Il rischio di Narciso

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Il rischio di Narciso
Il rischio di Narciso
Riflessione per arbitri di calcio
Lo spirito del Signore si era ritirato da Saul ed egli veniva atterrito da uno spirito cattivo. Allora i servi di Saul
gli dissero: «Vedi, un cattivo spirito sovrumano ti turba. Comandi il signor nostro ai ministri che gli stanno
intorno e noi cercheremo un uomo abile a suonare la cetra. Quando il sovrumano spirito cattivo ti investirà,
quegli metterà mano alla cetra e ti sentirai meglio». Saul rispose ai ministri: «Ebbene cercatemi un uomo
che suoni bene e fatelo venire da me». Rispose uno dei giovani: «Ecco, ho visto il figlio di Iesse il Betlemmita:
egli sa suonare ed è forte e coraggioso, abile nelle armi, saggio di parole, di bell'aspetto e il Signore è con
lui». Saul mandò messaggeri a Iesse con quest'invito: «Mandami Davide tuo figlio, quello che sta con il
gregge». Davide giunse da Saul e cominciò a stare alla sua presenza. Saul gli si affezionò molto e Davide
divenne suo scudiero. Quando dunque lo spirito sovrumano investiva Saul, Davide prendeva in mano la cetra
e suonava: Saul si calmava e si sentiva meglio e lo spirito cattivo si ritirava da lui.
Davide sa suonare bene e così viene chiamato alla corte di Saul, che sta male ma viene sollevato dalle
melodie del giovane. Questa scena è inserita nella prima strofa di una canzone famosissima: Halleluja
scritta da Leonard Cohen e cantata anche da Jeff Buckley, usata per la colonna sonora del film Shrek.
Davide mette un suo talento, una sua capacità a disposizione degli altri, non suona sempre e solo per se
stesso. Questo vale anche per l’arbitraggio. Penso che l’unico modo per vivere serenamente l’arbitraggio –
ottenendo anche ottimi risultati – sia il vederlo come un modo per servire gli altri. Senza arbitro i calciatori
non possono giocare, ma i protagonisti della partita sono solo loro. Offriamo un servizio molto particolare,
il servizio dell’autorità, che è facilmente paragonabile ad un bisturi. Il bisturi è un coltello e se usato bene
serve ad un intervento chirurgico. Tuttavia con un bisturi ci si può anche ferire o si può fare del male.
Esercitare l’autorità per il bene degli altri – cioè i calciatori, i dirigenti, il pubblico – porta a tutte le altre
conseguenze positive a cui spesso facciamo riferimento: il divertimento, l a crescita umana, la scalata delle
varie categorie, il rimborso spese. Tutte queste cose, poi, ci portano ad essere migliori nella nostra vita
ordinaria, fuori dal campo, e questo bene si riflette sulle persone che ci stanno intorno tutti i giorni. Quindi,
in ultima istanza, sarebbe bene considerare che arbitriamo per far del bene agli altri, sia per i componenti
del gioco, sia per chi ci sta vicino tutti i giorni.
Arbitrando ognuno di noi fa specchiare la parte migliore di se stesso e se innamora. In campo esercitiamo
un potere che sembra assoluto, siamo atletici, affrontiamo con grinta tante difficoltà – specie le proteste
che sediamo con autorità. Tiriamo fuori una parte di noi che nella vita ordinaria rimane nascosta e questa
parte ci piace tanto. Pian piano, l’arbitraggio diventa parte di noi stessi ed è naturale che arrivi a
conquistare anche i nostri sogni.
Questo certamente è normale, è un bene per tutti. Ma il rischio più comune per un arbitro è quello di
diventare narcisista. Cioè, quello di credersi in campo il protagonista e fuori dal campo il migliore in
assoluto. Le ricadute negative sono tantissime, alcune le ricordavo già nella prima riflessione. C’è il rischio
di non accettare i consigli e i richiami, di non prestare le dovute attenzioni e di cadere in errori grossolani, di
rendersi insopportabili agli occhi di chi ci circonda.
Il narcisismo fa male perché siamo fatti per uscire da noi stessi, ed invece il rischio in cui spesso cadiamo è
quello di “ripergarci”, di chiuderci in noi stessi, di farci i complimenti guardandoci allo specchio. Alla lunga si
ama ci si ama talmente tanto che si diventa incapaci di amare gli altri.
Mantenere l’umiltà – che non significa ritenersi il peggiore di tutti gli arbitri del mondo, ma riconoscere di
avere sempre la necessità di imparare – è un esercizio difficile ma necessario. Richiede una certa vigilanza,
una certa attenzione, ai propri pensieri e alle proprie azioni. Dopo una partita eccellente o una stagione
prodigiosa è sempre bene sofrzarsi per rimanere con i piedi per terra.
È necessario capire che fare una critica significa sempre avere cura, esprimere l’interesse per il bene di un
altro. In quest’ottica devono essere visti sia i rilievi degli osservatori, sia i richiami dell’Organo Tecnico e del
Presidente. Poi, certo, vanno sempre ben interpretati e ben applicati, ma devono sempre essere accettati.
Questo, poi, vale anche nell’amicizia: avere cura di un amico significa anche richiamarlo se i suoi
comportamenti non stanno facendo il suo bene. Bisognerà certamente scegliere i tempi giusti, i modi, le
parole, ma tacere volontariamente significherebbe essere suo complice, cioè fargli del male. Ugualmente,
bisogna essere capaci di accogliere i consigli degli amici, senza rifiutarli a prescindere.
Nella scorsa riflessione abbiamo parlato delle tre azioni principali dell’arbitraggio – osservare, decidere,
agire – proponendoci di applicarle alla vita quotidiana. Per poter vedere in modo giusto noi stessi e quell o
che ci succede, è necessario avere la giusta prospettiva di se stessi, non credersi sempre i migliori, quelli
che hanno sempre ragione.
La storia di Gesù ci insegna l’esatto contrario del narcisismo: Dio non ha deciso di rimanere in cielo beato in
se stesso, ma ha liberamente deciso di uscire, di venire sulla Terra, per servire l’Uomo che era triste a causa
dei suoi errori. Ciò che ci rende davvero felice è saperci a servizio degli altri.
La vita cresce quando la si spende. Se la conserviamo solo per noi stessi, la si soffoca.