IL SISTEMA DELLA “GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA” DAL 1865 FINO

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IL SISTEMA DELLA “GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA” DAL 1865 FINO
CAPITOLO I
IL SISTEMA DELLA “GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA”
DAL 1865 FINO ALL’AVVENTO DEL CODICE
DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO
SOMMARIO: 1. La “Giustizia Amministrativa” prima del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104. – 2. Ulteriori
significativi interventi normativi che hanno contribuito a conformare il sistema della Giustizia Amministrativa. – 3. Le vicende giurisprudenziali afferenti la problematica sul riparto
delle giurisdizioni che hanno costituito il supporto del Codice. – 4. Il travagliato percorso
della risarcibilità del danno a seguito di adozione di provvedimenti illegittimi. – 5. Il quadro
costituzionale nel quale si colloca il Codice del processo amministrativo. – 6. Il punto di approdo della evoluzione normativa con la promulgazione del Codice del processo amministrativo: la piena tutela nei confronti delle P.A. – Bibliografia.
1. La “Giustizia Amministrativa” prima del d.lgs. 2 luglio 2010, n.
104
Il sistema di “Giustizia Amministrativa” nel nostro ordinamento è stato
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connotato, oltre che da un consistente contributo scientifico , da eventi che ne
hanno determinato un continuo processo evolutivo.
Chi voglia accingersi ad una meditazione sull’attuale conformazione degli
strumenti di tutela del cittadino nei confronti della P.A., non potrebbe non verificare il susseguirsi dei seguenti accadimenti.
Gli Stati preunitari conoscevano i ricorsi amministrativi; il Ducato di Parma,
il Regno delle Due Sicilie, lo Stato Pontificio e il Piemonte avevano altresì dei
tribunali di contenzioso amministrativo (di un certo interesse quelli del Regno
delle Due Sicilie).
1
Sul sistema di Giustizia Amministrativa la bibliografia è ampissima. In questa sede, oltre ai
contributi citati nelle note di seguito, ci si limita a richiamare i fondamentali lavori di GIANNINI
M.S., PIRAS A., voce Giurisdizione amministrativa, in Enc. dir., XIX, Milano, 1970, 229 ss. (la cui
impostazione è stata seguita in questo paragrafo); BENVENUTI F., Giustizia Amministrativa (voce), in Enc. dir., vol. XIX, Milano, 1970; ROMANO A., La giurisdizione amministrativa e limiti alla
giurisdizione ordinaria, Milano, 1975.
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Le impugnazioni nel processo amministrativo
Con l’annessione al Regno di Sardegna, gli istituti di Giustizia Amministrativa di questo si estesero alla Lombardia e alle Marche.
Detti istituti non potevano dirsi un modello di chiarezza: tra essi, però,
avevano un ruolo preminente i “tribunali del contenzioso amministrativo”, i
quali erano tipica espressione della concezione dell’autodichia. Essi erano costituiti dai “Consigli d’intendenza”, che erano delle commissioni composte di
funzionari dell’amministrazione statale, prive di indipendenza, le quali giudicavano su ricorsi ad esse proposti, in materie determinate, con procedimento
non formale.
Nel 1859 questi collegi furono sostituiti da “Consigli di governo”; fu creata
una “sezione del contenzioso” presso il Consiglio di Stato e fu riordinata la giurisdizione contabile della Corte dei Conti.
Gli storici del diritto riportano le opinioni che a quell’epoca si contrapposero: fra la tesi che voleva trasformare i tribunali del contenzioso in giudici “non
giudiziari” e quella che li voleva soppressi, prevalse la seconda.
L’unificazione amministrativa fu attuata con la l. 20 marzo 1865, n. 2248, il
cui allegato E si occupava del “contenzioso amministrativo”.
Intervenne poi la l. 31 marzo 1889, n. 5992, a cui fece seguito la l. 1° maggio
1890, n. 6837. La prima istituì presso il Consiglio di Stato una quarta sezione
con funzioni giurisdizionali (essendo le prime tre titolari di funzioni solo consultive); la seconda conferì funzioni giurisdizionali alle giunte provinciali amministrative.
La legge istitutiva della Sez. IV del Consiglio di Stato coronò una campagna
avviata da Crispi nel 1873 che trovò in Silvio Spaventa il suo esponente più brillante e impegnato. La legge fu presentata come una vittoria dei liberali di destra; in realtà, tale legge venne fuori da una convergenza di questi con i liberali
della sinistra storica, tra cui, oltre Crispi, vanno menzionati anche Depretis e
Nicotera.
Tuttavia, la legge del 1889 non definì in modo chiaro la Sez. IV del Consiglio di Stato e le giunte provinciali come organi giurisdizionali; fu la dottrina
prevalente che impose tale interpretazione, la quale fu poi accolta dal legislatore con la legge Giolitti 7 marzo 1907, n. 62, che istituì una Sez. V del Consiglio
di Stato e l’Adunanza Plenaria delle Sezioni giurisdizionali.
Alla sezione V fu data la “competenza di merito” (già esistente per le giunte
provinciali), nel senso che furono rese giurisdizionali alcune attribuzioni che il
Consiglio di Stato aveva come organo amministrativo contenzioso. Tuttavia,
ancor per un certo tempo, vi fu una corrente dottrinale la quale, rifacendosi alla
concezione dell’autodichia, ritenne che i giudici amministrativi fossero esempi
di “giurisdizione in senso oggettivo”, e non giurisdizione in senso pieno, di tutela di situazioni soggettive.
Seguirono, a brevissima distanza, i rr.dd. del 17 agosto 1907, nn. 638 e 642,
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istitutivi del t.u. che dettò il regolamento per la procedura da seguire innanzi
alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato.
Con la legge delegata 30 dicembre 1923, n. 2840, fu: i) eliminata la distinzione di competenza tra la Sez. IV e la Sez. V del Consiglio di Stato; ii) data al
giudice amministrativo la cognizione incidentale su questioni di diritto, salvo
che in alcune materie, riservate espressamente al giudice ordinario; iii) istituita
una “giurisdizione esclusiva” in materie tassativamente elencate, nelle quali si
concentrava sul giudice amministrativo la cognizione piena di controversie relative sia ad interessi legittimi che a diritti soggettivi.
La giurisdizione esclusiva si rivelò, nella pratica, assai utile, attenuò la problematica sul riparto di giurisdizioni, accelerando il tempo tecnico dei giudizi.
Merita poi di essere ricordato il r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 che modificò
una serie di disposizioni del citato Testo Unico del massimo organo di Giustizia
Amministrativa.
Con d.lgs. 5 maggio 1948, n. 642 venne istituita una Sez. VI giurisdizionale
presso il Consiglio di Stato e vennero apportate altre modifiche tecniche. Nel
frattempo l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana avrebbe dovuto
aprire una nuova fase.
Finalmente, con la l. 6 dicembre 1971, n. 1034, furono istituiti i Tribunali
amministrativi regionali (Tar).
Si avvertì invero la necessità – per colmare il vuoto determinatosi fin dal
1967 nella giurisdizione amministrativa locale – di dare attuazione ai principi
costituzionali, attraverso l’applicazione del precetto contenuto nell’art. 125 Cost.,
con la citata legge che, appunto, attribuiva ai Tar la giurisdizione di prima
istanza in tutte le materie già spettanti alla competenza del Consiglio di Stato,
trasformando, in tal modo, il ruolo di questo Consesso in quello di giudice di
secondo grado.
Secondo autorevole dottrina, l’entrata in scena dei Tribunali amministrativi
regionali avrebbe creato nuove sollecitazioni per una ripresa in grande stile della giurisprudenza pretoria.
Il Consiglio di Stato, infatti, essendo l’unico giudice di secondo grado (insieme al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Sicilia) e non essendoci
altro giudice con funzione di nomofilachia, ebbe l’opportunità di raccogliere i
fermenti, talvolta contraddittori, talaltra felici, provenienti dai giudici di primo
grado.
Si verificò, pertanto, un rinvigorimento della giurisprudenza pretoria del
Consiglio di Stato, con allargamento della legittimazione ad agire e il riconoscimento della impugnabilità di taluni atti, per l’innanzi ritenuti non impugnabili.
In ogni caso, la riforma del 1971, istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali, non ebbe riflessi significativi sulla giurisdizione.
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Nel gennaio 1972 venne poi pubblicata la legge delegata 24 novembre 1971,
n. 1199, la quale ebbe il pregio di riordinare la materia dei ricorsi amministrativi.
Altra tappa importante, e può ragionevolmente ritenersi di assoluto rilievo
nell’evoluzione della Giustizia Amministrativa, è rappresentata dalla l. 21 luglio
2000, n. 205, che costituisce l’epilogo di una vicenda avviata dalla l. 15 marzo
1997, n. 59, proseguita con il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e conclusasi con l’intervento della decisione della Corte costituzionale 17 luglio 2000, n. 292, che,
tra l’altro, anziché limitarsi ad estendere detta giurisdizione alle controversie
aventi ad oggetto i diritti patrimoniali consequenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno, ha criticato l’istituzione di una giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi.
Tale testo normativo, su cui si è pronunciata la Corte costituzionale con le
note sentt. nn. 204 e 281 del 2004, è rimasto in vigore sino all’entrata in vigore
del nuovo Codice ed ha apportato sensibili modificazioni al processo amministrativo, recependo le puntuali indicazioni pervenute dalla giurisprudenza e dettando, per alcune materie, disposizioni atte a velocizzare l’intervento del giudice amministrativo.
Occorre rilevare, allora come ora, i non pochi inconvenienti derivanti dalle
problematicità afferenti l’ambito del riparto di giurisdizioni e la tutela degli interessi; tali questioni hanno dato luogo a interventi di assoluto rilievo da parte
della giurisprudenza di cui si darà conto nelle pagine che seguono.
Può affermarsi conclusivamente che un riepilogo storico della normativa sul2
la Giustizia Amministrativa è adeguatamente dimostrativo di due tendenze: la
prima, rappresentata dal fatto che il riparto di giurisdizioni basato su differenti
situazioni giuridiche soggettive era ritenuto criterio di non grande suggestione e
costituiva più che altro una formale indicazione normativa di scarso seguito
operativo; la seconda, rappresentata dal fatto che al legislatore (ed anche alla
giurisprudenza) era lasciata l’incondizionata scelta del giudice al quale rivolgersi per dirimere una eventuale controversia.
L’argomento – come si è segnalato all’inizio – è trattato in quasi tutti i testi istituzionali: tra l’altro, è stato ripreso ed illustrato brillantemente da A. ROMANO, in
occasione del Congresso di Varenna del 2003.
Si può aggiungere, a completamento, che la storia della Giustizia Amministrativa
ebbe inizio con la sottrazione ai giudici “normali” delle liti tra lo Stato e i sudditi, ad
opera dell’Editto di Saint Germain.
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GIANNINI M.S., La Giustizia Amministrativa, Roma, 1963, 31; GUICCIARDI E., La Giustizia
Amministrativa, Padova, 1957; MELIS G., La storia del diritto amministrativo, in CASSESE S. (a
cura di), Trattato di Diritto Amministrativo, Milano, 2003; NIGRO M., È ancora attuale una Giustizia Amministrativa?, in Foro it., 1983, V, 249.
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L’Editto introdusse la “giustizia ritenuta” dal sovrano, la quale, però, non era
ancora considerata Giustizia Amministrativa. Gli affari contenziosi vennero deferiti
agli Intendenti ed al Consiglio del Re, che rispondevano direttamente al Re, il quale
decideva sui conflitti di competenza fra Intendenti e Consiglio.
Lo scopo di tali istituti non era quello di fornire tutela ai sudditi, ma difendere le
prerogative regie dalle ingerenze della magistratura, e salvaguardare il buon funzionamento dell’Amministrazione. Solo indirettamente si tutelava l’interesse dei sudditi, nella misura in cui coincidesse con l’interesse della monarchia.
Alla fine del XVIII secolo si realizzò il passaggio successivo. Sotto il regno di
Luigi XVI vennero creati dei comitati specializzati in distinte materie: si trattava di
organi ad hoc (mentre Intendenti e Consiglio del Re erano organi dell’Amministrazione del Regno); si verificò la separazione degli affari contenziosi (questi nuovi Organi si occupavano solo del contenzioso) dagli altri puramente amministrativi. Siamo alle origini di quel sistema che si chiamerà del contenzioso amministrativo.
Con la rivoluzione francese, si affermò il principio della separazione dei poteri,
che confermò la sottrazione ai tribunali ordinari della conoscenza delle controversie
con l’Amministrazione. Importante, in tale passaggio, fu la legge dell’agosto 1790,
con la quale si sanciva che le funzioni giudiziarie sono e rimangono sempre separate
dalle funzioni amministrative. I giudici non possono ingerirsi in operazioni dei corpi
amministrativi, né citare in giudizio gli amministratori per ragioni inerenti alle loro
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funzioni .
In realtà, di per sé, il principio della separazione dei poteri non comportava la
sottrazione al potere giudiziario delle liti con l’Amministrazione, tant’è vero che nei
paesi anglosassoni non vennero istituiti degli organi ad hoc; furono motivi di natura
politica che indussero ad interpretare la separazione dei poteri come separazione tra
autorità amministrativa e giudiziaria, e tra le rispettive funzioni.
Paradossalmente, in virtù di questo principio, parte rilevante del potere giurisdizionale veniva attribuita ad organi facenti parte del potere amministrativo. Con la
Costituzione del 1799 e con la legge del 1800, la decisione delle controversie fra cittadini ed Amministrazione veniva attribuita a due organi collegiali istituiti all’uopo:
il Consiglio di Stato, al centro, per determinate materie; i Consigli di Prefettura, in
periferia, con possibilità di appello al Consiglio di Stato.
Entrambi facevano parte della P.A. ed esercitavano anche funzioni consultive; le
decisioni del Consiglio di Stato acquisivano efficacia esecutiva in forza di decreto
del Capo dello Stato. Nasceva così il sistema del contenzioso amministrativo, ispirato al principio secondo cui “amministrare è un fatto di un solo uomo, giudicare è il
fatto di più uomini” 4.
Nonostante la P.A. rimanesse unica, si delineava la distinzione tra una P.A. che
governava ed una che giudicava su sé stessa, perché si demandava ad organi colle-
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Sull’argomento, TRAVI A., Lezioni di Giustizia Amministrativa, Torino, 2012, 7, nel quale possono rinvenirsi utili spunti in ordine all’origine della Giustizia Amministrativa nel sistema francese.
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ARISTOTELE, L’uomo principio delle sue azioni, in Etica Nicomachea, 112 a 17 – 111234.
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giali, appositamente costituiti, di decidere sulle liti fra cittadini e P.A. Siamo ancora
nell’ambito della “giustizia ritenuta”.
Poi, l’individuazione di organi specializzati davanti ai quali le controversie si svolgevano con una istruttoria in contraddittorio, avrebbe consentito il passaggio dalla
“giustizia ritenuta” alla “giustizia delegata”, ossia il passaggio dal contenzioso amministrativo alla giurisdizione amministrativa. Questo passaggio avvenne in Francia
nel 1872, passaggio che attribuì efficacia esecutiva alle pronunzie del Consiglio di
Stato (mentre nella “giustizia ritenuta” l’efficacia esecutiva era subordinata al decreto del Capo dello Stato).
Ripercorrendo i processi storici normativi, con la proclamazione del Regno
d’Italia del 1861, assistiamo all’estensione delle leggi piemontesi alla Lombardia e
alle Marche; nelle Romagne e in Umbria i Tribunali del contenzioso erano stati aboliti dai governi provvisori e le loro competenze erano state devolute ai tribunali ordinari. Nel Regno delle due Sicilie e a Parma erano state mantenute le istituzioni del
Contenzioso amministrativo.
Pertanto, all’indomani della unificazione, in materia di Giustizia Amministrativa,
il Paese risultava diviso: nella maggior parte del territorio vigeva il sistema del contenzioso amministrativo, mentre in Toscana, Romagna e Umbria il sistema della giurisdizione unica.
Nacque quindi l’esigenza di un sistema unitario: prevalse l’orientamento di Galvano, favorevole all’abolizione del contenzioso amministrativo; parve più giusto attribuire la tutela dei diritti dei cittadini nei confronti della P.A. ai giudici ordinari,
diritti sostanzialmente individuati nel diritto di proprietà ossia diritti civili e di libertà, ossia diritti politici. Secondo la concezione liberale pura, di fronte a questi diritti
anche l’atto amministrativo, manifestazione dell’autorità, doveva arrestarsi, tanto da
dover essere disapplicato dal giudice ordinario (non già annullato, in base al principio della separazione dei poteri) se ingiustamente invasivo di quei diritti.
Ma, al di fuori del campo delle lesioni di diritti, in relazione alle posizioni che
erano state configurate come “interessi” nel dibattito che precedette i decreti Rattazzi del 1859, nessun organo estraneo all’Amministrazione poteva ingerirsi: veniva
tutelata la libertà dei cittadini in ordine ai diritti, e la libertà dell’Amministrazione in
ordine alle sue manifestazioni autoritative.
Nel progetto Minghetti del 1861, si legge: “occorre rimettere ai tribunali ordinari
quelle controversie che possono rientrare nell’ambito delle loro attribuzioni, lasciando
all’Amministrazione attiva la decisione degli affari meramente amministrativi”. Anche il progetto Peruzzi del 1863 ed il controprogetto della Commissione della Camera dei Deputati approvato dall’Assemblea, erano ispirati a questo principio.
Affinché si provvedesse ad una rapida unificazione amministrativa e legislativa
del Regno, fu lo stesso Parlamento a votare che il Governo presentasse un disegno
di legge che autorizzasse la pubblicazione e l’esecuzione di cinque leggi organiche;
fra queste, c’era anche quella di abolizione del contenzioso amministrativo.
La Commissione della Camera dei Deputati esaminò i disegni di legge da promulgare che vennero presentati come allegati all’unica legge di unificazione. Ben può
affermarsi che la storia ufficiale del contenzioso amministrativo in Italia sembrerebbe
aver avuto inizio con la sua abolizione. Tale è l’intitolazione convenzionale dell’atto
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normativo inserito nel corpo degli allegati alla l. 20 marzo 1865; esso contribuiva,
per la parte di sua competenza, all’unificazione amministrativa del Regno, con il realizzare il principio della giurisdizione unica sui diritti civili e politici verso la pubblica amministrazione, e con il sancire l’allontanamento dei giudici ordinari dal contenzioso amministrativo. Secondo alcune posizioni, il tratto più saliente di quell’atto
normativo non fu certo diretto alla costruzione, nell’immediato, di un sistema compiuto di garanzie giuridiche; atteso, infatti, che vi si sopprimevano un giudice ed un
processo – i quali nell’arco di quasi un ventennio avevano prodotto una immagine
nuova della dialettica autorità libertà, con l’introduzione sia pur contrastata, di un
principio di controllo giurisdizionale sull’azione svolta dai pubblici poteri – quel
tratto andava ravvisato appunto nell’enfasi abolitiva, riducendosi a questa l’esaltazione della scelta operata dal legislatore in favore della giurisdizione ordinaria, come
giurisdizione unica, sulle uniche situazioni giuridiche accoglibili in ciò che era allora
l’ordinamento statale.
Tutto ciò, va senz’altro completato con il rilevare che l’abolizione del contenzioso ebbe altresì l’effetto di recidere, oltre al giudice ed al processo che l’aveva visto
protagonista, anche una situazione giuridica diversa del diritto soggettivo; la circostanza che, al tempo, tale situazione non avesse un nomen juris che puntualmente
servisse a differenziarne la consistenza non ebbe gran rilevanza, una volta che, con
le riforme crispine del 1889, essa riapparirà a pieno titolo nell’ordinamento giuridico in veste di interesse legittimo.
L’effetto immediato della vicenda abolitiva fu una singolare ed anacronistica inversione del binomio procedimento/processo. Più tardi, si disse che con l’istituzione
della Sez. IV del Consiglio di Stato il pregresso procedimento contenzioso era divenuto processo, mentre la legge abolitiva aveva invece fatto regredire il processo a
procedimento; invero, per via della suddivisione delle competenze in virtù del riparto derivante dagli artt. 2 e 3 dell’all. E, e per la connessione con la clausola di salvaguardia prevista in favore della pubblica amministrazione dal comma 2, dell’art. 4,
gran parte della materia già di competenza del pregresso contenzioso venne deferita
alla potestà amministrativa e così procedimentalizzata in un sistema di riesame amministrativo affidato alla pubblica amministrazione.
Il contenzioso preunitario ebbe a tramutarsi in attività amministrativa, dove i
decreti motivati resi previo parere egualmente motivato nonché la previsione del ricorso in via gerarchica, rappresentarono gli elementi minimi in grado di assicurare,
nel passaggio tra i vari ordinamenti giuridici, la continuità seppur ridotta, di una
esigenza garantistica ormai insita nel sistema.
La legge del 1907, di riforma Giolittiana, introdusse una V Sezione al Consiglio
di Stato con competenza estesa al merito, mentre la IV aveva competenza di sola legittimità; stabiliva l’art. 4 della l. del 1865 che: “quando la contestazione cade sopra
un diritto che si pretende leso da un atto dell’autorità amministrativa i tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell’atto stesso in relazione all’oggetto dedotto in
giudizio. L’atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sopra ricorso delle competenti autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato
dei tribunali”. Pertanto, con la legge Giolitti si venne a colmare una lacuna, attri-
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buendo alla Sezione V del Consiglio di Stato, la competenza di merito, in particolare l’azione per l’esecuzione del giudicato, con il potere di annullare o revocare l’atto.
Nel 1948, venne istituita la Sezione VI del Consiglio di Stato con identità di attribuzioni. Peraltro, il regime delle autonomie regionali portò alla creazione della
Giunta Giurisdizionale amministrativa per la Valle d’Aosta nonché, il Consiglio di
Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia.
Il sistema della Giustizia Amministrativa che la Costituzione repubblicana trovò
in vigore si fondava quindi su mezzi amministrativi e mezzi giurisdizionali.
Per colmare il vuoto determinatosi fin dal 1967 nella giurisdizione amministrativa locale, si avvertì la necessità di dare quindi attuazione ai principi costituzionali attraverso l’applicazione del precetto contenuto nell’art. 125, con la l. n. 1034/1971,
che istituì i Tribunali Amministrativi Regionali quali giudici di primo grado, con
l’attribuzione della giurisdizione di prima istanza in tutte le materie già spettanti alla
competenza del Consiglio di Stato, trasformando, in tal modo, il ruolo di questo
Consesso in quello di giudice di secondo grado.
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Secondo alcuni Autori , che hanno particolarmente approfondito l’evoluzione
storica del sistema, i Tribunali amministrativi regionali avrebbero creato nuove sollecitazioni per una ripresa in grande stile della giurisprudenza pretoria. Il Consiglio
di Stato, quindi, unico giudice di secondo grado (insieme al Consiglio di Giustizia
Amministrativa per la Sicilia) e con funzione di nomofilachia, sollecitato dai fermenti provenienti dai giudici di primo grado, ha avuto un rinvigorimento della giurisprudenza pretoria, con allargamento della legittimazione ad agire e il riconoscimento della impugnabilità di taluni atti, inizialmente ritenuti non impugnabili.
La riforma del 1971, istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali, non ha comunque inciso sulla giurisdizione.
Nell’analisi del processo evolutivo del giudice amministrativo, la Costituzione,
sulla tematica del riparto tra le due giurisdizioni negli affari di amministrazioni, ha
sostanzialmente recepito l’assetto previgente.
Si è, infatti ritenuto che, da un lato, fu consolidato l’ordinamento anteriore volto a sanzionare la distinzione della tutela dei diritti e di quella degli interessi affidati rispettivamente ai due diversi ordini di giurisdizioni, salve le materie di giurisdizione esclusiva previste dalla legge (artt. 103, 113); dall’altro venne delineato il
fondamentale principio della pienezza della tutela giurisdizionale sia dei diritti che
degli interessi legittimi (art. 24), non solo nelle controversie tra privati, ma anche
con le pubbliche Amministrazioni agenti nell’esercizio di poteri (tutela degli interessi legittimi).
Solo per effetto della riforma attuata con l. n. 205/2000 il nostro sistema di Giustizia Amministrativa ha subito una svolta radicale nell’obiettivo della attuazione del
principio costituzionale della pienezza della tutela giurisdizionale anche nell’ambito
delle controversie con le Pubbliche Amministrazioni.
In ogni caso, i non pochi inconvenienti derivanti dalle problematicità afferenti
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Cfr. SCOCA F.G., Genesi del sistema delle tutele nei confronti della pubblica amministrazione,
in SCOCA F.G. (a cura di), Giustizia Amministrativa, Torino, 2011, 3 ss.
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l’ambito del riparto di giurisdizioni e la tutela degli interessi, hanno segnato attraverso le decisioni della Corte costituzionale, la nuova evoluzione della Giustizia
Amministrativa.
2. Ulteriori significativi interventi normativi che hanno contribuito a
conformare il sistema della Giustizia Amministrativa
Qualche ulteriore annotazione contribuirà forse a far comprendere meglio
l’evoluzione del sistema normativo sino all’emanazione del Codice.
In primo luogo, è opportuno ricordare che della contrapposizione tra diritti
soggettivi e interessi legittimi, ai fini del riparto delle giurisdizioni, la Cassazione non si è mai data cura: tutt’al più, si decideva che una controversia appartenesse ad un giudice, e quindi si giustificava la decisione con una (nemmeno tanto) elegante costruzione ortopedica.
Ma, in realtà, anche il legislatore non era lontano da questa costruzione: qui
il discorso si farebbe lungo e complesso e si dubita di avere la capacità di affrontarlo esaurientemente. Certo è che, ad esempio, nel tempo non sono passate senza commento le prescrizioni del legislatore che in materia elettorale attribuivano al giudice ordinario le questioni di eleggibilità e al giudice amministrativo le controversie su vicende operative meccaniche come le operazioni elettorali.
Sono state inoltre accettate senza perplessità altre fattispecie di assegnazione
di controversie al giudice amministrativo non interessate dall’intervento della
Corte costituzionale.
Si ricordano, a titolo esemplificativo, la l. 21 aprile 1962, n. 161 sulla revisione dei film e dei lavori teatrali (artt. 8 e 11), attributiva di giurisdizione
esclusiva estesa al merito; la l. 5 agosto 1962, n. 1257 (art. 30) in materia di incompatibilità con la carica di consigliere regionale della Valle d’Aosta, con la
quale si è previsto che, quando il consiglio regionale non abbia provveduto nei
termini prescritti ad adottare i provvedimenti in tema di incompatibilità, possa
essere proposto ricorso al Consiglio di Stato, che decide con giurisdizione
esclusiva estesa al merito, chiedendo all’interessato di esercitare l’opzione e dichiarandone la decadenza; la l. 21 novembre 1967, n. 1185 (artt. 10 e 11) in materia di passaporti, anch’essa attributiva di giurisdizione esclusiva estesa al merito; la l. 11 giugno 1971, n. 426 (art. 32), sulla disciplina del commercio.
Nel tempo, altre disposizioni hanno attribuito al giudice amministrativo nuove controversie.
Ciò è avvenuto con il d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 74 (art. 7, comma 11) in tema di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alla CEE e con il d.lgs. 20
novembre 1990, n. 356 (art. 339) in materia di attività creditizia. Da non dimen-
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ticare poi che, la l. 7 agosto 1990, n. 241 sul procedimento amministrativo (art.
11) ha disposto che tutte le controversie concernenti gli accordi tra le amministrazioni pubbliche, nonché quelle intervenute tra il privato e la pubblica amministrazione, rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
e ha previsto altresì (art. 25) che, contro il diniego di accesso ai documenti amministrativi, sia esperibile il ricorso al Tar entro termini abbreviati (trenta giorni), con la possibilità per il giudice di ordinare l’esibizione dei documenti richiesti (art. 116 c.p.a.).
Si ricordi, ancora la l. 23 agosto 1988, n. 391, che ha demandato al giudice
amministrativo i ricorsi avverso il diniego di autorizzazione alla vendita degli
immobili delle imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria e che, nel
silenzio della legge stessa, potrebbe configurare un caso “innominato” di giurisdizione esclusiva.
La l. 2 gennaio 1989, n. 6, sull’ordinamento della professione della guida alpina, che ha affidato al giudice amministrativo i ricorsi contro i provvedimenti
disciplinari adottati, per violazione delle norme di deontologia professionale,
dai collegi regionali e dal collegio nazionale delle guide alpine-maestri di alpinismo e degli aspiranti guide (art. 17) ed analoghe statuizioni sono previste dalla
l. 11 luglio 1978, n. 382 in materia di sanzioni disciplinari di corpo emesse nei
confronti degli appartenenti alle forze armate (art. 16).
Un’ipotesi per certi versi singolare è rappresentata dalla l. 12 giugno 1990, n.
146, sul diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, che ha devoluto al
giudice amministrativo (art. 10) i ricorsi avverso le “precettazioni” per la garanzia delle prestazioni indispensabili, da proporsi entro il termine brevissimo di 7
giorni, nonché (art. 6) i ricorsi promossi dalle organizzazioni sindacali per la
rimozione dei provvedimenti, emessi da amministrazioni pubbliche, che siano
plurioffensivi, ovvero siano lesivi, oltre che della posizione sindacale, anche dei
diritti e degli interessi legittimi del dipendente pubblico; in quest’ultimo caso è
stato previsto, in modo anomalo, che la decisione sul ricorso avvenga con “decreto” e che avverso lo stesso entro 15 giorni possa essere proposta opposizione
avanti al medesimo Tar, che decide con sentenza.
Ed ancora, sono state valutate positivamente le decisioni (v. l. 10 ottobre
1990, n. 287) di affidare al giudice amministrativo la controversia avente ad oggetto i provvedimenti delle Autorità Indipendenti, quando in realtà più di qualche perplessità (in ordine alla situazione giuridica soggettiva tutelata) hanno suscitato le controversie in tema di concorrenza, pubblicità, ovvero riservatezza.
Occorre infine ricordare, senza alcuna pretesa di aver offerto un esaustivo
quadro normativo sul riparto di giurisdizione delineato dal legislatore prima
dell’entrata in vigore del Codice, la materia dei rapporti di lavoro con la pubblica amministrazione, in relazione alla quale (a seguito della cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego) la scelta del giudice chiamato a dirimere le
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controversie si è fondata su valutazioni che esulano certamente dalla natura delle situazioni giuridiche soggettive lese.
In definitiva, si può affermare che il legislatore, parallelamente al tradizionale criterio di riparto della giurisdizione fondato sulla distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi, ha ritenuto più volte opportuno ricondurre nella
giurisdizione del giudice amministrativo determinate materie senza tenere in
considerazione la natura della situazione soggettiva da tutelare.
3. Le vicende giurisprudenziali afferenti la problematica sul riparto
delle giurisdizioni che hanno costituito il supporto del Codice
Ancor più interessante può risultare il quadro sintetico del contesto giurisprudenziale afferente al riparto delle giurisdizioni sul quale hanno inciso la l.
n. 205/2000 prima, le decisioni della Corte costituzionale poi, e quindi i successivi interventi della Corte di Cassazione e del legislatore.
Il grado di consistente incertezza rinvenibile nel periodo dal 1990 al 1998
nella giurisprudenza sul riparto delle giurisdizioni può ritenersi pacifico; in
ogni caso, solo per offrire in questa sede uno spunto significativo di riflessione,
possono considerarsi gli episodi che seguono.
La “svolta” giurisprudenziale iniziò idealmente proprio con la storica deci6
sione n. 12221/1990 delle Sezioni Unite della Cassazione che ritenne sindacabili dal giudice amministrativo gli atti del privato, adottati nell’esercizio di attività abilitata con provvedimento concessorio.
Come è noto, con tale sentenza venne esplicitamente affermato il principio
secondo il quale rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo le controversie afferenti l’osservanza delle regole che disciplinano le gare pubbliche
per l’aggiudicazione e, in particolare, la legittimità dei relativi provvedimenti di
ammissione e di esclusione anche quando i medesimi vengono adottati da soggetti privati.
Si tentò in quella occasione di dare una giustificazione teorica del pronunciamento, ma in realtà l’effettiva ragione fu quella di individuare un giudice
che, con competenza e soprattutto tempestivamente, potesse intervenire ad ovviare alle disfunzioni del concessionario committente.
Più tardi lo stesso Consiglio di Stato replicò duramente a questa scelta; ma
ormai, anche per il sovrapporsi delle influenze comunitarie, il dato era da considerare consolidato.
6
Cass., 29 dicembre 1990, n. 12221, pubblicata in Dir. proc. amm., 1991, 526 annotata da Azzariti G.
Le impugnazioni nel processo amministrativo
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Le Sezioni Unite della Cassazione, però, con le decisioni nn. 4989, 4991 e
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4992 del 6 maggio 1995 affermarono la giurisdizione del giudice ordinario in
ordine a controversie insorte tra terzi e società (di capitale pubblico) per la gestione dei servizi pubblici, costituite ai sensi dell’art. 22, lett. e), della l. 8 giugno 1990, n. 142.
Quindi il privato con capitale pubblico ebbe un trattamento diverso da
quello riservato al privato che fosse però concessionario. Nella scienza del diritto tutto è giustificabile, ma non v’è dubbio che due fattispecie simili, abbiano
avuto una soluzione differenziata.
Diverse sono le conclusioni cui giunse il Consiglio di Stato in relazione ad
una controversia tra l’Ente Autonomo Fiera e terzi. Con la decisione n. 353 del
21 aprile 1995 la Sezione VI del Consiglio di Stato ritenne prevalente che, l’attività esplicata dall’Ente – pur riconoscendone la natura commerciale ed imprenditoriale dello stesso – fosse diretta a soddisfare bisogni di interesse generale
che, in quanto tali, non potevano che rientrare nella giurisdizione del giudice amministrativo.
Sull’Ente Fiera l’incertezza di quegli anni fu estremamente consistente, tant’è vero che sul criterio del riparto di giurisdizione il Consiglio di Stato, con
sentenza n. 1267/1998 della Sezione VI, successivamente pervenne a soluzioni
diametralmente opposte, condivise sia dalla Cassazione sia dalla Corte di Giustizia (Cass., Sez. Un., 4 aprile 2000, n. 97 e Corte di Giustizia, 10 maggio 2001,
cause riunite C-223/99 e C-260/99 Agorà e Excelsior).
La Sezione VI del Consiglio di Stato, con sentenza n. 498 del 20 maggio
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1995 , riconobbe poi la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione
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La prima delle menzionate decisioni è pubblicata in Foro it., 1996, I, 1363, con nota di richiami e annotazioni di CARINGELLA F., Le Società per azioni deputate alla gestione dei servizi
pubblici: un differente compromesso tra privatizzazione e garanzie, ivi, 1364.
La seconda risulta solo massimata; la terza (dec. n. 4991) è stata pubblicata di recente nella
sola massima in Riv. it. dir. pubb. com., 1996, 1266, con nota di BARBIERI C.M., S.p.A. a prevalente capitale pubblico, appalto di lavori e diritto comunitario: una questione di giurisdizione, ivi, 1267,
mentre se ne legge la motivazione nelle pagine della medesima rivista, 1995, 1056; la decisione n.
4992/1995, infine, è pubblicata in Giornale dir. amm., 1996, 636, con commento di VARRONE C.,
Diritto Amministrativo comunitario e riparto di giurisdizione, ivi, 638.
La pronuncia n. 4989 è stata da ultimo pubblicata in Riv. dir. proc. amm., I, 1997, 90, con nota di PERINI A., L’affidamento dei pubblici servizi locali a società miste e procedure ad evidenza
pubblica (alcune riflessioni in margine ad una sentenza regolatrice della giurisdizione), ivi, 89, con
la consueta, amplissima serie di richiami di dottrina e giurisprudenza.
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Cons. Stato, Sez. VI, 20 maggio 1995, n. 498, in Giornale dir. amm., 1995, 1134 con nota di
CASSESE S. che, nel commentare la ritenuta giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alle
controversie riguardanti i contratti di appalto stipulati da F.S., ha sottolineato che tale Società
“… concreta una figura sui generis di concessionario ex lege a contenuto vincolato e cioè definito per
relationem ai compiti di cui era già titolare l’ente F.S.”.
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alle controversie concernenti gli atti di selezione dei possibili contraenti compiuti dalle Ferrovie dello Stato S.p.A.
Detta decisione, accennò al problema della privatizzazione degli enti pubblici economici trasformati in società per azioni (come è stato per la Società F.S.
ai sensi del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella l. 8 agosto 1992, n. 359),
ritenendo tale processo non irrilevante ai fini della modificazione del giudice
competente; in buona sostanza, in questa occasione il “capitale pubblico” costituì il motivo di attrazione al giudice amministrativo di alcune controversie.
Il Consiglio di Stato, con ulteriore decisione (Sez. V, 20 dicembre 1996, n.
1577), dichiarò la competenza del giudice amministrativo a definire controversie relative a gare per la fornitura di materiale informatico indette da un Consorzio di Comuni ed aventi però la natura giuridica di società cooperativa a responsabilità limitata.
A tale conclusione il Consiglio di Stato pervenne sul presupposto che trattandosi di una Amministrazione aggiudicatrice, gli atti adottati dal Consorzio
avevano natura di provvedimenti amministrativi.
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Addirittura, con la nota decisione n. 1478 del 28 ottobre 1998 , la Sezione
VI del Consiglio di Stato affermò che la individuazione del giudice competente
fosse il frutto di scelte operate dalla Amministrazione.
In tale occasione, si ritenne che la controversia dovesse essere risolta dal giudice amministrativo in quanto l’operatore committente, non propriamente pubblica amministrazione, aveva inteso applicare norme sulla evidenza pubblica.
La sentenza creò non poche perplessità nell’individuazione dei criteri per il
riparto di giurisdizione; con tale decisione, infatti, furono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto gli atti di una
gara indetta da una Società per Azioni a partecipazione pubblica.
9
Cons. Stato, Sez. VI, 28 ottobre 1998, n. 1478, in Foro it., 1999, III, 178, annotata da GAROR., il quale oltre ad aver posto l’accento sulla “gravità” della diversità delle posizioni assunte
dalla Corte di Cassazione e dal Consiglio di Stato nell’elaborare criteri di determinazione degli
ambiti giurisdizionali da riservare al giudice ordinario ed a quello amministrativo nella cognizione delle controversie sugli atti delle procedure di evidenza pubblica espletate da soggetti formalmente privati, ha rilevato che “non appare corretto continuare ad utilizzare i tradizionali canoni di
individuazione della pubblicità dell’ente, così come emersi nel dibattito dottrinale e nell’evoluzione
giurisprudenziale nazionali, omettendo di tener conto delle innovazioni apportate dalla disciplina
comunitaria con la previsione di tipologie di soggettività giuridiche a natura pubblica da identificare
alla stregua di parametri differenti, ancorché idonei pur sempre ad attestare l’esistenza di uno stretto
collegamento con l’organizzazione pubblica di tipo tradizionale (si pensi, alle situazioni strutturali o
funzionali, quali il finanziamento o il controllo pubblico o la composizione degli organi direttivi o di
vigilanza indicate dall’art. 1, lett. b) della direttiva 89/440/CE, nel fornire la nozione di organismo
di diritto pubblico)”. Tale decisione è stata, peraltro, pubblicata da tutte le maggiori riviste e commentata da altrettanti numerosi illustri autori (in Corr. giur., 1999, 94, con commento di DE NICTOLIS R., in Giornale dir. amm., 1999, 209 con commenti di GUCCIONE C., in Giur. it., 1999,
1537, con commento di CANNADA BARTOLI E.).
FOLI