VERSO UNA REPUBBLICA PRESIDENZIALE?

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VERSO UNA REPUBBLICA PRESIDENZIALE?
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VERSO UNA REPUBBLICA PRESIDENZIALE?
Paolo Feltrin
Università di Trieste, politologo
Aldo Cristadoro
Tolomeo Studi e Ricerche srl, Direttore Dipartimento Politico Elettorale
N
egli ultimi anni partiti e sindacati, media e opinionisti hanno presentato richieste o fatto proposte di
cambiamento della architettura istituzionale del Paese. Le riforme sono ormai un totem, la panacea dei mali del
sistema italiano, quasi che i problemi del
Paese potessero essere improvvisamente risolti da un cambiamento della carta
costituzionale.
Gli eventi politici dell’ultimo biennio
hanno di fatto contribuito ad aumentare
la diffusione di quest’idea. La nascita del
governo Monti prima e l’impasse istituzionale post elezioni di febbraio poi hanno evidenziato con forza due elementi:
La critica al sistema elettorale vigente (e
al suo funzionamento al Senato);
Il ruolo politico importante assunto dal
Presidente della Repubblica.
Se sul primo punto ci siamo già espressi nei numeri precedenti, in questa sede
vogliamo concentrarci sul secondo allargando però lo sguardo al funzionamento del sistema politico nel suo complesso.
Il ruolo del Presidente della Repubblica
Per inquadrare meglio il ruolo del Presidente della Repubblica nel nostro sistema è necessario rifarsi alla Costituzione. Il titolo II, infatti, da una parte
descrive i suoi poteri (capo dello stato
e rappresentante dell’unità nazionale,
comandante delle forze armate e presidente del Consiglio superiore della
magistratura, etc.), dall’altra regola i
rapporti con il Parlamento. Negli ultimi
15 anni la più alta carica dello stato ha
rafforzato il suo potere, assumendo anche un ruolo simbolico di riferimento di
uomo super partes e garante della Costituzione. Secondo alcuni gli eventi che
hanno portato alla caduta di Berlusconi
e alla sua rielezione sembrano aver dato
a Napolitano un ruolo di primo attore,
perno ineludibile della vita politica che
va oltre ai dettami costituzionali. Il tema
è molto interessante e merita di essere
approfondito, ma in questa sede non
ci interessa stabilire se questa ipotesi
sia vera o meno oppure se il ruolo as-
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sunto sia positivo o negativo. Vogliamo
piuttosto concentrarci sul dibattito sulle
riforme che questo cambiamento ha ingenerato. In molti infatti, rafforzati dagli
eventi dell’ultimo biennio, sono tornati
a proporre l’idea di una riforma costituzionale in senso presidenzialista o semi
presidenzialista.
A nostro avviso un’idea di questo tipo
è innanzitutto complicata da mettere in
pratica perché comporta una riscrittura
profonda dalla Carta costituzionale che
rischierebbe di assorbire il Parlamento
per i prossimi mesi. Bisognerebbe mettere mano fra l’altro alla riforma del sistema giudiziario, visto il ruolo del Presidente all’interno del Csm e del sistema
di difesa visto il ruolo di Capo delle
Forze Armate. Immaginando che nessuno pensi a un capo dello Stato eletto a
suffragio universale che richiami a sé il
controllo di magistratura e dell’esercito,
possiamo dire che una riforma in questa direzione comporta quantomeno un
attento lavoro di mondifica del sistema
di pesi e contrappesi che bilanciano i
poteri di tutti i sistemi democratici occidentali.
Che la materia sia articolata e che non
esista una proposta in grado di accontentare tutti è testimoniato anche dal
lavoro della commissione di 35 saggi
istituita da Napolitano. Le cronache di
luglio infatti raccontano di una commissione divisa a metà: da una parte
ci sono i sostenitori del mantenimento
del sistema parlamentare, con una razionalizzazione e un rafforzamento del
ruolo del Governo e del Presidente del
Consiglio; dall’altra ci sono quelli che
caldeggiano l’elezione diretta del Presidente della Repubblica sulla scorta del
modello francese.
La commissione dei 35 d’altronde riprende senza risolvere il dibattito evidenziato dalla relazione gruppo di
lavoro formato da Mauro, Onida, Quagliariello e Violante. Nel testo finale
infatti il gruppo descrive bene la differenza d’approccio al tema: tre membri
infatti ritengono sia preferibile il regime
parlamentare (a quello Presidenziale o
semi presidenziale) ritenendolo più coerente con il complessivo sistema costituzionale, capace di contrastare l’eccesso
di personalizzazione della politica, più
elastico rispetto alla forma di governo
semipresidenziale. Quest’ultimo, infatti,
non prevede un’istituzione responsabile
della risoluzione della crisi perché il Presidente della Repubblica è anche Capo
dell’Esecutivo. I quattro esperti aggiungono che l’esperienza italiana, specie
quella più recente, ha invece dimostrato
l’utilità di un Presidente della Repubblica che, essendo fuori dal conflitto politico, possa esercitare a pieno titolo le
preziose funzioni di garante dell’equilibrio costituzionale. Il giudizio però non
è unanime e un componente del Gruppo sostiene l’opzione semipresidenziale,
sottolineando come l’attuale grave crisi
del nostro sistema istituzionale richieda
una riforma più profonda che, proprio
grazie all’elezione diretta del Presidente, garantisca una forte legittimazione
democratica e, al contempo, un’adeguata capacità di decisione. In questa prospettiva ha fatto rilevare che, in questa
fase della vita politica, l’elezione diretta
del Presidente della Repubblica sia più
efficace nel fronteggiare la crisi di legittimazione della politica, rafforzando la
democrazia, coniugando rappresentati-
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vità ed efficienza istituzionale. Il fulcro
del ragionamento di chi sostiene il presidenzialismo è quindi che la legittimazione politica derivata dall’elezione diretta
garantisca tout court l’aumento dell’efficienza del sistema costituzionale.
A nostro avviso questa relazione di
causalità è tutto sommato debole e se
funziona bene nell’elezione dei sindaci
o dei presidenti di regione non è detto
che regga quando l’arena competitiva
diventa nazionale. Per rendere efficiente
il sistema le priorità sono altre e passano
principalmente da tre punti:
• eliminazione del bicameralismo perfetto;
• rafforzamento del ruolo del Presidente
del Consiglio;
• riforma della legge elettorale.
La fine del bicameralismo italiano
La mancanza di efficienza e tempestività delle decisioni del sistema politico
nazionale non dipende tanto da una
carenza del Governo ma del complesso sistema per cui passano mesi dalla
nascita di una legge alla sua effettiva
entrata in vigore e promulgazione sulla
Gazzetta Ufficiale. Ai tempi ‘tecnici’ poi
in Italia aggiungiamo il fardello dei tempi ‘politici’, dovuti a problemi interni al
Parlamento, legati alla tenuta delle maggioranze che si sono avvicendate come
testimoniano gli ultimi governi Prodi e
Berlusconi, ancor prima dei governi tecnici o di larghe intese.
Se i problemi di coesione politica delle
maggioranze di governo non si risolvono con le alchimie istituzionali, di
certo queste possono ridurre i tempi e
le procedure amministrative attraverso la semplificazione del procedimento
legislativo. Il superamento del bicameralismo perfetto che contraddistingue
il nostro paese è una conditio sine qua
non di questo percorso, in quanto ridurrebbe di molto la fase di lavoro interna al
Parlamento. Su questo di fatto il giudizio
è concorde e sembra condivisibile anche
la proposta di Mauro, Onida, Quagliariello e Violante che va verso un Senato
delle Regioni. La Camera dei Deputati,
eletta a suffragio universale e diretto, diverrebbe titolare dell’indirizzo politico,
con competenza esclusiva sul rapporto
fiduciario e esprimerebbe il voto definitivo sui disegni di legge. Il Senato delle
Regioni sarebbe costituito da tutti i Presidenti di Regione e da rappresentanti
delle Regioni, eletti da ciascun Consiglio Regionale in misura proporzionale
al numero degli abitanti della Regione.
Questo Senato assorbirebbe le funzioni
della Conferenza Stato Regioni e parteciperebbe al procedimento legislativo
solo nelle materie a esso competenti.
Il rafforzamento del Presidente del
Consiglio
Il rilancio dell’efficienza del sistema politico passa forse in maniera ineludibile
dal rafforzamento dei poteri del Governo e dal ruolo del Presidente del Consiglio. Detto che non esistono in Europa
paesi in cui il premier viene eletto direttamente dagli elettori, e appare quindi
difficile pensare che l’Italia possa essere
la prima a farlo, possiamo immaginare
alcuni correttivi che consentano a premier e ministri di lavorare con maggiore
efficacia.
Una prima innovazione potrebbe essere
quella di riconoscere il potere di nomina
e revoca dei ministri come avviene ad
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esempio sia in Germania che in Inghilterra. Questo consentirebbe al Primo
ministro un maggiore incisività sulle
decisioni dell’intero governo.
Un altro sistema per garantire la stabilità dell’esecutivo potrebbe essere, come
proposto da molti esperti, introdurre
il meccanismo della sfiducia costruttiva: il Presidente del Consiglio può essere sfiduciato solo con l’approvazione
a maggioranza assoluta, da parte della
Camera, di una mozione di sfiducia costruttiva, comprendente l’indicazione
del nuovo Presidente del Consiglio.
Questi due correttivi a nostro avviso
potrebbero rendere il sistema italiano
maggiormente efficiente.
Una nuova legge elettorale
Anche nelle percezioni dei cittadini il
cambiamento della legge elettorale è
considerato una priorità. Come detto in
altre occasioni le critiche che vengono
mosse al Porcellum sono spesso incomplete e non tengono soprattutto conto
degli effetti meccanici che la geografia
elettorale italiana (consolidata dal dopoguerra a oggi) ha sull’esito delle competizioni e di conseguenza sul funzionamento dei sistemi elettorali.
Ad ogni modo il tema della legge elettorale è connesso a quello della forma di
governo e alla forma parlamentare. Se
infatti venisse riformato il Senato con
le indicazioni presentate in precedenza,
la fine del bicameralismo perfetto renderebbe l’attuale legge elettorale assolutamente efficace nel garantire una maggioranza parlamentare forte a chiunque
vinca le elezioni elettorali.
In termini più generali possiamo dire
che da una parte l’attuale Parlamento
dovrebbe cercare di rispondere alla richiesta sempre più pressante da parte
dell’opinione pubblica di ricostruire il
rapporto di fiducia e di responsabilità
tra elettori ed eletti. Questo non passa
necessariamente da una riedizione delle
preferenze o da una reintroduzione dei
collegi elettorali, ma da una riforma che
nel complesso corregga le storture della legge Calderoli: assenza di una soglia
per il premio di maggioranza, differenze
Camera-Senato; candidature multiple;
circoscrizioni troppo ampie, etc.
A nostro avviso il sistema che meglio garantisce la soluzione ai problemi finora
presentati è quello in vigore per l’elezione del sindaco e del consiglio comunale
nei comuni con popolazione superiore
ai 15mila abitanti. In altre parole la nuova riforma elettorale italiana dovrebbe
andare nella direzione del doppio turno.
Doppio turno che però dovrebbe essere
nazionale e non di collegio, sistema che
non garantisce di per sé a chi vince le
elezioni una maggioranza parlamentare.
Il doppio turno di nazionale al contrario consente a chi vince le elezioni di
poter contare sulla maggioranza dei
parlamentari (in entrambe le camere)
e, contemporaneamente, garantisce
a differenza di quanto avviene con il
Porcellum che chi ha ottiene il premio
di maggioranza sia legittimato dal voto
della maggioranza degli elettori.
Quale ruolo per il Presidente della
Repubblica?
Abbiamo finora detto dei profondi cambiamenti di cui avrebbero bisogno Governo e Parlamento, mentre abbiamo
lasciato sotto traccia il ragionamento
sul Presidente della Repubblica. Si tratta
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di una mancanza del tutto volontaria. A
nostro avviso infatti questa carica istituzionale è quella che ha meno bisogno
di riforme. E’ sufficiente tornare a quanto scrive il titolo II della costituzione e
permettere al prossimo Presidente della
Repubblica di mantenere il ruolo super
partes, di garanzia e arbitrato che ha
mantenuto dal dopo guerra a oggi.
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