I. Introduzione allo studio delle fibre tessili 1. Definizione e

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I. Introduzione allo studio delle fibre tessili 1. Definizione e
I. Introduzione allo studio delle fibre tessili 1. Definizione e classificazione Le fibre tessili sono materiali di origine naturale, artificiale o sintetica, caratterizzati da una dimensione longitudinale preponderante rispetto a quella trasversale e da finezza, flessibilità, tenacità ed elasticità che li rendono adatti alla filatura. Le fibre tessili, in base alla loro origine, si classificano in: NATURALI e TECNOFIBRE. Le fibre naturali, a seconda dell’origine e della composizione chimica, possono essere ancora distinte in: vegetali o cellulosiche, animali o proteiche e minerali. Le tecnofibre possono essere artificiali e sintetiche; le prime sono prodotte in laboratorio a partire da materie prime naturali, come cellulosa o proteine, mentre le seconde sono anch’esse prodotte in laboratorio, ma a partire da materie prime non polimeriche, mediante opportune reazioni chimiche, dette di polimerizzazione, e successiva filatura del polimero prodotto. 2. Struttura delle fibre tessili Le fibre tessili, sia naturali sia tecnofibre, sono per la maggior parte polimeri organici. I POLIMERI sono macromolecole, naturali o sintetiche, formate dalla ripetizione di piccole unità strutturali, chiamate MONOMERI, le quali, legandosi tra loro mediante legami covalenti, formano lunghe catene polimeriche. Il numero di unità strutturali, ossia di monomeri, che compongono un polimero viene denominato grado di polimerizzazione, e viene indicato con la lettera “n”. Se un polimero è costituito da monomeri tutti uguali tra loro viene definito omopolimero, se invece i monomeri sono diversi tra loro si parla di copolimero. Si possono avere, inoltre, polimeri lineari, se le catene polimeriche sono costituite da monomeri bifunzionali, polimeri ramificati, se le catene polimeriche sono costituite da monomeri bifunzionali con inserite alcune unità trifunzionali alle quali si agganciano catene più corte, e polimeri reticolati o tridimensionali, se le catene polimeriche formano un reticolo a maglie irregolari, contenenti unità tri-­‐ e polifunzionali. Le fibre tessili sono costituite da polimeri lineari o poco ramificati. Le catene polimeriche si legano tra loro mediante legami trasversali (legami intercatena), che sono deboli legami intermolecolari (legami 1
chimici secondari), come i legami a idrogeno; solo nelle proteine i legami intercatena possono essere legami ionici (ponti salini) o legami covalenti (ponti cistinici). La formazione dei legami trasversali tra le catene polimeriche è favorita, e favorisce, l’allineamento delle catene stesse; questo allineamento comporta la formazione di zone altamente strutturate e simmetriche all’interno della fibra, denominate cristalliti. Nelle fibre tessili i cristalliti si trovano inglobati all’interno di zone poco strutturate e simmetriche, nelle quali le catene polimeriche si dispongono in modo disordinato; tali zone sono denominate zone amorfe. La formazione di zone amorfe è favorita invece da legami secondari intracatena (in genere legami a idrogeno) che si generano cioè tra gruppi contenuti all’interno della stessa catena polimerica. Al grado di cristallinità di una fibra sono connesse la tenacità (resistenza all’abrasione e alla trazione), la resistenza agli agenti chimici, la flessibilità, ecc.; per contro, le zone amorfe sono quelle fisicamente più deboli e chimicamente più reattive, essendo le zone più solubili, le prime che reagiscono con i solventi e i punti dove si lega il colorante. Una fibra per poter essere impiegata come tessile deve essere cristallina, ma non troppo: una cristallinità elevata, infatti, se da un lato fa elevare la tenacità e la stabilità della fibra, dall’altro ne rende difficile la tingibilità, la flessibilità, la lavorabilità, ecc. Proprietà delle fibre tessili 1. Caratteri morfologico-­‐organolettici • lunghezza: si misura in mm. Una fibra, per poter essere filata, deve essere lunga almeno 5 mm. In genere le fibre più corte si trovano nel lino, quelle più lunghe nella lana. La seta e le tecnofibre sono prodotte in filo continuo. • finezza: è il diametro della fibra e si misura in µm. In genere le fibre del lino azzurro sono le più fini, quelle dei peli di pecore e cammelli le più grossolane. La finezza di una fibra si indica spesso con il TITOLO, che esprime la massa di un filo avente una determinata lunghezza. In Italia si utilizza il titolo den (Td), mentre a livello internazionale si utilizza il titolo tex (Tt). Il Td corrisponde alla massa, misurata in denari, di un filo lungo 450 m; il denaro è 2
un sottomultiplo del grammo (1 den = 0,05 g). Il Tt corrisponde invece alla massa, misurata in grammi, di un filo lungo 1000 m. • lucentezza: è dovuta alla riflessione e rifrazione della luce sulla superficie della fibra. In genere più le fibre sono levigate e con superfici uniformi, più sono lucenti; pertanto, le fibre sintetiche risultano sempre più lucenti di quelle naturali e spesso, proprio per renderle simili a queste ultime, esse vengono opacizzate, ad esempio per trattamento con TiO2 (diossido di titanio). • mano: con questo termine vengono indicati i caratteri organolettici di una fibra, quali sofficità, morbidezza, luminosità. Una fibra ha mano sostenuta se è rigida e poco soffice al tatto, contrariamente ha mano lenta. 2. Caratteri fisico-­‐meccanici • igroscopicità: è la capacità di una fibra di assorbire umidità dall’ambiente, senza apparire bagnata.. La lana e la seta sono tra le fibre più igroscopiche, assorbendo fino al 33% del loro peso in acqua, senza apparire bagnate. • comportamento al calore: per azione del calore le fibre naturali, sia vegetali sia animali, non fondono ma si decompongono. Ad esempio, il cotone rimane stabile fino a 100°C, a 120°C ingiallisce e a 140°C si decompone; la lana inizia a decomporsi a 130°C, a 200°C imbrunisce, a 300°C carbonizza. L’amianto, che è una fibra minerale, è termostabile, e solo a 2000°C inizia a fondere. Le tecnofibre, man mano che vengono riscaldate, subiscono delle modificazioni nella struttura e nello stato fisico, in corrispondenza di ben precise temperature, chiamate TEMPERATURE CRITICHE. • comportamento alla combustione: le fibre animali bruciano lentamente, con caratteristico odore di pelo bruciato (dovuto alla presenza di zolfo), lasciando un residuo spugnoso; le fibre vegetali bruciano velocemente con fiamma viva e con odore di carta bruciata, lasciando un leggerissimo residuo carbonioso; le fibre sintetiche bruciano con fumo denso ed acre, tendono a fondere e, anche quando allontanate dalla fiamma, sono difficili da spegnere. • feltrabilità: è una proprietà tipica della lana e, in genere, delle fibre animali. E’ dovuta alla struttura a scaglie di queste fibre: la superficie del pelo della lana, ad esempio, è costituita da scaglie disposte tutte come le tegole di un tetto, orientate verso la punta della fibra; in tal modo le fibre possono scorrere liberamente tra loro. Se si verificano le condizioni perché alcune delle scaglie si 3
alzino (per effetto del calore, dell’umidità, di agenti chimici aggressivi, ecc.), le fibre non possono più scorrere liberamente e si aggrovigliano, provocando l’infeltrimento delle stesse. • coibenza: è la proprietà delle fibre di essere più o meno isolanti dal calore • tenacità: è una tra le più importanti proprietà delle fibre tessili. Indica il carico in grammi necessario per rompere un filo di finezza pari ad 1 den o ad 1 tex. Si misura in g/den o g/tex. La tenacità dipende molto dal grado di cristallinità delle fibre: più questo è maggiore, maggiore è la tenacità. • elasticità: è un’altra tra le più importanti proprietà dei tessili; rappresenta la capacità della fibra a lasciarsi deformare in modo reversibile. La lana E’ una fibra tessile di origine animale, di natura proteica, estratta dal vello di ovini, pecore e capre, e di camelidi viventi in zone fredde e montuose. 1. Struttura del pelo della lana Nel senso della lunghezza il pelo della lana presenta tre parti distinte: la punta, il fusto (o stelo) e la radice. La radice è contenuta in una cavità detta follicolo del pelo, alla quale sono annesse le ghiandole sebacee ed il muscolo erettore; la radice comprende la parte del pelo contenuta nel follicolo. Il fusto del pelo è la parte che sporge dalla pelle e si presenta come un tubulo cilindrico costituito da tre strati concentrici che sono, andando dall’esterno verso l’interno: la cuticola, il cortice, il canale midollare. La CUTICOLA è lo strato più esterno del fusto ed è a sua volta formato da tre strati concentrici: l’epicuticola, l’esocuticola, l’endocuticola. L’epicuticola è una sottile membrana idrofoba, non proteica, che avvolge il pelo, proteggendolo dall’acqua e dagli agenti esterni. L’esocuticola si trova immediatamente al di sotto dell’epicuticola, ha natura proteica, ed è formata da scaglie. L’endocuticola, anch’essa di natura proteica, è la parte più profonda dello strato cuticolare. Il CORTICE è formato da milioni di cellule fusiformi e costituisce il 90% del peso della fibra. Le cellule del cortice, pur avendo composizione chimica simile, appartengono a due distinte tipologie: le cellule 4
dell’ortocortice e le cellule del paracortice. Le cellule dell’ortocortice sono più corte, più larghe e più reattive di quelle del paracortice e sono quelle che si legano più stabilmente ai coloranti. In genere i due tipi di strutture sono contenuti nella lana in ugual misura e distribuiti in modo da costituire due semicilindri avvolti ad elica per tutta la lunghezza della fibra. Questa struttura del cortice viene detta struttura bilaterale. Esistono però delle fibre nelle quali prevale l’ortocortice, altre nelle quali prevale il paracortice; in tal caso si parla di struttura monolaterale. Il CANALE MIDOLLARE è la parte più interna della fibra; è porosa e al suo interno si formano delle sacche d’aria, così da rendere la fibra coibente, capace cioè di isolare termicamente dall’ambiente. 2. Composizione chimica La lana è costituita per l’85% da CHERATINA, una proteina contenente zolfo, per il 12% da altre proteine che non contengono zolfo e per l’1-­‐2% da SOSTANZE LIPIDICHE (i grassi), principalmente lanolina; la restante parte è costituita da SALI MINERALI. La cheratina è una proteina, un biopolimero le cui unità essenziali, gli amminoacidi, si legano l’uno all’altro mediante legami covalenti detti legami peptidici. Nella cheratina i principali amminoacidi sono: l’ACIDO GLUTAMMICO, la SERINA, la CISTEINA. Nella cheratina, come in generale in tutte le proteine, i gruppi funzionali contenuti nei sostituenti R dei diversi amminoacidi che compongono la catena danno origine a legami chimici che possono coinvolgere gruppi R presenti lungo la stessa catena polipeptidica (legami intracatena), oppure gruppi R appartenenti a catene polipeptidiche diverse (legami intercatena). I principali di questi legami sono: +
-­‐ a. PONTI SALINI (legami ionici tra gruppi di carica opposta, in genere tra gruppi -­‐NH3 e -­‐COO ): b. PONTI A IDROGENO (legami tra atomi di idrogeno, in genere appartenenti ad un gruppo -­‐OH, e un atomo di un gruppo diverso, in genere O ed N): c. PONTI CISTINICI (sono veri e propri legami covalenti, formati tra due gruppi -­‐SH appartenenti a due differenti residui di CISTEINA. I legami intercatena, poiché hanno luogo tra catene diverse, favoriscono la formazione di zone cristalline. I legami intracatena, poiché avvengono all’interno della stessa catena, causandone l’aggrovigliamento, favoriscono la formazione di zone amorfe. 5
Le catene di cheratina, in conseguenza della formazione di opportuni legami a idrogeno intracatena, assumono nello spazio due tipi di strutture, caratteristiche di tutte le proteine: la struttura ad α-­‐elica, e la struttura β-­‐ a foglietto ripiegato. La forma ad α-­‐elica, in cui la cheratina è avvolta a spirale secondo un’elica destrogira, è tipica della lana, dei capelli e delle unghie animali. La struttura β-­‐ a foglietto ripiegato, simile ad una fisarmonica, è tipica della lana sottoposta a tensione, delle penne e delle piume degli uccelli. 3. Proprietà della lana • Igroscopicità: la lana, assorbendo oltre il 30% del suo peso di umidità, è una delle fibre più igroscopiche. • Coibenza: la lana è un buon isolante termico, grazie anche alla sua struttura arricciata che le consente di racchiudere un gran volume d’aria. • Feltrabilità: è una proprietà tipica della lana, dovuta all’aggrovigliamento delle scaglie. • Tenacità: la tenacità della lana non è eccezionale; varia da 0,9 a 1,6 g/dtex, per la lana di buona qualità. • Elasticità: è, per la lana, la più elevata tra le fibre tessili; se nell’allungamento si comprende pure l’eliminazione delle ondulazioni caratteristiche della fibra stessa, si raggiungono anche allungamenti fino all’80%. Le fibre di lana, in atmosfera umida, o bagnata, si allungano ancora di più, comportandosi come i capelli. Proprietà chimiche: la lana ha un comportamento anfotero, reagisce cioè sia con gli acidi sia con le basi.. 4. Classificazioni della lana a. classificazione secondo l’origine • lana vergine, cioè lana nuova, quella ottenuta esclusivamente per tosatura • lana di mischia, ottenuta dall’unione di più fibre: la lana vergine o la lana rigenerata, insieme a fibre sintetiche • lana rigenerata, ottenuta recuperando la fibra da vecchi indumenti di lana, da scarti dell’industria tessile. 6
Il cotone Il cotone è una fibra vegetale da seme, ricavata dalla fitta peluria che avvolge i semi di una pianta appartenente alla famiglia delle Malvacee, genere Gossipium. La peluria più corta, aderente ai semi, è detta comunemente LINTER, e viene utilizzata come fonte di cellulosa purissima per l’industria; la peluria più lunga è detta LINT, e viene utilizzata per produrre il filato. 1. Struttura del cotone Il filamento di cotone, in sezione trasversale, risulta composto da quattro strati concentrici che, a partire dall’esterno verso l’interno, sono: CUTICOLA, PARETE PRIMARIA, PARETE SECONDARIA e LUMEN. 2. Composizione chimica del cotone Il cotone è costituito quasi esclusivamente da CELLULOSA; una composizione media del cotone è la seguente: 85% di cellulosa, 5% di altre sostanza e 10% di umidità. CELLULOSA E’ un polisaccaride di formula generale : (C6H10O5)n. E’ chimicamente un polimero del glucosio, un monosaccaride di formula: C6H12O6, costituente principale di molti zuccheri importanti, come l’amido, il saccarosio (zucchero da cucina), il lattosio (zucchero del latte), ecc. 3. Proprietà del cotone · Colore: nel cotone naturale varia dal bianco al rossiccio. · Lunghezza: la lunghezza delle fibre varia dai 10 ai 60 mm, a seconda della provenienza; le fibre più lunghe sono quelle più ricercate e di maggior valore commerciale. In base alla lunghezza i cotoni si classificano in: n tiglio corto, dai 20 ai 24 mm; n tiglio medio, dai 24 ai 28 mm; n tiglio lungo, dai 28 ai 35 mm; n tiglio extra lungo, fino ai 50-­‐60 mm. · Finezza: il cotone ha un diametro che varia tra i 15 e i 35 µm; la finezza è massima nei cotoni americani ed egiziani, minima nel cotone indiano. 7
· Tenacità: la tenacità a secco del cotone varia da 3 a 5 g/dtex, ed è inferiore a quella del lino; ad umido, invece, la tenacità aumenta moltissimo, arrivando fino a 120-­‐130 g/dtex. · Comportamento al calore ed alla combustione: il cotone puro è stabile all’aria ed ha una buona resistenza al calore: fino ai 100°C rimane inalterato, mantenuto per molte ore a 120°C ingiallisce, a 150°C imbrunisce e comincia a decomporsi; a 200°C si decompone velocemente lasciando un residuo carbonioso. 4. Lavorazioni del cotone a. Lisciviazione, o digrezzatura Il cotone grezzo contiene molte impurezze (resine, sostanze grasse e cerose) che gli impediscono di assorbire l’acqua e le sostanze necessarie per il candeggio e la tintura; esse vengono eliminate mediante la lisciviazione. L’operazione consiste nel trattare, per un tempo medio di 4 ore, il cotone grezzo con una soluzione al 2% di soda caustica (NaOH), a 150°C e a pressione di 1-­‐1,5 atm. Si ottiene così il cotone idrofilo, in grado di assorbire acqua. b. Mercerizzazione Si ottiene trattando il cotone digrezzato con una soluzione di soda caustica concentrata e mantenendo i capi sotto tensione. Con la mercerizzazione si provocano profondi cambiamenti nella fibra, che si rigonfia, diventa traslucida e aumenta per circa il 30% nella resistenza alla trazione, mentre diventa meno resistente alla torsione e alla flessione. c. Candeggio o sbianca Viene effettuata per trattamento con perborati o ipoclorito di sodio; lo scopo è quello di eliminare la tinta giallognola che spesso ha il cotone, soprattutto se questo dovrà essere tinto con coloranti molto chiari. Per la produzione di cotoni perfettamente bianchi il colore giallognolo residuo si elimina per trattamento con azzurranti ottici, cioè coloranti azzurri che, essendo l’azzurro complementare al giallo, ne annullano l’effetto ottico. 8