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ALBANIA
Le vergini giurate
Le donne albanesi per ottenere gli stessi diritti
concessi agli uomini fanno voto di castità, una
pratica tribale che ancora sopravvive nelle
montagne. La rinuncia al sesso garantisce loro
il diritto alla successione, a fumare in pubblico
e a viaggiare. In una famiglia senza maschi,
una donna può così diventare capo famiglia
e godere della stessa autorità degli uomini.
di Stella Morgana
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G
iurano di restare caste per sempre in
cambio di una vita da uomini, per cavarsela in un mondo dominato dai maschi. Abitano i villaggi rurali del nord dell’Albania, fino a qualche tempo fa anche quelli
della Bosnia e del sud della Serbia. Le chiamano “burrnesha”, (in albanese, burrë “uomo”,
più neshë suffisso femminile), le “vergini giurate” (Virgjinat e bitume). Sono donne per natura e uomini per scelta che hanno deciso, per
necessità, di mettere i pantaloni del “padre” di
famiglia. Si svestono della loro sessualità per
avere diritti e doveri degli uomini, per proteggere e accudire la famiglia. Adesso sono poche
decine, ma sono figlie di una tradizione basata
sulle prescrizioni del Kanun di Lekë Dukagjini,
un codice di comportamento vecchio di più di
cinquecento anni, osservato dai musulmani e
dai cristiani e tramandato solo oralmente fino
ai primi del Novecento. Rinunciando al sesso,
alla maternità, ai figli, guadagnano lo status
di uomini a tutti gli effetti: vendicano i torti,
portano le armi, acquistano proprietà.
Una di loro si chiama Pashe Keqi: sguardo
severo, ottant’anni sulle spalle e il viso solcato
da rughe scure. Quando la sua vita è cambiata
era una ragazzina. Aveva barattato il suo vestito per un paio di pantaloni di papà, aveva
tagliato i capelli, lasciando la grazia dell’adolescente che era nel giorno in cui aveva impugnato il fucile da caccia, quello per sparare,
farsi valere, prendersi una rivincita.
“All’epoca era meglio essere un uomo perché
le donne erano considerate al pari degli animali.
Mentre il valore della vita di una donna era la
metà di quella di un uomo, il valore di una vergine era lo stesso: 12 buoi”, racconta.
Proprio perché una vergine pesa tanto, secondo l’antica tradizione balcanica, il “passaggio” d’identità agli occhi della società avviene contemporaneamente a un altro: quello
dall’infanzia alla maturità sessuale. Così la
virgjinat veste i panni del capofamiglia e giura
davanti a dodici uomini del villaggio.
Da quel momento in poi la sua sessualità
viene repressa, “dimentica” di essere una
donna, in cambio di uno status superiore. Può
vendere e comprare proprietà, fumare e bere
insieme agli altri uomini, gestire gli affari di
famiglia, difenderne l’onore, vendicarne l’offesa. Tutto con un nome da uomo.
Quella delle “vergini giurate” è una tradizione che affonda le sue radici secolari tra i
clan rurali del nord dell’Albania, dove la
morte degli uomini in faide o per malattia era
frequente e tanti gruppi restavano senza un
patriarca. Una famiglia senza un uomo alla
guida viene considerata come una sciagura in
una “società patriarcale, fortemente polarizzata sul maschio, dove l’ereditarietà segue la
linea maschile, in cui le donne sono parte
stessa della proprietà detenuta dagli uomini”,
secondo la descrizione di Antonia Young, antropologa inglese, ricercatrice all’Università
di Bradford e autrice del libro Women who
become men. È proprio in questo humus culturale che la scelta di diventare “vergine giurata” assume tanta importanza.
In questo contesto l’omosessualità femminile non è considerata motore e ragione originale delle scelte delle singole burrneshë. Non
sarebbe un’attrazione repressa verso le donne,
tabù secondo il Kanun, ad aver spinto per secoli
giovani ragazze a consumare la propria femminilità sotto abiti da uomo secondo Young.
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ALBANIA
Non ci sarebbe nessun disagio interiore da nascondere alla società maschilista scegliendo di
vivere da maschio pur essendo femmina.
Dietro alla conversione alla castità ci sono
motivi economici, spesso sociali. La mascolinità
diventa di fatto un dovere per quelle ragazzine
che vogliono rifiutare un matrimonio combinato
a tutti i costi senza però disonorare il padre; o
ancora per quelle che restano orfane di una
guida maschile, per quelle che non hanno fratelli maschi che ereditino le proprietà, come ha
fatto notare il sociologo Zydi Dervishi.
Così è stato per Xamille Stema. Suo padre
era morto, la porta di casa restava sempre chiusa
numero 47 maggio/giugno 2013
perché non c’erano più uomini in famiglia. Poi
la sua vita è cambiata: ha messo la camicia, il
cappello da uomo, si è buttata alle spalle la
femminilità, ha tagliato i suoi boccoli neri. Ha
riscattato così la sua famiglia, si è guadagnata il
rispetto della gente anche per sua madre e le
sue sorelle, ha iniziato ad andare a lavorare con
gli altri uomini del villaggio, a pregare a fianco
a loro in moschea. Poi ha riaperto a tutti la porta
di casa, anche se in fondo nessuno aveva mai
dubitato della sua identità: la sua voce e le sue
mani tradivano e tradiscono tuttora ogni abito.
Come Xamille ci sono almeno altre venti
vergini giurate nel nord dell’Albania, la mag-
\ Albania, Boge,
1998. Lula Popaj ha
seguito la tradizione è
diventata una vergine
giurata a vent’anni.
Molte donne sono
diventate “vergini”
per la mancanza di
modelli maschili di
riferimento.
t Albania, Shkodra,
2002. Pashke Ograja,
un’altra vergine
giurata. In Albania, il
valore della vita di una
vergine era lo stesso
di un uomo: 12 buoi.
Il valore della donna,
invece, era la metà.
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gior parte ha superato
la soglia degli ottant’anni e non vuole mostrare rimpianti.
Sono proprio le altre
“vergini” silenti, che
tanti connazionali ignorano, quelle che ha incontrato la scrittrice albanese Elvira Dones a
metà degli anni duemila. Sono state raccontate nel suo romanzo
Vergine giurata con la
storia di “Hana” e attraverso quelle pagine e gli
occhi dei lettori hanno
rivissuto gli anni della
giovinezza.
In una famiglia di
sole figlie, fa notare Dones per esempio, un padre decideva
che una di loro lo avrebbe sostituito
alla sua morte: una delle sorelle sarebbe diventata l’uomo di casa per
evitare che la proprietà rimanesse
senza eredi. Secondo la scrittrice
però, anche se non c’è reale costrizione, almeno stando al racconto
delle burrnesha, questa tradizione
rappresenta la via di fuga, unica “libertà di chi non ha alternative”. Eppure in quasi tutte le interviste rilasciate ai media e ai ricercatori le
“vergini giurate” ripetono come un
ritornello che hanno optato per la vita
da uomo proprio per non essere comandate da un uomo.
Molte di loro non hanno avuto
una esperienza così positiva, non
c’è stato nessuno slancio di responsabilità per il futuro economico e
sociale della famiglia, ma – come
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AGENCY ANZENBERGER/CONTRASTO
ALBANIA
ha spiegato anche Dervishi – lo
scambio di ruoli ha rappresentato
solo una punizione per quelle ragazze che hanno rifiutato un matrimonio combinato. Infatti, tradizione
vuole che scacciare in malo modo
un pretendente diventi motivo di
vendetta familiare contro il padre o
il fratello della ragazza. Unico modo
per allontanare l’ipotesi più nefasta
e lo spargimento di sangue e quindi
risolvere la controversia è la promessa della ragazza che si dichiara
vergine per tutta la vita in cambio
di vestire i panni di un uomo con
oneri e onori.
Solo fino a dieci anni fa si contavano più di cento “vergini giurate”,
secondo i numeri snocciolati da Antonia Young. Nel 2007 Elvira Dones
parlava di una quarantina di donne,
adesso sono ancora meno – una ven-
tina circa – e rispetto al passato chi
decide di tornare indietro e rompere
il giuramento non rischia più di essere uccisa, ma ormai la sua vita è
comunque compromessa.
Probabilmente la tradizione che
ha unito nei secoli migliaia di donne
è destinata a cristallizzarsi nel ricordo e nel folklore delle montagne
che dividono l’Albania dal Kosovo.
Di quelle donne per natura e uomini
per scelta la fotografa Jill Peters ha
raccolto un portfolio di ritratti ricordando così quel loro sacrificio in
nome della necessità: “Possiedono
una forza e un orgoglio indescrivibile, mettono l’onore della famiglia
sopra ogni valore. Tra le persone che
le circondano il loro passaggio è perfettamente accettato, ma la cosa più
sorprendente è che non hanno
(quasi) rimpianti.”
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