C`era una volta - Accademia Tadini

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C`era una volta - Accademia Tadini
C’era una volta ... un pezzo di legno
a cura di Marina Maruzzi
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«Ti mando questa bambinata,fanne quel che ti pare, ma se la stampi, pagamela bene per farmi
venire voglia di seguitarla». Così, con palese autoironia, Carlo Collodi presentava, nel 1881, i primi
fogli del Pinocchio a Guido Biagi, redattore nonché principale animatore del «Giornale per i
bambini», periodico impegnato in un rinnovamento radicale della letteratura per l’infanzia. In realtà
«la bambinata» non solo conquistò da subito l’attenzione e il favore dei giovani lettori bensì si
rivelò un vero e proprio “capolavoro nato per caso”, destinato ad avere una straordinaria fortuna di
lettori e di critica, come testimoniano le innumerevoli traduzioni in tante lingue diverse, Tale
fortuna è strettamente connessa, e direttamente proporzionale, alla molteplicità e complessità delle
valenze simboliche della narrazione di Collodi, che contamina nel suo capolavoro i modi della fiaba
con quelli del racconto. Pertanto, può essere interessante leggere Le avventure di Pinocchio,
utilizzando l’analisi di tipo morfologico inaugurata da Vlamidir Ja. Propp (Morfologia della fiaba,
196) e riproposta da Alberto Asor Rosa nel saggio da lui dedicato al capolavoro di Collodi nella
Letteratura italiana edita da Einaudi. In particolare, la lettura proposta da Asor Rosa, analitica
ricognizione degli elementi fiabeschi utilizzati e soprattutto rielaborati nella storia di un burattino,
approda alla conclusione che il mondo prodigioso creato da Collodi “è al confine tra umano e
soprannaturale, come accade anche nella fiaba tradizionale, ma l’elemento soprannaturale, il tratto
di inverosimiglianza fantastica, che caratterizza la fiaba, è da lui permanentemente radicato nella
materialità e nella corporalità del mondo reale, diversamente da quanto accade il più delle volte
nella fiaba e soprattutto, ovviamente, nella fiaba di magia.” (p.908)
Così, leggere oggi Le avventure di Pinocchio può anche comportare, soprattutto per dei giovani
lettori affascinati dalle imprese di maghi “diplomati”, allievi di improbabili università del
soprannaturale , la scoperta della “magia della cose”, perché
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- C’era una volta….
- Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori
No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno.
Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si
mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.
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SCHEDA BIOGRAFICA
Carlo Lorenzini, che trasse lo pseudonimo di Collodi dal nome del paese della madre, in
Valdinievole (Pistoia), nacque a Firenze nel 1826.
Per cinque anni fu allievo del seminario di Colle Val d’Elsa, poi studiò a Firenze presso l’ordine
religioso degli Scolopi. Nella capitale toscana entrò in contatto con l’ambiente liberale dei
letterati, dei giornalisti e dei patrioti, e si diede al giornalismo politico, maturando una convinta
adesione al mazzinianesimo.
Nel 1848 fu al fianco dei volontari toscani nella battaglia di Curtatone e Montanara. Quando
tornò a Firenze ebbe un posto nel governo provvisorio e fondò un giornale umoristico-politico,
«Il Lampione» che, in linea con la pubblicistica risorgimentale, si batteva per sollecitare
l’annessione della Toscana al Piemonte. Con la sconfitta di Novara (1849) e il ritorno del
Granduca a Firenze, il foglio fu soppresso dalla censura ma Collodi proseguì la sua attività di
giornalista, occupandosi di cronache teatrali e nel 1853 assunse la direzione di un’altra rivista,
«La scaramuccia».
Di nuovo sottratto al giornalismo dalla partecipazione alla seconda guerra d’indipendenza, tornò
a dedicarvisi, collaborando al «Fanfulla» e a diversi altri giornali. Frutto di queste esperienze
sono gli aneddoti, le osservazioni di costume, i bozzetti di vita cittadina, raccolti più tardi in
Macchiette (1880), Occhi e nasi, ricordi dal vero (1881) e Note gaie (1892, postume).
Dopo il 1860, negli anni di Firenze capitale, fece parte della commissione di censura teatrale nel
governo provvisorio; poi fu segretario di prefettura.
La richiesta dell’editore Paggi di tradurgli Perrault determinò il suo interesse per il mondo delle
fiabe e della letteratura infantile. Sul modello francese riprese dapprima le antiche fiabe
tradizionali (Racconti delle fate, 1875), poi, sulla scia dei pedagogisti toscani, scrisse una serie
di libri educativi destinati alla scuola, quali Giannettino (1876), rifacimento del famoso
Giannetto di Parravicini, e Minuzzolo (1877). Questa attività culminò con la pubblicazione a
puntate, sul «Giornale dei bambini», de Le avventure di Pinocchio (1881-1883).
Collodi morì a Firenze nel 1890.
Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino
Collodi scrisse e pubblicò la prima parte di Pinocchio,con il titolo di La storia di un burattino,
sul «Giornale dei bambini», che si stampava a Roma, tra il luglio e l’ottobre del 1881. alla fine
del XV capitolo, con l’impiccagione e la morte presunta del burattino, la vicenda si conclude.
Non sappiamo per quale motivo Collodi riprendesse la narrazione, probabilmente per le
insistenze della redazione del periodico, interessata a sfruttare fino in fondo la buona
accoglienza ricevuta dalle prime puntate. Passarono comunque alcuni mesi e solo nel febbraio
del 1882 ripresero le pubblicazioni (capp. XVI-XXIII), con il titolo mutato (e divenuto
definitivo) de Le avventure di Pinocchio e si protrassero comunque, con ulteriori interruzioni,
sino al 25 gennaio del 1883. Immediata fu invece la pubblicazione in volume. Le avventure di
Pinocchio furono pubblicate dall’editore Paggi già nel febbraio 1883, appena un mese dopo la
conclusione della pubblicazione a puntate, con le celebri illustrazioni di Enrico Mozzanti (la
seconda edizione apparve nel 1886, lo stesso anno dell’uscita di Cuore di De Amicis).
La critica è perciò unanime nel distinguere un Pinocchio 1 e un Pinocchio 2: il primo (1), La
storia di un burattino, è un’opera in sé completa; il secondo (1+2) ingloba il primo e ne fa la
prima parte di una storia più ampia e complessa. In particolare, in Pinocchio 1 i capitoli sono
brevi e concisi, il senso pedagogico della vicenda è, in linea di massima, chiaro ma non
dominante. In Pinocchio 2, invece, compare e sempre più si fa evidente un disegno
complessivo, marcatamente pedagogico, che culmina nell’umanizzazione del burattino.