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SANSONE E I FILISTEI
Sansone e i Filistei Correva l'XI sec. a.C. quando nella città di Zorea
nacque Sansone.
A quel tempo il popolo ebraico era diviso in tante tribù, spesso in lotta
l'una contro l'altra: approfittando della sua debolezza, giunsero nella
terra di Palestina i Filistei.
Erano i Filistei uomini venuti dal mare, che adoravano tanti dei e che,
arrivati in Palestina, vinsero e assoggettarono al loro dominio gli
Ebrei. Tra le tribù di Israele, molti furono coloro che tentarono la
riscossa contro i Filistei e tra tutti si distinse Sansone: egli era l'uomo
più forte di Israele e mai si era visto qualcuno più temibile di lui.
Appena nato, Sansone fu consacrato nazireo: i nazirei erano gli
uomini dediti al servizio religioso che non potevano bere alcolici e non
dovevano mai tagliarsi i capelli.
Quando fu in età da prendere moglie,
Sansone si innamorò di una donna
filistea; invano i genitori tentarono di
fargli cambiare idea e di fargli sposare
una fanciulla del suo stesso popolo:
Sansone amava la bella filistea e solo lei
voleva. Un giorno, mentre si stava
recando da lei, incontrò un leone che lo
assalì, ma egli era così forte che uccise
l'animale.
Una settimana più tardi, passando per
quella stessa strada per andare a sposarsi, Sansone vide che la
carcassa dei leone era stata invasa dalle api e ora era piena di miele,
così se ne riempì le mani e ne mangiò in abbondanza.
Quando giunse al banchetto pose un indovinello ai trenta filistei invitati
alle nozze: -- Dal divoratore è uscito il cibo e dal forte è uscito il dolce
- e diede loro sette giorni di tempo, tutta la durata della festa nuziale,
per trovare la soluzione. Se avessero indovinato, Sansone avrebbe
dato loro trenta tuniche di lino bianco per la festa; se invece non ne
fossero stati capaci essi avrebbero dovuto procurare a lui trenta
tuniche.
I trenta filistei pensarono e pensarono, ma, nonostante i loro sforzi,
non riuscivano a trovare la risposta. Allora andarono a pregare la
moglie di Sansone, donna del loro stesso popolo, affinché la
chiedesse al marito e gliela rivelasse.
Ella tanto insistette e tanto pianse che Sansone le svelò il segreto e
subito la donna corse dai suoi compagni con la soluzione. Stava per
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scadere il settimo giorno quando a Sansone fu data la risposta: - Nulla è più forte del leone, niente è più dolce del miele.
Sansone si adirò tanto per
essere stato tradito dalla
moglie che fuggì via dal
banchetto e, sceso in città,
uccise trenta filistei; prese le
loro tuniche e le portò ai
convitati, poi si ritirò a vivere
in una caverna. I Filistei, per
vendicarsi, passarono a ferro
e fuoco i villaggi degli Ebrei e
questi ultimi, stanchi delle
tante angherie subite a causa di Sansone, un giorno andarono da lui,
lo legarono e lo consegnarono ai Filistei. Sansone però, con la sua
forza, riuscì a liberarsi dalle corde, raccolse una mascella di asino che
si trovava per terra e con quella massacrò molti avversari. Infine fuggì.
Scese poi nella città di Gaza, dove conobbe Dalila, e se ne innamorò.
I Filistei lo vennero a sapere e pagarono la donna perché scoprisse
da dove veniva tutta la forza di
Sansone.
- Da dove proviene tutta la tua
forza? E come ti si dovrebbe
legare per prenderti? - ella gli,
chiese. - Mi dovresti legare con
sette corde d'arco fresche, non
ancora secche - le rispose
Sansone. Ella provò, ma non era
vero ed egli rise di lei.
Da dove proviene tutta la tua
forza? E come, i si dovrebbe
legare per prenderti? - chiese Dalila per la seconda volta.
- Mi dovresti legare con funi nuove non ancora, adoperate - le rispose
Sansone. Ella tentò, ma non era vero ed egli nuovamente rise di lei.
- Da dove proviene tutta la tua forza? E come ti si dovrebbe legare per
prenderti? - chiese Dalila per la terza volta.
- Mi dovresti legare con le sette trecce della mia testa - disse
Sansone. Ella lo legò con le sette trecce ma ancora una volta egli si
liberò.
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Allora Dalila iniziò a piangere: - Come puoi dirmi che mi ami se il
tuo cuore è lontano? Già tre volte ti sei burlato di me.
A questo punto Sansone le aprì il suo
cuore: - lo sono un nazireo e non è mai
passato un rasoio sulla mia testa. La mia
forza sta nei capelli e, se fossero tagliati,
io perderei con essi tutto il mio potere.
Mentre Sansone dormiva, Dalila gli tagliò
i capelli poi chiamò i Filistei perché lo
legassero e lo portassero via. Questa
volta Sansone aveva detto la verità. I
nemici lo catturarono, lo accecarono e lo
Misero in prigione.
Passarono molti mesi e arrivò il giorno
della festa di Dagon, uno degli dei adorati
dai Filistei. Sansone fu esposto al
pubblico che lo derideva e - gli lanciava contro sassi.
Durante quei mesi però i capelli di Sansone. erano ricresciuti ed egli,
giorno per giorno, aveva recuperato tutta la sua forza. Allora Sansone,
che si trovava tra due, colonne su cui si ergeva il tempio si appoggiò
ad esse e vi spinse contro con tutta la sua forza. In, quel momento il
tempio rovinò al suolo uccidendo tutti i presenti, Sansone compreso.
DAVIDE E GOLIA
A quel tempo il popolo di Israele era giudicato dai
giudici, capi politici e militari delle varie tribù, ma essi
non si mostrarono in grado di fronteggiare le razzie
dei Filistei. Gli Ebrei decisero allora di scegliere un
uomo forte e coraggioso a cui affidare Ia guida del
paese e fu così che nel 1040 a.C. Saul fu eletto re di
Israele.
Neppure Saul però fu capace di eliminare il pericolo
filisteo dalla terra di Canaan e la sorte degli Ebrei peggiorò quando
dalle file nemiche uscì un soldato di nome Golia.
Egli più che un uomo era un gigante: alto quasi tre metri, portava sul
capo un pesante elmo di bronzo e indossava una corazza del peso di
oltre 60 chili.
Un giorno Golia si presentò di fronte all’accampamento di re Saul e
gridò: - Oggi io vi lancio una sfida: scegliete tra di voi un uomo pronto
a combattere contro di me. Se sarà capace di vincermi noi saremo
vostri schiavi, se invece prevarrò io su di lui voi sarete soggetti a noi.
Gli Israeliti erano terrorizzati e nessuno di loro osava scendere in
campo contro Golia: per quaranta giorni il filisteo continuò a
perseguitarli, mattina e sera, sera e mattina, ma bastava guardare
Golia per essere sicuri di chi avrebbe vinto. Nessun uomo poteva
nutrire la speranza di abbatterlo.
Tra le file di Saul combattevano tre ragazzi di nome Eliab, Abinadab e
Samma. Un giorno un loro fratello più giovane, non ancora in età per
partire soldato, si recò all'accampamento per portare loro dei cibo e
per avere notizie sulla loro salute.
Proprio nel momento in cui quel giovane, di nome
Davide, si trovava all'accampamento di Saul, Golia
avanzò la sua sfida e Davide gridò: - Chi è mai
quest'uomo che osa sfidare l'esercito di Dio? - Poi
si fece condurre al cospetto di re Saul e gli disse: Vostra maestà, io andrò volontario a combattere
questo gigante.
Saul cercò di fermarlo: - Tu non puoi andare, sei
solo un ragazzo, un giovane pastore, mentre Golia è un uomo d'armil
Davide gli rispose: - Oh! mio signore, io bado le pecore di mio padre e
ogni volta che un orso o un leone vengono per catturare un agnello io
non esito a inseguirlo, abbatterlo e portargli via la preda. Dio mi ha
aiutato a liberare i miei animali da orsi e leoni ed ora mi aiuterà a liberare il popolo di Israele dalle minacce di costui. Saul, colpito dalla
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sicurezza e dal coraggio del ra- gazzo, accettò la sua offerta: lo
fece vestire del suo stesso elmo e della sua stessa armatura e gli
consegnò la sua spada. Davide però non aveva mai indossato una
corazza e mai aveva usato una spada, così si tolse l'armatura, si înfilò
cinque ciottoli in tasca e avanzò verso il filisteo tenendo nella destra
una fionda e nella sinistra un bastone.
Appena Golia lo vide ne ebbe disprezzo e
gridò ridendo: - Ragazzo, a cosa ti serve il
bastone? Credi forse che io sia un cane?
Davide gli rispose: - Tu vieni a me con la
forza, io vengo a te nel nome del Signore. lo
ti sconfiggerò e il mondo intero saprà che
solo quello di Israele è il vero Dio.
Appena il filisteo si mosse incontro a
Davide, questi prese uno dei sassi che
aveva in tasca, lo lanciò con la fionda e colpì
Golia proprio in mezzo alla fronte. II gigante
cadde con la faccia a terra, così Davide corse verso di lui, gli sfilò la
spada dal fodero e lo uccise.
I Filistei; vedendo che il loro eroe era
stato sconfitto, si diedero alla fuga,
inseguiti dagli Ebrei che quel giorno
conseguirono una importante vittoria.
Dopo lo strepitoso successo su Golia,
Davide fu condotto al cospetto di Saul e
lì conobbe due suoi figli: Gionata, che
subito divenne suo grande amico, e
Mikal, che dopo qualche mese fu sua sposa.
Davide fu presto molto amato dalla corte e dall'intero popolo: in tutti i
combattimenti a cui egli partecipava gli Ebrei risultavano vittoriosi e la
gente gridava per strada: - Saul ne ha uccisi a decine, ma Davide ne
ha uccisi a centinaia!
Fu così che Saul iniziò a diventare geloso della, popolarità di Davide e
più il tempo passava più il re temeva il genero perché si dimostrava
agli occhi di tutti un capo ancora più valoroso di lui. Saul aveva paura
che il popolo lo deponesse per consegnare il trono a Davide. Un
giorno Gionata scoprì che Saul stava complottando per uccidere il suo
caro amico, così mise in guardia Davide dicendogli di scappare e di
nascondersi. Poi andò dal padre e gli ricordò tutte le imprese
compiute da Davide al suo servizio. Saul lo ascoltò e capì di aver
esagerato, quindi fece richiamare Davide che riprese fedelmente a -
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servire il sovrano. La pace tra i due, però, durò poco: qualche
tempo dopo la gelosia di Saul riaffiorò e una sera, mentre Davide
stava suonando la cetra, Saul scagliò
contro di lui una lancia, senza però
riuscire a colpirlo. Quella stessa notte il
sovrano mandò alcuni suoi servitori a
casa di Davide per ucciderlo, ma Mikal,
informata da Gionata, fece scappare il
marito dalla finestra. Quindi, prese una
statua, la infilò nel letto, la ricopri con
una spessa coperta e mise dalla parte del capo un tessuto di pelo di
capra.
Mio marito è malato - disse Mikal ai soldati quando
arrivarono, ed essi tornarono da Saul a mani vuote Se non può alzarsi portatemelo dentro il letto! - gridò allora il re. I soldati eseguirono l'ordine e quando
Saul tolse la coperta, scopri l'inganno. Egli si infuriò,
ma Davide ormai era lontano al sicuro.
Sia Gionata che Mikal tentarono in ogni modo di
placare l'ira del padre, ma ogni sforzo fu vano: il suo
odio contro Davide aumentava di giorno in giorno e
così il giovane per due anni restò nascosto nelle
campagne. In quei due anni le sorti dell'esercito di
Israele si ribaltarono; i Filistei sempre più spesso
riportavano vittoria sugli Ebrei, fino a che nella battaglia sul monte Gelboa trovarono la morte lo stesso Saul e i suoi figli.
Dopo la morte di Saul, Davide uscì dal suo nascondiglio e il popolo lo
elesse re di Israele: correva l'anno 1010 a.C.;
egli regnò per 40 anni da re saggio e giusto. Fino
alla fine della sua vita Davide continuò a
chiedersi se qualche membro della famiglia di
Saul fosse ancora vivo. Un giorno un servo gli
disse che un figlio di Gionata di nome Mefiboset
era ancora in vita, ma era storpio. Aveva solo
cinque anni quando il padre era morto in
battaglia e la nutrice era fuggita nella notte coi
bambino in braccio; durante la fuga Mefiboset le
era caduto ferendosi ai piedi; da quel giorno egli
era rimasto storpio e non era più stato in grado di
muoversi agevolmente.
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Davide lo mandò immediatamente a chiamare. Quando Mefiboset
venne a sapere che il re lo voleva vedere, ebbe paura che Davide
volesse vendicarsi delle angherie subite da Saul,
ma si recò a palazzo e gli si prostrò davanti.
- Non avere paura - gli disse Davide. - Voglio
solo essere gentile con te in nome di tuo padre
Gionata che fu mio grande amico. Ti restituirò le
terre che appartennero a tuo nonno Saul e tu
sarai sempre il benvenuto alla mia mensa.
Perché dovresti essere
così buono con me? lo non
ho nulla da offrirti in
cambio e inoltre non posso lavorare.
Davide si rese conto che Mefiboset era storpio
e che non poteva coltivare la terra, così ordinò
ad alcuni suoi servi di andare con Mefiboset e di
lavorare per lui.
Da quel giorno, grazie alla generosità di Davide,
Mefiboset mangiò alla tavola del sovrano e
divenne come uno dei suoi figli.
LA SAGGEZZA DI SALOMONE
Alla morte di re Davide, nel 970 a.C, salì al trono suo figlio Salomone.
Salomone era ancora molto giovane quando assunse la carica di
sovrano, ma già era assennato e leale. Una notte Dio gli apparve in
sogno e gli domandò: - Che cosa vorresti che io ti dessi ora che sei
re?
Salomone rispose: - Signore, io sono
un ragazzo, non ho esperienza di
governo, non so come regolarmi e
questo popolo è tanto numeroso.
Concedimi dunque la saggezza di cui
ho bisogno affinché io riesca a
governare bene, a discernere il bene
dal male e ad essere sempre un re
buono e giusto per il mio popolo.
Dio apprezzò molto il fatto che
Salomone avesse chiesto questo e non
ricchezze, potenza o lunga vita per sé e
gli rispose: - Poiché tu mi hai
domandato ciò, io ti concedo un cuore
saggio e una mente intelligente come
mai nessuno ha avuto prima e come
mai nessuno avrà dopo di te. E per
premiarti ti darò anche quanto non mi hai domandato: ricchezze e
gloria.
Non passò, molto tempo che la saggezza di Salomone fu messa alla
prova.
Un giorno gli si presentarono davanti due donne per avere un giudizio
riguardo una disputa. Disse la prima: - Vostra maestà, io e questa
donna viviamo nella stessa casa. Un giorno io ho partorito un,
bambino e tre giorni dopo anch'ella diede alla luce un figlio. In quel
periodo non c'era nessuno in casa oltre a noi due. Una notte questa
donna per errore si coricò sul suo piccino e lo soffocò, allora, mentre
io dormivo, ella si alzò e si prese il mio bambino, mettendomi nel letto
il suo. AI mattino, quando mi svegliai, trovai il bambino morto e mi
disperai, ma subito mi accorsi che il piccino non era il figlio mio, bensì
quello dell'altra donna.
- No, no! - gridò allora l'altra madre. – Il bambino vivo è il mio, il tuo è
quello morto. Ti sei sbagliata e non c'era nessuno in casa che possa
testimoniare!
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Le due donne continuarono a litigare così davanti al re: era la
parola di una contro la parola dell'altra e il re ebbe bisogno di tutta la
sua saggezza per scoprire la verità. Alfine Salomone si fece portare
una spada e disse:
- Ognuna di voi sostiene che il bambino vivo è il suo e che quello
morto appartiene all'altra donna. Ora taglieremo in due il bambino vivo
cosi ciascuna delle due madri ne
avrà una parte.
No, no! - disse la prima donna. Piuttosto lasciate a lei il bambino,
ma vi scongiuro sire, non
uccidetelo.
L'altra madre invece si mostrò
d'accordo con il giudizio dei re: - Va
bene sire, tagliatelo in due come
avete detto.
A quel punto Salomone non ebbe
più dubbi: - Date il bambino alla
prima madre: è chiaro che lo ama
veramente come una madre ama il
figlio suo, mentre alla seconda non
importa niente della vita del piccolo!
La notizia della saggezza di
Salomone presto si diffuse nell'intero paese e da quel giorno
moltissimi Israeliti, e persino molti stranieri, si recarono da lui per
avere un suo consiglio.
Come Dio aveva promesso, il regno di Salomone fu inoltre
accompagnato da ricchezza e splendore: egli fece erigere il Tempio
per il culto del Signore e la costruzione fu veramente meravigliosa.
Durante il suo governo le terre produssero tanto grano quanto mai se
ne era contato prima, le pecore e le vacche tanto latte quanto mai se
ne era visto e ogni famiglia ebbe una casa in cui abitare.
Quarant'anni regnò Salomone: furono anni di pace e ricchezza, che
tutti gli Ebrei ricordarono per secoli e secoli. Alla morte di Salomone
salì al trono il figlio Roboamo, ma sotto di lui il regno unito di Israele
durò un soffio di vento: alla guida di Geroboamo le tribù del Sud si
ribellarono e nel 931 a. C. il paese si trovò diviso tra il Regno del
Nord, o di Israele, e il Regno dei Sud, o di Giuda.
Elia e la pioggia
Nel 931 a.C., dopo la morte di re Salomone, il regno di Israele si
divise in due parti: le tribù di Giuda e di Beniamino formarono il Regno
del Sud, o di Giuda, le restanti dieci tribù costituirono il Regno del
Nord, o di Israele.
Nessuno dei due regni però ebbe vita facile: i nemici premevano alle
frontiere e forte era il malcontento interno. Molti uomini inoltre si
allontanarono dal culto di Dio per avvicinarsi a idoli e dei; fu in quel
periodo che iniziarono a predicare i profeti, uomini che cercarono di
riavvicinare gli Ebrei alla parola di Dio.
II primo fra i profeti fu Elia, vissuto nel IX sec. a. C. A quel tempo re di
Israele era Acab, il quale adorava svariati dei, in particolare Baal, dio
del sole e della pioggia.
Un giorno Elia si presentò da Acab
dicendogli: - Lascia il tuo dio Baal e
venera il Signore. Se non lo farai la
pioggia cesserà di cadere su questo
paese per tre anni interi.
Acab si fece beffe di Elia e non volle
credere alle sue parole, ma dal giorno
del loro colloquio cessò di piovere e per tre lunghi anni non un goccio
d'acqua cadde dal cielo. La siccità e la carestia divennero gravissime:
la terra si riempì di crepe e smise di produrre, molti animali e molte
persone morirono di sete.
Allo scadere dei tre anni, Elia si
presentò da Acab, che appena lo
vide lo insultò: - Tu sei la causa della
rovina di Israele!
- Non io, ma tu, col tuo
comportamento, hai voluto questa
carestia - rispose Elia. Poi proseguì:
- Ordina a tutto il popolo di Israele di
venire presso di me sul Monte Carmelo e chiama anche i sacerdoti di
Baal.
Acab fece quanto Elia gli aveva richiesto e l'indomani una immensa
folla era riunita presso il Monte Carmelo. Quando tutti furono arrivati,
Elia gridò: - lo sono qui da solo, come profeta del Signore, mentre ci
sono 450 sacerdoti di Baal. Portate qui due buoi per un sacrificio: ne
prenderemo uno per uno e lo metteremo sulla legna senza appiccarvi
il fuoco, poi ognuno pregherà il suo dio affinché mandi il fuoco. La
divinità che risponderà sarà quella vera, l'unica che merita il culto del
popolo.
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I profeti di Baal iniziarono subito i loro rituali: presero il bue, lo
prepararono, lo misero sulla legna e da
mattina a sera urlarono e danzarono,
invocando il loro dio Baal. Elia diceva
loro: - Avanti! Urlate più forte... forse il
vostro dio è sovrappensiero oppure
dorme e non vi sente!
Quelli gridarono a voce più alta e,
secondo il loro costume, si tagliarono con
coltelli e pugnali cospargendosi del loro
stesso sangue.
Quando ormai erano tutti sfiniti. Elia
rivolse la sua preghiera al cielo: - Oh!
Signore, mostra che tu sei il vero Dio,
cosicché questo popolo sappia chi
adorare.
Immediatamente dal cielo scese il fuoco
che bruciò il bue e la legna. Tutta la gente
si inginocchiò e rialzando gli occhi vide
all'orizzonte una piccola nube che poco a
poco divenne sempre più grossa e scura e
alla fine rovesciò abbondante acqua sulla
terra. Acab se ne andò sconfitto e tutti gli
abitanti tornarono a casa e fecero sacrifici
a Dio.
Inserirei qui, la Devozione alla Madonna del Carmelo e allo
Scapolare…
Giona a Ninive
Nella seconda metà del secolo VIII a.C. visse nella terra di Israele un
profeta di nome Giona. Un giorno gli
apparve un angelo dei Signore che gli
disse: - Giona alzati, va a Ninive e parla
ai suoi abitanti affinché abbandonino il
falso e seguano la verità. Se non lo
faranno entro quaranta giorni la città sarà
completamente distrutta.
Ninive era a quel tempo la capitale
dell'impero assiro e gli Assisi erano
acerrimi nemici degli Ebrei. Giona però
non voleva andare a Ninive a portarvi il
messaggio di Dio: pensò che se lo
avesse fatto gli Assiri avrebbero potuto
seguire la parola divina, mentre lui preferiva che questo nemico
venisse annientato. Solo gli Ebrei dovevano essere il popolo eletto.
Così disubbidì al comando di Dio e invece di andare a Ninive scese a
Giaffa e si imbarcò per Tarsis, città lontanissima, per fuggire il più
distante possibile da Dio e dal suo volere.
La nave salpò, ma appena fu in alto mare scoppiò un violento
uragano. Un vento terribile sbatteva l'imbarcazione qua e li e
sembrava che il battello dovesse sfasciarsi da un momento all'altro.
Tutti coloro che erano sulla nave, marinai e passeggeri, correvano a
destra e a sinistra terrorizzati, cercando di buttare parte dei carico a
mare per rendere l'imbarcazione più leggera.
A Giona venne il sospetto, che
Dio
avesse
mandato
quell'uragano per punirlo della
sua disubbidienza e disse ai
suoi compagni di viaggio: Prendetemi e gettatemi in mare
e vedrete che questa tempesta
si calmerà, poiché io sono
certo che questa è la punizione
di Dio per la mia fuga.
All’inizio nessuno ebbe il
coraggio di eseguire quanto
Giona aveva loro ordinato e tutti cercarono di remare più in fretta per
raggiungere la spiaggia. Ogni tentativo però fu vano e alla fine i
marinai decisero che occorreva liberarsi di Giona; lo presero e lo
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gettarono in acqua. Il mare si calmò immediatamente e la
tempesta cessò.
Le onde inghiottirono Giona ed egli
già pensava di morire annegato
quando fu ingoiato tutto intero da
un grosso pesce. Vi restò dentro
tre giorni e tre notti, poi all'alba del
quarto giorno il pesce si fermò sulla
terra ferma e fece uscire Giona.
L'angelo del Signore nuovamente
comandò al profeta: - Vai a Ninive
e riferisci a quella gente la parola di
Dio.
Giona partì e quando fu nella città cominciò a gridare ai suoi abitanti: Ascoltate il messaggio divino, seguite la Verità, altrimenti Ninive fra
quaranta giorni sarà distrutta.
A queste parole tutti i cittadini si
convertirono ed anche il re assiro
iniziò a fare penitenza: si tolse gli
abiti regali e si vestì di un saio. Dio
apprezzò il pentimento degli abitanti
della città e decise che non l'avrebbe
più cancellata dalla faccia della
Terra. Appena Giona lo venne a
sapere si adirò molto: non riusciva a
capire perché il Dio di Israele trattava
con misericordia la gente di Ninive,
usando per lei lo stesso riguardo che
per gli Ebrei. Uscì dalla città e dopo
aver camminato a lungo si sedette e
sopraffatto dalla stanchezza si addormentò.
Nel frattempo Dio fece crescere proprio di fianco a Giona una pianta
molto frondosa che gli riparava il capo dal sole troppo caldo. Egli fu
molto grato al Signore per quell'ombra, ma all'alba del secondo giorno
un verme attaccò la pianta che ingiallì e morì. Questa morte rattristò
molto Giona: una pianta che seccava era pur sempre una vita spenta.
Dio allora disse a Giona: - Questa pianta è cresciuta in una notte e
altrettanto velocemente è scomparsa; tu non t'hai coltivata, non hai
fatto nulla per farla crescere, eppure ti rattristi. Vorresti allora che io
non avessi pietà di una città in cui vivono oltre centomila persone che
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io stesso ho creato? Sì, a lungo sono stati lontano da me, ma poi
si sono pentiti. Perché non dovrei perdonarli?
Giona ascoltò le parole di Dio, prese la
sua bisaccia e si incamminò verso
casa.
Daniele a Babilonia
I due Regni di Israele e di Giuda non ebbero Iunga vita: entrambi
furono conquistati prima dagli Assiri e poi dai Babilonesi. Nel 586 a.C.,
nel tempo in cui Nabucodonosor era re di Babilonia, Gerusalemme fu
completamente rasa al suolo dai Babilonesi e i suoi abitanti furono
deportati.
II re diede quindi ordine di condurre a corte
tutti i l giovani israeliti di sangue nobile, belli
d'aspetto, colti e intelligenti per educarli
secondo la tradizione babilonese e farne
suoi servitori a palazzo. Vennero così scelti
quattro
giovani:
Daniele,
Shadrach,
Meshach e Abednego.
Dopo qualche tempo il sovrano fece un
sogno alquanto strano: sognò di trovarsi
all'improvviso di fronte ad una statua che
aveva, la testa d'oro, il petto e le braccia
d'argento, il ventre e le cosce di bronzo, le
gambe di ferro, i piedi in parte di ferro e in parte di argilla. Ad un tratto
dal monte si staccava una pietra che cadeva sulla statua ed essa si
frantumava in piccolissimi pezzi immediatamente portati via dal vento,
mentre la pietra si trasformava in una gigantesca montagna.
II re chiamò tutti i maghi e gli indovini di
corte affinché interpretassero il suo
sogno e, per essere certo che non
mentissero, non rivelò loro il sogno, ma
pretese che essi stessi lo indovinassero:
Nessuno ne fu capace e tutti furono
messi a morte.
Si fece allora avanti Daniele che disse al
re: - Questo sogno ti è stato ispirato da
Dio affinché tu sappia che tutti i regni
terreni cadranno, il solo regno che vivrà
in eterno è quello celeste.
Nabucodonosor fu così. soddisfatto di questa interpretazione che
nominò Daniele governatore della provincia di Babilonia e anche i suoi
tre amici ottennero cariche di prestigio e responsabilità.
Non passò molto tempo da quel giorno che il re dimenticò il significato
del sogno e iniziò a considerarsi l'uomo più importante del mondo. Si
fece costruire una statua d'oro alta quasi 27 metri e ordinò a tutti i
principi, i governatori, i giudici e gli ufficiali che ricoprivano le cariche
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più importanti di adorare la statua. Chi non l'avesse fatto sarebbe
stato gettato in una fornace ardente.
Shadrach, Meshach e Abednego si
rifiutarono. di adorare quella statua e
subito i principi babilonesi riferirono al re
la disubbidienza dei tre giovani. Nabucodonosor li mandò a chiamare e tentò di
imporre loro il culto della statua, ma ogni
tentativo fu vano. I tre gli risposero: - Noi
non ci prostreremo mai di fronte alla tua
statua. Se il nostro Dio vuole, saprà
come salvarci dalla fornace, ma se anche
Egli non lo facesse ci rifiuteremmo
ugualmente di adorare i tuoi idoli.
Re Nabucodonosor, che detestava
essere sfidato, ordinò ai suoi servi di gettare i giovani nella fornace
ardente e di scaldarla sette volte più del solito. A causa del grande
calore sprigionato dalle fiamme, gli uomini che gettarono i tre israeliti nel
fuoco morirono bruciati, mentre l'angelo
del Signore allontanò da Shadrach,
Meshach e Abednego il fuoco e rese
l'interno della fornace un luogo fresco e
ventilato. Nabucodonosor da lontano
osservava la scena e vedendo i tre
giovani che passeggiavano in mezzo al
fuoco in compagnia di un angelo ordinò
di
liberarli:
sovrano,
prefetti,
governatori, ministri si strinsero intorno a loro e si stupirono nel notare
che i loro corpi erano integri e che i loro abiti non erano neppure stati
toccati dall'odore di bruciato. Nabucodonosor si inginocchiò e disse: Da questo momento io ordino che tutto il mio popolo veneri il
vostro Dio e che chiunque lo offenda sia punito.
Da quel giorno il re osservò attentamente il culto dei Signore e ascoltò
i consigli dei quattro israeliti. Alla sua morte salì al trono Baldassarre,
un uomo che non credeva in Dio e che per tutta la durata del suo
regno si mostrò superbo e irriverente. Un giorno Baldassarre
organizzò una grande festa a corte e, per onorare gli invitati, decise di
offrire loro da bere in coppe d'oro e d'argento trafugate dal tempio di
Gerusalemme. II re sapeva che esse erano sacre e che non
3
avrebbero dovuto essere usate per divertimenti e festeggiamenti,
ma non se ne curò.
All'improvviso una mano misteriosa comparve nell'aria e scrisse sulle
pareti della sala del banchetto parole incomprensibili: «mene»,
«tekel» e «peres».
Baldassarre iniziò a tremare
dalla paura e interpellò i suoi
maghi e i suoi indovini, ma
nessuno fu in grado di decifrare
la misteriosa scritta.
La regina madre si ricordò allora di Daniele e di come egli
avesse interpretato i sogni di
Nabucodonosor,
quindi
fu
mandato a chiamare Daniele.
Appena giunto al banchetto egli
disse: - Dio ti ha punito per aver preso i vasi sacri del Signore e averli
usati nel tuo banchetto, cosi ha mandato la mano a scrivere queste
cose. «Mene» significa numero e ciò vuol dire che Dio ha contato i
giorni dei tuo regno e presto lo condurrà alla fine. «Tekel» significa
peso e vuol dire che sei stato pesato sulla bilancia divina e sei
risultato mancante. «Peres» vuol dire divisione e sta a dire che il tuo
regno sarà presto diviso, tra Medi e Persiani.
L'interpretazione di Daniele doveva avverarsi ben presto: quella
stessa notte Baldassarre fu ucciso e Dario, re dei Medi, conquistò il
regno.
Re Dario divise il paese in 120 distretti, a capo di ognuno dei quali
pose un governatore, poi nominò Daniele loro supervisore.
Daniele si mostrò subito il migliore di tutti e ciò destò l'invidia dei
governatori che iniziarono a cercare qualche pretesto contro di lui.
Egli però era impeccabile e non riuscendo a trovare niente di
sbagliato nel suo lavoro, pensarono di far accusare Daniele a causa
della sua religione.
Essi infatti sapevano che Daniele pregava Dio tre volte al giorno e che
si era sempre rifiutato di venerare idoli e dei, cosi un giorno si
presentarono dal Re dicendo: - Maestà, abbiamo pensato di emanare
un decreto per cui chi nei prossimi trenta giorni rivolgerà una qualsiasi
preghiera ad una divinità che non sia il Re, sarà gettato nella fossa dei
leoni.
Dario si senti alquanto adulato dalla richiesta e subito firmò l'ordine.
Daniele, nonostante il nuovo editto, non cessò di pregare Dio e i suoi
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nemici corsero subito dal Re dicendo: - Sire, Daniele vi ha
disubbidito; egli continua a pregare tre volte al giorno il suo Dio
proprio come faceva prima che voi
promulgaste la legge.
II sovrano a quelle parole si rese conto
dell'inganno dei suoi ministri, ma ormai
era troppo tardi: una legge firmata non
poteva essere ritirata. Pensò a lungo ad
una possibile soluzione, ma non c'era
alcuna via d'uscita quindi, su pressione
dei ministri, ordinò che Daniele venisse
gettato nella fossa dei leoni: - Possa il tuo
Dio, che servi così fedelmente, salvarti! gli disse prima di tornarsene a palazzo.
Quella sera Dario non toccò cibo e la notte non riuscì a chiudere
occhio: non vedeva l'ora che giungesse mattina per correre alla fossa
dei leoni. Un'intima speranza che Dio avesse salvato Daniele si animava in lui.
II giorno seguente, appena raggiunta la fossa, gridò: - Daniele, il tuo
Dio è riuscito a salvarti?
La sua gioia fu grande quando udì la voce di Daniele che rispondeva:
- Sì, o sire, il mio Dio ha mandato il suo angelo a fermare le fauci dei
leoni, così essi non mi hanno neppure sfiorato. Dio sapeva che io non
ho fatto niente di male, né contro di Lui, né contro di voi.
II re diede quindi ordine di tirare immediatamente Daniele fuori dalla
fossa dei leoni e di gettarvi dentro tutti quei ministri che gli avevano
subdolamente fatto firmare l'editto.
Daniele concluse i suoi giorni sotto, il regno di Dario, stimato da lui e
dall'intero suo popolo.