinatoria: per risolvere i compiti di natura formale il ragazzo deve
costruire mentalmente un sistema di combinazioni, deve combinare diversi fattori o
diverse variabili in gioco per capire il loro ruolo e per spiegare un certo fenomeno. Li
combina in modo diverso per capire l’influenza dell’uno sull’altro.
Il funzionamento cognitivo dell’adolescente comporta un interesse di natura epistemologica, le
capacità cognitive sono nuove e lo portano a confrontarsi. Il mondo delle possibilità diventa
qualcosa con cui l’adolescente riesce a confrontarsi e il fatto che riesca a pensare a eventi
possibili e non solo a fatti reali, riesce a pensare all’ideale, ai mondi possibili, ai valori, al
futuro. (compito del pendolo).
I metodi di ricerca di Piaget
-
Osservazione: per il 1 stadio. Si utilizza con bambini che ancora non parlano e quindi
non sono in grado di rispondere verbalmente, c’è quindi l’osservazione di bambini in
circostanze specifiche create dall’osservatore. È molto importante il setting di ricerca.
-
Colloquio clinico: per il 2 stadio. I bambini sanno parlare e rispondere. È centrato sul
linguaggio e sulla comunicazione. Questo colloquio non è diagnostico, ma c’è
l’intenzione di strutturare un colloquio per far emergere idee e concezioni nei bambini
(in maniera spontanea) rispetto a tematiche e questioni poste dal ricercatore. Le
domande sono costruite in modo attento e particolare e le risposte non devono essere
suggerite neanche implicitamente dalla domanda, che deve essere chiara e non
fraintesa. Vengono sondate le caratteristiche del mondo interno del bambino.
Con questo metodo di ricerca nella fase pre-operatoria si sono individuate alcune
caratteristiche del pensiero del bambino: animiamo, realismo, finalismo e artificialismo.
-
-
Il pensiero finalistico determina che ciò che avviene ha una causa e uno scopo;
-
il pensiero animistico che il bambino attribuisce un’anima agli oggetti del suo
mondo (es: brutto oggetto se si è fatto male con quello);
-
il pensiero artificilista il fatto che il bambino creda che tutto ciò che c’è in natura
sia fatto dall’uomo;
-
il pensiero realista si divide in realismo nominale (tendenza del bambino a
credere che il nome faccia tutt’uno con la cosa e che quindi non esistano uno
senza l’altro) e realismo onirico (tendenza del bambino di attribuire una realtà
sostanziale al sogno, che vede come realtà.
Metodo critico: per il 3 e 4 stadio. Si propone al bambino-ragazzo un problema da
risolvere (problem solving) e i diversi tipi di risposta diventano per l’osservatore
indicatori per stabilire l’appartenenza di un bambino a uno stadio o all’altro. Si capisce il
modo di risolvere i problemi.
Idee fondamentali di P:
-
L’intelligenza per P è l’adattamento dell’individuo all’ambiente, la progressiva capacità
di adattarsi.
-
L’adattamento è la tendenza dell’individuo che risulta dai meccanismi psicologici di
assimilazione e accomodamento.
-
Schema: all’inizio c’è l’azione, schemi d’azione, una struttura cognitiva fondamentale
basata sull’azione senso-motoria e sul pensiero che gli individui usano per attribuire un
senso alla loro esperienza. Gli schemi d’azione sono l’unità più elementare della
conoscenza e il loro sviluppo avviene attraverso l’interazione con l’ambiente per mezzo
di assimilazione e accomodamento. Questi sono alla base dello sviluppo cognitivo
dell’intelligenza.
Critiche a Piaget
-
Pretesa di presentare uno sviluppo cognitivo universale, molti studi hanno messo in
rilievo come l’intelligenza umana si sviluppi anche a seconda delle diverse culture in cui
nasce il bambino. Quelle di P sono prove e compiti per una cultura occidentale e di
natura prettamente fisica e logico-matematica.
-
Natura dei compiti usati da P, ritenuti troppo difficili e scolastici, formulati in modo
troppo complesso. Compiti più interessanti e più vicini alla quotidianità del bambino
sono meglio risolvibili. (compito delle 3 montagne presentato in altro modo, come il
compito del ragazzo che deve sfuggire al poliziotto funziona).
-
Problema del décalage cognitivo, P stesso scopre che alcuni bambini nello stadio preoperatorio riescono a risolvere alcuni compiti di natura operatorio formale. La chiusura
del bambino in uno stadio può entrare in crisi se alcuni superano alcune prove di altri
stadi, ma non tutte, perché riescono a superare quelle più semplici o più vicini ai vissuti
quotidiani dei soggetti. Non c’è coerenza orizzontale e il bambino può quindi trovarsi in
una fase per un compito e in un’altra fase per un altro compito.
-
Idea del bambino in solitudine che cerca di risolvere problemi di natura fisica. P ha
l’idea di un bambino-adolescente alle prese con problemi non riguardanti la sfera
sociale-emotiva, ma solo con oggetti inanimati. Questo non è possibile, dato che
l’interazione con gli altri (coetanei e non) inizia presto e ha molta importanza per lo
sviluppo del bambino. (idea di solitudine rimanda un po’ al fatto che la svizzera era un
paese “isolato” dal resto).
Queste critiche hanno portato a una divisione tra neo-piagetiani, post-piagetiani e studiosi
sullo sviluppo della TOM nel bambino (Teoria della Mente del bambino).
-
Neo-piagetiani: corrente sostanzialmente fedele a P ma che apporta un nuovo
interesse sulle funzioni dei processi, cerca di capire il funzionamento dei processi e non
solo la struttura.
-
Post-piagetiani: rappresentati da Doise e in Italia da Carugati e Selleri. Loro sono di
rottura rispetto a P e dicono che lui non ha considerato il ruolo di confronto con l’altro
nella risoluzione dei problemi. Criticano l’idea del bambino in solitudine e dicendo che il
bambino difficilmente è solo. Loro elaborano la teoria del conflitto socio-cognitivo che
sostiene che la crescita della conoscenza avviene quando si crea un conflitto cognitivo.
Es: 2 bambini risolvono insieme un problema e ogni bambino da una risposta diversa,
questo potenzia nel bambino il decentramento e la capacità di vedere da punti di vista
diversi. Interazione sociale e costruzionismo sociale, le conoscenze si costruiscono
attraverso il conflitto e lo scambio di idee.
-
TOM (studiosi della Teoria della Mente nel bambino): secondo questi studiosi non
è vero che il bambino non sa decentrarsi. Già a 2/3 anni i bambini lo sanno fare e si
parla di empatia del bambino che consola e fa i dispetti. Le ricerche hanno evidenziato
che il bambino riconosce il sé stesso e negli altri stati mentali e interni e li collega ad
azioni manifeste, ha la capacità di collegare azioni e stati mentali (pensieri, emozioni,
affetti, desideri) al mondo interno, non osservabili. Questa capacità di collegamento tra
azioni e stati mentali si chiama TEORIA DELLA MENTE. (anni ‘70/’80 ricerche sullo
sviluppo della teoria della mente nel bambino).
La divisione in stadi viene quindi criticata dai nuovi studiosi, che la vedono utili da una parte
ma non del tutto attendibile, dato che la risoluzione di un problema o l’attuazione di una
capacità dipende dall’esperienze dei bambini e dalla loro familiarità al problema. Lo sviluppo ha
quindi aspetti di regolarità ma anche di irregolarità e differenziazione individuale. È giusto,
quindi, parlare di sequenze universali, riferendosi all’acquisizione di concetti fondamentali con
lo stesso ordine, ma sbagliato considerare gli stadi come strutture globali e coerenti.
La teoria della mente
Questa espressione si ritrova la prima volta in un articolo pubblicato da Pernack e Woodroff
che hanno fatto un esperimento con gli scimpanzè (primati non umani più evoluti) per capire
se si potesse parlare di mente per questi animali, e quindi se fossero capaci di attribuire delle
intenzioni all’essere umano. La natura di questo problema cattura l’interesse degli psicologi
dello sviluppo che hanno iniziato a porre la stessa attenzione nei confronti dei bambini. (vanno
contro l’idea di egocentrismo di P).
Gli studiosi si occupano della teoria della mente dei bambini, quindi la presenza di concezioni e
idee (stati mentali) che i bambini dimostrano di avere nei confronti degli altri. Gli stati mentali
possono essere di natura emotivo-affettiva (paura, tristezza, rabbia) e di natura cognitivoepistemica (desideri, credenze, pensieri, intenzioni, opinioni). Entrambi fanno parte del mondo
interno in cui si muove il bambino.
Un individuo possiede una teoria della mente se è capace di attribuire stati mentali a sé stesso
e agli altri e di prevedere il comportamento sulla base di tali stati mentali.
Secondo Wellman il desiderio è uno stato mentale più semplice della credenza. Quando dico
“lui vuole una mela” attribuisco alla persona uno stato interno diretto verso un oggetto
esterno, se dico “Lui pensa che questa sia una mela” attribuisco all’altro uno stato interno che
incorpora la rappresentazione di una mela, gli attribuisco cioè una metarappresentazione.
I bambini di 2 anni possiedono una psicologia del desiderio che interpreta le azioni sulla
base dei desideri e spiega le reazioni emotive al fatto che i desideri siano stati o meno
soddisfatti. Verso i 3 anni i bambini padroneggiano una psicologia della credenza-desiderio
grazie alla quale sono in grado di prevedere che le azioni di una persona saranno guidate non
solo da desideri, ma anche da credenze (che possono essere vere o false).
All’inizio vengono prese in considerazione solo le credenze vere, che rispecchiano lo stato reale
delle cose, più tardi, con un importante cambiamento, avviene la comprensione della “falsa
credenza” cioè comprendere che le azioni possono essere determinate da credenze erronee.
Nel 1983 due studiosi Wimmer e Perner pubblicarono un articolo in cui presentarono un
compito di ricerca chiamato false belief task (compito sulla falsa credenza). Essi vollero
provare ai bambini di età prescolare per vedere se hanno la capacità di prevedere il
comportamento di altri bambini attribuendo a questi una credenza erronea rispetto allo stato di
cose nella realtà: al bambino viene presentato uno scenario con due bambole Sally e Anna che
insieme nascondono una biglia in un cesto. In seguito Sally se ne va e a sua insaputa Anna
sposta l’oggetto in un scatola. Quando Sally torna il bambino oggetto dell’esperimento deve
dire dove cercherà la biglia. All’età di 3 anni la risposta più frequente è che la cercherà dove
effettivamente si trova e non dove l’ha visto nascondere, perché il bambino è incapace di
rappresentare la credenze altrui in quanto sono diverse dalla realtà di fatto. Attorno ai 4 anni,
invece, si ottengono risposte corrente, ovvero il bambino sa che Anna ha spostato la biglia, ma
sa anche che Sally non ha visto e che cercherà la biglia dove lei l’ha vista nascondere. C’ è
quindi l’attribuzione di falsa credenza a Sally. A 4 anni il bambino ha una capacità
metarappresentativa. Psicologia della falsa credenza.
Si possono identificare dei precursori dello sviluppo della teoria della mente in abilità che
compaiono nel secondo anno di vita: il gioco simbolico e l’intenzionalità comunicativa
dichiarativa.
-
Il gioco simbolico, il bambino gioca a far finta e quindi si mette nei panni dell’altro
fingendo, quindi riconosce il punto di vista dell’altro.
-
L’intenzionalità comunicativa dichiarativa, volendo comunicare il bambino riconosce
l’altro come soggetto. Intorno alla fine del primo anno di vita indica un oggetto per
averlo o per condividere l’attenzione con l’adulto. Il bambino alterna lo sguardo tra
l’oggetto o evento e il volto dell’adulto finché non guarda in quella direzione. In questo
caso il bambino non attira l’attenzione per il soddisfacimento di un suo scopo, ma vuole
influenzare lo stato mentale dell’altro relativamente a un evento esterno. Es: in braccio
a un adulto il bambino indica qualcosa fuori dalla finestra (soprattutto se in movimento)
per condividere l’attenzione.
Dal secondo anno di vita il bambino ha un lessico del mondo interno, chiamato lessico
psicologico-mentale, che è per i ricercatori una finestra privilegiata per studiare la TOM. È il
lessico che il bambino utilizza per indicare gli stati interni e può essere di natura emotivoaffettiva (-2 anni), cognitiva(2-3 anni) o volitiva (1-2 anni). Un maggior uso di questo
linguaggio dimostra una maggior capacità di superare prove della TOM. Gli studiosi hanno
constatato dopo i 4 anni una sviluppo della TOM epistemico-cognitiva, dell’intenzione
(Camaioni) e emotiva degli stati interni.(Harris).
Secondo alcuni studiosi il fenomeno dipende da meccanismi dello sviluppo cognitivo,
meccanismi innati specializzati riconducibili a specifiche aree del cervello che consentono ai
bambini di comprendere gli stati mentali, andando oltre le conoscenze derivanti dalle
percezioni dei sensi. Fodor che concepisce la mente umana come composta da sistemi cognitivi
specializzati
nell’elaborazione delle informazioni (moduli) che si evolvono nel corso
dell’adattamento della specie (filogenesi). Ogni modulo elabora solo un certo numero di
informazioni e rappresentazioni relative ad uno specifico dominio della conoscenza.
In relazione alla genesi della teoria della mente, Baron-Cohen prevede 4 moduli distinti:
-
Edd (Eye-Direction detector) deputato alla elaborazione della direzione dello sguardo;
-
Id (Intentionality Detector) specializzato nel cogliere l’intenzionalità e nel rappresentare
gli stati volitivi e con sente di capire come si sente un’altra persona;
-
Sam (Shared Attentino Mechanism) idoneo a permettere l’interazione triadica
necessaria per condividere con altre persone l’attenzione per uno stesso oggetto;
-
Tomm (Theory of memory mechanism) consente metarappresentazione, cioè le
elaborazioni di dati particolari sulla rappresentazione di un’altra persona.
Altri studiosi adottano un approccio costruttivista che punta al ruolo della ricostruzione sociale.
Favoriscono lo sviluppo della TOM:
-
le competenze linguistiche,
-
le conversazioni di tipo mentale col caregiver, i familiari, i fratelli,
-
la mind-mindness materna,
-
gli stili genitoriali autorevoli
-
il gioco di finzione ecc…
Il compito di falsa credenza di secondo ordine (look-prediction 1985) è un altro compito
a cui vengono sottoposti i bambini di 7-8 anni. Lo sperimentatore racconta una storia
aiutandosi con delle vignette illustrate. La storia si Gianni e maria che giocano con un nuovo
mazzo di carte in camera di Gianni. Maria mette le carte nell’armadio e va ad aiutare la
mamma a preparare la tavola. Gianni prende le carte dall’armadio e le mette sotto il letto,
Maria pero’ tornando indietro vede Gianni che sposta le carte sotto il letto, ma il bambino non
vede lei. Dopo cena Maria va in camera a prendere le carte. Domande:
-
di memoria: Maria ha visto Giovanni?
-
di realtà: Maria dove pensa che sia il mazzo di carte?
-
Sulla credenza: Gianni sa che Maria l’ha visto?
-
Sulla falsa credenza di II ordine: Giovanni dove pensa che sia il posto dove Maria
cercherà le carte?
-
Di controllo: perché Gianni pensa che Maria le cercherà lì?
I risultati dimostrano che fino ai 7-8 anni i bambini non sono in grado di comprendere
pienamente le false credenze di ordine superiore, con metodologie più semplificate la soglia di
comprensione delle credenze di secondo ordine si situa intorno ai 5-6 anni. Il problema è che i
bambini (6) non hanno ancora perfezionata la capacità di comprendere le rappresentazioni
mentali altrui. Il graduale sviluppo di questa capacità viene evidenziato dalla crescente abilità
nel padroneggiare i verbi relativi agli stati mentali, negli anni della scuola elementare
assumono importanza concetti quali il punto di vista e il grado di certezza possedute da un
individuo su un dato argomento.
VYGOTSKIJ (1896-1934)
Egli ha una vita breve, gli anni della sua giovinezza li vive nel pieno della rivoluzione russa del
1917. E’ eclettico, ha una formazione umanistica, ma si avvicina successivamente anche a
medicina e fisiologia umana.
E’ possibile distinguere 3 fasi di produzione:
1. 1915-1925/26
2. 1926-1931
3. 1931-1934.
Nella prima fase la produzione è legata alla psicologia dell’arte (pittura e lettura). Viene a
contatto con i lavori di Pavlov della scuola di riflessologia e scrive un lavoro dal titolo
“Metodologia della ricerca psicologica e riflessologica”. Negli anni ’24-’25, dopo questo suo
lavoro, gli viene proposto di trasferirsi a Mosca per lavorare nell’Istituto di Psicologia della
città, dove si interessa a 2 temi principali: lo sviluppo delle funzioni psichiche superiori nel
bambino e l’influenza delle variabili culturali sui processi cognitivi. Qui viene a contatto con
Leontiev e Lurida, insieme ai quali costituisce a Mosca un gruppo di lavoro e ricerca che darà
origine alla “Scuola psicologica storico-culturale”.
Nel ’25 pubblica “La coscienza come problema psicologico del comportamento” considerato il
manifesto
della
scuola
storico-culturale.
(Piaget:
cognizione/comportamento,
V:
coscienza/comportamento).
Nella seconda fase la produzione è più legata alla scuola e all’ambito educativo.
Nella terza fase si focalizza sul tema del linguaggio e pubblica nel 1934 un’opera molto
importante “Pensiero e Linguaggio” che viene conosciuta in occidente soltanto dagli anni ’60
quando viene tradotta.
La scuola storico-culturale o approccio socio-culturale. V recupera il ruolo dell’ambiente, della
cultura e dell’interazione sociale. Per quanto riguarda lo sviluppo cognitivo, egli lo spiega
secondo una matrice biologica e una matrice culturale. La matrice biologica determina i
processi psicologici di base e elementari ( come i riflessi); la matrice culturale determina le
funzioni mentali superiori (come pensiero, linguaggio e memoria) e l’individuo cresce in un
mondo fatto di strumenti che gli vengono messi a disposizione (in qualche modo si può dire
che lasciano il segno). [Per P era importante la maturazione per capire lo sviluppo cognitivo,
per V gli strumenti culturali].
V ritiene che lo sviluppo storico-culturale abbia prodotto l’evoluzione dell’umanità attraverso i
mediatori simbolici che consentono le relazioni tra individui della stessa cultura e di culture
diverse ( lingua orale e scritta, calcolo, disegno, ora anche televisione) che consentono agli
individui di entrare in relazione tra loro all’interno della stessa cultura e tra culture diverse.
Questi mediatori sono prodotto dell’intelligenza umana e servono ad organizzare e guidare il
comportamento, la comunicazione e il funzionamento psicologico. Lo sviluppo ontogenetico
consiste nell’appropriarsi dei significati della cultura da parte dell’individuo ed è un processo di
interiorizzazione di forme culturali, di attività che hanno favorito lo sviluppo della vita sociale e
la mediazione tra le persone. Nella prospettiva socio-culturale il contesto storico e
socioculturale influiscono molto sullo sviluppo del bambino.
Le funzioni mentali superiori devono quindi essere studiate nel contesto sociale, storico e
culturale nel quale si manifestano e costituiscono (no psicologia universale). Attraverso le
attività pratiche della vita quotidiana gli individui si appropriano di artefatti culturali, cioè
strumenti materiali e simbolici che vengono trasmessi e di cui l’individuo di deve appropriare.
(appropriazione individuale di artefatti culturali).
Per V. la cultura è l’insieme di tutti quelli strumenti culturali che si sono accumulati in un certo
ambiente (anche storici) e di cui l’individuo si deve appropriare (origine sociale delle funzioni
psicologiche superiori). La storia dell’umanità ha prodotto 3 linee evolutive:
-
maturazione biologica (mutazioni genetiche)
-
maturazione socio-culturale (della specie)
-
sviluppo ontologico (il bambino che cresce, crescita individuale).
Legge dello sviluppo culturale per V: Ogni funzione psicologica si presenta prima come attività
svolta tra persone, in termini interpsicologici, sul piano dell’interazioni sociali, ma poi diventa
padroneggiata dall’individuo. Il linguaggio diventa, quindi, uno strumento che egli usa in
appoggio al pensiero. Questi strumenti che hanno origine sociale e che vengono poi
interiorizzati (da funzione interpsichica a funzione intrapsichica) V li chiama amplificatori
culturali di capacità naturali, significa che l’uomo ha delle capacità naturali (sensi,
coordinazione) che vengono amplificate dai prodotti culturali (occhiali, microscopio). Si
stabilisce una sorta di spirale: l’uomo ha capacità naturali, costruisce gli strumenti, questi
amplificano le capacità e le influenzano e l’uomo ne crea altri.
Lurija e V scrivono, alla fine degli anni ’20, un saggio in cui denunciano il tasso di
analfabetismo dei contadini russi, sostenendo che la non conoscenza della lingua scritta blocca
lo sviluppo delle funzioni superiori. V è interessato al discorso educativo e scolastico e per lui il
linguaggio non è subordinato allo sviluppo cognitivo (come per P), ma è importante e
determina l’individuo culturale, perché ha funzione regolativa e autoregolativa. Dai 7 anni la
funzione del linguaggio si lega all’interiorizzazione del linguaggio e diventano complementari
pensiero e linguaggio. P e V hanno proprio una matrice diversa, per P si passa dal linguaggio
egocentrico a quello sociale, per V è quello sociale che va interiorizzato diventando linguaggio
interiore o pensiero verbale.
Dall’interesse per le condizioni sociale dello sviluppo individuale trae origine il concetto di Zona
di sviluppo prossimale (ZOPER. ZOna, ProssimalE, Development). Essa si crea dalla
differenza (distanza) tra il livello di sviluppo di un bambino in un momento nell’affrontare
individualmente qualcosa e il livello di sviluppo potenziale, cioè quello che il bambino è in
grado si affrontare con l’aiuto di un soggetto più esperto (adulto o coetaneo).
SCARTO tra SVILUPPO EFFETTIVO (bambino da solo) e SVILUPPO POTENZIALE (bambino con
aiuto).
La Zona di sviluppo prossimale rappresenta quell’area in cui l’insegnate-educatore può andare
a lavorare perché il bambino faccia dei progressi (con l’aiuto appunto). L’adulto fornisce il
supporto necessario affinché il bambino diventi capace di produrre abilità che è già in grado di
comprendere, se successivamente il bambino è in grado di fare da solo quello che prima era in
grado di fare solo con l’aiuto, l’abilità in questione è stata interiorizzata. Per V l’insegnamento è
efficace quando si colloca oltre il livello di sviluppo attuale offrendo l’opportunità all’alunno di
attuare quelle funzioni e abilità che sono in fase di costruzione.
LA MEMORIA E IL SUO SVILUPPO scheda pag 233-236
La psicologia generale e la memoria.
Le prime ricerche so collocano alla fine dell’800 e l’autore più significativo che si occupa di
memoria è Ebbinghaus. Egli inizialmente basa le sue prove sul ricordo di materiale senza
senso, cioè di contenuto non strutturato, senza significato, come immagini, sillabe, parole
senza senso. Questo viene utilizzato per capire il funzionamento e la capacità di
immaganizzamento della memoria ed è valutato in termini quantitativi. Con queste si mettono
in rilievo gli effetti delle lunghezza della lista di parole e l’effetto di quante volte viene proposto
il materiale. Un limite che viene sottolineato è che la memoria che viene utilizzata tutti i giorni,
è una memoria di materiale con senso (come ricordi personali).
Le varie teoria hanno approcci diversi con la memoria:
-
La tradizione comportamentista e associazionista vede la memoria come funzione di
accumulazione di cose per associazioni.
-
La psicanalisi invece vede la memoria come qualcosa di fondante, molto del lavoro di
Freud (1856-1939) è legato a un particolare meccanismo di difesa che è la rimozione,
con la quale si allontanano dallo stato di coscienza contenuti spiacevoli. In stato di
disagio pero’ certi contenuti rimossi ritornano sotto forma di sintomi e ricordi spiacevoli
nel corso del tempo. C’è una consapevolezza del ruolo di questa funzione per il
benessere personale e non una trattazione strutturata e schematica della memoria.
-
Il cognitivismo e il costruzionismo (anni ’50-’60) fanno una trattazione dettagliata della
memoria e dei suoi processi.
Il cognitivismo
Il cognitivismo si avvale della modellistica per rappresentare la realtà psichica nella forma di
H.I.P (human information processing) per denotare una particolare forma del I cognitivismo
(’50) influenzato dalla metafora mente computer. Questa corrente per la memoria risulta
particolarmente efficace, perché il primo modello del funzionamento della memoria è il modello
Atkinson-Shriffrin (’69) che presenta un tentativo di spiegazione della memoria come processo
complesso e si basa su ipotesi di lavoro che vogliono confermarne o confermarne la validità.
Questo modello individua 3 principali magazzini di memoria:
1. REGISTRO SENSORIALE
2. MEMORIA A BREVE TERMINE
3. MEMORIA A LUNGO TERMINE.
1. Questo conserva per breve tempo (brevissimo) uno stimolo esterno che colpisce gli
organi di senso e poi questo contenuto viene trasferito alla memoria a breve termine.
2. Sistema della memoria che rigenera le informazioni del registro sensoriale. Ha una
capacità di memoria limitata (SPAM di 7 elementi) e conserva queste informazioni per
un breve periodo di tempo.
3. Questi sistema della memoria riceve informazioni dall’MBT (memoria breve termine) e
ha una capacità idealmente illimitata, molto elevata, di immagazzinare informazioni,
dati e elementi e contiene informazioni che possono mantenersi per tempo indefinito ed
elevato.
Negli anni ’70 ’80 questo modello viene approfondito da Anderson che nell’83 distingue nella
MLT (memoria lungo termine): MEMORIA DICHIARATIVA e MEMORIA PROCEDURALE.
La memoria dichiarativa riguarda tutte quelle conoscenza e informazioni che siamo in grado di
descrivere e su cui siamo in grado di riflettere. Es: il ricordo di un evento specifico, nomi di
professori e compagni. Questa memoria è flessibile, accessibile e facilmente rievocabile e può
essere integrata con nuovi elementi.
La memoria procedurale riguarda le abilità espresse e le abitudini acquisite. Rievoca
conoscenza sul come fare qualcosa che abbiamo imparato. Memoria riferita a conoscenza
implicita. Es: guidare, andare in bici. Questa memoria è poco flessibile, meno accessibile e
persiste ai tentativi di rievocazione e modificazione.
La memoria più interessante per la psicologia è quella dichiarativa, Tulving e su questa che
introduce un’ulteriore distinzione:
-
MEMORIA SEMANTICA: conoscenza generale che abbiamo del mondo. Es: concetti,
regole e linguaggio. Possiamo usare la conoscenza in essa senza fare esplicito
riferimento alle circostanze in cui queste conoscenza sono state acquisite. Es: area del
triangolo (me la ricordo anche se non la uso sempre).
-
MEMORIA EPISODICA: riguarda ricordi di eventi che collochiamo in un preciso contesto
spazio-temporale. Es: cosa hai fatto ieri sera? È di natura personale e permette la
descrizione di eventi, si riferisce ad eventi che riguardano la persona stessa che rievoca,
sono ricordi autoreferenziali. Questa ha importanti rapporti con la memoria
autobiografica che è un particolare tipo di memoria episodica e riguarda episodi di vita
della persona.
Il costruttivismo
Questo invece enfatizza l’idea che la memoria non sia una fotocopia della realtà, ma un attivo
processo di ricostruzione dell’esperienza ed elaborazione dei dati. Il primo autore che sostiene
questa idea è Bartlett. Egli nel 1932 scrisse un lavoro (riscoperto da Neisser) in cui sostiene
questa tesi. Negli anni del comportamentismo, egli introdusse l’idea di schema come processo
di ricostruzione e rielaborazione dei dati dell’esperienza. Rappresentazione degli eventi.
La psicologia dello sviluppo e la memoria.
La psicologia dello sviluppo si occupa della memoria autobiografica che riguarda eventi
personali significativi nella storia del soggetto o episodi che coinvolgono il sistema del Sé. Alla
domanda “Raccontami la tua vita” l’individuo rievoca la memoria autobiografica, quegli episodi
particolarmente importanti che vengono selezionati. Il racconto della storia della propria vita
può cambiare a seconda del periodo in cui si pone la domanda ( a distanza di qualche mese o
anno), gli episodi raccontati possono variare e può variare anche l’enfatizzazione di questi, in
quanto la memoria è una rielaborazione continua.
La memoria possiede una dimensione neurologica e cognitiva, ma anche sociale e linguisticonarrativa (Nelson), capire come, attraverso il linguaggio e il racconto, noi costruiamo i ricordi.
Lo studio dello sviluppo della MA mette in evidenza un’ipotesi: l’ipotesi linguistico-narrativa
(Nelson ’90).
Nelson pubblica un lavoro (“Narratives from the crib” ’89) in cui documenta (tramite ricerca
longitudinale) cosa succede a una bambina, Emily, di cui vengono registrati i suoi monologhi
prima di addormentarsi da quando ha 22 mesi a 36 (è una bambina precoce dal punto di vista
linguistico). Emily parla a se stessa prima di dormire e fa un lavoro di ricostruzione di ciò che è
successo durante il giorno e di ciò che per le è stato particolarmente importante. Emily cerca
così di dare un senso a ciò che le succede, il linguaggio e la narrazione sono funzionali a dare
un senso a ciò che le succede durante la giornata.
Questo, più in generale, è ciò che succede nella nostra storia di vita. Attraverso linguaggio e
narrazione si opera un lavoro di costruzione di significato e costruzione di ricordi.
Per Freud l’amnesia infantile è rimozione di un ricordo, per l’ipotesi linguistico-narrativa,
invece, questa è legata al fatto che quei ricordi non sono stati elaborati linguisticamente e per
questo non vengono ricordati. Questa ipotesi è detta anche ipotesi di interazione sociale
della memoria autobiografica. Le ricerche neurobiologiche confermano che lo sviluppo
celebrale incompleto dell’ippocampo e delle aree orbito-frontali sono causa dell’amnesia
infantile che viene sostituita da ricordi espliciti quando la maturazione consente di effettuare
collegamenti semantici, che possono essere espressi con la parola. Le prime esperienza
lasciano tracce non consapevoli perché agiscono mediante meccanismi di memoria implicita.
Per Nelson e coll le difficoltà, da adulto, a recuperare eventi della MA dei primi 3 anni di vita
sono in connessione con un’insufficienza competenza linguistico-narrativa. Diventa, quindi,
cruciale il ruolo dell’adulto, perché è importante raccontare i propri ricordi agli altri ( e l’adulto
in qualche modo deve cercare di attivare il dialogo con il figlio).
Ci sono diversi filoni di studio della MA (tutti legati al modello di interazione sociale della MA di
mediazione linguistica):
1. Stili conversazionali
materni: Hanno fatto molte ricerche andando nelle case e
registrando le conversazioni tra madri e bambini sugli eventi del passato
(tendenzialmente su ricordi vissuti insieme da mamma e bambino).vengono individuati
2 stili conversazionali:
-
Stile elaborativo: la madre nel ricordare cerca e sollecita la partecipazione attiva del
bambino sia quando il figlio non ha difficoltà nella rievocazione dell’episodio, sia quando
fa fatica. Il genitore è abile nell’aiutare la ricostruzione del ricordo anche quando il
bambino sembra faticare a ricordare (come se desse degli input).
-
Stile ripetitivo/scarsamente elaborativo:
le madri utilizzano una strategia
conversazionali più incalzante (domanda-risposta), l’obiettivo non è una conversazione
condivisa tra i 2, ma quasi una prova di memoria. Tendono a ripetere sempre la stessa
domanda.
2. Lessico emotivo e differenze di genere: Le madri rievocando eventi del passato tendono
a parlare di eventi passati in termini emozionali più con le figlie che con i figli maschi.
C’è quindi una maggior rievocazione di episodi del passato emotivamente connotati con
le femmine. Dove c’è riferimento alle emozioni, più facilmente le madri sono propense a
evocare episodi tristi con le femmine, di rabbia con i maschi.
3. Diversità culturali: Antropologi e psicologi culturali. L’appartenenza a una cultura incide
molto sullo sviluppo della MA. C’è una differenziazione:
-
Culture individualiste: occidentali. Il Sé
dell’individualità. La MA è più dettagliata e il
perché l’adulto è più disposto a conversare con
Si parla di Sé indipendente, c’è l’affermazione
della MA.
-
Culture collettiviste: orientali. Idea di armonia di gruppo. La MA è meno dettagliata e il
primo ricordo risale a un’età superiore (rispetto a culture individualiste). L’adulto è
meno disposto a conversare. Si parla si Sé dipendente che dipende dagli altri Sé e c’è
un tardivo sviluppo della MA
4. MA e trauma.
è in primo piano, c’è l’emergere
primo ricordo risale a un’età inferiore,
i figli rievocando episodi successi a loro.
del Sé autonomo e un precoce sviluppo
Capitolo 5: LO SVILUPPO
comunicativo-linguistico)
DEL
LINGUAGGIO
E
DELLA
COMUNICAZIONE
(Sviluppo
Studio dello sviluppo del linguaggio dei bambini in relazione alle competenze comunicative che
precedono il linguaggio vero e proprio. Il linguaggio ha essenzialmente 2 proprietà: la
creatività e l’arbitrarietà, in quanto chi parla una lingua è in grado di produrre una grande
varietà di messaggi combinando tra loro un numero limitato di unità-base di quella lingua
(fonemi o parole).
La comunicazione e il linguaggio
Per la psicologia la comunicazione è l’articolazione di componenti verbali e non verbali (CV e
CNV) che entrano a far parte dell’atto comunicativo fra 2 o più persone. L’atto comunicativo è
il risultato di un’integrazione di queste 2 componenti.
CV: parole combinate tra loro in frasi, secondo precise regole grammaticali.
CNV: vasta gamma di componenti, segnali di tipo intonazionale, paralinguistico, cinesico
(legati al movimento).
-
Elementi non verbali del parlato (canale vocale-uditivo) come l’intonazione della parola
o della frase e paralinguistica, cioè qualità della voce, vocalizzazioni aggiuntive,
fenomeni temporali (pause).
-
Elementi cinesici (canale cinesico-visivo) come la mimica facciale, l’espressione del
volto, lo sguardo, il movimento del corpo (la gestualità), i movimenti del corpo nello
spazio (la postura e l’orientazione).
Il NV precede il V anche nel bambino. Il NV pero’ non viene sostituito, ma permane e assume
nel corso della crescita specifiche caratteristiche. L’emergere vero e proprio del linguaggio
(intorno all’anno) è un esito da vedersi in continuità con quanto successo prima, perché le
prime parole sono il risultato dello sviluppo comunicativo prelinguistico e preverbale. Per
sottolinearle questa continuità Schaffer parla di Sistema di segnalazione sociale primario
dato da un insieme di segnali comunicativi preverbali di cui il bambino dispone da subito e che,
favorendo l’interazione comunicativa, favorisce lo sviluppo linguistico. (sorriso, pianto, gesto
sono sistemi di segnalazione).
L’origine del linguaggio: teorie
Le origini del linguaggio sono diverse a seconda delle teoria che lo analizzano:
-
Comportamentista (Watson e Skinner) concepisce lo sviluppo del linguaggio legato a
imitazione e rinforzo.
-
Innatista (Chomsky anni ‘60) da una spiegazione neurologica allo sviluppo del
linguaggio. Sulla base delle sue teorie viene ipotizzata l’esistenza di un dispositivo
innato per l’acquisizione del linguaggio, LAD (language acquisistion divice), secondo C il
linguaggio si sviluppa su base biologica e la matrice biologica è di tipo universale. Egli
pensa che l’acquisizione del linguaggio è un processo attivo di scoperta di regole e di
verifica di ipotesi e nega l’importanza dell’imitazione e dell’insegnamento dell’adulto,
dicendo che spesso il bambino inventa parole, quindi non copia. La posizione innatista
ha esercitato una forte influenza e ora il linguaggio infantile non viene più visto come
imitazione del linguaggio adulto, ma come processo attivo. Si critica però la poca
importanza che C da ai discorsi ascoltati dal bambino nell’ambiente.
-
Psicologia del linguaggio,spiegazione cognitivista (Piaget e VygotskiJ) P lega il
linguaggio all’emergere del pensiero e delle capacità cognitive (rappresentative e
simboliche). Secondo la tesi di P lo sviluppo cognitivo precede la comparsa del
linguaggio ed è autonomo rispetto ad esso, mentre il linguaggio deriva e dipende dallo
sviluppo cognitivo. Egli si contrappone anche a Chomsky e ritiene che il bambino impara
facendo, cioè agendo sulla realtà e solo dopo capisce quello che fa, perciò l’esecuzione
viene prima della competenza e non viceversa. V invece da origini indipendenti al
linguaggio e al pensiero, nel corso dello sviluppo lavoreranno poi sinergicamente. Non
c’è subordinazione pensiero-linguaggio.
-
Interattivo-costruzionista (interazionista Schaffer e Bruner) contesta Chomsky e
sottolinea l’importanza del ruolo dell’interazione sociale per lo sviluppo linguistico e
l’idea di continuità tra prelinguistico e linguistico. Secondo questa teoria non è
sufficiente il LAD, ma serve un sistema di supporto per l’acquisizione del linguaggio,
LASS (language acquisition support system). Gli approcci funzionalismi sostituiscono la
nozione di C competenza linguistica con la più ampia nozione competenza
comunicativa.
Negli anni ’50, ’60, ’70 si diffonde nella filosofia anglosassone la teoria degli atti linguistici (per
la quale il dire è un fare e viene analizzato il linguaggio e i suoi usi).
Si parla anche di routine di azione madre-figlio: sono quelle azioni che madre e bambino
condividono (pasto, bagnetto, lettura di libri) e si strutturano in maniera forte i cosiddetti
FORMAT, cioè delle sequenze di azioni condivise tra adulto e bambino, collegate le une alle
altre, con alternanza di turni e scambi. Sono azioni che vengono ripetute e danno idea della
continuità. Questo è il preludio dell’emergere del linguaggio vero e proprio. Collegato alla
routine c’è lo schaffolding (intelaiatura), il fatto che l’adulto sia pronto a cogliere le
opportunità, gli stimoli che il bambino gli da per portare allo sviluppo linguistico del bambino.
La fase preverbale e prelinguistica
È la fase dello sviluppo comunicativo nel primo anno di vita. Qui si rilevano dei segnali
comunicativi importanti:
-
Il pianto e i suoi diversi tipi a seconda della causa (da tenere conto anche differenze
individuali legate al temperamento del bambino). La madre si solito impara
velocemente a riconoscere i vari tipi di pianto, che dovrebbero man mano diminuire con
la crescita del piccolo.
-
Il sorriso nella fase neonatale quando il bambino dorme fa delle smorfie di natura
endogena (interna), più tardi il sorriso diventa un’espressione simmetrica e più
collegata ad aventi di natura esterna. Il sorriso sociale (3 mesi) è una condotta molto
importante perché nascono con questo le prime forme di comunicazione
(protoconversazione) che sono dei giochi di sguardi e sorrisi (tendenzialmente con il
caregiver).
-
I gesti che possono essere:
-
o
gesti comunicativi diettici o performativi (che indicano), che esprimono da
parte del bambino un’intenzione comunicativa e si riferiscono a un oggetto,
evento del mondo esterno facilmente osservabile. Esistono i gesti richiestivi, che
il bambino mette in atto perché vuole che l’adulto gli dia un oggetto (compare
prima nel bambino perché è più semplice) e i gesti dichiarativi, che il bambino
usa quando desidera condividere attenzione o interesse su un oggetto o un
evento con l’adulto che si trova lì.
o
Gesti di tipo referenziale che rappresentano un referente specifico e il loro
significato non cambia con il cambiare del contesto. Ci può essere un’intenzione
comunicativa. Nello stesso periodo in cui il bambino usa i gesti di tipo
referenziale, compaiono le prime parole.
I primi suoni sono di natura vegetativa o legati al pianto. Dal punto di vista fonologico
le vocalizzazioni non di pianto compaiono verso i 6 mesi sistematicamente. Compare
verso i 7 mesi la lallazione canonica, delle sequenze consonante vocale ripetute più
volte (dadada, papapa, mamama), verso i 10 11 mesi i bambini producono sequenze
sillabiche complesse (bada, dadu) che caratterizzano la lallazione variata. Compaiono
anche le prime proto-parole che assumono significato specifico (tata, papa).
Il bambino piccolo interagisce tramite i sistemi di segnalazione, con comportamenti che hanno
effetti comunicativi sulla madre che non rimane passiva ai pianti, ai sorrisi, alle vocalizzazioni.
Lei reagisce e questo mettersi sul piano del bambino da parte sua fa si che i comportamenti
dei bambino diventino diretti a uno scopo, si ha quindi la comunicazione pre-intenzionale. Il
genitore fa inferenza comunicativa e interpreta i comportamenti aiutando il bambino a
raggiungere il suo scopo. E questa intenzione dell’adulto fa emergere successivamente la
comunicazione intenzionale nel bambino, che capisce che l’adulto può partecipare attivamente
aiutandolo. In virtù dell’inferenza della madre, il bambino diventa un soggetto comunicativo,
alla base delle sue azioni c’è intenzionalità. Quando la madre risponde appropriante
all’intenzione comunicativa del bambino in qualche modo “alza il tiro” e sollecita la produzione
di vocalizzazioni e parole, lo incita quindi a parlare.
Si può individuare una sorta di sequenza comunicativa.
1. Sistema di segnalazione primaria
2. Effetto comunicativo
3. Comunicazione pre-intenzionale
4. Inferenza comunicativa
5. Comunicazione intenzionale
6. La mamma incita
7. Comunicazione linguistica
Gli aspetti del linguaggio che vengono studiati sono 4:
1. FONOLOGIA
2. SINTASSI
3. SEMANTICA
4. PRAGMATICA
La fonologia si occupa di suoni di tipo linguistico e delle regole e dei processi che ne governano
la produzione. È possibile distinguere i suoni di pianto e non di pianto e i vari tipi di pianto. I
principali cambiamenti qualitativi del comportamento vocale nel I anno di vita:
-
0/2 mesi SUONI VEGETATIVI: stato di benessere, sono di breve durata e c’è un pianto
di tipo riflessi. Sono suoni consonantici
-
2/5 mesi COPING: fenomeno del tubare (piccione), non sono di pianto, ma esercizi
vocali che concorrono allo sviluppo delle capacità fonologiche, sono vocalizzazioni.
Suoni vocalici.
-
4/7,5 mesi LALLAZIONE CANONICA: segmenti di vocalizzazioni di durata maggiore, c’è
un ricombinaggio delle vocalizzazioni precedenti, consonante e vocale. Produzione
sillabiva.
-
7/10 mesi LALLAZIONE REDUPLICATA: ripetizione della combinazione consonanti-vocali
(ma-ma, ta-ta). Verso i 10 mesi: CVC = consonante, vocale, consonante (MAM, TAT)
VCV = vocale, consonante, vocale
Questi sono i precursori delle prime parole, fenomeni di gergo espressivo.
Le prime parole
Le prime parole sono combinazioni fonologiche riconoscibili e presentano forti somiglianze con
il linguaggio adulto e sono usate in un ambito ristretto di situazioni (11-13 mesi). I bambini
fanno un uso contestualizzato di queste parole, riferite a persone, oggetti, azioni.
Successivamente ne farà un uso referenziale, non routinario, si ha una decontestualizzazione.
Tra i 18 e i 20 mesi si ha l’esplosione del vocabolario, una produzione linguistica molto ricca, il
bambino impara tante parole in poco tempo. Sono stati individuati 3 tipi di errori tipici dei
bambini in età delle prime parole:
-
Sovraestensione: es: chiamare gatto tutti gli animali a 4 zampe
-
Sottoestensione: es: chiamare bambola solo la sua e non tutte le altre bambole (uso
contestualizzato)
-
Sovraesposizione: rispetto ai verbi es: usare il verbo aprire in maniera sbagliata (apri
bottone, apri la luce ecc..)
La comprensione linguistica precede la produzione linguistica.
I bambini di solito cominciano a imparare nomi che si situano ad un livello base di generalità e
solo dopo imparano i nomi più specifici (categorie subordinate) o nomi più generali e astratti
(categorie sovraordinate). Secondo alcuni studioso il bambino costruisce il significato delle
parole sulla base delle somiglianze percettive ( forma, grandezza, colore ecc...) tra gli oggetti o
eventi, secondo altri per somiglianze funzionali (uso degli oggettie funzione).
Dal II al III anno di vita il bambino sviluppa il lessico psicologico del mondo interno e degli
stati mentali. Il bambino sviluppa la Sintassi e c’è il passaggio alla frase.
C’è così il fenomeno dell’olofrase, ovcvero una o due parole che sono di transizione alle vere
frasi e sono di 2 tipi:
-
Chained word (parole concatenate) che sono un vero tentativo di strutturare frasi
complesse
-
Frozen phrases (frasi congelate) le parole sono un tutt’uno (più acqua per dire che non
c’è più acqua).
Le prime combinazione di parole dispongono della classe perno ( piccolo numero di parole che
ricorrono frequentemente e sempre in posizione iniziale nella frase, e della classe aperta a cui
appartengono tutte le altre parole del vocabolario. In questa fase c’è una struttura nucleare
della frase (predicato verbale con i suoi argomenti e l’intenzione con cui si pronuncia la frase),
nel secondo stadio c’è una struttura facoltativa come l’uso di avverbi.
Lo sviluppo sintattico e grammaticale può essere analizzato dal punto di vista morfologico e
sintattico.
-
Sviluppo morfologico: Fa riferimento al numero (plurale, singolare), al genere (f/m),
alla coniugazione dei verbi. Sono tutti aspetti che cambiano la parola e che sono
inportanti per la comprensione di questa. I bambini scoprono le regole, se il bambino
imitasse e basta non farebbe gli errori, invece cercano di applicare spontaneamente.
Esiste la morfologia nominale ( m/f, p/s) e la morfologia pronominale ( l’uso dei
pronomi personali negli scambi dialogici).
-
Sviluppo sintattico: si collega alla fase di transizione, più c’è vocabolario, più la
produzione sintattica è corretta. Il bambino progredisce ad arricchire la complessità
della frase (es: aggettivi, avverbi).
Pag 147 schemino.
La pragmatica è lo sviluppo della competenza conversazionale e comunicativa. La competenza
conversazionale si sviluppa nella prima infanzia a partire da dialoghi prelinguistici. Ci sono
scambi di informazioni anche quando il bambino non usa il linguaggio come lo usiamo noi.
Secondo alcuni studiosi ( Kaye e Kogel) anche l’allattamento è una sorta di comunicazione prelinguistica, c’è anche in questi alternanza dei turni, quando la mamma smette di sollecitare il
bambino succhia, quando smette la suzione la mamma gli parla e lo sollecita.
In tutte le attività quotidiane tra bambino e caregiver si sviluppano catene di discorsi,
conversazioni vere e proprie (nutrizione, lavaggio, lettura libri, addormentamento).
Il bambino a 3 anni ha le competenze linguistiche di base (infatti inizia la scuola materna), tra i
3 e i 5 anni c’è un cambiamento della qualità conversazionale del bambino, con lo sviluppo
della memoria e con le esperienze i bambini ricordano esperienze passate e le condividono con
gli altri. Nelson parla di Script (copione) per indicare delle organizzazioni di conoscenza sul
mondo che sono relative a situazioni ed eventi estremamente collegati tra loro. Es: scritt della
gita allo zoo, della giornata alla giostre, del ristorante (entro, mangio, pago). Uno script è una
serie di azioni che si susseguono in un relativo ambito e che il bambino riconosce all’interno di
questo.
Quando i bambini iniziano a conversare è fondamentale che abbiano degli scritt comuni, perché
devono scambiarsi informazioni su questa conoscenza di fondo.
Dopo i 6 anni la capacità conversazionale migliora, anche perché il bambino sa produrre
messaggi immediati e adeguati, sa chiedere spiegazioni se non ha capito e sa tenere conto dei
diversi punti di vista. Egli migliora le capacità metalinguistiche: sa produrre linguaggio ed è in
grado anche di riflettere sul linguaggio e sa riconoscere che esso è qualcosa di convenzionale,
sa rifletterci sopra (es: quando impara la grammatica).
La psicolinguistica si occupa anche dello sviluppo delle competenze narrative, cioè dell’abilità
narrativa e si può parlare di narrazione quando c’è l’uso di congiunzioni e nessi temporali (2
anni), l’uso di marcatori causali ( 3 anni) e la costruzione di scritt ( 4 anni). A 5/6 anni i
racconti sono più ricchi perché c’è la capacità di sincronizzare 2 paesaggi: quello delle
intenzioni del mondo interno e quello delle intenzioni del mondo esterno.
Tra i 6 e gli 8 anni compare la capacità di inserire nei racconti delle complicazioni, un elemento
di rottura. A 10 si arriva all’inserimento di diverse complicazioni con relativa soluzione. In
preadolescenza e adolescenza le capacità migliorano e la novità è quella di muoversi sul piano
del racconto andando avanti e indietro, non c’è più sempre rapporto di consequenzialità (flash
back, flash forward, racconto nel racconto).
Adulto e linguaggio
Il linguaggio dell’adulto verso il bambino è molto importante per lo sviluppo linguistico. Il ruolo
dell’adulto contribuisce alle capacità individuali e al temperamento individuale di svilupparsi.
Si parla di baby talk (anni 70/80) per indicare il modo in cui gli adulti si rivolgono ai bambini,
che è un linguaggio più lento, ha pause maggiori, le parole vengono scandite in maniera
marcata, gli enunciati sono più brevi e sintatticamente più semplici, l’intonazione è particolare
e a volte esagerata, con toni di vole elevati.
Esistono stili comunicativi materni diversi.
5. LO SVILUPPO SOCIALE
Il termine sviluppo sociale ha preso il posto di socializzazione. Fino agli anni ’60 lo studio dei
processi di socializzazione era concepito in chiave di acculturazione o di acquisizione del
controllo degli impulsi o di addestramento al ruolo. Il termine usato ora rende chiaro che il
neonato è un essere sociale fin da subito che diventa sempre più consapevole e competente
grazie all’interazione. Si parte dal postulato sociale nella genesi dello sviluppo: postulato vuol
dire affermazione forte, lo sviluppo è possibile solo in termini di possibilità del bambino di
interagire sin da subito con qualcuno che si occupi di lui. L’adulto ha la funzione di mediatore e
interlocutore che promuove lo sviluppo di competenze e abilità. Per diventare competenti e
abili bisogna sviluppare la comprensione di sé e degli altri, cioè deve avere consapevolezza sul
fatto che le persone sono dotate di stati interni che portano a condotte, comportamenti,
relazioni. Per questo il bambino deve essere capace di fare una distinzione tra sé e gli altri.
Il termine Sé è molto complesso, compare in autori diversi con accezioni diverse. Lewis intende
la consapevolezza di sé come la consapevolezza di possedere un’identità separata dall’altro e si
basa su un processo di differenziazione Sé/altro e rappresentazione di sé come entità
oggettiva. Egli parla di due tipi di Sé:
-
Sé esistenziale: componente implicita del Sé che organizza l’esperienza (0-18m circa)
ed è la consapevolezza primaria, che si fonda su una percezione immediata e precoce
che deriva dalle informazioni sensoriali visive, acustiche e dalla comunicazione verbale e
non verbale;
-
Se categorico: componente esplicita del Sé che deriva dall’autoconsapevolezza e
dall’autoriconoscimento. (+18m circa) ed è la consapevolezza secondaria che si basa
sulla capacità di rappresentazione e di autoriflessione. Rappresentazione mentale e
capacità linguistiche.
Il passaggio da Sé esistenziale a Sé categorico è segnato da:
-
già tra i 15 18 mesi compaiono le prime espressioni verbali e linguistiche che si
riferiscono a Sé ed a altri (mio, tuo, io, tu);
-
Test di Gallup: macchia sul naso. È un paradigma di ricerca che serve ad indicare la
presenza di autoriconoscimento del bambino che riconosce la sua immagine allo
specchio;
La consapevolezza di Sé comincia ad apparire circa a 15 mesi.
La coscienza degli altri è segnata da:
-
paura e angoscia dell’estraneo. Spitz lo studia coi bambini istituzionalizzati e lì
comprare a 8 mesi, a bambini in famiglie invece anche a 6,7 mesi. I bambini hanno più
paura dell’estraneo più questo è diverso dalla madre (uomini, altri, grossi, con il
vocione). Questo per Bowlby è significativo perché il bambino riconosce l’estraneo come
potenzialmente pericoloso.
-
La comparsa della timidezza (14 15 m), come nascondersi dietro la mamma, abbassare
la testa. Lewis dice che proprio nella metà del secondo anno compaiono queste
emozioni sociali che sono indicatori di coscienza di Sé e dell’altro.
La percezione richiede anche l’elaborazione di un’immagine mentale: il bambino deve percepire
la stabilità degli oggetti e delle persone nel tempo e nello spazio, deve riconoscere le emozioni
e comprenderne il significato. Intorno ai 18 mesi la comparsa delle emozioni sociali è un chiaro
indicatore della coscienza di Sé. Colpa, vergogna e imbarazzo sono espressioni emotive
complesse e nascono al riconoscimento di comportamenti o attributi negativi rivolti a se
stesso.
Evoluzione del concetto di Sé e degli altri
Le elaborazione su Sé e gli altri non sono statiche ma soggette a continue ristrutturazioni e
rielaborazioni, come esito delle esperienze sociali. Dopo la prima infanzia il senso della identità
personale e il rapporto con gli adulti e i coetanei e caratterizzato dall’acquisizione dello spirito
di iniziativa. Anche nei giochi, per esempio, spesso il bambino finge di prendere il posto
dell’adulto, verso i 7 8 anni compare il gioco con regole o gioco sociale che indica come si vada
sviluppando anche l’attenzione alle norme e al loro significato interpersonale.
La teoria dell’attaccamento sostiene che nell’infanzia la percezione del mondo, delle esperienze
e delle persone siano filtrate dai modelli operativi mentali interno di sé e della figura di
attaccamento. Per esempio se un bambino ha costruito un immagine di sé e degli altri insicura
e se le circostanze ambientali sono negative, le idee su se stesso, sulla altre persone e sulle
relazioni saranno dominate da sfiducia, incertezza e dalla tendenza ad interpretare in modo
negativo i segnali dell’ambiente e degli altri.
L’esigenza di essere accettati è molto sentita nell’infanzia e rende vulnerabili al giudizio degli
altri e dalle opinioni soprattutto degli adulti da cui nasce il senso di autostima., che è l’insieme
di valutazioni che riguarda il Sé nelle sue diverse componenti di Sé fisico, capacità sociali e
identità.
Erikson propose il modello di sviluppo psico-sociale e fu il primo a collegare lo sviluppo
psicologico tendendo conto degli aspetti sociali. Il bambino attraversa la sua fase di sviluppo
(BIOS) e interagisce con particolari sistemi/soggetti sociali che modulano lo sviluppo del BIOS,
tiene conto del ruolo dell’adulto e della società.
Identità e tipizzazione sessuale
Man mano che il bambino cresce si rende conto che le persone sono distinguibili in base ad
alcune categorie. Già verso i 10 mesi i bambini capiscono che le persone si suddividono per
sesso, identificano inizialmente alcune caratteristiche fisiche simili a sé e alle persone familiari
e cominciano così ad organizzare categorie mentali per distinguere maschi e femmine. Gli studi
sulle differenze sessuali sono stati influenzati dagli stereotipi sociali. Differenze si trovano
anche nella scelta dei giochi , la scelta del compagno di giochi avviene tendenzialmente per
sesso e lo stile relazione nei bambini tende ad essere basato su forme di gerarchia e di
dominanza, su modalità comunicative dirette e contrassegnate da contatti corporei. Le
bambine invece mostrano maggiore disponibilità alla collaborazione, sono più sensibili, attuano
comportamenti più prosociali, attivano processi di inclusione in un gruppo e hanno meno
tendenza all’aggressività.
La psicanalisi, attraverso le fasi dello sviluppo psicosessuale, delinea la tendenza del piccolo a
identificarsi con il genitore dello stesso sesso e ne interiorizza il ruolo sessuale. La teoria
dell’apprendimento sociale (Bandura) assegna un ruolo determinante ai meccanismi di
imitazione. Kohlberg vede invece la tipizzazione sessuale come un processo primariamente
cognitivo che deriva dalla più generale tendenza dei bambini a pensare per categorie. Intorno
ai 3 anni il bambino inizia a differenziare le due categorie di appartenenza sociale dei maschi e
delle femmine e a stabilire la propria identità di genere. Secondo lui i bambini si identificano
ancora con la madre, solo a 4 anni il bambino capisce il concetto di stabilità del genere cioè
capisce che le differenze sessuali non cambiano con il tempo e che appartenere ad un genere
sessuale vuol dire diventare uomo o donna (almeno in teoria, Tekla).
Età infantile
Intersoggetività primaria (Sé primordiale)
categorico)
Intersoggetività secondaria ( Sé
Età prescolare
Acquisizione di autonomia e apprendimento di regole nella vita sociale e nello scambio con
l’altro. Autoregolazione, rispetto reciproco. Più c’è esperienza più si impara, c’è un’interazione
consapevole.
Età scolare
Scelta dei compagni con cui giocare. Tema dell’amicizia. Amico in questo stadio viene scelto
per caratteristiche materiali.
Preadolescenza e adolescenza
Relazione tra pari, gruppo dei pari che diventa un’altra famiglia. L’amico viene descritto con
caratteristiche più caratteriali, nella preadolescenza c’è l’amicizia del cuore, è un rapporto
tendenzialmente a 2 3. l’amico è simile o a caratteristiche che si vorrebbero avere.
Nell’adolescenza il gruppo si allarga (gruppo allargato), nascono le relazioni amorose.
Importanza delle relazioni sociali.
5. SVILUPPO MORALE
Le prime riflessioni in campo psicologico derivano dalla filosofia e gli interrogativi sono :
1. se esista o meno una morale unoversale o se essa si articoli in forme e contenuti diversi
in funzione del contesto in cui ha origine e si sviluppa;
2. se la morale abbia radici nella natura umana o debba essere considerata la costruzione
culturale per eccellenza.
La comprensione delle regole e dei valori costituiscono dei criteri di guida per l’individuo.
Secondo Brown l’acquisizione di una normal morale è un processo che comprende tre
dimensioni fondamentali e ci sono tre teorie sullo sviluppo morale:
-
Posizione psicanalitica: L’uomo viene visto come amorale per natura. F sosteneva che
all’inizio domini la pulsione di piacere e piano questa venga domata in base alla realtò.
Egli distingue:
o
Es: che è l’istanza della personalità che cerca il piacere;
o
Io: che è l’istanza della personalità che cerca di mediare le pulsioni e la realtà;
o
Superio: che è l’istanza della personalità che si costituisce con la rinuncia del
complesso di Edipo e con l’interiorizzazione di norme e divieti.
Grazie alla differenziazione dell’Io e del Superio, il bambino acquisisce la capacità di aderire
e controllare le cariche istintive. La norma assume un significato affettivo-emotivo perché
diventa come un’indicazione su come l’individuo si sente o dovrebbe sentirsi nei casi in cui
la rispetta o la viola. Sensazione morale che comprende emozioni di colpa, imbarazzo,
vergogna, paura che derivano dalla trasgressuione di una norma; oppure quelle di orgoglio,
soddisfaziione e autostima nel caso di adesione a principi e regole morali.
-
Teoria dell’apprendimento sociale: Secondo questa i bambini apprendono le norme
attraverso l’osservazione e l’imitazione del comportamento e delle condotte degli altri,
in virtù dei modelli comportamentali. Es: Bandura e neo-comportamentismo. La norma
rappresenta una guida per la condotta, prescrivere comportamenti socialmente
desiderabili. Il bambino all’inizio acquisisce regole osservando e imitando;
l’approvazione, la punizione, la disapprovazione agiscono in interazione con le
caratteristiche individuali determinando meccaniscmi di attivazione o disattivazoone dei
controlli interni responsabili dei comportamente morali o immorali.
-
Teorie cognitiviste: Lo sviluppo morale viene visto in relazione allo sviluppo cognitivo.
Ogni evento subisce il vaglio dei processi cognitivi che hanno il compito di selezionare,
fare gerarchie, categorizzare e differenziare la realtà. La moralità non risiede solo nella
giustezza o nella bontà dell’azione, ma nel significato che l’individuo assegna ad essa. Il
fatto che giudicare un’azione dipenda dallos viluppo cognitivo non implica un necessario
rapporto con il comportamento in situazione reale. Il livello cognitivo è una condizione
necessaria ma non sufficiente per l’agire reale. Piaget individua tre principali fasi con il
metodo clinico dell’osservazione diretta:
o
Anomia (premorale): 3/4 anni, assenza di morale e di regole.
o
Realismo morale (morale eteronoma) 4/8-9 anni. C’è l’adozione di un punto di
vista egodentrico e i giudizi tendono ad essere formulati adottando come criterio
guida il danno reale e oggettivo più che l’intenzionalità di chi compie l’azione. La
validità dei principi dipende sia dall’autorità di colui che li promulga e li sancisce
sia dalla forza con cui vengono fatti rispettare (punizioni, sanzioni). Le
conseguenze delle azioni (responsabilità oggettiva) sono più importanti delle
intenzioni di chi le compie (responsabilità soggettiva).
o
Realitivismo morale (morale autonoma) 9/10 anni. C’è una concezione meno
rigida delle regole, concepite come frutto di un accordo e che possono essere
quindi ca,mbiate. Viene attribuita maggiore importanza agli elementi specifici
della situazione e alle intenzioni.
La conoscenza delle norme rende possibile la comprensione dei significati impliciti
ed espliciti.
Kohlberg si oppone ala tradizione comportamentista, all’idea che la morale sia frutto di
abitudine e imitazione e ritiene che il pensiero diriga l’azione e non viceversa. Egli identifica lo
sviluppo morale nel passaggio da strutture cohnitive più elementari a strutture cognitive più
evolute e studia lo sviluppo del giudizio moalre con la tecnica del dilemma morale. Racconta ai
bambini delle brevi storielle (come quella di Heinz e la moglie pag 181) caratterizzate dal fatto
che in queste il protagonista debba prendere delle decisioni e viene chiesto al bambino quale
decisione è meglio, se Heinz abbia agito bene o male e se avesse torto ragione.
A seconda delle risposte K ha individuato 3 livelli (ognuno diviso in 2 stadi) del giudizio morale
che ruotano attorno alla parola convenzionale che significa conformarsi ed attenersi alle regole,
alle aspettative e alle convenzioni della società o dell’autorità. Questi livelli sono:
1. Livello preconvenionale, fino ai 9-10 anni. Il bambino giudica bene e male in base
alle conseguenze positive o negative per il soggetto stesso. Il primo stadio
(orientamento premio-punizione) coincide con quello della morale eteronoma Piaget, in
cui si attribuisce più importanza all’autorità che ha emanato le norme, che alle
intenzioni dell’agente. Il secondo stadio (orientamento individualistico e strumentale) ha
come riferimento l’individualismo e il bambino giudica utile osservare le regole solo
quando sono vantaggiose per sé.
2. Livello convenzionale, preadolescenza e adolescenza. È incentrato sui rapporti
interpersonali e sui valori sociali, a cui è data la precedenza rispetto alle forme di
individualismo. Durante il terzo stadio (orientamento del bravo ragazzo) lo scopo
principale è vivere in conformità con le aspettative della propria cerchia sociale e con
quelle connesse ai ruoli di figlio, fratello e amico non deludendo le aspettative degli
altri. Relazioni basate sulla fiducia, lealtà, rispetto e tenta di conformare il suo
atteggiamento con i modelli di maggioranza per sentirsi approvato. Nel quarto stadio
(orientamento al mantenimento dell’autorità e dell’ordine) si affina la capacità di
differenziare tra il punto di vista della società e le motivazioni interpersonali. Giusto il
buon andamento e il sostenimento dell’ordine sociale.
3. Livello postconvenzionale, dopo i 20. È caratterizzato dall’emergere di giudizi morali
basati su principi astratti, di natura etica. Nel quinto stadio (orientamento contrattuale
legalistico) emerge la consapevolezza che le leggi e le regole sono relative, frutto di
accordi convenzionali e devono essere rispettate per il rispetto dei diritti individuali. Nel
sesto stadio (orientamento di coscienza e di principio) l’individuo acquista la
consapevolezza che le leggi e gli accordi sociali sono validi solo se basati su principi
universali e su valori etici.
La validità della sequenza stadiale è stata confermata e mette in evidenza il fatto che il
ragionamento preconvenionale decresce con l’età, mentre quello convenzionale aumenta. La
critiche è quella di ritenere gli adolescenti convenzionali e non post-convenzionali.
-
Teoria socio-cognitivista: Turiel. Le regole interiorizzate rappresentano la principale
essenza della morale. Le norme assumono anche la forma di regole convenzionali che
dipendono dalle consuetudini dei gruppi, delle istituzioni e dalle abitudini familiari.
L’interazione sociale e la routine quotidiane favoriscono lo sviluppo delle regole
convenzionali ( i bambini infatti imparano presto come comportarsi a scuola). Secondo
Turiel la distinzione tra regole morali e convenzionali comincia ad essere appresa in età
prescolare. Secondo lui K sovrappone i due ambiti, quello morale, che riguarda
questioni relative al benessere e alla cura di altre persone, e ai diritti e alla giustizia
nelle relazioni interpersonali (comportamento scorretto o di violazione); quello
convenzionale che riguarda standard concordati di comportamenti sociali (a scuola per
es); e quello personale, che riguarda una serie di comportamenti e regole le cui
conseguenze ricadono sul soggetto che li mette in atto. Già i bambini di 4 anni sanno
distinguere morale e convenzionale e sanno che violare il primo è peggio che violare il
secondo.
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Concezione innatista: Haidt e Hauser, credono che la morale abbia origini naturali e lo
sviluppo di questa segua un programma innato (LAD di Chomsky), come se nella nostra
mente esistesse una “grammatica morale” che consenta di apprendere rapidamente le
norme morali di una determinata cultura e che si attiva ogni volta che si viene esposti
a una situazione che implica la categorizzazione di un’azione nei termini di
permissibilità, obbligatorietà e proibizione. (empatia del bambino che già da piccolo
piange quando piangono gli altri).
Anche Bandura critica la concezione stadiale e evidenzia che i processi di ragionamento e i
principi di valutazione dell’azione sono appresi dai bambini attraverso le interazioni con gli
adulti e con i coetanei e non seguono rigide tappe di sviluppo. Secondo B la capacità di
giudicare giusta o sbagliata un’azione è l’esito di apprendimenti sociali. Le interazioni con gli
adulti e i coetanei permettono quindi al bambino di acquisire meccanismi di pensiero in grado
di definire la responsabilità e la gravità delle azioni trasgressive. Egli individua 8 meccanismi di
disimpegno morale che consentono di porre in essere atti trasgressivi di regole di condotta
ritenute valide senza sentirsi in colpa (meccanismo della “giustificazione morale”,
“etichettamento eufemistico”, “distorsione delle conseguenze” ecc…).
Le relazioni tra pari
P mette in evidenza che la relazione verticale ed asimmetrica con gli adulti è deputata ad
offrire cure, protezione a garantire lo sviluppo della persona. Nel corso della crescita diventano
sempre più importanti le relazioni tra pari, anche se l’importanza dell’adulto resta
fondamentale, l’importanza del legame con i coetanei aumenta con il passare del tempo. Il
rapporto di amicizia permettere al bambino di vedere se stesso attraverso gli occhi di un altro
e di sperimentare la vera intimità, promuovendo l’autoconsapevolezza e lo sviluppo dei
processi di socializzazione.
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Nell’età prescolare le interazioni tra coetanei hanno il carattere dell’unidirezionalità
(all’azione del bambino non corrisponde l’azione coordinata dell’altro). I bambini piccoli
tendono a fare la stessa cosa o contemporaneamente o imitandosi subito dopo, già a 3
anni c’è l’alternanza dei turni e la complementarietà dei ruoli. In questo periodo
fioriscono le attività di gruppo che a quest’età si differenziano ancora per genere (le
femminile solitamente si dimostrano meno ostile a includere un maschio tra di loro).
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Nell’infanzia si sviluppano relazioni più selettive basate sulle affinità, i compagni
vengono scelti secondo la comunanza d’interessi e di attività. I rapporti con coetanei
sono caratterizzati dal fenomeno della segregazione sessuale perché comincia a
sviluppasi l’interesse per le competizioni di squadra che implicano preferenze nel tipo di
attività e nella scelta dei compagni. Una ricerca dimostra che i bambini polari, o leader,
hanno fin da piccoli comportamenti rassicuranti e non aggressivi, come il sorriso, una
leggere inclinazione della testa e il leggero sfioramento degli altri; i bambini rifiutati, o
dominanti aggressivi,
hanno comportamenti di minaccia e movimenti bruschi e
aggressivi.
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Nella preadolescenza e adolescenza le relazioni coi coetanei risentono delle esperienze
pregresse, ma nello stesso tempo assumono specifico valore come stimolo al confronto
e come fonte di sostegno e di supporto all’autostima.
Le relazioni amicali sono presenti sin nei più piccoli. Prima si pensava che fosse assente nei
piccoli il legame preferenziale in realtà attraverso l’osservazione, si è dimostrato che già prima
dell’anno i bambini hanno comportamenti diversi tra coetanei che hanno potuto familiarizzare e
bambini che non si conoscono.
Fin dalla prima infanzia l’amicizia si manifesta come una relazione reciproca e stabile nel
tempo. A 2 3 anni i bambini manifestano le proprie simpatie ed antipatie nei confronti degli
altri, provano piacere nello stare assieme e nel fare attività comuni.
In età prescolare le relazioni di amicizia assumono forme e funzioni diverse, diventano meno
esclusive e più flessibili, a 4 5 anni i bambini distinguono gli amici dagli altri compagni. Gli
amici riescono meglio e più rapidamente dei non amici ad appianare le divergenze e trovare
punti di consonanza nella risoluzione dei conflitti. La capacità di collaborare è una delle
competenze sociali meglio sollecitata dalla relazione amicale.
Dall’età scolare in poi le relazioni amicali sono sempre più basate sulla reciprocità, sull’intimità,
sull’intensità e sulla frequenza degli scambi e permettono di acquisire strategie di mediazione e
negoziazione nella risoluzione dei conflitti e capacità di cooperare e collaborare.
Per studiare il concetto di amicizia nei bambini Selman ha utilizzato Dilemmi e domande
semistrutturate e ha individuato 4 stadi di consapevolezza dell’amicizia.
1. Stadio 0: Tra i 3 e i 5 anni gli amici sono compagni di gioco momentanei e l’amicizia è
concepita in chiave di vicinanza e di contatto fisico. È assente la comprensione dei
pensieri e dei sentimenti altrui e il bambino presta attenzione agli attributi fisici del
compagno o alle azioni che compie.
2. Stadio 1: Tra i 6 e gli 8 anni l’amicizia è concepita in termini di aiuto unilaterale che si
pensa di dover ricevere da parte dell’amico, ritenuto capace di intuire e capire i desideri
e soddisfare le aspettative.
3. Stadio 2: (di cooperazione in circostanze favorevoli). Tra i 9 e i 12 anni emerge una
maggiore consapevolezza della reciprocità del rapporto. Ciascun partner sa tenere conto
dell'altro, della sua soggettività e avvengono i primi confronti di idee, opinioni, desideri.
Se si sviluppa un conflitto l’amicizia rischia di rompersi.
4. Stadio 3: (di condivisione mutualistica) .Dai 12 anni in poi l’amicizia è una relazione
solida e duratura, caratterizzata da intimità e fiducia reciproca. Gli amici vengono
descritti come capaci di capirsi, di condividere problemi e pensieri intimi, di provvedere
al sostegno reciproco. Necessaria una certa compatibilità psicologica.
La successione evolutiva del concetto di amicizia si snoda lungo 3 dimensioni: incremento della
capacità di assumere la prospettiva altrui, percezione delle persone come entità psicologiche e
non solo fisiche, rapporti sociali duraturi e non occasionali.
I comportamenti aggressivi
Le relazioni tra coetanei possono spesso assumere la forma di interazioni aggressive. Esistono
diverse tipologie di comportamento aggressivo che si differenziano dalla modalità di attacco,
dall’intenzione che determina l’azione e dalla presenza o assenza di attivazione emotiva. Tra i
bambini sono più frequenti aggressioni di tipi diretto, che colpiscono direttamente il bersaglio
attraverso attacchi fisici e verbali, ma sono anche presente aggressioni indirette che
danneggiano l’immagine sociale per causarne l’esclusione (più diffuse tra le femmine).
Le aggressioni possono infliggere un danno o un dolore all’altro, condotte aggressive ostili, o
possono essere volte ad ottenere oggetti e benefici, aggressività strumentale.
Le condotte aggressive si differenziano anche in relazione alla presenza di comportamenti di
attivazione fisiologica. Esiste l’aggressione reattiva, risposta ad un’interazione percepita come
ostile e caratterizzata da livelli più elevati di attivazione, e aggressione proattiva, aggressioni
di tipo strumentale.
È stata proposta da alcuni studiosi una spiegazione della condotta aggressiva che si rifaceva al
modello “social information processing” che esamina i processi socio-cognitivi attivi nelle
situazioni di interazione e che sono alla base della risposta comportamentale, individuando 6
step di analisi dei comportamenti:
1. fase di codifica dei segnali sociali
2. fase di interpretazione dei segnali
3. fase di classificazione degli scopi
4. fase di esame delle possibili risposte da dare
5. fase di decisione della risposta da dare
6. fase di messa in atto della risposta.
La messa in atto di condotte aggressive è risultata associata a carenze nei processi empatici di
condivisione affettiva degli stati emotivi e a una maggiore ricerca di dominanza e affermazione
di sé. Spesso i comportamenti aggressivo possono derivare dal rifiuto dei pari, ma non sempre
bambini o ragazzi aggressivi sono rifiutati. Quando si tratta di aggressività proattiva spesso i
ragazzi ricevono indici di preferenza sociale elevati, mentre quando si tratta di aggressività
reattiva sono poco graditi dai compagni.
Il bullismo
Aggressività indiretta vs diretta
Ostile vs strumentale
Reattiva vs proattiva
L’aggressività è diretta quando il comportamento aggressivo è mirato a colpire un oggetto o
una persona, verbalmente o fisicamente.
L’aggressività è indiretta quando il comportamento aggressivo vuole danneggiare l’immagine
sociale di una persona e causarne l’esclusione.
Il comportamento aggressivo ostile si ha quando si vuole infliggere un danno senza
necessariamente volere in cambio qualcosa.
Il comportamento aggressivo strumentale si ha quando si infligge un danno per ottenere in
cambio qualcosa.
L’aggressività è reattiva quando c’è una reazione, una risposta a un comportamento percepito
come ostile.
L’aggressività è proattiva quando non c’è uno stimolo, ma la persona aggredisce qualcosa o
qualcuno.
Il bullismo è diventato oggetto di studio da qualche decennio (bullying anni ’60 ’70).
Olweus (’93) lo definisce “Uni studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o
vittimizzato, quando viene esposto ripetutamente nel corso del tempo alle azioni offensive
messe in atto da parte di uno o più compagni”
Sharp & Smith (’94) “Un tipo di azioni che mira deliberatamente a fare del male o a
danneggiare, spesso è persistente, talvolta dura per settimane, mesi, persino anni ed è difficile
difendersi per coloro che ne sono vittime. Alla base dei comportamenti sopraffattori c’è un
abuso di potere e un desiderio di intimidire e dominare”
Le manifestazioni di bullismo sono presenti in tutto l’arco della vita, dall’età prescolare all’età
adulta. Cambiano le modalità di aggressione, per esempio è considerato bullismo tra adulti il
mobbing.
Caratteristiche del bullismo:
1. Mancanza di provocazione, è un comportamento proattiva;
2. Intenzionalità, il bullo è contraddistinto dalla volontà di nuocere alla vittima, sceglie di
farlo e le modalità nel farlo. Individua le persone più deboli e ne fa la vittima.
3. Persistenza, reiterazione, prevaricazione che la vittima subisce ripetutamente dallo
stesso bullo (o bulli)
4. Disequilibrio, il bullo è più forte (fisicamente e psicologicamente) rispetto alla vittima.
Relazione asimmetrica.
Non è bullismo:
-
lotte e litigi fra compagni che si equivalgono per età e forza e le cui intenzioni
aggressive sono reciproche;
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Singole azioni offensive non reiterate;
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Giochi turbolenti (lotte) di natura ludica, non finalizzati a infliggere sofferenza;
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Atti vandalici e delinquenziali.
Le diverse forme di bullismo;
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Bullismo diretto: attacchi fisici o verbali, espliciti, c’è una prevaricazione esplicita:
percosse, insulti, derisioni, minacce (maschile)
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Bullismo indiretto: isolamento sociale, infastidire, esclusione, ignorare senza attacchi
espliciti e diretti. (femminile).
-
Cyberbullying: può essere diretto o indiretto. Attraverso i mezzi tecnologici (cellulare,
sms, computer, email, social network) un individuo o un gruppo attua ripetuti e
deliberati comportamenti al fine di colpire e ferire qualcuno. È più difficile da tenere
sottocontrollo perché non è come a scuola, ovvero non è visibile.
Il bullismo è un fenomeno sociale in cui compaiono diverse figure: FIGURE PROSOCIALI,
ANTISOCIALI E L’ESTERNO E LA VITTIMA.
Tra le figure antisociali c’è:
-
Il bullo: chi prende attivamente l’iniziativa, il promotore che agisce in prima persona;
-
L’aiutante: seguace del bullo (leader negativo), anche lui interviene attivamente ma in
posizione secondaria;
-
Il sostenitore: chi assiste alla scena, non interviene in nessun modo fisicamente, ma
sostiene l’aggressione attraverso grida, urli.
Tra le figure prosociali c’è:
-
Il difensore: colui che prende le parti della vittima e cerca di interrompere
l’aggressione o consola la vittima terminata l’aggressione.
E altre due figure:
-
L’outsider o esterno: colui che cerca di stare fuori volontariamente, che fa quasi finta
di non vedere
-
La vittima: la persona che subisce le prepotenze ripetutamente senza reagire.
Esterni e vittime hanno punteggi bassissimi nella comprensione delle emozioni, l’esterno
potrebbe non comprendere in pieno lo stato emotivo della vittima.
Il bullo ha una TOM funzionante e capace di riconoscere gli stati interni dell’altro e riesce a
comprendere chi è più debole e lo colpisce.
Il bullismo è un fenomeno multidimensionale. Non è riducibile al solo comportamento
aggressivo e ci sono dimensioni personali, culturali, familiari (stili educativi), scolatische
(modalità relazionali dell’insegnante).
IL BULLO caratteristiche:
-
bambini ragazzi aggressivi sia con coetanei che con adulti,
-
ha un forte bisogno di dominare gli altri
-
impulsività
-
atteggiamento positivo verso la violenza che serve per ottenere
-
scarsa empatia nei confronti delle vittime
-
mostrano
disimpegno
morale
(responsabilizzazione della vittima)
-
fisicamente più forti della media
-
forte opinione positiva di sé
-
possiedono una TOM efficace
I tipi di bullo:
e
autogiustificazione
del
comportamento
-
Il bullo aggressivo: è sicuro di sé, spavaldo, duro, insensibile verso i sentimenti altrui,
ha molto amici che lo sostengono e stimano, si prendere quello che vuole, reagisce
malamente all’autorità. Può essere coinvolto anche il altre forme di comportamento
antisociali: atti vandalici, furti.
-
Il bullo passivo o gregario: aiutante o sostenitore, non gli interessa creare sofferenza
agli altri, ma vuole appartenere a un gruppo e accetta questi comportamenti ingiusti e
amorali pur di sentirsi parte. Personalità fragile e insicura, bisogno di appartenenza.
Gli studi hanno dimostrato che i contesti familiari, che sono una delle cause di questo
comportamento, sono costanti nei bulli.
-
La figura di accadimento, o caregiver, ha un atteggiamento distanziante,
caratterizzato da mancanza di calore e coinvolgimento, di stanziamento affettivo.
Durezza nel legame con la figura di accadimento.
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Lo stile educativo è eccessivamente permissivo/tollerante, non vengono imposti dei
limiti e non viene contenuto il comportamento del bambino.
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Uso coercitivo del potere, soprattutto il padre, con punizioni fisiche e violente
esplosioni emotive, quindi scarso autocontrollo.
-
I valori sono individualismo e egoismo.
LA VITTIMA caratteristiche:
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persona debole fisicamente e psicologicamente
-
scarsa autostima e immagine di sé
-
soggetti svantaggiati socialmente o disabili
-
spesso di etnie diverse.
I tipi di vittima:
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La vittima passiva: non reagisce, debole, che pensa di meritarsi le prepotenze, si
ritira, ha opinione negativa di sé, ha difficoltà a riconoscere e codificare le emozioni,
è più ansioso e insicuro dei coetanei ed è meno assertivo. Vive in isolamento e ha
pochi amici ( spesso altre vittime)
-
La vittima aggressiva o provocatrice: alcuni tratti del suo comportamento sono simili
alla vittima, altri simili al bullo. Ha bassa autostima, ansia sociale, rifiuto da parte
dei pari (ancora più delle vittime passive). È un bullo vittima. Ha comportamenti
aggressivi e antisociali, cerca di fare il bullo
ma non sa esercitare la sua
aggressività e diventa vittima. Spesso ha problemi di concentrazione, impulsività e
operatività. Ha atteggiamenti provocatori e difficoltà nel controllo delle emozioni.
(Elementi negativi bullo e elementi negativi vittima). (è il più sfigato, by Tecla).
Anche qui gli studi hanno dimostrato tratti comuni nelle famiglie:
Nelle vittime passive la famiglia è caratterizzata da un alto livello di iperprotezione e coesione,
dipendenza, il bambino è abituato ad essere protetto e difeso dalla famiglia e solo non sa farlo.
(ansia e paura verso il mondo esterno).
Nelle vittime aggressive la famiglia è caratterizzata da un basso livello di comunicazione,
carenza di affetto e di sentimenti positivi. Disciplina restrittiva, potenziale abuso, esposizione e
violenza da parte del marito e ostilità materna.
IL BULLISMO FEMMINILE
È frequente quanto quello maschile. Le femmine utilizzano forme di prevaricazione che
tendono all’esclusione e all’isolamento delle altre bambine. Aggressività relazionale.
Fattori di rischio che aumentano la possibilità di bullismo:
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vulnerabilità individuale (deficit cognitivi, disturbi dell’affettività, disabilità fisiche)
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difficoltà familiari (perdita, conflitti, rifiuti, abuso) disturbi nelle relazioni affettive
familiari
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disfunzione dei sistemi di sostegno sociale (affiliazione a gruppo devianti, difficoltà
economiche ed emarginazione sociale).
Fattori di protezione che diminuiscono la probabilità di bullismo:
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caratteristiche individuali, programmi di educazione morale e civica, abilità
cognitive, sociali, temperamentali e affettive da incrementare.
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Qualità delle interazioni bambino-ambiente, programmi di tipo preventivo, relazioni
con l’adulto e con i pari per riconoscere i segnali di allarme
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Qualità del contesto sociale.