1. A voi, amici delegati delle cooperative aderenti, il benvenuto più
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1. A voi, amici delegati delle cooperative aderenti, il benvenuto più
1. A voi, amici delegati delle cooperative aderenti, il benvenuto più cordiale alla XXX assise di Confcooperative. Anche a nome vostro ringrazio le Autorità e i signori invitati. La loro partecipazione ci onora. L’Assemblea odierna coincide con la fine di un periodo straordinario e irripetibile per le cooperative italiane. Sono stati anni accelerati, e non soltanto per le vicende cooperative. Resta un ordinamento cooperativo profondamente rinnovato. Il movimento cooperativo ne esce emancipato da quei trattamenti peculiari, spesso impropriamente chiamati agevolazioni e che invece bilanciavano vincoli e divieti operativi. Ne esce più consapevole che la diversità cooperativa deve imporre vincoli, divieti e limitazioni operative. Davanti alle cooperative si apre un futuro di sviluppo possibile, impegnativo e carico di sfide. Saranno vincenti le cooperative che intensificheranno la partecipazione dei soci, affineranno la governance, impegneranno i soci nella capitalizzazione. Saranno vincenti le cooperative proiettate all’integrazione e animate da visioni innovative. 2 Sono cresciute le attese delle cooperative e le nostre responsabilità verso di esse, che vogliamo assolvere con determinazione rinnovata. E’ cresciuto pure il ruolo di Confcooperative. Lo abbiamo esercitato nell’interesse delle cooperative che rappresentiamo, alle quali va la nostra lealtà senza compromessi, anche a beneficio di tutta la cooperazione. La cooperazione italiana ha bisogno di unità. Confcooperative è pronta ad aprire una nuova fase unitaria nel movimento cooperativo, a partire dal rafforzamento del rapporto di collaborazione con Legacoop. 2. In pochi anni si è compiuta una rivoluzione profonda dell’ordinamento cooperativo. Le premesse non erano favorevoli. Le avvisaglie erano state minacciose. Abbiamo temuto un pesante ridimensionamento della realtà cooperativa edificata in una storia ultrasecolare. Ci siamo impegnati in un confronto allo scoperto. Abbiamo sostenuto il buon diritto della cooperazione ad essere riconosciuta, 3 rispettata e valorizzata come un bene di tutto il Paese e non di una parte. Abbiamo trovato e ritrovato nuove e vecchie amicizie politiche e sociali, sensibili alla cooperazione autentica. Si è allargato il partito della cooperazione. Le riforme emanate non sono quelle dei nostri sogni. Non sono quelle che noi avremmo scritto. Abbiamo conquistato un punto di equilibrio realisticamente accettabile. E’ un impianto legislativo severo, con un forte richiamo alla autenticità della missione mutualistica, ma che non pregiudica presente e futuro delle società cooperative. Ne diamo atto a quanti hanno sostenuto le nostre ragioni e anche a quanti hanno saputo modificare onestamente le posizioni di partenza, a fronte di dati oggettivi e di argomenti fondati. Non sottovalutiamo il fatto che alcune vicende, dopo passaggi conflittuali, si siano concluse con soluzioni bipartisan nei pareri parlamentari sui decreti legislativi. L’esito delle riforme – in particolare del diritto societario – segna una svolta. 4 L’esplicita conferma dell’essere, le cooperative, imprese finalizzate a soddisfare esigenze dei soci – economiche e sociali – diverse da quella dei guadagni di capitale, mette fine alle spinte di omologazione forzata alle società lucrative, che avevano perseguitato la cooperazione negli anni precedenti. Il legislatore ha richiamato le cooperative alla missione mutualistica e simultaneamente le ha dotate di maggiori strumenti di capitalizzazione. Cade così l’artificiosa antitesi fra mutualità e sviluppo, a lungo utilizzata per imprigionare le cooperative in un dilemma impossibile. Si voleva che le cooperative, affinché fosse riconosciuta la loro virtù, rinunciassero a crescere. Il nuovo ordinamento riconcilia mutualità e sviluppo. 3. Durante questa fase travagliata, affollata di incertezze talora angosciose, le cooperative non sono rimaste paralizzate dall’attesa. Hanno incrementato il capitale sottoscritto dai soci cooperatori e hanno creato occupazione. 5 A fine 2003, il fatturato annuo delle nostre cooperative associate, senza contare altre società di sistema e al netto delle attività delle BCC, sfiora i 40 miliardi di Euro (+ 21,9% nel quadriennio). Gli occupati sono 391.000 (+ 34% nel quadriennio). La crescita del capitale sociale (+ 27,1%) e del patrimonio netto (+21,4%) denota un importante rafforzamento aziendale. L’andamento è stato più vivace nel periodo 2000-2001, mentre nel biennio appena trascorso la perdurante stasi dell’economia ha causato un lieve rallentamento. Le BCC hanno una raccolta diretta che supera gli 82 miliardi di €, con una crescita superiore al resto del sistema e una quota di mercato dell’8%. Questa condotta, che abbiamo concorso a promuovere, non ci ha sorpreso, ma ha superato le aspettative. E’ stato preservato e aumentato un capitale di fiducia. Fiducia, innanzitutto, nella validità del modello cooperativo; fiducia nella capacità della classe politica e delle istituzioni di pervenire a soluzioni costruttive sulla riforma cooperativa; fiducia anche nell’azione di Confcooperative, cui queste cooperative avevano affidato la rappresentanza dei loro interessi e delle loro prospettive. Si chiude un capitolo e se ne apre un altro. 6 4. Entriamo nel terzo tempo della cooperazione moderna. Nel secondo dopoguerra un primo ciclo storico – un primo tempo – si legò a valori collegati a dimensioni ideologiche molto forti (e non solo e non tanto nel movimento cooperativo). Era il tempo di una preminente identità sociale, nel quale le cooperative diedero un contributo prezioso, ancora non pienamente valutato, alla crescita del Paese e alla soddisfazione di bisogni fondamentali (un solo esempio: la casa in proprietà). Un secondo ciclo storico è segnato dall’affermarsi della dimensione di impresa e talora dal suo prevalere su quella valoriale. Le cooperative hanno accettato la sfida di cimentarsi sul mercato come imprese tra imprese; si sono adattate alla completa scomparsa di alcuni sostegni assistenziali, dovuti e utili nell’epoca precedente, peraltro spesso sopravvalutati. Di quei sostegni le cooperative sono state, nel tempo, progressivamente e implacabilmente spogliate. Le cooperative che si sono affacciate al nuovo secolo sono quelle che hanno vissuto e superato questa fase. 7 Nel passaggio a un nuovo stadio evolutivo la cooperazione ha rafforzato la sua presenza nell’economia, ha generato tipologie innovative come quella delle cooperative sociali, ha intrapreso le vie dell’integrazione o dell’adeguamento dimensionale. E’ cresciuta nell’arena dell’economia reale. Ha trovato precluse le opportunità – e le tentazioni – di una finanziarizzazione spinta. Una limitazione che oggi – a paragone con altre vicende – può apparirci benefica. La cooperazione ha mantenuto il suo radicamento territoriale. Un radicamento che è un grande fattore di differenziazione, perché le cooperative incorporano nel loro agire potenzialità ma anche limiti, risorse ma anche ritardi, delle aree in cui operano. E’ un radicamento che preclude alle cooperative manovre di delocalizzazione praticate da altre imprese. I valori originari di solidarietà e mutualità si sono scontrati con situazioni imprevedibili per i padri fondatori. Qualcuno si è purtroppo rassegnato a considerare quei valori solo come un ricordo o un orpello. Ma siamo in un campo nel quale le scorciatoie si rivelano strade senza uscita. 8 Nelle cooperative il successo imprenditoriale e la coerenza ai principi cooperativi vanno in coppia. E allora il terzo tempo è una nuova sintesi tra anima solidaristica e prestazioni di mercato, fra mutualità e competitività, tra funzione sociale e produzione di ricchezza. Nella cooperativa efficienza e solidarietà sono inscindibili: insieme sussistono o insieme cadono. E’ il tempo dell’elaborazione di un nuovo modello valoriale, che non può essere il lifting di quello antico. Al di là dei luoghi comuni e della retorica; al di là dei caratteri fissati dalla legge e che possono andare e venire per volontà del legislatore; al di là dei principi cooperativi codificati dalle origini, dobbiamo cogliere meglio ciò che rende ugualmente cooperatori robusti imprenditori e lavoratori, persone professionalmente e socialmente forti e persone svantaggiate, imprese grandi e internazionalizzate e imprese che strappano la sopravvivenza coi denti in attività povere e ad alta intensità di lavoro, banche cooperative e cooperative sociali, cooperative di abitazione e cooperative agroindustriali, cooperative del tempo libero e culturali e cooperative industriali e dei servizi o della pesca. Il terzo tempo, nel quale ci troviamo, non è codificato in dogmi. 9 E’ un nuovo orizzonte di elaborazione e realizzazioni, un impegno di fedeltà e innovazione. Nel momento in cui si diffonde – sino all’abuso – l’applicazione del termine ‘sociale’, avvertiamo la responsabilità di proiettare nell’opinione pubblica il significato della cooperazione in modo forte e riconoscibile. 5. Secondo gli impegni di Lisbona, l’Europa dovrebbe diventare nel 2010 la regione più competitiva e dinamica del mondo. L’Europa, e particolarmente l’Italia, deve, allora ritrovare la strada di una crescita più intensa, che sia anche autopropulsiva; che sia durevole; che sia vigorosa ed estesa e tale da sostenere virtuosamente l’integrazione delle economie dell’allargamento; che sia accompagnata dall’iniziativa politica sui tempi e le regole della globalizzazione. E’ un danno per tutti che la creazione dell’Euro – una grande impresa senza precedenti nella storia delle relazioni tra stati in tempi di pace– si associ a fenomeni negativi. Stupisce che la Banca Centrale Europea si ostini a non perseguire un equilibrio del cambio con il dollaro più favorevole alla competitività e alla crescita. 10 La coesione economica dell’Europa non si può costruire solo contro il debito pubblico, contro l’inflazione, contro il deficit di bilancio, contro gli aiuti di Stato. Le regole di stabilità siano argini per l’economia, ma non dighe. Realizzata la moneta unica è ora che, nel binomio stabilità e sviluppo, l’accento si sposti con forza e convinzione sul secondo termine. Dacché politiche economiche nazionali sovrane non sono più possibili sarebbe gravido di pericoli rimanere sospesi a lungo tra ciò che non c’è più e ciò che non c’è ancora. E’ convinta la scelta europea del movimento cooperativo. Un domani migliore dell’Italia ci sarà solo in un’Unione europea più integrata e più forte. 6. Il peso del debito pubblico acuisce le difficoltà del Paese di fronte ai problemi comuni. Sono problemi formatisi in tempi lunghi e che richiedono tempi lunghi per le soluzioni. In Italia dobbiamo accrescere la competitività, accettando senza nostalgie la sfida del mercato globale. 11 In questo contesto, la grande responsabilità (e il grande contributo) della politica è la costruzione di un sistema di regole e controlli internazionali più incisivi. Meno confini, muri e dogane avrà il mondo e meglio vivrà l’umanità. Meno barriere non significa, però, la rassegnata accettazione di un mercato planetario ingovernabile. Che grandi paesi in via di sviluppo abbiano finalmente imboccato la strada della industrializzazione e di una crescita economica moderna è un successo di chi crede nella libertà e nel mercato. E’ la premessa per relazioni internazionali più serene e stabili, è una promessa di pace, è una condizione per combattere più efficacemente il terrorismo, che, nei giorni scorsi, si è atrocemente riproposto. E’ la strada per combattere strutturalmente i mali della fame, della schiavitù, delle guerre civili endemiche. La liberalizzazione degli scambi va legata, però, a impegni certi e verificabili, previsti da accordi generali, sui diritti del lavoro, sulla tutela della salute e sulla sostenibilità ambientale e contro le contraffazioni e le furbizie commerciali più dilaganti. 12 La nostra competizione deve essere, comunque, rivolta in avanti, deve essere indirizzata a sviluppare industrie e tecnologie elevate, produzioni di eccellenza, servizi concorrenziali. Le stesse forze imprenditoriali sono chiamate ad armonizzare maggiormente le loro strategie agli obiettivi generali del Paese, a fare sistema tra loro, a dare un’interpretazione più alta e generosa della loro responsabilità, in una nuova stagione di più strette alleanze e collaborazioni. Di fronte alla dura competizione mondiale, non possiamo comportarci come Don Abbondio che, bel bello, tornando dalla sua passeggiata e vedendo “una cosa che non avrebbe voluto vedere”, mise due dita nel collare per girare la faccia indietro e scrutare se arrivava qualcuno. Ma non vide nessuno. Di fronte alle nostre responsabilità – di competere al meglio – non c’è nessun altro che ci salvi: ci siamo noi e la nostra volontà. Le condizioni di contesto da migliorare per bloccare la perdurante perdita di competitività sono individuate con un largo consenso. Ci sono gli elementi dell’inefficienza della pubblica amministrazione, del costo dell’energia e di servizi di cui le imprese 13 abbisognano, dell’ulteriore impulso occorrente alla crescita del Mezzogiorno, di una dotazione infrastrutturale datata. Le grandi (o piccole) infrastrutture sono necessarie: non possono diventare utili o inutili a seconda dei governi che le propongono. Sono il segno di un Paese che avanza e che lavora per le generazioni future. Le imprese (e tra esse le imprese cooperative) dal canto loro devono investire di più nella ricerca, nella produzione di innovazioni e di brevetti, nell’internazionalizzazione, nella qualità. L’intervento pubblico per l’Università e la ricerca può essere propulsivo dello sviluppo, senza incorrere in divieti comunitari, fornendo al sistema delle imprese superiorità tecnologica. L’accrescimento dei livelli di competitività è anche connesso all’incisività delle riforme. Per la classe politica fare riforme utili è come per l’imprenditore fare innovazione. La portata innovatrice complessiva delle riforme del mercato del lavoro, del diritto societario e della scuola, fa premio su aspetti meno convincenti. Della riforma fiscale ci manca la conoscenza di quando e quanto diminuirà la pressione fiscale e quando avverrà il superamento dell’Irap, un’imposta che riteniamo iniqua. 14 Le imprese attendono la fine dell’interminabile dibattito sulla giustizia. La lunghezza dei processi civili (quasi il doppio rispetto la media europea) è uno scandalo intollerabile per uno Stato moderno e per un Paese che chiede di incrementare la competitività del sistema. 7. Per una prospettiva vincente di avanzamento tecnologico, di evoluzione organizzativa, di affinamento competitivo dell’impresa è inefficace un sistema di incentivi con troppi automatismi. Si scivola, così, in una versione moderna di quelli che un tempo si chiamavano interventi a pioggia. Da anni denunciamo i limiti delle politiche tradizionali per le piccole e medie imprese. Le conclusioni della recente indagine conoscitiva del Parlamento sul sistema industriale italiano ha acquisito queste valutazioni alla cultura politica del Paese. La grande risorsa italiana – la ricchezza di una imprenditoria diffusa e flessibile composta da milioni di imprenditori – degenera in un limite se le piccole imprese sono incentivate a rimanere tali o, ancor peggio, ostacolate nella crescita. Così il nostro sistema imprenditoriale rimane diffusamente affetto da un nanismo, inconciliabile con l’apertura dei mercati. 15 Ci sono settori e mercati in cui la piccola dimensione è congrua, specie se sostenuta da contesti di distretti e da forme di integrazione, tra le quali andrebbe maggiormente promossa quella eccellente della cooperazione. Crescono tuttavia i settori e i mercati che esigono la grande impresa, o almeno una robusta classe di medie imprese. Da foresta di bonsai, le PMI devono trasformarsi in un vivaio di crescita. L’obiettivo della crescita si impone anche per le cooperative. Per esse inoltre è necessario promuovere incisivamente i processi di integrazione tra le cooperative, nella forma consortile o con altre soluzioni organizzative. L’integrazione è un fattore decisivo di stabilità e redditività delle cooperative, in grado di sostenere anche una vivace proiezione internazionale. L’affermazione di Cesare che sarebbe stato preferibile essere il primo in un villaggio della Gallia piuttosto che secondo a Roma è – oggi – un’alternativa improponibile: arroccarsi nel villaggio è un’illusione senza dignità e senza futuro. Se qualche anno addietro, lungimiranti cooperatori dei settori ortofrutticolo e lattiero-caseario non avessero compiuto robuste 16 concentrazioni e integrazioni, la cooperazione non sarebbe oggi in grado di difendere i produttori, i prodotti, il made in Italy, anche subentrando nel mercato alle crisi di imprese lucrative. Ci sono settori cooperativi e vaste aree territoriali, fra le quali il Mezzogiorno, in cui l’integrazione è in ritardo . 8. E’ ancora irrisolta la questione di una capitalizzazione adeguata delle imprese italiane. Persistono difficoltà note nella formazione del capitale di rischio. Le banche sono impegnate nell’offerta di credito, ma non hanno costruito intermediari finanziari vocati a intervenire direttamente nel capitale di rischio. Questa situazione poco propizia alla crescita delle imprese, è aggravata dal costo elevato dei servizi finanziari e potrebbe peggiorare ancora con l’applicazione degli accordi di Basilea II. E’ necessario il perfezionamento delle norme recenti sulla garanzia collettiva fidi. Per le imprese cooperative l’obiettivo di accelerare la capitalizzazione si presenta più difficile per le minori risorse di cui dispongono i cooperatori e per gli stessi vincoli normativi. 17 Ci sono settori nei quali per decenni hanno operato con successo cooperative dotate solo delle menti e delle braccia dei loro soci. Non è più possibile. Occorre sostenere lo sforzo per creare una finanza di sistema sostenendo con capitale di rischio - anche pubblico - l’istituzione di fondi di investimento dedicati. Altrimenti i nuovi strumenti finanziari - che la riforma del diritto societario ha reso accessibili per le cooperative - rimarrebbero sulla carta. 9. Abbiamo bisogno di accrescere ulteriormente la qualificazione delle risorse umane, con gli investimenti idonei in formazione. Nelle cooperative in particolare occorre formazione gestionale e imprenditoriale per i milioni di cooperatori, tutti corresponsabili nelle assemblee a decidere le strategie delle loro imprese, tutti potenzialmente eleggibili a guidare le loro imprese. Per quanto riguarda Confcooperative ne abbiamo bisogno per i 2.800.000 cooperatori e per gli oltre 100.000 amministratori impegnati alla guida delle cooperative. Gli imprenditori cooperativi non partono dalle fondamenta di un patrimonio ereditato. Quasi sempre vengono da una dura gavetta. 18 Hanno storie esemplari di donne e uomini che si sono fatti da sé, che hanno raggiunto il successo imprenditoriale coinvolgendo altri, condividendo con altri fatiche e successi, sottoponendosi al giudizio dei propri pari in imprese nelle quali il voto dei fondatori vale come quello degli ultimi arrivati. Le riforme recenti hanno reso la società cooperativa più dinamica, più complessa e potenzialmente più competitiva. Dunque i suoi amministratori sono sfidati a crescere in bravura. E bravi e che capiscano di cooperazione devono essere i manager delle cooperative. 10. Insistiamo sulla necessità che il mercato abbia regole giuste e giustamente applicate, che la democrazia economica sia salvaguardata per utilizzare le energie di tutti a vantaggio di tutti. Senza regole prevalgono logiche di dominio, di inganno, di sopraffazione, che sono l’opposto del mercato. Le regole non sono giuste quando – come in alcuni passaggi delle alterne vicende normative riguardanti Consip – fissano barriere elevate, e così sanciscono situazioni oligopolistiche e confinano le imprese minori nella prospettiva senza crescita del subappalto. 19 Le regole non sono giustamente applicate quando continuano a imperare gare al massimo ribasso nell’affidamento dei servizi – soprattutto alle persone – con le quali l’ente pubblico che le bandisce viola le leggi o promuove di fatto l’illegalità e lo sfruttamento. Le regole non sono giustamente applicate quando si formulano criteri e punteggi a misura di una sola tipologia di impresa. Le regole non sono giuste se l’antitrust è severo con le cooperative e indulgente con altri. Le regole non sarebbero giuste se gli accordi di Basilea II – anche dopo il tempestivo intervento del Governo – producessero effetti restrittivi per le PMI italiane. E infine le regole non sarebbero giuste se i nuovi principi contabili internazionali (e in particolare la clausola IAS 32)fossero introdotti senza modificare la rappresentazione distorta e penalizzante del capitale sociale delle cooperative. Se in natura bisogna preservare l’ecosistema evitando l’estinzione delle specie, compromettere così nel comparti mercato e scelte tipologie emarginazione impoverirebbe tutti. sbagliate imprenditoriali, possono la cui 20 La democrazia economica va non solo rispettata, ma fatta crescere attivamente in modo che si moltiplichino gli imprenditori e le specie imprenditoriali con le proprie caratteristiche e vocazioni. 11. La democrazia funziona se ciascuno – ciascuna istituzione, ma anche ciascun soggetto politico e sociale – fa il suo mestiere, cioè esercita la sua responsabilità senza omissioni e senza invasioni di campo. Ci sono questioni sulle quali i veri attori del confronto, e i veri autori delle decisioni, sono le forze politiche nell’ambito delle istituzioni. In altre questioni la politica non può prescindere dalle proposte delle parti sociali e deve rispettarne il ruolo. E’ già in corso, di fatto, la campagna elettorale per il Parlamento europeo. Si apre il triennio delle competizioni elettorali. La frequenza dei turni elettorali – tutti interpretati come referendum popolari sull’assenso al governo o all’opposizione – non aiuta il sistema Paese. La legislatura è a tre quinti del suo percorso. E’ stata assicurata la stabilità dell’esecutivo. La stabilità tuttavia non è fine a se stessa. Dovrebbe essere accompagnata da serenità costruttiva. 21 Se deve esservi bipolarismo, non può essere infantile. Deve organizzarsi su coalizioni politiche più dense e meno eterogenee, più programmatiche e meno attratte da ossessioni polemiche. E, poi, un sistema politico bipolare deve maturare una capacità di confronto – tra maggioranza e opposizione – più rispettoso e costruttivo, più propizio al raggiungimento di scelte concordi nella politica internazionale, nelle riforme istituzionali, nelle regole fondamentali dell’economia e del risparmio. Talvolta la nostra scena politica somiglia a quei campi di battaglia, nei quali fumo, polvere e frastuono impediscono agli stessi protagonisti di vedere e di operare lucidamente e in primo luogo tra le truppe alleate. E’ nell’interesse della politica – della dignità e dell’efficacia del suo ruolo – elevare la qualità e la concretezza del confronto. L’impegno al dialogo sincero e intenso non è segno di debolezza, al contrario è arte del buon governo. 12. La fortuna di un Paese non sta solo nei beni di cui dispone, ma nella coesione tra le sue parti. 22 La prima e indispensabile condizione dello sviluppo è la coesione sociale e con essa un clima di serenità e di fiducia. Presupposto della coesione ingessature ideologiche, di sociale è resistenze però l’assenza corporative e di di giustizialismo. Talune contrapposizioni, come quella che si è consumata sull’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, sono inutili. I sacrifici indispensabili devono essere condivisi dalla società, attraverso intese responsabili delle forze sociali ed economiche del Paese. Una larga parte del sindacato dei lavoratori ha dato ripetute prove di un costruttivo senso di responsabilità nei passaggi incerti e difficili del contesto economico e sociale. Non comprendiamo però l’utilità dello sciopero indetto per la prossima settimana. Le riforme non possono essere storie infinite. Bisogna saper mettere un punto. La certezza è una risorsa non meno preziosa di altre per la competitività. La vicenda delle riforma previdenziale - ineluttabile - è lo specchio di come le cose si potrebbero fare meglio. 23 Abbiamo le nostre riserve. Manca l’avvio di una riduzione del cuneo contributivo e le compensazioni a favore delle imprese, a fronte del venir meno del TFR, sono allo stato un impegno nebuloso. Non siamo nostalgici della vecchia concertazione, che ha avuto meriti e limiti. I limiti erano legati a un metodo che non favoriva una partecipazione operosa di tutti i settori e le tipologie imprenditoriali. Il rimedio non è quello di farne a meno e neppure di convocare qualche ora l’anno, insieme, 36 organizzazioni eterogenee. Noi proponiamo al Governo di adoperarsi per favorire una nuova concertazione ( o dialogo sociale), articolata in modo da consentire che nelle intese generali confluiscano impegni concreti e produttivi maturati in percorsi settoriali. Le sfide della ripresa economica, della politica dei redditi, dell’occupazione e dell’emersione del lavoro nero, del welfare, si vincono se gli obiettivi sono condivisi e mobilitanti. Ricordiamo al Governo – che già in più occasioni si è impegnato ad istituirlo – l’utilità di un Tavolo politico permanente della cooperazione. 24 13. Vorremmo non fosse attuale l’affermazione di Clemenceau: “non potendo cambiare gli uomini, si cambiano senza tregua le istituzioni”. Ci attendiamo che esse si avvicinino alla società, che siano efficienti, che abbiano un costo sostenibile, che sia preservata l’unità della Repubblica anche come fattore di sviluppo dell’economia nazionale. Alle esigenze e alla sensibilità dei cooperatori è consona la logica di un forte decentramento istituzionale. Anzi le cooperative avvertono che il fondamento della nostra architettura istituzionale sta nei Comuni e nelle Province prima ancora che nelle Regioni. Vorremmo che invece di un federalismo ideologico si costruisse un federalismo realistico e funzionante. Eppure c’è qualcosa che ci sfugge. Per quante riforme di decentramento si siano fatte negli ultimi anni, lo Stato pare non si svuoti. Se mi permettete un’immagine frivola, è come la borsa di Mary Poppins: per quanti poteri se ne estraggano, continuano a restarne dentro tanti. 25 Va prevenuto l’ulteriore moltiplicarsi di conflitti di competenza tra Stato e Regioni. Va scongiurato il pericolo di forti dislivelli nelle prestazioni essenziali per i bisogni dei cittadini, affinché non si accumuli una imprevedibile conflittualità sociale. I tempi e i modi del federalismo fiscale rimangono ancora oscuri. Bisognerebbe portare al centro del dibattito i costi – e perché non anche i risparmi! – del riordino federalista. Nel frattempo nel 2003 le entrate locali sono cresciute dell’8,2% e l’imposizione fiscale dello Stato è rimasta pressoché invariata. Cresce il timore che al debito pubblico dello Stato, che andiamo lentamente riducendo, si affianchi un indebitamento crescente delle Regioni e degli Enti locali. Noi siamo fautori delle riforme. Siamo anche convinti che i processi riformatori avviati vanno portati a compimento. Tuttavia in questo campo molti elementi suggeriscono una pausa di riflessione serena e approfondita, che decanti il confronto di aspetti polemici, ideologici e comunque caduchi, e consenta di prefigurare con più lucidità e unità l’architettura fondamentale della Repubblica. 26 14. Grandi e piccole decisioni si plasmano nella filiera che sale e scende dagli enti locali a Bruxelles e ad altre istituzioni internazionali. E’ del buon funzionamento complessivo di questa filiera che bisogna aver cura. Il decentramento delle istituzioni non è di per sé risolutivo. Potrebbe persino degenerare in un appesantimento burocratico. Si impone l’applicazione coerente e coraggiosa della sussidiarietà, specie di quella c.d. orizzontale tra istituzioni e società civile. Dice un proverbio popolare: “val più la pratica che la grammatica”. Il riconoscimento costituzionale della sussidiarietà sistema la grammatica, ma nella pratica di sussidiarietà se ne vede poca in giro, sia negli Enti locali guidati dal centro-destra, sia in quelli guidati dal centro-sinistra. La sussidiarietà non è liberista e non è statalista, dunque è difficile. 15. Amici delegati, i dirigenti eletti il 15 marzo del 2000 vi presentano oggi un’associazione vitale, in crescita, che ha attraversato con successo prove difficili, per assicurare una prospettiva alle cooperative italiane. 27 L’aver saputo superare passaggi difficili lo dobbiamo alla tempestività di elaborazione di strategie e di proposte, alla ricerca costante di dialogo, alla storia dell’associazione, alla sua libertà, autonomia e unità, alla attualità dei nostri valori, alla oggettiva validità delle cooperative che rappresentiamo. Le 102 assemblee territoriali, che hanno preceduto e preparato questa Assemblea, con i 13.000 delegati, segnano un incremento ulteriore della partecipazione. All’inizio della sessione pomeridiana integrerò la relazione con un rapporto organizzativo. 16. Le cooperative, in Italia, sono leader in alcuni comparti. Sono la struttura portante in alcuni settori. Sono pioniere in altre. Nel complesso sono una porzione minoritaria, ma consistente dell’economia italiana, di cui rappresentano circa il 7% del PIL e dell’occupazione privata. Le cooperative testimoniano che è possibile fare imprese competitive con finalità mutualistiche e solidaristiche. Le cooperative dimostrano che è possibile fare imprese competitive rette da una rigorosa regola democratica, in cui non si 28 conta per quote di capitale, ma si cresce per la capacità di generare fiducia. Le cooperative provano che è possibile fare impresa competitiva in coerenza a valori – che per noi sono quelli alimentati dall’insegnamento sociale della Chiesa – a partire dalla centralità delle persone nell’agire economico. Dunque, rappresentiamo non solo le cooperative concretamente operanti, ma grazie ad esse anche una possibilità in più, per molti una speranza in più, una prospettiva che non si impone a nessuno, ma è aperta a tutti, e va nel segno di arricchire e vitalizzare libertà e democrazia economica. E’ questa, amici delegati, la misura della nostra responsabilità. Ad essa dovremo rapportare le decisioni che concluderanno questa Assemblea.