la società pubblica e la neutralità delle forme giuridiche soggettive
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la società pubblica e la neutralità delle forme giuridiche soggettive
LA SOCIETÀ PUBBLICA E LA NEUTRALITÀ DELLE FORME GIURIDICHE SOGGETTIVE*. 1. Per chi predilige temi a confine tra il diritto civile e il diritto amministrativo, e ancor di più per chi ama osservare il processo di compenetrazione delle due discipline, quello dell‟attuale assetto delle società pubbliche è un banco di prova formidabile, atteso che attraverso questo istituto sembrano realizzarsi gli snodi fondamentali dell‟economia pubblica del nostro Paese, destinata a muoversi nel prisma disegnato dall‟ordinamento comunitario. La società pubblica si inserisce in uno scenario vasto e complicato - e dove lo stesso Legislatore sembra muoversi a caso - costituito dalla attuale sistemazione della soggettività (pubblica e privata), dalla nozione (comunitaria e nazionale) di impresa, dagli stessi fondamenti del diritto pubblico dell‟economia. Dei tanti possibili modi di affrontare il tema, a proposito del quale si registrano apporti di dottrina e di giurisprudenza numerosi e particolarmente qualificati, si è scelto quello che, forse più di altri, può assumere un ruolo chiarificatorio, ossia quello che pone al centro del sistema il principio (e la sua tenuta scientifica) della neutralità delle forme giuridiche soggettive. Esso, sconvolgendo l‟ordine pubblico economico, sembra celare l‟idea che il Legislatore possa tutto, anche separare la forma dalla sostanza causale del contratto d‟impresa, consentendo la somministrazione della personalità giuridica di diritto pubblico a strutture civilistiche che non sembrano tollerarla o il disfacimento (e il rifacimento) di formule organizzatorie collaudate, e comunque in linea con la Costituzione, che vuole distinta l‟impresa pubblica da quella privata. 2. Nei momenti di confusione è indispensabile richiamare il sistema. Perciò vanno fatte premesse note, ma imprescindibili. L‟ordinamento giuridico, una volta indicate le fonti del diritto, individua anche i soggetti cui le norme si indirizzano; il che significa organizzare la propria plurisoggettività (1). Alla base vi è una ragione di ordine pubblico che rende le norme sulla plurisoggettività inderogabili. Per tutti, di conseguenza, vige un sistema concessorio, ivi compresa la persona fisica di cui all‟art. 1 Cod. civ., anche se ora ha solo il valore storico di porre fine agli antichi sistemi fondati sugli status (artt. 1, 11, 12, 13, 2247 Cod. civ.)(2). In proposito, va chiarito che per la rilevanza giuridica degli enti di fatto è sufficiente un‟organizzazione apprezzabile ed un fine lecito; il che ha reso possibile separare la soggettività dalla personalità giuridica. 1 Tradizionalmente, vengono considerati soggetti dell‟attività giuridica le persone fisiche, le persone giuridiche, gli enti di fatto. L‟area della persona fisica si è arricchita negli ultimi decenni di nuovi protagonisti, ossia il concepito e l‟embrione, che reclamano un proprio statuto e una tutela differenziata. Invece, la discussione intorno alle persone giuridiche private ha riguardato: a) la correttezza dell‟insegnamento tradizionale, laddove identifica i soggetti dell‟attività giuridica nelle categorie sopra indicate, sia nel senso che le associazioni e le fondazioni, così come disciplinate nel codice non esauriscono le possibili formule organizzatorie che l‟autonomia privata può generare (la c.d. atipicità delle associazioni e delle fondazioni e, a proposito di quest‟ultima, la distinzione tra fondazione d‟impresa e impresa di fondazione), sia nel senso che l‟ordinamento giuridico è costruito intorno alla persona fisica. Sicché a figure soggettive diverse da esso non dovrebbe essere riconosciuta autonomia ontologica, costituendo essi meri strumenti al suo servizio e nella sua disponibilità; b) l‟ esclusione delle persone giuridiche dai destinatari delle norme, atteso che essa, in concreto, non è altro che un insieme di rapporti intercorrenti tra le persone fisiche, che operano al suo interno o con i soggetti terzi, laddove instaurano relazioni con l‟ente esponenziale (il c.d. squarciamento del velo della personalità giuridica); c) la rilevanza giuridica dell‟organizzazione in sé, e più in generale l‟esistenza di un negozio che trovasse la sua causa giustificativa nella sola creazione di una struttura organizzata (3). Emblematico di questa concezione sono proprio gli studi sull‟impresa, incentrati essenzialmente se non esclusivamente sul profilo funzionale, ossia sull‟attività diretta alla produzione di beni e servizi in vista del conseguimento dell‟utile, trascurandosi invece l‟aspetto organizzativo. La prospettiva sembra cambiata e ci si interroga invece proprio sull‟essenza dell‟organizzazione e in cosa consista. Non a caso la dottrina considera coessenziale alla nozione di impresa l‟organizzazione appunto, che viene disancorata dall‟articolo 2247 cod. civ., soprattutto dopo la riforma del 2003, chiarendo che “il diritto delle società si avvia ad essere il diritto dell‟impresa organizzata e che risulta importante porre l‟accento non più sul fatto che genera l‟organizzazione bensì sull‟organizzazione che produce l‟attività di impresa”; in tal modo “società è oggi l‟organizzazione alla quale uno o più soggetti conferiscono beni o servizi per l‟esercizio di un‟attività economica imputabile all‟organizzazione stessa allo scopo di conseguirne un vantaggio patrimoniale” (DI SABATO, ma anche FERRO LUZZI).(4) Peraltro il titolo V della Costituzione e la successiva legge attuativa sembrano muovere proprio da questa sistemazione. 2 Tuttavia, il punto di non ritorno raggiunto dalla dottrina civilistica riguarda la definitiva separazione tra personalità giuridica e soggettività. Una dottrina molto autorevole (5), rivisitando in un saggio recente le categorie del diritto civile, a proposito della soggettività, ha dimostrato come alla vecchia idea del soggetto come punto di riferimento degli effetti e del collegamento ad esso delle situazioni giuridiche soggettive, intese come il sistema delle forme di tutela riconosciute al soggetto per garantire la soddisfazione degli interessi, sia subentrata, nella cornice di un nuovo realismo giuridico nell‟ottica della globalizzazione, una vera e propria crisi della soggettività e la fioritura bilanciante della stagione dei diritti, sottratti ad ogni disponibilità da parte del Legislatore ( anche quello costituzionale), in cui all‟individuo, singolo o associato, non possono essere negate determinate tutele, ritenute come imprescindibilmente legate al suo modo d‟essere nel presente storico. Sicché il problema si sposta sul versante delle tutele e dei modi per conseguirne l‟attuazione in sede giudiziale. Pertanto la teoria delle situazioni giuridiche soggettive si svincola dalla preventiva individuazione dei singoli schemi classificatori e le categorie qualificanti si riducono quindi alla loro storia (6). Per quel civilista, si è venuto progressivamente sfaldando il rigido confine tra pubblico e privato, tra interesse generale e interessi particolari. Il privato comunica al pubblico strumenti e forme di azione (contratto, impresa, società, associazione, fondazione). Pertanto, se si privilegia la categoria come criterio indirizzante dell‟operazione ricostruttiva, sorge il problema di come il carattere privato dello strumento possa adeguarsi, e con quali adattamenti, all‟interesse generale senza che sia snaturato né il fine né il mezzo. Se invece si riconosce che la categoria è solo il punto di arrivo, allora si tratta di ripensare ciascuno di quegli strumenti in funzione di una realtà del tutto nuova. All‟inizio del nuovo millennio, mentre l‟idea della soggettività in chiave giuridica sembra perdere ogni pretesa alla previa individuazione di una fattispecie qualificante per stemperarsi nella molteplicità di situazioni valutabili solo a posteriori in funzione di comportamenti attuati e di effetti conseguiti, talune imprescindibili qualità di soggetto assumono invece un ruolo di preventiva individuazione di un ambito invalicabile di tutela. Nel momento in cui l‟art. 6 del Trattato dell‟unione europea, riconosce che “i diritti fondamentali fanno parte del diritto Europeo in quanto principi fondamentali”, il problema della soggettività giuridica si apre a prospettive del tutto nuove, sia perché nel principio è implicito il senso di incompletezza sia perché i principi, nel momento in cui entrano a far parte del diritto positivo, non perdono il loro originario tratto e assumono per dirla con la Cassazione, il “contenuto assiologico di metavalore” (7). 3 Per rientrare nella linea del discorso iniziato, il codice civile, pur avendo distinto le persone giuridiche pubbliche da quelle private, non ne ha indicato i criteri distintivi. Mentre i civilisti non hanno approfondito l‟argomento delle differenze tra le due entità (8), gli studiosi di diritto amministrativo, sia pure solo dopo i noti studi di Giannini intorno alla teoria dell‟organizzazione (fino ad allora ritenuta quasi irrilevante), hanno colto la particolarità degli enti cui veniva attribuita la personalità giuridica pubblica, oltre che nell‟attrazione all‟area dei controlli pubblici, nel semplice fatto di essere titolari potenziali di potestà pubblica. L‟attribuzione, sia della personalità sia dell‟interesse primario da curare, può essere fatta solo dalla legge (sembrano fare eccezione lo Stato e gli altri enti elencati nell‟articolo 11 Cod. civ., per i quali la personalità pubblica si è formata sul piano storico); e ciò anche quando il soggetto pubblico può creare strutture strumentali private mediante provvedimento amministrativo, essendovi anche in tal caso la preventiva autorizzazione della legge o comunque potendo rientrare questo nel normale esercizio dell‟autonomia negoziale. Soprattutto a seguito di quanto statuito dall‟articolo 1 della legge generale sul procedimento amministrativo, si può affermare che le persone giuridiche pubbliche, oltre alla naturale posizione di autonomia negoziale, godono nell‟ordinamento della posizione soggettiva di potestà pubblica. Sicché, possono curare l‟interesse loro affidato utilizzando sia lo strumentario del diritto civile sia quello del diritto pubblico, ed in particolare possono avvalersi del provvedimento amministrativo e del potere autarchico, che lo sottende. 3. Per quei civilisti più attenti al diritto pubblico dell‟economia si è posto il problema di ripensare la nozione sostanziale di impresa, sia che essa venga concepita come soggetto (o come attività) sia che venga concepita come fattispecie, ossia come “un dato della realtà normativamente limitato, che è presupposto e limite della produzione di determinati effetti voluti dalla legge” (9), che dà rilievo al momento squisitamente giuridico e formale del concetto. Va da sé che non ha più senso ripensare il concetto di impresa nel diritto interno, prescindendo dalla nozione che i giudici comunitari utilizzano nelle loro sentenze in materia di concorrenza. L‟assenza di un dato normativo comunitario di impresa o di imprenditore, analogo a quello di cui all‟articolo 2082 del codice civile -se si eccettua l‟articolo 86 del Trattato CE , laddove peraltro si limita a stabilire che le imprese pubbliche, e anche se non pubbliche, ma aventi missione di gestione di interessi generali, sono comunque obbligate al rispetto della concorrenza- , porta ad escludere l‟utilizzo della nozione di 4 impresa come fattispecie e finisce con il riproporre quello di impresa come soggetto o come attività. Anche se vi sono opinioni divergenti, nella giurisprudenza comunitaria sembra prevalere la concezione dell‟impresa come attività economica, peraltro definita in maniera evanescente, laddove, in negativo, si intende quell‟attività non rientrante nelle funzioni ascrivibili a prerogative dello Stato e, in positivo, quella volta ad offrire beni e servizi nel mercato. Proprio a tale evanescenza credo vada ricondotta la decisione di collocare nel mercato l‟intermediazione tra domanda e offerta di lavoro, tradizionalmente svolta dall‟ufficio pubblico di collocamento. Dalla congerie dei problemi che l‟argomento suscita, e peraltro efficacemente indagati in dottrina, interessa in questa sede, in primo luogo, segnalare che, anche in questo caso, il punto di non ritorno dell‟elaborazione scientifica sembra costituito dal fatto che la qualificazione dell‟impresa comunitaria è sempre e comunque l‟attività svolta, quale che sia la struttura, l‟organizzazione e la natura del soggetto che la compie. Inoltre come è stato efficacemente segnalato (10), il ricorrente richiamo dei giudici comunitari alla nozione di professionista, consente di svincolarsi dalle implicazioni legate al profilo di carattere organizzativo e alla forza condizionante dell‟istituto dell‟impresa che caratterizza l‟esperienza giuridica degli stati membri. In secondo luogo e in apparente contraddizione, proprio le vicende legate all‟elaborazione dell‟istituto dell‟”organismo pubblico”, nel caso vi sia l‟influenza dominante del pubblico e quindi la pubblicità dell‟impresa “ha valore in quanto tale”, consentono di ritenere che continui a sopravvivere il valore concettuale e ordinante della distinzione tra imprese private e imprese pubbliche. Solo che la nozione di impresa va arricchita dalla imprescindibile circostanza che essa è sempre legata alla valutazione del contesto economico concreto nel quale l‟attività viene svolta, ossia il mercato con le sue regole. Nel momento in cui tutta l‟attività economica pubblica deve soggiacere al principio di concorrenza al pari di quella privata, gli unici settori per i quali nel caso concreto è possibile rinvenire un‟eccezione alla regola riguardano i servizi economici di interesse generale, ossia i servizi pubblici, che hanno subito un significativo mutamento di forma, laddove la gestione viene attribuita a imprese miste o private, guidate verso gli obiettivi di interesse generale tramite un doppio canale di regolazione, ossia quello attribuito all‟autorità indipendente preposta al settore di riferimento e a quello affidato al classico strumento della concessione, definito significativamente “contratto” nel codice dell‟evidenza pubblica. La sottoposizione agli stessi principi, sia dell‟attività economica pubblica e sia di quella privata, ha finito con il sovvertire la disciplina della 5 Costituzione economica, atteso che essa mantiene distinti i due ambiti (artt. 41 e 43), come già ricordato. L‟applicazione dei principi concorrenziali al settore dell‟economia pubblica ha delle ricadute anche dal punto di vista concettuale, atteso che, essendo stato il sistema pensato con riferimento ad operatori privati, l‟imposizione dell‟osservanza dei principi e delle norme comunitarie, sia per operare nel mercato che per il mercato, si risolve nel prevenire ogni forma “degenerativa dell‟autonomia privata e dell‟iniziativa economica”, anch‟esse però protette dalla nostra Costituzione (11). La rapida rassegna dei punti più qualificanti del tema, che meriterebbero ciascuno ben altri approfondimenti, consente di ritenere che la regolazione del mercato e l‟indifferenza delle forme giuridiche soggettive comportano la concentrazione delle tutele possibili, più che sull‟impresa, sul contratto. Esso va confezionato, alla luce della normativa interna di recepimento, con l‟inserimento di norme inderogabili, se non a vantaggio delle categorie protette (consumatori). Da qui l‟utilizzo costante degli istituti della nullità parziale e il meccanismo della sostituzione automatica di clausole (artt. 1419 comma 2, e 1339 Cod. civ.). 4. Il quadro delineato consente ora di stabilire non solo quale sia la portata del principio della neutralità delle forme giuridiche, ma se esistano i presupposti per affermarne la sua stessa esistenza, almeno nell‟ordinamento interno. Già da tempo la dottrina civilistica, nonostante le norme del codice in materia di società impongano ai privati l‟adozione di uno dei tipi ivi disciplinati, ha dovuto riconoscere che “la materia è sempre più largamente dominata dal divario tra le forme giuridiche e i contenuti economici, sino al punto che il sistema ne risulta radicalmente alterato. La facilità con cui gli operatori economici possono passare da un tipo all‟altro, con la sola preclusione posta per l‟uso della società semplice, che non può servire all‟esercizio di attività commerciali, ha fatto sì che oggi essa superi persino i confini della generale categoria delle società. Cosi che accade di vedere costituite in forma di società organizzazioni che non hanno scopo di profitto e viceversa associazioni, nel senso stretto del termine, impegnate nello svolgimento di attività economiche a scopo di lucro. Lo sviluppo degli istituti e l‟impostazione stessa del regime legale delle società hanno portato ad una libertà sconfinata e insindacabile dei privati nella scelta e, quindi in definitiva, alla “neutralità delle forme”; e quel che è peggio sembra che il sistema normativo abbia preso atto del fenomeno e ne riconosca indirettamente la piena legittimità‟” (12). Tuttavia, pur a voler ammettere la presenza di un principio generale di tal genere -e non piuttosto l‟effetto di una legislazione derogatoria al sistema del codice civile da parte del Legislatore, per quanto 6 riguarda l‟esercizio dell‟impresa pubblica e la forza espansiva dell‟esercizio dell‟autonomia negoziale dei privati, per quanto riguarda l‟impresa privata- credo esso serva semplicemente ad indicare l‟impossibilità nell‟attuale sistema di collegare al soggetto la “previa individuazione di una fattispecie qualificante” e quindi la necessità di valutare la molteplicità di situazioni, in cui il soggetto stesso ha stemperato la propria unità, “valutabili solo a posteriori in funzione di comportamenti attuati e di effetti conseguiti”, come prima si ricordava. L‟impostazione porta ad esaltare la funzione creativa della giurisprudenza, che deve spingersi sino alla valutazione della fattispecie specifica con il disorientamento proprio di chi ha perduto lo strumento rassicurante della qualificazione aprioristica derivante dalla natura del soggetto della cui attività si discute. E questo vale anche per i soggetti pubblici, e in special modo per quei soggetti che svolgono attività economica, anche quando il Legislatore ha ritenuto, paradossalmente, di attribuire loro la personalità di diritto pubblico, che finisce con l‟essere una formula priva di significato nella concretezza del rapporto giuridico controverso (esemplare è la vicenda relativa all‟istituzione della Age Control S.p.A.), fermo restando che la personalità giuridica può essere attribuita ad ogni figura soggettiva. Anche perché, come ha dimostrato la parabola dell‟ente pubblico, un Ente definito normativamente come pubblico mancava di tratti unitari, essendosi la primitiva figura frantumata in più moduli strutturali e funzionali. Per cui, pur essendo la formula indicativa di una presenza pubblica in una data materia, sul piano giuridico non si è mai riscontrata la presenza di una funzione in senso tecnico quanto piuttosto di un risultato, che peraltro si poteva ottenere anche con un Ente privato, come ad esempio una società a partecipazione pubblica maggioritaria (13). In altri termini, la giurisprudenza non può più permettersi l‟atteggiamento assunto al primo apparire dell‟ente pubblico svolgente attività di impresa, ossia limitarsi a prendere atto della qualificazione pubblica operata dalla legge e trarne le relative conseguenze. Così come la dottrina non può più rimanere sconcertata, come accadde allora, a fronte del fenomeno della creazione, da parte dello Stato e degli altri enti territoriali, di organi-impresa o con l‟attribuzione della qualifica di persona giuridica pubblica ad enti che avevano per fini istituzionali un‟attività imprenditoriale e, poi via via, con la creazione o con la partecipazione azionaria in società operanti nel mercato. 5. In realtà nessuno più dubita, in linea di principio, della compatibilità dell‟utilizzo dell‟azionariato pubblico per il raggiungimento di finalità di carattere generale né della legittima possibilità da parte del Legislatore di fare un uso disinvolto del “tipo” società per azione per 7 raggiungere finalità tra le più svariate, anche se pure tale profilo si è prestato, ed ancora si presta, a sospetti d‟incostituzionalità. Tuttavia, non va dimenticato che sin dal primo apparire del fenomeno, che è creazione della prima metà del secolo scorso ed è legata alla grande crisi degli anni 30, gli autori hanno continuamente discusso il problema della redditività (o economicità, che per alcuni ha un significato diverso) della gestione delle imprese pubbliche, ossia se esse debbano essere gestiti secondo i criteri propri dell‟impresa privata (massimizzazione del reddito), oppure possano sovrapporsi a questo altri criteri sociali politici o anche solo di politica economica a lungo termine; che però per i civilisti degradano a semplici “motivi”, non capaci di stravolgerne la causa tipica. Come avvertiva Giannini, “probabilmente il problema non è esattamente posto: certamente non è problema generale, ma differenziato per specie di impresa e dominato anche da norme di diritto positivo; se, per esempio, si può ritenere che il criterio dell‟economicità vale per le imprese a partecipazione statale, non altrettanto può dirsi delle imprese a partecipazione non statale, o per le imprese organo o per le imprese ente, almeno nel nostro diritto positivo”. Per tornare al tema, è noto come parte della dottrina amministrativa, ma anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato, si siano richiamati proprio al principio della neutralità delle forme giuridiche soggettive per giustificare la compatibilità della struttura societaria, e quindi della finalità lucrativa ad essa connaturata, con la finalità pubblicistica, che da quella finalità può prescindere, utilizzando l‟istituto della causa astratta e della causa concreta a proposito del contratto societario, ma anche del contratto concluso dal soggetto con i terzi. È utile premettere come la c.d. “depicizzazione” dell‟ente pubblico, unitamente ai fenomeni della privatizzazione e dell‟esternalizzazione dei servizi pubblici, ha indotto il Legislatore ad intervenire su singole società a partecipazione pubblica in maniera caotica e disordinata, determinando non solo la nascita di società di diritto speciale, ma addirittura ha fatto emergere delle vere e proprie società di diritto singolare. Certamente va escluso che esista una categoria unitaria delle società a partecipazione pubblica, riscontrandosi invece “decine di „tipi‟ di società (o di singole società), disciplinati da norme e da principi differenti, il cui unico denominatore comune finisce per essere la presenza di un Ente pubblico (primario o derivato) nel capitale sociale. Così il diritto delle società pubbliche diviene, anziché il terreno del diritto comune, il campo dei diritti speciali e dei diritti singolari” (14). Come già avvenne in passato, il punto nodale riguarda la possibilità, sotto il profilo funzionale, di far convivere nella società 8 pubblica l‟attività di impresa e l‟attività pubblica, ossia “il diritto privato e il diritto amministrativo” (15). Gli esercizi dottrinari intorno all‟istituto hanno generato teorie e classificazioni tra le più disparate. Tuttavia, si possono individuare due posizioni fondamentali: il primo, in base al quale la necessità di garantire gli interessi pubblici ha determinato il superamento dello scopo lucrativo nelle società commerciali, diventate quindi uno strumento neutro utilizzabile per finalità diverse; il secondo, in base al quale la scelta dell‟amministrazione di avvalersi della società commerciale comporta anche quella di sottoporsi al regime societario privatistico, e quindi la necessità di perseguire il fine di lucro, indispensabile per tutelare i soci privati, che non possono vedersi sacrificata la remuneratività del loro investimento. Nel primo filone si inserisce la giurisprudenza del Consiglio di Stato (16), ove appunto si afferma quanto già ricordato, ossia che l‟interesse pubblico perseguito dalle società pubbliche sarebbe compatibile con lo scopo lucrativo, dovendosi ritenere, soprattutto dopo la riforma del diritto societario del 2003, che l‟interesse sociale non abbia una connotazione omogenea unitaria, in quanto confluiscono nell‟assetto non solo interessi eterogenei che fanno capo agli stessi soci, ma anche interessi diversi, riferibili a soggetti terzi. La conclusione è che l‟interesse pubblico non ha la forza di alterare il tipo societario e quindi si ha semplicemente la configurazione di una società diversa da quella contemplata dal codice civile. A favore di questa impostazione può giovare il richiamo a quanto accaduto per “l‟impresa sociale”, di cui al D.L.vo 24 marzo 2006 n. 155, dove lo scopo ideale viene riconosciuto indifferentemente sia alle associazioni e alle fondazioni sia alle società commerciali. Dall‟impianto di quella normativa si ricava che non vi è più un rapporto di mera strumentalità dell‟impresa rispetto allo scopo ideale perseguito dall‟ente, ma è lo stesso Ente societario “a realizzare finalità di interesse generale”. Tuttavia, gli argomenti addotti dai fautori del secondo filone interpretativo sono robusti e si muovono secondo la più collaudata tradizione commercialistica. In sintesi, per tali autori (17), la società di capitali del codice civile non può essere considerata neutra nemmeno rispetto ai fini perseguiti da coloro che la costituiscono, essendo rigidamente caratterizzata dal fatto che il fine deve essere lucrativo, ossia naturalmente predisposta all‟acquisizione e alla ripartizione dell‟utile tra i partecipanti. Sicché viene in rilievo la democrazia degli azionisti e dunque il potere di decisione della maggioranza, proporzionato al rischio, ivi compreso il potere di controllo e di autotutela della minoranza, che non può mai essere privato del rispetto dell‟interesse lucrativo comune. 9 È interessante notare come per questi autori non si escluda affatto la possibilità che le strutture amministrative possano servirsi, anzi debbano farlo quando la cura ottimale dell‟interesse pubblico lo richieda, degli strumenti del diritto privato, ma non possono chiedere più di quanto esso può dare e soprattutto debbono accettare tutto ciò che gli è essenziale. Questo vale non solamente nei casi in cui siano le strutture pubbliche ad avvalersene esercitando l‟autonomia negoziale o la potestà pubblica, ma vale anche per il Legislatore, in quanto l‟uso normativamente distorto degli istituti modifica sia il diritto pubblico sia il diritto privato, attenuando garanzie fondamentali che pongono problemi di legittimità costituzionale. In proposito, è stata scomodata (18) addirittura la relazione al Codice civile del 1942, laddove si legge: “in questi casi è lo Stato medesimo che si assoggetta alla legge della società per azioni per assicurare alla propria gestione maggiore snellezza di forme e nuove possibilità realizzatrici. La disciplina comune della società per azioni deve pertanto applicarsi anche alla società con partecipazione dello Stato e gli enti pubblici senza eccezioni, in quanto norme speciali non dispongano diversamente”. In effetti, proprio il fatto che il soggetto pubblico sia dotato delle due posizioni naturali dell‟ordinamento, ossia di autonomia negoziale e di potestà pubblica, quando nel procedimento sceglie di esercitare l‟una o l‟altra, deve sottoporsi alle regole di ciascuna di esse, senza stravolgimenti e sovrapposizioni, così come accade nella vicenda relativa agli accordi sostitutivi, di cui all‟articolo 11 della legge n. 241 del 1990. Recentemente, una dottrina (19) ha svolto una puntuale analisi della normativa codicistica da cui si desumerebbe l‟impossibilità giuridica di eliminare dalla fattispecie in esame la destinazione lucrativa, facendosi riferimento alla causa lucrativa del contratto societario (art. 2247 Cod. civ.); alla norma di cui all‟art. 2497 Cod. civ., laddove prevede una specifica ipotesi di responsabilità a tutela dei soci e dei creditori sociali a carico degli enti e delle società, senza distinzioni; all‟art. 23 della Costituzione, in base al quale non si può gestire la società, anche quando essa persegua interessi pubblici, con nocumento degli interessi patrimoniali dei soci privati, in quanto si risolverebbe in una violazione della riserva di legge, in base alla quale „nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge‟. Altro argomento utilizzato sia favore che contro il necessario fine lucrativo della società pubblica è stato quello della nullità, laddove, non essendo annoverata la mancanza di lucro nell‟elenco tassativo dell‟art. 2332 Cod. civ., si porrebbe solamente un problema di illiceità dell‟oggetto sociale, che certamente non ricorre quando la società venga piegata al raggiungimento di un fine di pubblico interesse. 10 In questo caso, per la dottrina civilistica, vi sarebbe comunque responsabilità dei danni eventualmente cagionati dagli amministratori, anche se pubblici, per i danni cagionati agli interessi strettamente economici della società, ai sensi dell‟art. 2391 Cod. civ. In questa direzione sembra muoversi anche la Corte di cassazione (20), laddove, dopo aver ricordato che la giurisprudenza di legittimità ha tradizionalmente ribadito che lo scopo di lucro soggettivo è essenziale al contratto di società, non essendo sufficiente il mero esercizio in forma collettiva di un‟attività economica produttiva, ha statuito che il legame esistente della disciplina codicistica tra forma della società e il suo contenuto non può essere vanificato dal semplice fatto che esista una linea di tendenza della legislazione in questo senso, poiché ciò può valere solamente per i casi espressamente previsti da norme di legge. Altrimenti si vanificherebbe il valore della pubblicità legale in materia, prevista per la tutela delle aspettative di terzi che entrano in contatto con la società, che si vedrebbero esposti al rischio di contrattare con una società che persegue fini essenzialmente diversi da quelli desumibili dalla sua natura giuridica, così come definita dalla legge. La stessa esigenza si pone per coloro che acquistano partecipazioni sociali, che non possono che fare affidamento nella natura giuridica dichiarata nella stessa denominazione sociale. Sempre a proposito della nullità si è sostenuto (21) che il difetto della clausola lucrativa non pone mai un problema di validità del contratto ma solo di qualificazione, per cui, ove si dimostrasse che una società sia stata costituita per un fine lecito ma estraneo al profitto, questa andrebbe riqualificata come associazione o fondazione. Come si vede, ritorna il problema della neutralità delle forme giuridiche e della forza qualificante del soggetto nella fattispecie. Infatti, il problema è che colui che entra in contatto con una società a partecipazioni pubblica deve conoscere in anticipo la natura della compagine e sapere, sempre in anticipo, se sta conferendo quote associative oppure se sta acquistando azioni al fine di partecipare ai dividendi o di lucrare sulla differenza tra il valore iniziale e quello finale nel caso della cessione delle azioni stesse. A meno che non si arrivi a stabilire che la società pubblica, non disciplinata da una legge speciale o singolare, è una fattispecie completamente diversa dai soggetti conosciuti. Ma allora bisogna stabilire cosa essa sia e che natura giuridica abbia, alla luce del diritto positivo. In ogni caso, una pur minima forza qualificante del soggetto non può essere negata, almeno quando la situazione giuridica protetta sia un legittimo affidamento. 6. Nel tentativo di uscire dalla intricata trama delle argomentazioni svolte intorno all‟istituto, di cui qui si è fornito uno spaccato molto parziale, può essere utile una breve disamina della legislazione di 11 economia pubblica, che è stata particolarmente abbondante negli anni recenti, al fine di aggredire la grave crisi che sta vivendo il nostro Paese. In proposito, è il caso di osservare che la prospettiva per fronteggiare la crisi attuale rispetto a quella degli anni 30, che diede vita al fenomeno che ci occupa, da parte delle strutture pubbliche che debbono attuare le scelte legislative di macroeconomia, è del tutto diversa da quella di allora. Infatti, non si tratta di salvare le imprese marginali come allora, ma piuttosto quella di abbandonarle al mercato, per effetto della c.d. privatizzazione, e di potenziare invece quelle produttive, quale che sia la loro natura giuridica. Dalla rassegna vanno escluse le società legali, speciali e di diritto singolare, vuoi perché essi fuoriescono dalla prospettiva proposta vuoi perché vanno oltre le forze di chi scrive (22). Va solo segnalato che la gran parte degli interventi normativi ha riguardato il regime giuridico di singole società e che, all‟inizio della c.d. privatizzazione degli anni 90, la politica legislativa di fondo era quella di realizzare il definitivo passaggio dall‟ente pubblico economico, in cui si ravvisavano inaccettabili privilegi, alla piena riaffermazione del diritto paritario disegnato dal codice civile, l‟unico strumento capace di rendere effettiva la parità con gli altri operatori del mercato, secondo i principi europei. Si diceva di come la concezione per cui possano concentrarsi in un medesimo soggetto forma privata e sostanza pubblica, che è alla base della formula “ente pubblico in forma societaria”e che ha trovato costante riscontro nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, ha fortemente condizionato il Legislatore. Il tentativo di rinvenire “norme di sistema” conduce direttamente ai limiti fissati dall‟articolo 13 del c.d. decreto Bersani, laddove precludono alle società a capitale pubblico o misto partecipate da enti locali e regionali (cosiddette strumentali, ossia costituite partecipate per la produzione di mezzi e servizi funzionali all‟attività degli enti predetti per lo svolgimento in esterno di funzioni amministrative), che non siano affidatari di servizi pubblici locali o di servizi di committenza, di svolgere, in affidamento diretto o con gara, prestazioni a favore di soggetti terzi, diversi da quelli controllati, nonché di partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale. A parte le perplessità corali della dottrina circa il fatto che dalla norma siano state escluse le società partecipate direttamente dallo Stato (la sentenza della Corte costituzionale n. 326 del 2008 non ha affrontato le questioni, essendo stato il giudizio promosso da alcune regioni) sembra portare, come ha segnalato di recente un‟attenta dottrina (23), alla seguente conclusione: “o la società pubblica (locale o regionale) è strumentale, allora sarà giocoforza affidataria di servizi o di attività di produzione di beni e servizi per l‟ente stesso, con 12 conseguente impossibilità per la stessa società di operare nel libero mercato con soggetti diversi; oppure la società non è strumentale e allora l‟ente pubblico (locale o regionale ) non può esserne socio”. Come si vede, le strutture pubbliche locali, se non fosse per la presenza delle grandi aziende energetiche nazionali che vi possono operare proprio attraverso la tanto vituperata legislazione speciale, sono la conferma dell‟esclusione dei soggetti pubblici dal mercato generale e possono operare in limiti molto angusti. La regolamentazione in esame, soprattutto se si pensa che nel settore vi è l‟ossessiva imposizione del procedimento dell‟evidenza pubblica superiore addirittura a quanto accade per le amministrazioni tradizionali, impedisce di individuare una categoria giuridica provvista di una causa tipica, automaticamente applicabile. Le strutture pubbliche locali sfuggono sia alla categoria delle società commerciali di diritto privato sia a quella degli enti pubblici e le formule proposte, come quella di “semi-amministrazione” o di “enti pubblici in forma di società”, rimangono meramente descrittive, fino a che non si individui il contenuto e la funzione unitaria dello strumento, contrattuale e provvedimentale, con il quale si crea la struttura medesima (25). Ciò è tanto più necessario quanto più si consideri che l‟anfibologia delle formule indicate si inserisce nell‟elaborazione scientifica attuale, sulla quale si è indugiato all‟inizio, dove le categorie soggettive sono solo il punto di arrivo nella qualificazione della fattispecie. Altra norma di sistema, individuata dalla dottrina civilistica (26), e che avrebbe la funzione di orientare l‟interprete nell‟ipotesi in cui il Legislatore deroghi al sistema codistico, e sul quale relazione al codice (citata) non fornisce indicazioni, è stata individuata nell‟art. 4, comma 13, secondo periodo, del decreto legge n. 95 del 2012 (ma già nello stesso senso l‟art. 6 comma 11 decreto legge n. 78 del 2010 sulla spending review), che è inserita in un testo legislativo di interpretazione autentica e che una circolare regionale ha definito espressamente norma di chiusura del sistema. Essa stabilisce: “Le disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica, si interpreta nel senso che, ove non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applicano comunque la disciplina del codice civile in materia di società di capitali”. Un‟attenta dottrina, già richiamata (27), ha utilizzato la norma, anche per contrastare l‟orientamento giurisprudenziale amministrativo, per sostenere che una cosa è l‟oggetto sociale (l‟attività) altra è la causa (indefettibilmente lucrativa ai sensi dell‟art. 2247 Cod. civ.); e che il primo 13 non può obliterare la seconda, in assenza di una specifica norma che espressamente lo stabilisca. Non poteva mancare nell‟indagine della dottrina il riferimento al comma aggiunto dell‟articolo 97 della Costituzione, laddove, statuendo che “le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l‟ordinamento della Comunità Europea, assicurano l‟equilibrio del bilancio e la sostenibilità del debito pubblico della Repubblica”, ha introdotto una sorta di super principio di economicità dell‟azione amministrativa, che va oltre quanto già stabilito dall‟articolo 1 della legge n. 241 del 1990, dato che nelle letture più accreditate costituiva soltanto uno dei criteri cui si doveva uniformare l‟azione amministrativa. Tale lettura viene condivisa anche dal giudice contabile, laddove ritiene che il principio di pareggio di bilancio non può non valere per le imprese a partecipazione pubblica, che costituiscono il principale strumento di possibile sperpero di denaro pubblico. Peraltro, l‟autorevole consesso non ha mai mancato di segnalare come l‟archetipo che deve guidare il controllo contabile moderno in materia rimane quello delle società disciplinate dal Codice civile (28). 7. Da ultimo, va ricordato il sostanziale fallimento dell‟istituto dell‟”organismo di diritto pubblico”, nella sua aspirazione a diventare l‟archetipo della soggettività nella costellazione societaria pubblica, e del suo collegamento con le società “in house”. Si tralascia ovviamente tutta la normativa, definita di “moralizzazione”, sui criteri delle nomine negli enti pubblici economici e delle recenti norme anticorruzione in materia di appalti pubblici -ivi compreso l‟articolo 24 bis introdotto dalla legge di conversione (11 agosto 2014 n. 114) del D.L. 24 giugno 2014 n. 90, laddove, estendendo gli obblighi di pubblicità e trasparenza a tutte le società partecipate e in particolare le società in house, conferma l‟inesorabile tendenza del Legislatore ad equiparare le società pubbliche alla pubblica amministrazione sotto tutti i punti di vista- che pure cospirerebbero per individuare nella causa lucrativa l‟elemento indefettibile di tutte le strutture societarie pubbliche. È nota la posizione di una raffinata dottrina (29), che, nell‟intento di non rassegnarsi all‟idea di una soggettività pubblica “a geometria variabile” (30), causata proprio dal principio della neutralità delle forme giuridiche soggettive, ha sostenuto che l‟organismo di diritto pubblico non rileva ai soli fini dell‟applicazione delle norme in materia di appalti, ma avrebbe una validità generale nell‟ambito dell‟ordinamento europeo; e che se è tale in quell‟ordinamento lo è anche nel diritto interno (semel administratio, semper administratio). 14 Ad essa è stato contrapposto sia che il quadro delle nozioni comunitarie di pubblica amministrazione è articolato in diversi livelli e diversificato in ragione delle materie, unitamente all‟ampio utilizzo di strumenti di diritto comune e all‟assenza di un giudice amministrativo che possa elaborare un concetto unitario, sia che nel diritto domestico l‟organismo di diritto pubblico è una qualifica che si riferisce ad un soggetto già munito di personalità giuridica; il che vuol dire che la qualifica, privatistica o pubblicistica, viene apposta contestualmente alla genesi della personalità giuridica. Questo impedisce la sovrapposizione o, forse meglio, l‟identificazione delle due figure. Pertanto sembra che la figura sia destinata ad operare solo in rapporto al diritto europeo e per l‟applicazione di discipline specifiche (31). Infine, sempre in base al punto di osservazione prescelto, nessun elemento decisivo può venire, ai fini dell‟individuazione dell‟“ubi consistam” dell‟ente pubblico in forma societaria, dalla figura dell‟”in hause providing”, poiché anche per esso vale quanto si osservava a proposito dell‟organismo di diritto pubblico. Infatti, nell‟elencazione, di cui all‟art. 113 del testo unico n. 267 del 2000, dei soggetti cui può essere affidata la titolarità e l‟erogazione del servizio pubblico, vengono in rilievo solo quelli ben conosciuti dal nostro ordinamento, quali le società a capitale pubblico o misto. Inoltre, per quanto riguarda l‟individuazione del requisito del “controllo analogo” - laddove i giudici comunitari e il Consiglio di Stato hanno escluso, in note sentenze, che tale indispensabile requisito, al fine di attrarre il soggetto nelle strutture amministrative, non ricorre quando esso si risolve nell‟esercizio da parte del soggetto controllante degli stessi poteri spettanti al socio maggioritario delle società privatistiche - ha finito con il far riemergere la dicotomia pubblico - privato e la forza della causa di lucro derivante dalla disciplina codicistica delle società. A tal proposito, credo che la crisi della soggettività si sia spinta molto in avanti quando la Cassazione si è pronunciata sul fenomeno dell‟in hause providing (32), laddove, nell‟intento di giustificare la giurisdizione contabile, ipotizza una società di capitali in hause come patrimonio autonomo acefalo, che diventa un‟articolazione interna dell‟ente pubblico di una società di capitali intesa come persona giuridica autonoma cui corrisponde un autonomo centro decisionale e di cui è possibile individuare un interesse suo proprio. Il Supremo giudice civile cosi si esprime: “ciò che davvero è difficile conciliare con la configurazione della società di capitali intesa quale persona giuridica autonoma e distinta dai soggetti che in essa agiscono e per il cui tramite essa stessa agisce, e la totale assenza di un potere decisionale suo proprio, in conseguenza del totale assoggettamento dei suoi organi al potere gerarchico dell‟ente pubblico 15 titolare della partecipazione sociale” Sicché, “è giocoforza concludere che anche la distinzione tra il patrimonio dell‟Ente e quello della società si può porre in termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità”. 8. Finalmente le conclusioni. Soprattutto nel momento storico attuale bisogna prestare molta attenzione a quello che va sotto il nome di processo di autopoiesi delle amministrazioni pubbliche. È celebre il saggio di Gunther Teubner, Liquid modernity, che ha evocato la distinzione operata da Cesarini Sforza nell‟ancor più celebre saggio, „Il diritto dei privati‟, laddove distingueva due grandi categorie di ordinamenti giuridici: organizzazioni allo stato fluido e organizzazioni allo stato solido delle amministrazioni (33). Attraverso il processo autopoietico si realizzano due effetti pericolosi per il funzionamento corretto del sistema, così come lo abbiamo conosciuto e studiato: la violazione della riserva di legalità in tema di organizzazioni amministrative, in quanto esso si sviluppa integralmente all‟interno della pubblica amministrazione prescindendo dal potere legislativo; la vanificazione di fatto della distinzione tra ordinamenti privati e pubblici, in quanto l‟inserimento nell‟uno o nell‟altro settore, operato sulla base del flusso di denaro destinato a ciascun Ente da classificare, consente di prescindere dalla genesi dei soggetti, ossia quella del semplice riconoscimento da parte delle amministrazioni del soggetto privatistico e quella della possibilità per gli enti pubblici di costituire enti strumentali, al pari di quanto avviene da parte di privati quando esercitano l‟autonomia negoziale, sempre escludendo gli altri poteri pubblici. Con il meccanismo previsto dall‟art. 1 comma 5 della L. 30 dicembre 2004 n. 311 si affida all‟Istat la definizione, in base all‟unico criterio della quantità di finanziamenti pubblici, dell‟ambito soggettivo cui vanno applicate le tante misure di contenimento della spesa pubblica, snaturando la sua originaria funzione puramente contabile e statistica. La transizione bidirezionale dal pubblico al privato non è dunque l‟effetto di un atto legislativo di privatizzazione o di pubblicizzazione, ma di un semplice provvedimento amministrativo, impugnabile e regolarmente impugnato (31). Questo consente anche di trarre la seconda preoccupata conclusione e riguarda i giudici, che, con il tramonto delle categorie giuridiche soggettive, laddove consentivano di radicare i meccanismi della tutela sulla base della semplice identificazione del soggetto agente, sono ora costretti a spingersi nel concreto della fattispecie, partendo dalla situazione protetta, e poi eventualmente risalire al soggetto medesimo, come più volte ricordato. Le norme non sono più strutturate in forma gerarchica ma eterarchica, e quindi bisogna individuare di volta per volta la disciplina 16 applicabile ai singoli casi mediante ricostruzioni di competenza su base policentrica (il c.d. diritto frammentato). Questo comporta molta più fatica, come sempre accade quando per affrontare il rapporto controverso viene richiesto l‟uso di strumenti appartenenti alle due grandi branche del diritto privato e del diritto amministrativo, che si trasformano nello stesso momento in cui vengono adoperati. Gianpiero Paolo CIRILLO Presidente di sezione del Consiglio di Stato (1) Sul punto vedasi per tutti: M.S. GIANNINI, diritto amministrativo, Milano 1993, vol. II, 661-669; (2) Si vedano, tra i tanti scritti dedicati alla materia, le pagine di P. RESCIGNO, Capacità di diritto privato e discriminazioni dei soggetti, in Persona e comunità, Padova 1999,180 ss., che, partendo da un caso pratico, offre uno spaccato dei vari contributi, suoi e di altri. Dello stesso Autore si veda anche, Capacità giuridica, in Digesto discipline privatistiche, sezione civile, vol. II, Torino, 218; (3) Per una visione d‟insieme della soggettività, privata e pubblica, ivi compresa la tutela del concepito e dell‟embrione, si rinvia a G.P. CIRILLO, Diritto civile pubblico, Roma Direkta 2012, 11-104; (4) F. DI SABATO, Società in generale, Società di persone, in Trattato di diritto civile del consiglio nazionale del notariato, diretto da P. PERLINGIERI, Napoli, 2004, 11-12. Ma già nello stesso senso, P. Ferro Luzzi, I contratti associativi, Milano, 1971,238 ss; (5) N. LIPARI, Le categorie del diritto civile, Milano 2013,50-88; (6) P. RESCIGNO, Manuale di diritto privato, edizione a cura di G.P. CIRILLO, Milano, 2000, 211. In tale contesto, il chiarissimo autore mette in rilievo anche la storicità della distinzione tra diritti ed interessi, destinata ad affievolirsi attraverso l‟estensione della giurisdizione esclusiva. (7) Cass. civ., SS.UU., ord. 29 maggio 2008 n. 14201; (8) Per essi sono enti pubblici tutti quelli che non sono privati, F. GALGANO, Pubblico e privato nella qualificazione della persona giuridica, in Riv. Trim.di diritto pubblico, 1966,279 (9) G. OPPO, L‟impresa come fattispecie, in Riv. Dir. Civ., 1982,109 ss. E Id. Impresa e imprenditore, in Enc. Giur., XVI, 1989, 6; (10) V. RICCIUTO, Diritto dell‟economia, Torino, 2013, 309. Dal bel volume, scritto assieme a E. PICOZZA, sono tratti molti altri spunti contenuti nel testo; (11) Si veda ancora, V. RICCIUTO, op cit., 296 ss.; (12) P. RESCIGNO, Manuale cit., 859 ss.; (13) M.S. GIANNINI, op. cit., 181 ss.; (14) CAMMELLI-DUGATO, Le società degli enti territoriali alla luce dell‟articolo 13 del d. l. n. 223 barra 2006, in Studi in tema di società a partecipazione pubblica, a cura di Cammelli e Dugato, Torino, 2008,347; 17 (15) S. VINTI, La circolarità logica del diritto amministrativo, Torino, 2014,44 ss.; (16) Di recente, si veda: Cons. Stato, Sez. VI, 20 marzo 2002 n. 1574; (17) In proposito si vedano: N. IRTI, Dall‟ente pubblico economico alla società per azioni (profilo storico-giuridico), in Riv. Soc., 1993,I, 445, ora in ID. L‟ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 208,166; G. OPPO, Diritto privato e interessi pubblici, in Riv. Dir. Civ., 1994, 36; Goisis, contributo allo studio delle società in mano pubblica come persone giuridiche, Milano, 2004; (18) N. IRTI, L‟ordine giuridico dei mercati, cit., 164; (19) F. GOISIS, Il problema della natura e lucratività delle società in mano pubblica alla luce dei più recenti sviluppi dell‟ordinamento nazionale ed europeo, in Riv. Econ., 2013, 53 ss. (20) Cass. civ., Sez. I, 12 aprile 2005 n. 7536; (21) SANTINI, Tramonto dello scopo lucrativo nelle società di capitali, in Riv. Dir. Civ., 1973,151; (22) In ogni caso rimane fondamentale lo studio di C. IBBA, Le società “legali”, Torino, 1992; (23) VINTI, op. cit.,90; (24) Ciò è stato dimostrato anche dalla sentenza dell‟Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 17 del 2011, laddove ha escluso anche la possibilità di operare mediante la creazione di una società di terzo grado; (25) La denominazione di “semi-ammistrazioni”, peraltro adoperata anche da M. CLARICH nel Manuale di diritto amministrativo, Bologna 2013, viene dall‟Assonime con il rapporto sui “Principi di riordino del quadro giuridico delle società pubbliche”, Roma, 2008, in www.assonime.it, che, a seconda del tipo di attività esercitata e della quantità dei vincoli che legano la società all‟ente pubblico partecipante, distingue tra società di mercato e semiamministrazioni. Il rapporto, oltre che dall‟autore di sopra citato, è stato esaminato anche da M.P. CHITI, Le carenze della disciplina delle società pubbliche e le linee direttrici per un riordino, in Gior.Dir. Amm., 2009, 1115; (26) GOISIS, op. cit., 23 ss.; (27) GOISIS, op. cit., 59 ss.; (28) Per una piana ricostruzione del controllo sull‟azionariato pubblico da parte della Corte dei Conti, si veda: M. OREFICE, Manuale di contabilità pubblica, Direkta, 698 ss.. Per un‟analisi puntuale delle disposizioni normative in materia, si veda M. FRACANZANI, Le società degli enti pubblici: tra autonomia d‟impresa e responsabilità erariale. Riflessioni per un‟actio finium regundorum su partecipazione al capitale, socio d‟opera, oggetto sociale, limiti soggettivi a contrarre ed a concorrere nelle pubbliche gare, dopo le riforme 2006-2009, in www.giustizia-amministrativa.it; (29) Il riferimento è chiaramente rivolto a F. MERUSI, La natura delle cose come criterio di armonizzazione comunitaria nella disciplina sugli appalti, in Riv. It. Dir. Pub. Com., 1997, 39; ID. La privatizzazione per fondazioni tra pubblico e privato, in Dir. Amm., 2004, 447; ID. L‟integrazione fra la legalità comunitaria della legittimità amministrativa nazionale, in Dir. Am., 2009, 43; e più recentemente: La legalità amministrativa. Altri sentieri interrotti, Bologna, 2012, 52; 18 (30) La fortunata espressione di S. CASSESE, Diritto amministrativo comunitario e diritti amministrativi nazionali, in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da M.P. CHITI e G. GRECO, Milano, 1997, 9; (31) Si rinvia ancora all‟ottimo libro di S. VINTI, La circolarità logica ecc, cit., 124 ss., dove viene fornita una puntuale analisi della teoria e delle critiche ad essa rivolta da vari scrittori successivi; (32) Cass. civ., SS.UU., 25 novembre 2013 n. 26283. Il Supremo giudice civile cosi si esprime: “ciò che davvero è difficile conciliare con la configurazione della società di capitali intesa quale persona giuridica autonoma e distinta dai soggetti che in essa agiscono e per il cui tramite essa stessa agisce, è la totale assenza di un potere decisionale suo proprio, in conseguenza del totale assoggettamento dei suoi organi al potere gerarchico dell‟ente pubblico titolare della partecipazione sociale” Sicché, “è giocoforza concludere che anche la distinzione tra il patrimonio dell ‟ente e quello della società si può porre in termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità”; (33) Per una disamina, piana e convincente, dell‟autoproduzione di società partecipate ad opera esclusiva dell‟amministrazione, si rinvia ancora a Vinti, op. cit., 77-105, dove vi sono anche riferimenti di dottrina e di giurisprudenza; (34) Da ultimo si veda, Cons. di Stato, Sez. V, 28 novembre 2012 n. 6014. *Lo scritto è la relazione, parzialmente riveduta con l’apposizione di un apparato minimo di note, svolta al 60º convegno di studi amministrativi, dal titolo “Diritto amministrativo ed economia: una sinergia per la competitività del paese”, tenuto a Varenna, Villa Monastero, il 18 19, 20 settembre 2014. 19