Oggi si vota sulla Brexit, le profezie sul futuro del Regno Unito e

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Oggi si vota sulla Brexit, le profezie sul futuro del Regno Unito e
ANNO XXI NUMERO 147 - PAG II
IL FOGLIO QUOTIDIANO
GIOVEDÌ 23 GIUGNO 2016
ASPETTANDO IL VERDETTO INGLESE, AB
Oggi si vota sulla Brexit, le profezie sul futuro del Regno Unito e nostro sono molte. Alcuni politici, es
Oggi si vota nel Regno Unito al referendum sulla permanenza nell’Unione europea. In gioco non c’è soltanto lo status britannico ma il futuro di tutto il continente.
Abbiamo chiesto ad alcuni esperti internazionali che cosa pensano di questa consultazione e soprattutto come immaginano,
come sognano, un’Europa che funziona.
Per alcuni la Brexit è un’opportunità anche per il continente, per altri un disastro,
tutti dicono che è necessario, comunque
vada, reagire in fretta. Ecco qui il girotondo di opinioni.
Evelyn Roll
giornalista e scrittrice, autrice di una biografia di Angela Merkel e
del pamphlet “Siamo noi l’Europa!”
(testo raccolto)
Un’uscita è un’uscita
Gli elettori devono avere ben chiaro che
cosa aspettarsi dal’Europa. Nessuno è obbligato a restare nell’Unione europea. Se la
Gran Bretagna decide di restare, rispetteremo l’accordo. Il primo ministro David Cameron ha negoziato un deal speciale per il suo
paese a febbraio. L’Unione europea e il Par-
Ragioni liberali e federaliste pro Brexit
L’uscita del Regno Unito dal club comunitario riporterebbe l’Ue sulla terra. La
prima defezione, dopo un processo pluridecennale di adesioni, farebbe comprendere
come questa istituzione umana non è esente da difetti e merita rispetto se e quando si
pone al servizio dei diritti delle persone.
Troppi parlano dell’Unione con toni mistici che impediscono ogni riflessione, ma
quella mitizzazione verrebbe meno nel momento in cui Londra decidesse di fare da
sola. Dopo aver prosaicizzato lo stato moderno con il voto scozzese (che ha ricondotto il Regno Unito a un libero patto tra comunità), gli inglesi si apprestano a fare lo
stesso con l’Unione europea. Per giunta,
“Nessuno è obbligato a restare,
ma se ci sarà una Brexit non terrò
più conto degli interessi di
Londra”, dice il leader Ppe Weber
“Poter raggiungere 500 milioni
di consumatori attraverso un
unico set di regole (invece che 28)
è un gran beneficio”, dice Parker
lamento europeo rispetteranno lo ‘special
status’ del Regno Unito in Europa. Ma un’uscita significa un’uscita. In nessuna circostanza questo porterà a un trattamento di favore per il paese, come sostenuto dall’ex
sindaco di Londra Boris Johnson. Non ci
sarà un ‘cherrypicking’ britannico: mantenere i benefit dell’Ue nell’ambito economico e prendersela con Bruxelles su tutto il resto. Se il Regno Unito decide di uscire, io come politico non terrò più conto degli interessi di Londra come capitale finanziaria
dell’Europa. Roma, Francoforte e Parigi sono molto più vicine. Il nostro lavoro sarà dedicato esclusivamente ai 27 paesi dell’Ue.
Un voto per la Brexit sarebbe doloroso per
entrambi, ma l’Ue è il partner più forte. I
britannici subirebbero il danno più grande,
soprattutto economico. Ma, in ogni caso,
dobbiamo iniziare un dibattito fondamentale in Europa. Fino a dove possiamo arrivare? Finora abbiamo negoziato e discusso su
basi teoriche. Ci sono state discussioni su
un’Ue a due velocità o sugli Stati Uniti d’Europa. Ma questo non è il punto. Ogni giorno
l’influenza europea diminuisce. Dobbiamo
adattare le nostre strutture e le nostre procedure. L’Europarlamento, che rappresenta
gli elettori, è la principale istituzione legislativa. Dobbiamo contenere la burocrazia.
L’Europa è ancora una costruzione tecnocratica. La questione è la capacità del continente di affermarsi. Se non facciamo nulla, presto l’Europa sarà una perdente nel
mondo globalizzato di domani.
Manfred Weber
presidente del Ppe
al Parlamento europeo
l’Europa è stata costruita secondo logiche
interventiste e tecnocratiche. Se dobbiamo
essere grati all’Unione per aver distrutto le
barriere tra i diversi paesi, al tempo stesso non possiamo dimenticare che molti dei
problemi della nostra agricoltura, ad esempio, sono la conseguenza di un assistenzialismo disastroso. Per giunta, le direttive si
configurano come strumenti di regolazione
che riducono le libertà e ignorano le specificità. Il progetto di un’Europa armonizzata è più un incubo che un sogno: per tutta una serie di ragioni. La società europea
ha certamente bisogno di mercati aperti,
ma al tempo stesso ha egualmente bisogno
di governi locali, responsabili, controllati
direttamente dalla popolazione, che tassino e spendano sul luogo (rendendo conto di
quanto fanno). Le classi politiche nazionali temono tutto ciò e anzi sognano di superare il cosiddetto “deficit democratico”:
immaginando di avere a Bruxelles un vero
Parlamento e un vero governo incaricati di
prendersi cura di tutto il continente. Ma
quella prospettiva comporterebbe esiti illiberali.
Carlo Lottieri
docente di Filosofia politica
all’Università di Siena,
Istituto Bruno Leoni
“L’Ue non ha più bisogno di
coordinamento tra stati membri,
ma del potere di agire in modo
autonomo”, dice Verhofstadt
Nessuno può bloccare la riforma dell’Ue
L’Europa con o senza Londra, meglio
con, deve trovare la forza e il coraggio di
riformarsi per non rischiare di scomparire.
Per anni, la riforma dei trattati è stata un
vero e proprio tabù. Se qualcosa di positivo ha portato la folle idea di Cameron di indire questo referendum è proprio la rottura di questo tabù. La prima convenzione è
naufragata nel 2004. E’ tempo di resuscitarla per andare verso una nuova e maggiore
integrazione europea. Proprio ora che l’Ue
è ai minimi storici di consenso tra i cittadini europei?, si dirà. Esattamente. Questa
Europa non funziona perché non è fatta
per funzionare, frenata da mille veti incrociati degli stati. L’Italia si deve mettere alla testa di questo rivoluzionario balzo in
avanti. Nessuno sarà forzato verso una
maggiore integrazione, ma allo stesso modo
nessuno può pensare di bloccare o imporre veti a chi invece crede in un’Europa unita e più forte sul fronte economico, fiscale
e sicurezza. Non esiste alternativa. Lo status quo, il business as usual, equivale a
una condanna a morte dell’Europa.
Gianni Pittella
presidente del gruppo
Socialisti&Democratici al Pe
La modifica dei trattati è necessaria
Sono stanco che si associ la battaglia pro
europea alla difesa di un progetto che da
tempo ha smesso di funzionare. La cruda
realtà è che l’Europa di oggi è lontana da
quella progettata dai nostri padri fondatori. Questa Europa intergovernativa, ogni
giorno più impotente, dispera i cittadini,
Due ragazzi si baciano in una manifestazione a favore della permanenza del Regno Unito in Europa lo scorso 19 giugno a Berlino (foto LaPresse)
che chiedono solamente un’Unione capace
di promuovere una politica che crei posti
di lavoro, che controlli le frontiere per proteggerli dalle minacce esterne e che garantisca i suoi principi e valori fondanti. La costante apatia di generazioni di politici dal
lancio dell’euro alla fine degli anni Novanta ha invece portato l’Ue a essere percepita come una gigantesca macchina burocratica, incapace non soltanto di affrontare situazioni di estrema emergenza, ma anche
di garantire il futuro del nostro continente
di fronte alla globalizzazione. Come può,
quindi, sorprendere l’attuale successo di
retoriche populiste e nazionaliste? Il modo
migliore per combattere l’estremismo e
l’euroscetticismo è ridisegnare completamente il sistema. Questa riforma deve comprendere uno dei suoi pilastri: il famoso
coordinamento. E’ da 20 anni che coordiniamo, ma in realtà tale coordinamento
non ha portato a grandi risultati. Anzi. L’Ue
non ha più bisogno di coordinamento tra
stati membri, ma del potere di agire in modo autonomo. E ciò può avvenire soltanto
se è dotata di una capacità fiscale nella zona euro per orientare gli investimenti e
correggere gli squilibri; di una capacità in
materia di sicurezza; di un corpo di sorveglianza delle frontiere e di soccorso; di una
politica comune in materia di asilo e immigrazione. Questa autonomia richiede un
balzo in avanti; richiede maggiore sovranità condivisa. Ma ciò si può raggiungere
soltanto attraverso mezzi democratici. Il referendum britannico ci darà l’opportunità
di aprire questo dibattito. Che ci sia un
Brexit o no, è comunque necessario cambiare i trattati. Molti in Europa vogliono
che il 23 giugno diventi l’occasione per rilanciare il sogno europeo. In generale, il
mondo della politica si muove quando è tra
l’incudine e il martello, e questa è la situazione in cui versa oggi il futuro dell’Ue. Se
non agiremo, saremo condannati ad altri 20
anni di stagnazione e, forse, a una lenta ma
ineluttabile dissoluzione finale dell’Ue.
Guy Verhofstadt,
ex premier del Belgio, presidente
dei Liberali e democratici al Pe
La fine della politica delle motivazioni razionali
Il referendum in Inghilterra si gioca sull’emotività. Se venerdì mattina gli inglesi si
sveglieranno più indipendenti e più soli,
sarà dovuto in gran parte alle doti oratorie
di Boris Johnson che ha saputo interpretare la forte voglia di “cambiare”, costi quel
che costi, degli inglesi. Se invece l’Inghilterra resterà in Europa, lo dovremo non solo agli innumerevoli esperti, banche centrali e istituzioni di tutto il mondo schierati contro l’uscita, ma anche in gran parte alle emozioni che ha suscitato la tragedia di
Jo Cox. Questa campagna ha confermato
una tendenza ormai sempre più consolidata: da qualunque lato lo si voglia guardare,
il tema cruciale su cui si decideranno le
sorti del referendum non sono tanto le ragioni più o meno giuste dell’una o dell’altra
parte, quanto la capacità di suscitare con
parole e gesti emozioni profonde nelle persone. C’è grande voglia di cambiar le cose,
togliere peso alle incertezze, intercettare il
futuro. Chi è capace di catalizzare tutte
queste energie ha buone chance di vittoria.
Per lo meno in questo momento storico, le
motivazioni razionali che molti credono efficaci contano molto meno di quanto si possa immaginare. Anche quanto è accaduto a
Jo Cox lo dimostra: 3 punti percentuali in
più per il “remain” in pochissimi giorni sono arrivati perché è accaduto un fatto gravissimo che ha creato uno choc, non perché
si siano spese nel tempo personalità politiche o personaggi pubblici particolarmente amati, autorevoli e ascoltati. Questo forte contenuto emotivo del dibattito in corso
in Gran Bretagna riflette la frustrazione, la
paura, la rabbia con cui molti – nel Regno
Unito ma un po’ dappertutto in Europa – vivono il rapporto con lo status quo. Una situazione che rende difficile il confronto basato sulla ragione, e che le istituzioni (anche quelle europee) sono chiamate a modificare, comunque vada il voto di oggi.
Marco Alverà
amministratore delegato
di Snam
L’impegno di ogni cittadino europeo
L’Unione europea che sogno è un’Ue fat-
ta di cittadini europei. L’Ue ha disperatamente bisogno di cittadini europei che si
impegnino in prima persona per impedire
che il progetto europeo vada in mille pezzi. Deve essere un impegno consapevole,
certo anche critico, ma comunque attivo.
Sogno un cittadino europeo che ogni mattina guarda la cartina geografica e cerca
l’Europa. Il suo continente, che nei fatti
non è più di una penisola slabbrata. Perché
così appare al resto del mondo. E poi va a
cercare il proprio paese. Italia, Germania,
Croazia che sia, sono tutti non più grandi di
un’unghia. Un microcosmo posto di fronte
a sfide considerevoli: i terroristi dello Stato islamico, gli ingenti flussi finanziari, le
grandi compagnie globalizzate che fanno il
bello e cattivo tempo sopra le teste dei nostri governanti nazionali. E poi si immagina come il proprio paese, non più grande di
un’unghia sulla cartina geografica, prova
ad affrontare uno solo di questi problemi.
Ecco se ogni europeo dedicasse un attimo
della sua giornata a riflettere su ciò, non
potrebbe che arrivare a un’unica conclusione: dobbiamo restare uniti. E’ vero ed è
stato scritto migliaia di volte, sono molte le
cose che questa Unione europea dovrebbe
cambiare, migliorare, a iniziare dal deficit
democratico. Ma credo che ora come ora il
compito di ognuno di noi, di ogni europeo,
debba essere quello di dare attivamente
una mano ai politici, affinché questa struttura non si sfasci.
Nel panico da vigilia, tra ansia e ultimi morsi, tutto diventa “irreversibile”
L
a vigilia non è mai un bel
giorno, c’è ansia, c’è trepidazione, c’è panico, ci sono soprattutto troppe do-
#SEMILASCINONVALE
mande. Il Regno Unito non fa eccezione e
così ieri, in attesa dell’apertura delle urne
(si vota oggi al referendum sulla Brexit), i
leader politici sono riusciti ad azzannarsi
ancora un po’, a parlare di nazisti ancora
un po’ – un’altra gaffe – aspettando verso
sera che a mordere tutti arrivasse Jeremy
Paxman, temutissimo giornalista famoso
per ripetere la stessa domanda in modo
ossessivo fino a che non ottiene una risposta, che ha moderato, si fa per dire, l’ultimo dibattito tv su Channel 4 prima dell’apertura dei seggi. La sera precedente era
stata la Bbc a organizzare un dibattito con
tante leader politiche – e di donne fin qui
non se n’erano viste molte – e un tono molto agguerrito, finora il debate più riuscito.
Al di là dei fatti relativi alla Brexit che, come si sa, non sono troppo rilevanti, perché
il cuore, come dicono tutti gli intervistati,
sta travolgendo la ragione e con essa tutti
i report, forecast, dati e profezie, l’altra sera abbiamo scoperto che il mondo politico inglese è vivacissimo, e che c’è vita oltre questo referendum: il neosindaco di
Londra, Sadiq Khan, e la leader dei conservatori in Scozia, Ruth Davidson, sono
stati precisi, arguti, spietati, e ieri mattina
molti commentatori politici scrivevano felici che il futuro della politica inglese è radioso, pieno di personaggi fenomenali.
Certo, c’è una gran voglia di distrarsi dai
soliti volti, che in questi mesi abbiamo visto dappertutto e forse non al loro meglio,
però una sorpresa così fa sempre piacere.
Chi le sorprese invece le teme sono
semmai i sondaggisti, che in queste ultime
ore sembrano i più impanicati. Sbaglieranno un’altra volta? Difficile dirlo, perché i sondaggi mostrano un testa a testa
brutale da tempo – le ultime oscillazioni
sono a favore del “leave”, ma siamo sempre dentro al margine d’errore – però a
sentir parlare i direttori degli istituti di
sondaggio principali – intervistati uno per
uno da Buzzfeed – c’è un pregiudizio positivo nei confronti del “remain”. Nessuno
sa spiegare però se ci sia una differenza
tra le tante telefonate fatte agli elettori e
il wishful thinking che aleggia un po’ ovunque in Europa: non possono andarsene gli
inglesi, dai, dicono un po’ tutti. La cautela è massima, come sempre, lo stesso premier David Cameron cerca di rivendersi
come il negoziatore in chief, comunque vada, e ancora ieri al Financial Times ripe-
teva: no, non sono pentito di aver indetto
questo referendum. Chissà che cosa pensa davvero, chissà a che punto è il suo livello di esasperazione mentre negli appelli elettorali si è messo a parlare ai vecchietti, ai nonni e ai pensionati, che sono
gli euroscettici più euroscettici del Regno,
dicendo: non fate sgarbi ai vostri nipoti,
che amano l’Europa, lasciate loro la possibilità di restare attaccati al continente.
I giovani sono la risorsa umana più importante per il fronte del “remain” e infatti
sono stati bombardati di notizie e di inviti ad andare votare su qualsiasi piattaforma possibile, al punto che alcuni si chiedono se tanta pressione non sia controproducente. E’ la stessa domanda che si pongono alcuni esperti quando ripensano agli
appelli e alle visite nel Regno da parte dei
leader stranieri, tornati tutti alla memoria
ieri, in un colpo solo, quando anche il segretario generale della Nato, Jean Stoltenberg, ha detto che senza il Regno Unito
combattere il terrorismo sarà difficilissimo. Non è che a furia di dire che è necessario essere ragionevoli ad alcuni verrà
voglia di fare esattamente il contrario?
La viglia appunto è un giorno difficile,
basta vedere i toni utilizzati ieri a Bruxelles, duri, taglienti, definitivi: chi decide di
star fuori starà fuori, non c’è modo di tro-
vare un compromesso che ancora una volta faccia attenzione ai capricci britannici.
Mai come in questa settimana la parola
“irreversibile” ha scandito gli interventi
dei leader politici: tutto quel che pareva
negoziabile, o almeno opinabile, è diventato immutabile. Chi è fuori è fuori. E se
Boris Johnson, spensierato come sempre,
dice: che bello, non abbiamo bisogno di reversibilità, questo referendum è il giorno
dell’indipendenza britannica, ancora una
volta Jeremy Corbyn si rivela l’alleato più
sfuggente del Regno. Ieri non ha voluto
presentarsi assieme a Cameron all’ultimo
comizio per il “remain”, per tatticismo politico naturalmente, ma dando ancora una
volta l’impressione che chi si oppone alla
Brexit abbia un cuore troppo tiepido per
essere davvero credibile. Sul cielo di Londra volavano gli aerei del “remain” e quelli del “leave”, a volte cadevano volantini,
andate a votare andate a votare, l’indifferenza è il nemico peggiore, e mentre a Trafalgar Square si commemorava Jo Cox, la
parlamentare laburista uccisa una settimana fa, gli aerei del “leave” sono rimasti
lontani, giravano su altre nuvole, rispettosi. Anche quelli del “remain” si sono allontanati, per non fare altro fastidioso rumore.
Twitter @paolapeduzzi
All’Ue manca un Alexander Hamilton
Ciò che innanzitutto impedisce di realizzare un’Europa credibile e affascinante è
l’assenza di un Alexander Hamilton, l’uomo che in America ha creato il sistema fiscale federale. Grazie a lui Washington è
diventata l’anima della nazione e il garante del debito pubblico. Hamilton era un uo-
“Il forte contenuto emotivo del
referendum riflette la rabbia con
cui molti vivono il rapporto con
lo status quo”, dice Alverà
mo brillante, e lo era proprio perché ha capito il meccanismo per cementare l’unione
meglio di Jefferson e Madison. E’ però difficile anche soltanto immaginare un Hamilton europeo. L’America godeva di una cultura tutto sommato comune, di una sola lingua, riconosceva nella rivoluzione l’evento
fondativo della nazione. All’Europa questo
manca, e penso che si tratti di una mancanza importante, che impedisce all’Unione
europea di realizzare in pieno la sua vocazione democratica. L’Europa che immagino
deve dare molto più potere a Strasburgo,
la sede dell’organo che rappresenta i cittadini, a discapito della commissione e del
Consiglio d’Europa. Una maggiore democratizzazione dell’unione è l’unica strada
possibile, ma è un obiettivo difficile da raggiungere con tante lingue e tante culture
diverse. Gli inglesi, ad esempio, sono abituati a un governo centralizzato. L’Unione
europea è, da un certo punto di vista, oltre
le capacità d’immaginazione dei britannici e credo che il tentativo di creare un’unione reale, non solo tecnocratica, sia un processo che dura generazioni. C’è stata troppa impazienza. Abbiamo creato un superstato tecnocratico che fatica a capire i bisogni della gente. Capisco la logica dell’approfondire i vincoli dell’Eurozona e di agevolare un percorso verso un’unione fiscale,
ma sono cose che funzionano nei libri di
economia e nel vocabolario dei tecnocrati,
non nella realtà.
Edward Luce
opinionista del Financial Times
da Washington
(testo raccolto)
ANNO XXI NUMERO 147 - PAG III
IL FOGLIO QUOTIDIANO
GIOVEDÌ 23 GIUGNO 2016
BBIAMO SOGNATO UN PO’ SULL’EUROPA
sperti e giornalisti ci dicono come dovrebbe essere un’Ue che funziona, tra integrazione e risentimento
Il mercato unico conviene
La Brexit potrebbe essere benefica per
le aziende inglesi che non vogliono competere sul mercato europeo. Anche per quelle che ritengono che l’Unione europea
iper-regola il loro settore, l’uscita potrebbe
sembrare vantaggiosa. Tuttavia per la maggiore parte delle aziende inglesi avere la
possibilità di raggiungere 500 milioni di
consumatori attraverso un unico set di regole (invece che 28) è un grande beneficio
e i capi d’impresa nel Regno Unito si sono
espressi a grande sostegno di questo e
quindi della permanenza nell’Unione. In
caso di Brexit a livello politico chi ne beneficerebbe è chi si pone agli estremi dello
spettro partitico, come Nigel Farage (Ukip)
e il British National Front, e, in senso più
ampio, la Russia di Putin visto che il distacco del Regno Unito dall’Unione europea
avrebbe un grande effetto destabilizzante
non soltanto sull’economia europea ma anche su quel sistema ben più diffuso che ha
ruzione. Per la zona euro ci sono problemi
specifici ulteriori, che riguardano il fiscal
compact e gli obiettivi della Bce. Non credo
che ci sia bisogno di una maggiore integrazione, anzi: credo che l’eurozona non sia
pronta a una maggiore integrazione. Ma è
necessario investire, investire, investire, rilanciare i mercati del lavoro, non sottostare
soltanto a regole di budget follemente restrittive.
Hugo Dixon
presidente e direttore di InFacts
organizzazione giornalistica di fact
cheking anti Brexit
(testo raccolto)
“L’Ue è stata costruita con
logiche interventiste, il progetto di
un’armonizzazione è più un
incubo che un sogno”, dice Lottieri
“Non conosco una musica
europea o una poesia europea.
Non sono mai stato in un
ristorante europeo”, dice Henkel
sostenuto la democrazia e la prosperità in
Europa negli ultimi sessanta anni e più. E’
anche molto logico aspettarsi un effetto domino se un voto simile al referendum inglese venisse invocato anche in altri paesi europei. Come mostra una recente ricerca del
Pew Institute, il sostegno verso l’Unione
europea è crollato in molti paesi membri
e in alcuni anche con una velocità maggiore rispetto al Regno Unito.
Tom Parker
vicepresidente della Camera
di commercio britannica a Bruxelles, chief
executive di Cambre e membro del board del
Gruppo Sec (in procinto
di quotarsi sull’Aim Uk)
dotta con il mercato unico da un socialista
francese, Jacques Delors: concorrenza, liberalizzazioni, libera circolazione senza frontiere tariffarie o fisiche. Era l’Europa delle
opportunità, che ha visto nascere Ryanair
(contro gli oligopoli delle carissime compagnie di bandiera), ha sviluppato la tecnologia Gsm (contro gli standard locali tipo
Etacs) e oggi permette Netflix (contro la noia
della tv dei confini nazionali). Sfruttando un
ascensore sociale orizzontale (la libera circolazione dei lavoratori) milioni di persone
hanno aperto pizzerie a Berlino o sono diventati broker a Londra. Un passo indietro
verso l’Ue delle libertà e delle opportunità
sarebbe un buon posto da dove ricominciare. Da quando l’Ue si è messa in testa di
“proteggere” – dalla globalizzazione, da
Lehman Brothers, dai migranti, dai terroristi – sono cominciati i suoi grandi guai. Logico: all’Ue non sono mai stati dati i mezzi
politico-istituzionali per proteggere, nemmeno da un’invasione di cavallette. Per non
fare la fine del grumo di stati che era il Sacro Romano Impero, l’Ue dovrebbe guardare all’Act of Union del 1707 tra Inghilterra
e Scozia, che partorì il Regno Unito. Ma poi
servirebbe anche una Margaret Thatcher
europea, pronta a salvare le future Malvine,
quando i piccoli soldati verdi di Putin compariranno in Lettonia.
David Carretta
corrispondente di Radio Radicale
a Bruxelles e collaboratore del Foglio
Sogno un’Europa al servizio degli stati
La Fondation iFrap, attraverso i suoi
rapporti, ha evidenziato l’ipertrofia amministrativa dell’Ue, il numero sproporzionato di funzionari che lavorano per Bruxelles. Viene chiesto ai paesi membri di gestire bene la spesa pubblica, di mantenere in
equilibrio i conti, di essere trasparenti nella comunicazione delle cifre, ma è l’Europa prima a non esserlo. Solo per avere il
numero totale dei funzionari dell’amministrazione europea, abbiamo dovuto consultare decine di rapporti in diverse lingue. A
prescindere dalla vittoria del “remain” o
del “leave”, bisogna ridefinire la gestione
amministrativa dell’Ue in un’ottica di maggiore trasparenza. L’Europa che desidero è
un’Europa capace di far collimare gli
obiettivi di equilibrio dei conti pubblici
con gli obiettivi di crescita, di riforme
strutturali, di innovazione, di creazione di
imprese, un’Europa più vicino alle diffi-
“Non c’è niente che terrei di
questa Europa, sono contrario al
principio della pace perpetua
imposta dall’alto”, dice Moore
coltà degli stati membri, dove questi ultimi restano i padroni del gioco ma con un
vero spirito di squadra europeo, un’Europa, insomma, con un’amministrazione a
servizio degli stati membri e non a servizio
di se stessa. Dal punto di vista fiscale, non
sono per l’armonizzazione transfrontaliera,
ma un tasso di prelievo superiore al 42 per
cento dovrebbe essere proibito, e la spesa
pubblica non dovrebbe superare il 50 per
cento del pil. Il sistema europeo deve essere più leggero dal punto di visto fiscale.
Purtroppo l’Ue si è concentrata troppo sui
criteri di Maastricht, rapporto debito/pil
non superiore al 60 per cento e rapporto
deficit/pil non oltre il 3 per cento, dimenticando la fiscalità.
Agnès Verdier-Molinié
direttrice del think tank liberale
francese Fondation iFrap
(testo raccolto)
La Thatcher voterebbe la Brexit
L’Unione europea ideale non c’è, non
penso proprio che ci possa essere un’Unione. Non funziona avere una legge unica per
tutti. Mi piacerebbe un’associazione di tipo
economico, senza niente che cerchi di prevaricare rispetto al potere nazionale. Questa associazione potrebbe occuparsi anche
di commercio e di indirizzi generali, come
ad esempio l’atteggiamento da tenere con
la Russia, ma non dovrebbero esserci imposizioni verso un paese. Se col tempo si
scoprissero degli ambiti in cui la cooperazione è positiva, si potrebbe immaginare di
metterla in atto. Ma neanche la pace può
essere imposta. Sono molto contrario all’i-
Ci vorrebbe un’Ue più britannica
Un’Unione europea da sogno sarebbe
un’Europa britannica, capace di organizzarsi attorno a una Magna Carta delle libertà
individuali e economiche di fronte al sovrano stato. Il periodo d’oro dell'europeismo
era coinciso con la thatcherizzazione con-
Il primo ministro britannico David Cameron, favorevole al “remain”, e l’ex sindaco di Londra Boris Johnson, tra i principali esponente del “leave” (foto LaPresse)
dea di pace perpetua imposta dall’alto. La
pace si raggiunge con una politica internazionale normale, pragmatica. Le alleanze
forti devono riflettere la realtà: e qui la
realtà è che i cittadini non vogliono questa
Unione. Come si può pensare di avere delle truppe europee? Non c’è niente che terrei di questa Europa. Per me uscire non è
isolamento, ma liberazione. Vorrei mantenere il movimento dei turisti e degli studenti e una certa circolazione dei lavoratori. E un commercio forte. Ma per il resto
non mi mancherebbe proprio niente. Di solito, quando mi chiedono cosa penserebbe
Margaret Thatcher di un certo argomento
dico che non lo so, ma sull’Unione europea
vorrei precisare che non è mai stata fortemente a favore della membership e che già
nei primi anni Novanta voleva uscire.
Charles Moore
biografo di Margaret Thatcher (scelto da
lei stessa). Ha già pubblicato due volumi,
sta lavorando al terzo
Gli stati fondatori non faranno nulla
Dopo il 23 giugno, l’Europa dovrà agire
velocemente. Qualsiasi sia la decisione del
Regno Unito, l’Ue dovrà combattere l’euroscetticismo muovendosi con rapidità, ma
rinforzare l’Ue cambiando i trattati è escluso. Il mercato unico e la politica commerciale sono progetti riusciti perché gli stati
membri hanno dato all’Ue i poteri necessari. Proteggendo la loro sovranità, si rifiutano di darli per l’unione economica e monetaria (budget nazionali) e la libertà di
circolazione delle persone (politiche d’immigrazione nazionali) che sono quindi un
mezzo fallimento. Rafforzare la zona euro è
un’illusione: i 19 stati che vi fanno parte dovrebbero condividere la loro sovranità (politica bancaria, economica e budgetaria),
ma si rifiutano perché le loro economie e le
loro politiche divergono. Gli stati fondatori non faranno nulla: alcuni, tra i sei fondatori, non vogliono cedere sovranità, e questo dividerà l’Ue. In questo ambito un’iniziativa franco-tedesca è poco probabile: le
politiche di questi due stati sono oggi diverse. Dopo che si terranno le elezioni nel
2017, i loro leader potranno proporre di
rafforzare i legami tra gli stati dell’Euro zona che lo vogliono. Dopo il 24 giugno, l’Ue
potrebbe : migliorare la situazione dei paesi dell’Eurozona che sono più tormentati
dalla disoccupazione : evitare le riduzioni
budgetarie eccessive in questi paesi, accettare una ristrutturazione moderata del debito sovrano, incoraggiare i paesi creditori
a far crescere i loro budget, creare un meccanismo europeo di riassicurazione-disoccupazione. In secondo luogo l’Europa potrebbe prendere misure d’emergenza sull’immigrazione, trasferendo risorse alla
Grecia e all’Italia, organizzando il controllo dei migranti, riformando il sistema di
Dublino, adottando politiche per i paesi
della zona Marocco-Turchia-Africa subsahariana, legando le politiche commerciali e gli aiuti all’emigrazione, aiutando fi-
nanziariamente Giordania, Libano, Turchia ad accogliere i rifugiati, aiutando la
Libia e gli altri paesi a lottare contro il traffico dei migranti, organizzando il controllo
europeo della frontiera esterna.
Jean-Claude Piris
consulente in diritto europeo e
diritto internazionale pubblico, ex direttore
generale del Servizio giuridico
del Consiglio dell’Ue
L’identità europea non esiste
L’Europa che sogno è una confederazione di stati autonomi. Charles De Gaulle diceva che in tempi di grandi progressi tecnologici e di globalizzazione, l’essere umano
ha bisogno di ritrovare un legame più forte con la propria patria, con la propria regione, con la propria nazione. In questo momenti di cambiamenti che coinvolgono non
solo il paese ma la vita di ogni singolo individuo diventa forte il desiderio di trovare stabilità, di avere delle radici. Ed è di
queste radici che oggi molti sentono l’esigenza. Non di una sovrastruttura statale
che agisce esattamente nel senso opposto.
L’Unione europea che io vorrei e auspico
per il futuro dovrebbe ritirarsi gradualmente da tutti quegli ambiti che non le
competono. Dovrebbe limitarsi a intervenire lì dove uno stato da solo non otterrebbe
lo stesso risultato. Per esempio nel mercato unico che peraltro deve essere ancora
completato. Certo, deve anche veicolare i
valori europei: innanzitutto il rispetto dei
diritti umani e i principi democratici su cui
si fonda. Ma non deve intromettersi nell’istruzione o su come sostenere il progresso
sociale, economico. Questi sono compiti
che si assolvono a livello comunale, regionale, statale. Sono contro l’omologazione
che soffoca le peculiarità dei singoli paesi.
L’identità europea non esiste. Prendiamo
Verdi, era un compositore italiano, prendiamo Goethe, era un poeta tedesco. Non
conosco invece una musica cosiddetta europea o una poesia europea. E non sono
nemmeno mai stato in un ristorante europeo. L’Unione europea del futuro sarà forte se saprà agire unita nelle questioni globali e se al tempo stesso non distruggerà le
radici dei suoi stati membri.
Olaf Henkel
ex presidente della Confindustria tedesca,
cofondatore dell’AfD,
da cui è uscito insieme al fondatore
Bernd Luke. Oggi guidano insieme
il nuovo partito Alfa
(testo raccolto)
Lezioni da Londra per futuri referendum
Vivendo questo referendum dall’interno
si nota come cinque fattori, soprattutto in
caso di uscita del Regno Unito, saranno da
considerare per eventuali consultazioni in
altri paesi, inclusa l’Italia. Innanzitutto, nonostante il confronto duri da mesi, vi è una
totale mancanza di sintesi. Ogni dibattito è
scivolato su argomenti particolari e spesso
in riferimento ai capifila delle due fazioni,
in una specie di thriller di serie B tra il
premier David Cameron e il suo oppositore, Boris Johnson, l’ex sindaco di Londra. Il
secondo problema riguarda il ruolo dei media. I tabloid sono intenti alla caccia alle
streghe, mentre Financial Times, Economist e Guardian controbattono. La Bbc avrebbe potuto giocare un ruolo imparziale e di
informazione. Invece ha deciso di riportare
le opinioni di entrambe le fazioni senza
aiutare gli spettatori/lettori a comprendere
la fondatezza e l’importanza di certe affermazioni. Il terzo fattore riguarda il disinteresse verso i dati, soprattutto da parte dei
sostenitori della Brexit. Il motivo principale per lasciare l’Ue è quello dell’immigrazione, che, effettivamente, è aumentata
molto negli ultimi anni. Il problema è che,
da sempre, la maggior parte degli immigrati viene da paesi esterni all’Ue! Poi, tutti gli
studi evidenziano come gli immigrati europei diano un contributo netto positivo all’economia. C’è un problema anche che riguarda la credibilità e le ambizioni di chi
propone di lasciare l’Ue. A capo del “leave” c’è Boris Johnson, di origini turche, da
sempre a favore dell’ingresso della Turchia
nell’Ue, e ora nemico giurato di Bruxelles
in quanto – a causa dell’“imminente ingresso della Turchia” – l’Inghilterra sarebbe invasa da 76 milioni di turchi! E Nigel Farage, europarlamentare mai eletto in Inghilterra, che non vuole né albanesi né immigrati malati di Aids, e che sostiene che le
strade di Londra sono piene di violentatori europei. Infine, in presenza di un dibattito più civile, tanta incertezza dovrebbe
penalizzare i fautori del cambiamento. Invece, grazie a una strategia molto efficace,
i sostenitori della Brexit sono riusciti a
svincolarsi da qualsiasi questione concreta. Il messaggio per gli altri leader europei
è chiaro: se il Regno Unito decide di uscire dall’Ue, la strategia per evitare le disastrose scazzottate inglesi dovrà tener conto di tutti questi fattori. Sempre che non si
voglia far crollare il tempio su tutti quelli
che lo abitano.
Pietro Micheli
Warwick Business School
Ci vuole più integrazione, subito
Maggior trasferimento di sovranità, un
budget europeo con un governo della zona
euro, un Parlamento della zona euro e delle istituzioni europee forti che permettano
un’integrazione politica: questa è la direzione verso cui l’Europa deve a mio avviso
incamminarsi. Tutto ciò permetterebbe
una coordinazione delle politiche macroeconomiche in seno alla zona euro, uscendo
dagli egoismi nazionali per tendere verso
una vera integrazione. Abbiamo una moneta unica, abbiamo un tasso di interesse gestito da una sola banca, la Banca centrale
europea, ma non abbiamo ancora una strategia comune, non abbiamo finito la costruzione della zona euro, che attualmente non
funziona. E’ necessaria un’armonizzazione
fiscale e un’integrazione più forte degli sta-
ti membri. La vittoria del “leave” nel referendum di oggi sulla “Brexit” potrebbe o
rafforzare lo spirito europeo o creare una
situazione nella quale ogni stato membro
negozia le sue condizioni e chiede eccezioni. In questo secondo caso, potrebbe esserci effettivamente un effetto domino. Se il
fronte del “Brexit” avrà la meglio, anche i
cittadini degli altri paesi europei potrebbero avere il desiderio di pronunciarsi sulla
permanenza o meno nella zona euro. Temo,
tra l’altro, che se oggi fosse indetto un referendum in ogni paese europeo, il partito
del “remain” non avrebbe vita facile. Il rischio di contagio è innegabilmente lì. Per
questo, indipendentemente dal risultato di
oggi, l’Europa deve avviarsi rapidamente
verso un’integrazione politica.
Eric Heyer
direttore dell’Observatoire français
des conjonctures économiques, centro di
ricerca economica di Sciences Po
(testo raccolto)
Alcune soluzioni pratiche per salvare l’Ue
L’Europa ha raggiunto grandi risultati, e
innegabili. Non si può negare che la pace,
che il mercato unico e che la capacità di
espandersi a sud e a est, dove c’era il comunismo, siano dei risultati straordinari. Ma è
altrettanto innegabile che l’Ue abbia dei
problemi e che sia necessario trovare soluzioni concrete. Vedo alcuni problemi che riguardano tutta l’Ue e altri che invece sono
esclusiva della zona euro. C’è un problema
di occupazione e di competitività: è assolutamente necessario creare più lavori
“good”, buoni, quelli che chiamiamo “il lavoro del futuro”. Per fare questo il mercato
unico si deve adattare a questo secolo: ora
l’idea di mercato unico si basa sulla manifattura, perché appunto è nata nel secolo
scorso. Ma ora che cerchiamo di creare lavori del futuro, il mercato unico deve sviluppare la sua versione 2.0, in cui servizi, digitale, innovazione, energia abbiano un peso
specifico maggiore. Il secondo problema
dell’Ue sono il terrorismo e l’immigrazione:
ne parlo insieme, perché l’origine del problema è la stessa e riguarda le guerre ai nostri confini. Ci sono milioni di persone in
movimento, ma per quel che riguarda l’Ue i
conflitti più dirompenti sono quelli in Siria
e in Libia. Questi paesi sono i nostri vicini,
e per questo dobbiamo studiare un piano
politico-finanziario che stabilizzi queste zone. Possiamo farlo con gli americani, certo,
ma senza dimenticarci che questo è il nostro
“backyard”, è un ambito di nostra competenza. Questo piano dovrebbe prevedere un
intervento militare selettivo, ma soprattutto
commercio e aiuti. Il terzo problema dell’Ue
riguarda il cambiamento climatico, e se l’accordo di Parigi è considerato un buon deal,
tutti sanno che bisogna fare di più. Infine
l’Europa dovrebbe fare di tutto per essere
più giusta e più equa: la diseguaglianza genera rabbia e risentimento, è necessario responsabilizzare le multinazionali, rafforzare i diritti dei lavoratori e combattere la cor-
Per salvare l’Europa, aboliamo l’Ue
Sono a favore dell’Europa, per questo
vorrei che gli inglesi uscissero dall’Ue, e
per questo vorrei che altri europei avesse-
“Bisogna ridefinire la gestione
amministrativa dell’Ue in un’ottica
di maggiore trasparenza”, dice
Verdier-Molinié
ro la possibilità di farlo. Dalle rivolte inglesi agli esperimenti francesi fino alle sofferenze dei greci contro la dittatura militare,
per 300 e più anni il legame che ha tenuto
insieme le persone di questo continente è
stata la democrazia. Questo è un valore fondamentale, radicale, europeo che l’Unione
europea sta cercando di svilire. L’Ue esiste
per limitare la democrazia, favorendo accordi dietro le quinte piuttosto che un dibattito pubblico. Il fatto che la Grecia, la
culla della democrazia, sia stata brutalizzata dall’austerità imposta dall’Ue serve a ricordarci tristemente come, in nome dell’unità europea, l’Ue abbia fatto seccare l’ideale che definisce l’Europa stessa. Una
Brexit, ci dicono, sarebbe una scelta conservatrice ed egoistica. Non sono d’accordo. L’Ue non è un’alleanza fertile di solidarietà e cooperazione, è un’alleanza di tecnocrati messi insieme per paura delle masse. L’internazionalismo vero prevede che
tutti i popoli abbiano la possibilità di autodeterminarsi, ma l’Ue è incapace di vivere per questo ideale. L’Europa dei miei sogni è un’Europa in cui i cittadini possono
forgiare il loro destino. Perché questo accada, dobbiamo abolire l’Ue.
Tom Slater
vicedirettore della rivista
libertaria inglese Spiked
a cura di Paola Peduzzi
hanno collaborato Marco Valerio Lo Prete,
Alberto Brambilla, Mattia Ferraresi da New
York, David Carretta da Bruxelles, Mauro Zanon da Parigi, Andrea Affaticati da Vienna,
Cristina Marconi da Londra.