1. A voi, amici delegati delle cooperative aderenti, il benvenuto più

Transcript

1. A voi, amici delegati delle cooperative aderenti, il benvenuto più
1.
A voi, amici delegati delle cooperative aderenti, il benvenuto più
cordiale alla XXX assise di Confcooperative.
Anche a nome vostro ringrazio le Autorità e i signori invitati. La loro
partecipazione ci onora.
L’Assemblea odierna coincide con la fine di
un periodo
straordinario e irripetibile per le cooperative italiane.
Sono stati anni accelerati, e non soltanto per le vicende
cooperative.
Resta un ordinamento cooperativo profondamente rinnovato.
Il movimento cooperativo ne esce emancipato da quei trattamenti
peculiari, spesso impropriamente chiamati agevolazioni e che
invece bilanciavano vincoli e divieti operativi.
Ne esce più consapevole che la diversità cooperativa deve imporre
vincoli, divieti e limitazioni operative.
Davanti alle cooperative si apre un futuro di sviluppo possibile,
impegnativo e carico di sfide.
Saranno
vincenti
le
cooperative
che
intensificheranno
la
partecipazione dei soci, affineranno la governance, impegneranno i
soci nella capitalizzazione.
Saranno vincenti le cooperative proiettate all’integrazione e
animate da visioni innovative.
2
Sono
cresciute
le
attese
delle
cooperative
e
le
nostre
responsabilità verso di esse, che vogliamo assolvere con
determinazione rinnovata.
E’ cresciuto pure il ruolo di Confcooperative. Lo abbiamo esercitato
nell’interesse delle cooperative che rappresentiamo, alle quali va la
nostra lealtà senza compromessi, anche a beneficio di tutta la
cooperazione.
La cooperazione italiana ha bisogno di unità.
Confcooperative è pronta ad aprire una nuova fase unitaria nel
movimento cooperativo, a partire dal rafforzamento del rapporto di
collaborazione con Legacoop.
2.
In
pochi
anni
si
è
compiuta
una
rivoluzione
profonda
dell’ordinamento cooperativo.
Le premesse non erano favorevoli. Le avvisaglie erano state
minacciose.
Abbiamo temuto un pesante ridimensionamento della realtà
cooperativa edificata in una storia ultrasecolare.
Ci siamo impegnati in un confronto allo scoperto. Abbiamo
sostenuto il buon diritto della cooperazione ad essere riconosciuta,
3
rispettata e valorizzata come un bene di tutto il Paese e non di una
parte.
Abbiamo trovato e ritrovato nuove e vecchie amicizie politiche e
sociali, sensibili alla cooperazione autentica.
Si è allargato il partito della cooperazione.
Le riforme emanate non sono quelle dei nostri sogni. Non sono
quelle che noi avremmo scritto.
Abbiamo conquistato un punto di equilibrio realisticamente
accettabile.
E’ un impianto legislativo severo, con un forte richiamo alla
autenticità della missione mutualistica, ma che non pregiudica
presente e futuro delle società cooperative.
Ne diamo atto a quanti hanno sostenuto le nostre ragioni e anche
a quanti hanno saputo modificare onestamente le posizioni di
partenza, a fronte di dati oggettivi e di argomenti fondati.
Non sottovalutiamo il fatto che alcune vicende, dopo passaggi
conflittuali, si siano concluse con soluzioni bipartisan nei pareri
parlamentari sui decreti legislativi.
L’esito delle riforme – in particolare del diritto societario – segna
una svolta.
4
L’esplicita conferma dell’essere, le cooperative, imprese finalizzate
a soddisfare esigenze dei soci – economiche e sociali – diverse da
quella dei guadagni di capitale, mette fine alle spinte di
omologazione
forzata
alle
società
lucrative,
che
avevano
perseguitato la cooperazione negli anni precedenti.
Il legislatore ha richiamato le cooperative alla missione mutualistica
e simultaneamente le ha dotate di maggiori strumenti di
capitalizzazione.
Cade così l’artificiosa antitesi fra mutualità e sviluppo, a lungo
utilizzata
per
imprigionare
le
cooperative
in
un
dilemma
impossibile.
Si voleva che le cooperative, affinché fosse riconosciuta la loro
virtù, rinunciassero a crescere.
Il nuovo ordinamento riconcilia mutualità e sviluppo.
3.
Durante questa fase travagliata, affollata di incertezze talora
angosciose,
le
cooperative
non
sono
rimaste
paralizzate
dall’attesa.
Hanno incrementato il capitale sottoscritto dai soci cooperatori e
hanno creato occupazione.
5
A fine 2003, il fatturato annuo delle nostre cooperative associate,
senza contare altre società di sistema e al netto delle attività delle
BCC, sfiora i 40 miliardi di Euro (+ 21,9% nel quadriennio). Gli
occupati sono 391.000 (+ 34% nel quadriennio).
La crescita del capitale sociale (+ 27,1%) e del patrimonio netto
(+21,4%) denota un importante rafforzamento aziendale.
L’andamento è stato più vivace nel periodo 2000-2001, mentre nel
biennio appena trascorso la perdurante stasi dell’economia ha
causato un lieve rallentamento.
Le BCC hanno una raccolta diretta che supera gli 82 miliardi di €,
con una crescita superiore al resto del sistema e una quota di
mercato dell’8%.
Questa condotta, che abbiamo concorso a promuovere, non ci ha
sorpreso, ma ha superato le aspettative.
E’ stato preservato e aumentato un capitale di fiducia.
Fiducia, innanzitutto, nella validità del modello cooperativo; fiducia
nella capacità della classe politica e delle istituzioni di pervenire a
soluzioni costruttive sulla riforma cooperativa; fiducia anche
nell’azione di Confcooperative, cui queste cooperative avevano
affidato la rappresentanza dei loro interessi e delle loro prospettive.
Si chiude un capitolo e se ne apre un altro.
6
4.
Entriamo nel terzo tempo della cooperazione moderna.
Nel secondo dopoguerra un primo ciclo storico – un primo tempo –
si legò a valori collegati a dimensioni ideologiche molto forti (e non
solo e non tanto nel movimento cooperativo).
Era il tempo di una preminente identità sociale, nel quale le
cooperative
diedero
un
contributo
prezioso,
ancora
non
pienamente valutato, alla crescita del Paese e alla soddisfazione di
bisogni fondamentali (un solo esempio: la casa in proprietà).
Un
secondo
ciclo
storico
è
segnato
dall’affermarsi
della
dimensione di impresa e talora dal suo prevalere su quella
valoriale.
Le cooperative hanno accettato la sfida di cimentarsi sul mercato
come imprese tra imprese; si sono adattate alla completa
scomparsa di alcuni sostegni assistenziali, dovuti e utili nell’epoca
precedente, peraltro spesso sopravvalutati.
Di
quei
sostegni
le
cooperative
sono
state,
nel
tempo,
progressivamente e implacabilmente spogliate.
Le cooperative che si sono affacciate al nuovo secolo sono quelle
che hanno vissuto e superato questa fase.
7
Nel passaggio a un nuovo stadio evolutivo la cooperazione ha
rafforzato la sua presenza nell’economia, ha generato tipologie
innovative come quella delle cooperative sociali, ha intrapreso le
vie dell’integrazione o dell’adeguamento dimensionale.
E’ cresciuta nell’arena dell’economia reale.
Ha trovato precluse le opportunità – e le tentazioni – di una
finanziarizzazione spinta.
Una limitazione che oggi – a paragone con altre vicende – può
apparirci benefica.
La cooperazione ha mantenuto il suo radicamento territoriale. Un
radicamento che è un grande fattore di differenziazione, perché le
cooperative incorporano nel loro agire potenzialità ma anche limiti,
risorse ma anche ritardi, delle aree in cui operano.
E’ un radicamento che preclude alle cooperative manovre di
delocalizzazione praticate da altre imprese.
I valori originari di solidarietà e mutualità si sono scontrati con
situazioni imprevedibili per i padri fondatori.
Qualcuno si è purtroppo rassegnato a considerare quei valori solo
come un ricordo o un orpello. Ma siamo in un campo nel quale le
scorciatoie si rivelano strade senza uscita.
8
Nelle cooperative il successo imprenditoriale e la coerenza ai
principi cooperativi vanno in coppia.
E allora il terzo tempo è una nuova sintesi tra anima solidaristica e
prestazioni di mercato, fra mutualità e competitività, tra funzione
sociale e produzione di ricchezza.
Nella cooperativa efficienza e solidarietà sono inscindibili: insieme
sussistono o insieme cadono.
E’ il tempo dell’elaborazione di un nuovo modello valoriale, che
non può essere il lifting di quello antico.
Al di là dei luoghi comuni e della retorica; al di là dei caratteri fissati
dalla legge e che possono andare e venire per volontà del
legislatore; al di là dei principi cooperativi codificati dalle origini,
dobbiamo cogliere meglio ciò che rende ugualmente cooperatori
robusti imprenditori e lavoratori, persone professionalmente e
socialmente forti e persone svantaggiate, imprese grandi e
internazionalizzate e imprese che strappano la sopravvivenza coi
denti in attività povere e ad alta intensità di lavoro, banche
cooperative e cooperative sociali, cooperative di abitazione e
cooperative agroindustriali, cooperative del tempo libero e culturali
e cooperative industriali e dei servizi o della pesca.
Il terzo tempo, nel quale ci troviamo, non è codificato in dogmi.
9
E’ un nuovo orizzonte di elaborazione e realizzazioni, un impegno
di fedeltà e innovazione.
Nel momento in cui si diffonde – sino all’abuso – l’applicazione del
termine ‘sociale’, avvertiamo la responsabilità di proiettare
nell’opinione pubblica il significato della cooperazione in modo
forte e riconoscibile.
5.
Secondo gli impegni di Lisbona, l’Europa dovrebbe diventare nel
2010 la regione più competitiva e dinamica del mondo.
L’Europa, e particolarmente l’Italia, deve, allora ritrovare la strada
di una crescita più intensa, che sia anche autopropulsiva; che sia
durevole; che sia vigorosa ed estesa e tale da sostenere
virtuosamente l’integrazione delle economie dell’allargamento; che
sia accompagnata dall’iniziativa politica sui tempi e le regole della
globalizzazione.
E’ un danno per tutti che la creazione dell’Euro – una grande
impresa senza precedenti nella storia delle relazioni tra stati in
tempi di pace– si associ a fenomeni negativi.
Stupisce che la Banca Centrale Europea si ostini a non perseguire
un equilibrio del cambio con il dollaro più favorevole alla
competitività e alla crescita.
10
La coesione economica dell’Europa non si può costruire solo
contro il debito pubblico, contro l’inflazione, contro il deficit di
bilancio, contro gli aiuti di Stato.
Le regole di stabilità siano argini per l’economia, ma non dighe.
Realizzata la moneta unica è ora che, nel binomio stabilità e
sviluppo, l’accento si sposti con forza e convinzione sul secondo
termine.
Dacché politiche economiche nazionali sovrane non sono più
possibili sarebbe gravido di pericoli rimanere sospesi a lungo tra
ciò che non c’è più e ciò che non c’è ancora.
E’ convinta la scelta europea del movimento cooperativo. Un
domani migliore dell’Italia ci sarà solo in un’Unione europea più
integrata e più forte.
6.
Il peso del debito pubblico acuisce le difficoltà del Paese di fronte
ai problemi comuni. Sono problemi formatisi in tempi lunghi e che
richiedono tempi lunghi per le soluzioni.
In Italia dobbiamo accrescere la competitività, accettando senza
nostalgie la sfida del mercato globale.
11
In questo contesto, la grande responsabilità (e il grande contributo)
della politica è la costruzione di un sistema di regole e controlli
internazionali più incisivi.
Meno confini, muri e dogane avrà il mondo e meglio vivrà
l’umanità.
Meno barriere non significa, però, la rassegnata accettazione di un
mercato planetario ingovernabile.
Che grandi paesi in via di sviluppo abbiano finalmente imboccato
la strada della industrializzazione e di una crescita economica
moderna è un successo di chi crede nella libertà e nel mercato.
E’ la premessa per relazioni internazionali più serene e stabili, è
una promessa di pace, è una condizione per combattere più
efficacemente il terrorismo, che, nei giorni scorsi, si è atrocemente
riproposto.
E’ la strada per combattere strutturalmente i mali della fame, della
schiavitù, delle guerre civili endemiche.
La liberalizzazione degli scambi va legata, però, a impegni certi e
verificabili, previsti da accordi generali, sui diritti del lavoro, sulla
tutela della salute e sulla sostenibilità ambientale e contro le
contraffazioni e le furbizie commerciali più dilaganti.
12
La nostra competizione deve essere, comunque, rivolta in avanti,
deve essere indirizzata a sviluppare industrie e tecnologie elevate,
produzioni di eccellenza, servizi concorrenziali.
Le stesse forze imprenditoriali sono chiamate ad armonizzare
maggiormente le loro strategie agli obiettivi generali del Paese, a
fare sistema tra loro, a dare un’interpretazione più alta e generosa
della loro responsabilità, in una nuova stagione di più strette
alleanze e collaborazioni.
Di fronte alla dura competizione mondiale, non possiamo
comportarci come Don Abbondio che, bel bello, tornando dalla sua
passeggiata e vedendo “una cosa che non avrebbe voluto vedere”,
mise due dita nel collare per girare la faccia indietro e scrutare se
arrivava qualcuno.
Ma non vide nessuno.
Di fronte alle nostre responsabilità – di competere al meglio – non
c’è nessun altro che ci salvi: ci siamo noi e la nostra volontà.
Le condizioni di contesto da migliorare per bloccare la perdurante
perdita di competitività sono individuate con un largo consenso.
Ci
sono
gli
elementi
dell’inefficienza
della
pubblica
amministrazione, del costo dell’energia e di servizi di cui le imprese
13
abbisognano, dell’ulteriore impulso occorrente alla crescita del
Mezzogiorno, di una dotazione infrastrutturale datata.
Le grandi (o piccole) infrastrutture sono necessarie: non possono
diventare utili o inutili a seconda dei governi che le propongono.
Sono il segno di un Paese che avanza e che lavora per le
generazioni future.
Le imprese (e tra esse le imprese cooperative) dal canto loro
devono investire di più nella ricerca, nella produzione di
innovazioni e di brevetti, nell’internazionalizzazione, nella qualità.
L’intervento pubblico per l’Università e la ricerca può essere
propulsivo dello sviluppo, senza incorrere in divieti comunitari,
fornendo al sistema delle imprese superiorità tecnologica.
L’accrescimento dei livelli di competitività è anche connesso
all’incisività delle riforme. Per la classe politica fare riforme utili è
come per l’imprenditore fare innovazione.
La portata innovatrice complessiva delle riforme del mercato del
lavoro, del diritto societario e della scuola, fa premio su aspetti
meno convincenti.
Della riforma fiscale ci manca la conoscenza di quando e quanto
diminuirà la pressione fiscale e quando avverrà il superamento
dell’Irap, un’imposta che riteniamo iniqua.
14
Le imprese attendono la fine dell’interminabile dibattito sulla
giustizia.
La lunghezza dei processi civili (quasi il doppio rispetto la media
europea) è uno scandalo intollerabile per uno Stato moderno e per
un Paese che chiede di incrementare la competitività del sistema.
7.
Per una prospettiva vincente di avanzamento tecnologico, di
evoluzione organizzativa, di affinamento competitivo dell’impresa è
inefficace un sistema di incentivi con troppi automatismi.
Si scivola, così, in una versione moderna di quelli che un tempo si
chiamavano interventi a pioggia.
Da anni denunciamo i limiti delle politiche tradizionali per le piccole
e medie imprese. Le conclusioni della recente indagine conoscitiva
del Parlamento sul sistema industriale italiano ha acquisito queste
valutazioni alla cultura politica del Paese.
La grande risorsa italiana – la ricchezza di una imprenditoria
diffusa e flessibile composta da milioni di imprenditori – degenera
in un limite se le piccole imprese sono incentivate a rimanere tali o,
ancor peggio, ostacolate nella crescita.
Così il nostro sistema imprenditoriale rimane diffusamente affetto
da un nanismo, inconciliabile con l’apertura dei mercati.
15
Ci sono settori e mercati in cui la piccola dimensione è congrua,
specie se sostenuta da contesti di distretti e da forme di
integrazione, tra le quali andrebbe maggiormente promossa quella
eccellente della cooperazione.
Crescono tuttavia i settori e i mercati che esigono la grande
impresa, o almeno una robusta classe di medie imprese.
Da foresta di bonsai, le PMI devono trasformarsi in un vivaio di
crescita.
L’obiettivo della crescita si impone anche per le cooperative.
Per esse inoltre è necessario promuovere incisivamente i processi
di integrazione tra le cooperative, nella forma consortile o con altre
soluzioni organizzative.
L’integrazione è un fattore decisivo di stabilità e redditività delle
cooperative, in grado di sostenere anche una vivace proiezione
internazionale.
L’affermazione di Cesare che sarebbe stato preferibile essere il
primo in un villaggio della Gallia piuttosto che secondo a Roma è –
oggi – un’alternativa improponibile: arroccarsi nel villaggio è
un’illusione senza dignità e senza futuro.
Se qualche anno addietro, lungimiranti cooperatori dei settori
ortofrutticolo e lattiero-caseario non avessero compiuto robuste
16
concentrazioni e integrazioni, la cooperazione non sarebbe oggi in
grado di difendere i produttori, i prodotti, il made in Italy, anche
subentrando nel mercato alle crisi di imprese lucrative.
Ci sono settori cooperativi e vaste aree territoriali, fra le quali il
Mezzogiorno, in cui l’integrazione è in ritardo .
8.
E’ ancora irrisolta la questione di una capitalizzazione adeguata
delle imprese italiane.
Persistono difficoltà note nella formazione del capitale di rischio. Le
banche sono impegnate nell’offerta di credito, ma non hanno
costruito intermediari finanziari vocati a intervenire direttamente nel
capitale di rischio.
Questa situazione poco propizia alla crescita delle imprese, è
aggravata dal costo elevato dei servizi finanziari e potrebbe
peggiorare ancora con l’applicazione degli accordi di Basilea II.
E’ necessario il perfezionamento delle norme recenti sulla garanzia
collettiva fidi.
Per
le
imprese
cooperative
l’obiettivo
di
accelerare
la
capitalizzazione si presenta più difficile per le minori risorse di cui
dispongono i cooperatori e per gli stessi vincoli normativi.
17
Ci sono settori nei quali per decenni hanno operato con successo
cooperative dotate solo delle menti e delle braccia dei loro soci.
Non è più possibile.
Occorre sostenere lo sforzo per creare una finanza di sistema
sostenendo con capitale di rischio - anche pubblico - l’istituzione di
fondi di investimento dedicati.
Altrimenti i nuovi strumenti finanziari - che la riforma del diritto
societario ha reso accessibili per le cooperative - rimarrebbero
sulla carta.
9.
Abbiamo bisogno di accrescere ulteriormente la qualificazione
delle risorse umane, con gli investimenti idonei in formazione.
Nelle cooperative in particolare occorre formazione gestionale e
imprenditoriale per i milioni di cooperatori, tutti corresponsabili
nelle assemblee a decidere le strategie delle loro imprese, tutti
potenzialmente eleggibili a guidare le loro imprese.
Per quanto riguarda Confcooperative ne abbiamo bisogno per i
2.800.000 cooperatori e per gli oltre 100.000 amministratori
impegnati alla guida delle cooperative.
Gli imprenditori cooperativi non partono dalle fondamenta di un
patrimonio ereditato. Quasi sempre vengono da una dura gavetta.
18
Hanno storie esemplari di donne e uomini che si sono fatti da sé,
che hanno raggiunto il successo imprenditoriale coinvolgendo altri,
condividendo con altri fatiche e successi, sottoponendosi al
giudizio dei propri pari in imprese nelle quali il voto dei fondatori
vale come quello degli ultimi arrivati.
Le riforme recenti hanno reso la società cooperativa più dinamica,
più complessa e potenzialmente più competitiva. Dunque i suoi
amministratori sono sfidati a crescere in bravura.
E
bravi e che capiscano di cooperazione devono essere i
manager delle cooperative.
10. Insistiamo sulla necessità che il mercato abbia regole giuste e
giustamente
applicate,
che
la
democrazia
economica
sia
salvaguardata per utilizzare le energie di tutti a vantaggio di tutti.
Senza regole prevalgono logiche di dominio, di inganno, di
sopraffazione, che sono l’opposto del mercato.
Le regole non sono giuste quando – come in alcuni passaggi delle
alterne vicende normative riguardanti Consip – fissano barriere
elevate, e così sanciscono situazioni oligopolistiche e confinano le
imprese minori nella prospettiva senza crescita del subappalto.
19
Le regole non sono giustamente applicate quando continuano a
imperare gare al massimo ribasso nell’affidamento dei servizi –
soprattutto alle persone – con le quali l’ente pubblico che le
bandisce viola le leggi o promuove di fatto l’illegalità e lo
sfruttamento.
Le regole non sono giustamente applicate quando si formulano
criteri e punteggi a misura di una sola tipologia di impresa.
Le regole non sono giuste se l’antitrust è severo con le cooperative
e indulgente con altri.
Le regole non sarebbero giuste se gli accordi di Basilea II – anche
dopo il tempestivo intervento del Governo – producessero effetti
restrittivi per le PMI italiane.
E infine le regole non sarebbero giuste se i nuovi principi contabili
internazionali (e in particolare la clausola IAS 32)fossero introdotti
senza modificare la rappresentazione distorta e penalizzante del
capitale sociale delle cooperative.
Se in natura bisogna preservare l’ecosistema evitando l’estinzione
delle
specie,
compromettere
così
nel
comparti
mercato
e
scelte
tipologie
emarginazione impoverirebbe tutti.
sbagliate
imprenditoriali,
possono
la
cui
20
La democrazia economica va non solo rispettata, ma fatta crescere
attivamente in modo che si moltiplichino gli imprenditori e le specie
imprenditoriali con le proprie caratteristiche e vocazioni.
11. La democrazia funziona se ciascuno – ciascuna istituzione, ma
anche ciascun soggetto politico e sociale – fa il suo mestiere, cioè
esercita la sua responsabilità senza omissioni e senza invasioni di
campo.
Ci sono questioni sulle quali i veri attori del confronto, e i veri autori
delle decisioni, sono le forze politiche nell’ambito delle istituzioni.
In altre questioni la politica non può prescindere dalle proposte
delle parti sociali e deve rispettarne il ruolo.
E’ già in corso, di fatto, la campagna elettorale per il Parlamento
europeo. Si apre il triennio delle competizioni elettorali.
La frequenza dei turni elettorali – tutti interpretati come referendum
popolari sull’assenso al governo o all’opposizione – non aiuta il
sistema Paese.
La legislatura è a tre quinti del suo percorso.
E’ stata assicurata la stabilità dell’esecutivo.
La stabilità tuttavia non è fine a se stessa. Dovrebbe essere
accompagnata da serenità costruttiva.
21
Se deve esservi bipolarismo, non può essere infantile.
Deve organizzarsi su coalizioni politiche più dense e meno
eterogenee, più programmatiche e meno attratte da ossessioni
polemiche.
E, poi, un sistema politico bipolare deve maturare una capacità di
confronto – tra maggioranza e opposizione – più rispettoso e
costruttivo, più propizio al raggiungimento di scelte concordi nella
politica internazionale, nelle riforme istituzionali, nelle regole
fondamentali dell’economia e del risparmio.
Talvolta la nostra scena politica somiglia a quei campi di battaglia,
nei quali fumo, polvere e frastuono impediscono agli stessi
protagonisti di vedere e di operare lucidamente e in primo luogo tra
le truppe alleate.
E’ nell’interesse della politica – della dignità e dell’efficacia del suo
ruolo – elevare la qualità e la concretezza del confronto.
L’impegno al dialogo sincero e intenso non è segno di debolezza,
al contrario è arte del buon governo.
12. La fortuna di un Paese non sta solo nei beni di cui dispone, ma
nella coesione tra le sue parti.
22
La prima e indispensabile condizione dello sviluppo è la coesione
sociale e con essa un clima di serenità e di fiducia.
Presupposto
della
coesione
ingessature
ideologiche,
di
sociale
è
resistenze
però
l’assenza
corporative
e
di
di
giustizialismo.
Talune contrapposizioni, come quella che si è consumata sull’art.
18 dello Statuto dei lavoratori, sono inutili.
I sacrifici indispensabili devono essere condivisi dalla società,
attraverso intese responsabili delle forze sociali ed economiche del
Paese.
Una larga parte del sindacato dei lavoratori ha dato ripetute prove
di un costruttivo senso di responsabilità nei passaggi incerti e
difficili del contesto economico e sociale.
Non comprendiamo però l’utilità dello sciopero indetto per la
prossima settimana.
Le riforme non possono essere storie infinite. Bisogna saper
mettere un punto. La certezza è una risorsa non meno preziosa di
altre per la competitività.
La vicenda delle riforma previdenziale - ineluttabile - è lo specchio
di come le cose si potrebbero fare meglio.
23
Abbiamo le nostre riserve. Manca l’avvio di una riduzione del
cuneo contributivo e le compensazioni a favore delle imprese, a
fronte del venir meno del TFR, sono allo stato un impegno
nebuloso.
Non siamo nostalgici della vecchia concertazione, che ha avuto
meriti e limiti.
I limiti erano legati a un metodo che non favoriva una
partecipazione operosa di tutti i settori e le tipologie imprenditoriali.
Il rimedio non è quello di farne a meno e neppure di convocare
qualche ora l’anno, insieme, 36 organizzazioni eterogenee.
Noi proponiamo al Governo di adoperarsi per favorire una nuova
concertazione ( o dialogo sociale), articolata in modo da consentire
che nelle intese generali confluiscano impegni concreti e produttivi
maturati in percorsi settoriali.
Le sfide della ripresa economica, della politica dei redditi,
dell’occupazione e dell’emersione del lavoro nero, del welfare, si
vincono se gli obiettivi sono condivisi e mobilitanti.
Ricordiamo al Governo – che già in più occasioni si è impegnato
ad istituirlo – l’utilità di un Tavolo politico permanente della
cooperazione.
24
13. Vorremmo non fosse attuale l’affermazione di Clemenceau: “non
potendo cambiare gli uomini, si cambiano senza tregua le
istituzioni”.
Ci attendiamo che esse si avvicinino alla società, che siano
efficienti, che abbiano un costo sostenibile, che sia preservata
l’unità
della
Repubblica
anche
come
fattore
di
sviluppo
dell’economia nazionale.
Alle esigenze e alla sensibilità dei cooperatori è consona la logica
di un forte decentramento istituzionale.
Anzi le cooperative avvertono che il fondamento della nostra
architettura istituzionale sta nei Comuni e nelle Province prima
ancora che nelle Regioni.
Vorremmo che invece di un federalismo ideologico si costruisse un
federalismo realistico e funzionante.
Eppure c’è qualcosa che ci sfugge. Per quante riforme di
decentramento si siano fatte negli ultimi anni, lo Stato pare non si
svuoti.
Se mi permettete un’immagine frivola, è come la borsa di Mary
Poppins: per quanti poteri se ne estraggano, continuano a restarne
dentro tanti.
25
Va prevenuto l’ulteriore moltiplicarsi di conflitti di competenza tra
Stato e Regioni.
Va scongiurato il pericolo di forti dislivelli nelle prestazioni
essenziali per i bisogni dei cittadini, affinché non si accumuli una
imprevedibile conflittualità sociale.
I tempi e i modi del federalismo fiscale rimangono ancora oscuri.
Bisognerebbe portare al centro del dibattito i costi – e perché non
anche i risparmi! – del riordino federalista.
Nel frattempo nel 2003 le entrate locali sono cresciute dell’8,2% e
l’imposizione fiscale dello Stato è rimasta pressoché invariata.
Cresce il timore che al debito pubblico dello Stato, che andiamo
lentamente riducendo, si affianchi un indebitamento crescente
delle Regioni e degli Enti locali.
Noi siamo fautori delle riforme. Siamo anche convinti che i processi
riformatori avviati vanno portati a compimento.
Tuttavia in questo campo molti elementi suggeriscono una pausa
di riflessione serena e approfondita, che decanti il confronto di
aspetti polemici, ideologici e comunque caduchi, e consenta di
prefigurare con più lucidità e unità l’architettura fondamentale della
Repubblica.
26
14. Grandi e piccole decisioni si plasmano nella filiera che sale e
scende dagli enti locali a Bruxelles e ad altre istituzioni
internazionali.
E’ del buon funzionamento complessivo di questa filiera che
bisogna aver cura.
Il decentramento delle istituzioni non è di per sé risolutivo.
Potrebbe persino degenerare in un appesantimento burocratico.
Si impone l’applicazione coerente e coraggiosa della sussidiarietà,
specie di quella c.d. orizzontale tra istituzioni e società civile.
Dice un proverbio popolare: “val più la pratica che la grammatica”.
Il riconoscimento costituzionale della sussidiarietà sistema la
grammatica, ma nella pratica di sussidiarietà se ne vede poca in
giro, sia negli Enti locali guidati dal centro-destra, sia in quelli
guidati dal centro-sinistra.
La sussidiarietà non è liberista e non è statalista, dunque è difficile.
15. Amici delegati,
i dirigenti eletti il 15 marzo del 2000 vi presentano oggi
un’associazione vitale, in crescita, che ha attraversato con
successo prove difficili, per assicurare una prospettiva alle
cooperative italiane.
27
L’aver saputo superare passaggi difficili lo dobbiamo alla
tempestività di elaborazione di strategie e di proposte, alla ricerca
costante di dialogo, alla storia dell’associazione, alla sua libertà,
autonomia e unità, alla attualità dei nostri valori, alla oggettiva
validità delle cooperative che rappresentiamo.
Le 102 assemblee territoriali, che hanno preceduto e preparato
questa Assemblea, con i 13.000 delegati, segnano un incremento
ulteriore della partecipazione.
All’inizio della sessione pomeridiana integrerò la relazione con un
rapporto organizzativo.
16. Le cooperative, in Italia, sono leader in alcuni comparti. Sono la
struttura portante in alcuni settori. Sono pioniere in altre.
Nel complesso sono una porzione minoritaria, ma consistente
dell’economia italiana, di cui rappresentano circa il 7% del PIL e
dell’occupazione privata.
Le cooperative testimoniano che è possibile fare imprese
competitive con finalità mutualistiche e solidaristiche.
Le
cooperative
dimostrano
che
è
possibile
fare
imprese
competitive rette da una rigorosa regola democratica, in cui non si
28
conta per quote di capitale, ma si cresce per la capacità di
generare fiducia.
Le cooperative provano che è possibile fare impresa competitiva in
coerenza
a valori
– che per
noi
sono
quelli
alimentati
dall’insegnamento sociale della Chiesa – a partire dalla centralità
delle persone nell’agire economico.
Dunque, rappresentiamo non solo le cooperative concretamente
operanti, ma grazie ad esse anche una possibilità in più, per molti
una speranza in più, una prospettiva che non si impone a nessuno,
ma è aperta a tutti, e va nel segno di arricchire e vitalizzare libertà
e democrazia economica.
E’ questa, amici delegati, la misura della nostra responsabilità.
Ad essa dovremo rapportare le decisioni che concluderanno
questa Assemblea.