POSTMENOPAUSA E STATINE: RISCHIO DI DIABETE TUMORE AL
Transcript
POSTMENOPAUSA E STATINE: RISCHIO DI DIABETE TUMORE AL
MEDICINADIGENERE POSTMENOPAUSA E STATINE: RISCHIO DI DIABETE L’uso di statine in postmenopausa aumenta il rischio di diabete mellito. È questo il dato emerso da uno studio, il Women's health initiative, condotto su 160 mila donne di età compresa tra 50 e 79 anni in 40 Centri clinici degli Stati Uniti dal 1993 al 1998, con un follow-up tuttora in corso. La ricerca effettuata da un gruppo di esperti guidato da Annie L. Culver della Mayo Clinic di Rochester, e che comprende dati estesi fino a tutto il 2005, ha riguardato 153.840 donne senza diabete al basale, nelle quali si è valutato l'impiego di statine all'arruolamento e al terzo anno dello studio, mentre la comparsa di diabete è stata verificata annualmente. Al basale il 7,04 per cento delle partecipanti assumeva statine e all'analisi finale, in questo sottogruppo, il rischio di comparsa di diabete è risultato dell’1,71 poi corretto a 1,48. Il dato è rimasto significativo e si è osservato con ogni tipo di statina. TUMORE AL SENO: NUOVA SCOPERTA Si chiama TGF-beta la proteina in grado di accendere e spegnere le cellule tumorali regolando i processi di sopravvivenza o morte del cancro. La scoperta, frutto di uno studio condotto presso l’università del Colorado e pubblicato su Oncogene, spiega come facciano i tumori a 30 NUOVOCOLLEGAMENTO sfruttare questo fattore di crescita. Alcune proteine sono capaci di dare segnali biologici e fisiologici in grado di attivare la crescita delle cellule tumorali e la loro sopravvivenza, altre, invece, sono responsabili dell’interruzione della replicazione di queste o della loro morte. Nel carcinoma della mammella, la proteina TGF-beta possiede entrambe le capacità: a volte alimenta i tumori, altre volte li sopprime. Come fanno i tumori a sfruttare questo fattore di crescita? «In sostanza è come se il tumore fosse capace di impossessarsi del programma di crescita delle cellule che abbiamo nello stadio embrionale (quando l’organismo si sviluppa più velocemente) e lo riportasse in attività, a suo favore», ha spiegato Heide Ford, ricercatrice che ha lavorato allo studio. «Perché l’embrione si sviluppi rapidamente e le cellule siano capaci di spostarsi abbastanza facilmente da una parte all’altra, infatti, nei primi stadi di formazione dell’organismo viene attivato un fattore di trascrizione chiamato SIX1, che crea proprio questi due effetti. Poi, quando diventiamo adulti, la proteina viene “spenta”, non essendoci più bisogno di quella crescita rapida che si aveva nelle prime fasi di sviluppo. Molti tipi di cancro al seno, però, sono capaci di risvegliare SIX1 e volgere questa sua capacità a loro favore, proprio facendo passare TGF-beta dalla modalità di soppressore del tumore, a quella di suo promotore. Per farlo SIX1 crea delle piccole molecole di Rna, chiamate appunto microRna, che regolano l’espressione del gene associato. Nel caso appena descritto di tumore al seno, queste micro particelle si ancorano alla parte di TGF-beta che ferma la crescita cellulare, silenziando questa funzione. In questo modo, l’organismo non riceve più segnale di interrompere la replicazione cellulare, e incoraggia le nuove unità biologiche a migrare. Alti Marzo, con la festa della donna, è stato un mese ricco di appuntamenti all’insegna di riflessioni e dibattiti sulla condizione della donna nella società. Non è prevalsa la festa, quanto la tristezza per il perpetrarsi di violenze e omicidi da parte dei compagni; e di soprusi che tendono ad offuscare il crescente riconoscimento di capacità, competenze e ruoli nel mondo del lavoro. Ma in marzo si è parlato molto anche di tutela della salute femminile. Non solo mimose, quindi, ma anche diritti. livelli di SIX1 o dei microRna a esso associati indicano che il cancro sta usando proprio TGF-beta per far crescere il tumore», ha aggiunto Ford. La scoperta apre la strada a nuovi trattamenti tumorali che utilizzano gli inibitori di questa molecola. Il prossimo passo, secondo i ricercatori, è quello di usare la stessa proteina SIX1 come bersaglio formulando dei farmaci ad hoc in grado di spegnerla. NASCE IL MANIFESTO PER LA MEDICINA DI GENERE Il Manifesto per la medicina di genere da marzo è una realtà. Promosso da Gens, la neonata piattaforma italiana per la medicina di genere costituita da Donne in Rete Onlus, Equality Italia e GISeG (Gruppo Italiano Salute e Genere) ha già raccolto l'adesione di molte personalità, tra cui deputati e senatori di tutte le aree politiche. Tra i primi firmatari compaiono la senatrice Rossana Boldi (Ln), l'onorevole Gianni Mancuso (Pdl), l’onorevole Barbara Pollastrini e NOTIZIE AL FEMMINILE Uomini e donne rispondono ai farmaci in maniera differente, hanno un sistema immunitario che non reagisce nel medesimo modo agli stimoli esterni e sono soggetti in misura diversa all’insorgenza di determinate patologie. La medicina di genere, prima ancora di essere una scienza, è quindi una forma di sensibilità che si contrappone a una ricerca scientifica da sempre abituata a pensare alla donna come a un “piccolo uomo”. Questa rubrica si propone di fornire le notizie più importanti riguardanti la salute e il benessere femminile; si farà riferimento ai temi trattati nelle più recenti conferenze stampa, alle iniziative di genere, alle campagne medico-informative, alle nuove ricerche, ai farmaci, ai trattamenti e ai centri di elezione per la cura delle patologie femminili a cura di Alessandro Fornaro giornalista consulenza scientifica: Monica Faganello farmacista NUOVOCOLLEGAMENTO 31 MEDICINADIGENERE la senatrice Fiorenza Bassoli (Pd). L’iniziativa ha come obiettivo promuovere l’uguaglianza di genere nella scienza, esaminandone le opportunità. «Ci sono sempre più evidenze scientifiche che maschi e femmine non sono uguali davanti alla stessa malattia. Il sistema cardiovascolare, il sistema nervoso e quello immunitario si comportano diversamente a seconda del sesso cui si appartiene», ha affermato Flavia Franconi, presidente GISeG e professoressa di Farmacologia cellulare e molecolare all’Università di Sassari. «Gli studi di nuovi farmaci, di nuove terapie, dei fattori che originano le malattie sono stati condotti considerando principalmente i maschi come fruitori, sottovalutando le peculiarità femminili, ossia di più della metà della popolazione europea», specifica Rosaria Iardino, presidente Donne in Rete Onlus. «Le donne, inconsapevolmente, fanno ricorso a farmaci inadatti, poco efficaci, se non sbagliati, perché non pensati e studiati per loro», aggiunge e conclude Simona Zucchett, vicepresidente Equality Italia. «La scienza ci dice che le terapie non sono un capo unisex. La ricerca e la farmacologia devono intervenire perché il diritto alla salute delle donne sia garantito quanto quello degli uomini». ll Manifesto è stato presentato ufficialmente, con l’elenco completo degli aderenti, il 2 marzo a Milano, al primo Summit italiano di Medicina di Genere. A differenza di altre pillole contraccettive attualmente disponibili, si tratta di un anticoncezionale orale combinato (COC), monofasico, basato sulla combinazione di due ormoni steroidei: il 17 b-estradiolo, un estrogeno strutturalmente identico a quello prodotto naturalmente dalle ovaie durante il ciclo, e il nomegestrolo acetato, un progestinico già da tempo impiegato per i disturbi del ciclo nella donna fertile e, associato all’estrogeno, usato per la protezione endometriale nella donna in menopausa che utilizza una terapia sostitutiva ormonale. Come le altre pillole contraccettive, agisce bloccando l’ovulazione, alterando il muco cervicale e assottigliando l’endometrio. La nuova pillola, rispettando l’equilibrio naturale del corpo femminile, trova ampio consenso tra quelle donne che sono ancora restie al suo utilizzo come anticoncezionale (80 per cento in Italia). Oltre ad offrire una protezione garantita da gravidanze indesiderate, ha diversi vantaggi: provoca un flusso più breve e più leggero, non altera i parametri lipidici, quelli della coagulazione e del metabolismo glucidico. Inoltre, l’estradiolo non ha gli effetti epatici dell’etinilestradiolo, fino a oggi l’unico estrogeno utilizzato in contraccezione e il nomegestrolo si contraddistingue per avere, oltre a un eccellente legame con i ricettori per il progesterone, solo un modesto effetto antiandrogenico, considerato benefico in relazione ad alcuni inestetismi. LA PILLOLA CHE NON C’ERA LE ITALIANE E LA PILLOLA: DIFFIDENZA Protezione sicura nel rispetto del benessere della donna: queste le parole chiave della nuova pillola anticoncezionale realizzata con 17 β-estradiolo, un estrogeno naturale identico a quello prodotto dal corpo femminile. 32 NUOVOCOLLEGAMENTO In Italia solo il 14,2 per cento delle donne sceglie la pillola come anticoncezionale anche se la maggior parte è favorevole al suo utilizzo come strumento di emancipazione femminile. MEDICINADIGENERE Infatti, secondo una recente indagine realizzata da Doxa Marketing Advice su un campione di mille donne dai diciotto ai cinquanta anni, su tutto il territorio nazionale, il 78,3 per cento è favorevole all’utilizzo della pillola come metodo contraccettivo contro un 21,7 per cento. E il motivo è soprattutto ideologico: la pillola ha “liberato” le donne. La ricerca ha permesso anche di conoscere quali siano i timori ricorrenti riguardo al suo uso. Dietro al basso consumo, secondo gli esperti, forse si cela il fatto che oltre l’80 per cento delle donne non desidera usare prodotti che alterino l’equilibrio naturale del proprio corpo. Il timore più diffuso e corretto è che la pillola non protegga da malattie a trasmissione sessuale (62,5 per cento), ma anche che faccia ingrassare (47 per cento) o sia scomoda perché occorre ricordarsi di prenderla tutti i giorni (32,3 per cento). Tra le donne al di sotto dei 25 anni, la necessità di andare dal medico per la prescrizione è motivo di rifiuto. Una volta scelta però, le italiane risultano piuttosto abitudinarie riguardo alla contraccezione orale. Il 76,5 per cento, come rileva l’indagine, non ha mai cambiato pillola e il 78,3 per cento non ha intenzione di passare a un’altra marca o tipo. STIPSI CRONICA: NUOVO FARMACO Da gennaio è disponibile in Italia un farmaco rivoluzionario per curare la stipsi cronica femminile. Si tratta di prucalopride, una molecola che, al contrario dei lassativi finora disponibili sul mercato, favorisce in modo fisiologico la motilità intestinale, coordinando i moti peristaltici dall’alto verso il basso, attraverso la stimolazione dei recettori della serotonina (5-HT 4). Il farmaco non ha effetti collaterali e le uniche limitazioni all’uso si hanno in caso d’insufficienza renale ed epatica grave. Non sono segnalate interazioni farmacologiche ma bisogna fare attenzione all’uso concomitante di anticoncezionali orali, poiché potrebbe ridurne l’assorbimento. In Italia le persone affette da stipsi cronica sono il 15-20 per cento della popolazione totale e, di queste, l’80 per cento sono donne, con un’età media di 50 anni. Secondo l’indagine LIRS (Laxative Indadequate Relief Survay) condotta da Doxa Pharma, la stipsi cronica è un disturbo che condiziona la vita, da un profondo disagio fisico ed emotivo, altera il benessere e limita il modo di affrontare la quotidianità. La sofferenza emotiva dei malati di stipsi cronica è simile a quella d’importanti malattie organiche. Da non sottovalutare poi le implicazioni sociali. Secondo l’indagine, infatti, il numero di ore lavorative perse in una settimana va da quattro ore nei casi più gravi a una in quelli più lievi, costando in media, in termini di assenteismo lavorativo, 1.500 euro l’anno per paziente con stipsi cronica grave. L’importanza del nuovo farmaco è ancora maggiore se si considera che, attualmente, solo un paziente su cinque è soddisfatto rispetto all’offerta terapeutica oggi disponibile. 34 NUOVOCOLLEGAMENTO TUMORE AL SENO: ARRIVA IL NUMERO VERDE Si chiama “Contact service” il primo servizio telefonico, attivato dal Dipartimento di Oncologia medica del San Raffaele di Milano, a supporto di tutte le pazienti con tumore al seno. Telefonando sarà possibile trovare risposta a ogni dubbio riguardante il proprio stato di salute e avere informazioni su diagnosi, cure e terapie. L’obiettivo è di consentire di impostare in tempi contenuti (7-10 giorni) e clinicamente appropriati, il percorso di cura, dalla diagnosi alle terapie, mantenendo un rapporto puntuale e organizzato con il personale medico di riferimento. Ogni donna sarà intervistata per identificare il suo stato di diagnosi ed essere avviata ai passaggi necessari per il corretto inquadramento clinico, radiografico e patologico del tumore, indispensabili per decidere il corretto iter terapeutico. Di conseguenza si dovrebbero limitare tutti quei problemi legati all’accessibilità e alla qualità delle procedure diagnostiche (tempi di attesa per le indagini, qualità delle strutture e degli operatori) che si riflettono anche sul piano emotivo generando ansia. Il servizio sarà attivo, al costo di una telefonata urbana, al numero 848.800.585, dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 13 e dalle 14 alle 18.