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Quaderni
di Ricerca
quaderni di ricerca
Le regole della vita familiare: differenze di
classe, di background culturale e di genere
Roberta Ricucci
Paola Maria Torrioni
Copertina e grafica:
boletsfernando, Chiara Figone, Torino
STAMPATO CON IL CONTRIBUTO DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO - DIPARTIMENTO DI
SCIENZE SOCIALI - FONDI M.I.U.R. PROGETTO DI RICERCA DI RILEVANTE INTERESSE NAZIONALE,
ANNO 2001, DAL TITOLO: ‘IL CAMBIAMENTO DEI VALORI, DEI PROCESSI DI SOCIALIZZAZIONE E
DELL'IDENTITÀ TRA I GIOVANI ITALIANI’ (COORD. PROF. LOREDANA SCIOLLA)
Quaderni di Ricerca
del Dipartimento di Scienze Sociali
dell’Università di Torino,
n. 7, settembre 2004
Le regole della vita familiare:
differenze di classe, di background culturale e di genere
di Roberta Ricucci e Paola Maria Torrioni
Per conto della redazione dei Quaderni di Ricerca del
Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Torino,
questo saggio è stato valutato da
Anna Rosa Favretto, Manuela Naldini e Chiara Saraceno.
Edizioni Libreria Stampatori
Via S. Ottavio, 15
10124 – Torino
tel 011/836778 fax 011/836232
email: [email protected]
ISBN 88-88057-53-6
2
INDICE
1. Introduzione al tema e definizione dell’ambito di indagine
1.1 I giovani, la famiglia e i valori: cenni a questioni ancora aperte
1.2 La definizione dell’ambito di indagine e degli obiettivi di ricerca
pag. 5
pag. 5
pag. 11
2. A confronto con le regole
pag. 15
2.1 Le regole in famiglia
pag. 15
2.2 Figli e figlie, adolescenti e giovani adulti: cambiano le regole?
pag. 25
2.3 Le regole a confronto con le caratteristiche socio-culturali
dei genitori
pag. 30
2.4 Le relazioni di autorità in famiglia e gli atteggiamenti di genitori e
figli di fronte a regole violate
pag. 39
2.5 La violazione delle regole e le punizioni previste dai genitori
pag. 49
3. Genitori e figli: elementi di distanza e di convergenza
3.1 Oltre le regole operative: che cosa hanno insegnato i genitori
ai figli?
3.2 La trasmissione dei valori fra l’insegnamento dei genitori e
le aspettative dei figli
pag. 55
pag. 55
pag. 61
4. Un breve sguardo d’insieme
pag. 70
Bibliografia
pag. 74
3
4
1. Introduzione al tema
e definizione
dell’ambito di indagine
1.1 I giovani, la famiglia e i valori: cenni a questioni ancora
aperte
Un individuo diventa membro di una società e si identifica, totalmente o
in parte, con essa, attraverso il processo di socializzazione, che rende
possibile l’integrazione in un dato contesto o in un gruppo per mezzo
dell’interiorizzazione dei modi di pensare, di agire, ovvero dei modelli
culturali di quel contesto o quel gruppo1. Come sosteneva Durkheim, ogni società trasmette agli individui che la compongono l’insieme di norme sociali e culturali che assicurano la solidarietà tra tutti i suoi membri.
Tale trasmissione coinvolge una pluralità di soggetti, che interagiscono
nel processo di crescita dell’individuo disegnando percorsi di socializzazione composita, in cui famiglia e scuola (istituzioni formative tradizionali) si intrecciano con le nuove agenzie della socializzazione informale,
(gruppo di pari, mass media, consumi culturali, tempo libero, sport, ecc.)
(Morcellini, 1992).
Questo lavoro è frutto di una collaborazione comune e di un confronto reciproco sui diversi
temi. In particolare Roberta Ricucci ha scritto i paragrafi 1.1; 1.2; 2,2; 3.2 e Paola Maria Torrioni i
paragrafi 2.1; 2.3; 2.4; 2.5; 3.1; 4.
1
5
Il processo di socializzazione coinvolge una pluralità di soggetti, tra i
quali la famiglia gioca un ruolo decisivo, poiché in essa ‘le persone forgiano le proprie relazioni in costante connessione […] con le dinamiche
della società cui appartengono’ (Donati, 1997, p. 35).
Dunque una ricerca sui meccanismi di socializzazione dei giovani e sulla
trasmissione dei valori non può non partire dall’indagare ciò che accade
all’interno dell’ambiente familiare, quali siano le relazioni che lo compongano, quali le norme che lo regolano, quale il clima in cui i suoi
membri vivono, si incontrano, si scontrano, si parlano, si confrontano o si
ignorano. Così facendo si comprenderà come la famiglia svolga il proprio
ruolo di agente socializzante (ad esempio attuando strategie di riproduzione intergenerazionale dei sistemi di valori), in un contesto caratterizzato da una pluralità di ambiti di relazione, di confronto e quindi di socializzazione, nonché di possibili riferimenti morali. Si comprenderà inoltre
il rapporto fra la famiglia e gli ambienti e le figure significative che i figli
incontrano: esiste una sorta di ‘divisione di campo e di ambiti di intervento’ o una ‘delega’ all’esterno?
Numerosi sono gli studi sulla famiglia e sui giovani; ma allorquando intendiamo restringere il campo d’osservazione e combinare l’indagine sulle famiglie con quella sulle dinamiche socio-educative al suo interno, per
cogliere il quadro di riferimento valoriale all’interno del quale i giovani si
formano, allora la ricerca si fa ardua.
Nel passato gli studi (Kohn,1959; Mckinley,1964) hanno sottolineato il
nesso fra pratiche educative, processi di socializzazione e classe sociale,
fornendo un importante contributo alla comprensione di come i ruoli della genitorialità non dipendano da idiosincrasie personali dei genitori, ma
da elementi legati sia ai climi familiari sia ai valori, alle ideologie, alla
cultura ad essi connessi. In linea con i risultati delle ricerche di Bronfenbrenner (1958), che legava l’atteggiamento educativo dei genitori alla
classe sociale, le madri e i padri delle classi inferiori risultavano, nel
complesso, maggiormente interessate ad una modalità di trasmissione dei
valori di classe autoritaria e volta a promuovere comportamenti orientati
alla conformità e alla solidarietà di gruppo, mentre genitori della classe
media assumevano un atteggiamento più interattivo, orientato al dialogo
e volto a promuovere l’autonomia e l’indipendenza di figli. Altre linee di
ricerca per comprendere la funzione genitoriale si sono concentrate, da un
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lato, sugli effetti delle azioni e degli stili genitoriali (Baumrind, 1973,
1993) e, da un altro lato, sull’analisi dei sistemi di credenze dei genitori e
dei possibili legami fra questi e le pratiche educative (Palacios, Gonzales
e Moreno, 1992). Negli anni Novanta, dal punto di vista dei sistemi di valore relativi alla formazione della personalità dei figli e ai rapporti con i
genitori si osserva una forte sintonia fra gli orientamenti dei figli e quelli
dei genitori, un dato questo che costituisce il naturale riflesso del processo di democratizzazione della famiglia. Inoltre, con riferimento al passaggio intergenerazionale, le ricerche sempre più riscontrano come la socializzazione dei figli avvenga in un contesto più dinamico e caratterizzato da un maggior numero di agenzie e di soggetti che giocano un ruolo
nell’ambito di tale processo rispetto all'esperienza dei genitori segnata,
invece, da un’agenzia centrale che monopolizza il processo di socializzazione (Kellerhals, Ferreira, Perrenoud, 2002).
Per quanto riguarda gli studi condotti in Italia, la maggior parte delle ricerche si sono concentrate non sull’intero gruppo familiare e sulle sue relazioni interne, ma sui singoli membri che lo compongono. Se negli anni
Settanta gli studiosi leggevano i segnali di trasformazione della società
come segnali di ‘morte’ della famiglia, nel corso dei vent’anni successivi
gli studi hanno mostrato come la famiglia fosse una realtà viva, un sistema ‘altamente complesso, differenziato e a confini variabili’ (Donati,
1997, p. 30). Si sono diffuse nuove forme di famiglia (la famiglia di fatto,
la famiglia monoparentale, la famiglia unipersonale, ecc.) e si sono affermate nuove modalità nelle relazioni interfamiliari ed intrafamiliari,
senza la scomparsa della famiglia, come istituzione sociale. Vi sono anzi
elementi (rivalutazione dell’importanza delle attività svolte all’interno
della famiglia, riconoscimento della famiglia come operatore economico,
ecc.), che dimostrano una rinnovata vitalità della realtà familiare e un recupero del ‘valore famiglia’ tra i giovani (Cavalli e de Lillo 1993; Buzzi,
Cavalli e de Lillo, 1997). Nella logica di questa dinamica, si riscopre la
natura della famiglia moderna, dove il processo di socializzazione dei figli è anche un processo di trasmissione prevalentemente affettiva, caratterizzato dalla prevalenza dei sentimenti (Saraceno e Naldini, 2001) e non
solo un processo di trasmissione prevalentemente valoriale-strumentale
(caratterizzato dalla predominanza del riferimento a valori ideali di diverso tipo e da un prevalente orientamento alla realtà materiale).
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Le ricerche più recenti puntano l’accento sulla funzione di supporto della
famiglia, dove la qualità della vita personale e delle relazioni assumono
maggiore importanza rispetto ad altre variabili. Questo spiegherebbe anche perché i figli si sentano più vicini che distanti dai genitori, anche se
tale vicinanza si declina ed assume forme e modalità differenti secondo il
genere, l’età, l’area geografica considerata.
In uno scenario dove il clima familiare ‘si riscalda’, dove le famiglie si
modificano al loro interno per la pluralità di modelli familiari, di rapporti
intergenerazionali che si creano, come si comportano i protagonisti?
La famiglia resta al centro del sistema valoriale dei giovani, ma viene ridefinita nei suoi contorni e nelle sue funzioni. Come viene argomentato
nel testo ‘Giovani e generazioni’ (Donati e Colozzi, 1997) e come ci confermano le indagini Iard, nell’arco degli ultimi 20 anni la famiglia ha rafforzato la propria importanza nella percezione dei giovani.
Tab.1 – Gli aspetti importanti nella vita.
(Confronto tra le cinque indagini Iard. Sottogruppo dei 15-24enni. Percentuale di coloro che indicano come ‘molto importante’ ciascun aspetto della vita.)
Aspetti della vita
Famiglia
Lavoro
Ragazzo/a amici/amiche
Svago nel tempo libero
1983
81,9
67,7
58,4
43,6
1987
82,9
66,6
60,9
44,2
1992
85,6
60,2
70,6
54,4
1996
85,5
62,5
73,1
53,6
2000
85,7
61,0
75,1*
52,3
Basi
4.000
2.000
1.718
1.686
* La percentuale si riferisce alla sola domanda sull’amicizia .
Fonte: Buzzi, Cavalli e de Lillo, 2002.
1.429
In tutte le indagini condotte negli ultimi vent’anni, la famiglia si è mantenuta salda al primo posto nella gerarchia degli aspetti della vita che i giovani giudicano ‘molto importanti’. Una conferma del valore ‘famiglia’
che deriva anche da indagini comparative internazionali come quella di
Inglehart (Boudon, 2003). La famiglia, trasformata e attraversata da cambiamenti, mantiene il suo ruolo di agente socializzante e di trasmettitore
di valori, attraverso regole esplicite e/o atteggiamenti, che i giovani, da
sempre, accolgono, ma ricompongono variamente a seconda dell’età, del
genere e dell’area geografica.
La famiglia, quindi, mostra un’identità più capace che in passato di vivere sulle articolazioni relazionali più contingenti e composite in cui le per-
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sone si trovano. Alcuni studi, di fronte al diffondersi di nuovi modelli familiari, hanno definito l’Europa delle famiglie come un ‘mantello di Arlecchino’ (Roussel, 1992), rilevando, parallelamente, come, pur in un quadro
di generale pluralizzazione delle forme familiari, vi fosse ‘la persistente
presenza di forti fattori culturali e ideali capaci di influenzare localmente
(anche in ambiti sub-nazionali) sia la vita e i modelli di famiglia, sia le relative politiche’ (Kuijsten, 1996). L’Europa delle famiglie appare eterogenea, anche se al suo interno si possono identificare talune realtà simili.
I Paesi nordici, caratterizzati da un numero medio di componenti estremamente ridotto, da una forte incidenza di famiglie unipersonali e da una
bassa quota di nuclei con figli; i Paesi dell’area mediterranea, con caratteristiche opposte e paesi continentali, con orientamenti che variano più
verso il modello nordico o mediterraneo a seconda dell’indicatore considerato.
Tab. 2 - Alcune caratteristiche strutturali delle famiglie nel corso degli anni
Novanta. Confronto fra 4 paesi.
N. medio di compo% di famiglie uni% di nuclei con
Numero medio di figli
nenti
personali
figli
per nucleo (a).
Svezia
2,1
39,6
49,6
1,8
Germania
2,5
33,6
61,9
1,6
Italia
2,8
20,6
73,5
1,7
Spagna
3,3
13,4
78,1
2,0
a) Si considerano i figli di qualsiasi età.
Fonte: Eurostat, Annuaire Démographique, 1997, cit. in Blangiardo, 2001, p. 127.
Guardando alla sola realtà italiana, si evidenzia un quadro nazionale centrato sul modello dominante della coppia con figli, influenzato sensibilmente sia dal basso livello di fecondità sia dai segnali di crescita dei nuclei formati da madri e figli (Istat, 2000). Se dunque l’Italia è un paese di
genitori e figli coabitanti, tale composizione familiare si mantiene a lungo
nel tempo. Infatti, la dilatazione del periodo di permanenza del giovane
adulto all’interno della propria famiglia d’origine è un fenomeno che attraversa le realtà familiari da qualche decennio. Questo cambiamento, che
riguarda in modo accentuato e per età più mature i giovani mediterranei,
appare in Italia connotato culturalmente in modo specifico, coinvolgendo
pesantemente anche le generazioni precedenti e, di conseguenza, ponendo in discussione gli ‘equilibri relazionali’ (Galimberti, 1991, p. 163). Si
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è di fronte, dunque, ad un fenomeno che si riflette sia sui modelli di vita
familiare dei giovani che sulle dinamiche relazionali all’interno della
stessa famiglia d’origine, dove la relazione genitore-figlio si trasforma in
una relazione fra adulti. Dalla prima definizione di ‘famiglia lunga’ (Scabini e Donati, 1988) si è sempre di più approfondita la convinzione che
tale permanenza non sia solamente legata a motivi di ordine strumentale
o materiale. Infatti, ricerche confermano la presenza in famiglia di giovani adulti con un’alta formazione scolastica e con una risorsa lavorativa
attiva (Sgritta, 2002). Piuttosto si può parlare di ‘un incastro tra cause
strutturali […] e ragioni culturali e psicologiche’ (Scabini, 1988, p. 172).
Come ricorda Cordon (1997), i dati italiani sulla permanenza dei giovani
in famiglia sono sensibilmente più elevati rispetto agli altri paesi europei,
così come la tendenza all’incremento appare più accentuata. Sulle motivazioni di questo particolare primato italiano, vi sono alcune ipotesi. Anzitutto si mette l’accento sui condizionamenti socio-economici, dove soprattutto un mercato del lavoro flessibile spinge la famiglia a svolgere la
funzione di ‘ammortizzatore sociale’ per rimediare a quelli che Gallino
definisce ‘i costi umani della flessibilità’ (2001). Vi è poi chi sottolinea
soprattutto i fattori culturali, secondo cui il prolungarsi della vita in famiglia sia riconducibile al familismo2 italiano, un familismo rivisitato dove
l’atteggiamento iperprotettivo dei genitori si accompagna con ampi spazi
di autonomia e di libertà in casa.
Infine, vi è chi – soprattutto sul versante degli studi psicologici – spiega
l’allungamento della permanenza dei figli in famiglia ricorrendo alla rete
di reciproci bisogni di genitori e figli. Infatti, secondo tale tesi (Scabini e
Cigoli, 1991), da una parte i figli non sono motivati a lasciare la famiglia
(dove sono tutelati ed autonomi), dall’altra i genitori tendono a trattenere
i figli per prolungare il proprio ruolo genitoriale e le autogratificazioni
per aver dato ai figli più di quanto essi stessi abbiano ricevuto in passato.
Tale concetto è qui utilizzato in un senso diverso da quello proposto da Banfield (1963), che lo
ha definito un comportamento specifico di singoli individui volto a massimizzare gli interessi
all’interno della propria cerchia familiare, con la conseguente incapacità di costruire solidarietà
allargate al di fuori di essa. Il concetto è richiamato nell’accezione proposta da Saraceno, secondo
cui, oggi, si parla di una forma di familismo indotta dalle politiche di welfare, nel senso che ‘la
famiglia, il suo modo di funzionare, inclusa la divisione del lavoro lungo le linee di genere, la sua disponibilità ad
assumere responsabilità di mantenimento e cura tra le generazioni entro linee di parentela, è insieme data per scontata e regolata per legge’ (Saraceno 1994, p. 1, cit. in Meloni, 1997, p. XV).
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Si intrecciano così esigenze di autonomia e condizioni prolungate di dipendenza che rimescolano le carte in gioco. E’ avvenuta, dunque, una
trasformazione dei rapporti interpersonali tra genitori e figli, tale da rendere i primi in grado ‘di adattarsi alla coabitazione di due generazioni’ e
ai secondi di ‘negoziare all’interno della famiglia consistenti spazi di libertà’ (Cavalli, de Lillo, 1993, p. 212). La famiglia d’origine viene vissuta dalla maggioranza dei giovani come un ambiente in cui è possibile sviluppare la propria autonomia, poiché i suoi rapporti interni si sono democratizzati, a seguito dell’indebolimento della struttura gerarchica fra le
generazioni. La situazione di convivenza con i genitori è considerata dalla maggioranza dei giovani come normale e anche il raggiungimento di
una situazione di indipendenza economica non appare come una condizione necessaria e sufficiente per l’uscita di casa: un’elevata percentuale
di giovani che vivono nella famiglia d’origine risulta occupata (Menniti e
Palomba, 1998).
La famiglia italiana, nelle sue differenti articolazioni, è in trasformazione
dal punto di vista dei suoi attori (genitori che devono ‘risocializzarsi di
fronte a figli adulti, autonomi, che autonomamente gestiscono i loro spazi
familiari e figli che si sentono ‘meno figli e più pari’) e delle sue relazioni con un mondo esterno, di cui è sempre più distante, perché come sostiene Boudon ‘si ha l’impressione che non ci siano valori comuni tra la
sfera pubblica e quella privata, ma che ci siano tanti sistemi di valori
quanti siano i sistemi pubblici […] e che ogni individuo possa, nella sua
vita privata, scegliere senza alcun limite il proprio sistema di valori’
(2003, p. 10).
1.2 La definizione dell’ambito di indagine e degli obiettivi
di ricerca
In questo lavoro si esaminerà il ruolo della famiglia come agente di trasmissione di valori a partire dalle regole che governano la vita familiare
attraverso l’analisi dei dati di una ricerca condotta nel 2003 all’interno di
un progetto interuniversitario che ha coinvolto l’Ateneo di Torino e quello di Bologna. Attraverso la conduzione di una survey nazionale su un
campione di giovani fra i 16 e i 29 anni, si è inteso indagare i cambia-
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menti dei valori e dei meccanismi di socializzazione nella generazione
giovane e giovane-adulta3.
La famiglia è da tempo attraversata da processi di ridefinizione e di ricomposizione, che ne mutano la funzione, anche se non l’importanza.
Gli effetti di questi processi di trasformazione modificano la funzione
socializzante della famiglia, mutandone i meccanismi di trasmissione
dei valori?
La famiglia è spesso descritta come un sistema, all’interno del quale i
suoi componenti assumono ruoli e svolgono funzioni specifiche tali da
permettere il migliore funzionamento del sistema stesso. L’obiettivo del
presente lavoro è disegnare, attraverso la verifica di alcune ipotesi che
hanno guidato la rilevazione sul campo, il quadro delle regole del sistema
famiglia e cogliere quale sia il ruolo degli attori coinvolti nel processo di
decisione e di gestione delle regole stesse (i genitori e i figli), in un momento in cui la famiglia mantiene saldo il suo primato nella scala valoriale dei giovani.
La prima parte del lavoro, oltre a delineare brevemente le caratteristiche
del campione di riferimento, è dedicata alla descrizione del tipo di regole
e delle loro combinazioni esistenti in famiglia. E’ noto come la regolazione cambi in base alle caratteristiche dei soggetti e alle condizioni socioeconomiche, culturali degli attori in scena. Pertanto, in questa sezione
due paragrafi sono dedicati a mettere in luce le differenze nel tessuto
normativo delle famiglie in relazione alle caratteristiche dei figli, indagando se il genere e l’età dei figli incidono sulla determinazione delle re3 Il progetto dal titolo ‘Il cambiamento dei valori, dei processi di socializzazione e dell’identità tra i giovani
italiani’ ha ricevuto il finanziamento del MIUR per il triennio 2001-2003. Al progetto hanno partecipato tre unità locali, due dell’Ateneo torinese, dirette da L. Sciolla e F. Garelli e una
dell’Università di Bologna, diretta da A. Palmonari. Chi scrive faceva parte delle unità torinesi.
La parte di raccolta dati si è articolata in diverse fasi: in una prima fase è stato somministrato un
questionario a tre diversi campioni di giovani italiani: 1) un campione di 2.000 casi, rappresentativo degli italiani, maschi e femmine, in età compresa tra i 16 e i 29 anni; 2) un campione di 500
casi, rappresentativo dei residenti nella città di Torino, in età compresa tra i 16 e i 29 anni, segmentato secondo le 10 circoscrizioni di Torino; 3) un campione di 500 casi, rappresentativo dei
residenti in diversi comuni della provincia di Torino, in età compresa tra i 16 e i 29 anni. In una
seconda fase qualitativa sono state effettuate interviste in profondità (semistrutturate) a testimoni
privilegiati, interviste in profondità con nuclei familiari (genitori e figli separatamente) e focus
group con adulti (genitori e insegnanti) e ragazzi, sia in gruppi omogenei sia in gruppi misti. In
questo scritto faremo riferimento solo alla fase quantitativa e al campione nazionale.
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gole, sul loro rispetto e sulla loro trasformazione nel corso del tempo. I
risultati di queste analisi sono presentati sinteticamente nell’ottica di fornire elementi utili per l’inquadramento della parte successiva del lavoro.
Il secondo obiettivo è verificare se diverse caratteristiche di background
della famiglia d’origine determinano costellazioni di regole differenti.
L’analisi, quindi, riguarderà la relazione fra l’estrazione sociale e culturale di chi decide e definisce le norme (la coppia genitoriale), e la definizione della struttura stessa delle regole e dello stile educativo adottato nei
confronti dei figli. Quest’ultimo aspetto sarà approfondito indagando le
relazioni di autorità esistenti in famiglia e il loro rapporto con il comportamento dei genitori di fronte alla violazione di una regola. Di fronte a
questa ‘presa di posizione’ dei figli4, i genitori come reagiscono? La reazione dei genitori offre un dato ulteriore alla definizione del clima familiare e dell’atteggiamento educativo nei confronti dei giovani: prevale un
orientamento al dialogo e alla comprensione delle motivazioni che hanno
condotto il figlio/a alla trasgressione della regola, oppure un orientamento educativo che enfatizza il rispetto della regola, ad ogni costo, (dove la
differenza è data dalla modalità con cui la punizione viene declinata) o
ancora una forma di indifferenza per il comportamento del figlio/a?
A questo punto, definita la struttura della coppia genitoriale, indagata la
sua azione nella determinazione delle regole e del rispetto di esse di fronte alle diverse età dei figli e delle figlie, la riflessione prosegue per cercare di verificare l’ultima ipotesi del lavoro: esiste una presa di distanza da
parte dei figli di quanto hanno insegnato loro i genitori?
Attraverso il confronto fra le risposte alle seguenti domande ‘Cosa hai
imparato dai genitori?’ e ‘Cosa andrebbe valorizzato nell’educazione di
un figlio’, si incroceranno le prospettive educative dei genitori (secondo il
giudizio dei figli) e dei figli, per verificare se esistono elementi di convergenza e di progressiva conformità fra i valori delle due generazioni.
La violazione di una regola può rappresentare un segnale di contestazione nei confronti
dell’autorità genitoriale, ma anche essere un atteggiamento casuale, dettato - di volta in volta - da
circostanze esterne, o una tacita richiesta di maggiore autonomia, non per questo divenire una
contestazione dei valori veicolati attraverso il sistema normativo. I dati raccolti dalla ricerca non
permettono di indagare tali ipotesi, ma forniscono elementi utili alla generale riflessione sul rapporto genitori-figli, fra contestazione e consenso, fra dialogo e indifferenza.
4
13
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2. A confronto con le regole
2.1 Le regole in famiglia
La famiglia d’origine, è noto, entra in gioco nel delicato processo di acquisizione delle competenze di base che si apprendono durante l’infanzia
(socializzazione primaria) in cui si costruisce il sentimento di fiducia in
sé e negli altri (in primis i genitori) e si sperimenta la gratificazione dei
propri bisogni, eventi indispensabili per uno sviluppo armonioso. Si tratta
di un periodo di per sé caratterizzato da forti componenti emotive, che
consentono di fissare le caratteristiche dell’identità dell’individuo (personalità di base), (Ghisleni e Moscati, 2001, p. 66). Attraverso
l’identificazione con i genitori e con le persone che gli stanno vicino, il
bambino apprende che esistono comportamenti e regole legate al comportamento comuni e valide per tutti e che quelle regole sono valide o non
valide in generale. In questo modo il bambino o la bambina impara a identificarsi non solo con poche persone (i genitori e gli altri familiari) ma
anche con gli altri esterni alla famiglia e poco per volta con la società di
cui fa parte. Il processo di allargamento all’altro generalizzato (concetto
elaborato negli anni ’30 da George H. Mead che ha influenzato molto il
pensiero sociologico) determina il riconoscimento del carattere generale
delle norme e dei valori morali e segna il termine (convenzionale) della
socializzazione primaria.
Il ruolo della famiglia rimane centrale, anche durante il periodo della socializzazione secondaria ma entra in sinergia (e talvolta in conflitto) con
altre agenzie di socializzazione come la scuola o il gruppo dei pari. Durante la socializzazione secondaria si apprendono, infatti, ‘ruoli specia-
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lizzati legati principalmente alla scuola, al mondo del lavoro e
all’acquisizione della piena cittadinanza’, (Sciolla, 2002, p. 229). Si tratta di un processo di sperimentazione di realtà diverse nelle quali ciascun
individuo gioca un ruolo specifico (quando, ad esempio, il bambino inizia
a frequentare la scuola si trova a confrontarsi con il ruolo di alunno), la
cui comprensione non è solo di tipo razionale ma comporta un processo
di interiorizzazione e di identificazione con il ruolo stesso.
E’ importante sottolineare che si tratta di un processo multidirezionale: la
trasmissione di informazioni non avviene solo dagli adulti ai giovani ma
‘percorre tutta la società e collega individui che si caratterizzano in
quanto ricettori, rielaboratori e riproduttori di informazioni’, (De Piccoli, Favretto, Zaltron, 2001, p. 33). Come è stato sottolineato in più punti,
il processo di socializzazione veicola una serie molteplice di elementi
(memorie, cultura, abilità, comportamenti); in questo contesto, l’interesse
in particolare è orientato ai meccanismi di trasmissione e di acquisizione
da parte dei membri più giovani della società dei valori e degli elementi
di natura normativa che sono parte strutturante dell’agire quotidiano.
Gli studi psicologici e sociologici sul tema hanno messo in campo una
serie molto ampia di teorie per spiegare il processo di interiorizzazione di
norme e valori: ad esempio in ambito psicologico hanno avuto molta diffusione le ricerche di Piaget e Kohlberg sullo sviluppo morale che hanno
messo in evidenza i nessi tra sviluppo del pensiero morale e sviluppo intellettuale.
Negli ultimi anni sono state proposte teorie che si focalizzano su aspetti
particolari del processo di socializzazione. Alcuni autori, ad esempio,
parlano di socializzazione normativa o giuridica (Kourilsky, 1991; cit. in
De Piccoli, Favretto, Zaltron, op.cit.) intendendo per questo ‘l’insieme
dei meccanismi e dei processi attraverso i quali il soggetto, soprattutto
nel periodo che va dall’infanzia all’adolescenza, costruisce conoscenze
attitudini e rappresentazioni riguardanti le norme’ (p. 34-35). Le norme
possono essere intese come schemi di interpretazione delle azioni proprie
e altrui forniti dalla struttura sociale e si presentano al soggetto sia come
vincoli sia come risorse per l’azione. La nascita e la diffusione di questo
concetto di socializzazione normativa avviene negli Stati Uniti negli anni
sessanta all’interno di una prospettiva volta a conoscere l’origine degli
atteggiamenti conformi e devianti e a individuare le pratiche più utili per
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promuovere la conformità alle norme. Questo approccio, ben presto criticato per il suo sguardo unidirezionale su norme imperative, (solo divieti e
obblighi), lascia spazio a studi sulla socializzazione giuridica in cui
l’accento è sulla trasmissione di ‘permessi’, ossia norme che autorizzano
l’azione e non la rendono obbligatoria e sulle ‘norme che forniscono gli
strumenti per l’agire’ (p. 37). Da questo cambiamento di rotta, che consente di parlare di utilizzo e non utilizzo delle norme e non solo di conformità ad esse, nascono una serie di ricerche volte a mettere in luce
l’apprendimento e soprattutto l’interiorizzazione di un ampio sistema di
norme che trova il suo fondamento nell’autorità. La seconda tappa degli
studi sulla socializzazione giuridica si raggiunge proprio con il predominio del concetto di ‘competenza’ e del processo di interiorizzazione della
norma. Il passaggio successivo porta, nuovamente, il discorso scientifico
ad interrogarsi sull’individuazione delle caratteristiche della formazione
normativa precoce e della commistione delle norme giuridiche e sociali
rilevabili nella vita quotidiana.
Proprio quest’ultimo punto assume rilevanza nella presente trattazione. Va
chiarito che non ci poniamo in un’ottica di analisi giuridica delle norme.
Piuttosto il presupposto di partenza è rappresentato dall’attenzione per la
concreta presenza delle norme nella vita quotidiana5, norme che vengono
intese come elementi strutturanti i rapporti sociali e costitutivi di essi. Il
contesto a cui ci riferiamo è quello della famiglia e ciò che interessa è il
tessuto normativo delle famiglie in cui i giovani intervistati sono inseriti.
Ma a cosa servono le norme e perché è interessante individuare il legame
tra queste e le caratteristiche di background della famiglia? Si tratta, ovviamente, di un nodo cruciale su cui si sofferma molto del pensiero sociologico e giuridico e che difficilmente può essere esaurito in poche pagine.
Il complesso di norme che vigono in un dato momento in una società è estremamente eterogeneo. Gli scienziati sociali hanno utilizzato diversi criteri di classificazione: particolarmente feconda si è rivelata la distinzione proposta dal filosofo del linguaggio John Searle che distingue tra regole o norme costitutive (indispensabili per lo svolgimento stesso dell’attività; ne sono un esempio le
regole di un gioco: se non sono seguite è impossibile mettere in atto il gioco stesso) e regole o norme regolative (che indicano ciò che è prescritto o ciò che è vietato nell’ambito di un’attività già costituita). In questo scritto facciamo riferimento a quelle norme o regole (useremo i due termini
come sinonimi) che servono per organizzare la vita familiare. Siamo interessati all’insieme delle
richieste (prescrizioni sul modo di comportarsi, su ciò che è necessario fare o non fare in famiglia,
ecc.) che padri e madri hanno rivolto ai figli e che riflettono le scelte educative dei genitori stessi.
5
17
Può essere interessante, per comprendere l’utilità del sistema di regole/norme presenti nei diversi tipi di famiglia, riflettere brevemente sulla
natura stessa di legami familiari (intendendo qui i legami tra genitori e figli) in quanto sono legami primari, sono fortemente vincolanti e con limitati gradi di libertà, sono gerarchicamente strutturati e sono definiti sia da aspetti affettivi di cura sia da aspetti etici di vincolo e responsabilità6.
Secondo alcuni autori (Scabini e Iafrate, 2003), la famiglia è da una parte
un soggetto fatto di relazioni e che genera legami di varia natura, (ad esempio il legame intergenerazionale, cioè l’asse che collega le generazioni tra loro, è un legame gerarchico), in quanto connette tra loro le persone. Da un altro lato, esiste una dimensione simbolica della famiglia. In
questo aspetto simbolico sono racchiusi innanzitutto gli elementi affettivi
che caratterizzano la famiglia moderna7 (la famiglia è oggi il luogo privilegiato in cui si manifestano gli affetti più intensi e privati) e che veicolano
(nel momento in cui esistono) qualità come la fiducia e la speranza.
Ma esistono anche aspetti etici. I legami familiari sono, infatti, costituiti
da impegni e da responsabilità tra i diversi membri della famiglia, il cui
rispetto è in grado di veicolare sentimenti di giustizia e lealtà. I genitori
in primo luogo legittimano l’appartenenza familiare del figlio attraverso
Questo è solo uno degli approcci possibili allo studio della famiglia. Ad esempio, dagli studi
sociologici e antropologici sul tema della convivenza familiare emerge chiaramente che non si
può parlare di funzioni, ‘naturali o omogeneamente confrontabili in ogni luogo e in ogni spazio’ della famiglia. L’attenzione degli studiosi si è rivolta, quindi, all’analisi della struttura della famiglia come
convivenza e allo studio del tipo di vincolo che lega i membri di una convivenza (di affinità, di
consanguineità, di matrimonio, di discendenza). Altri autori, come Aries, si sono dedicati invece
allo studio delle relazioni tra coloro che costituiscono la famiglia, focalizzandosi sul mutamento
dei rapporti genitori figli e sull’emergere di rapporti basati sull’affettività (cfr. anche nota successiva). Altri autori, ancora, si sono occupati di analizzare la posizione della famiglia nel sistema di
produzione e riproduzione, analizzando le regole di formazione della famiglia in relazione ai rapporti di produzione. (Per approfondimenti cfr., Saraceno e Naldini, 2001, pp. 17 e seg.).
7 La famiglia ‘affettiva’ è una realtà recente, nasce, infatti, nel momento in cui il posto e il ruolo
dei figli viene ridefinito nelle società contemporanee, con la nascita dello Stato moderno. Secondo lo storico francese Phillipe Aries (1968) per tutto il medio evo non è possibile nella gran parte
della popolazione segnare una demarcazione netta tra infanzia e età adulta. Per molti secoli (in
Europa indicativamente fino verso il XVII°, XVIII° secolo, ma la situazione è molto diversa da Paese a Paese) i figli che nascevano nelle famiglie aristocratiche o benestanti erano considerati, essenzialmente, anelli della catena generazionale, necessari per tramandare titoli o proprietà mentre nelle
famiglie delle classi lavoratrici erano essenzialmente forza lavoro ‘in miniatura’ e sostentamento per la
famiglia. Il passaggio da una logica per così dire utilitaristica dell’avere figli ad una logica affettiva ha
fatto diventare i figli fini in sé, centro affettivo e simbolo dell’affettività familiare stessa.
6
18
l’assegnazione di un nome e di un cognome, e attraverso l’accesso alle
origini della storia della famiglia che percorre le diverse generazioni. Il
sentimento di stabilità e continuità nel tempo può essere garantito secondo alcuni autori (Emiliani, 2002, cit. in Scabini 2003) da rituali, riproposti più o meno fedelmente, che riguardano eventi familiari come feste,
compleanni, ecc. e eventi più quotidiani che toccano momenti quali il
sonno o il pasti, le regole stesse di convivenza8.
Il ruolo del figlio, d’altra parte, è connesso in modo stretto a una serie di
obblighi derivanti dal sistema di norme che definisce ogni aspetto della
vita familiare. Nel passaggio dei modelli comportamentali da una generazione all’altra vengono trasmesse le ‘idee genitoriali’, vale a dire gli atteggiamenti, le aspettative, le credenze e le rappresentazioni dei genitori che
danno forma alle relazioni familiari (Lanz e Marta 2000, pp. 32-40; 45-57,
cit. in Allegra, 2002, p. 183).
Le regole in famiglia servono, quindi, a rendere chiari e interpretabili i
ruoli e le azioni dei diversi componenti della famiglia, e servono per veicolare e rendere operativo ai figli le scelte educative e il sistema valoriale
dei genitori stessi. Vi sono innegabilmente molte connessioni tra norme e
valori, e le norme sono interpretabili come mezzi che prescrivono o vietano dei comportamenti in vista di qualche altro fine o valore gerarchicamente sopra-ordinato ma ‘è importante mantenere la distinzione analitica tra l’orizzonte dei valori (delle mete) e quello delle norme. Se ci poniamo dal punto di vista dell’attore sociale (sia esso un individuo, un
gruppo o un’istituzione) le norme si presentano essenzialmente come dei
vincoli che prescrivono certi comportamenti (obbligazioni) e che ne consentono altri (permissioni): tutto ciò che non è vietato è implicitamente
permesso, ma tutto ciò che è permesso non è di per sé desiderabile dal
punto di vista dell’attore’, (Bagnasco, Barbagli, Cavalli, 1997, p. 130).
Una parte dell’indagine sul cambiamento dei valori, dei processi di socializzazione e dell’identità tra i giovani italiani effettuata tra il 2001-20039 è stata
Alcuni autori hanno fatto notare che una caratteristica importante per preservare le famiglie
giovani (in cui il figlio è appena nato) dal rischio di crisi (dovuto sia all’assenza di rituali sia
all’eccessiva rigidità di questi) è rappresentata dalla capacità delle famiglie di integrare le routine
quotidiane con il cambiamento di cui la loro generazione è portatrice, (Wolin e Bennet, 1984, cit.
in Scabini, 2003).
9 Per informazioni sulle caratteristiche del campione cfr. la nota a pag.12.
8
19
dedicata all’analisi dei processi di trasmissione di valori in famiglia. Nello specifico una sezione del questionario è servita per mettere in luce
l’articolazione del sistema di regole esistente in famiglia.
In questo e nel prossimo paragrafo ci soffermeremo sull’assetto di regole
esistenti in famiglia e su come agiscono le caratteristiche dei figli, nello
specifico l’appartenenza di genere e l’età anagrafica, nel determinare organizzazioni di regole differenti.
Innanzi tutto, di che tipo di famiglie stiamo parlando?
Il 96% dei giovani, tra i 16 e i 29 anni, vive con qualcuno, mentre solo il
4% vive da solo. Tra coloro che coabitano con altri, il 67% vive con entrambi i genitori (di questi il 72% con fratelli o sorelle), il 9% vive con un
solo genitore (la madre nella maggior parte dei casi), il 16% vive con il
coniuge o con il partner (tra questi circa la metà ha figli), il 3% vive con
genitori e nonni, l’1% vive con fratelli o sorelle senza genitori, l’1% vive
con persone non parenti e il restante 3% vive in strutture familiari miste
(solo con i nonni, solo con altri parenti). Quindi il 79% è ancora in condizione di figlio convivente con uno o entrambi i genitori, e, più raramente,
anche con un/una nonna; a questi va aggiunto un altro 4% che vive ancora con membri della famiglia d’origine, anche se i genitori non ci sono
più. Il 20% invece è fuori dalla famiglia di origine, vuoi da solo o in una
coppia coniugale o con amici. In ogni caso, la famiglia nucleare, composta dalla sola coppia con o senza figli o dal genitore solo con figli, è di
gran lunga prevalente sia nelle famiglie di origine che in quelle di nuova
formazione.
Se disaggreghiamo per gruppi di età, notiamo che l’85% dei ragazzi tra i
16 e i 22 anni (si tratta di 895 intervistati) vive con i genitori (e eventuali
fratelli o sorelle). Il 4% vive con genitori e altri parenti mentre il 6% è
sposato o convive (la metà ha figli); circa il 2% vive da solo, infine il 3%
in forme familiari miste. Nel gruppo dei più adulti (23-29anni; gruppo
costituito da 1105 intervistati) il 66% vive con i genitori; il 2% con nonni
o zii o cugini, il 23% è sposato o convive (di questi il 46% ha figli); il 6%
vive da solo; l’1% vive con persone non parenti e il 2% in strutture familiari miste.
Rispetto all’intero campione il 42% dei ragazzi e delle ragazze è inserito
nel mercato del lavoro (il 26% ha un lavoro a tempo indeterminato), il
20
39% studia, l’8% è in cerca di prima occupazione10. La metà del campione ha conseguito il diploma di scuola media inferiore, il 39% ha terminato la scuola media superiore e il 4% ha conseguito la laurea.
Se confrontiamo questi dati con i dati Iard (cfr. tab. 3) notiamo che dal
1992 al 2003 la situazione familiare e lavorativa dei giovani italiani si è
leggermente modificata, anche se gli scostamenti esistenti fanno intuire
che la struttura di base è rimasta sostanzialmente la stessa. Rispetto al
2000 è aumentata la percentuale dei giovani che vivono fuori della famiglia d’origine; è aumentato inoltre sensibilmente il numero di giovani che
sono sposati o coniugati, (dal 11% al 16%), mentre la percentuale di giovani con figli è pressoché costante.
Tab.3. - La situazione familiare e lavorativa dei giovani italiani negli ultimi
dieci anni
Iard 1992
Iard 1996
Iard 2000
Socializzazione 2003
15-29 anni
13
15-29 anni
15
15-29 anni
13,5
16-29 anni
20
15
8
30
(N=2500)
13
9
25
(N=2500)
11
6
37
(N=2297)
16
7
42
(N=2000)
Situazione familiare e
lavorativa
Vive fuori della famiglia
d’origine
E’ sposato/a o convive
Ha figli
Ha iniziato a lavorare
N
Fonte: Rapporto Iard, 2002; Gruppo di ricerca sui meccanismi di socializzazione, 2001-2003
I dati del 2003 sembrano indicare un lento processo di ‘distaccamento
dalla famiglia d’origine’, sia pure per formare una nuova famiglia e non
per vivere da soli. Tuttavia bisogna segnalare che si nota una diminuzione netta di giovani che vivono in famiglia solo tra gli intervistati dai 26
anni in su. Infatti, fino a 25 anni la percentuale di giovani che vive in famiglia è nettamente superiore al 75%.
Secondo i dati dell’ultimo censimento11 nel 2001 l’8% delle giovani e dei
giovani nubili o celibi tra 14 e 24 anni viveva al di fuori della famiglia
d’origine. Tale posizione nel contesto familiare riguardava il 59% dei
giovani tra 25 e 34 anni. Analogamente dai nostri dati del 2003, seppur
10
11
Il restante 10% è così composto: 4% disoccupato/a, 5% casalinga/o; 1% servizio civile o di leva.
Dati relativi alla popolazione italiana residente, reperibili sul sito www.istat.it .
21
con differenze legate alla diversa suddivisione in classi del campione,
emerge che all’interno della classe di età 16-24 il 7,5% non vive più con i
propri familiari. Tra i giovani dai 25 ai 29 anni il 40% vive al di fuori della famiglia d’origine.
La permanenza in famiglia riguarda maggiormente i ragazzi: se consideriamo l’intero campione l’86% dei ragazzi vive con i genitori rispetto
al 73% delle ragazze. Le maggiori differenze di genere si riscontrano
soprattutto nella fascia di età 25-29 anni: il 72% dei ragazzi vive in famiglia mentre tra le ragazze solo il 51% circa si trova nella stessa posizione familiare.
Tutto ciò riconferma il ruolo predominante della famiglia all’interno
dell’esperienza di crescita dei giovani italiani.
Ma com’è regolata quotidianamente questa convivenza? Quali sono le
norme che organizzano le relazioni tra genitori e figli?
La tab. 4 mostra le frequenze di risposta relative alla domanda del questionario: ‘Ripensando alla tua esperienza in famiglia, ci sono delle regole che i tuoi genitori hanno cercato di farti rispettare con particolare
scrupolo? Se sì, quali?’12.
Le regole di convivenza familiare, proposte ai giovani intervistati, sono
state selezionate in modo da essere riconducibili a due nuclei fondamentali: a) regole che veicolano essenzialmente il rispetto, il decoro,
l’adeguamento, il conformarsi a situazioni, scelte, decisioni determinate
dall’autorità dei genitori; b) regole che veicolano essenzialmente il senso
di responsabilità, l’autonomia e la collaborazione in famiglia.
Nel primo gruppo rientra il rispetto per i genitori, il rispetto degli orari
(da quello di rientro alla sera, all’orario dei pasti, ecc.), il rendere conto ai
genitori delle persone che si frequentano, rendere conto del comportamento tenuto in pubblico e la partecipazione ai momenti di vita familiare
(compleanni, feste, anniversari, ecc.).
12 Gli intervistati potevano indicare, all’interno di un elenco analogo a quello presentato nella
tab.4, al massimo due delle regole più importanti esistenti in famiglia. Nel testo della domanda fa
riferimento alle pratiche educative della coppia genitoriale nel suo complesso, non è stata cioè
introdotta alcuna distinzione tra regole indicate dal padre e regole indicate dalla madre. La domanda
è stata posta sia a coloro che vivevano, al momento dell’intervista, in famiglia sia a coloro che ne
erano già usciti; a tutti è stato chiesto di fare riferimento alla loro esperienza in famiglia. La maggior
parte dei giovani intervistati (87%) ha indicato due regole; l’11% una sola regola e solo il 2% non
ha indicato alcuna regola di convivenza familiare.
22
Tab. 4. - I tipi di regole stabilite in famiglia
Regole in famiglia
Rispetto dei genitori
Rispetto degli orari
Rispettare gli impegni presi
Rendere conto delle persone che si frequentano
Gestione del denaro
Prestare aiuto nelle faccende domestiche
Partecipazione a momenti familiari
Mantenere la propria stanza ordinata
Rendere conto per il comportamento in
pubblico
Gestione e uso responsabile degli spazi domestici
Gestione del tempo libero
Altro
Non ci sono regole
Totale
N (a) domanda a risposta multipla
Giovani che indicano regole miste13
Percentuale riferita alle
risposte
29,2
18,6
12,7
Percentuale riferita al numero
di casi
55,9
35,6
24,4
8,8
16,9
7,1
5,7
5,5
4,2
13,6
10,9
10,5
8,0
3,7
7,0
2,6
4,9
1,3
0,7
0,9
100
3763
2,4
1,4
1,7
192(a)
1965
46,2
Giovani che indicano regole che promuovo43,6
no obbedienza e controllo
Giovani che indicano regole che promuovo10,0
no autonomia e collaborazione
Fonte: Gruppo di ricerca sui meccanismi di socializzazione, 2003
Nel secondo gruppo rientrano, invece, il rispetto degli impegni presi, la
gestione del denaro, la collaborazione nelle faccende domestiche, la collaborazione nel tenere ordinata la propria stanza, la gestione responsabile
degli spazi domestici, la gestione del tempo libero.
Si tratta di una distinzione fatta a priori, che prende spunto dalle suggestioni provenienti dalla letteratura e che cerca di rappresentare, in modo
13 Per questa analisi abbiamo considerato la coppia di regole che ciascun intervistato ha indicato,
e assegnato al gruppo misto coloro che indicano una regola del primo gruppo (controllo/obbedienza) e una regola del secondo gruppo (autonomia/collaborazione). Nel gruppo di regole che promuovono esclusivamente controllo e obbedienza sono stati inseriti gli intervistati che
hanno indicato, tra le regole proposte, una regola oppure due regole omogenee che si collocano
in questo ambito e analogamente nel gruppo di norme che promuovono autonomia e collaborazione sono stati inserito coloro che dall’elenco hanno selezionato una regola o due regole omogenee che si collocano nel suddetto raggruppamento.
23
sintetico, i principali compiti di sviluppo che competono alla coppia genitoriale (o al genitore singolo, nel caso delle famiglie monoparentali).
Gli psicologi sono concordi nel ritenere che il momento dell’adolescenza
è un periodo particolare della vita dei giovani in quanto la progressiva
acquisizione di autonomia è frutto di un percorso che alterna prese di distanza dai genitori, per potersi sperimentare nel mondo, con momenti di
richiesta di rassicurazione e di controllo. Ai genitori vengono, quindi, richiesti, come compiti fondamentali di cura, di accettare le istanze di autonomia del figlio, valorizzando le sue qualità, e contemporaneamente di
controllare e di guidare il figlio sia sul piano psicologico, sia sul piano
comportamentale. Autonomia e controllo sono, quindi, le due facce indispensabili di un processo educativo riuscito, ma molto spesso nei rapporti
di convivenza quotidiana è facile che i genitori diano priorità ad un aspetto piuttosto che ad un altro. Quello che intendiamo mettere in rilievo in
questo e nel prossimo paragrafo è la composizione del sistema di regolazione familiare in generale e le sue differenziazioni legate alle caratteristiche dei figli.
Una norma importante che organizza le basi della vita in famiglia (cfr.
tab. 4) è rappresentata dal rispetto per i genitori, indicato dal 56% degli
intervistati. Sono indicate anche da una buona parte dei giovani intervistati il rispetto degli orari (36%) e il rispetto degli impegni presi (24%).
Sembrano, invece, poco oggetto di contrattazione (o di regolazione) familiare la gestione e l’uso responsabile degli spazi domestici e la gestione
del tempo libero.
Tra tutte le combinazioni di regole possibili il primato spetta alla coppia
‘rispetto dei genitori e rispetto degli orari’ indicata dal 19% degli intervistati, seguita dalle combinazioni ‘rispetto per i genitori e rispetto degli
impegni presi’ (18%), ‘rispettare gli orari e rendere conto delle persone
frequentate’ (8%), ex equo con ‘rispettare i genitori e gestione del denaro’ e con ‘ rispettare i genitori e render conto delle persone frequentate’.
Se, infine, suddividiamo le diverse combinazioni secondo il gruppo di riferimento assegnato in precedenza (cfr. p. 23), si deduce che prevale per
quasi la metà del campione di intervistati (46%) una composizione mista
di regole, in cui sono combinate norme che promuovono il rispetto con
regole che veicolano l’autonomia dei figli.
24
Il 44% degli intervistati indica, invece, regole orientate al rispetto
dell’autorità, all’obbedienza, e solo nel 10% delle famiglie dei giovani
intervistati esiste una struttura normativa in cui le regole più importanti
sono orientate a promuovere autonomia e senso di responsabilità nei confronti degli altri14.
2.2 Figli e figlie, adolescenti e giovani adulti: cambiano
le regole?
Nel commento dei dati presentato fino a questo punto, abbiamo considerato i figli come un gruppo omogeneo e uniforme ma è logico supporre
che ci possano essere differenze nel tessuto normativo della famiglia che
sono in relazione con le caratteristiche dei figli.
Proviamo, quindi, ad introdurre come elementi di differenziazione, il genere e l’età dei figli. Soffermiamoci innanzitutto sul genere. Figli e figlie
devono rispettare le stesse regole? La famiglia è un luogo in cui vengono
riprodotte differenze di genere e funziona come contesto di socializzazione ai diversi ruoli maschili e femminili oppure si assiste ad un’uniformità
di trattamento15?
Abbiamo isolato le regole che i genitori chiedono ai figli e alle figlie di
rispettare, in modo da rendere evidenti le differenze.
14 Abbiamo provato a verificare se ci sono differenze tra i giovani che vivono ancora in famiglia e
coloro che vivono da soli o nella famiglia di creazione (con partner o coniuge, con o senza figli).
Se consideriamo le regole aggregate tendono ad indicare con più frequenza norme orientate al
rispetto e all’obbedienza coloro che al momento dell’intervista vivono da soli (67% rispetto al
53% di coloro che vivono in famiglia e al 44% di coloro che vivono in coppia con o senza figli).
Sono invece i giovani che vivono ancora in famiglia a indicare in misura maggiore (11,5%) regole
che promuovono autonomia e responsabilizzazione.
15 Dall’Indagine Multiscopo “Famiglie soggetti sociali, condizioni dell’infanzia” del 1998 (Allegra,
2002) emerge ad esempio che fra le attività domestiche che i bambini e i ragazzi abitualmente
svolgono i famiglia, quelle più frequenti sono apparecchiare la tavola e riordinare i propri oggetti
personali (entrambi i compiti sono stati citati dal 52 % degli intervistati), tuttavia sono le figlie ad
essere maggiormente coinvolte: ad esempio il 65% delle bambine e ragazze si occupa di preparare
la tavola prima dei pasti, mentre solo il 40% dei ragazzi assolve alla medesima incombenza; al
63% delle ragazze viene richiesto di riordinare i propri oggetti personali a fronte del 43% dei ragazzi. Il contributo delle ragazze alle attività domestiche è sicuramente superiore di quello dei maschi, e le richieste stesse dei genitori riproducono, attraverso l’individuazione di precisi obblighi
familiari specifici per le figli e per le figlie, i modelli culturali che sono frutto delle prescrizioni e
convenzioni sociali in relazione all’appartenenza di genere.
25
Fig. 1. - Regole per le figlie (a sinistra) e regole per i figli (a destra)16
Gestione del tempo libero
Gestione e uso responsabile
degli spazi domestici
Mantenere la propria stanza
ordinata
Rendere conto per il
comportamento in pubblico
Partecipazione a momenti
familiari
Prestare aiuto nelle faccende
domestiche
Gestione del denaro
Rendere conto delle persone
che si frequentano
Rispettare gli impegni presi
Rispetto degli orari
Rispetto dei genitori
-15
-10
-5
0
5
10
Differenza percentuale tra regole indicate dai ragazzi e regole indicate dalle ragazze
Regole in famiglia
Fonte: Gruppo di ricerca sui meccanismi di socializzazione, 2003
La figura 1 segnala due sistemi complessivi di regole estremamente diversi: gli obblighi, le norme che i genitori stabiliscono per i figli maschi
riguardano soprattutto il rispetto per gli impegni presi (regola indicata dal
28% dei ragazzi e dal 20% delle ragazze), la gestione del denaro (17%
rispetto a 10%), il rispetto per l’autorità genitoriale (58% rispetto a 54%),
e la necessità di rendere conto del comportamento che hanno in pubblico
(9% rispetto a 5%). Alle figlie, invece, viene richiesto in primis il rispetto
per gli orari (ben il 42% delle ragazze ha indicato questa regola rispetto al
30% dei ragazzi), in secondo luogo aiuto per le faccende domestiche
16 Il grafico è stato costruito sottraendo alle percentuali dei ragazzi le corrispettive percentuali
delle ragazze. Differenze positive indicano che la regola è richiesta maggiormente ai maschi mentre differenze negative indicano che la regola è richiesta soprattutto alle ragazze. La lunghezza
delle barre rappresenta i punti percentuali di differenza. Si tratta di differenze statisticamente significative per quasi tutti i casi, fanno eccezione le seguenti regole: ‘mantenere ordinata la propria
stanza ’, ‘gestione e uso responsabile degli spazi domestici ’, ‘partecipazione a momenti familiari ’
e ‘gestione del tempo libero ’.
26
(15% rispetto a 7%). In più le figlie devono rendere conto delle persone
che frequentano (21% rispetto a 13%).
Esiste una leggera differenza negli obblighi che riguardano la partecipazione a momenti di vita familiare e il tenere ordinata la propria stanza
(entrambi più indicati dalle ragazze) e in quelli che riguardano la gestione
del tempo libero e la gestione responsabile degli spazi domestici (entrambi più citati dai ragazzi). Si tratta, tuttavia, di differenze contenute.
I genitori sembrano privilegiare, nell’educazione dei figli maschi, regole
che li preparano a sostenere il loro ruolo futuro di procacciatori di reddito. Indicative, in questo senso, sono le regole che riguardano il rispetto
per gli impegni presi (che veicola anche senso di responsabilità verso il
proprio operato) e la gestione del denaro (che prepara a gestire in modo
oculato la futura indipendenza economica).
Per le figlie sembrerebbe invece riservata un’educazione basata su regole
che insegnano a rivestire il loro ruolo di care-giver all’interno della famiglia: sono sottoposte ad un controllo più rigido per quanto riguarda gli
orari di rientro stabiliti dai genitori e le persone che frequentano, e devono collaborare, in misura decisamente maggiore di quanto non tocchi ai
ragazzi, alle faccende domestiche.
Cerchiamo ora di verificare se esiste una relazione tra età dei figli e il sistema di regole della famiglia.
Guardando al dato aggregato (ossia al gruppo di regole e non alle singole
regole), emerge un quadro pressoché omogeneo fra le diverse fasce di età. Quasi sovrapponibile è il sistema di regole all’interno delle famiglie
dei 16-19enni e dei 20-24enni, mentre qualche elemento di dinamicità –
sia pure molto lieve – si coglie nella fascia di età successiva (25-29 anni),
dove cresce il peso delle regole volte al rispetto (43,6% vs il 40,6% della
fascia 16-19 anni e il 40,8% della fascia 20-24 anni).
L’analisi delle frequenze di risposta relative alle singole regole permette
di articolare il quadro, aggiungendo qualche elemento di differenziazione
fra le prime due fasce di età.
Per quanto riguarda la fascia di età 16-19 anni, sono due le regole che la
contraddistinguono dalle altre fasce: il ‘rispetto degli orari’ e il ‘tenere in
ordine la propria stanza’. Infatti, l’attenzione al rispetto della regola sugli
orari è indicata dal 39,3% di questo gruppo di giovani rispetto al 34,6%
dei 20-24enni e al 32,9% dei 25-29enni; leggermente più marcata è la di-
27
stanza che separa i più giovani dalle altre due fasce sull’onere di gestione
della propria stanza: si passa dal 12,5% dei 16-19enni al 7,5% dei 2024enni per scendere al 5,5% nel caso dei giovani adulti.
Tab. 5 – Le regole all’interno della famiglia: distinzione per fasce d’età.
Regole
16-19
% sulle
% sui casi
risposte
27,3
52,1
20,5
39,3
12,0
22,9
Classi di età*
20-24
% sulle
% sui casi
risposte
27,0
51,1
18,3
34,6
12,7
24,1
25-29
% sulle
% sui casi
risposte
31,4
59,7
17,4
32,9
12,9
24,4
Rispetto dei genitori
Rispetto degli orari
Rispettare gli impegni
presi
Rendere conto delle per8,8
16,7
7,4
13,9
9,8
sone che si frequentano
Gestione del denaro
5,4
10,4
8,1
15,1
7,1
Prestare aiuto nelle fac6,6
12,5
5,2
11,7
5,5
cende domestiche
Partecipazione a momen3,6
6,9
6,2
11,4
5,8
ti familiari
Tenere ordinata la pro6,6
12,5
4,0
7,5
2,9
pria stanza
Rendere conto del com4,0
7,6
4,5
8,4
2,7
portamento in pubblico
Gestione e uso responsa2,5
4,8
2,7
5,1
2,3
bile degli spazi domestici
Gestione del tempo libe2,2
4,1
1,7
3,1
0,4
ro
Altro
0,5
0,9
1,1
2,0
0,6
Non ci sono regole
0,2
0,4
1,1
2,0
1,2
N (risposte e casi validi)
907
474
1305
690
1586
Fonte: Gruppo di ricerca sui meccanismi di socializzazione, 2003
18,8
13,4
11,0
11,3
5,5
5,2
4,6
0,8
1,1
2,2
835
Nella famiglia con figli adolescenti, secondo alcuni autori (Palmonari,
1993), in considerazione delle caratteristiche di tale fascia di età deve essere mantenuta la flessibilità dei confini per permettere l’indipendenza
dei giovani. Tale obiettivo comporta lo ‘slittamento’ delle relazioni genitori-figli per consentire all’adolescente di entrare e uscire dal sistema, ridiscutendo interessi e rapporti entro l’ambito familiare, nonché la ridefinizione dei ruoli genitoriali e dei figli orientati all’esterno verso il gruppo
dei pari. In una fase, quindi, in cui forte è il desiderio di autonomia, le regole in famiglia sono volte ad aiutare i figli nella gestione dei loro spazi e
nel contempo a trasmettere il messaggio secondo cui il ‘sistema famiglia’
28
funziona se ciascun membro svolge il proprio compito, nei tempi e nei
modi adeguati allo stile familiare. Tale messaggio si intravede – trovando
conferma nella ricerca - nelle due regole sopraindicate.
Passando alla classe di 20-24enni, che è quella in cui è generalmente collocato l’inizio degli studi universitari o la ricerca del lavoro, e quindi
dell’assunzione di impegni e di responsabilità, si accentuano altri aspetti.
Innanzitutto, diviene maggiore in questa fascia di età rispetto a quella 1619 anni il peso della regola che concerne la gestione del denaro (15,1%
vs. 10,4%). In secondo luogo quello della partecipazione a momenti familiari (11,4% vs. 6,9% nella fascia 16-19 anni).
Il rapporto genitori/figli in questa fascia di età coinvolge adulti e giovani
che nel 76% dei casi lavorano: è, forse, presumibile che venga chiesto di
rivedere la posizione all’interno della famiglia, sia dal punto di vista economico (ad esempio se lavorano attraverso un contributo alle spese del
ménage familiare) sia dal punto di vista della condivisione di eventi, occasioni, ricorrenze che riuniscono il nucleo familiare.
D’altra parte, come era prevedibile, inizia ad affievolirsi il controllo dei
genitori sui tempi di vita dei figli e sull’organizzazione dei loro spazi.
Nel caso dei giovani adulti, è la dimensione di valorizzazione della famiglia d’origine che assume più importanza. Si alzano, infatti, la percentuale relativa al ‘rispetto dei genitori’ (59,7% vs. il 52,1% della fascia 16-19
anni) e, similmente a quanto avviene per la fascia immediatamente precedente, quella relativa alla ‘partecipazione a momenti familiari’ (11,3%
vs. 6,9% della fascia 16-19 anni).
Per quanto riguarda il rispetto dei genitori, può essere sintomatico di una trasformazione dei rapporti fra figli e genitori, nella direzione di una relazione
fra adulti, in cui il rapporto passa da ‘sequenziale’, ossia caratterizzato dal
succedersi delle generazioni, a ‘circolare e orizzontale’, all’interno del quale
i genitori chiedono rispetto, anche se il rapporto non è più caratterizzato da
quelle asimmetrie proprie del rapporto genitori-figli. Infatti, i genitori di giovani adulti si trovano a dover gestire, da un lato, la transizione all’età adulta
dei figli, la ridefinizione dei rapporti su basi paritarie e la chiusura anticipata
dei conti relativi alle differenze e alle asimmetrie generazionali; da un altro
lato, il loro stesso ridefinirsi come adulti di mezza età, chiamati a convivere
con un giovane adulto, portatore di esigenze e tempi differenti.
29
2.3 Le regole a confronto con le caratteristiche socioculturali dei genitori
Abbiamo detto in precedenza che le regole in famiglia fungono da schemi
per regolare il comportamento e le interazioni reciproche tra genitori e
figli, e rappresentano in senso lato la traduzione operativa del sistema valoriale e educativo dei genitori, probabilmente mediata dai valori e dagli
interessi dei figli. In quest’ottica conviene analizzare le caratteristiche
della coppia genitoriale per verificare se caratteristiche strutturali differenti della famiglia (intesa in termini di appartenenza di classe e di background culturale) determinano sistemi di regole di convivenza differenti
tra loro.
Secondo Bourdieu, (1966, cit. in Bagnasco et. Al., 1997, p. 476), la famiglia trasmette ai figli un certo capitale culturale, cioè un complesso di conoscenze, valori, e un certo ethos di classe cioè un insieme di atteggiamenti nei riguardi della cultura.
E inoltre, ‘[….] il tipo di socializzazione all’interno della famiglia è determinato in larga misura dai privilegi o dagli svantaggi materiali e culturali, dalla posizione e dai ruoli dei genitori nei sistemi di produzione e
riproduzione. Le ineguaglianze di risorse finanziarie, sociali e culturali
tra famiglie che appartengono a diversi strati sociali sono responsabili
delle ineguali opportunità sociali che vengono offerte ai figli’ (Heinz,
1994, p. 87).
Nel pur contenuto panorama scientifico che si è occupato della trasmissione dei valori parentali, vi sono diversi studi a livello internazionale che
hanno proposto un’analisi del legame tra classe sociale di appartenenza
dei genitori e tipologia di comportamenti, scelte, regole privilegiate
nell’istruzione dei figli. Lo studio di Kohn (1974) sui valori parentali nella società industriale degli anni’60 rappresenta uno degli studi più approfonditi sul tema17. La ricerca mirava ad accertare se la relazione tra classe
17 Kohn sottolinea la scarsità di ricerche empiriche dedicate all’analisi del rapporto tra la classe
sociale e i valori parentali e ricorda due studi che hanno preceduto la su analisi. Il primo è lo studio di Robert Lynd e Helen Lynd sulla comunità di Middletown, effettuato nel 1929. I Lynd avevano chiesto a un campione di madri di disporre in ordine di importanza una lista di quindici abitudini e comportamenti in base alla loro rilevanza per l’educazione dei figli. Avevano così scoperto che le madri della classe operaia davano un peso maggiore all’obbedienza di quanto non facessero le madri delle classi superiori. La seconda ricerca citata da Kohn è quella di Duvall (1946)
30
sociale e valori parentali fosse una caratteristica specifica della società
statunitense o se costituisse un elemento trans-culturale e generale legato
alla stratificazione sociale18. E in più l’interesse era volto a determinare
se le differenze tra valori parentali della classe media e di quella operaia
fossero dovute a differenze legate alla condizione occupazionale.
L’autore utilizzava un indice pluridimesionale di classe sociale che combina tra loro la posizione professionale, l’occupazione, il reddito e
l’identificazione di classe. Il risultato complessivo è sostanzialmente che,
a parte alcune differenze culturali, la relazione tra classe sociale e valori
parentali era per lo più uguale nei due Paesi. Sia in Italia che negli Stati
Uniti i genitori della classe media (che comprende nel lavoro di Kohn,
dirigenti a livello superiore, proprietari di beni ingenti, professionisti, dirigenti, proprietari di aziende, personale amministrativo, impiegati e
commercianti19) privilegiavano soprattutto l’autonomia nei figli, incoraggiavano la loro indipendenza, l’autocontrollo, la fiducia nelle proprie
possibilità e li stimolavano ad essere autodiretti20, mentre i genitori della
classe operaia (operai specializzati, semi-specializzati e non specializzati)
dalla quale emerse che le madri di classe operaia erano propense a privilegiare nell’educazione dei
figli qualità come l’ordine e la pulizia, l’obbedienza e il rispetto, mentre le madri della classe media
desideravano che i figli fossero desiderosi di imparare, avessero fiducia in sé stessi, fossero felici e
collaborassero con i genitori.
18 La ricerca considera tre studi: il primo, condotto a Washington nel 1956-57, si basa su interviste strutturate fatte a 339 madri, provenienti da famiglie rappresentative della classe media e operaia bianca. Tutte le madri avevano un figlio di 10 o 11 anni. In un sottocampione casuale di 82
famiglie sono stati intervistati anche i padri e i bambini. Le interviste erano focalizzate sui valori
parentali, le pratiche disciplinari e gli aspetti fondamentali dei rapporti genitori figli. Un secondo
studio condotto da Leonard Pearlin nel 1962-1963 a Torino. Le modalità con cui è stato pensato
dovevano renderlo confrontabile con il precedente condotto a Washington. Non vennero però
intervistati i bambini ma un campione più ampio di padri (314) e di madri (520). Infine il terzo
studio, condotto nel 1964, si basa su interviste strutturate condotte con 3101 uomini, selezionati
in modo da essere rappresentativi degli uomini impiegati in professioni civili negli Stati Uniti e
senza alcuna restrizione quanto a razza, provenienza geografica e familiare.
19 L’autore si è avvalso della classificazione di Hollingshead (1958) il quale classifica le posizioni
professionali ( del capofamiglia) in sette categorie e l’istruzione (del capofamiglia) in un altro insieme di sette categorie e poi attribuisce un punteggio da 0 a 7 alle categorie professionali e da 0 a
4 a quelle concernenti l’istruzione, somma i due e infine divide il punteggio risultante dalla somma in cinque livelli socio economici.
20 Nel pensiero di Kohn l’autodirezione implica ‘il pensare a sé, il prendere le proprie decisioni, in
breve – la flessibilità’, (1974, p. 55). L’eterodirezione invece è definita da Kohn come un ‘uniformarsi all’autorità’. Inoltre essere eterodiretti (o conformarsi) implica l’obbedienza all’autorità in un
logica di evitamento di problemi.
31
davano maggiore importanza al fatto che i figli imparino a conformarsi a
regole esterne, apprezzavano l’ordine e l’obbedienza. Secondo gli autori,
quindi, esisterebbe qualcosa di intrinseco alla stratificazione di classe che
sarebbe in grado di influenzare la trasmissione dei valori parentali. Le
conseguenze della diversa impostazione delle pratiche educative ha risvolti interessanti anche sul tipo di premi e punizioni che i genitori mettono in atto nel momento in cui le regole di convivenza familiare sono
violate dai figli. I genitori di classe media tendono a penalizzare con
maggior rigore le intenzioni piuttosto che le conseguenze dell’azione e,
pertanto, premiano in misura maggiore l’impegno piuttosto che il risultato. Il fine è quello di arrivare all’interiorizzazione21 della norma piuttosto
che ad un conformismo esteriore a questa. Nelle famiglie di estrazione
operaia sembra predominare, invece, la sanzione per le conseguenze
dell’azione, il ricorso a punizioni piuttosto che a premi e l’utilizzo di punizioni fisiche. Il fine educativo risulta essere, quindi, il rispetto per
l’autorità e l’obbedienza verso chi la esercita.
Da questi studi sui meccanismi di trasmissione dei valori si evince che
gioca un ruolo determinante l’appartenenza di classe: i genitori di bassa
estrazione sociale differiscono molto da quelli di alta estrazione sociale
per quanto riguarda le loro pratiche educative (è quanto emerge anche
dagli studi di Bronfenbrenner del 1958 e di Gecas del 1979). I genitori
delle classi inferiori chiedono ai propri figli molta più conformità alle regole di quanto non facciano i genitori delle altre classi perché nella loro
esperienza l’adesione alle norme di gruppo, ed anche la solidarietà di
gruppo, sono più importanti per adeguarsi alle professioni, ai mestieri che
dovranno svolgere che non l’accentuazione della capacità di iniziativa e
di giudizio individuali. L’idea importante di Kohn è che i genitori trasmettono ai propri figli i valori e i modelli di comportamento che sperimentano come importanti per ‘funzionare’ nel mondo cui appartengono.
Diventa perciò importante capire che cosa, di volta in volta nei diversi
contesti ed esperienze sociali, i genitori sperimentano come importante e
utile per far fronte alle difficoltà che i figli possono incontrare.
Una delle critiche maggiori, che è stata rivolta agli studi effettuati in questo ambito, è di non aver considerato minimamente la posizione sociale
21 Con questo termine ci si riferisce all’adozione da parte di un individuo di valori, atteggiamenti
modelli di comportamento in vigore nel suo gruppo sociale.
32
della madre e di mutuare l’appartenenza di classe solo dal padre. Non solo, viene del tutto ignorato il background formativo della madre stessa.
In più è emerso da un’analisi effettuata da Alwin (1984), che ha analizzato i cambiamenti nella trasmissione di valori parentali da parte di famiglie
di diversa estrazione sociale negli Stati Uniti dal 1958 al 1983, che il rapporto tra appartenenza di classe e valori parentali risultava progressivamente in declino mentre acquistava potere predittivo il livello di istruzione dei genitori. In precedenza lo stesso Kohn (1977, pp. 25-60) aveva
affermato che, osservati tutti cambiamenti che sono avvenuti nelle società contemporanee soprattutto per quanto riguarda il ruolo della donna
nel mercato del lavoro, il livello di educazione dei genitori e la loro posizione professionale dei genitori dovrebbero essere considerate dimensioni separate della stratificazione sociale e non andrebbero aggregati in
un solo indice.
Sull’onda, quindi, degli studi di Kohn, di Alwin e degli altri autori in precedenza analizzati, abbiamo cercato di soffermarci sulla relazione tra sistema di regole esistente in famiglia e background sociale dei genitori. Ci
interessa capire se esiste ancora un retaggio di classe che incide sullo stile
educativo adottato dai genitori. A differenza di quanto è stato fatto da
Kohn, prendiamo in considerazione la classe sociale e il livello di istruzione di entrambi i genitori e cerchiamo di verificare se esistono differenze nel tessuto normativo di famiglie di estrazione sociale e culturale diversa22. Inoltre non sono i genitori ma i figli a fornire le indicazioni sulla
presenza di regole in famiglia e sul sistema di punizioni adottato in caso
di violazione delle norme di convivenza familiare.
In questo ambito presenteremo inizialmente l’analisi della relazione tra
appartenenza di classe e sistema normativo familiare. In una seconda fase
analizzeremo le regole in relazione con il livello culturale dei genitori.
Infine un’ulteriore differenza importante di questo studio rispetto a quelli
appena citati riguarda il fatto che in questo primo nucleo espositivo ci
concentreremo sulla convivenza familiare quotidiana quindi sulle regole
pratiche stabilite in famiglia.
22 Non intendiamo ovviamente fare un confronto puntuale con il lavoro, molto articolato e complesso di Kohn, non solo perché ci dedichiamo all’analisi delle regole di vita quotidiana e non agli
aspetti valoriali ma anche perché lo stesso concetto di classe media con cui si è confrontato Kohn
è oggi cambiato profondamente.
33
Una prima impressione che scaturisce dalle analisi effettuate (cfr. tab. 6)
è che in quasi tutti gli strati sociali a cui appartengono i giovani, una percentuale consistente di famiglie adotta un sistema educativo in cui sono
intrecciate regole che mutuano rispetto e obbedienza con regole che veicolano autonomia e aiutano a sviluppare il senso di responsabilità23. Le
famiglie di classe superiore e impiegatizia sono quelle in cui questa sinergia sembra essere più marcata in quanto riguarda la metà delle famiglie che afferiscono a ciascuno strato. Fanno eccezione (anche se con pochi punti percentuali di differenza) le famiglie di classe operaia, in cui
prevalgono norme che orientano alla conformità verso l’autorità (48,5%).
23 La classe sociale di appartenenza della famiglia degli intervistati è stata ricostruita, individuando, attraverso l’occupazione, la classe sociale del padre e quella della madre e poi combinandole
insieme. La regola di combinazione seguita, suggerita da alcuni autori, fra cui Schizzerotto (1995),
è quella di collocare la famiglia nella classe sociale del membro coppia che si trova nella posizione
più elevata: ad esempio se il padre appartiene alla classe media e la madre alla classe superiore (o
viceversa) la classe sociale di appartenenza della famiglia sarà la classe superiore. La domanda che
è stata presentata agli intervistati è la seguente: qual è l’attività professionale di tuo padre/tua madre? (se
non lavora, è in pensione o è deceduto, specificare l’ultima professione svolta). La possibilità di risalire
all’ultima professione svolta nel caso padre o madre non lavori o sia in pensione o sia deceduto,
ha permesso di ricostruire la classe di appartenenza anche per quelle famiglie in cui uno dei genitori (o entrambi) non partecipano al mercato del lavoro. Dobbiamo segnalare l’esistenza un netto
squilibrio tra padre e madre per quanto riguarda la partecipazione al mercato del lavoro. Il 58%
delle madri del campione nazionale non lavora mentre solo il 17% dei padri si trova nella stessa
situazione. Se consideriamo perciò la coppia genitoriale nel suo complesso il 18% dei genitori dei
giovani intervistati appartiene alla classe superiore (imprenditore/trice, libero/a professionista,
dirigente industriali, dirigente pubblico e docente universitario), il 16% alla classe impiegatizia
(impiegato/a tecnico/a con funzioni direttive, insegnante, operatore/trice sanitario/a, operatore/trice assistenziale, operatore/trice educativo/a), il 24% alla classe autonoma (commercianti,
rappresentanti, artigiani, coltivatori diretti ) e il 40% alla classe operaia o assimilata (impiegato/a
tecnico/a esecutivo/a, operaio/a specializzato/a, operaio/a non specializzato/a , salariato/a agricolo/a). La relazione tra classe sociale della famiglia di origine e regole familiari è risultata statisticamente significativa (χ2= 32,850; p=0.000). La stessa analisi è stata effettuata considerando singolarmente lo status sociale del padre e della madre, in entrambi i casi la relazione è risultata statisticamente significativa. Esiste inoltre omogeneità di status nelle coppie genitoriali, infatti, tra classe
di appartenenza della madre e classe di appartenenza del padre vi è una relazione positiva statisticamente significativa.
34
Tab.6 – Tipologia di regole in famiglia distinte in base alla classe sociale dei genitori
(% di colonna)
Regole in famiglia
Classe superiore
Classe Impiegatizia
Classe autonoma
Classe operaia e
assimilata
45,2
Giovani che indicano regole
49,6
52,4
45,1
miste (rispetto/obbedienza +
responsabilità/autonomia)
Giovani che indicano regole
36,4
37,5
42,1
che promuovono rispetto e
obbedienza
Giovano che indicano regole
14
10,1
12,8
che promuovono responsabilità e autonomia
N (casi validi) = 1817
335
317
437
Fonte: Gruppo di ricerca sui meccanismi di socializzazione, 2003
48,5
6,3
728
Come era già emerso in precedenza, i sistemi normativi basati su regole
esclusivamente rivolte all’autodirezione riguardano un numero esiguo di
famiglie, tuttavia i giovani di alta estrazione sociale e quelli della classe
autonoma hanno indicato con maggior frequenza l’esistenza di regole di
convivenza familiare che possono essere inserite in questo gruppo. Nuovamente il gruppo in cui la scarsa presenza di questo tipo di norme si fa
più marcata è quello dei giovani di famiglie di estrazione operaia, di questi solo il 6,3% indica l’esistenza di uno stile educativo esclusivamente
volto alla responsabilizzazione e autonomia.
Quanto emerge dai dati ci orienta a ipotizzare una relazione tra
l’appartenenza di classe e stile educativo adottato con i figli, almeno per
quanto riguarda il versante delle regole che orientano all’eterodirezione:
la percentuale di giovani che indica l’esistenza di questo tipo di tessuto
normativo aumenta progressivamente se si passa dalle famiglie di classe
superiore alle famiglie di classe operaia. Si tratta, tuttavia, di una relazione complessa, in cui la differenza è netta e chiara solo per le due classi
estreme (superiore e operaia), mentre per le classi intermedie è più sfumata (tra le due sono in misura maggiore i giovani che appartengono a
famiglie della classe autonoma ad indicare sia un sistema normativo orientato al rispetto e all’obbedienza (42%) sia un sistema normativo che
promuove responsabilità verso gli altri e autonomia (13%)).
Se entriamo nel dettaglio delle regole si possono evidenziare similitudini
e differenze interessanti: in tutti gli strati sociali, le regole più presenti in
35
famiglia (perché maggiormente citate dagli intervistati) sono il rispetto
dei genitori e il rispetto degli orari, (anche se esistono differenze interclasse per quanto riguarda la numerosità di giovani che le hanno citate: le
famiglie di classe operaia sembrano distinguersi dalle altre per quanto riguarda il rispetto degli orari, citato dal 40% dei giovani in essa collocabili).
All’interno delle famiglie di classe superiore, i genitori sembrano privilegiare il rispetto per gli impegni presi (34%) e la collaborazione dei figli
nel mantenere ordinata la propria stanza (10%). I genitori appartenenti
alla classe impiegatizia sembrano più interessati, rispetto agli altri, a sapere dai figli quale comportamento manifestano in pubblico (8%) e ad
ottenere la loro partecipazione a momenti di vita familiare (11%). I genitori appartenenti alla classe autonoma promuovono, in misura maggiore,
una gestione responsabile del denaro (16%) mentre all’interno delle famiglie di estrazione operaia i genitori chiedono ai figli di rendere conto
delle persone che frequentano (20%).
Come già annunciato in precedenza, oltre alla classe sociale abbiamo preso in considerazione anche il livello di istruzione dei genitori, per verificare se famiglie con livelli di scolarità diversi mettono in atto pratiche
educative differenti24.
L’indice di scolarità della famiglia d’origine è stato costruito combinando livello di istruzione
del padre con quello della madre. Anche il questo caso alla famiglia è stato assegnato il livello di
scolarità del genitore che possiede il titolo di studio più elevato. La domanda che è stata presentata agli intervistati è la seguente: Quale titolo di studio ha tuo padre ?/ Quale tua madre? Dai nostri dati
l’11% delle famiglie degli intervistati ha un livello di scolarità alto (laurea; specializzazione postlaurea); il 29% medio alto (diploma di scuola superiore; specializzazione post-diploma o diploma
universitario); il 41% medio (licenza media inferiore; frequentazione scuola superiore senza aver
conseguito la maturità); il 19% basso (licenza elementare; nessun titolo). In questo caso lo squilibrio tra padre e madre è decisamente più contenuto: le madri che hanno un livello di istruzione
alto o medio alto sono il 30% contro il 34% dei padri. Esiste una forte omogeneità tra padre e
madre per quanto riguarda il titolo di studio, la relazione tra livello di scolarità del padre e quello
della madre è positiva e molto forte.
24
36
Tab.7 – Tipologia di regole in famiglia distinte in base al livello di scolarità dei
genitori (% di colonna)25
Regole in famiglia
Alto
Medio Alto
Medio
Giovani che indicano regole miste (ri54,1
46,0
47,4
spetto/obbedienza + responsabilità/autonomia)
Giovani che indicano regole che pro33,0
43,5
42,3
muovono rispetto e obbedienza
Giovano che indicano regole che pro12,9
10,5
10,3
muovono responsabilità e autonomia
N (casi validi) = 1927
209
563
789
Fonte: Gruppo di ricerca sui meccanismi di socializzazione, 2003
Basso
39,3
53,8
6,8
366
Se consideriamo solo le combinazioni omogenee di regole (solo rispetto
oppure esclusivamente autonomia) (cfr. tab.7) possiamo notare che passando da famiglie ad alto background culturale a famiglie con basso capitale culturale, aumenta progressivamente il numero di intervistati che indica
l’esistenza di regole volte a promuovere il rispetto e l’obbedienza e diminuisce il numero dei figli e delle figlie che descrivono sistemi di regole essenzialmente volti a stimolare autonomia e responsabilità individuale.
Le regole miste riguardano più del 50% del campione di famiglie con alto
livello culturale, mentre la stessa struttura normativa riguarda solo il 40%
delle famiglie poco istruite.
Sembra abbastanza evidente che ad un basso livello di istruzione dei genitori corrisponda uno stile educativo orientato essenzialmente al controllo del comportamento e al rispetto dell’autorità in cui l’obiettivo principale è la conformità e l’eterodirezione: i genitori richiedono il rispetto
(regola che comunque rimane la più citata in tutti i livelli di appartenenza
culturale) e vogliono sapere con quali persone escono i propri figli. Ad un
livello molto elevato di istruzione dei genitori corrisponde, invece, uno
stile educativo più rivolto a stimolare l’autonomia e la collaborazione: i
genitori richiedono soprattutto il rispetto degli impegni presi, la partecipazione ai momenti di vita familiare e la collaborazione nel gestire i propri spazi e quelli comuni a tutti i familiari. I livelli intermedi sono un po’
a metà strada tra i due poli opposti: i genitori mediamente istruiti (in possesso di un diploma di scuola media inferiore o di un attestato di frequenza di scuola superiore, senza conseguimento del diploma di maturità)
25
La relazione è risultata statisticamente significativa (χ2= 26,767; p=0.000).
37
sembrano dare maggior rilievo al rispetto degli orari e alla collaborazione
nelle faccende domestiche.
Ci sono relazioni tra background economico-culturale dei genitori, genere
e tipo di regole, anche se l’introduzione di una differenziazione tra maschi e femmine non fa scomparire la relazione esistente tra classe sociale
e tipo di educazione impartita dai genitori26: ad esempio la differenza di
trattamento riservata alle ragazze per quanto riguarda il rispetto degli orari, non sembra valere per i ceti superiori mentre è molto marcata
all’interno delle famiglie di estrazione operaia (il 29% dei maschi deve
rispettare gli orari a fronte del 50% delle femmine). D’altra parte, però, la
collaborazione ai lavori casalinghi continua a essere una corvée prettamente femminile in tutti i livelli sociali.
Le famiglie di estrazione operaia sono quelle in cui è più marcata la distinzione di genere per quanto riguarda il rispetto richiesto dai genitori: il
64% dei ragazzi sottolinea l’esistenza di questo obbligo contro il 51%
delle ragazze. Differenze legate al genere, trasversali a quasi tutti gli stati
sociali (eccetto la classe impiegatizia), sono l’obbligo di rendere conto
delle persone che si frequentano e del comportamento che si tiene in
pubblico, il rispetto per gli impegni presi. Le famiglie di classe superiore
e di ceto medio impiegatizio, infine, non sembrano riservare differenze di
trattamento così marcate tra maschi e femmine in relazione alla gestione
del denaro.
Un altro elemento di differenziazione tra le famiglie sembra essere il livello di istruzione dei genitori: le figlie sono sottoposte a controlli più severi rispetto agli orari all’interno dei nuclei familiari meno istruiti; subiscono invece un trattamento meno differenziato in relazione alla gestione
26 E’ interessante notare che vi è una variazione nella struttura delle regole in famiglia, a seconda
che i figli siano già entrati nel mercato del lavoro. I figli e le figlie che non lavorano devono rispettare soprattutto gli orari che ci sono in famiglia e collaborare con i genitori nel tenere ordinati
i propri spazi e collaborare nelle faccende domestiche; ai figli che hanno già raggiunto
un’indipendenza economica i genitori chiedono invece di rendere conto delle persone che frequentano e di gestire in modo responsabile il proprio denaro. Le medesime differenze si ripropongono anche nelle diversi strati sociali : i giovani appartenenti alla classe superiore che lavorano
segnalano con più frequenza il fatto di dover rendere conto ai genitori delle persone che frequentano (22%) rispetto a quanto succede tra i giovani appartenenti alla stessa classe ma fuori dal
mercato del lavoro. Per i giovani delle classi intermedie che lavorano il controllo da parte dei genitori viene effettuato sulla gestione del denaro mentre a quelli che non lavorano i genitori richiedono informazioni sulle persone che frequentano.
38
del denaro rispetto ai coetanei maschi se vivono in famiglie economicamente benestanti.
2.4 Le relazioni di autorità in famiglia e gli atteggiamenti
di genitori e figli di fronte a regole violate
Finora abbiamo preso in considerazione le strutture di regole e come queste si differenziano e modificano secondo il livello socio-economico di
appartenenza della famiglia di origine. Ma cosa succede in famiglia
quando la regola è violata? Quale atteggiamento assumono i genitori e
quali sanzioni adottano?
Prima di entrare nel merito dell’argomento può essere utile soffermarci
su un aspetto connesso, rappresentato dalle relazioni d’autorità presenti in
famiglia.
Anche se ci sono differenze legate al background socio-economico di origine, abbiamo potuto constare che il rispetto per l’autorità genitoriale (il
rispetto per i genitori) è una norma trasversale che accomuna genitori di
estrazione sociale e culturale diversa. I genitori in quanto educatori esercitano un certo grado di autorità (che poi è modulato dalle circostanze socio-economiche in cui è inserita la famiglia) che si manifesta anche nel
momento in cui genitori e figli devono prendere decisioni importanti che
riguardano i progetti futuri, le scelte lavorative e formative, ma anche la
sfera degli affetti e delle relazioni. Come si comportano i genitori quando è
necessario prendere una decisione che riguarda i figli? E quale atteggiamento assumono i figli verso i genitori quando devono prendere una decisione che riguarda loro stessi?
Quest’aspetto della vita familiare è stato monitorato nella ricerca sui
meccanismi di socializzazione, chiedendo agli intervistati ‘Quale atteggiamento assumono i tuoi genitori quando è necessario prendere una decisione importante che ti riguarda?’ e ‘Quale atteggiamento assumi nei
confronti dei tuoi genitori quando devi prendere una decisione importante che ti riguarda?’27.
27 In questo caso la domanda riguarda l’atteggiamento verso la coppia genitoriale nel complesso.
In un’altra sezione del questionario è stato chiesto ‘Se ti trovassi a dover prendere una decisione molto
importante per la tua vita, a chi ti rivolgeresti per chiedere un consiglio? (possibili più risposte)’ Le alternative proposte sono le seguenti: madre, padre, coniuge o partner o convivente, parente, amico, sa-
39
La tabella 8 presenta le modalità di risposta proposte agli intervistati e le
relative percentuali. Ciascun intervistato poteva fornire una sola risposta.
La maggior parte dei genitori (80%) desidera dialogare con i figli delle
possibili alternative che la scelta comporta, si mettono quindi in una posizione di confronto, mantenendo il loro ruolo di interlocutori e di referenti, (soprattutto, com’è presumibile, se i figli sono giovani: la percentuale di genitori che vogliono discutere con i figli passa dal 85% per gli
intervistati tra i 16 e i 19 anni, al 77% per gli intervistati tra i 25 e 29 anni). Undici genitori su cento rinunciano invece a intervenire nelle decisioni che riguardano i figli, astenendosi implicitamente dal svolgere un
ruolo di referente e interlocutore (anche in questo caso conta l’età del figlio), mentre nel 9% dei casi i genitori cercano di imporre, in virtù della
propria autorità, le decisioni ai figli, chiudendosi ad ogni forma di dialogo e di confronto.
I figli nella maggior parte dei casi (71%) cercano di coinvolgere i genitori, si mettono quindi in una condizione di dialogo e riconoscono i genitori
come interlocutori autorevoli da coinvolgere nella propria vita (anche in
questo caso il comportamento riguarda soprattutto gli intervistati più giovani: tra i 16 e i 19 anni sono il 75%; tra i 25 e 29 anni sono il 67%); vi è
tuttavia una discreta percentuale di intervistati che evita di coinvolgere i
genitori nelle proprie decisioni, (di questi la metà è costituita da giovani
tra i 25 e i 29 anni; ma il 18% è rappresentato da figli molto giovani tra i
16 e i 19 anni), e che assume una posizione di ‘distacco’ dalla famiglia
d’origine (esiste per lo meno mancanza di dialogo da parte dei figli). Infine, solo una minima percentuale, tre giovani su cento, lascia decidere ai
genitori cosa è meglio fare, delegando a loro la scelta e uniformandosi
completamente all’autorità genitoriale.
cerdote, insegnante, esperto, altro. Il 36% dei giovani ha indicato la madre e il 22% il padre, il
16% il coniuge o partner, il 15% l’amico, il restante 11% è distribuito tra parenti, insegnanti, esperti, sacerdoti e altre figure. E’ interessante notare che anche tra coloro che alla domanda riguardante l’atteggiamento assunto nei confronti dei genitori in caso di decisione hanno risposto
che evitano di coinvolgerli, il 53% in caso di scelte importanti non chiederebbe consiglio a nessuno dei genitori, il 13% sostiene di chiedere consiglio sia alla madre che al padre, il 27% si rivolgerebbe alla madre e il 7% al padre.
40
Tab.8 – Atteggiamento reciproco di genitori e figli quando è necessario prendere
una decisione importante che riguarda i figli
I genitori ……
%
…desiderano parlare con i figli delle alternative possibili
80,0
….non intervengono minimamente nelle decisioni dei figli
11,3
…cercano di imporre le loro decisioni ai figli
8,7
N (validi)
1999
I figli ……
%
…desiderano parlare con i genitori delle alternative possibili
70,7
…evitano di coinvolgere i genitori nelle loro decisioni
26,6
…lasciano che siano i genitori a dire cosa è meglio fare
2,7
N (validi)
1994
Fonte: Gruppo di ricerca sui meccanismi di socializzazione, 2003
Se combiniamo tra loro gli atteggiamenti dei genitori e quelli dei figli in
caso di decisioni importanti (cfr. tab. 9) possiamo notare che rispetto al
totale degli intervistati nel 65% delle famiglie prevale una relazione genitori-figli basata sul dialogo (definita da Fromm autorità normale) in cui i
genitori svolgono il loro ruolo di referenti-educatori e vogliono discutere
le alternative di scelta e i figli da parte loro sono interessati a coinvolgere
i genitori nelle scelte più importanti28. Il restante 35% di intervistati indi28 La tipologia qui presentata è un adattamento di quella proposta da Fromm sulla struttura
dell’autorità familiare. Tale tipologia è stata analizzata da Lazarsfeld (1967; cfr. Barton, in Boudon
e Lazarsfeld, 1969, p. 218) che ha ipotizzato che fosse il prodotto dell’incrocio di due dimensioni:
autorità esercitata dai genitori e accettazione della medesima da parte dei figli. I livelli di autorità e
di accettazione possibili sono tre: forte, moderata, debole. Nel nostro caso abbiamo mutuato
l’impostazione teorica di Fromm considerando gli atteggiamenti dei genitori come un indicatore
del livello di autorità espresso da questi nelle relazioni con i figli (autorità forte quando i genitori
impongono le loro decisioni; autorità moderata quando cercano di discutere le alternative possibili con i figli; autorità debole quando non intervengono minimamente nelle decisioni). Gli atteggiamenti dei figli rappresentano, invece, un indicatore del grado di accettazione dell’autorità genitoriale da parte dei figli (forte accettazione quando i figli lasciano decidere ai genitori; accettazione
moderata quando li coinvolgono per discutere delle alternative e debole o essente quando non li
coinvolgono proprio nel loro processo decisionale). Combinando i due indici si ottiene la tipologia presentata in tab.9: le relazioni di autorità che Fromm definisce ‘normali’ nascono da livelli di
autorità moderati e da gradi di accettazioni moderati o totali; le relazioni d’autorità assoluta nascono da livelli di forte autorità e di totale o moderata accettazione da parte di figli; le relazioni
genitori- figli in cui vi è mancanza di autorità sono caratterizzati da debole autorità esercitata dai
genitori e da una moderata accettazione da parte dei figli (nella nostra tipologia abbiamo considerato appartenenti a questo tipo di relazione anche il caso in cui i genitori esercitano un’autorità
debole e i figli dimostrano una debole accettazione dell’autorità dei genitori e il caso in cui
l’autorità dei genitori è debole e l’accettazione da parte dei figli totale); infine le relazioni orientate
41
ca, invece, che in famiglia le relazioni tra genitori e figli non sono bilanciate: il 20% degli intervistati ha uno scarso grado di accettazione/riconoscimento dell’autorità genitoriale e pertanto non coinvolge i genitori nelle proprie decisioni. Padre e madre, invece, tentano, o con il dialogo o con l’imposizione, di intervenire nelle decisioni dei figli.
Nell’11% dei casi i figli sono in famiglie in cui sono i genitori a non esercitare la loro autorità (almeno in relazione al momento decisionale)
poiché non intervengono e lasciano decidere i figli, i quali possono avere
atteggiamenti molto diversi: dalla completa accettazione dell’autorità materna e paterna alla mancanza di coinvolgimento dei genitori stessi. Infine
il 4% dei giovani intervistati si trova in una situazione in cui le relazioni
sono orientate all’autorità assoluta, i genitori impongono le loro decisioni, (massima chiusura e assenza di dialogo), e i figli accettano totalmente
o moderatamente l’autorità dei genitori. Classe sociale e capitale culturale dei genitori sono, come già riscontrato per le regole di convivenza, variabili in grado di determinare tipologie di relazioni familiari differenti.
Se ci soffermiamo sulla classe sociale dei genitori notiamo che le famiglie della classe impiegatizia spiccano per il loro orientamento a stabilire
relazioni di autorità basate sul dialogo tra genitori e figli (74%), mentre le
famiglie di ceto operaio si distinguono dalle altre per l’alta percentuale
(24%) di relazioni genitori-figli orientate verso la ribellione o indifferenza da parte dei secondi, che evitano di coinvolgere i genitori nelle decisioni per loro importanti (mentre i genitori o sono interessati a discutere
con i figli oppure vogliono imporre con la forza dell’autorità le loro decisioni).
alla ribellione combinano una autorità dei genitori forte o moderata con una debole accettazione
da parte dei figli.
42
Tab.9 – Tipologia di relazioni d’autorità in famiglia29: sul totale degli intervistati e
per classe sociale di appartenenza dei genitori
Relazioni di autorità in famiglia
a)
b)
c)
d)
autorità assoluta
autorità normale
mancanza di autorità
ribellione/distacco
Totale (%)
4,0
64,9
Superiore
4,5*
65,8
11,3
12,5
6,7*
10,2
13,0
19,8
17,3
15,8
17,1
24,3
336
329
449
740
N (validi)= 1994
N (validi) =1854
Relazioni di autorità in famiglia
e)
f)
g)
h)
autorità assoluta
autorità normale
mancanza di autorità
ribellione/distacco
N (validi)= 1969
Classe sociale di appartenenza dei genitori
(% di colonna)
Impiegatizia Autonoma Operaia
4,0*
4,0*
4,1
73,6
68,6
58,6
Livello di scolarità dei genitori (% di colonna)
Medio
Alto
Medio
Basso
Alto
3,3*
4,7*
4,2
2,7*
72,5
69,7
66,6
49,5
7,1*
8,5
11,5
16,8
17,1
17,2
17,6
31,1
210
577
806
376
Fonte: Gruppo di ricerca sui meccanismi di socializzazione, 2003 * N<30
Sempre in queste famiglie riscontriamo la percentuale più bassa di relazioni basate sull’autorevolezza, che sfruttano il dialogo tra le parti. Un
dato che sorprende è la percentuale di famiglie di ceto superiore che è caratterizzata da relazioni in cui i genitori si astengono dall’intervenire nel
caso in cui i figli debbano fare una scelta importante: la percentuale è analoga a quella che possiamo riscontrare all’interno delle famiglie di estrazione operaia.
Come interpretare il dato? Una possibile risposta potrebbe essere legata
proprio allo stile educativo che, abbiamo visto, contraddistingue le famiglie di ceto superiore30: per i genitori appartenenti agli strati economica29 La relazione tra appartenenza sociale e capitale culturale dei genitori e il tipo di relazioni di autorità esistenti in famiglia è risultata statisticamente significativa. Rispettivamente χ2 = 31,345;
p=0.000; χ2= 66,757; p=0.000.
30 Si è riscontrata una relazione significativa e positiva tra tipo di relazioni di autorità esistenti in
famiglia e struttura del tessuto normativo connesso con le pratiche educative dei genitori. Sembra, infatti, che nel 52% delle famiglie in cui le relazioni sono orientate alla ribellione (mancanza
43
mente più elevati i figli dovrebbero imparare ad essere autonomi e responsabili, rispettare gli impegni presi e collaborare in famiglia; appare,
quindi, ragionevole supporre che per alcuni genitori l’astenersi
dall’esprimere il proprio parere quando i figli devono fare scelte importanti, possa essere interpretato come un comportamento volto a veicolare
senso di responsabilità e autonomia nei figli. E’ pur vero però che le classi
alte hanno risorse di controllo diverse: l’inserimento in strutture di risorse e
di opzioni diversificato (ma anche adeguato alle aspettative dei genitori)
entro le quali i figli possono scegliere. Il “parere” rispetto alle scelte dei figli è espresso appunto attraverso la creazione di risorse di contesto.
Una relazione più lineare è riscontrabile osservando il livello di scolarità
dei genitori: le famiglie di elevato capitale culturale (alto e medio alto)
sono orientate di più a stabilire relazioni di dialogo tra i componenti di
quanto non accada nelle famiglie in cui i genitori hanno un livello di istruzione basso.
E’ facilmente ipotizzabile che i padri e le madri che non hanno alle spalle
un ampio bagaglio di conoscenze e di istruzione affrontino maggiori difficoltà nell’impostare relazioni con i figli (soprattutto se adulti o se hanno
già raggiunto un certo livello di indipendenza economica) in cui poter
dialogare e intervenire nelle decisioni prese da questi ultimi.
Sappiamo, inoltre, che le pratiche educative delle famiglie con basso capitale culturale sono orientate al controllo e all’obbedienza e che le regole
che i genitori impongono ai figli sono spesso norme che veicolano rispetto e conformità all’autorità. Possiamo ipotizzare che nelle famiglie di estrazione operaia, in cui è più marcato un sistema normativo basato sul
rispetto, sul controllo, sull’obbedienza, possa nascere da parte dei figli
una reazione di allontanamento e di non coinvolgimento dei genitori in
questioni che riguardano la loro esistenza. Potrebbe essere questa una
possibile spiegazione del fatto che all’interno della classe operaia il numero delle famiglie in cui esistono relazioni asimmetriche senza dialogo
da parte dei figli, sia quasi il doppio rispetto alle altre classi sociali.
di riconoscimento da parte dei figli dell’autorità esercitata dai genitori, i figli non li coinvolgono
nelle loro decisioni) prevalgano regole che veicolano rispetto e obbedienza mentre nelle famiglie
in cui i genitori non intervengono nei processi decisionali dei figli vi è una consistente presenza di
regole che promuovono autonomia e responsabilizzazione (χ2 = 22,742; p = 0.001).
44
Non è detto che necessariamente un’educazione autoritaria produca dei
figli ribelli, questa può essere una conseguenza estrema delle relazioni
esistenti in famiglia (e che in realtà sovvertirebbe l’obiettivo che i genitori si sono posti, ovvero insegnare l’obbedienza e il controllo) ma non
l’unica. Ciò che stiamo riscontrando è che esiste una relazione tra alcuni
elementi: classe sociale di appartenenza della famiglia d’origine, tipo di
educazione impartita ai figli e clima familiare (per la precisione modalità
di interazione tra genitori e figli)31.
L’individuazione di differenti stili educativi e di diverse tipologie di relazioni di autorità in famiglia porta a interrogarci sulle reazioni di genitori
di background socio-culturale diverso e con approcci educativi differenti
nel momento in cui i figli violano le regole stabilite.
Soffermiamoci per il momento sulla parte inferiore della tab. 10 (pag. 46).
Il dato riferito al campione nella sua totalità indica che più della metà dei
genitori (58%) non punisce il figlio che ha infranto una regola di convivenza familiare ma discute insieme a lui/lei il comportamento sbagliato o
scorretto. I genitori si dimostrano aperti al dialogo e al confronto, e sono
orientati a capire le ragioni che hanno condotto i figli a violare le norme
stabilite in famiglia.
Non è detto che vi sia, del tutto, assenza di sanzioni in queste famiglie
(come vedremo meglio quando parleremo del tipo di punizioni attuate dai
genitori) ma piuttosto che padre e madre siano, tendenzialmente, propensi
a discutere con i figli e quindi a prendere in considerazione le loro motivazioni. Si tratta di un comportamento che è rintracciabile maggiormente
nelle famiglie di ceto medio-alto (da 65% della classe superiore al 62%
della classe autonoma) e in quelle con un background formativo più elevato (alto e medio alto: 63-64%).
Un altro comportamento che viene messo con frequenza in atto dai genitori è quello di punire in assenza di valide giustificazioni del proprio
comportamento da parte dei figli: si tratta di un atteggiamento che non
esclude a priori l’ascolto (anche se finalizzato a determinare la validità
delle giustificazioni del figlio) ma a differenza del precedente stabilisce
chiaramente che il ruolo del genitore è quello di validare o meno le moti31 E’ da notare inoltre che tale relazione tra classe sociale e relazioni di autorità in famiglia è analoga se disaggreghiamo il dato per le diverse classi di età.
45
vazioni che hanno condotto il figlio a violare la regola, è il genitore il
giudice ultimo del comportamento del figlio.
Tab.10 – Le regole violate: come reagiscono i genitori e come dovrebbero reagire
secondo i figli
Come dovrebbero reagire i
genitori secondo i figli ….
Punire
comunque
In assenza di
valide giustificazioni, punire
Non punire ma
discutere il
comportamento
del figlio
Lasciar correre
N (validi)
…come si sono
comportati i
genitori con i
figli
Puniscono comunque
In assenza di
valide giustificazioni, puniscono
Non puniscono
ma discutono il
comportamento
del figlio
Lasciano
correre
N (validi)
5,1
Livello di scolarità dei
genitori (% di colonna)
Medio
Medio Basso
Superiore Impiegatizia Autonoma Operaia Alto
Alto
5,0*
4,0*
7,3
4,5
2,4* 3,1*
6,3
7,1*
17,8
15,7
20,4
18,9
18,0
24
16,2
20,5
11,6
73,7
77,8
74,7
71,6
74,1
72,6
78,2
71,0
72,8
3,3
1985
1,5*
338
% sul
totale
Classe sociale di appartenenza dei genitori
(% di colonna)
0,9*
2,3*
3,4*
328
440
738
N (validi)=1844 (χ2 non significativo)
1*
2,4*
2,3*
8,5
208
574
800
378
N (validi)=1960 χ2 =68,714;
p=0,000
%
Superiore Impiegatizia Autonoma Operaia Alto
Medio
Medio Basso
Alto
9,1
7,8 *
8,5*
10,6
8,8
5,3*
7,5
10,0
11,4
27,2
25,5
27,1
22,0
32,2
28,4
25,4
28,3
28,7
58,5
64,6
60,1
62,2
52,4
63,0
64,1
56,0
52,7
5,0
2,1*
4,3*
5,2*
6,6
3,4*
3,0*
5,7
7,2*
1987
333
328
445
742
N (validi)=1848; χ2 =30,824; p=0.000
208
574
803
376
N (validi)=1961 χ2 =26,476;
p=0.002
Fonte: Gruppo di ricerca sui meccanismi di socializzazione, 2003 *N<30
Quasi un terzo dei giovani di estrazione operaia dichiara che i genitori
hanno tenuto questo comportamento nei loro confronti mentre solo un
46
quarto (o meno) dei giovani appartenenti alle altre classi sociali si trova
nella medesima situazione.
Il livello di istruzione, che complessivamente determina differenze marcate tra le classi per quanto riguarda in generale il comportamento dei
genitori, in questo caso specifico non sembra incidere in modo rilevante
come si può vedere dai valori che possiamo riscontrare in tab.10, (fanno
eccezione le famiglie di genitori diplomati, meno orientati, secondo quanto riferito dai figli, a mettere in atto questo comportamento). Solo una
minoranza di genitori (9%) è pronta a punire comunque, senza accettare
giustificazioni, la violazione di una norma. In linea con quanto emerso
dall’analisi delle regole di convivenza familiare, sono le famiglie di estrazione sociale medio – bassa (la classe dei lavoratori autonomi e degli
operai) a utilizzare con una certa frequenza la punizione tout-court.
Si tratta di nuclei familiari in cui prevale un orientamento educativo basato sul rispetto da parte dei figli dell’autorità genitoriale (che come vedremo negli ultimi paragrafi non riguarda solo le regole operative ma gli insegnamenti più profondi che i genitori hanno passato ai figli) e in cui,
come già è emerso dalla ricerca di Kohn, l’obiettivo perseguito dai genitori è che i figli imparino ad uniformarsi alle regole, senza eccezioni.
Va sottolineato, comunque, che questa modalità di comportamento riguarda una minoranza di famiglie di estrazione operaia, la metà del campione è costituita da famiglie che dialogano con i figli. Il punto della questione è che è più frequente rintracciare la modalità della punizione toutcourt in questo tipo di famiglie piuttosto che in famiglie di estrazione sociale elevata. Come sappiamo, molto spesso ad un livello di estrazione
sociale basso è associato un basso livello di scolarità e queste due caratteristiche incidono sulle pratiche educative messe in atto dai genitori. Non
possiamo certo estendere in modo generico a tutte le famiglie provenienti
dallo stesso ceto sociale dei pattern di comportamenti che sono sicuramente in relazione con altre caratteristiche biografiche o di contesto: tuttavia sapere in quale retroterra culturale e economico si sono formati i
giovani intervistati, è un dato utile per ricostruire una cornice di riferimento all’interno della quale collocare le scelte valoriali effettuate dai figli.
Sono, infine, un’esigua percentuale (5%) i genitori che rinunciano completamente alla punizione e ignorano (in media) la violazione delle rego-
47
le. E’ difficile dire se ci sono relazioni con l’appartenenza di classe o con
il livello di scolarità dei genitori, considerata la scarsità di casi. Sembrerebbe comunque che all’interno dello strato sociale più basso questa modalità di comportamento è messa in atto da sette genitori su cento.
Ma i figli cosa pensano? Quale sarebbe, secondo loro, il comportamento
giusto che un genitore dovrebbe mettere in atto di fronte alla violazione
delle regole?
Non stupisce che la maggior parte dei giovani, (74%), sostenga che i genitori non dovrebbero punire ma discutere le motivazioni che hanno condotto alla violazione della regola. Vi è comunque quasi un quinto degli
intervistati che ritiene che, se non ci sono giustificazioni valide, i genitori
dovrebbero sanzionare la violazione. Sono pochi i ragazzi e le ragazze
secondo cui i genitori dovrebbero punire in ogni caso (5%) e ancora meno (3%) quelli che si schierano per l’assenza di intervento da parte dei
genitori di fronte allo sbaglio dei figli.
Abbiamo cercato di capire se vi è una relazione tra comportamento effettivo dei genitori e comportamento ideale indicato dai figli. Per questo
controllo abbiano semplificato il comportamento dei genitori, distinguendo tra quelli che puniscono (con o senza valide giustificazioni) e coloro
che non puniscono (discutono o lasciano correre). Allo stesso modo abbiamo compresso in due sole modalità l’atteggiamento dei figli rispetto a
quella che dovrebbe essere la reazione ideale dei genitori.
La combinazione delle risposte delinea un quadro interessante (cfr. tab.
11): il 43% dei figli che subiscono punizioni sostiene che un genitore dovrebbe punire la violazione delle regole mentre solo l’11% di coloro che
hanno genitori che non sanzionano sostiene il medesimo comportamento
(l’88% si posiziona invece sul versante dell’assenza di punizione). Sembrerebbe, quindi, esistere una relazione piuttosto stretta tra modello comportamentale dei genitori e modello educativo che idealmente i giovani
vorrebbero vedere realizzato. Ci troviamo in una situazione in cui i figli
hanno interiorizzato il modello educativo dei genitori? Sembrerebbe di sì,
almeno per quanto riguarda le famiglie poco punitive. Sostanzialmente la
quasi totalità dei figli che hanno genitori che non puniscono riproporrebbe lo stesso modello educativo, mentre solo due quinti di coloro che hanno genitori che puniscono ritiene adeguato che un genitore punisca il figlio quando non rispetta le regole.
48
Non sono solo le caratteristiche socio-culturali ad essere in relazione con
il comportamento dei genitori in frangenti di violazione di regole. Anche
tra modalità relazionali esistenti in famiglia e modalità di comportamento
della coppia genitoriale esiste una relazione significativa32.
Tab.11 – Atteggiamento di fronte alle regole violata: genitori e figli a confronto
I figli pensano che ......
I genitori dovrebbero punire i figli quando
violano le regole
I genitori non dovrebbero punire i figli quando
violano le regole
In famiglia quando le regole non sono rispettate....
....i genitori puniscono
...i genitori non puniscono
i figli
i figli
43,0
11,2
57,0
88,8
723
χ2 =263,576; p=0.000; N=1975
Fonte: Gruppo di ricerca sui meccanismi di socializzazione, 2003
1252
I genitori delle famiglie che hanno instaurato al loro interno relazioni
basate sul dialogo e sul confronto, tendono nella maggior parte dei casi (68%) a non sanzionare la violazione delle norme di convivenza
mentre solo la metà delle famiglie fondate su relazioni autoritarie e di
quelle dei nuclei familiari in cui i figli hanno una debole accettazione
dell’autorità paterna e materna, mette in atto questo tipo di comportamento. Nelle famiglie in cui vi è una generale tendenza da parte dei
genitori a non esercitare un controllo sui figli (assenza di autorità) il
40% comunque punisce l’infrazione della regola.
2.5 La violazione delle regole e le punizioni previste dai
genitori
La nostra riflessione si è per ora concentrata solo sull’atteggiamento dei
genitori (secondo il resoconto fatto dai figli) in occasione di eventuali
violazioni delle regole. Abbiamo accertato che la maggior parte dei genitori (58%) è orientata a non punire e a discutere le motivazioni dei figli.
Rimane comunque una consistente parte di genitori (35-36%) che punisce
32
χ2 =136,119; p=0.000.
49
i propri figli quando non rispettano le regole familiari. Ma che tipo di
sanzioni utilizzano i genitori? Ed è proprio vero che la maggior parte dei
genitori non punisce i figli?
Tab.12 – Tipi di punizioni usate dai genitori nei confronti dei figli
‘Che tipo di punizione hanno usato prevalentemente i tuoi genitori per la tua
educazione?’
Mi ignoravano ed evitavano di parlarmi
Mi facevano pesare di averli fatti stare male
Mi ammonivano severamente
Mi imponevano delle restrizioni
Mi rimproveravano fino ad arrivare alla punizione fisica
Non ricordo particolari punizioni
N
Fonte: Gruppo di ricerca sui meccanismi di socializzazione, 2003
%
4,5
17,0
26,4
23,3
3,0
25,9
1955
Osservando la tab.12 notiamo che i giovani che non ricordano alcun tipo
di punizione rappresentano solo un quarto del campione, sicuramente
meno di quanti ci si aspetterebbe dalle distribuzioni di percentuali viste in
precedenza (cfr. a pag. 46), che riguardano, tuttavia, una situazione specifica, cioè il caso della violazione di regole. Tra le diverse sanzioni utilizzate dai genitori prevalgono l’ammonizione severa (26%) e l’imposizione
di restrizioni (23%). Solo un sesto dei genitori utilizza sanzioni basate
sulla pressione psicologico-affettiva (fanno pesare ai figli di averli fatti
stare male). Sono, infine, pochi i genitori che come forma di sanzione
decidono di ignorare i figli e ancora meno quelli che arrivano alla punizione fisica.
Se mettiamo in relazione le dichiarazioni dei giovani sul tipo di punizioni
utilizzato dai genitori con le risposte alla domanda sul comportamento
dei genitori in caso di infrazione delle regole (cfr. tab. 13) notiamo che
esiste effettivamente una relazione tra comportamento generale e tipo di
punizione scelta: i genitori che generalmente puniscono le infrazioni tendono ad usare come strumenti di sanzione l’imposizione di restrizioni
(39%) (si pongono in una logica di controllo e intervento) e
l’ammonizione (29%), e solo il 6% non punisce. Coloro, invece, che generalmente non puniscono nel momento in cui viene violata una regola, si
dividono in due gruppi, uno costituto da genitori che effettivamente non
utilizzano alcuna forma di punizione (38%) e un altro (62%) che, invece,
50
utilizza nelle pratiche educative anche forme di punizione. In questo
gruppo però i genitori si affidano più frequentemente all’ammonizione
(punizione forse meno severa, non vi è un intervento sulle libertà conquistate dal figlio) e alla pressione affettiva, facendo rimarcare ai figli la sofferenza derivante dal comportamento scorretto da loro attuato. Praticamente nessuno dei genitori tendenzialmente più aperti al dialogo utilizza
forme di punizione fisica che invece sono attuate dal 7% dei genitori che
sanzionano i figli.
Rimane ancora oscura l’apparente incoerenza tra le risposte date alle due
domande. Per entrare più nel dettaglio dei meccanismi familiari che stanno alla base del sistema di premi e punizioni messo in atto dai genitori
avremmo bisogno di informazioni più dettagliate che contestualizzino sia
la violazione (per quale regola è più facile che scatti la punizione) sia la
punizione (è molto probabile che esistano delle punizioni specifiche e che
alcune violazioni siano considerate più gravi di altre e quindi meritevoli
di maggiore severità). Non avendo queste informazioni è possibile fare
solo qualche congettura.
In primo luogo la domanda relativa all’atteggiamento dei genitori in caso
di infrazione di regole chiedeva agli intervistati di focalizzarsi su
un’interazione precisa, cioè sul comportamento dei genitori in caso di
violazioni di norme di convivenza familiare.
Nel secondo caso, invece, viene chiesto di indicare il tipo di punizione
che i genitori hanno prevalentemente usato per educare i figli, in pratica
si richiede un bilancio più generale dell’operato dei genitori e non di focalizzarsi su un tipo di relazione precisa.
Probabilmente in quest’ambito entrano in gioco anche caratteristiche peculiari del figlio, l’età, ad esempio, sembra essere una variabile che crea
differenze di comportamento: i ragazzi tra i 24 e i 29 anni sono più puniti
dai genitori rispetto agli intervistati più giovani (40% contro 35% dei 2024enni e 33% dei 16-19enni).
Il tipo di punizione indicata con maggior frequenza dai giovani di questa
classe è l’ammonizione. Ai più giovani (16-19 anni) sono invece riservate
con maggior frequenza (29% rispetto a 24% della classe 20-24 e 19% dei
giovani adulti) restrizioni delle libertà acquisite in famiglia.
In più, come si può vedere dalla tab. 13 le modalità relazionali esistenti in
famiglia sembrano essere in relazione con il tipo di sanzione adottata dai
51
genitori. Più di un terzo dei figli che vivono in famiglie in cui i genitori
intervengono poco nelle loro decisioni (mancanza di autorità), sostengono di non ricordare alcuna punizione particolare.
Tab.13 – Tipi di punizioni in relazione al comportamento dei genitori di fronte alla
violazione delle regole e al tipo di relazioni esistenti in famiglia
Che tipo di punizione
hanno usato prevalentemente i tuoi genitori
per la tua educazione?
Comportamento dei
genitori di fronte alla
violazione delle regole
(% di colonna)
Puniscono Non puniscono
4,8
4,3
Relazioni d’autorità in famiglia
Autorità
assoluta
7,9*
Autorità
normale
3,2
Mancanza
di autorità
6,7*
Mi ignoravano ed evitavano di parlarmi
Mi facevano pesare di
14,5
18,2
21,1*
17
13,0*
averli fatti stare male
Mi ammonivano
29,2
24,9
13,2*
27,1
21,5
severamente
Mi imponevano delle
38,9
14,0
39,5
23,5
18,8
restrizioni
Mi rimproveravano
6,9
0,7*
5,3*
2,4
4,0*
fino ad arrivare alla
punizione fisica
Non ricordo particolari
5,7
37,7
13,2*
26,8
35,9
punizioni
100
100
100
100
100
N (validi)=1942; 1949
(723)
(1219)
(76)
(1275)
(223)
χ2 =356,160; p=0.000
Fonte: Gruppo di ricerca sui meccanismi di socializzazione, 2003 *N<30
Ribellione
6,7*
17,6
29,6
21,9
4,5*
19,7
100
(375)
Infine, anche la classe sociale di appartenenza e il livello di scolarità dei
genitori influenzano i tipi di punizioni messi in atto33: i genitori dei ceti
alti preferiscono imporre restrizioni ai figli (27%) mentre quelli della
classe impiegatizia li ammoniscono (29%). I genitori che appartengono
alla classe autonoma puniscono meno: il 33% dei ragazzi appartenenti a
questo strato sociale non ricorda punizioni particolari. Anche nelle famiglie operaie prevale l’ammonizione (29%) seguita dall’imposizione di restrizioni (21%) ma vi è anche un quarto di genitori che non utilizza particolari forme di punizione.
Entrambe le relazioni sono risultate statisticamente positive: χ2 =42.666; p=0.000; χ2 =42,612;
p=0.000.
33
52
Il livello culturale dei genitori ha effetti soprattutto per quanto riguarda
l’assenza /presenza di punizioni: più di un quarto dei genitori con capitale
culturale medio-basso non punisce i figli, mentre si comporta in questo
modo il 20-22% dei genitori più istruiti. Questi ultimi sembrano privilegiare l’utilizzo di restrizioni come mezzo punitivo per i figli mentre i genitori meno istruiti privilegiano l’ammonizione.
Non abbiamo riscontrato, invece, differenze rilevanti legate al genere per
quanto riguarda la reazione dei genitori di fronte alla violazione delle regole: figli e figlie, se violano le regole, suscitano nei genitori reazioni analoghe.
Differisce però il tipo di punizione utilizzata34: i ragazzi sono tendenzialmente ammoniti severamente dai genitori (27% contro 25%), mentre
alle ragazze sono imposte restrizioni (25% contro 21%). Sono in numero
maggiore i ragazzi (18% contro 16%) a indicare che i genitori come sanzione per la violazione delle regole fanno pesare loro il dolore provocato
dal comportamento scorretto. Sono, invece, di più le ragazze (26% contro
25%) a non ricordare particolari punizioni per le violazioni commesse.
34
χ2 =11, 553; p=0.041.
53
54
3. Genitori e figli:
elementi di distanza
e di convergenza
3.1 Oltre le regole operative: che cosa hanno insegnato i
genitori ai figli?
Finora abbiamo preso in considerazione le regole operative che le famiglie di estrazione sociale diversa privilegiano nell’educazione dei figli. Si
tratta di norme pratiche che devono regolare la quotidianità e strutturare
la convivenza. Possiamo, quindi, interpretarle in senso lato come la traduzione operativa di valori parentali più astratti, che sono alla base delle
scelte educative della famiglia stessa. Nella ricerca sui giovani e i meccanismi di socializzazione, una sezione del questionario è stata dedicata a
rilevare proprio ciò che i figli pensano che i genitori abbiano insegnato
loro. Possiamo pertanto verificare se la relazione individuata tra regole e
classe sociale si può estendere anche agli insegnamenti trasmessi dai genitori35.
35 Agli intervisti è stato chiesto ‘Se dovessi fare un bilancio della tua esperienza, che cosa hai imparato dai
tuoi genitori? (scegli al massimo tre risposte)’. La presentazione delle percentuali di risposta su tutto
il campione è stata inserita nel paragrafo successivo.
55
Tab. 14 - Insegnamenti ricevuti dai genitori in relazione alla loro appartenenza di
classe e al loro livello culturale36
INSEGNAMENTI
RICEVUTI
- Essere educato e
cortese
- Obbedire alle
autorità
CLASSE SOCIALE DI APPARTENENZA DEI GENITORI (%)
Superiore
Impiegatizia
Autonoma
Operaia
LIVELLO DI SCOLARITA’
DEI GENITORI (%)
Alto
Medioalto
Medio
Basso
Insegnamenti che promuovono rispetto e obbedienza
65,7
65,9
64,9
66,3
66,8
65,0
67,3
60,8
18,3
16,6
16,1
23,4
16.1
15,8
20,6
21,6
Insegnamenti che promuovono collaborazione e responsabilizzazione
- Collaborare con
gli altri
- Essere aperto al
confronto
- Avere fiducia negli
altri
- Rispettare gli impegni
- Essere autonomi e
pensare con la propria testa
- Far valere le proprie idee
- Sapersi arrangiare
in ogni situazione
- Cercare di essere
sempre il migliore
N (validi)
25,8
22,6
30,6
23,1
25,1
22,3
25,1
26,8
23,7
23,5
19,9
19,0
25,1
25,3
19,2
19,1
21,1
16,4
16,8
22,7
15,6
20,0
18,7
22,9
50,5
46,7
49,3
48,0
49,2
48,9
47,4
46,4
56,5
56,9
53,7
51,7
54,5
60,7
53,2
42,5
Insegnamenti che promuovono autodeterminazione e
capacità di riuscire
26,2
28,2
29,5
23,5
27,0
23,8
28,2
28,3
30,4
27,2
34,4
34,7
20,1
31,8
30,2
42,6
13,3
16,3
12,9
16,5
15,4
14,3
13,4
23,0
338
329
445
740
210
573
Fonte: Gruppo di ricerca sui meccanismi di socializzazione, 2003
805
379
Gli insegnamenti che abbiamo preso in considerazione possono essere
ricondotti a tre categorie di base: 1) insegnamenti volti a promuovere ri36 Le percentuali sono riferite ai casi; il formato della domanda prevede la possibilità di tre risposte al massimo, da indicare tra le alternative presentate in tab.14. La percentuale complessiva è
pertanto superiore a 100. Dai controlli effettuati sono risultate significative le relazioni tra
l’appartenenza di classe e i seguenti insegnamenti: disponibilità a collaborare con gli altri, avere
fiducia negli altri, e disponibilità ad obbedire alle autorità. Sono risultate, inoltre, significative le
relazioni tra capitale culturale e i seguenti insegnamenti: essere autonomi e pensare con la propria
testa, essere aperto al confronto, sapersi arrangiare in ogni situazione, obbedire all’autorità, cercare di essere sempre il migliore.
56
spetto e obbedienza (essere educato, obbedire alle autorità e avere rispetto degli altri37); 2) insegnamenti volti a promuovere collaborazione e responsabilizzazione (collaborare con gli altri, essere aperto al confronto,
avere fiducia negli altri, rispettare gli impegni presi, essere coerenti); 3)
insegnamenti volti a promuovere autoderminazione, capacità di riuscire
(essere autonomi e pensare con la propria testa far valere le propri idee,
sapersi arrangiare e cercare di essere il migliore).
Come possiamo vedere dalla tab.14, la relazione tra capitale socioculturale dei genitori e insegnamenti trasmessi ai figli non è del tutto simile a quella riscontrata per le regole operative.
Esiste ancora una relazione, ma che presenta sfumature diverse, più complesse, rispetto a quanto emerso in precedenza.
Partiamo dalle congruenze con quanto è emerso dai paragrafi precedenti:
abbiamo visto che le famiglie di classe superiore e quelle di ceto medio,
seppur con qualche differenza tra classe impiegatizia e classe autonoma,
privilegiano regole che aiutano i figli a sviluppare autonomia e senso di
responsabilità, mentre le famiglie di estrazione operaia prediligono norme
che insegnano ai figli a rispettare l’autorità costituita. Se analizziamo gli
insegnamenti che sono stati trasmessi dai genitori ai figli (secondo quanto
emerge dalle dichiarazioni di questi ultimi), ci accorgiamo che gli intervistati dei ceti benestanti e dei ceti medi indicano con maggiore frequenza,
oltre all’essere educato e cortese (su cui insistono tutti i genitori), la capacità di essere autonomi e di pensare con la propria testa. Anche se la
differenza in punti percentuali non è elevata, si può apprezzare una costante diminuzione di giovani che citano tale insegnamento passando dal
ceto superiore alla classe operaia. Un altro insegnamento che si colloca
nella stessa area è la disponibilità ad essere aperti al confronto: sono soprattutto i giovani delle classi superiori (24%) e della classe impiegatizia
(23%) a considerarlo parte del loro bagaglio educativo; la percentuale scende, ed è praticamente analoga per i figli di lavoratori autonomi e operai.
I genitori degli strati più abbienti e quelli della classe dei lavoratori autonomi e degli artigiani sembrano insistere, più degli altri, sulla collaborazione mentre il rispetto per gli impegni presi sembra essere un insegnamento importante (lo cita in media la metà degli intervistati) a prescinde37 Questo item e quello relativo all’essere coerenti sono stati indicati soltanto da 3 soggetti, per
questo motivo non compaiono nella lista di insegnamenti presentata in tab. 14.
57
re dall’appartenenza di classe. Questo dato si discosta da quanto è emerso
studiando le regole operative. Abbiamo, infatti, visto che i figli dei ceti
superiori indicavano più degli altri la presenza di questa regola in famiglia. Non è del tutto lecito, comunque, aspettarsi una perfetta connessione
tra regole e insegnamenti dal momento che, come abbiamo già ricordato,
le norme hanno un carattere più operativo e se vogliamo formale, sono
esplicitate chiaramente dai genitori, possono essere oggetto di contrattazione e talvolta di conflitto. Gli insegnamenti più generali a cui facciamo
ora riferimento sono strettamente connessi con il sistema valoriale (si riferiscono cioè all’orizzonte delle mete perseguite) dei genitori che è, probabilmente, meno esplicitato verbalmente, meno oggetto di discussione
in famiglia (a parte le situazioni di chiaro conflitto tra genitori e figli) e
passa anche attraverso il comportamento stesso dei genitori.
Un altro dato interessante è rappresentato dalla fiducia negli altri: i genitori della classe operaia sono quelli che incentivano di più la fiducia
(23%), insieme a quelli della classe superiore (21%). I ceti medi promuovono meno questo tipo di insegnamento (16%), ma insegnano a sapersi
arrangiare in ogni situazione (soprattutto la classe autonoma con il 34%
delle risposte, analoga percentuale la riscontriamo nelle risposte dei giovani di classe operaia) e a cercare di essere sempre il migliore (soprattutto la classe impiegatizia con il 16%, anche in questo caso la stessa percentuale dei ragazzi di bassa estrazione sociale). Questo sembra mettere
in campo un altro tipo di distinzione tra stili educativi: si tratterebbe non
tanto - o solo - di una distinzione tra insegnamenti volti all’auto o
all’eterodirezione ma - anche - di una distinzione tra orientamento individualistico (ciascuno per sé) e orientamento alla appartenenza di gruppo.
Non sembra essere questo un dato del tutto inaspettato. Da alcuni studi
sociologici, infatti, è stato rilevato che nei bambini di classe media esiste
una chiara motivazione al successo. Tale motivazione inizia a svilupparsi
in età prescolare e si realizza pienamente durante gli anni di formazione
scolastica. La positiva valutazione di sé, connessa con la motivazione
stessa ad eccellere, è poi oggetto di rinforzo positivo nel momento in cui
sono raggiunti i risultati prefissati. Per i genitori della classe media le pratiche di socializzazione che promuovono la capacità di riuscire e di primeggiare rispondono alla loro preoccupazione di assicurare ai figli, inizialmente il raggiungimento della loro posizione sociale (che non è ga-
58
rantita dall’esistenza di patrimoni di famiglia, o da professioni prestigiose
dei genitori, come succede per i ceti superiori) e in un secondo momento
di migliorare la propria posizione sociale.
Questa interpretazione sembra sostenibile per la classe impiegatizia, che
oltre a non poter tramandare un patrimonio economico tale da consentire
un avanzamento della posizione economica dei figli, non può neppure
contare su un’attività economica avviata che garantisca per lo meno lo
status quo, come può accadere invece nella famiglie di commercianti e
artigiani. E questo spiegherebbe anche perché i genitori che occupano
queste posizioni sociali sono meno interessati a veicolare sentimenti di
fiducia negli altri o di collaborazione che sono più adatti per instaurare
forme di solidarietà collettiva ma meno adeguati per comportamenti orientati alla competitività e all’individualismo come in questo caso. Risulta infine coerente con questo modello il fatto che i genitori delle
classi medie insistano con più frequenza sulla capacità di far valere le
proprie idee (29%).
Allo stesso modo è comprensibile che per i genitori delle classi agiate sia
meno importante trasmettere ai figli la propensione a essere i migliori:
come ricordano Bagnasco et al. (1997) lo status sociale della famiglia è in
grado di riparare i figli da possibili rischi di insuccesso, e i genitori, considerata la grande disponibilità di risorse economiche, sentono meno
l’esigenza di dover fornire ai figli strumenti (anche psicologici) per fronteggiare le situazioni difficili. E’ anche possibile, però, che i figli delle
classi superiori non sentano esplicitamente la necessità di primeggiare
perché già si trovano in una situazione di partenza favorita. Può essere
cioè che a questi giovani non manchi l’ambizione ma che non sentano la
necessità di mostrarla sempre e comunque.
Forse il dato più in contro tendenza, è rappresentato dai giovani della
classe operaia: il 16% indica che i genitori hanno incentivato la predisposizione al successo, contro il 13% dei ragazzi di ceto superiore (la differenza però non è statisticamente significativa). In base agli studi che abbiamo esaminato ci si sarebbe aspettati che le scarse possibilità di realizzare mete sociali elevate connesse con un’appartenenza di classe non prestigiosa influenzassero in modo direttamente proporzionale le motivazioni al successo e che quindi i genitori fossero meno propensi a veicolare
modelli basati sulla competitività individuale. Le risposte degli intervista-
59
ti sembrano allontanarsi da questo modello: i genitori, non solo incentivano la disponibilità a primeggiare, ma anche la capacità di sapersi arrangiare in caso di difficoltà. Tuttavia il fatto stesso di appartenere ad una
classe sociale meno garantita delle altre può diventare un fattore propulsivo di insegnamenti in grado di promuovere caratteristiche personali adatte a fronteggiare situazioni di difficoltà: in altre parole è plausibile
pensare che i genitori delle classi meno abbienti, anche se all’interno del
menage familiare prediligono regole orientate al controllo e
all’obbedienza, cerchino, invece, con i loro comportamenti e con i loro
insegnamenti più generali, di trasmettere ai propri figli gli ‘strumenti’ necessari per far fronte a quelle difficoltà che probabilmente affronteranno.
Rimane, invece, confermata la tendenza a promuovere maggiormente il
rispetto per l’autorità (23%), a differenza di quanto accade nelle altre
classi sociali.
Il livello di scolarizzazione dei genitori, come l’appartenenza di classe,
influisce sul processo educativo favorendo la trasmissione di certi insegnamenti a scapito di altri. I genitori più istruiti (alto titolo di studio)
promuovono di più caratteristiche come l’educazione e la cortesia, la capacità di essere autonomi e saper pensare con la propria testa, la predisposizione a rispettare gli impegni presi e la disponibilità al confronto;
trasmettono invece meno la fiducia negli altri (e questo è un dato inaspettato, anche se non statisticamente significativo), la capacità di arrangiarsi
e la motivazione a primeggiare. I genitori meno istruiti (livello basso di
scolarità) promuovono la capacità di sapersi arrangiare, la fiducia e la
collaborazione con gli altri (le differenze non sono però rilevanti), la motivazione al successo e l’obbedienza.
Sono i figli dei genitori più istruiti a dichiarare con maggiore frequenza
che madre e padre li hanno aiutati a crescere e hanno trasmesso fiducia in
sé e sicurezza, mentre i figli dei genitori con un livello di istruzione più
basso sostengono maggiormente che i loro genitori sono più preoccupati
della loro riuscita sociale che dei loro problemi personali38.
38 Gli item qui brevemente presentati fanno parte di una batteria di domande Likert, illustrata
nella sua totalità nel paragrafo successivo. In riferimento a queste due dimensioni agli intervistati
è stato chiesto: Ti chiediamo ora di dire se i tuoi genitori hanno tenuto nei tuoi confronti i comportamenti che
ora ti leggerò: 1) mi hanno aiutato a crescere serenamente, dandomi fiducia e sicurezza; 2) erano/sono più preoccupati della mia riuscita sociale che dei miei problemi personali. Le modalità di
60
3.2 La trasmissione dei valori fra l’insegnamento dei genitori
e le aspettative dei figli
Le regole rappresentano l’aspetto esplicito del sistema normativo della
vita familiare, ma sono anche la traduzione (in senso lato) dei valori dei
genitori. E’ quindi attraverso le regole, così come attraverso l’esempio, lo
stile di vita, che sono trasmessi ai figli comportamenti, valori, orientamenti.
La tabella seguente riporta alcuni comportamenti che i genitori hanno
messo in atto nei confronti dei figli.
Tab. 15 – I tuoi genitori hanno tenuto nei tuoi confronti i seguenti comportamenti?39
% di coloro che rispondono
‘sì, decisamente’ e sì abbastanza’
16-19
20-24
25-29
93,5
92,0
86,0
- Mi hanno aiutato a crescere, dandomi fiducia e sicurezza
- Hanno dedicato molto più tempo al lavoro che alla vita
di famiglia
20,6
26,6
- Mi hanno sempre stimolato a dare il meglio di me nelle
varie circostanze
93,0
90,4
- In diverse occasioni hanno preteso troppo da me
36,1
33,2
- Erano/sono molto più preoccupati della mia riuscita sociale che dei miei problemi personali
24,7
19,4
- Sono per me un punto di riferimento morale
88,2
87,8
- Hanno vissuto o vivono troppo in funzione dei figli
51,2
49,5
N (validi) 16-19=474; N (validi) 20-24=691; N (validi) 25-29=835.
Fonte: Gruppo di ricerca sui meccanismi di socializzazione, 2003
28,9
86,2
33,7
22,8
85,6
55,7
I risultati evidenziano come, nelle diverse fasce d’età, si ritrovano ambienti
familiari simili, in cui si muovono delle figure genitoriali che danno fiducia e sicurezza e che rappresentano un punto di riferimento morale.
Se da un lato, tale risultato conferma la tesi, soprattutto di psicologi (Pietropolli Charmet, 2000; Csikszentmihalyi, 2002) che sostengono come il
clima familiare in cui si muove l'adolescenza sia caratterizzato – più che
in passato e più rispetto alle fasi d’età successive - da figure genitoriali
risposta contemplate sono le seguenti: sì, decisamente, sì abbastanza, no, non molto, no, per
niente.
39 Gli item riguardano la domanda: ‘I tuoi genitori hanno tenuto nei tuoi confronti i comportamenti che ora ti leggerò e quanto?’ Le risposte previste erano: sì, decisamente; sì abbastanza; no,
non molto; no per niente. Nella tabella presentata, si presentano i risultati relativi alle modalità di
risposta ‘sì, decisamente e sì, abbastanza’.
61
che rimarcano soprattutto il sostegno affettivo, nonché l’essere più autorevoli che autoritari, da un altro lato però stupisce come possa essere simile a quello delle altre fasce d’età, in particolare dei giovani adulti.
Accanto all’ipotesi di un’immagine familiare statica, che nel tempo – nonostante l’assunzione di nuovi ruoli e di nuove responsabilità da parte dei
figli – mantiene immutato il sistema normativo e l’atteggiamento dei genitori nei confronti di giovani adulti40, se ne affianca un’altra. Infatti, per
questa fascia di età i dati sintetizzati nella tabella forse potrebbero essere
letti con uno sguardo alla loro storia educativa, e non solo al presente.
Può essere corretto presumere che i figli adulti tentino di fare un bilancio
di ciò che hanno vissuto nel loro percorso di crescita nel momento in cui
presentano i genitori come figure che, da un lato, hanno dedicato più
tempo al lavoro che alla famiglia e agli affetti e, d’altra parte, hanno vissuto la loro vita troppo in funzione dei figli. Sono risposte la cui contraddittorietà forse è solo apparente, poiché tali atteggiamenti genitoriali potrebbero essere le due facce di una stessa medaglia, ossia quella
dell’affetto e del sostegno che passa attraverso la sicurezza economica.
Si delinea, dunque, un ambiente familiare in cui i comportamenti – e i valori veicolati attraverso essi - restano simili nel tempo, rimandando
un’immagine di genitori che hanno avuto atteggiamenti - senza differenze
statisticamente significative per fascia di età - tesi a trasmettere ai figli
sensazioni di sicurezza e di fiducia; ad essere riconosciuti come un punto
di riferimento morale, a cui rivolgersi e con cui confrontarsi, ma secondo
logiche consultive e non vincolanti; a stimolare i figli ad esprimersi e a
comportarsi sempre al meglio delle loro possibilità nelle varie situazioni
in cui si trovano.
Tale quadro può essere articolato presentando i dati delle risposte ad altre
due domande poste ai giovani intervistati: ‘Se dovessi fare un bilancio
della tua esperienza, cosa hai imparato dai tuoi genitori?’ e ‘Quali dei
40 Le ricerche sulla ‘famiglia lunga’ e, quindi, sulla permanenza dei figli giovani adulti in famiglia
offrono elementi per spiegare questa relazione ‘immutata’. In una fase della vita in cui il rapporto
genitori-figli diviene un rapporto fra adulti, i genitori hanno, inconsapevolmente, il compito di ridefinirsi, di essere genitori di adulti, di adulti che lavorano, nonché di essere uomini e donne che
si trasformano invecchiando. E forse in quest’operazione i genitori chiedono aiuto, sotto forma
di mantenimento dei legami, di conferme di un ruolo attraverso il ritrovo e la condivisione di
momenti ‘di famiglia’, nonché il rispetto del loro ruolo come genitori, anche quando i figli diventano adulti e autonomi.
62
seguenti aspetti andrebbero secondo te valorizzati nell’educazione di un
figlio?’. Fra ciò che è stato e ciò che è desiderato sembrerebbe esserci
una certa convergenza. Ciò non significa un atteggiamento acritico e
un’accettazione senza condizioni di quanto trasmesso dai genitori, che
farebbero dei figli dei replicanti dei loro genitori, ma piuttosto di figli con
‘uno sguardo alla famiglia e uno sguardo al mondo’. Infatti, secondo le
indicazioni emerse dai giovani intervistati, vengono accentuati quegli aspetti che aiutano a ‘diventare grandi e a stare nel mondo autonomamente’, piuttosto che quelli finalizzati al rispetto degli altri, sia nel senso del
mantenere un comportamento educato e rispettoso degli altri sia nel senso
di gestire responsabilmente i propri impegni.
Tab. 16. - Confronto fra cosa i figli hanno imparato dai genitori e cosa dovrebbe
essere valorizzato nell’educazione di un figlio41.
Cosa hai imparato dai genitori
Cosa andrebbe valorizzato
nell’educazione di un figlio
Percentuale dei casi
Percentuale dei casi
Essere educato e cortese
65,3
Essere autonomi e pensare
61,4
con la propria testa
Essere autonomi
53,1
Essere educato e cortese
45,5
Rispettare gli impegni presi
47,6
Rispettare gli impegni presi 35,9
Sapersi arrangiare
32,0
Far valere le mie idee
33,7
Far valere le mie idee
26,7
Essere aperto al confronto
31,4
Collaborare con altri
24,7
Sapersi arrangiare in ogni
30,7
situazione e a qualunque
costo
Essere aperto al confronto
21,5
Collaborare con gli altri
22,1
Avere fiducia negli altri
19,6
Obbedire alle autorità
16,3
Obbedire alle autorità
18,9
Avere fiducia negli altri
14,8
Cercare di essere sempre il
15,6
Cercare di essere sempre il
6,2
migliore
migliore
N (validi)=1993; risposte multiple
N (validi)=1990; risposte multiple
Fonte: Gruppo di ricerca sui meccanismi di socializzazione, 2003
La distanza fra i valori dei genitori così come sono percepiti dai figli e
quelli dei figli si misura indirettamente, anche attraverso il grado di identificazione che i secondi esprimono nei confronti dei primi.
Il 92,4% dei giovani del campione si identifica con i valori che i genitori
hanno trasmesso loro. Pertanto, anche se come abbiamo visto gli aspetti
41 Le domande del questionario a cui si fa riferimento sono: ‘Se dovessi fare un bilancio della tua
esperienze, che cosa hai imparato dai tuoi genitori?’ e ‘Quali dei seguenti aspetti andrebbero secondo te valorizzati nell’educazione di un figlio?’.
63
da valorizzare nell’educazione di un figlio si combinano in maniera differente rispetto a quella che è stata la personale esperienza, sembra esserci
una condivisione valoriale di fondo che modifica gli addendi, ma non la
somma ‘dell’operazione socializzazione’. Si tratta di una condivisione
che lega i giovani del ’68 con la generazione dei ‘figli della libertà’, che
trova d’accordo sia i più giovani che quelli più adulti, sia quelli residenti al
nord ovest che quelli residenti al sud (leggermente sotto la media si collocano i giovani del nord est con l’88,8%), sia maschi che femmine.
Anche il modello di famiglia proposto dai genitori appare condivisibile,
tanto da identificarsi con esso. Come è stato descritto nei paragrafi precedenti, le famiglie dei giovani intervistati sono però diverse per composizione (nucleare, monogenitoriale, estesa, ecc.), per classe sociale, per stile educativo (dialogico, punitivo). Come trovare una sintesi fra tale pluralità di combinazioni?
La famiglia ‘desiderata’ non è tanto la famiglia laissez faire quella a cui
guarderebbero i giovani, ma quella che è in grado di premiare e punire, di
essere d’esempio. E non sempre è quella in cui è la coppia genitoriale a essere la scelta ideale: infatti, su questo versante il consenso è pari al
57,5%42, con una tenuta maggiore al sud, più fra i maschi che fra le femmine.
Da ultimo, si possono considerare le opinioni espresse dai giovani su quali
debbano essere i diritti e i doveri di un figlio quando vive in famiglia.
Interrogati sui diritti dei figli all’interno della famiglia, i giovani rivendicano in primo luogo il diritto al sostegno affettivo dei propri genitori. Tale diritto, insieme a quelli relativi all’avere i propri spazi di libertà e ad
essere rispettati per le proprie idee e valori, indica un’esigenza di ‘riconoscimento’ e di autonomia, all’interno di un quadro di relazioni giocate sul
più sul piano affettivo che normativo.
42 La domanda del questionario a cui si riferisce la tabella è ‘Pensando ai tuoi genitori, quanto ti identifichi con…’. Gli items proposti sono: 1) il modo in cui vivono il rapporto di coppia; 2) il modo in
cui concepiscono il lavoro; 3) i valori che ti hanno trasmesso; 4) il modello di famiglia che hanno
costruito; 5) il loro giudizio sulla società e sul mondo; 6) il loro orientamento politico.
64
Tab. 17 - ‘Quali ritieni siano i tre più importanti diritti di un/una figlio/a quando
vive in famiglia?’43
I diritti dei figli secondo i giovani
Sostegno/riconoscimento
Avere il sostegno affettivo dei propri genitori
Essere rispettati per le proprie idee e valori (alimentazione, abbigliamento, acconciatura, piercing, tatuaggio, ecc.)
Avere il consiglio, l'orientamento dei genitori sul modo di perseguire le proprie aspirazioni profonde
Avere i propri spazi di libertà (per la gestione del proprio denaro,
del tempo libero, degli orari)
Poter contare sul sostegno economico dei propri genitori per le
spese extra
Regolamentazione congiunta
Frequentare le persone che vuole (amici, partner, ecc.)
Poter contrattare le regole che riguardano il/la figlio/a
Percentuale
Percentuale rifeririferita al numeta alle risposte
ro dei casi
20,6
61,6
14,6
43,7
10,1
30,7
18,2
54,2
3,1
9,4
6,3
19,1
2,1
6,4
Poter decidere del proprio futuro scolastico e/o professionale
13,1
39,6
Partecipare alle decisioni che riguardano la famiglia
11,1
33,1
N ( Risposte multiple e casi validi)
5912
1980
Fonte: Gruppo di ricerca sui meccanismi di socializzazione, 2003
In quest’ambito, è chiaro come, fra i diritti più importanti, all’ultimo posto si collochi la possibilità di contrattare le regole che riguardano i figli
stessi, mentre si ritiene un diritto poter intervenire nelle decisioni che riguardano la famiglia. Le risposte dei giovani intervistati tracciano
un’immagine di una famiglia dove il rapporto genitori/figli è coinvolgente, ma non totalizzante (i figli sono resi partecipi delle questioni famigliari, mantenendo propri spazi di autonomia); coinvolgibile ma non esclusivo (talora ci si può rivolgere ai genitori per confrontarsi sul proprio futuro, ma il parere è consultivo e non vincolante).
43 Gli intervistati potevano indicare, mettendoli in ordine di importanza, i tre diritti e i tre doveri
da loro ritenuti più importanti (nella tabella abbiamo presentato le scelte effettuate dai giovani
tralasciando l’ordinamento). Inoltre abbiamo accorpato, per facilitarne la lettura dei risultati, i diritti e i doveri afferenti a aree semantiche analoghe; la lista presentata agli intervistati conteneva i
medesimi item ma in ordine sparso.
65
Sul versante dei doveri (cfr. tab. 18), si può distinguere fra doveri orientati alla partecipazione attiva alla vita della famiglia e doveri riferiti al rispetto delle regole. Per ciò che riguarda il primo ambito, il sostegno dei
genitori in momenti di difficoltà è il dovere maggiormente indicato
(48%), con un’attenzione maggiore da parte dei giovani adulti (52%) rispetto agli adolescenti (38%).
Tab. 18 - ‘Quali ritieni siano i tre più importanti doveri di un/una figlio/a quando
vive in famiglia?
Percentuale riferita
alle risposte
Percentuale riferita al numero
dei casi
Partecipazione attiva alla vita della famiglia
Imparare ad essere autonomo ed indipendente
10,9
32,5
Rispettare le idee, i valori e i gusti dei genitori
7,7
22,2
9,9
29,6
16,1
48,1
3,6
10,8
19,9
59,6
5,5
16,6
7,5
22,6
4,0
11,9
4,2
12,6
10,8
32,2
5941
1983
I doveri dei figli secondo i giovani
Collaborare attivamente alla gestione della vita
familiare (collaborare nelle faccende domestiche,
contribuire alle spese familiari, ecc.)
Sostenere i genitori nei momenti di difficoltà
Prestare attenzione alle esigenze personali dei propri genitori
Rispetto delle regole
Rispettare le regole di convivenza familiare
Informare i genitori sui luoghi e le persone frequentate
Rendere conto ai propri genitori delle decisioni che
si prendono
Seguire comunque le indicazioni dei genitori
Partecipare a momenti familiari/rispettare riti e
momenti tradizionali
Rispettare gli impegni presi (rispettare le scadenze
nello studio, nel sostenere esami all'università, fare
bene il proprio lavoro, ecc.)
N ( Risposte multiple e casi validi)
Fonte: Gruppo di ricerca sui meccanismi di socializzazione, 2003
Per quanto riguarda il secondo ambito, al primo posto vi è il rispetto delle
regole di convivenza familiare. In questo caso, va rilevato come siano gli
adolescenti ad essere più severi e più normativi: infatti, ritengono doveri
66
di un figlio informare i genitori sui luoghi e le persone frequentate (23%),
rendere conto ai propri genitori delle decisioni che si prendono (28%) e
seguire comunque le indicazioni dei genitori, in misura superiore alla
media (16%).
Il rapporto con i genitori – e con la famiglia nel suo complesso - sembra
riscoperto con il divenire adulto, come ci conduce a pensare la risposta
all’item ‘Partecipare a momenti familiari/rispettare riti e momenti tradizionali’. Se fra gli adolescenti raccoglie il 9%, nelle classi d’età cresce,
sia pure lentamente, passando al 13% per la classe 20-24 e al 15% per la
classe 25-29.
E’ un rapporto su cui i figli hanno inciso, talora modificandolo. Infatti,
dai risultati della domanda ‘in cosa ritieni di aver aiutato i tuoi genitori…’ ricaviamo quanto espresso in tabella 19.
Tab. 19 - Gli insegnamenti dei figli ai genitori
Maschi
Femmine
Percentuale sul
totale rispondenti
70,7%
67,3%
63,1%
60,5%
42,0%
38,2%
essere più moderni
64,1%
essere più comunicativi
58,0%
non venire meno ai loro ideali e alle loro
34,6%
responsabilità
organizzare la vita familiare
35,8%
45,1%
N (validi)
1017
983
Fonte: Gruppo di ricerca sui meccanismi di socializzazione, 2003
40,4%
2000
Innanzi tutto, emerge come siano le femmine ad aver svolto un ruolo di
‘educatori’ maggiore rispetto ai maschi.
L’aiuto maggiore che i figli sostengono di aver dato ai genitori è quello
volto all’essere più moderni. E sono più le femmine (71%) rispetto ai maschi (64%) a sostenere tale posizione. Ed è la fascia di età che va sino ai
21 anni ad insistere maggiormente su questo aspetto con i genitori.
Al secondo posto si colloca l’insegnamento ‘ad essere più comunicativi’.
In questo caso, la relazione si inverte e le percentuali crescono con l’età,
passando dal 58% dei 16enni al 64% dei 29enni. Il dato non coglie di
sorpresa, soprattutto se si pensa alle difficoltà comunicative tipiche
dell’adolescente nei confronti dei genitori: è il periodo per eccellenza
dell’incomprensione, dell’utilizzo di codici di comunicazione propri del
gruppo e/o dei coetanei, dello slang, che rendono ancor più difficile la re-
67
lazione comunicativa genitori – figli. Quest’ultimo aspetto richiama
l’importanza del valore del dialogo per i giovani intervistati, che solo nel
39% dei casi si confrontano/dialogano con i genitori con una frequenza
medio/alta.
Ripensando alle regole delle famiglie e agli insegnamenti ricevuti dai genitori, si delinea un quadro in cui i figli paiono essere vicini ai genitori e
in cui sembrano aver interiorizzato le norme e i valori loro trasmessi e
averne fatto il perno del loro sistema valoriale. L’importanza della famiglia e del suo ruolo nei percorsi educativi emerge con chiarezza, anche se
talora la natura di questo legame ha tratti di ambivalenza. La famiglia è
sicuramente una risorsa relazionale importante per mitigare le tensioni
insite nei processi di crescita dei giovani; per un altro verso è anche fonte
di tensioni, che si esprimono nel disaccordo sulle regole della vita familiare, ma che non sfociano in conflitti o forti contrapposizioni. Figli e genitori, secondo l’immagine disegnata dalle risposte dei giovani intervistati, sembrano in grado di affrontare e di adeguarsi ai cambiamenti insiti
nelle relazioni fra uomini e donne che crescono e che invecchiano, che
diventano economicamente indipendenti (come è il caso dei giovani che
vivono in famiglia e lavorano) o affettivamente/fisicamente dipendenti
(come è il caso dei genitori anziani), e sono in grado di ricreare nuovi equilibri che disegnano positive convivenze.
68
4.Un breve
sguardo d’insieme
Le riflessioni attuali sui rapporti e le relazioni all’interno della famiglia
indicano un ambiente nuovo, rinnovato rispetto al passato, in cui la gerarchia nei rapporti fra le generazioni si è fortemente allentata. E’ il luogo
dove i giovani vivono ampi spazi di autonomia e dove le regole in vigore
appaiono condivise. Abbiamo visto nei primi paragrafi che per la metà
dei giovani il sistema di regole presenti in famiglia è tendenzialmente bilanciato: i genitori tendono a creare una commistione tra regole che sviluppano l’autonomia e regole che servono per trasmettere rispetto e obbedienza. I figli, del resto, non sembrano molto interessati alla negoziazione delle regole in famiglia, lo dimostra ad esempio il fatto che alla
domanda: ‘Quali ritieni siano i tre più importanti diritti di un/una figlio/a
quando vive in famiglia?’ la possibilità di contrattare le regole familiari è
relegata all’ultimo posto. Forse, ciò dipende dal fatto che ormai è un diritto acquisto, è un segno della raggiunta autonomia. Già nel 1996 Arnaldo Bagnasco sosteneva (p. 56): ‘Se si guarda bene, si può fare
un’osservazione importante: i giovani contrattano sempre di più oggi
con i loro genitori l’uso dei tempi, degli spazi, delle pratiche casalinghe;
essi si conquistano così autonomia e assenza di controllo, per esempio
sulle loro frequentazioni con compagni dell’altro sesso. Questa famiglia
contrattata – il termine è stato introdotto da Alessandro Cavalli – è una
69
novità culturale su un ceppo vecchio ma appunto una novità. Si tratta di
un caso selettivo della tradizione, che è tipico dei processi di cambiamento; esso sembra perpetuare un modello, e in realtà in parte è così ma
in realtà lo modifica. [...] Per esempio è diverso il modo in cui vengono
percepite e vissute le gerarchie interne alla famiglia, con conseguenze
sui problemi di socializzazione: i valori dell’obbedienza e della gerarchia fanno spazio a quelli della discussione e dell’accordo in famiglia e
perciò nella società’.
Nelle famiglie in cui prevalgono regole di un solo tipo entrano anche in
campo, con maggior peso, le differenti appartenenze dei genitori. Le analisi condotte ne individuano, ancora dopo più di trent’anni dai lavori di
Kohn, il peso decisivo nell’orientare non solo la struttura del sistema
normativo (i ceti superiori e i ceti medi tendono a privilegiare regole orientate all’autonomia in misura maggiore di quanto accada all’interno
degli strati socialmente meno elevati) ma la struttura stessa delle relazioni
familiari (nelle famiglie operaie è più facile che le relazioni non siano bilanciate, può succedere con maggior frequenza sia che i genitori siano orientati a instaurare relazioni essenzialmente autoritarie con figli, sia che i
giovani non riconoscano l’autorità dei genitori dando vita a relazioni talvolta conflittuali oppure basate sulla reciproca indifferenza).
Sono i genitori più istruiti a trasmettere con maggiore frequenza norme
come il rispetto per gli impegni presi, e la collaborazione nelle attività
domestiche. I genitori meno istruiti sono invece più orientati al controllo
degli spostamenti che effettua il figlio, sia per quanto riguarda gli orari di
rientro sia per quanto riguarda le persone che incontra, e per come si
comporta in pubblico. Sembrano essere questi obblighi più in linea con
un controllo del comportamento al fuori della famiglia, come se i genitori
fossero più interessati a preparare una persona che sappia comportarsi in
modo adeguato ed educato al di fuori della famiglia.
Le regole non cambiano solo secondo le caratteristiche sociali dei genitori, ma anche in base alle caratteristiche stesse dei figli. Le regole familiari
si articolano, ad esempio, diversamente a seconda dell’età dei figli con
cui i genitori si rapportano e dall’accento esclusivo sul controllo si spostano verso una funzione di stimolo e di orientamento all’autonomia sino
al rispetto reciproco e alla valorizzazione dei momenti di ritrovo familiari. Quindi se il clima definito dai sistemi di regole, nonché dagli atteg-
70
giamenti dei genitori è caratterizzato da binomio ‘autorevolezza e affettività’, esistono però delle differenze nella percezione del clima dovute
all’età e al genere.
Sul primo versante, gli adolescenti, che si muovono in contesti dove lo
stimolo e la responsabilizzazione passano attraverso regole sulla gestione
del tempo, degli spazi, del denaro, che in un’età in cui ci si sente già
grandi e si pretende di essere autonomi possono rendere l’ambiente familiare un po’ asfittico. Sulla sponda opposta vi sono i giovani adulti, che
scelgono di rimanere figli: lo decidono più al nord che al sud e più i maschi che le donne. E’ una scelta, non necessariamente dettata dalla necessità e dalla convenienza economica, che nell’ambito della vita familiare
conduce ad una ridefinizione dei rapporti fra padri e figli sempre più verso un rapporto fra adulti, basato sul rispetto reciproco.
L’immagine di innovazione e di contrattazione, se vogliamo di modernità, della famiglia che è emersa in generale, scricchiola un po’ se messa a
confronto con l’appartenenza di genere dei figli. Per quanto siano il frutto
di una ‘cronaca annunciata’ da molte ricerche sul tema44, (cfr. nota 14,
pag. 25), stupisce ritrovare perpetuate, quasi identiche, le stesse differenze di genere che erano presenti nelle famiglie italiane di venti anni fa. Alle figlie è riservato un controllo preciso e puntuale sugli orari e sulle persone che frequentano; ai figli invece viene richiesto rispetto, attenzione
nella gestione del denaro e informazioni sul comportamento che tengono
in pubblico.
Certo siamo in presenza di relazioni dai contorni fuzzy, difficilmente ricostruibili nella loro interezza. Rimane il fatto che il processo di educazione dei figli sembra procedere nel senso di una progressiva conformità
tra valori dei genitori e valori dei figli. I segnali di questa convergenza
Nel primo e nel secondo Rapporto Iard (1984; 1988), ad esempio, viene delineato chiaramente
che i figli maschi sono molto più liberi di uscire la sera di quanto lo siano le figlie. Nel 1983 nella
fascia più bassa di età ( tra i 15 e i 17 anni), il 41% dei ragazzi usciva almeno quattro o cinque sere
alla settimana a fronte del 14 % delle coetanee che potevano mettere in atto lo stesso comportamento. Nel 1987 il 45% dei ragazzi (tra i 15 e i 24 anni) dichiarava di uscire 4-5 volte alla settimana contro il 15% delle ragazze. Infine anche dal punto di vista dell’autonomia economica le famiglie riservavano differenze: i maschi ricevevano con più frequenza delle femmine una somma fissa e in genere ricevevano somme più elevate. Queste modalità di trattamento evidenziano che ai
due sessi sono riservate forme di controllo differenti. La possibilità di utilizzare una somma fissa,
svincola maggiormente i ragazzi dal dover segnalare le proprie esigenze ai genitori e garantisce
una maggiore autonomia in famiglia.
44
71
sono molti: innanzitutto lo dicono chiaramente i figli, sostenendo, in modo quasi unanime, di identificarsi nei valori che i genitori hanno trasmesso loro45. In secondo luogo la conformità traspare dall’ampia simmetria
che riscontra sul versante degli insegnamenti e delle sanzioni. In merito
ai primi è risultato dalle analisi effettuate che i giovani che hanno ricevuto insegnamenti orientati al rispetto e all’obbedienza tenderebbero in misura maggiore a riproporre tali modelli e lo stesso discorso vale per coloro che sono stati educati ad essere autonomi e collaborativi. Anche in fatto di sanzioni i figli la pensano, in generale come i genitori: la grande
maggioranza dei giovani che ha genitori, che non puniscono la violazione
della regola, sostiene che di fronte ad una trasgressione i genitori dovrebbero discutere con il figlio le ragioni della sua azione e quindi non punire.
Analogamente la metà dei ragazzi, che sono generalmente sanzionati dai
genitori, considera corretto che un genitore in assenza di valide giustificazioni metta in atto una punizione.
Certo il progressivo cambiamento delle condizioni socio culturali
all’interno delle famiglie italiane sembra interferire con la trasmissione di
modelli di appartenenza di genere tradizionali, come dimostrano le relazioni tra classe sociale di appartenenza e capitale culturale dei genitori,
genere e sistema normativo familiare.
Non solo innovazione quindi ma anche tradizione, all’interno delle strutture familiari. Del resto i giovani stessi sembrano mossi da istanze diverse, a volte non del tutto concordi: da una parte ritengono un diritto fondamentale avere il sostegno affettivo e personale dei genitori, poter contare sulla loro vicinanza e presenza, sul confronto e sul dialogo ma
dall’altro lato li accusano di aver vissuto troppo in funzione dei figli, di
aver preteso troppo da loro. Ci sono, per fortuna, alcune smagliature, contraddizioni, alcune zone d’ombra, che possono essere spunti preziosi per
le prossime indagini.
45 Il 92% dei ragazzi si identifica (molto e abbastanza) con i valori trasmessi dai genitori; l’87%
li considera un punto di riferimento morale; il 79% si identifica con il modello di famiglia costruito dai genitori; il 74% con il modo in cui concepiscono il lavoro, il 70% inoltre condivide il giudizio dei genitori sulla società e sul mondo.
72
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Finito di stampare nel settembre 2004
dalla Viva s.r.l - via Forlì, 56 - Torino