introduzione al cerimoniale diplomatico1

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introduzione al cerimoniale diplomatico1
INTRODUZIONE
AL CERIMONIALE DIPLOMATICO1
di Fabio Cassani Pironti
1 Distribuito come dispensa didattica ai partecipanti al corso di cerimoniale tenuto presso la Corte
dei Conti dal 1° al 3 aprile 2008.
I
IL CERIMONIALE E LE RELAZIONI INTERNAZIONALI
I.1. AMBITI DELLA MATERIA
In ogni tempo è stato accordato un valore rilevante alle forme di cerimoniale,
alle testimonianze di distinzione ed ai contrassegni onorifici.
Queste forme di etichetta, sorrette con saggia persistenza dalla tradizione, non
sono un derivato arbitrario di convenzioni, ma hanno fondamento in necessità
proprie della società organizzata, dove infiniti usi di convenienza regolano i
complessi rapporti del vivere civile.
Lo spirito non è circondare di fasti complicati o di vane ostentazioni i rapporti
esteriori fra dignità diverse, ma evitare, osservando prudenti distinzioni protocollari
da tempo accettate, gli urti delle singole pretese in un campo dove la suscettibilità è
spesso concomitante con la scarsità di chiarezza e di uniformità di criterio.
I.2. CENNI SUL CERIMONIALE DI STATO ITALIANO
Il cerimoniale di stato del Regno d’Italia fu improntato, naturalmente, agli usi e
alle consuetudini della dinastia sabauda. Successivamente, con il mutare dei tempi,
esso si modellò progressivamente sullo schema delle altre nazioni europee, fino a
giungere all’apice durante l’Impero. È del 1943 l’opera di Filippo Caffarelli,
Consuetudini di Cerimoniale, vasto compendio del cerimoniale di stato della Corte
reale ed imperiale.
Dopo la II guerra mondiale ed il mutare della forma istituzionale dello Stato, la
Repubblica Italiana ha cercato di adattare la nuova realtà con il suo passato. Fra le
varie normative, viene al caso la Legge 23 agosto 1988, n. 400 «Disciplina dell'attività
di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri» (pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 214 del 12-9-1988 - Suppl. ordinario 86).
L’art. 19 (Compiti del Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei
ministri), precisa:
Il Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei ministri assicura il supporto
all'espletamento dei compiti del Presidente del Consiglio dei ministri, curando, qualora non
siano state affidate alle responsabilità di un ministro senza portafoglio o delegate al
sottosegretario di Stato alla Presidenza del consiglio dei ministri, le seguenti funzioni (…): m)
curare il cerimoniale della Presidenza del Consiglio dei ministri.
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I.3. IL CERIMONIALE DIPLOMATICO
I.3.1. IL CONGRESSO DI VIENNA
Molteplici sono state le conferenze diplomatiche adunatesi a Vienna. Quella del
1815, oltre alla considerevole portata politica, ha avuto un risvolto diplomatico che
marcherà la storia delle relazioni internazionali: l’allegato XVII dell’Atto finale,
firmato il 9 giugno 1815 e conosciuto sotto il nome di «Regolamento di Vienna»
(«Wienerreglement»). Voluto da Talleyrand, completato dalle decisioni di Aquisgrana,
sarà in vigore fino al 1961, anno nel quale sarà siglato, nella medesima capitale
austriaca, la Convenzione sulle relazioni diplomatiche, tuttora vigente
La ratio iuris dell’atto si ricollegava alle numerose controversie in materia di
precedenze che la storia diplomatica aveva sino allora registrato, e s’identificava
nella necessità di evitarne il rinnovarsi in avvenire. La formula scelta è la seguente:
«Pour prévenir les embarras que se sont souvent présentés et qui pourraient naître encore des
prétentions de préséance entre les différents Agents diplomatiques».
Il primo gruppo di norme poste dal Regolamento di Vienna presenta ed assume
portata positiva: la regola, contenuta all’art. l, è quella che distingue i capi delle
missioni diplomatiche permanenti in classi (denominati, nella terminologia del
Regolamento, «Employés diplomatiques»). La prima classe è costituita dagli
ambasciatori, legati e nunzi; la seconda dai ministri ed inviati che sono accreditati
presso il capo dello stato; la terza è formata da agenti o incaricati di affari che sono
accreditati presso il ministro degli affari esteri 1. Altra regola fondamentale, contenuta
nell’art. 4, è quella che assume l’anzianità di accreditamento come criterio decisivo delle
precedenze nell’interno di ciascuna di esse: «Les Employés diplomatiques prendront rang
entre eux dans chaque classe, d’après la date de la ratification officielle de leur arrivée». A tale
regola generale è posta, peraltro, un’eccezione: negli Stati cattolici, al rappresentante
della Sede Apostolica compete una precedenza assoluta, che prescinde dall’anzianità
di accreditamento. L’art. 5 del Regolamento consacra il principio fondamentale del
diritto diplomatico, l’uniformità del cerimoniale per i capi missione appartenenti alla
stessa classe: «Il sera déterminé dans chaque état un mode uniforme pour la réception des
Employés diplomatiques de chaque classe».
Il secondo gruppo delle norme del Regolamento di Vienna raccoglie le
disposizioni che possono considerarsi la conseguenza, formulata in termini negativi,
delle regole raccolte nel primo gruppo. In altre parole, le norme che tendono ad
escludere ogni ragione giuridica di discriminazione fra gli agenti diplomatici
accreditati dai singoli stati come capi di missioni diplomatiche permanenti. Tali
regole possono così indicarsi: il carattere straordinario della missione affidata
all’agente, nonché la qualifica in tal senso attribuitagli, non conferisce a tali
funzionari alcun titolo di precedenza sui capi delle missioni permanenti od ordinarie:
«Les Employés diplomatiques en mission extraordinaire n’ont à ce titre aucune supériorité de
rang» (art. 3). Ai fini dell’ordine delle precedenze, i particolari vincoli che possono
esistere tra Stato accreditante e Stato accreditatario - vincoli di parentela dinastica o
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La normativa del Regolamento di Vienna del 9 giugno 1815 sulla classificazione dei capi missione fu integrata
da quella del Protocollo di Acquisgrana del 21 novembre 1818, con il quale fu stabilito che i ministri residenti
avrebbero costituito una classe intermedia fra la classe degli inviati e ministri, e quella degli incaricati di affari.
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di alleanze politiche - restano irrilevanti: «Les liens de parenté ou d’alliance de famille
entre les cours ne donnent aucun rang à leur Employés diplomatiques. Il en est de même des
alliances politiques» (art. 6).
In un terzo gruppo di norme si possono raccogliere le disposizioni del
Regolamento di Vienna che tendono a porre alcuni correttivi al principio di
eguaglianza, al quale si uniformano le regole precedenti. In deroga al principio
dell’anzianità di accreditamento, è confermata la già menzionata regola del più
antico diritto diplomatico consuetudinario, secondo la quale negli Stati cattolici la
primazia protocollare compete in ogni caso ed in ogni circostanza al rappresentante
del Sovrano Pontefice.
Il capoverso dell’art. 4, che opera un rinvio al diritto diplomatico, è così
formulato: «Le présent règlement n’apportera aucune innovation relativement aux
representants du Pape». Nonostante la regola, per la quale i ministri e gli inviati sono,
non diversamente dagli ambasciatori, accreditati anch’essi presso il capo dello Stato,
è stabilito che soltanto gli ambasciatori, i legati ed i nunzi hanno carattere
rappresentativo: «Les Ambassadeurs, Légats et Nonces ont seuls le caractère représentatifs».
Ciò significa che, in una concezione del diritto internazionale quasi «ius inter reges»,
gli ambasciatori soltanto rappresentano la persona stessa del sovrano accreditante e
sono legittimati ad avere diretto accesso al capo dello Stato accreditatario.
La disposizione che conclude il Regolamento di Vienna (art. 7) disciplina
l’ordine delle precedenze non già tra i capi di missioni diplomatiche accreditate
presso lo stesso Stato, ma tra i plenipotenziari che sottoscrivono un determinato
accordo plurilaterale. Tale disposizione conferma, anzitutto, la validità giuridica
dell’espediente protocollare dell’«alternato», ma limitatamente agli Stati che lo
ammettono. La disposizione stessa aggiunge che, ai fini dell’applicazione
dell’alternato, lo Stato il cui plenipotenziario dovrà firmare per primo, sarà stabilito
per estrazione a sorte. La regola è così formulata: «Dans les actes ou traités entre plusieurs
puissances qui admettent l’alternat, la sort décidera entre les ministres de l’ordre qui devra
être suivi dans les signataires».
I.3.2. IL PROTOCOLLO DI ACQUISGRANA
Il Protocollo di Aquisgrana (1818) è l’atto diplomatico integrativo del
Regolamento di Vienna sulle precedenze diplomatiche. Con esso, le quattro potenze
(Francia, Gran Bretagna, Austria e Russia), stabilirono che alle categorie degli agenti
diplomatici, menzionate nell’allegato XVII dell’Atto finale del Congresso di Vienna,
dovesse aggiungersi un’altra categoria, quella dei Ministri residenti. Nell’ordine delle
precedenze, tale categoria di agenti diplomatici, capi di missioni diplomatiche,
doveva trovar posto dopo i ministri plenipotenziari e prima degli Incaricati di Affari.
In conclusione, il Regolamento di Vienna ha adempiuto;
- alla funzione di stabilire l’ordine delle precedenze tra gli agenti diplomatici capi di
missioni permanenti, assumendo come principio fondamentale quello
dell’appartenenza ad una classe dei capi missione, e quello dell’anzianità di
accreditamento. Grazie a questo criterio obiettivo e quasi meccanico, si è posto fine
alle incresciose polemiche frequentemente avvenute in passato, a causa dei criteri
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politici e di prestigio sui quali si intendeva fondare l’ordine delle precedenze
diplomatiche;
- all’individuazione di tre classi di agenti diplomatici: 1) Ambasciatore, Legato e
Nunzio; 2) Inviato, Ministro e Internunzio; 3) Incaricato d’affari accreditato presso il
Ministro degli affari esteri dello Stato ricevente;
- alla formulazione dei seguenti principi: a) la conferma della regola consuetudinaria
sulla primazia del rappresentante del Papa rispetto agli altri ambasciatori; b)
l’irrilevanza, in materia di precedenze e in relazione agli agenti in missione
permanente, del carattere di missione straordinaria affidata ad altri agenti
diplomatici; c) la non rilevanza, agli stessi effetti, dei vincoli dinastici e politici
esistenti tra gli Stati di cui gli agenti diplomatici sono emanazione; d) il carattere
rappresentativo che compete agli ambasciatori e non agli altri agenti diplomatici.
I.3.3. DA VIENNA A VIENNA
L’evoluzione del diritto diplomatico, avvenuta in virtù di atti successivi ed in
particolare delle Convenzioni generali codificatrici (Vienna 1961), ha in parte
confermato, ed in parte modificato, le norme poste dal Regolamento de1 1815:
- ha ribadito il principio fondamentale della precedenza in base all’anzianità di
accreditamento;
- ha pienamente confermato il tradizionale principio della precedenza assoluta del
rappresentante del Papa non pure negli Stati cattolici, ma in qualsiasi altro Stato che
tale principio intende accogliere;
- ha eliminato la classe dei ministri plenipotenziari residenti;
- ha confermato, altresì, la classe dei ministri capi di legazioni;
- ha esteso il potere di rappresentanza del Capo dello Stato accreditante, un tempo
privilegio esclusivo degli ambasciatori, a tutti gli agenti diplomatici capi delle
missioni, qualunque sia la loro classe di appartenenza.
I.3.4. LE VISITE DI STATO
Le relazioni fra le nazioni hanno la loro manifestazione protocollare più solenne
nelle «visite di Stato», le visite ufficiali, cioè, che capi di Stato effettuano ad altri capi
di Stato.
Il procedimento della visita di Stato, nell’ambito del sistema delle potenze
nell’Europa a cavallo fra il XIX e il XX secolo, trova esempi tipici negli scambi di
visite tra i sovrani della Triplice Alleanza, nelle visite degli imperatori russi a Parigi
ed in quelle dei presidenti della Repubblica francese a Pietroburgo.
Sintomi di un tendenziale processo di evoluzione, nonché di una possibile
integrazione delle combinazioni politico-diplomatiche già esistenti, possono
riconoscersi negli atti ufficiali compiuti da Vittorio Emanuele III all’inizio del proprio
regno. Egli compie visite in capitali diverse da quelle degli stati alleati (Pietrobugo,
Parigi, Londra) e non a Vienna; a sua volta, il sovrano riceve a Roma le visite del
presidente francese e del re britannico (1904) e, a Racconigi, dello zar (1909). Analogo
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fenomeno si riflette nelle visite di Stato franco-britanniche dell’inizio del secolo
scorso, consacratrici della conclusa entente cordiale.
Della politica di potenza sono solenne e clamorosa manifestazione diplomaticoprotocollare le teatrali apparizioni di Guglielmo II a Damasco, a Costantinopoli e a
Tangeri, atti significativi della politica germanica verso l’impero ottomano ed il
mondo arabo.
Nelle visite di Stato si riverberano, dunque, alcune caratteristiche generali delle
epoche storiche di riferimento. La prevalenza di monarchie nello scenario europeo
fino al 1918 e la potenza militare come indicatore di prestigio si traducevano, ad
esempio, nella presenza quasi obbligata delle parate nei programmi ufficiali delle
visite. Spesso, il capo di Stato che compiva la visita indossava, anziché la propria,
l’uniforme dello Stato ospite, dal quale aveva ricevuto, a titolo di cortesia, un grado
elevato o il comando onorario di un corpo. Ciò rafforzava, anche visivamente, gli
speciali legami che univano due nazioni.
Ancora oggi, mutati gli assetti istituzionali e politici, le visite fra capi di stato
rappresentano la manifestazione più caratteristica della funzione rappresentativa
delle massime autorità nazionalii.
I.4. IL CORPO DIPLOMATICO
I.4.1. NATURA GIURIDICA
Il Corpo diplomatico è l’istituzione internazionale che comprende, nel loro
insieme organico, i singoli agenti diplomatici accreditati, nello medesimo momento
storico, presso il medesimo Stato.
Dal punto di vista giuridico, il Corpo diplomatico può essere diversamente
configurato, secondo le circostanze delle sue attività.
Esso è, anzitutto, una riunione di organi esteri, accomunati dalle stesse funzioni
contemporaneamente loro affidate dai rispettivi Stati di appartenenza, nei confronti
del medesimo Stato accreditatario.
Attraverso di esso, inoltre, una pluralità di Stati agisce simultaneamente ed
identicamente (espressioni protocollari, di auguri o di condoglianze, al capo dello
Stato ricevente; ed anche atti di rilevanza sostanziale, quale la presentazione al
Ministero degli Affari Esteri di una protesta collettiva). Si configura, così la natura di
organo comune.
Infine, il Corpo diplomatico assume la rilevanza di organo internazionale in senso
stretto, quando è investito di funzioni amministrative di natura burocratica (ad
esempio il segretariato della Corte permanente di arbitrato), ovvero di natura
territoriale (come è accaduto per Tangeri, in regime di territorio internazionale o in
Cina, ai tempi delle concessioni a potenze europee).
I.4.2. PRESIDENZA E TRATTAMENTO
Il Corpo diplomatico è presieduto dal Decano. Secondo le regole generali del
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diritto diplomatico, tale carica spetta all’ambasciatore più anziano per
accreditamento. Questa è la forma del Decanato mobile, poiché la titolarità della carica
si trasferisce, con la partenza dell’ambasciatore già Decano, in capo all’ambasciatore
più anziano quanto alla data di presentazione delle lettere credenziali.
Il Decanato può essere invece stabile, nel senso che la sua titolarità permane
sempre sul capo missione (col rango di ambasciatore) di un determinato Paese. Questi
è, negli Stati cattolici - e negli altri Stati che seguono tale antichissima regola - il
Nunzio apostolico, ossia il rappresentante della Santa Sede.
Al Corpo diplomatico competono trattamenti di varia natura, previsti dal
procedimento protocollare internazionale. Fra questi, in particolare, gli onori militari
al Corpo diplomatico che si muove nel suo insieme collettivo; la concessione di una
specifica targa diplomatica (CD) per le autovetture appartenenti ai singoli membri
del Corpo stesso e le altre prerogative e franchigie tradizionalmente concesse.
I.4.3. RANGO E PREROGATIVE DEL RAPPRESENTANTE DIPLOMATICO
La maggior parte dei Paesi classifica il personale diplomatico seguendo questo
schema: Ambasciatore, Ministro consigliere, Consigliere, Segretario e Addetto. All’interno
di questi ranghi vi possono essere ulteriori classificazioni funzionali quali, ad
esempio, quella di Primo consigliere, di Terzo segretario ecc.
I.4.3.1. L’Ambasciatore
È l’agente diplomatico che presiede ad un’ambasciata e, come tale, è accreditato
dallo Stato inviante presso lo Stato estero nel quale la rappresentanza è istituita e
dove egli risiede.
All’ambasciatore compete, nella sua pienezza, lo status diplomatico. Ed a lui
spettano, altresì, in diverse circostanze, particolari onori civili e militari.
Il titolo di ambasciatore, che corrisponde al più alto grado della carriera
diplomatica, non è obbligatoriamente legato alla direzione di un’Ambasciata.
I.4.3.2. Il Ministro consigliere
È il rango giuridico-diplomatico con il quale, nelle missioni diplomatiche
permanenti, è accreditato l'agente più elevato in grado dopo il capo della missione,
potenzialmente chiamato alla funzione vicariale.
L'attribuzione, da parte dello Stato inviante, di siffatta qualifica - ed il
correlativo consenso dello Stato ricevente - stanno a significare la particolare
importanza che, nel sistema delle relazioni tra i due Stati, riveste la stessa missione
diplomatica.
I.4.3.3. Il Consigliere
È il terzo rango, dopo il Ministro consigliere, in una rappresentanza
diplomatica. Spesso, in assenza di un Ministro consigliere, egli è chiamato alla
funzione vicariale.
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I.4.3.4. Il Segretario
È l’agente diplomatico chiamato a coadiuvare il capo missione
nell’espletamento delle funzioni che gli sono proprie. Si possono avere, in relazione
all’ampiezza dell’ambasciata, Primi segretari, Secondi Segretari e Terzi Segretari.
I.4.3.5. L’Addetto
È l’agente diplomatico preposto alla direzione di un particolare ufficio della
missione diplomatica. Così intesi, gli addetti di ambasciata si qualificano avuto
riguardo al settore delle relazioni internazionali al quale sono destinati, in addetti
militari, addetti commerciali, addetti culturali ecc.
I.5. LE IMMUNITÀ
Le immunità costituiscono il trattamento più rilevante legato allo status
diplomatico. Come tali, esse competono ai soli organi diplomatici degli Stati esteri
autorizzati, grazie alla procedura che il diritto diplomatico prevede, a risiedere ed
operare nel territorio dello Stato che li ospita.
Assai varie nella loro natura giuridica e nella loro portata, le immunità
diplomatiche esigono una classificazione che può comprendere numerosi criteria
discriminationis.
Riguardo all’oggetto, le immunità diplomatiche possono dirsi reali, se si
riferiscono alla materialità delle cose o personali, se riferite alle persone fisiche. Ove si
tenga presente la loro ratio iuris, esse si individuano come immunità funzionali ed
immunità extrafunzionali. Ove si consideri la loro durata, si distinguono nelle
immunità che si estinguono con la fine della missione individuale e le immunità che
ad essa sopravvivono. In ogni caso, resta fondamentale la dicotomia fra le immunità
che competono agli organi diplomatici individuali (ambasciatori ed altri agenti
diplomatici) e quelle che spettano, invece, agli organi diplomatici istituzionali (la
missione diplomatica, la rappresentanza permanente ecc.).
I.5.1. CONTENUTO DELLE IMMUNITÀ DIPLOMATICHE
Essenziale carattere comune delle immunità diplomatiche - per il quale si
distinguono nettamente da altre categorie di trattamenti (privilegi, prerogative ecc.) è l’esonero che esse implicano da un peso, da un obbligo, da un munus (onde il
termine «immunità»), che invece gravano su ogni altra persona fisica, subditus
temporarius o cittadino dello Stato territoriale.
Il contenuto delle immunità diplomatiche acquista, quindi, diversa portata
giuridica secondo che le immunità stesse siano considerate in relazione ai beneficiari
di esse ovvero in funzione delle autorità dello Stato territoriale. Per i primi,
consistono nel non pati, cioè a dire nel non essere soggetto alcun atto di imperio da
parte delle autorità stesse. A queste ultime, le immunità stesse impongono, invece,
un duplice dovere: di non facere, astenendosi, cioè, dall’esercitare poteri di imperio
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nei confronti dei predetti organi esteri; e di facere, svolgendo in favore degli organi
diplomatici una protezione e una collaborazione adeguati.
Duplice è la manifestazione tipica delle immunità diplomatiche: l’inviolabilità e
l’esenzione. La prima consiste nell’impossibilità giuridica, per lo Stato ricevente, di
effettuare materialmente atti di imperio e di assumere provvedimenti limitativi della
libertà verso i beneficiari dell’immunità. L’inviolabilità della sede e dell’abitazione,
della corrispondenza e degli archivi, della valigia diplomatica, ne sono caratteristici
esempi.
La seconda si attua nel dovere dello Stato territoriale di escludere dalla sfera
personale di applicazione di determinate sue leggi gli organi diplomatici esteri.
L’immunità giurisdizionale, l’immunità fiscale, l’immunità doganale, l’immunità
dalle norme per il soggiorno degli stranieri offrono altrettanti esempi in materia.
Alcune fra le accennate immunità diplomatiche competono esclusivamente agli
organi individuali: l’immunità personale, l’immunità dell’abitazione, l’immunità
giurisdizionale, l’immunità da precettazioni coercitive ecc. Altre spettano soltanto
agli organi istituzionali: l’inviolabilità della sede, intesa come cancelleria diplomatica e
come uffici distaccati e l’immunità della valigia diplomatica. Altre, infine, pur
differenziandosi nella concreta portata, sono della stessa natura giuridica per l’una
per l’altra categoria di organi esteri: l’immunità fiscale, l’immunità doganale,
l’immunità della corrispondenza.
Formatesi nella loro interezza per gli organi della diplomazia permanente, le
immunità diplomatiche tendono ad estendere la loro sfera di applicazione ad altre
tipiche forme della diplomazia stessa.
I.6. LE FORME DELL’ATTIVITÀ DIPLOMATICA
I.6.1. CESSAZIONE DELLE QUALITÀ DI RAPPRESENTANTE
Al termine della missione, l’agente lascia il proprio incarico. La cessazione della
qualità di rappresentante diplomatico accreditato presso un dato Paese è data al
momento della comunicazione ufficiale, con nota verbale, della decisione del proprio
Ministero.
Il capo missione effettua una visita di congedo al capo dello Stato accreditatario,
poco prima della sua partenza.
I.6.2. LE RELAZIONI FRA I RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI
I rapporti dei rappresentati diplomatici sono basati, di norma, sul rango. Se un
Ministro consigliere è in partenza al termine della sua missione, il suo ambasciatore
inviterà, nell’ambito dell’intero Corpo diplomatico accreditato, i titolari del
medesimo rango ad un ricevimento di congedo.
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I.6.3. LA FORMA DEGLI ATTI
Le parti formali di una lettera, sia essa di consiglio, di gabinetto o comunque
che esiga una rigorosa osservanza delle norme protocollari, sono di norma le
seguenti:
a) l’appellativo o intestazione;
b) il trattamento;
c) la formula di chiusura;
d) la firma e la data;
e) l'indirizzo.
L'appellativo o intestazione o anche formula vocativa può essere scritto in alto,
fuori, cioè, dal corpo della lettera, oppure all’inizio della prima linea.
Il trattamento consiste nel rivolgersi al destinatario con il titolo che gli spetta.
La formula di chiusura è una frase di cortesia che chiude la comunicazione e
che varia in relazione alle esigenze cerimoniali che il rango del destinatario
comporta.
La firma autografa può essere preceduta da alcune parole scritte di pugno del
mittente. Il valore cerimoniale di questa dimostrazione di personale cortesia impone
che essa sia in armonia alla posizione gerarchica di chi scrive rispetto al destinatario.
La data indica il tempo ed il luogo in cui la lettera è scritta.
L’indirizzo, che contiene il nome e la carica ufficiale del destinatario, è scritto in
basso a sinistra della prima pagina.
(…)
I.6.4. LA NOTA VERBALE
È il documento diplomatico che, nella prassi internazionale, costituisce la
normale forma della corrispondenza tra le missioni diplomatiche estere e il Ministero
degli affari esteri dello Stato accreditatario.
Originariamente, la nota verbale era il documento scritto che l'ambasciatore, al
termine di un colloquio ufficiale, rilasciava agli uffici del Ministero per riassumere lo
scopo e l'oggetto del passo da lui compiuto in via orale. Col tempo, il termine è
passato ad indicare qualsiasi comunicazione scritta di carattere ufficiale emananta
dalle ambasciate e diretta al Ministero o da questo alle missioni estere.
Redatta secondo le consuetudini dello stile diplomatico, la nota verbale è scritta
in terza persona e si apre con le rituali parole L'Ambasciata del *** ha l’onore di o Il
Ministero ha l'onore di (…). La chiusura, di cortesia, si modella sul genere L'Ambasciata
del*** coglie l'occasione per reiterare al Ministero degli Affari Esteri le assicurazioni della sua
più alta considerazione.
La nota verbale non è mai sottoscritta, bensì siglata dal funzionario diplomatico
titolare del servizio redigente e deve recare il timbro dell'ambasciata o del Ministero.
La datatio e il destinatario figurano in calce al documento.
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
F. Caffarelli, a cura di, Consuetudini di Cerimoniale, Roma Stabilimento Tipografico L. Proja 1943;
M. Casentino e S. Filippone-Thaulero, Il buon cerimoniere. Regole da seguire e soluzioni di emergenza per
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E. Foschi, Il Cerimoniale a Montecitorio e dintorni, Roma, Gangemi Editore, 1996;
A. Maresca, Dizionario giuridicodDiplomatico, Milano, 1991;
A. Maresca, Profili storici delle istituzioni diplomatiche, Milano, 1991;
M. Santantonio, Il cerimoniale nelle pubbliche relazioni, Roma, Gesualdi Editore, 1974;
M. Sgrelli, Il cerimoniale. Il cerimoniale moderno e il protocollo di Stato: regole scritte e non scritte, Roma,
Master Edizioni, 2000;
J. A. de Urbina, El Protocolo en los Negocios. Las reglas de oro del saber ser, estar y funcionar. Hablar en
público, saludar, vestir, invita ... , Madrid, Ediciones Temas de Hoy, 1994.
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