Educazione Aperta. Rivista di pedagogia critica

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Educazione Aperta. Rivista di pedagogia critica
Psicosintesi ed educazione
transpersonale in Roberto Assagioli
di Antonio Vigilante
La psicosintesi, fondata negli anni Trenta del secolo scorso da Roberto Assagioli, rappresenta il contributo italiano a quella che poi
si chiamerà psicologia transpersonale, considerata la quarta forza della psicologia (dopo il comportamentismo, la psicoanalisi e
la psicologia umanistica). Benché Assagioli non si sia occupato
in modo approfondito di educazione, si trovano nei suoi scritti
diversi abbozzi di una teoria transpersonale dell’educazione.
D’altra parte, la stessa psicosintesi si presenta come una forma di
autoeducazione, una teoria che intende fornire all’individuo un
percorso che lo conduca alla realizzazione più piena di sé stesso. In questo saggio dopo aver presentato sinteticamente la psicosintesi ne evidenzierò questo carattere di autoeducazione, soffermandomi poi sugli scritti di Assagioli espressamente dedicati
all’educazione e sulle esperienze di pedagogia psicosintetica.
L’interesse per l’educazione in Assagioli compare piuttosto presto. È ancora studente quando pubblica su La Voce di Prezzolini
un articolo in cui denuncia i mali del sistema educativo e propone
una soluzione. Siamo nel 1909, e Maria Montessori ha appena
pubblicato Il metodo della pedagogia scientifica, dopo aver avviato
nel quartiere San Lorenzo di Roma la prima Casa dei bambini. La
pletora di nozioni inutili, la pedanteria, l’indifferenza ai bisogni
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individuali degli studenti, l’assenza di una educazione sessuale e
il peso eccessivo del lavoro scolastico, che grava sui giovani più
sensibili, che vi si sottomettono pur di adeguare il modello del
“figlio rispettoso”, rappresentano solo alcuni dei limiti dei metodi educativi del tempo. Ai quali, notava Assagioli, non basta qualche aggiustamento: occorre ripensare radicalmente l’educazione.
Ed occorre farlo fondando una nuova scienza, che supplisca alle
mancanze evidenti della pedagogia. La necessità di liberarsi della
pedagogia, almeno terminologicamente, è oggi ben evidente, e
tuttavia la parola resiste, accanto alle espressioni scienze
dell’educazione e scienze della formazione. Ha dalla sua il fascino della
tradizione, benché sia evidente a tutti che non ha molto senso
parlare di pedagogia – che è educazione e guida dei bambini –
mentre si afferma che il processo educativo dura tutta la vita.
Occorre dunque un altro termine. La nuova scienza di cui parla
il giovane Assagioli dovrà chiamarsi psicagogia. Il termine non è
nuovo: risale, come è noto, alla filosofia greca. Di psicagogia parlava Gorgia, per indicare la suggestione, la capacità di muovere gli animi attraverso la parola, di persuadere ed “incantare”
con i discorsi (cfr Rensi 1981). La psicagogia cui pensa Assagioli
è di altro genere. Sarà la scienza che si occuperà dell’educazione
dell’essere umano non solo nell’infanzia, ma durante tutta la vita;
e sarà agogìa, e non logìa, perché non si tratterà di uno studio teorico, ma di una conoscenza pratica. La nuova disciplina sarà fondata sulla psicologia, ma non sulla psicologia sperimentale, “inutilissima forma del bizantinismo scientifico”, e nemmeno su quella filosofica e metafisica, bensì su quella psicologia che si ricava
“dall’intelligente osservazione della vita, dalle opere d’arte, dalla pratica pedagogica”. Un contributo potrà venire dalla psicoterapia, anche se si tratta di una disciplina ancora giovane, e non
è escluso che la stessa psicagogia possa favorirne lo sviluppo e la
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chiarificazione. Infine, la psicagogia molto ha da imparare dagli
scritti dei mistici, non solo quelli occidentali, ma anche quelli indiani, “veri geni dell’introspezione e dell’azione interna” (Assagioli 1909a).
Quando scrive questo articolo Assagioli ha appena vent’anni, ma
già si è fatto notare nel mondo culturale fiorentino quale collaboratore del Leonardo, la rivista di Papini. I suoi interessi si sono volti fin dall’inizio alla psicologia: iscrittosi alla facoltà di Medicina
dell’ateneo fiorentino, incontra a Ginevra Edouard Claparède ed a
Vienna frequenta gli ambienti psicanalitici (non è escluso che abbia incontrato lo stesso Freud). Ha seguito a Monaco i corsi di Emil
Kraepelin ed ha frequentato il Burghölzli, la clinica psichiatrica
zurighese in cui lavorava Jung (Giovetti 1995, 17-19, 23). Centrale
nella sua formazione è inoltre l’interesse per il pensiero indiano
e per quello spiritualismo occultistico che in quegli anni si esprime nella teosofia. Il profilo culturale, le inclinazioni, le passioni
intellettuali di Assagioli sono già delineati: bisognerà solo dare ad
esse adeguata espressione teorica. Intanto il giovane collaboratore della Voce esprime l’esigenza di un ripensamento generale
dell’educazione e della scuola a partire da un sapere di carattere
psicologico e spirituale. A conclusione del suo articolo annuncia
un secondo intervento nel quale approfondirà le caratteristiche
della psicagogia, ed intanto invita i lettori a scrivergli le loro impressioni. Non ho trovato traccia di questo secondo articolo nei
numeri della Voce. Sui temi educativi Assagioli interviene nuovamente nel numero 22 della rivista, del 3 giugno 1909. Nell’articolo
Assagioli pone la questione del basso livello morale degli studenti
universitari, che mostra i limiti di una formazione esclusivamente disciplinare e professionale, e rende urgente una educazione
morale della futura classe dirigente. Educazione che dovrà avvenire attraverso la trattazione di questioni di etica professionale,
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ma anche e soprattutto grazie ad un rapporto più stretto tra docenti e studenti (cosa che richiede lo sfoltimento delle università
più grandi) e la costituzione di “circoli di cultura” fra studenti di
diverse facoltà (Assagioli 1909b). Come è noto, l’espressione “circoli di cultura” sarà utilizzata da Paulo Freire negli anni Sessanta quale metodo per l’alfabetizzazione dei proletari. Non si tratta
solo di una anticipazione terminologica. Quelli cui pensa Assagioli sono gruppi nei quali gli studenti potranno “istruirsi e distrarsi
a vicenda”, vale a dire centrati su una impostazione simmetrica e
di mutuo insegnamento che fa pensare tanto all’educarsi insieme
di Freire quanto alla maieutica reciproca di Danilo Dolci.
Gli spunti interessanti di questi due articoli, come si vede, non sono pochi; ma restano nulla più che spunti, non traducendosi, né
subito né in seguito, in una organica concezione pedagogica e in
una corrispondente pratica educativa. L’esigenza di una psicagogia sarà soddisfatta dalla psicosintesi, quale teoria e pratica psicoterapeutica in grado di condurre verso quella piena realizzazione
di sé che è lo scopo dell’educazione.
Il numero 9 de La Voce (del 10 febbraio del 1910), è dedicato alla
questione sessuale. Si apre con un articolo di Sorel sul valore della castità, nel quale il teorico del sindacalismo rivoluzionario attacca l’immoralismo dei neopagani democratici e socialisti, e richiamandosi a Proudhon ed a William James avanza la teoria della castità quale pratica necessaria per la rigenerazione del mondo
moderno, e della famiglia come istituzione che sola rende possibili le virtù di cui esso ha bisogno. Nell’articolo di Sorel, che non
brilla per intelligenza, spicca però questa “legge psicologica” dal
netto sapore freudiano: “che per conoscere bene gli uomini bisogna esaminare con grande cura la loro vita sessuale” (Sorel 1910).
Una legge psicologica che nel caso specifico ha una valenza moralistica: ciò che si conosce, esaminando la vita sessuale, è il valore
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dell’individuo, la sua rettitudine morale. Tale rettitudine che per
Sorel sarà indispensabile per la vittoria degli operai sulla borghesia: una sorta di teoria morale, anzi moralistica dell’egemonia. Il
contributo forse più importante del numero, che contiene anche
un intervento del modernista Romolo Murri sulla questione del
celibato dei sacerdoti, è proprio quello offerto da Assagioli, che
delinea una prima visione d’insieme della teoria sessuale freudiana. Siamo proprio agli inizi della travagliata diffusione della psicoanalisi in Italia. Solo due anni prima sono apparsi i primi due
articoli italiani sulla teoria freudiana: uno a firma di Luigi Baroncini, assistente nell’ospedale psichiatrico di Imola, e l’altro di
Gustavo Modena, vicedirettore dell’ospedale psichiatrico di Ancona (Lombardo, Foschi 1997, 218). Assagioli, che cita entrambi,
ha però della psicanalisi una conoscenza di prima mano. Come è
noto, la centralità della sessualità nella interpretazione freudiana della personalità ha suscitato forti resistenze, anche tra i suoi
più stretti collaboratori. Per il giovane Assagioli la tesi “strana
ed avventata” che le nevrosi derivano da problematiche sessuali
e l’affermazione dell’esistenza di una sessualità già nell’infanzia
non deve indurre a respingere la teoria di Freud senza averla attentamente analizzata. Dopo aver esposto in modo molto sintetico i Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), non manca di avanzare le
sue riserve sul pensiero del fondatore della psicoanalisi; e si tratta di osservazioni che rivelano già una notevole maturità di pensiero e capacità di analisi. La prima osservazione è che Freud, per
via della sua formazione di neuropatologo, è stato portato “ad annettere una straordinaria importanza al lato inferiore ed istintivo
della sessualità e soprattutto alle sue aberrazioni, facendo invece
troppo piccola parte alle manifestazioni superiori dell’amore, che
pur hanno tanta efficacia nella vita degli uomini” (Assagioli 1910,
263). È una osservazione che anticipa l’approccio della psicolo106
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gia umanistica, che cercherà la verità sull’essere umano non partendo dalla patologia, ma al contrario dalla salute più piena, concentrandosi sulle esperienze umane più alte e nobili (le peak experiences). Per Assagioli, inoltre, Freud ha esagerato l’importanza
dei fattori sessuali nell’origine delle nevrosi, trascurando fattori
diversi dalla libido; questo stesso concetto è ambiguo ed ingloba
cose che sono diverse tra loro. Per Assagioli, manca in Freud la
distinzione tra repressione imperfetta degli impulsi sessuali, che
conduce alla nevrosi, ed un “dominio cosciente ed armonico”, un
“grave difetto delle dottrine freudiane” che però può essere compensato dalla teoria della sublimazione:
Se infatti dallo studio della natura e delle leggi che regolano questa
preziosa facoltà della psiche – che sa trasformare delle cieche forze
istintive in elevate energie emozionali e spirituali – sapremo elaborare dei metodi educativi psicagogici atti a svilupparla in tutti coloro nei quali è latente ed ignota ed intensificarla in quelli in cui è
insufficiente, avremo trovato un modo veramente pratico e fecondo per combattere i gravi mali prodotti all’individuo e alla società
dall’attuale stato della questione sessuale. (Assagioli 1910, 263)
I disturbi nevrotici sono il risultato di una incapacità, propria
dell’uomo contemporaneo, di dominare/sublimare i suoi istinti
peggiori, cosa che riesce invece da sempre alla perfezione all’homo religiosus. La conclusione dell’articolo è ottimistica: chi conosce e doma “i mostri oscuri che pullulano nelle regioni inferiori
del proprio essere, può, sicuro delle loro insidie, esplorare le vette
più luminose della propria anima e studiare i più alti misteri della
vita umana” (ibidem). Per Freud, come è noto, le cose non sono così semplici. Reprimere la parte istintiva è un’impresa che può riuscire, ma ad un costo altissimo: quella infelicità di cui Freud parlerà nel Disagio della civiltà (1929). Si nota già, in questi primi scritti,
una concezione antropologica che allontana Assagioli da Freud.
Per il padre della psicoanalisi l’essere umano ha una base istinti107
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va che solo a fatica, attraverso traumi come il complesso di Edipo,
si giunge a disciplinare, e sempre in modo imperfetto, come dimostrano gli atti mancati ed i lapsus illustrati nella Psicopatologia
della vita quotidiana. Per Assagioli l’uomo ha invece una natura spirituale che gli assicura la vittoria sugli istinti inferiori, su quella
sua parte materiale che è destinata a cedere a ciò che le è superiore. La teoria più matura è già contenuta, in nuce, in questi primi scritti: rifiuto della centralità della sessualità nella interpretazione dei fatti psichici, attenzione alle energie spirituali, interesse per le manifestazioni religiose e segnatamente mistiche e per il
pensiero orientale, oltre che per i fenomeni occulti. Questi punti
avvicinano naturalmente Assagioli più che a Freud, che è un razionalista con una visione disincantata dell’essere umano, a Jung,
che per il giovane studioso italiano – membro fin dalla fondazione, unico italiano, della Associazione Psicoanalitica Internazionale – rappresenta il riferimento più vicino nell’ambiente psicoanalitico.
Conseguita, nel 1910, la laurea in medicina con una tesi sulla psicoanalisi, Assagioli si dedica dunque all’opera non facile di diffondere in Italia le idee psicoanalitiche, ed al tempo stesso cerca di
maturare un suo pensiero originale, che esprima le tendenze e le
esigenze di cui s’è detto. Nel 1912 fonda Psiche, una rivista bimestrale che uscirà per qualche anno, fino al 1915, diretta da Enrico Morselli, Sante de Sanctis e Guido Villa: il meglio della psicologia scientifica del tempo - non senza, nel caso di Morselli, un certo interesse per la parapsicologia, che si esprime nel programma
della rivista, che intende occuparsi, tra le altre cose, di “psicologia supernormale”, oltre che di “psicoanalisi e studio del subcosciente” e “psicologia del carattere (etologia) e psicagogia” (Giovetti 1995, 33). Questi punti, che richiamano chiaramente gli interessi di Assagioli, dimostrano che il giovane studioso, che si ri108
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servò il ruolo di caporedattore, non fu semplice finanziatore della
rivista, ma contribuì a definirne le direttrici culturali. Tra gli articoli pubblicati sulla rivista spicca uno su Alfred Adler nel quale Assagioli, mentre contribuisce notevolmente alla prima conoscenza della psicologia individuale in Italia (Marasco 2000, XVIII),
esprime riserve sia su Adler che su Freud: entrambi “non riconoscono abbastanza l’importanza e la dignità dei fini altruistici e dei
sentimenti superiori estetici, morali e religiosi” (Assagioli 1914).
Un giudizio che, se da un lato rivela una certa incomprensione
della grandezza di Freud, che consiste proprio, tra le altre cose,
nell’aver insegnato il sospetto verso i “sentimenti superiori”, dietro i quali spesso si celano bassi istinti, dall’altro appare semplicemente inesatto nel caso di Adler, che è condotto dalla sua formazione marxista a scorgere nell’impegno sociale, nell’interesse per
l’altro e nell’amore il significato stesso della vita (Adler 1994). Ma
quella di Adler, come quella di Freud, è una terapia che scaturisce
da una antropologia materialistica, che cerca di comprendere la
spiritualità umana rinunciando allo spirito, ed è questa la ragione delle riserve di Assagioli. La psicologia/terapia di cui il giovane
Assagioli è alla ricerca intende fondarsi su presupposti antropologici differenti, che tengano conto delle sue convinzioni spiritualistiche ed esoteriche.
La maturazione di Assagioli si compie negli anni immediatamente
successivi alla Grande Guerra, cui partecipò con il ruolo di tenente medico. Una prima esposizione della psicosintesi si ha nello
scritto Psychosynthesis. A New Method of Healing del 1926, lo stesso
anno della fondazione (a Roma, dove Assagioli si è trasferito con
la moglie Nella ed il figlio Ilario) dell’Istituto di Cultura Psichica,
che nel 1933 diventa Istituto di Psicosintesi.
La psicosintesi consiste essenzialmente di tre cose: una topica,
un’etica e una tecnica (anzi, un insieme di tecniche). La topica è
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la rappresentazione visiva dell’apparato psichico, quella che chiamo etica la concezione del compito dell’essere umano, che è nella realizzazione spirituale (realizzazione da cui dipende anche la
sua capacità di compiere il bene), mentre le tecniche, che occupano un posto centrale nella psicosintesi, costituiscono la via per
attuare questa realizzazione.
L’immagine che racchiude la concezione della realtà psichica di
Assagioli è nota: l’ovoide (Figura 1). Si tratta di una figura la cui
scelta non è casuale, ma rimanda agli interessi esoterici di Assagioli. L’uovo è un antico simbolo di crescita e rinascita, di fertilità
e cambiamento; rappresentare la psiche umana come un uovo è
un modo per evidenziarne il dinamismo, le tensioni, il movimento interno, ma anche un richiamo ad una tradizione spirituale
ed anche esoterica. C’è dinamismo anche nelle topiche freudiane,
nelle quali però manca, dal punto di vista di Assagioli, l’elemento
spirituale.
Nella Figura 1, il punto basso
dell’ovoide, indicato dal numero 1, è
l’Inconscio inferiore, sovrastato
dall’Inconscio medio (numero 2) e
dell’Inconscio Superiore. Il cerchio
al centro dell’ovoide (numero 4) indica il Campo della Coscienza, ed il
punto centrale (numero 5) è il Sé cosciente, o io. La stella che brilla alla
sommità dell’ovoide (numero 6) è il
Sé Transpersonale. Tutt’intorno
all’ovoide c’è l’Inconscio Collettivo
(numero 7).
L’Inconscio inferiore di Assagioli è la Figura 1
parte più primordiale del nostro essere. Comprende le attività
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psichiche elementari che guidano l’attività fisiologica del nostro
corpo (un po’ come l’anima vegetativa aristotelica), gli impulsi
primordiali e “complessi psichici” che hanno origine nel passato
individuale o ereditato. Nell’Inconscio inferiore hanno origine disturbi psichici come fobie e deliri, ma anche, per Assagioli, alcune
facoltà parapsicologiche elementari.
L’Inconscio medio è prossimo alla coscienza, di cui costituisce in
qualche modo l’anticamera. Vi si svolge molta dell’azione intellettuale e creativa che poi diventerà cosciente.
L’Inconscio superiore contiene la parte più nobile dell’essere
umano: gli imperativi morali, le intuizioni filosofiche o artistiche,
gli stati di estasi, oltre che “le facoltà ed i poteri supernormali di
tipo elevato” (Assagioli 1973, 24).
Nell’Io cosciente bisogna distinguere, per Assagioli, i contenuti
della coscienza del centro della coscienza stessa. È una distinzione che ha ben presente chi pratica meditazione, e si trova ad osservare i propri pensieri e le proprie immagini mentali: c’è un io
che osserva i propri contenuti. Questo occhio che osserva per Assagioli è il punto che è al centro del campo della coscienza.
C’è infine il Sé superiore o transpersonale. Esso, precisa Assagioli,
non va confuso con il Super-Io di Freud, che è prodotto
dall’interazione con l’altro (il complesso di Edipo). Esso rappresenta la nostra natura più autentica, che attingiamo quando il nostro Io comune sembra svanire: è ciò che accade nella mistica di
ogni tempo e di ogni luogo.
Infine l’Inconscio collettivo, che Assagioli mutua da Jung, al quale
rimprovera tuttavia di non averne dato “una chiara definizione”
(ivi, 26). Nell’Inconscio collettivo si trovano elementi
dell’“ambiente psichico generale” in cui il soggetto è immerso, e
con il quale avvengono scambi continui, in una sorta di equiva-
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lente psichico dell’osmosi fisica. Elementi che sono tanto di carattere primitivo, quanto di carattere spirituale e superiore.
Veniamo alle tecniche, che come detto hanno un ruolo assolutamente centrale nella psicosintesi. Per Assagioli il ruolo del terapeuta è limitato. Non diversamente dalla terapia centrata sul
cliente di Rogers, per la psicosintesi il cammino di guarigioneevoluzione va compiuto dal soggetto stesso. Per la precisione, si
tratta di un duplice movimento. Da un lato, è il soggetto che, con
la propria forza di volontà e grazie ad alcune tecniche, lavora per
sottomettere gli elementi inconsci, pulsionali, antispirituali ed attivare le energie positive; dall’altro, è lo Spirito stesso, il Sé spirituale, “che compie l’opera, che completa e perfeziona quello che
la volontà ha iniziato” (Assagioli 1993, 152). La teoria della psicosintesi si presenta dunque, più che come una concezione “tecnica” della terapia rivolta allo specialista, come un percorso spirituale per tutti, non diversamente da antiche vie sapienziali e filosofiche quali l’epicureismo, lo stoicismo ed il buddhismo.
Il merito principale di Assagioli va ricercato, a mio avviso,
nell’aver rimesso in auge, con contributi originali, quelle tecnologie del sé di cui parla Michel Foucault nel corso del 1981-1982 al
Collège de France su L’ermeneutica del soggetto. In quel corso il filosofo francese analizza l’epimeleia heautou, quella cura di sé che
è un fenomeno di importanza cruciale nella cultura greca, e che
verrà progressivamente marginalizzata nel corso dello sviluppo
della civiltà occidentale. Se filosofia, scrive Foucault, è “la forma
di pensiero che si interroga su ciò che permette al soggetto di
avere accesso alla verità”, si può definire spiritualità “la ricerca,
la pratica e l’esperienza per mezzo delle quali il soggetto opera su
se stesso le trasformazioni necessarie per avere accesso alla verità” (Foucault 2011, 17). Il soggetto deve cambiare, e solo grazie a questo cambiamento potrà raggiungere quella verità cui so112
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no connessi la tranquillità dell’animo o la beatitudine. In Oriente queste tecnologie spirituali del sé sono ancora attuali. È noto
che per Gandhi, ad esempio, Dio e Verità sono la stessa cosa. Ma
la Verità non può essere colta se non, appunto, attraverso una serie di pratiche di riduzione, quali la castità, la povertà volontaria,
la rinuncia al piacere del palato, eccetera. Chi non si sottopone a
queste pratiche, non può pretendere di essere vicino alla Verità.
Queste pratiche, che Gandhi chiama tapascarya, hanno la funzione
spirituale, anzi mistica, di ridurre l’ego, fino a renderlo un puro
nulla (“reduce himself to zero” è la frase ricorrente che sintetizza
il programma spirituale gandhiano) (Vigilante 2009).
Quando Assagioli afferma di voler fare “una ‘psicologia dell’alto’,
che sia insieme scientifica e spirituale” (Assagioli 1993, 26),
l’aggettivo spirituale va inteso in un duplice senso: da un lato, è
spirituale perché parte dall’ipotesi dell’esistenza di un Sé spirituale, dall’altra lo è, appunto, nel senso foucaultiano delle tecnologie del sé. Tecnologie che servono a realizzare la sintesi interiore, che è lo scopo dell’esistenza umana. Si tratta, in sostanza,
di un processo dialettico. La nostra psiche è il terreno di conflitti,
di forze contrastanti, di pulsioni che vanno in direzione contraria. Ma queste forze contrastanti possono essere trascese e conciliate hegelianamente da “una realtà superiore che li comprenda
e insieme li trascenda” (ivi, 33), Questa realtà non è il Super-Io,
che resta un principio psichico la cui affermazione non elimina
la conflittualità, ma permane in costante tensione con le pulsioni
inconsce che è chiamato a controllare, ma il Sé spirituale, che trascende lo psichico e lo conduce verso una superiore dimensione
di armonia e di pace.
Un ruolo fondamentale gioca nella psicosintesi la volontà. Ciò può
sorprendere, dal momento che siamo soliti considerare la volontà
un’espressione dell’io. Nella mistica non troviamo forse la nolun113
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tas, la rinuncia della volontà? Vero è anche, però, che ogni cammino spirituale comincia con un atto di volontà. Nel nobile sentiero
in otto parti del buddhismo ci sono almeno due sentieri che hanno a che fare con la volontà: samma sankappa, la retta intenzione di
liberarsi dagli attaccamenti e di incamminarsi verso la liberazione e la compassione, e samma vayama, il retto sforzo, la decisione
di impegnarsi nella pratica in modo da sradicare gli stati mentali negativi. È attraverso questa intenzione e questo sforzo che il
soggetto, esposto al disagio ed alla sofferenza, comincia il cammino che lo conduce oltre la sua condizione, ossia oltre il suo ego
circoscritto. Non diversamente opera la volontà in Assagioli. È il
percorso che conduce dall’io al Sé transpersonale. Il problema logico che questa concezione comporta – come può l’io avviare un
processo che lo conduce oltre sé stesso? – è risolto da Assagioli
con la concezione di un Sé transpersonale. Come abbiamo visto,
non è soltanto la meta del percorso psicologico e spirituale, ma è
attivo ed operante: il soggetto può dirigere la sua volontà verso
il Sé transpersonale proprio perché questo Sé, con la sua Volontà
(che è tutt’uno con la “Trascendente Volontà Universale”) (Assagioli 1977, 21), esiste. Se la volontà può dirigersi non solo verso
scopi egoici – la ferrea volontà che spinge alcuni a cercare il successo personale – ma anche verso scopi transpersonali è appunto
perché esiste il Sé oltre l’ego, ed opera fin dall’inizio. Il risultato
di questa opera, di questa azione del Sé è la vocazione, lo slancio
oltre sé stesso che l’ego avverte, il bisogno di significato che nelle nostre vite è pressante non meno dei bisogni fisiologici e del
bisogno di affermazione personale e sociale; un bisogno di realizzazione spirituale che, se non viene soddisfatto, provoca depressione, senso di vuoto, una profonda insoddisfazione esistenziale.
Questa Volontà Transpersonale che trascende la volontà dell’ego
e la dirige verso l’alto è tutt’uno con il Divino, inteso non come un
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Ente personale, ma come la Realtà suprema. Il percorso spirituale raggiunge il suo fine quando il piccolo ego si accorge di essere
tutt’uno con questa Realtà: quando si realizza l’unità di atman e
Brahman, secondo la visione del Vedanta, o tra uomo e Dio, secondo la mistica cristiana e musulmana (cfr. ivi, 95).
Siamo, come si vede, non più nel campo della psicologia, ma in
quello della religione e della metafisica. Torneremo nella conclusione sui problemi che questa intersezione tra psicologia e metafisica comporta. Si può osservare intanto che caratterizzare il
Transpersonale come Volontà può far incorrere nell’equivoco di
considerarlo una realtà pulsionale, una forza cieca che come il
Wille di Schopenhauer spinge verso il desiderio e quindi la sofferenza, piuttosto che come il Ciò che si raggiunge una volta messa
a tacere la volontà individuale. Una forte volontà manifesta il Dio
dei monoteismi, quello biblico e quello coranico, mentre il Brahman, per quel poco che può essere definito, è Sat-Cit-Ananda, ossia Essere, Coscienza, Beatitudine, così come il Dao si sottrae a
qualsiasi definizione che non sia paradossale. Lo stesso Dio della
mistica dei monoteismi difficilmente può essere colto con il concetto di volontà, che implica l’idea di una direzione verso uno
scopo, il proporsi qualcosa e perseguirlo, tutte cose che, come la
personalità o la stessa bontà, appaiono umane, troppo umane per
l’esperienza del mistico.
Avvertita, per opera del Sé, che è lo stesso Divino, la vocazione,
il soggetto comincia quello che si può considerare un vero e proprio viaggio iniziatico. Non è un caso che Assagioli abbia dedicato
molte attenzioni alla Divina Commedia di Dante, un poema che
nella sua interpretazione racchiude un profondo significato spirituale. Il viaggio di Dante è lo stesso viaggio che dagli Inferi conduce al Divino che ognuno di noi è chiamato a compiere. Come in
ogni viaggio iniziatico, ci sono prove da affrontare, pericoli da su115
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perare, nemici da fronteggiare. Prove, pericoli, nemici che sono
tutti interni. È una lotta contro sé stessi per andare oltre sé stessi. Questa lotta è guidata dalla vocazione e dalla volontà e si serve
di quegli strumenti che, con Foucault, ho chiamo tecnologie del
sé. Poiché il raggiungimento delle più alte realizzazioni spirituali può avvenire in due modi, o per iniziativa del Sé transpersonali o grazie allo sforzo dell’ego, esistono due generi di esperienze:
quelle a carattere discendente, nelle quali opera il Sé, e quelle a
carattere ascendente. Tra le prime Assagioli annovera le intuizioni che caratterizzano la creazione artistica e gli impulsi eroici ed
etici, ma anche quelle esperienze parapsicologiche della cui realtà non dubitava, come la telepatia. Per quanto riguarda le seconda, adopera la suggestiva immagine dell’“alpinismo psicologico”.
Si tratta di una ascesa che, per essere reale, ha bisogno di una preliminare discesa nell’inconscio inferiore. La Commedia di Dante,
con le sue tre cantiche, rappresenta i tre momenti del cammino
spirituale: la discesa nell’inconscio (Inferno), la salita all’io (Purgatorio) e quindi la conquista del mondo spirituale (Paradiso). È
un percorso pieno di ostacoli, come mostra anche l’altro poemasimbolo del percorso spirituale, la Salita del monte Carmelo di Giovanni della Croce, che tematizza in modo estremamente suggestivo quella notte oscura dell’anima senza la quale non è possibile
raggiungere “l’alto stato di perfezione” che è “l’unione dell’anima
con Dio” (Giovanni della Croce 2001, 5). L’itinerarium che, attraverso difficoltà e privazioni, conduce l’anima a Dio o l’ego al Sé, è
uno dei temi ricorrenti della letteratura universale: la vita stessa
dei fondatori delle religioni, o di alcuni di loro, può essere interpretata in questo modo. Il Cristo è l’uomo che, attraverso la crocifissione dell’ego, giunge al Sé, così come il Buddha, in una dimensione più umana e laica, è l’uomo che attraverso la meditazione e
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la compassione giunge a trascendere l’etica nella dimensione incondizionata del nibbana.
Sono due vie religiose, ma Assagioli non esclude che vi possano
essere altre vie: quella dell’eroismo etico, ad esempio, o quella
erotica, o ancora una “via scientifica” che Assagioli nomina senza
approfondirla (Assagioli 1988, 41), e che può essere cosa non diversa da quella mistica laica fondata su un “uso contemplativo
della scienza” mostrata da Luigi Lombardi Vallauri in quel libro
meraviglioso che è Meditare in Occidente (2015). Ci sarebbe anche
la via della bhakti, della devozione, con la quale il fedele si lega ad
una figura divina (Cristo, Krishna, Rama ecc.) che potrebbe essere
interpretata come una immagine del Sé, più che come una figura divina realmente esistente. Ma la via meditativa è per Assagioli
quella che “rientra più direttamente nel campo della Psicosintesi” (Assagioli 1988, 33). E’ una via che ha diverse fasi. Nella fase
iniziale la coscienza, che è normalmente dispersa, si concentra e
rientra in sé stessa. Segue poi la meditazione vera e propria. Assagioli non si riferisce alla meditazione intesa come semplice consapevolezza non discorsiva, secondo la tecnica della meditazione
buddhista vipassana che grande successo sta incontrando in Occidente come mindfulness, la versione terapeutica elaborata dal
medico Jon Kabat-Zinn. Nella vipassana/mindfulness l’attenzione
è portata prima sul respiro, poi sulle sensazioni, le posizioni e le
parti del corpo, infine sulle emozioni e gli stati mentali. Nella meditazione di Assagioli invece si parte da una riflessione intellettuale per giungere ad una identificazione con ciò che viene contemplato, che consente di compiere il salto nel transpersonale e
di conseguire l’unificazione della coscienza con il Sé transpersonale. Ne L’atto di volontà Assagioli distingue meditazione riflessiva, meditazione recettiva e meditazione creativa. La prima cerca
di giungere ad una conclusione chiara su un problema intellet117
Educazione Aperta
tuale o filosofico, ed al tempo stesso di disciplinare la mente costringendola a concentrarsi su di un punto (Assagioli suggerisce
di concentrarsi su temi che riguardano le caratteristiche della volontà – ad esempio il coraggio, il dominio, la disciplina – o su di
una immagine che la rappresenti simbolicamente, come un auriga o un uomo al timone di una nave). Nelle meditazione recettiva
la mente è volta verso l’alto, si fa appunto recettiva per accettare ciò che scende dall’alto. Fatto il silenzio interiore, la mente riceve intuizioni, illuminazioni o messaggi interiori, ma può anche
dialogare internamente con il Sé (Assagioli ha probabilmente presenti i colloqui che caratterizzano moltissime opere mistiche). La
meditazione creativa supera la contrapposizione, solo apparente,
tra contemplazione ed azione. Il risveglio delle energie psicologiche attraverso le tecniche meditative può avere un effetto trasformativo in primo luogo su sé stessi: può servire, cioè, a cambiare la propria personalità indirizzandola verso un modello ideale.
Ma può operare anche sulla realtà. La meditazione risveglia, consolida e orienta verso il bene quella forza di volontà che può diventare, anzi deve diventare operante nel mondo (Assagioli 1977,
162-172).
C’è qui uno spiraglio interessante sulla politica, che però Assagioli
non ha mai approfondito. È noto il suo pacifismo, che nel 1940 gli
è costato un mese di prigione a Regina Coeli, ma è un pacifismo
che non si è mai tradotto in una vera attività militante. In una sorta di diario dei giorni di prigione, scrive: “[…] non sono mai stato
un ‘pacifista’ nel comune significato di questo termine. Sono profondamente convinto che la pace è fondamentalmente un problema psicologico” (Giovetti 1995, 54). E prosegue parlando di una
élite di uomini e donne che dovranno essere educati in modo tale
da diventare “esempi viventi di pace realizzata in noi stessi, nelle nostre famiglie, nel nostro lavoro, dimostrando la possibilità di
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Psicosintesi ed educazione transpersonale in Roberto Assagioli
rapporti giusti e armoniosi…” (ivi, p. 55). Una posizione non errata, ma parziale. La pace è anche, naturalmente, un problema psicologico. Ma è anche un problema culturale, spirituale, strutturale, politico. Manca in Assagioli quella dissacrazione della guerra e
dell’eroismo militare che sono indispensabili corollari di un pacifismo militante. Ne Lo sviluppo transpersonale parla di un contadino del 1914 “chiuso nella sua monotona e torpida vita, quasi più
vegetativa che umana” e catapultato nella vita di trincea. “Quale differenza! Quale intensificazione di esperienza e vi vita, quale
apertura mentale!” (Assagioli 1988, 169). Viene da chiedersi, leggendo questa autentica idiozia, come si possa realmente promuovere la pace psicologica, se si considera l’esperienza della guerra
come una intensificazione della vita, e la vita pacifica dei contadini che non ammazzano nessuno e si dedicano al lavoro onesto
della terra – quei contadini cui si rivolgeva Jean Giono affinché si
arruolassero nella “crociata della povertà contro la ricchezza della guerra” (Giono 2010, 115) – come una vita vegetativa e subumana.
Fino ad ora abbiamo considerato la psicosintesi come concezione
psicologica che è al tempo stesso un percorso di (auto)educazione. La psicosintesi, scrive Assagioli, è tre cose: un metodo di auto-formazione psico-spirituale, un metodo di cura delle
malattie e dei disturbi psichici e psicosomatici, un “metodo di
educazione integrale” (Assagioli 1973, 36). Su questo terzo aspetto della psicosintesi Assagioli è intervenuto in modo sporadico ed
episodico; i suoi scritti sul tema, spesso allo stato di semplice abbozzo, sono raccolti nel volumetto Educare l’uomo domani, pubblicato nel 1988 dall’Istituto di Psicosintesi di Firenze.
Ogni concezione educativa è legata ad una concezione di quello
che è e di quello che dovrebbe essere la società, che possiamo definire politica in senso ampio. Nel caso di Assagioli, la sua visio119
Educazione Aperta
ne del mondo moderno ha molti punti di contatto con quanti, tra
la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento, hanno denunciato la crisi spirituale della società moderna dovuta al materialismo, al prevalere delle macchine ed alla progressiva costruzione
di una società di massa. Pur ritenendo necessaria una posizione
più aperta agli aspetti positivi della modernità, Assagioli annovera tra “i critici più intelligenti” della modernità non solo il Guénon della Crisi del mondo moderno, ma anche Julius Evola: due autori che appartengono alla galassia, invero molto popolata, di quello spiritualismo, esoterico quando non occultistico, che combatte
la modernità in nome di una Tradizione spirituale che si tratta di
riscoprire e difendere contro le deviazioni del materialismo. Una
tradizione che spesso è reazionaria e nel caso di Evola è apertamente fascista. Il che non vuol dire, ovviamente, che l’ebreo Assagioli sia fascista; piuttosto, nei suoi interessi spiritualistici si ritrova in pessima compagnia. Tra gli italiani, gli è vicino Pietro Ubaldi, il filosofo umbro teorico delle noùri, invero conosciuto più in
Brasile che in Italia. Assagioli è il relatore della giuria che decide
la pubblicazione del suo L’ascesi mistica nella “Collana di Biosofia”
dell’editore Hoepli. Nella relazione introduttiva all’opera, nota la
corrispondenza tra molte cose scritte in quel libro e le concezioni
ricevute telepaticamente dalla teosofa Alice Bailey e da lei riportate nelle sue opere: una dimostrazione dell’esistenza di “correnti di pensiero che soggetti diversi possono captare indipendentemente l’uno dall’altro”, che sono appunto le noùri di cui parlava Ubaldi (Assagioli 1939, xv). In questa galassia spiritualisticoteosofica è diffusa, insieme alla critica e spesso al rifiuto della modernità, la convinzione che l’età moderna stia per aprirsi ad una
nuove epoca, anzi ad una Nuova Era. E’ una convinzione che è sopravvissuta, insieme a molte altre di questa galassia, fino a dare il
nome stesso all’attuale movimento New Age. Questa convinzione
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Psicosintesi ed educazione transpersonale in Roberto Assagioli
è presente anche in Assagioli, ed è importante per comprendere
la sua concezione educativa. Nel volumetto sull’educazione c’è un
rapido appunto sulla “Educazione della Nuova Era”:
Caratteristiche della Nuova Era:
Realismo
Antiintellettualismo
Esperienza
Avventura…
Interscambi
Sintesi
Consapevolezza di gruppo
Cooperare con i giovani. Siate amici loro, niente “superiorità”.
Cause esoteriche
Nuove energie che si fanno avanti: Acquario, VII raggio ecc. (Assagioli 1988, 89).
Assagioli è convinto, dunque, che stia per giungere una nuova
era, grazie all’operare di energie occulte, che però devono essere
sorrette ed assecondate dall’operare umano. L’educazione
dell’uomo nuovo dovrà favorire l’avvento di questa nuova epoca.
Tra le parole-chiave ci sono parole – esperienza, avventura, interscambi – che, considerate in ambito pedagogico, fanno pensare all’attivismo. Ed in effetti per Assagioli la pedagogia psicosintetica deve far propria tutta la più avanzata pedagogia europea ed
americana, vale a dire la pedagogia dell’attivismo. “Intendiamo
valorizzare tutte le forme più avanzate di educazione” (Assagioli
1988, 48). Forme di educazione alle quali la psisosintesi porta una
aggiunta, che è quella dell’educazione spirituale, con la sua antropologia, il suo insieme di tecniche ed anche – ed è forse l’aspetto
più interessante, anche se anch’esso appena abbozzato – la sua
concezione dell’infanzia. Scrive Assagioli:
Cogliere, alimentare, tener viva la spiritualità spontanea del bambino – risvegliare e coltivare in lui il senso di ammirazione, del miste-
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Educazione Aperta
ro, dell’amore, della comunione con esseri e cose. Cogliere “ricordi”
barlumi di altre vite e di altri piani. (Assagioli 1988, 85).
Tralasciamo il riferimento finale alle altre vite, che appartiene
alla parapsicologia più che alla psicologia o alla pedagogia; importante è l’individuazione di una spiritualità dell’infanzia che
l’adulto deve saper valorizzare, alimentare e rispettare. Tra gli
autori italiani, Maria Montessori ed Aldo Capitini sono coloro che
meglio hanno colto questo aspetto dell’infanzia. E se per Assagioli la spiritualità spontanea del bambino è ancora una spiritualità
incipiente, che dovrà essere indirizzata e che solo in età matura
giungerà alla completa sintesi ed alla conquista del Sé, per Capitini invece il bambino custodisce una diversità radicale, è più prossimo dell’adulto a quella realtà liberta dal male e dalla sofferenza che il filosofo della nonviolenza chiama compresenza (Capitini
1953). Una percezione della diversità del bambino che rivoluziona la relazione educativa: se l’educatore porta nella relazione il
contributo della cultura, del sapere, dei valori, il bambino porta
qualcosa di non meno essenziale, l’apertura ad un mondo altro. E
l’educazione non è dunque un dirigere l’adulto da parte del bambino, ma un incontro, un dirigersi-insieme. Assagioli non giunge
ad un simile ripensamento della relazione. Tra i suoi appunti si
trova l’affermazione che occorre “abbattere le barriere, costruire i ponti tra le anime” (ivi, p. 53), poiché uno dei mali della contemporaneità è l’isolamento, la chiusura di ognuno in sé stesso;
ma questa distruzione di barriere riguarda solo parzialmente la
relazione tra educatore ed educando. Più volte il fondatore della
psicosintesi afferma l’importanza della punizione. Rigetta, naturalmente, la correzione manuale, ma ripete più volte la necessità
delle punizioni.
Le punizioni ci devono essere: la vita e la scuola non sono una cosa
idilliaca. Creare ai bambini un’atmosfera artificiale non è bene. Le
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Psicosintesi ed educazione transpersonale in Roberto Assagioli
punizioni ci devono essere, ma in modo tutto diverso dal solito. Puniamo in genere per irritazione, ma questo è sbagliato. La legge divina e quella umana non si arrabbiano mai: chi trasgredisce è punito
automaticamente. (ivi, p. 55)
In un altro appunto sull’educazione si legge che i bambini hanno
bisogno di rapporti umani in tre direzioni: con gli adulti, con i
coetanei e con gli “inferiori”, categoria che comprende sia i bambini più piccoli che gli animali (ivi, 36). Se questo accenno ad
una pedagogia interspecifica è uno dei non pochi spunti interessanti non sviluppati in Assagioli, l’affermazione del rapporto con
l’adulto quale bisogno specifico del bambino pare in contrasto
con il passo appena citato riguardante la punizione. L’adulto potrà creare un rapporto realmente profondo con il bambino, se tra
sé e lui metterà la barriera della punizione? Probabilmente sarebbe anche più umana, perché relazionalmente viva, una punizione
accompagnata dall’emotività, rispetto alla punizione impersonale
auspicata da Assagioli. In ogni caso, la punizione interviene quando il bambino prende una direzione che all’adulto non piace, ed
ha lo scopo di ricondurlo su quella che egli considera la via giusta.
Se la punizione – una qualche forma di punizione – è un elemento
quasi ineliminabile del tutto in una relazione educativa (ne costituisce per così dire l’ombra), l’enfasi sull’importanza della punizione è la spia di una concezione dell’educazione come modellamento dello sviluppo del bambino secondo una logica comportamentista (rinforzi negativi per evitare comportamenti indesiderati) che è violenta.
Una convinzione che contrasta, ma forse solo apparentemente,
con questa conclusione è l’idea che l’educazione debba tener conto delle differenze individuali ed in particolare dei tipi psicologici
cui appartengono i bambini. Per Assagioli è possibile individuare
fin da piccoli i tratti psicologici che saranno propri dell’età adulta.
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Educazione Aperta
Esistono il tipo pratico, caratterizzato dal predominio dei sensi e
dall’interesse per il mondo materiale, il tipo emotivo immaginativo,
nei quali dominante è la vita affettiva, il tipo mentale, proprio di
scienziati e filosofi ed il tipo intuitivo dei mistici. Può esserci, qui,
una anticipazione della teoria delle intelligenze multiple di Gardner e l’idea, importante, di una educazione che tenga conto delle differenze individuali e rispetti le diverse vocazioni; ma c’è anche il rischio di non tener conto della straordinaria plasticità dello sviluppo individuale e della possibilità di sviluppare diverse dimensioni del sé nelle diverse epoche della vita. L’adulto può essere altro da quello che era il bambino, ma non se viene educato ad
essere quello che l’educatore crede che debba essere. Se si vede
in un bambino solo la capacità pratica, può essere che lo si educhi
a diventare un adulto che ha solo capacità pratiche, e può essere che in realtà mostrasse da bambino quelle capacità perché erano le uniche stimolate dal suo ambiente. Lo stesso vale al contrario (ed è quello che succede ordinariamente nelle scuole): che un
bambino non sviluppi adeguatamente le sue potenzialità manuali perché esse non vengono educate, in quanto l’educatore non le
considera significative. Può essere, poi, che l’interpretazione del
tipo psicologico del bambino da parte dell’adulto educatore sia
pregiudiziale. Si trova traccia di questa di questa possibilità, dalle conseguenze nefaste, nello stesso Assagioli, che considera il tipo emotivo “assai diffuso fra le donne”, mentre il tipo mentale è
“prevalentemente virile” (Assagioli 1988, 41). Un educatore convinto che il tipo mentale sia propriamente virile riuscirà ad educare una bambina sviluppando adeguatamente in lei quella che
Gardner chiamerebbe intelligenza logico-matematica? E si riuscirà a scorgere nel figlio di un operaio, oltre le capacità manuali
naturalmente prevalenti, quelle intellettuali o artistiche? Per Assagioli la distinzione dei tipi psicologici è alla base di una peda124
Psicosintesi ed educazione transpersonale in Roberto Assagioli
gogia del rispetto delle differenze. “Perché voler forzare a diventare un commerciante, per continuare la ditta paterna, uno che
ha evidenti disposizioni artistiche? Non potrà fare che cattivi affari, mentre sarebbe potuto divenire un vero artista”, scrive (ivi,
43). E in questo caso è difficile dargli torto. Ma sappiamo anche
che la conquista dell’identità è un processo complesso e lungo, e
se è vero che alcune caratteristiche sono presenti fin dalla prima
infanzia è anche vero che molte vocazioni compaiono più avanti
nel tempo, in particolare nell’adolescenza con la sua vera e propria lotta per l’identità. La quale si costruisce anche attraverso lo
sguardo dell’altro. Se lo sguardo di quell’altro significativo che è
l’educatore ci restituisce un “tipo psicologico”, magari sulla base
di un pregiudizio di genere o di classe, può succedere che si prenda forma adeguandosi a quell’immagine, trascurando alcune parti
di sé e potenzialità che potrebbero essere espresse se adeguatamente incoraggiate.
Un tema che sta particolarmente a cuore ad Assagioli è quello
dell’educazione dei bambini “superdotati”. Non è difficile comprenderne le ragioni. Assagioli, lo abbiamo visto, è convinto che
sia imminente l’avvento di una Nuova Era. Ora, questa Nuova Era
dovrà essere preparata da una élite di uomini e donne eccezionali, una sorta di avanguardia dell’umanità, superuomini e superdonne nel senso nietzscheano. Gli appartenenti a questa élite sono di due tipi: da una parte grandi personalità evolute, che tornano sulla terra per compiere una missione (Assagioli cita Einstein,
ma anche Aurobindo e La Mére, al secolo Mirra Alfassa, mistica e
collaboratrice del filosofo indiano); dall’altra personalità straordinariamente sviluppate in alcuni campi ma mancanti in altri (e
qui cita scrittori e poeti come Baudelaire e Rimbaud, ma anche
il filosofo Sartre) (Assagioli 1988, 94). È fondamentale individuare fin da subito gli appartenenti a queste due élite per dare lo125
Educazione Aperta
ro un’educazione adeguata, in particolare per i secondi, che dovranno essere aiutati a svilupparsi in modo armonico. Ciò vuol dire fare un’educazione differenziale, e ciò sembra andare contro
il principio di un’educazione democratica. Ma la cosa non preoccupa troppo Assagioli: “La gerarchia esiste nella vita, che noi lo
vogliamo o no, e non è esaltando la mediocrità che miglioreremo
l’umanità” (ibidem, corsivo nel testo). I bambini particolarmente dotati andranno educati in centri appositi, immersi nella natura, nei quali riceveranno una formazione integrale, con particolare attenzione al loro sviluppo spirituale. La vicenda personale
di Jiddu Krishnamurti, individuato da ragazzino come un essere
spirituale superiore ed educato dai teosofi per diventare un grande maestro dell’umanità, fino alla ribellione, mostra a quali esiti
disastrosi può condurre questa formazione elitaria. Disastrosa sul
piano umano, per l’eccesso di aspettative, ma anche sul piano intellettuale ed artistico, perché non è affatto detto che un Rimbaud
o un Baudelaire avrebbero scritto i capolavori che hanno scritto
se fossero cresciuti in un ambiente armonico, equilibrato, lontano dalle miserie e dalle sofferenze della vita.
Nel complesso, non c’è granché negli scritti di Assagioli espressamente dedicati all’educazione. Qualche spunto interessante ma
non approfondito, molte banalità, qualche idea discutibile.
L’interesse pedagogico della sua ricerca è nella visione generale
della psicosintesi, più che nelle sue applicazioni educative. E consiste, come già detto, in questo: nell’aver cercato di mettere in circolazione quelle tecnologie del sé che sono presenti sia in Oriente (nel daoismo, nello hinduismo, nel buddhismo) che
nell’Occidente greco e romano (si vedano le ricerche di Hadot),
ma che nell’Europa moderna e contemporanea sono state dimenticate e sostituite da un lato da un fare tutto esteriore, volto alla
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Psicosintesi ed educazione transpersonale in Roberto Assagioli
trasformazione del mondo più che al dominio di sé, e dall’altra da
pratiche religiose a carattere meramente devozionale.
Il limite della psicosintesi, più volte segnalato nel corso di questo
studio, è nella mancanza di una rigorosa fondazione scientifica.
In ultima analisi, la psicosintesi si regge sull’ipotesi dell’esistenza
di una realtà personale superiore all’io, che Assagioli chiama Sé.
La dimostrazione dell’esistenza del Sé dovrebbe essere quindi un
momento centrale nell’argomentazione del fondatore della psicosintesi, che invece si limita ad osservare che molte persone hanno avuto ed hanno esperienze spirituali che portano a trascendere l’io e lo psicologico. In Principi e metodi della psicosintesi terapeutica per sostenere questa affermazione rimanda a tre opere, nelle quali queste esperienze sarebbero testimoniate: Cosmic Consiousness di Bucke, Tertium Organum di Ouspensky e Mysticism
di Unrderhill (Assagioli 1973, 25). Che esista un’esperienza mistica, e che in tale esperienza si operi un superamento dello stato
consueto dell’io, è una cosa difficilmente contestabile: secoli di
letteratura religiosa stanno a dimostrarlo. Ma questa esperienza
dimostra l’esistenza di un principio superiore all’io? Soprattutto,
occorre chiedersi: una psicologia transpersonale ha bisogno di un
Sé spirituale? Assagioli lo ritiene indispensabile, ma uno dei grandi maestri spirituali cui egli stesso si richiama mette in discussione la sua convinzione. Secondo la testimonianza di Asvagosa, il
Buddha storico, Siddhartha Gautama, abbandonò i suoi due maestri perché riteneva inaccettabile la loro credenza nell’esistenza
di un Sé spirituale. Si può ritenere Asvagosa un autore inattendibile dal punto di vista storico, ma è uno delle maggiori personalità
del buddhismo: la sua interpretazione del distacco del futuro Buddha dai suoi maestri, se non è storicamente fedele, è intellettualmente rilevante. Di fatto, la maggior parte dei buddhisti ritengono che non esista alcun Sé spirituale; questo non impedisce la rea127
Educazione Aperta
lizzazione di esperienze transpersonali in ambito buddhista, ed
è molto probabile invece che le favorisca. La psicologia e la pratica transpersonale non hanno alcun bisogno della convinzione
dell’esistenza di un Sé spirituale. Introdurre questa convinzione
vuol dire far dipendere la psicologia, che dev’essere scientifica, da
una premessa di carattere religioso o metafisico. E’ quello che rischia di accadere ad Assagioli, nonostante sia consapevole del pericolo. Nella stessa opera citata, che è una raccolta di saggi scritti
nel corso degli anni, caratterizza la psicosintesi come una prassi che non ha bisogno di esprimersi sulle questioni ultime, per la
quale il Sé non è un “postulato metafisico”, ma una realtà di cui
molti hanno una esperienza senza considerare la quale la nostra
comprensione della realtà umana sarebbe parziale. Non occorre
dunque essere persuasi dell’esistenza di alcuna realtà metafisica,
sostiene, per praticare la psicosintesi: “essa propone tecniche e
metodi che possono venire usati anche da quelli che non sono ‘religiosi’ o che non hanno alcuna chiara convinzione filosofica, da
quelli che si considerano agnostici” (Assagioli 1973, 164). Un tentativo apprezzabile, ma che non è stato condotto fino in fondo. Se
il Sé non è un postulato metafisico, allora cos’è? Assagioli ritiene
utilizzabili le tecniche psicosintetiche anche se il Sé come essenza
spirituale non esistesse, ma personalmente è convinto della sua
esistenza, così come è convinto dell’esistenza di una realtà spirituale trascendente, di una sfera del divino non necessariamente
coincidente con le tradizionali rappresentazioni della religione,
ma purtuttavia reale e necessaria di indagine (una indagine condotta con metodo che none escludono lo spiritismo, la telepatia
eccetera). Questa convinzione gli impedisce di considerare la questione del transpersonale in un’ottica laica e pienamente scientifica, interrogandosi sul significato umano dell’esperienza mistica.
Freud ha tirato giù l’essere umano, legandolo, anzi incatenandolo
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Psicosintesi ed educazione transpersonale in Roberto Assagioli
ai suoi istinti; Assagioli (come Frankl ed altri) cerca di risollevarlo
legandolo ad un punto posto in alto, il Sé transpersonale, operando una correzione comprensibile e probabilmente necessaria, ma
scientificamente discutibile.
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