Relazione di Ernesto D`Aloja - Sistema Nazionale Linee Guida

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Relazione di Ernesto D`Aloja - Sistema Nazionale Linee Guida
Conferenza di Consenso – Istituto Superiore di Sanità
Salute della Donna – Prevenzione delle complicanze trombotiche associate
all’uso di estro progestinici in età riproduttiva
‘Raccomandazioni prodotte da istituzioni sanitarie o società scientifiche:
possibili ricadute sul profilo di responsabilità’
Ernesto d’Aloja1 e Maria Rosaria Di Tommaso2
1 Professore Straordinario di Medicina Legale - Servizio di Medicina Legale –
Azienda Ospedaliero-Universitaria di Cagliari SS554 bivio Sestu 09024
Monserrato (CA)
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Introduzione
Le lineeguida cliniche (‘Clinical practice guidelines, GPGs’ degli AA AngloSassoni)
sono divenute una parte integrante della pratica medica ed un importante indicatore
della qualità della prestazione. Uno dei motivi principali che hanno portato alla
diffusione esponenziale delle lineeguida attualmente rintracciabili nelle letteratura
internazionale e nazionale è la promessa di una prestazione sanitaria più efficiente,
efficace ed economica tanto che coloro che sono responsabili della politica sanitaria –
a livello sia locale che nazionale – dovrebbero promuoverne lo sviluppo ed il rispetto
nelle diverse realtà sanitarie (1).
Da alcuni autori, questo iniziale entusiasmo verso una sempre più ampia creazione di
linee guida e di raccomandazioni da parte di singole istituzioni, società scientifiche
nazionali o sovranazionali ed anche di singole realtà ospedaliere è stata percepito
come la morte della libertà clinica (2).
Questa posizione, sicuramente vetusta e minoritaria, sembra ancora sopravvivere,
sebbene non in forma così assertiva, se è vero che si assiste a due fenomeni tra di loro
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distinti ma in parte convergenti: da un lato la scarsa o mancata aderenza dei medici
curanti alle lineeguida delle società di appartenenza (3) e dall’altra il dibattuto tema
della lenta diffusione delle conoscenze scientifiche di base nelle lineeguida e quindi
nella pratica clinica (fenomeno quest’ultimo ben indicato dal termine inglese ‘lost in
translation’; 4-6).
I motivi di questa disaffezione/non aderenza non sono ancora pienamente compresi,
potendo includere la complessità o la difficoltà di applicazione insita nelle lineeguida
raccomandate, il comportamento personale dei singoli medici/pazienti ed anche le
carenze/inefficienze del sistema sanitario.
Se quindi una discussione esiste nel mondo scientifico e medico sul reale valore da
conferire alle lineeguida, la situazione appare ancora più complicata nel momento in
cui si cerca di comprendere la valenza e l’applicabilità delle lineeguida al tema della
responsabilità del professionista della salute.
Descrizione quantitativa e qualitativa degli studi disponibili
La letteratura specialistica in tema di relazione tra lineeguida e responsabilità
professionale è alquanto scarna e, per lo più, riferita ad un contesto giuridico
(Common Law) differente da quello italiano.
Ciononostante è possibile proporre alcune riflessioni sulla scorta della letteratura
consultata.
In un recente commentario apparso su JAMA (7), PD Jacobson si interrogava sulla
utilità di una previsione legislativa (l’esempio era la proposta di legge federale del
Texas, HB 1438/2007 presentata dal rappresentante Oliveira e non approvata) che
rendesse obbligatoria la copertura assicurativa per un programma di screening per le
patologie cardiovascolari da estendere a tutta la popolazione a fronte di una
lineaguida proposta da un gruppo indipendente di cardiologi riuniti sotto la sigla
SHAPE (Screening for Heart Attack Prevention and Education; 8).
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Il commentario si focalizzava su alcuni aspetti che, a ben vedere, possono essere
generalizzati:
1. La carenza di una evidenza scientifica sul reale rapporto costi-benefici (o
rischio-beneficio) inerente lo screening proposto;
2. L’autoreferenzialità nella scelta dei componenti della Task Force mancando
l’egida di una Società Scientifica di Riferimento;
3. La credibilità ed il grado di condivisione nella comunità di riferimento;
4. Il conflitto di interessi (risultando la Task Force finanziata da una industria
farmaceutica).
Il primo argomento ha da un punto di vista medico-legale un duplice risvolto: da un
lato vi è la valutazione della forza dell’evidenza (e l’eventuale gestione
dell’incertezza ovvero di un’evidenza debole a fronte di una situazione clinica di
frequente riscontro nella pratica clinica) e dall’altro l’influenza che questa
raccomandazione può, o deve, avere sulla pratica clinica sia dal punto di vista della
efficacia che dell’impatto economico.
La lineaguida clinica nasce come uno strumento flessibile che, essendo basato sulle
migliori conoscenze scientifiche e cliniche sulle quali esiste un ampio consenso,
consente ai medici di esercitare il giudizio personale nel trattamento del paziente che
si è a loro affidato.
A differenza delle altre scienze esatte (ad esempio la fisica), la medicina non può
trarre nella sua applicazione quotidiana alcun beneficio dall’incertezza e dalla
complessità della scienza di base. La scoperta di una nuova particella nella fisica
quantistica in grado di mettere in dubbio le teorie fino ad allora accettate è una fonte
inesauribile di informazioni ma anche di incertezza che può mettere a rischio gli
assunti sino a quel momento accettati.
In medicina una nuova scoperta scientifica – ad esempio di genetica o di proteomica
– rappresenta sì un progresso nella conoscenza ma spesso confonde e rende meno
sicure le evidenze sino a quel momento condivise, risolvendosi a volte in una
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émpasse per il curante che si trova di fronte ad un malato che potrebbe trarre
vantaggio da questa informazione.
Come gestire questa incertezza?
Guardando al proliferare delle lineeguida su argomenti molto simili si è propensi a
pensare che la migliore gestione dell’incertezza sia quella di valutare la forza della
singola evidenza, favorendo la condivisione all’interno della comunità clinica
solamente di quelle conoscenze scientifiche dotate di ‘adeguata’ forza.
Questo atteggiamento ha reso, e rende, invece estremamente più incerta e
frammentata la condotta del singolo o di gruppi di professionisti a fronte di problemi
di rilevanza quotidiana (9).
Solamente la condivisione informata con il paziente di questa incertezza – e della
conseguente scelta diagnostico-terapeutica - può risolvere l’apparente contrasto di
un’informazione sanitaria che potrebbe o non determinare un concreto beneficio per
il cittadino, pur rappresentando un suo diritto inalienabile.
Il secondo aspetto da tenere in considerazione è la natura profondamente economica
che permea le lineeguida, che tra le loro recondite finalità hanno anche quella di
garantire che ‘il terzo pagante il sistema sanitario non finanzi trattamenti unicamente
sulla base dell’affermazione di un medico, per quanto autorevole. La prova del
beneficio è obbligatoria’ (10).
In un epoca di ‘parsimonia burocratica’ (11) e di limitazioni economiche i compiti
istituzionali del medico non sono più la tutela della salute del singolo cittadino quanto
quella del maggior numero di pazienti, rappresentando il lato economico della cura
(sia nella fase diagnostica che terapeutica) un aspetto che non può essere in alcun
modo ignorato.
Giusto è quindi il controllo da parte della Società Civile dell’attività medica e della
adeguatezza/efficacia del trattamento medico in relazione non solamente al beneficio
del paziente ma anche ai costi per la comunità. Ne deriva che in questa ottica di ‘etica
delle risorse’ – di cui le raccomandazioni e/o le lineeguida sono una indiretta
manifestazione - l’autonomia sia del paziente che del medico è parzialmente/
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totalmente sacrificata alla sostenibilità economica delle scelte diagnosticoterapeutiche condivise tra paziente e medico.
L’ultimo aspetto che si desidera considerare tra quelli proposti nel commentario è
quello che concerne l’autorevolezza dei proponenti della lineaguida e dell’egida di
una Società Scientifica di riferimento.
E’ indubbio che tra le informazioni poste alla base della lineaguida e le conoscenze
scientifiche più recenti esiste, e sempre esisterà, un gap cronologico che con
l’avvento di internet e della pre-pubblicazione online delle ricerche tende a divenire
di anno in anno sempre più evidente con conseguente aumento della incertezza e
delle potenziali divergenze con le lineeguida già emanate. In questi casi il medico,
rappresentando come ricordato le lineeguida uno strumento flessibile, sarà libero di
applicare le migliori conoscenze tecnico scientifiche del momento anche in difformità
con le raccomandazioni, a patto che documenti il razionale che è alla base della sue
decisione. Ma per questo aspetto si rimanda alle successive argomentazioni.
Ma tornando all’argomento offerto alla nostra valutazione quale riflessi hanno le
lineeguida e le raccomandazioni proposte dalle istituzioni sanitarie o dalle società
scientifiche nella valutazione della correttezza/adeguatezza della condotta medica?
Se condividiamo il concetto di base che le lineeguida/raccomandazioni redatte dalle
società scientifiche – scritte da riconosciuti esperti nel settore e totalmente peer
reviewed – rappresentano lo stato dell’arte su quel determinato argomento clinico è
fuori discussione che queste assumono, ed assumeranno, un significato preponderante
nella valutazione nelle aule dei tribunali della adeguatezza della condotta
professionale.
Appare utile ricordare, in maniera succinta e scientemente insufficiente, che il
concetto di ‘colpa’ previsto nel nostro ordinamento è riferito alle previsioni dell’art.
43 del vigente codice penale che recita ‘… è colposo, o contro l’intenzione, quando
l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di
negligenza, imperizia ed imprudenza, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti,
ordini e discipline’.
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Classicamente si parla di ‘colpa generica’ quando la condotta del cittadino
(professionista della salute nel caso di specie) è caratterizzata da profili di negligenza,
imprudenza ed imperizia, e di ‘colpa specifica’ quando si assiste ad una violazione di
norme.
Se questa è la cornice giuridica in base alla quale viene valutato l’elemento
soggettivo del reato, la promulgazione e l’implementazione di raccomandazioni e/o di
lineeguida come possono influenzare la valutazione da parte del Giudice della
condotta professionale?
Questo stesso tema è stato affrontato nella letteratura specialistica nel contesto del
processo inglese (9) e nordamericano (10) avendo rappresentato questa diffusione di
raccomandazioni/lineeguida un’incognita relativamente all’impiego delle stesse in
uno scenario giuridico.
Poiché alla base della valutazione della condotta professionale colposa giace la
questione se l’attività posta in essere (reato commissivo) o non posta in essere (reato
commissivo mediante omissione) dal medico indagato/imputato è stata conforme alla
doverosa regola dell’arte medica (‘required standard of care’ della Common Law), vi
era il fondato sospetto che le raccomandazioni/lineeguida fossero impiegate nelle
aule dei tribunali come modello astratto rappresentante la ‘condotta tipo’ che era
lecito attendersi nel caso specifico.
Una certa evoluzione è stata documentata nella Dottrina e nella Giurisprudenza
anglosassone con un lento ma progressivo passaggio da una posizione in cui la
condotta del professionista è stata valutata in base unicamente alle considerazioni
esposte dall’ ‘expert medical witness’ (perito / consulente delle parti processuali) con
ruolo marginale e sussidiario delle lineeguida (12) ad uno scenario in cui sempre
maggiore valore è stato attribuito a quest’ultime.
In questo primo periodo la non-aderenza alla lineaguida non ha comportato
necessariamente una presunzione di responsabilità così come la sua pedissequa
attuazione non è stata ritenuta sufficiente per mandare assolto l’imputato,
rappresentando per alcuni (13) le raccomandazioni una strada a doppio senso.
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Negli ultimi anni alcune sentenze delle corti superiori sia inglesi che americane
hanno cominciato ad argomentare che le lineeguida possono risultare rilevanti nel
determinare la doverosa regola dell’arte e che, ove si assistesse ad una difformità
dalla condotta raccomandata, sul medico graverebbe l’onere di documentare il
razionale posto alla base della sua personale scelta ed anche la condivisione di questa
da parte della sua comunità di riferimento.
Nel Regno Unito la creazione del National Institute for health and Clinical
Excellence (NICE; 1st april 1999) - ed il suo mandato istituzionale di sviluppare
lineeguida per raggiungere il migliore livello di qualità nella gestione clinica - ha
generato un dibattito circa il ruolo che queste raccomandazioni potranno avere nelle
cause di responsabilità professionale (9).
Il principale argomento affrontato – e facilmente paragonabile alla situazione italiana
dopo l’emanazione del DM 30 giugno 2004 che ha istituito il Sistema Nazionale
Linee Guida (SNLG) – è quello relativo alle eventuali differenze esistenti tra le
raccomandazioni di una società scientifica e quelle di un’Authority Governativa.
Le conclusioni cui gli Autori sono giunti, pur nella loro ovvietà, consentono una
breve riflessione.
Le lineeguida implementate nel Regno Unito prima del 1999 (pre-NICE) sono state
sviluppate con un processo rigoroso, con una metodologia analoga e, spesso, con
l’apporto dei medesimi esperti, che non è possibile apprezzare alcuna concreta
differenza rispetto a quelle emanate dal NICE.
Ciò non di meno, gli autori inglesi ritengono che le raccomandazioni emanate dal
NICE avranno nelle aule dei Tribunali un peso maggiore nel determinare lo ‘standard
of care’ non solamente perché provengono da un’Authority Governativa ma anche
perché ritengono che sarà difficile, se non impossibile, per un professionista della
salute giustificarne l’ignoranza, non potendo addurre a scusante la derivazione da una
o da più Società Scientifiche Nazionale o Internazionale che si riuniscono su base
associativa volontaria.
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A ben vedere, l’iniziale finalità del NICE (e di riflesso del SNLG) che mirava, e mira,
ad uniformare ed ottimizzare le cure su tutto il territorio nazionale, valutandone anche
l’appropriatezza, rischia di essere parzialmente snaturata da questa accezione
giuridica/medicolegale che le conferisce un indiretto valore di ‘standard of care’ (o,
per meglio dire, di ‘doverosa regola dell’arte medica’).
Il valore giuridico quindi non risiede tanto nell’obbligatorietà per i professionisti
della salute di aderire alla raccomandazione – essendo chiaro a tutti che la
raccomandazione/lineaguida, indipendentemente dall’Ente che l’ha redatta, non potrà
mai sostituirsi all’autonomia decisionale e di scelta del medico e del paziente –
quanto nella concreta rappresentazione della condotta medica media che è lecito
attendersi da un professionista della salute.
Solamente dimostrando nel caso concreto il razionale e la validità dell’asserzione
posta alla base del non rispetto della lineaguida/raccomandazione – specialmente se
istituzionale – il medico potrà andare esente dalla censura.
Alcuni studiosi (14) mettono in guardia sui possibili ‘effetti perversi’ che alcune
raccomandazioni potrebbero ingenerare – se non correttamente adattate al problema
clinico in concreto affrontato – nel caso in cui vengano impiegate in maniera
pedissequa. Si potrebbe assistere da un lato alla ‘letterale’ applicazione delle
raccomandazioni in un’ottica di ‘medicina difensiva’ e dall’altro alla nascita di nuove
imputazioni per condotta colposa per colpa specifica (potendo il Giudice interpretare
in maniera lata il valore della lineaguida come regolamento ovvero disciplina) e non
già per colpa generica.
Conclusioni
Da questa breve disamina dei principali aspetti giuridici e medico-legali correlati con
l’emanazione di raccomandazioni/lineeguida da parte di istituzioni sanitarie o di
società scientifiche emerge che il valore legale conferitole, o da conferirle, è ancora
oggetto di dibattito.
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Viene osservata con una certa apprensione la decisione presa da diversi governi
continentali di istituire Enti Governativi (dipendenti dal Ministero della Salute o
direttamente dal Segretario di Stato) preposti, tra le loro diverse funzioni, a creare,
implementare e gestire un sistema di Lineeguida Nazionali.
Infatti se da un lato queste raccomandazioni svolgono un fondamentale ed
insostituibile ruolo nel governo clinico, dall’altro il loro non corretto impiego
potrebbe trasformarle nello strumento adoperato dagli operatori della Giustizia
(giudici, avvocati, medici-legali, periti e consulenti di parte) per derivare – in maniera
pressoché automatica – la ‘doverosa regola dell’arte’.
Pur essendo da tutti accettata la natura non obbligatoria della raccomandazione/
lineaguida clinica, dalla discussione esistente a livello internazionale – con aspetti di
preoccupazione presenti in sistemi giudiziari profondamente diversi – emerge il
timore che, essendo la raccomandazione (proveniente sia dalla società scientifica che
dall’Ente Governativo) il risultato di un serio ed approfondito lavoro di un gruppo di
esperti altamente rappresentativi della disciplina medico-chirurgica interessata, alla
lineaguida venga attribuito il valore di ‘condotta tipo’ ovvero di esemplificazione
della ‘doverosa regola dell’arte medica’.
Questa traslocazione tout-court della raccomandazione da un ambito scientificoapplicativo e di politica sanitaria ad uno scenario giudiziale viene percepito da alcuni
come una profonda limitazione dell’autonomia sia del medico che del paziente con
potenziali rischi di impiego della lineaguida a mera finalità di ‘medicina difensiva’ e
da altri come una nuova forma di ‘colpa specifica’ da addebitare ai professionisti
della salute, specialmente se la raccomandazione proviene da un Ente Governativo.
Nell’emanazione di raccomandazioni/lineeguida sarà quindi necessario valutare
attentamente il razionale, evidenziare - e condividere con gli utenti - le aree di
incertezza, suggerire condotte alternative ed adeguare i consigli alle concrete
possibilità delle strutture sanitarie periferiche di implementare la raccomandazione
all’interno della pratica quotidiana, al fine di non creare una categoria di
professionisti della salute la cui condotta è da considerare a priori colposa.
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