Programma + Abstract

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Programma + Abstract
GESTIONE INTEGRATA DEL MALATO CON
LESIONI DA DECUBITO (LdD)
PREVENZIONE E TRATTAMENTO
Programma
PRIMA GIORNATA
Sabato 7 – Maggio – 2005
1 SESSIONE
Lesioni da decubito: inquadramento generale
Dr. Sandy FURLINI
La LdD è espressione di una alterazione globale dell’equilibrio metabolico del paziente ipomobile pertanto deve
essere affrontata con una visione olistica: inquadramento a 360 gradi del paziente, seguendo un approccio di
tipo multidisciplinare, onde ricavarne il maggior numero di dati possibile che ci permettano di individuare le
criticità che hanno determinato il manifestarsi della lesione. Una valutazione globale si basa sul seguente schema
riassuntivo:
1. Trattamento generale, volto al riequilibrio delle alterazioni metaboliche del paziente.
2. Trattamento causale, al fine di ridurre le forze di pressione che gravano sulla superficie lesa.
3. Trattamento locale, inteso come la messa in opera di tutta una serie di interventi volti alla correzione
delle cause di ritardo di riparazione tissutale locali.
Disease Management in vulnologia
Sig.ra Lorella BELTRAME
La Lesione da Decubito (LdD), così come tutte le Lesioni Cutanee Croniche (LCC), può essere bene inserita fra
quelle forme morbose che possono essere affrontate mediante un approccio multidisciplinare ed integrato
secondo il moderno concetto del Disease Management ossia la gestione dei processi diagnostici e terapeutici
sanitari. Innanzitutto è la prevalenza elevata che giustifica l’impiego di risorse in tal senso. Altro elemento
consiste nella mancanza di percorsi prestabiliti per affrontare il problema, insieme ad una spirale, a volte
perversa, di vai e vieni tra il livello base e quello avanzato delle cure. Ultimo ma non per importanza, è il
significato che assume una patologia cronica nel suo snodarsi attraverso una dimensione atemporale e pertanto
angosciante: quante volte si sentono affermazioni di resa di fronte alla patologia ulcerativa, da molti ancor oggi
ritenuta quasi come “normale epilogo di talune forme morbose quali l’allettamento prolungato”.
Disease Management rappresenta la possibilità di disegnare a priori per le singole malattie percorsi razionali e
nello stesso tempo controllati, per i quali sia possibile stabilire in anticipo un budget di spesa. Ma non è solo una
mera definizione di tappe per il contenimento della spesa, bensì una proposta per un modello di confronto degli
interventi sulla base di referenze “evidence based”. Si giunge quindi ad un’offerta di procedure diagnostiche e
cure più adeguate impiegando le risorse in modo qualificato: non spendere meno, ma spendere al meglio,
ponendo il paziente al centro del sistema. Si cerca così di ovviare al fenomeno della frammentazione delle cure e
della mancanza di coordinazione fra le varie tappe dei percorsi sanitari.
Le scale di valutazione del rischio: un punto di partenza
Dr.ssa Alessandra MERLINO
La prevenzione è un insieme di programmi e strategie utili ad evitare l’insorgenza e/o lo sviluppo di lesioni da
decubito.
La prevenzione si inserisce nell’ottica del miglioramento della qualità dell’assistenza in quanto:
1) Migliora la qualità della vita della persona malata riducendone mortalità e rischio di complicanze,
2) Migliora la situazione socio-assistenziale della famiglia, necessariamente coinvolta in prima persona nei
piani assistenziali ADI;
3) Migliora la gestione del personale sanitario mediante una riduzione dei tempi assistenziali, costi e
degenze per complicanze.
Gli interventi da attuare devono essere mirati, e pertanto è necessario individuare i soggetti a rischio.
Si definisce soggetto a rischio il paziente costretto a letto o su sedia, o con gravi difficoltà di mobilizzazione,
ed in relazione ad ulteriori fattori che sono in grado di aumentare il pericolo di sviluppare lesioni da decubito.
Le scale di valutazione del rischio sono strumenti che permettono una valutazione oggettiva.
Si propone l’Indice di Braden.
Fra tutte le scale esistenti è quella con la più alta Sensibilità e Specificità
Per ogni voce si ottiene uno score (valore).
Sommando i valori si ottiene un indice di rischio.
Per un Indice <16 : paziente a rischio.
Pazienti anziani: rischio se Indice <18 (Braden, 1994)
Controllo delle incontinenze nella gestione delle LdD
Dr.ssa Alessandra MERLINO
E’ stato recentemente dimostrato che la presenza di incontinenza, e più precisamente della doppia incontinenza,
correla in modo statisticamente significativo con l’insorgenza di Lesioni da Decubito. E’ questo un dato
allarmante in quanto la popolazione più a rischio di sviluppare tale stato morboso altro non è che la categoria
anziana, allettata e molto frequentemente affetta da incontinenza sia vescicale che fecale. Nel paziente allettato,
a rischio di LdD o in presenza di LdD, la diarrea costituisce un problema in termini di:
Disidratazione con peggioramento clinico generale.
Malassorbimento di farmaci e fattori nutrizionali.
Colonizzazione locale della lesione da parte dei batteri intestinali.
Aumentata umidità locale con maggior rischio di macerazione della cute sana.
Tra i fattori etiopatogenetici locali che contribuiscono alla comparsa di LdD, gioca un ruolo fondamentale la
macerazione cutanea. Una delle maggiori cause di macerazione è determinata dall’incontinenza urinaria e/o
fecale: è stato calcolato che in pazienti a parità di condizioni predisponenti, la presenza di incontinenza aumenta
di circa 6 volte il rischio di comparsa di decubiti.
L’immobilità e gli stati di demenza costituiscono i fattori di maggior criticità nello sviluppo dell’incontinenza
urinaria. E’ stato ampiamente dimostrato che per valori medi di Mini-Mental Status Score compresi fra 8 e 14 è
associata una prevalenza di incontinenza tra il 60% e 90%.
Autonomia e responsabilità della figura infermieristica
Sig.ra Katia SOMA’
La moderna giurisprudenza riconosce nella comparsa della piaga una connaturata malpractice. Se nasce la
piaga, questa non può che essere il frutto di negligenza ma dovremmo aggiungere anche di imperizia, cioè di
ignoranza.
Ed è proprio su questa ignoranza che dobbiamo lavorare al fine di superarla.
Dal Cod. deontologico infermieristico si legge:
“L’infermiere assume responsabilità in base al livello di conoscenza-competenza raggiunto.” Fa quello che sa fare
e ricorre se necessario all’intervento di altri.
La nostra deontologia ci dice di muoverci con gli altri, di valorizzare gli esperti. Nella categoria medica è
abitudine comune la richiesta del consulto di un esperto in quel campo piuttosto che in un altro. L’integrazione è
la migliore possibilità per far fronte ai problemi di un assistito.
2 SESSIONE
Mobilizzazione: ruolo dell’infermiere
Sig.ra Katia SOMA’
Il movimento è considerato la prima difesa dell’organismo contro i danni da compressione. Una pressione locale
eccessiva per entità o durata normalmente provoca disagio e stimola automaticamente il cambio di postura, ciò
non si verifica “nel paziente a rischio”.
L’unica limitazione ai cambi posturali può dipendere dalle condizioni generali della persona. Ad esempio, nei
pazienti terminali, una mobilizzazione frequente può aumentare il dolore e pertanto bisogna valutare se e come
mobilizzare, nel rispetto del paziente e della qualità della sua vita.
La mobilizzazione deve essere eseguita in modo corretto al fine di evitare il più possibile danni alla cute. Una
tecnica di mobilizzazione scorretta può provocare frizioni o forze di taglio sulla cute e tessuti sottostanti.
Mobilizzare il paziente costituisce per l’infermiere un momento di fondamentale importanza in quanto questi
viene a diretto contatto con la pelle del malato e da questa può trarne importanti informazioni in termini di
rischio di sviluppare lesioni. Osservare, toccare e sentire rappresentano la triade dell’esame obiettivo
infermieristico in questa fase.
Mobilizzazione: ruolo del riabilitatore
Dr. P. Cetani
Considerata l’importanza della mobilizzazione del paziente allettato, è utile provvedere
ad un piano di mobilizzazione scritto e personalizzato di facile consultazione che
consenta di conoscere rapidamente le modalità di mobilizzazione anche in relazione
al quadro clinico. Un programma scritto di cambio posturale dovrebbe essere previsto
anche quando i pazienti stanno utilizzando dei materassi antidecubito.
Viene proposto uno strumento di lavoro utile per infermieri e fisioterapisti per la mobilizzazione consentita,
anche in assenza di rischio di lesioni da compressione e la mobilizzazione passiva se ritenuta opportuna.
Presidi ed ausili nell’intervento infermieristico
Sig.ra Margherita DI GENNAIO
Ogni individuo valutato a rischio di sviluppare LdD dovrebbe essere posizionato su un dispositivo che riduca la
pressione.
Individuato il soggetto a rischio, e’ necessario procedere ad un’anamnesi specifica del paziente che metta in
evidenza le abitudini di vita, le caratteristiche dell’ambiente in cui vive e la presenza di un care-giver, allo scopo
di scegliere il presidio antidecubito più adeguato.
E’ importante, per una buona riuscita del nostro intervento e una ottimizzazione delle risorse, rapportare i dati
rilevati attraverso la compilazione della scala di Braden con le esigenze del paziente.
La consultazione delle schede tecniche degli ausili antidecubito e il nomenclatore tariffario ci guideranno in una
scelta migliore.
Gli OBIETTIVI legati alla scelta di tutti gli ausili in funzione della
seduta ( carrozzina, cuscino antidec. schienale, accessori.) sono:
¾ Gestire il rischio di L.d.D. ridistribuendo i carichi.
¾ Prevenire deformità scheletriche.
¾ Aumentare l’autostima
¾ Migliorare la comunicazione e la relazione con l’ambiente e la famiglia.
¾ Dare massimo comfort e maggiore sicurezza.
Complicanze più o meno serie possono verificarsi quando la posizione seduta non è impostata e non viene
mantenuta correttamente,per cui è necessaria l’osservazione costante da parte di operatori e care-giver per
correggere le posture.
Presidi ed ausili nel progetto riabilitativo
Dr. P. CETANI
La prescrizione di presidi ed ausili, nell’ ambito del progetto riabilitativo, rappresenta una delle attività
elettive del fisiatra .
Lo standard internazionale ISO 9999 definisce "technical aids" o "assistive devices"
“ qualsiasi prodotto, strumento, attrezzatura o sistema tecnologico di produzione
specializzata o di comune commercio, utilizzato da una persona disabile per prevenire,
compensare, alleviare o eliminare una menomazione, disabilità o handicap”
Lo standard ISO stabilisce inoltre una classificazione degli ausili articolata su tre livelli in successione
gerarchica. Le classi sono 10 e sono caratterizzate come segue:
03 Ausili per terapia e rieducazione
06 Protesi e ortesi
09 Ausili per la cura e la protezione personale
12 Ausili per la mobilità personale
15 Ausili per la cura della casa
18 Mobilia e adattamenti per la casa o altri edifici
21 Ausili per comunicazione, informazione e segnalazione
24 Ausili per manovrare oggetti e dispositivi
27 Ausili per miglioramento ambientale, utensili e macchine
30 Ausili per le attività di tempo libero.
La denominazione raggruppa quindi una grande varietà di articoli da quelli di complessità quasi nulla
(bastone) alle sofisticate apparecchiature elettromeccaniche e informatiche.
Sono definiti technical aids presidi che noi distinguiamo ancora in protesi, ortesi e ausili.
Le protesi sostituiscono del tutto o in parte segmenti del corpo mancanti.
Le ortesi aumentano, migliorano o controllano la funzione di parti del corpo presenti ma compromesse.
Gli ausili sono strumenti che permettono alle persone disabili (o a chi le assiste) di svolgere attività
quotidiane che altrimenti non potrebbero svolgere, o di farle in modo più sicuro, veloce e accettabile.
Hanno perciò lo scopo sia di incrementare le possibilità del soggetto disabile sia di adattare l'ambiente
alle sue necessità.
GLI AUSILI, DALLA PRESCRIZIONE ALL'UTILIZZO
Il Fisiatra è quel medico esperto nel campo degli ausili che, supportato dall'équipe tecnica quando
necessario, arriva alla redazione della richiesta formale dell'ausilio.
1. Come
Sono presupposti indispensabili il colloquio informativo, la valutazione clinica, la valutazione funzionale
e la valutazione ambientale che concorrono tutti all'individuazione dello specifico bisogno. Segue una
fase di elaborazione in base alla conoscenza scientifica, tecnica e del mercato per la proposta delle
possibili soluzioni rispondenti al bisogno individuato.
A prescrizione eseguita il paziente sceglie il tecnico ortopedico che provvede alla costruzione,
adattamento e/o consegna dell'ausilio realizzando in pratica il progetto.
2. Erogazione
Gli ausili prescritti dal Fisiatra sono rimborsati in Italia dall'ASL di appartenenza - che ne paga
direttamente al tecnico ortopedico la cifra concordata - se riportati nel nomenclatore tariffario di cui la
più recente edizione è stata pubblicata nel 1999. Sono rimborsati anche gli ausili riconducibili a tali
voci. Possono essere rimborsati anche altri ausili, in casi estremamente selezionati, qualora siano
certificati come insostituibili ed indispensabili. Sono rimborsati dall'INAIL gli ausili prescritti per
invalidità lavorativa. In alcune regioni come la Lombardia esistono delle forme di rimborso indiretto per
l'acquisto di strumenti tecnologicamente avanzati.
3. Collaudo
Il Fisiatra prescrittore verifica la corrispondenza dell'ausilio consegnato al paziente con la prescrizione
effettuata. Il collaudo deve essere eseguito con il paziente e con chi utilizza l'ausilio nell'ambiente per il
quale è stato pensato.
4. Addestramento all'uso
Viene effettuato dall'équipe riabilitativa che ha in carico il paziente. Si verifica così il corretto utilizzo e
l'accettazione del presidio. Può essere l'occasione per eventuali modifiche.
In breve quando si sceglie un ausilio è necessario confrontare l'ideale immaginario con
la realtà concreta di quel particolare paziente nello specifico contesto esaminato.
La medicazione: A,B,C per un corretto approccio alla lesione. Classificazioni.
Sig.ra Giuseppina PALOPOLI
La scelta del prodotto di medicazione deve essere fatta tenendo conto delle caratteristiche della lesione (lettura
della ferita), dei prodotti di medicazione e dalle caratteristiche ed esigenze del paziente visto nella sua globalità
(compensazione degli squilibri metabolici e circolatori sistemici).
La scelta della medicazione deve tener conto della fase in cui si trova la lesione e delle sue caratteristiche:
1. Sede, dimensioni, tessuti, presenza di infezione, essudato.
2. Ambiente: le lesioni croniche sono per definizione ipossiche(55), situazione dovuta a fattori locali e generali.
Quindi nella LdD l’obbiettivo principe è favorire l’ossigenazione decomprimendo la sede dell’ulcera per
quanto riguarda l’approccio locale e compensare le patologie generali.
3. Mantenimento dell’ambiente umido: i processi riparativi e la proliferazione cellulare sono facilitate dalla
presenza di umidità. Il contrario, e quindi la secchezza, determina un arresto o rallentamento della
riparazione e può essere causa di insorgenza o aumento della sintomatologia algica.
4. La temperatura: fattore assoluto per i processi di proliferazione cellulare è la temperatura compresa tra i
35 e 37 gradi.
Durante la relazione verrà esposta una carrellata delle medicazioni esistenti in commercio, con particolare
riferimento alla loro classificazione, principali indicazioni di utilizzo e controindicazioni.
Discussione
SECONDA GIORNATA
Sabato 14 – Maggio – 2005
1 SESSIONE
Stato nutrizionale e metabolico: ruolo chiave nella patogenesi della LdD
Dr. Paolo BODONI
Esiste un’evidente correlazione tra il deterioramento dello stato nutrizionale e l’insorgenza di LdD oltre che tra la
gravità della malnutrizione e la gravità delle lesioni.
Lo stato nutrizionale può essere severamente compromesso nei pazienti anziani, nella cachessia neoplastica,
nelle iperpiressie prolungate, nelle patologie che determinano ipercatabolismo (come la presenza stessa di una
LdD).
Eseguire una valutazione nutrizionale nei soggetti a rischio di sviluppare LdD o con lesioni presenti, in particolare
in quei soggetti che non sono in grado di assumere il cibo per via orale o che accusano una perdita di peso.
È importante rammentare che per malnutrizione si intende uno squilibrio nell’assunzione, in difetto o in eccesso,
anche solo di alcuni nutrienti, non provocando quindi necessariamente una riduzione del peso corporeo (diete
prevalentemente a base di grassi e carboidrati).
I test di laboratorio giocano un importante ruolo nella valutazione dello stato nutrizionale. Essi possono rilevare
deficit molto prima che le misure antropometriche e/o i segni e sintomi clinici appaiano evidenti. (Ruolo
fondamentale nella prevenzione).
Lo stato di malnutrizione può essere valutato mediante più metodi di indagine, alcuni dei quali richiedono il peso
del paziente. Poiché spesse volte non risulta possibile, per le condizioni cliniche, eseguire tale rilevazione,
esistono alternative utili al fine di stabilire se e in che misura il paziente presenta malnutrizione.
Nei soggetti non pesabili possono essere utilizzati per la valutazione della malnutrizione, in assenza di
alterazioni severe della funzionalità epatica e renale, indici ematici.
Durante la relazione verrà esposto il test Mini Nutritional Assesment e la metodica di compilazione, quindi la sua
interpretazione.
Ipertensione ed ipotensione: due importanti alterazioni del microcircolo concause nella genesi
della LdD
Dr. Paolo BODONI
La pressione nella circolazione capillare arteriosa è di circa 32 mmHg.
Se si esercita sui tessuti una compressione che occluda parzialmente o completamente i capillari, viene a crearsi
un deficit di ossigenazione cui segue, se la compressione si mantiene, uno stato ischemico.
L’ipotensione rappresenta un importante fattore di rischio nel paziente anziano.
In soggetti ipotesi la pressione per occludere i vasi capillari soprastanti una prominenza ossea è inferiore. Gli
stati ipotensivi riconoscono una eziopatogenesi multipla. Nel paziente anziano, si possono individuare tre cause
principali:
¾ Iatrogena
¾ Bassi livelli di Sodio
¾ Bassa portata
In un paziente anziano, allettato, affetto da pluripatologia e molto spesso in polifarmacoterapia, eseguire
innanzitutto una revisione della terapia con particolare riferimento ai farmaci ipotensivizzanti.
Alcuni studi suggeriscono una correlazione tra ipertensione arteriosa ed aumentata incidenza di ulcere cutanee .
Lo stato ipertensivo determina alterazioni morfo-funzionali delle strutture arteriolo – capillari cutanee con
conseguente aumento delle resistenze periferiche e riduzione della pressione di perfusione. Viene meno la
possibilità di un compenso da parte del microcircolo nell’equilibrare il metabolismo del tessuto che diventa assai
vulnerabile anche per microtraumi. (scompenso tra aumentata richiesta di ossigeno e possibilità di irrorazione)
Stati infettivi ed ipertermia
Dr. Sandy FURLINI
Con il procedere degli anni, il sistema immunitario risponde sempre meno attivamente agli insulti esterni. Da ciò
la ridotta risposta febbrile agli stati infettivi.
E’ possibile affermare che l’aumento della temperatura corporea anche solo di un grado (da 37 a 38°C) nel
paziente anziano possa essere considerata spia di infezione in atto (batterica o virale) ed indurci ad un approccio
terapeutico più aggressivo.
La rilevazione della temperatura corporea nel paziente anziano risulta in questi termini sottostimata. La relazione
verterà sulla presentazione di una flow chart di comportamento per rispondere al quesito clinico della febbre in
pazienti affetti da lesioni da decubito. Saranno presentate le proposte terapeutiche e le criticità rappresentate
dalle patologie di base.
Wound Bed Preparation
Dr. Sandy FURLINI
Per W.B.P. si intende:
“ La gestione globale e coordinata della lesione volta ad accelerare i processi endogeni di guarigione ma anche a
promuovere l’efficacia di altre misure terapeutiche.”
La W.B.P. si compone di:
1. Gestione della carica necrotica
2. Gestione della carica batterica
3. Gestione dell’essudato/trasudato
4. Correzione del microambiente biologico
E’ opportuno pensare alla WBP in termini strategici. Ciò consente di scomporre quello che di per sé è un
processo terapeutico complesso nei singoli componenti e di analizzarli, senza mai perdere di vista la gestione
globale del problema e le finalità terapeutiche. In altri termini, si tratta di una vera e propria filosofia del
trattamento della lesione cutanea cronica: partendo dalla “diagnosi locale della lesione”, si giunge, attraverso un
algoritmo predefinito, all’identificazione dei bisogni della ferita stessa. WBP comprende quattro fasi cliniche di
comportamento: da una fase si passa all’altra per poi riconsiderare la precedente verificandone i risultati e
quindi, eventualmente, modificare le direttive intraprese.
Per ognuna delle quattro fasi verrà presentata una linea di comportamento basata sulla lettura della ferita.
Principi di trattamento locale: Linee Guida e dintorni
Sig.ra Claudia RIZZATI
Perché oggi si parla di LG in riferimento ad un trattamento così specifico come quello delle LdD? Fino a non
molto tempo fa e forse ancora oggi in qualche realtà, ogni infermiere adottava un suo personale metodo, legato
alla sua esperienza, al perseverare di abitudini, alla sua voglia di provare, o anche solo alle risorse disponibili.
Spesso la “terapia” veniva tramandata oralmente.
Il progresso scientifico-tecnologico e l’aumento esponenziale della produzione scientifica rende estremamente
complesso l’aggiornamento professionale e la gestione del paziente in base a criteri omogenei ed uniformi.
Attualmente scienza e tecnologia hanno messo a disposizione degli operatori una gamma infinita di prodotti,
come districarsi ora nella giusta scelta?
Come punto di partenza consideriamo valida la nozione di Linee Guida (LG): “raccolta di affermazioni sviluppate
in modo sistematico per assistere le decisioni sanitarie circa una assistenza appropriata a condizioni cliniche
specifiche”. Sono infatti elaborate in modo da essere di ausilio alla pratica clinica e offrono raccomandazioni per
la gestione di problemi. Costituiscono una sintesi delle informazioni scientifiche disponibili, valutate criticamente
da professionisti. L’adozione di LG non limita l’attività di scelta ma consente di avere indicazioni sui
comportamenti ottimali e di documentata efficacia, da adottare sulla maggior parte dei pazienti. Sta poi al
singolo clinico decidere se seguire la linea guida, ma questi è tenuto anche a giustificare per quale motivo o in
base a quali dati-osservazioni non ne ha tenuto conto.
2 SESSIONE
Lettura della ferita: approccio sistematico
Sig.ra Katia SOMA’
Leggere una LCC, costituisce la prima fase per arrivare ad un corretta ipotesi diagnostica e quindi avvicinarsi ad
una terapia congrua.
La descrizione di una LCC è svincolata dai parametri comunemente utilizzati in medicina. Infatti non abbiamo a
disposizione scale di valutazione riproducibili come avviene ad esempio per la temperatura corporea, la diuresi o
per un qualsivoglia esame ematochimico. Spesso ci si affida alla soggettività dell’osservatore, limitandosi a
comuni espressioni quali “lesione bella” o “lesione brutta”. Ma bella e brutta sono unità di misura troppo
generiche, soggettive e difficilmente utilizzabili nel dialogo fra operatori. Molti hanno proposto metodologie di
osservazione più scientifiche, dalle scale colorimetriche alle misurazioni di estensione superficiale o profonda;
quella tutt’oggi in uso rimane la scala anatomica secondo cui la lesione è classificata in quattro stadi,
considerando le strutture interessate in profondità (EPUAP). Troppo spesso però ci si accorge che questo non
basta per avere ben chiare le esigenze di una lesione. Viene introdotto quindi il Wound Bed Preparation Score
secondo Falanga (modificato), percorso di osservazione della lesione che conduce ad una classificazione
valutando le caratteristiche del fondo di ferita e dell’essudato. A questo score va unita l’analisi anatomico
funzionale dell’ulcera. Prima di procedere alla medicazione vera e propria, è indispensabile confrontare i risultati
ottenuti dalla prima fase clinica di lettura con i dettami della WBP, al fine di individuare qual’ è, o quali sono, i
bisogni della ferita per meglio rispondere alle sue esigenze.
Dopo un periodo di trattamento si perverrà ad uno score definito finale. Una rivalutazione clinica del quadro
permetterà di paragonare lo score finale ottenuto con quello iniziale ed esprimere un giudizio sull’utilità o meno
del trattamento in corso.
Role playing: discussione di casi clinici in piccoli gruppi con partecipazione diretta dei partecipanti
al corso
Dr. Sandy FURLINI, Sig.ra Katia SOMA’
Sessione pratica in cui verranno proiettati casi clinici a partire dall’anamnesi ed esame obiettivo generale per
giungere alla lettura della ferita onde individuarne i bisogni. In gruppi verranno evidenziate le necessità del
paziente e della ferita quindi si procederà ad una medicazione virtuale, ponendo l’accento sulla scelta del
prodotto e sulle tecniche principali di utilizzo.
Il paziente terminale: cura palliativa della piaga
Sig.ra Katia SOMA’
Alla base della prevenzione e della cura delle lesioni da pressione, come abbiamo già visto, ci sono due concetti
fondamentali, le condizioni generali e la mobilizzazione.
Ma come intervenire su di un paziente in cui per definizione le condizioni generali sono deficitarie?
L’obiettivo diviene non la guarigione ma la cura, vissuta dalla equipe in termini olistici, dove al centro viene
posto il malato e la sua dignità di uomo.
Si tratta di pazienti ad alto rischio infettivo per riduzione delle difese immunitarie, con estremo rallentamento
della riparazione tissutale per carenza dei substrati principali: iponutrizione e disidratazione dominano un quadro
clinico in cui dolore e sofferenza psichica fanno da padroni.
Su queste basi si sviluppa il concetto di “cura palliativa della piaga”: prevenzione della colonizzazione batterica
locale e della sepsi, attenuazione della sintomatologia dolorosa.
Gestione globale del dolore nel paziente piagato
Dr. Sandy FURLINI
Il dolore è un sintomo estremamente frequente in tutte le manifestazioni cliniche dell’ulcera cutanea,
rappresentando una complicanza molto temuta.
La scelta del trattamento non può prescindere dalla qualità e dall’intensità del dolore, dallo stadio dell’ulcera e
dallo stato psichico del paziente.
Il sintomo dolore, ha origini diverse se consideriamo tre diversi punti di vista:
1. la lesione (soprattutto negli stadi più superficiali dove le terminazioni nervose sono ancora presenti);
2. la complicanza della lesione, (la colonizzazione batterica clinica critica);
3. la tecnica di medicazione, quindi la mano dell’operatore e la scelta del prodotto di medicazione.
Discussione
Correzione dei test ECM