la società pubblica e la neutralità delle forme giuridiche soggettive

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la società pubblica e la neutralità delle forme giuridiche soggettive
LA SOCIETÀ PUBBLICA E LA NEUTRALITÀ DELLE
FORME GIURIDICHE SOGGETTIVE*.
1. Per chi predilige temi a confine tra il diritto civile e il diritto
amministrativo, e ancor di più per chi ama osservare il processo di
compenetrazione delle due discipline, quello dell‟attuale assetto delle
società pubbliche è un banco di prova formidabile, atteso che attraverso
questo istituto sembrano realizzarsi gli snodi fondamentali dell‟economia
pubblica del nostro Paese, destinata a muoversi nel prisma disegnato
dall‟ordinamento comunitario.
La società pubblica si inserisce in uno scenario vasto e complicato
- e dove lo stesso Legislatore sembra muoversi a caso - costituito dalla
attuale sistemazione della soggettività (pubblica e privata), dalla nozione
(comunitaria e nazionale) di impresa, dagli stessi fondamenti del diritto
pubblico dell‟economia.
Dei tanti possibili modi di affrontare il tema, a proposito del quale
si registrano apporti di dottrina e di giurisprudenza numerosi e
particolarmente qualificati, si è scelto quello che, forse più di altri, può
assumere un ruolo chiarificatorio, ossia quello che pone al centro del
sistema il principio (e la sua tenuta scientifica) della neutralità delle forme
giuridiche soggettive. Esso, sconvolgendo l‟ordine pubblico economico,
sembra celare l‟idea che il Legislatore possa tutto, anche separare la forma
dalla sostanza causale del contratto d‟impresa, consentendo la
somministrazione della personalità giuridica di diritto pubblico a strutture
civilistiche che non sembrano tollerarla o il disfacimento (e il rifacimento)
di formule organizzatorie collaudate, e comunque in linea con la
Costituzione, che vuole distinta l‟impresa pubblica da quella privata.
2. Nei momenti di confusione è indispensabile richiamare il
sistema. Perciò vanno fatte premesse note, ma imprescindibili.
L‟ordinamento giuridico, una volta indicate le fonti del diritto,
individua anche i soggetti cui le norme si indirizzano; il che significa
organizzare la propria plurisoggettività (1). Alla base vi è una ragione di
ordine pubblico che rende le norme sulla plurisoggettività inderogabili. Per
tutti, di conseguenza, vige un sistema concessorio, ivi compresa la persona
fisica di cui all‟art. 1 Cod. civ., anche se ora ha solo il valore storico di
porre fine agli antichi sistemi fondati sugli status (artt. 1, 11, 12, 13, 2247
Cod. civ.)(2).
In proposito, va chiarito che per la rilevanza giuridica degli enti di
fatto è sufficiente un‟organizzazione apprezzabile ed un fine lecito; il che
ha reso possibile separare la soggettività dalla personalità giuridica.
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Tradizionalmente, vengono considerati soggetti dell‟attività
giuridica le persone fisiche, le persone giuridiche, gli enti di fatto.
L‟area della persona fisica si è arricchita negli ultimi decenni di
nuovi protagonisti, ossia il concepito e l‟embrione, che reclamano un
proprio statuto e una tutela differenziata.
Invece, la discussione intorno alle persone giuridiche private ha
riguardato: a) la correttezza dell‟insegnamento tradizionale, laddove
identifica i soggetti dell‟attività giuridica nelle categorie sopra indicate, sia
nel senso che le associazioni e le fondazioni, così come disciplinate nel
codice non esauriscono le possibili formule organizzatorie che l‟autonomia
privata può generare (la c.d. atipicità delle associazioni e delle fondazioni
e, a proposito di quest‟ultima, la distinzione tra fondazione d‟impresa e
impresa di fondazione), sia nel senso che l‟ordinamento giuridico è
costruito intorno alla persona fisica. Sicché a figure soggettive diverse da
esso non dovrebbe essere riconosciuta autonomia ontologica, costituendo
essi meri strumenti al suo servizio e nella sua disponibilità; b) l‟ esclusione
delle persone giuridiche dai destinatari delle norme, atteso che essa, in
concreto, non è altro che un insieme di rapporti intercorrenti tra le persone
fisiche, che operano al suo interno o con i soggetti terzi, laddove instaurano
relazioni con l‟ente esponenziale (il c.d. squarciamento del velo della
personalità giuridica); c) la rilevanza giuridica dell‟organizzazione in sé, e
più in generale l‟esistenza di un negozio che trovasse la sua causa
giustificativa nella sola creazione di una struttura organizzata (3).
Emblematico di questa concezione sono proprio gli studi sull‟impresa,
incentrati essenzialmente se non esclusivamente sul profilo funzionale,
ossia sull‟attività diretta alla produzione di beni e servizi in vista del
conseguimento dell‟utile, trascurandosi invece l‟aspetto organizzativo. La
prospettiva sembra cambiata e ci si interroga invece proprio sull‟essenza
dell‟organizzazione e in cosa consista.
Non a caso la dottrina considera coessenziale alla nozione di
impresa l‟organizzazione appunto, che viene disancorata dall‟articolo 2247
cod. civ., soprattutto dopo la riforma del 2003, chiarendo che “il diritto
delle società si avvia ad essere il diritto dell‟impresa organizzata e che
risulta importante porre l‟accento non più sul fatto che genera
l‟organizzazione bensì sull‟organizzazione che produce l‟attività di
impresa”; in tal modo “società è oggi l‟organizzazione alla quale uno o più
soggetti conferiscono beni o servizi per l‟esercizio di un‟attività economica
imputabile all‟organizzazione stessa allo scopo di conseguirne un
vantaggio patrimoniale” (DI SABATO, ma anche FERRO LUZZI).(4)
Peraltro il titolo V della Costituzione e la successiva legge
attuativa sembrano muovere proprio da questa sistemazione.
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Tuttavia, il punto di non ritorno raggiunto dalla dottrina civilistica
riguarda la definitiva separazione tra personalità giuridica e soggettività.
Una dottrina molto autorevole (5), rivisitando in un saggio recente
le categorie del diritto civile, a proposito della soggettività, ha dimostrato
come alla vecchia idea del soggetto come punto di riferimento degli effetti
e del collegamento ad esso delle situazioni giuridiche soggettive, intese
come il sistema delle forme di tutela riconosciute al soggetto per garantire
la soddisfazione degli interessi, sia subentrata, nella cornice di un nuovo
realismo giuridico nell‟ottica della globalizzazione, una vera e propria crisi
della soggettività e la fioritura bilanciante della stagione dei diritti, sottratti
ad ogni disponibilità da parte del Legislatore ( anche quello costituzionale),
in cui all‟individuo, singolo o associato, non possono essere negate
determinate tutele, ritenute come imprescindibilmente legate al suo modo
d‟essere nel presente storico. Sicché il problema si sposta sul versante delle
tutele e dei modi per conseguirne l‟attuazione in sede giudiziale. Pertanto
la teoria delle situazioni giuridiche soggettive si svincola dalla preventiva
individuazione dei singoli schemi classificatori e le categorie qualificanti si
riducono quindi alla loro storia (6).
Per quel civilista, si è venuto progressivamente sfaldando il rigido
confine tra pubblico e privato, tra interesse generale e interessi particolari.
Il privato comunica al pubblico strumenti e forme di azione (contratto,
impresa, società, associazione, fondazione). Pertanto, se si privilegia la
categoria come criterio indirizzante dell‟operazione ricostruttiva, sorge il
problema di come il carattere privato dello strumento possa adeguarsi, e
con quali adattamenti, all‟interesse generale senza che sia snaturato né il
fine né il mezzo. Se invece si riconosce che la categoria è solo il punto di
arrivo, allora si tratta di ripensare ciascuno di quegli strumenti in funzione
di una realtà del tutto nuova. All‟inizio del nuovo millennio, mentre l‟idea
della soggettività in chiave giuridica sembra perdere ogni pretesa alla
previa individuazione di una fattispecie qualificante per stemperarsi nella
molteplicità di situazioni valutabili solo a posteriori in funzione di
comportamenti attuati e di effetti conseguiti, talune imprescindibili qualità
di soggetto assumono invece un ruolo di preventiva individuazione di un
ambito invalicabile di tutela. Nel momento in cui l‟art. 6 del Trattato
dell‟unione europea, riconosce che “i diritti fondamentali fanno parte del
diritto Europeo in quanto principi fondamentali”, il problema della
soggettività giuridica si apre a prospettive del tutto nuove, sia perché nel
principio è implicito il senso di incompletezza sia perché i principi, nel
momento in cui entrano a far parte del diritto positivo, non perdono il loro
originario tratto e assumono per dirla con la Cassazione, il “contenuto
assiologico di metavalore” (7).
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Per rientrare nella linea del discorso iniziato, il codice civile, pur
avendo distinto le persone giuridiche pubbliche da quelle private, non ne
ha indicato i criteri distintivi.
Mentre i civilisti non hanno approfondito l‟argomento delle
differenze tra le due entità (8), gli studiosi di diritto amministrativo, sia
pure solo dopo i noti studi di Giannini intorno alla teoria
dell‟organizzazione (fino ad allora ritenuta quasi irrilevante), hanno colto
la particolarità degli enti cui veniva attribuita la personalità giuridica
pubblica, oltre che nell‟attrazione all‟area dei controlli pubblici, nel
semplice fatto di essere titolari potenziali di potestà pubblica.
L‟attribuzione, sia della personalità sia dell‟interesse primario da curare,
può essere fatta solo dalla legge (sembrano fare eccezione lo Stato e gli
altri enti elencati nell‟articolo 11 Cod. civ., per i quali la personalità
pubblica si è formata sul piano storico); e ciò anche quando il soggetto
pubblico può creare strutture strumentali private mediante provvedimento
amministrativo, essendovi anche in tal caso la preventiva autorizzazione
della legge o comunque potendo rientrare questo nel normale esercizio
dell‟autonomia negoziale.
Soprattutto a seguito di quanto statuito dall‟articolo 1 della legge
generale sul procedimento amministrativo, si può affermare che le persone
giuridiche pubbliche, oltre alla naturale posizione di autonomia negoziale,
godono nell‟ordinamento della posizione soggettiva di potestà pubblica.
Sicché, possono curare l‟interesse loro affidato utilizzando sia lo
strumentario del diritto civile sia quello del diritto pubblico, ed in
particolare possono avvalersi del provvedimento amministrativo e del
potere autarchico, che lo sottende.
3. Per quei civilisti più attenti al diritto pubblico dell‟economia si è
posto il problema di ripensare la nozione sostanziale di impresa, sia che
essa venga concepita come soggetto (o come attività) sia che venga
concepita come fattispecie, ossia come “un dato della realtà
normativamente limitato, che è presupposto e limite della produzione di
determinati effetti voluti dalla legge” (9), che dà rilievo al momento
squisitamente giuridico e formale del concetto.
Va da sé che non ha più senso ripensare il concetto di impresa nel
diritto interno, prescindendo dalla nozione che i giudici comunitari
utilizzano nelle loro sentenze in materia di concorrenza.
L‟assenza di un dato normativo comunitario di impresa o di
imprenditore, analogo a quello di cui all‟articolo 2082 del codice civile -se
si eccettua l‟articolo 86 del Trattato CE , laddove peraltro si limita a
stabilire che le imprese pubbliche, e anche se non pubbliche, ma aventi
missione di gestione di interessi generali, sono comunque obbligate al
rispetto della concorrenza- , porta ad escludere l‟utilizzo della nozione di
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impresa come fattispecie e finisce con il riproporre quello di impresa come
soggetto o come attività.
Anche se vi sono opinioni divergenti, nella giurisprudenza
comunitaria sembra prevalere la concezione dell‟impresa come attività
economica, peraltro definita in maniera evanescente, laddove, in negativo,
si intende quell‟attività non rientrante nelle funzioni ascrivibili a
prerogative dello Stato e, in positivo, quella volta ad offrire beni e servizi
nel mercato. Proprio a tale evanescenza credo vada ricondotta la decisione
di collocare nel mercato l‟intermediazione tra domanda e offerta di lavoro,
tradizionalmente svolta dall‟ufficio pubblico di collocamento.
Dalla congerie dei problemi che l‟argomento suscita, e peraltro
efficacemente indagati in dottrina, interessa in questa sede, in primo luogo,
segnalare che, anche in questo caso, il punto di non ritorno
dell‟elaborazione scientifica sembra costituito dal fatto che la
qualificazione dell‟impresa comunitaria è sempre e comunque l‟attività
svolta, quale che sia la struttura, l‟organizzazione e la natura del soggetto
che la compie. Inoltre come è stato efficacemente segnalato (10), il
ricorrente richiamo dei giudici comunitari alla nozione di professionista,
consente di svincolarsi dalle implicazioni legate al profilo di carattere
organizzativo e alla forza condizionante dell‟istituto dell‟impresa che
caratterizza l‟esperienza giuridica degli stati membri.
In secondo luogo e in apparente contraddizione, proprio le vicende
legate all‟elaborazione dell‟istituto dell‟”organismo pubblico”, nel caso vi
sia l‟influenza dominante del pubblico e quindi la pubblicità dell‟impresa
“ha valore in quanto tale”, consentono di ritenere che continui a
sopravvivere il valore concettuale e ordinante della distinzione tra imprese
private e imprese pubbliche. Solo che la nozione di impresa va arricchita
dalla imprescindibile circostanza che essa è sempre legata alla valutazione
del contesto economico concreto nel quale l‟attività viene svolta, ossia il
mercato con le sue regole.
Nel momento in cui tutta l‟attività economica pubblica deve
soggiacere al principio di concorrenza al pari di quella privata, gli unici
settori per i quali nel caso concreto è possibile rinvenire un‟eccezione alla
regola riguardano i servizi economici di interesse generale, ossia i servizi
pubblici, che hanno subito un significativo mutamento di forma, laddove la
gestione viene attribuita a imprese miste o private, guidate verso gli
obiettivi di interesse generale tramite un doppio canale di regolazione,
ossia quello attribuito all‟autorità indipendente preposta al settore di
riferimento e a quello affidato al classico strumento della concessione,
definito significativamente “contratto” nel codice dell‟evidenza pubblica.
La sottoposizione agli stessi principi, sia dell‟attività economica
pubblica e sia di quella privata, ha finito con il sovvertire la disciplina della
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Costituzione economica, atteso che essa mantiene distinti i due ambiti (artt.
41 e 43), come già ricordato.
L‟applicazione dei principi concorrenziali al settore dell‟economia
pubblica ha delle ricadute anche dal punto di vista concettuale, atteso che,
essendo stato il sistema pensato con riferimento ad operatori privati,
l‟imposizione dell‟osservanza dei principi e delle norme comunitarie, sia
per operare nel mercato che per il mercato, si risolve nel prevenire ogni
forma “degenerativa dell‟autonomia privata e dell‟iniziativa economica”,
anch‟esse però protette dalla nostra Costituzione (11).
La rapida rassegna dei punti più qualificanti del tema, che
meriterebbero ciascuno ben altri approfondimenti, consente di ritenere che
la regolazione del mercato e l‟indifferenza delle forme giuridiche
soggettive comportano la concentrazione delle tutele possibili, più che
sull‟impresa, sul contratto. Esso va confezionato, alla luce della normativa
interna di recepimento, con l‟inserimento di norme inderogabili, se non a
vantaggio delle categorie protette (consumatori). Da qui l‟utilizzo costante
degli istituti della nullità parziale e il meccanismo della sostituzione
automatica di clausole (artt. 1419 comma 2, e 1339 Cod. civ.).
4. Il quadro delineato consente ora di stabilire non solo quale sia la
portata del principio della neutralità delle forme giuridiche, ma se esistano
i presupposti per affermarne la sua stessa esistenza, almeno
nell‟ordinamento interno.
Già da tempo la dottrina civilistica, nonostante le norme del codice
in materia di società impongano ai privati l‟adozione di uno dei tipi ivi
disciplinati, ha dovuto riconoscere che “la materia è sempre più largamente
dominata dal divario tra le forme giuridiche e i contenuti economici, sino
al punto che il sistema ne risulta radicalmente alterato. La facilità con cui
gli operatori economici possono passare da un tipo all‟altro, con la sola
preclusione posta per l‟uso della società semplice, che non può servire
all‟esercizio di attività commerciali, ha fatto sì che oggi essa superi persino
i confini della generale categoria delle società. Cosi che accade di vedere
costituite in forma di società organizzazioni che non hanno scopo di
profitto e viceversa associazioni, nel senso stretto del termine, impegnate
nello svolgimento di attività economiche a scopo di lucro. Lo sviluppo
degli istituti e l‟impostazione stessa del regime legale delle società hanno
portato ad una libertà sconfinata e insindacabile dei privati nella scelta e,
quindi in definitiva, alla “neutralità delle forme”; e quel che è peggio
sembra che il sistema normativo abbia preso atto del fenomeno e ne
riconosca indirettamente la piena legittimità‟” (12).
Tuttavia, pur a voler ammettere la presenza di un principio
generale di tal genere -e non piuttosto l‟effetto di una legislazione
derogatoria al sistema del codice civile da parte del Legislatore, per quanto
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riguarda l‟esercizio dell‟impresa pubblica e la forza espansiva
dell‟esercizio dell‟autonomia negoziale dei privati, per quanto riguarda
l‟impresa privata- credo esso serva semplicemente ad indicare
l‟impossibilità nell‟attuale sistema di collegare al soggetto la “previa
individuazione di una fattispecie qualificante” e quindi la necessità di
valutare la molteplicità di situazioni, in cui il soggetto stesso ha stemperato
la propria unità, “valutabili solo a posteriori in funzione di comportamenti
attuati e di effetti conseguiti”, come prima si ricordava.
L‟impostazione porta ad esaltare la funzione creativa della
giurisprudenza, che deve spingersi sino alla valutazione della fattispecie
specifica con il disorientamento proprio di chi ha perduto lo strumento
rassicurante della qualificazione aprioristica derivante dalla natura del
soggetto della cui attività si discute.
E questo vale anche per i soggetti pubblici, e in special modo per
quei soggetti che svolgono attività economica, anche quando il Legislatore
ha ritenuto, paradossalmente, di attribuire loro la personalità di diritto
pubblico, che finisce con l‟essere una formula priva di significato nella
concretezza del rapporto giuridico controverso (esemplare è la vicenda
relativa all‟istituzione della Age Control S.p.A.), fermo restando che la
personalità giuridica può essere attribuita ad ogni figura soggettiva. Anche
perché, come ha dimostrato la parabola dell‟ente pubblico, un Ente definito
normativamente come pubblico mancava di tratti unitari, essendosi la
primitiva figura frantumata in più moduli strutturali e funzionali. Per cui,
pur essendo la formula indicativa di una presenza pubblica in una data
materia, sul piano giuridico non si è mai riscontrata la presenza di una
funzione in senso tecnico quanto piuttosto di un risultato, che peraltro si
poteva ottenere anche con un Ente privato, come ad esempio una società a
partecipazione pubblica maggioritaria (13).
In altri termini, la giurisprudenza non può più permettersi
l‟atteggiamento assunto al primo apparire dell‟ente pubblico svolgente
attività di impresa, ossia limitarsi a prendere atto della qualificazione
pubblica operata dalla legge e trarne le relative conseguenze. Così come la
dottrina non può più rimanere sconcertata, come accadde allora, a fronte
del fenomeno della creazione, da parte dello Stato e degli altri enti
territoriali, di organi-impresa o con l‟attribuzione della qualifica di persona
giuridica pubblica ad enti che avevano per fini istituzionali un‟attività
imprenditoriale e, poi via via, con la creazione o con la partecipazione
azionaria in società operanti nel mercato.
5. In realtà nessuno più dubita, in linea di principio, della
compatibilità dell‟utilizzo dell‟azionariato pubblico per il raggiungimento
di finalità di carattere generale né della legittima possibilità da parte del
Legislatore di fare un uso disinvolto del “tipo” società per azione per
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raggiungere finalità tra le più svariate, anche se pure tale profilo si è
prestato, ed ancora si presta, a sospetti d‟incostituzionalità.
Tuttavia, non va dimenticato che sin dal primo apparire del
fenomeno, che è creazione della prima metà del secolo scorso ed è legata
alla grande crisi degli anni 30, gli autori hanno continuamente discusso il
problema della redditività (o economicità, che per alcuni ha un significato
diverso) della gestione delle imprese pubbliche, ossia se esse debbano
essere gestiti secondo i criteri propri dell‟impresa privata (massimizzazione
del reddito), oppure possano sovrapporsi a questo altri criteri sociali
politici o anche solo di politica economica a lungo termine; che però per i
civilisti degradano a semplici “motivi”, non capaci di stravolgerne la causa
tipica.
Come avvertiva Giannini, “probabilmente il problema non è
esattamente posto: certamente non è problema generale, ma differenziato
per specie di impresa e dominato anche da norme di diritto positivo; se, per
esempio, si può ritenere che il criterio dell‟economicità vale per le imprese
a partecipazione statale, non altrettanto può dirsi delle imprese a
partecipazione non statale, o per le imprese organo o per le imprese ente,
almeno nel nostro diritto positivo”.
Per tornare al tema, è noto come parte della dottrina
amministrativa, ma anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato, si siano
richiamati proprio al principio della neutralità delle forme giuridiche
soggettive per giustificare la compatibilità della struttura societaria, e
quindi della finalità lucrativa ad essa connaturata, con la finalità
pubblicistica, che da quella finalità può prescindere, utilizzando l‟istituto
della causa astratta e della causa concreta a proposito del contratto
societario, ma anche del contratto concluso dal soggetto con i terzi.
È utile premettere come la c.d. “depicizzazione” dell‟ente
pubblico, unitamente ai
fenomeni
della privatizzazione e
dell‟esternalizzazione dei servizi pubblici, ha indotto il Legislatore ad
intervenire su singole società a partecipazione pubblica in maniera caotica
e disordinata, determinando non solo la nascita di società di diritto
speciale, ma addirittura ha fatto emergere delle vere e proprie società di
diritto singolare. Certamente va escluso che esista una categoria unitaria
delle società a partecipazione pubblica, riscontrandosi invece “decine di
„tipi‟ di società (o di singole società), disciplinati da norme e da principi
differenti, il cui unico denominatore comune finisce per essere la presenza
di un Ente pubblico (primario o derivato) nel capitale sociale. Così il diritto
delle società pubbliche diviene, anziché il terreno del diritto comune, il
campo dei diritti speciali e dei diritti singolari” (14).
Come già avvenne in passato, il punto nodale riguarda la
possibilità, sotto il profilo funzionale, di far convivere nella società
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pubblica l‟attività di impresa e l‟attività pubblica, ossia “il diritto privato e
il diritto amministrativo” (15).
Gli esercizi dottrinari intorno all‟istituto hanno generato teorie e
classificazioni tra le più disparate.
Tuttavia, si possono individuare due posizioni fondamentali: il
primo, in base al quale la necessità di garantire gli interessi pubblici ha
determinato il superamento dello scopo lucrativo nelle società
commerciali, diventate quindi uno strumento neutro utilizzabile per finalità
diverse; il secondo, in base al quale la scelta dell‟amministrazione di
avvalersi della società commerciale comporta anche quella di sottoporsi al
regime societario privatistico, e quindi la necessità di perseguire il fine di
lucro, indispensabile per tutelare i soci privati, che non possono vedersi
sacrificata la remuneratività del loro investimento.
Nel primo filone si inserisce la giurisprudenza del Consiglio di
Stato (16), ove appunto si afferma quanto già ricordato, ossia che
l‟interesse pubblico perseguito dalle società pubbliche sarebbe compatibile
con lo scopo lucrativo, dovendosi ritenere, soprattutto dopo la riforma del
diritto societario del 2003, che l‟interesse sociale non abbia una
connotazione omogenea unitaria, in quanto confluiscono nell‟assetto non
solo interessi eterogenei che fanno capo agli stessi soci, ma anche interessi
diversi, riferibili a soggetti terzi. La conclusione è che l‟interesse pubblico
non ha la forza di alterare il tipo societario e quindi si ha semplicemente la
configurazione di una società diversa da quella contemplata dal codice
civile.
A favore di questa impostazione può giovare il richiamo a quanto
accaduto per “l‟impresa sociale”, di cui al D.L.vo 24 marzo 2006 n. 155,
dove lo scopo ideale viene riconosciuto indifferentemente sia alle
associazioni e alle fondazioni sia alle società commerciali. Dall‟impianto
di quella normativa si ricava che non vi è più un rapporto di mera
strumentalità dell‟impresa rispetto allo scopo ideale perseguito dall‟ente,
ma è lo stesso Ente societario “a realizzare finalità di interesse generale”.
Tuttavia, gli argomenti addotti dai fautori del secondo filone
interpretativo sono robusti e si muovono secondo la più collaudata
tradizione commercialistica. In sintesi, per tali autori (17), la società di
capitali del codice civile non può essere considerata neutra nemmeno
rispetto ai fini perseguiti da coloro che la costituiscono, essendo
rigidamente caratterizzata dal fatto che il fine deve essere lucrativo, ossia
naturalmente predisposta all‟acquisizione e alla ripartizione dell‟utile tra i
partecipanti. Sicché viene in rilievo la democrazia degli azionisti e dunque
il potere di decisione della maggioranza, proporzionato al rischio, ivi
compreso il potere di controllo e di autotutela della minoranza, che non
può mai essere privato del rispetto dell‟interesse lucrativo comune.
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È interessante notare come per questi autori non si escluda affatto
la possibilità che le strutture amministrative possano servirsi, anzi debbano
farlo quando la cura ottimale dell‟interesse pubblico lo richieda, degli
strumenti del diritto privato, ma non possono chiedere più di quanto esso
può dare e soprattutto debbono accettare tutto ciò che gli è essenziale.
Questo vale non solamente nei casi in cui siano le strutture pubbliche ad
avvalersene esercitando l‟autonomia negoziale o la potestà pubblica, ma
vale anche per il Legislatore, in quanto l‟uso normativamente distorto degli
istituti modifica sia il diritto pubblico sia il diritto privato, attenuando
garanzie fondamentali che pongono problemi di legittimità costituzionale.
In proposito, è stata scomodata (18) addirittura la relazione al
Codice civile del 1942, laddove si legge: “in questi casi è lo Stato
medesimo che si assoggetta alla legge della società per azioni per
assicurare alla propria gestione maggiore snellezza di forme e nuove
possibilità realizzatrici. La disciplina comune della società per azioni deve
pertanto applicarsi anche alla società con partecipazione dello Stato e gli
enti pubblici senza eccezioni, in quanto norme speciali non dispongano
diversamente”.
In effetti, proprio il fatto che il soggetto pubblico sia dotato delle
due posizioni naturali dell‟ordinamento, ossia di autonomia negoziale e di
potestà pubblica, quando nel procedimento sceglie di esercitare l‟una o
l‟altra, deve sottoporsi alle regole di ciascuna di esse, senza stravolgimenti
e sovrapposizioni, così come accade nella vicenda relativa agli accordi
sostitutivi, di cui all‟articolo 11 della legge n. 241 del 1990.
Recentemente, una dottrina (19) ha svolto una puntuale analisi
della normativa codicistica da cui si desumerebbe l‟impossibilità giuridica
di eliminare dalla fattispecie in esame la destinazione lucrativa, facendosi
riferimento alla causa lucrativa del contratto societario (art. 2247 Cod.
civ.); alla norma di cui all‟art. 2497 Cod. civ., laddove prevede una
specifica ipotesi di responsabilità a tutela dei soci e dei creditori sociali a
carico degli enti e delle società, senza distinzioni; all‟art. 23 della
Costituzione, in base al quale non si può gestire la società, anche quando
essa persegua interessi pubblici, con nocumento degli interessi patrimoniali
dei soci privati, in quanto si risolverebbe in una violazione della riserva di
legge, in base alla quale „nessuna prestazione patrimoniale può essere
imposta se non in base alla legge‟.
Altro argomento utilizzato sia favore che contro il necessario fine
lucrativo della società pubblica è stato quello della nullità, laddove, non
essendo annoverata la mancanza di lucro nell‟elenco tassativo dell‟art.
2332 Cod. civ., si porrebbe solamente un problema di illiceità dell‟oggetto
sociale, che certamente non ricorre quando la società venga piegata al
raggiungimento di un fine di pubblico interesse.
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In questo caso, per la dottrina civilistica, vi sarebbe comunque
responsabilità dei danni eventualmente cagionati dagli amministratori,
anche se pubblici, per i danni cagionati agli interessi strettamente
economici della società, ai sensi dell‟art. 2391 Cod. civ.
In questa direzione sembra muoversi anche la Corte di cassazione
(20), laddove, dopo aver ricordato che la giurisprudenza di legittimità ha
tradizionalmente ribadito che lo scopo di lucro soggettivo è essenziale al
contratto di società, non essendo sufficiente il mero esercizio in forma
collettiva di un‟attività economica produttiva, ha statuito che il legame
esistente della disciplina codicistica tra forma della società e il suo
contenuto non può essere vanificato dal semplice fatto che esista una linea
di tendenza della legislazione in questo senso, poiché ciò può valere
solamente per i casi espressamente previsti da norme di legge. Altrimenti si
vanificherebbe il valore della pubblicità legale in materia, prevista per la
tutela delle aspettative di terzi che entrano in contatto con la società, che si
vedrebbero esposti al rischio di contrattare con una società che persegue
fini essenzialmente diversi da quelli desumibili dalla sua natura giuridica,
così come definita dalla legge. La stessa esigenza si pone per coloro che
acquistano partecipazioni sociali, che non possono che fare affidamento
nella natura giuridica dichiarata nella stessa denominazione sociale.
Sempre a proposito della nullità si è sostenuto (21) che il difetto
della clausola lucrativa non pone mai un problema di validità del contratto
ma solo di qualificazione, per cui, ove si dimostrasse che una società sia
stata costituita per un fine lecito ma estraneo al profitto, questa andrebbe
riqualificata come associazione o fondazione.
Come si vede, ritorna il problema della neutralità delle forme
giuridiche e della forza qualificante del soggetto nella fattispecie. Infatti, il
problema è che colui che entra in contatto con una società a partecipazioni
pubblica deve conoscere in anticipo la natura della compagine e sapere,
sempre in anticipo, se sta conferendo quote associative oppure se sta
acquistando azioni al fine di partecipare ai dividendi o di lucrare sulla
differenza tra il valore iniziale e quello finale nel caso della cessione delle
azioni stesse. A meno che non si arrivi a stabilire che la società pubblica,
non disciplinata da una legge speciale o singolare, è una fattispecie
completamente diversa dai soggetti conosciuti. Ma allora bisogna stabilire
cosa essa sia e che natura giuridica abbia, alla luce del diritto positivo.
In ogni caso, una pur minima forza qualificante del soggetto non
può essere negata, almeno quando la situazione giuridica protetta sia un
legittimo affidamento.
6. Nel tentativo di uscire dalla intricata trama delle argomentazioni
svolte intorno all‟istituto, di cui qui si è fornito uno spaccato molto
parziale, può essere utile una breve disamina della legislazione di
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economia pubblica, che è stata particolarmente abbondante negli anni
recenti, al fine di aggredire la grave crisi che sta vivendo il nostro Paese.
In proposito, è il caso di osservare che la prospettiva per
fronteggiare la crisi attuale rispetto a quella degli anni 30, che diede vita al
fenomeno che ci occupa, da parte delle strutture pubbliche che debbono
attuare le scelte legislative di macroeconomia, è del tutto diversa da quella
di allora. Infatti, non si tratta di salvare le imprese marginali come allora,
ma piuttosto quella di abbandonarle al mercato, per effetto della c.d.
privatizzazione, e di potenziare invece quelle produttive, quale che sia la
loro natura giuridica.
Dalla rassegna vanno escluse le società legali, speciali e di diritto
singolare, vuoi perché essi fuoriescono dalla prospettiva proposta vuoi
perché vanno oltre le forze di chi scrive (22). Va solo segnalato che la gran
parte degli interventi normativi ha riguardato il regime giuridico di singole
società e che, all‟inizio della c.d. privatizzazione degli anni 90, la politica
legislativa di fondo era quella di realizzare il definitivo passaggio dall‟ente
pubblico economico, in cui si ravvisavano inaccettabili privilegi, alla piena
riaffermazione del diritto paritario disegnato dal codice civile, l‟unico
strumento capace di rendere effettiva la parità con gli altri operatori del
mercato, secondo i principi europei.
Si diceva di come la concezione per cui possano concentrarsi in un
medesimo soggetto forma privata e sostanza pubblica, che è alla base della
formula “ente pubblico in forma societaria”e che ha trovato costante
riscontro nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, ha fortemente
condizionato il Legislatore.
Il tentativo di rinvenire “norme di sistema” conduce direttamente
ai limiti fissati dall‟articolo 13 del c.d. decreto Bersani, laddove
precludono alle società a capitale pubblico o misto partecipate da enti
locali e regionali (cosiddette strumentali, ossia costituite partecipate per la
produzione di mezzi e servizi funzionali all‟attività degli enti predetti per
lo svolgimento in esterno di funzioni amministrative), che non siano
affidatari di servizi pubblici locali o di servizi di committenza, di svolgere,
in affidamento diretto o con gara, prestazioni a favore di soggetti terzi,
diversi da quelli controllati, nonché di partecipare ad altre società o enti
aventi sede nel territorio nazionale. A parte le perplessità corali della
dottrina circa il fatto che dalla norma siano state escluse le società
partecipate direttamente dallo Stato (la sentenza della Corte costituzionale
n. 326 del 2008 non ha affrontato le questioni, essendo stato il giudizio
promosso da alcune regioni) sembra portare, come ha segnalato di recente
un‟attenta dottrina (23), alla seguente conclusione: “o la società pubblica
(locale o regionale) è strumentale, allora sarà giocoforza affidataria di
servizi o di attività di produzione di beni e servizi per l‟ente stesso, con
12
conseguente impossibilità per la stessa società di operare nel libero
mercato con soggetti diversi; oppure la società non è strumentale e allora
l‟ente pubblico (locale o regionale ) non può esserne socio”.
Come si vede, le strutture pubbliche locali, se non fosse per la
presenza delle grandi aziende energetiche nazionali che vi possono operare
proprio attraverso la tanto vituperata legislazione speciale, sono la
conferma dell‟esclusione dei soggetti pubblici dal mercato generale e
possono operare in limiti molto angusti.
La regolamentazione in esame, soprattutto se si pensa che nel
settore vi è l‟ossessiva imposizione del procedimento dell‟evidenza
pubblica superiore addirittura a quanto accade per le amministrazioni
tradizionali, impedisce di individuare una categoria giuridica provvista di
una causa tipica, automaticamente applicabile.
Le strutture pubbliche locali sfuggono sia alla categoria delle
società commerciali di diritto privato sia a quella degli enti pubblici e le
formule proposte, come quella di “semi-amministrazione” o di “enti
pubblici in forma di società”, rimangono meramente descrittive, fino a che
non si individui il contenuto e la funzione unitaria dello strumento,
contrattuale e provvedimentale, con il quale si crea la struttura medesima
(25).
Ciò è tanto più necessario quanto più si consideri che l‟anfibologia
delle formule indicate si inserisce nell‟elaborazione scientifica attuale,
sulla quale si è indugiato all‟inizio, dove le categorie soggettive sono solo
il punto di arrivo nella qualificazione della fattispecie.
Altra norma di sistema, individuata dalla dottrina civilistica (26), e
che avrebbe la funzione di orientare l‟interprete nell‟ipotesi in cui il
Legislatore deroghi al sistema codistico, e sul quale relazione al codice
(citata) non fornisce indicazioni, è stata individuata nell‟art. 4, comma 13,
secondo periodo, del decreto legge n. 95 del 2012 (ma già nello stesso
senso l‟art. 6 comma 11 decreto legge n. 78 del 2010 sulla spending
review), che è inserita in un testo legislativo di interpretazione autentica e
che una circolare regionale ha definito espressamente norma di chiusura
del sistema. Essa stabilisce: “Le disposizioni del presente articolo e le altre
disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o
parziale partecipazione pubblica, si interpreta nel senso che, ove non
diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applicano comunque la
disciplina del codice civile in materia di società di capitali”.
Un‟attenta dottrina, già richiamata (27), ha utilizzato la norma,
anche per contrastare l‟orientamento giurisprudenziale amministrativo, per
sostenere che una cosa è l‟oggetto sociale (l‟attività) altra è la causa
(indefettibilmente lucrativa ai sensi dell‟art. 2247 Cod. civ.); e che il primo
13
non può obliterare la seconda, in assenza di una specifica norma che
espressamente lo stabilisca.
Non poteva mancare nell‟indagine della dottrina il riferimento al
comma aggiunto dell‟articolo 97 della Costituzione, laddove, statuendo che
“le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l‟ordinamento della
Comunità Europea, assicurano l‟equilibrio del bilancio e la sostenibilità del
debito pubblico della Repubblica”, ha introdotto una sorta di super
principio di economicità dell‟azione amministrativa, che va oltre quanto
già stabilito dall‟articolo 1 della legge n. 241 del 1990, dato che nelle
letture più accreditate costituiva soltanto uno dei criteri cui si doveva
uniformare l‟azione amministrativa.
Tale lettura viene condivisa anche dal giudice contabile, laddove
ritiene che il principio di pareggio di bilancio non può non valere per le
imprese a partecipazione pubblica, che costituiscono il principale
strumento di possibile sperpero di denaro pubblico. Peraltro, l‟autorevole
consesso non ha mai mancato di segnalare come l‟archetipo che deve
guidare il controllo contabile moderno in materia rimane quello delle
società disciplinate dal Codice civile (28).
7. Da ultimo, va ricordato il sostanziale fallimento dell‟istituto
dell‟”organismo di diritto pubblico”, nella sua aspirazione a diventare
l‟archetipo della soggettività nella costellazione societaria pubblica, e del
suo collegamento con le società “in house”.
Si tralascia ovviamente tutta la normativa, definita di
“moralizzazione”, sui criteri delle nomine negli enti pubblici economici e
delle recenti norme anticorruzione in materia di appalti pubblici -ivi
compreso l‟articolo 24 bis introdotto dalla legge di conversione (11 agosto
2014 n. 114) del D.L. 24 giugno 2014 n. 90, laddove, estendendo gli
obblighi di pubblicità e trasparenza a tutte le società partecipate e in
particolare le società in house, conferma l‟inesorabile tendenza del
Legislatore ad equiparare le società pubbliche alla pubblica
amministrazione sotto tutti i punti di vista- che pure cospirerebbero per
individuare nella causa lucrativa l‟elemento indefettibile di tutte le strutture
societarie pubbliche.
È nota la posizione di una raffinata dottrina (29), che, nell‟intento
di non rassegnarsi all‟idea di una soggettività pubblica “a geometria
variabile” (30), causata proprio dal principio della neutralità delle forme
giuridiche soggettive, ha sostenuto che l‟organismo di diritto pubblico non
rileva ai soli fini dell‟applicazione delle norme in materia di appalti, ma
avrebbe una validità generale nell‟ambito dell‟ordinamento europeo; e che
se è tale in quell‟ordinamento lo è anche nel diritto interno (semel
administratio, semper administratio).
14
Ad essa è stato contrapposto sia che il quadro delle nozioni
comunitarie di pubblica amministrazione è articolato in diversi livelli e
diversificato in ragione delle materie, unitamente all‟ampio utilizzo di
strumenti di diritto comune e all‟assenza di un giudice amministrativo che
possa elaborare un concetto unitario, sia che nel diritto domestico
l‟organismo di diritto pubblico è una qualifica che si riferisce ad un
soggetto già munito di personalità giuridica; il che vuol dire che la
qualifica, privatistica o pubblicistica, viene apposta contestualmente alla
genesi della personalità giuridica. Questo impedisce la sovrapposizione o,
forse meglio, l‟identificazione delle due figure. Pertanto sembra che la
figura sia destinata ad operare solo in rapporto al diritto europeo e per
l‟applicazione di discipline specifiche (31).
Infine, sempre in base al punto di osservazione prescelto, nessun
elemento decisivo può venire, ai fini dell‟individuazione dell‟“ubi
consistam” dell‟ente pubblico in forma societaria, dalla figura dell‟”in
hause providing”, poiché anche per esso vale quanto si osservava a
proposito dell‟organismo di diritto pubblico. Infatti, nell‟elencazione, di
cui all‟art. 113 del testo unico n. 267 del 2000, dei soggetti cui può essere
affidata la titolarità e l‟erogazione del servizio pubblico, vengono in rilievo
solo quelli ben conosciuti dal nostro ordinamento, quali le società a
capitale pubblico o misto. Inoltre, per quanto riguarda l‟individuazione del
requisito del “controllo analogo” - laddove i giudici comunitari e il
Consiglio di Stato hanno escluso, in note sentenze, che tale indispensabile
requisito, al fine di attrarre il soggetto nelle strutture amministrative, non
ricorre quando esso si risolve nell‟esercizio da parte del soggetto
controllante degli stessi poteri spettanti al socio maggioritario delle società
privatistiche - ha finito con il far riemergere la dicotomia pubblico - privato
e la forza della causa di lucro derivante dalla disciplina codicistica delle
società.
A tal proposito, credo che la crisi della soggettività si sia spinta
molto in avanti quando la Cassazione si è pronunciata sul fenomeno dell‟in
hause providing (32), laddove, nell‟intento di giustificare la giurisdizione
contabile, ipotizza una società di capitali in hause come patrimonio
autonomo acefalo, che diventa un‟articolazione interna dell‟ente pubblico
di una società di capitali intesa come persona giuridica autonoma cui
corrisponde un autonomo centro decisionale e di cui è possibile individuare
un interesse suo proprio. Il Supremo giudice civile cosi si esprime: “ciò
che davvero è difficile conciliare con la configurazione della società di
capitali intesa quale persona giuridica autonoma e distinta dai soggetti che
in essa agiscono e per il cui tramite essa stessa agisce, e la totale assenza di
un potere decisionale suo proprio, in conseguenza del totale
assoggettamento dei suoi organi al potere gerarchico dell‟ente pubblico
15
titolare della partecipazione sociale” Sicché, “è giocoforza concludere che
anche la distinzione tra il patrimonio dell‟Ente e quello della società si può
porre in termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità”.
8. Finalmente le conclusioni.
Soprattutto nel momento storico attuale bisogna prestare molta
attenzione a quello che va sotto il nome di processo di autopoiesi delle
amministrazioni pubbliche. È celebre il saggio di Gunther Teubner, Liquid
modernity, che ha evocato la distinzione operata da Cesarini Sforza
nell‟ancor più celebre saggio, „Il diritto dei privati‟, laddove distingueva
due grandi categorie di ordinamenti giuridici: organizzazioni allo stato
fluido e organizzazioni allo stato solido delle amministrazioni (33).
Attraverso il processo autopoietico si realizzano due effetti
pericolosi per il funzionamento corretto del sistema, così come lo abbiamo
conosciuto e studiato: la violazione della riserva di legalità in tema di
organizzazioni amministrative, in quanto esso si sviluppa integralmente
all‟interno della pubblica amministrazione prescindendo dal potere
legislativo; la vanificazione di fatto della distinzione tra ordinamenti
privati e pubblici, in quanto l‟inserimento nell‟uno o nell‟altro settore,
operato sulla base del flusso di denaro destinato a ciascun Ente da
classificare, consente di prescindere dalla genesi dei soggetti, ossia quella
del semplice riconoscimento da parte delle amministrazioni del soggetto
privatistico e quella della possibilità per gli enti pubblici di costituire enti
strumentali, al pari di quanto avviene da parte di privati quando esercitano
l‟autonomia negoziale, sempre escludendo gli altri poteri pubblici.
Con il meccanismo previsto dall‟art. 1 comma 5 della L. 30
dicembre 2004 n. 311 si affida all‟Istat la definizione, in base all‟unico
criterio della quantità di finanziamenti pubblici, dell‟ambito soggettivo cui
vanno applicate le tante misure di contenimento della spesa pubblica,
snaturando la sua originaria funzione puramente contabile e statistica.
La transizione bidirezionale dal pubblico al privato non è dunque
l‟effetto di un atto legislativo di privatizzazione o di pubblicizzazione, ma
di un semplice provvedimento amministrativo, impugnabile e regolarmente
impugnato (31).
Questo consente anche di trarre la seconda preoccupata
conclusione e riguarda i giudici, che, con il tramonto delle categorie
giuridiche soggettive, laddove consentivano di radicare i meccanismi della
tutela sulla base della semplice identificazione del soggetto agente, sono
ora costretti a spingersi nel concreto della fattispecie, partendo dalla
situazione protetta, e poi eventualmente risalire al soggetto medesimo,
come più volte ricordato.
Le norme non sono più strutturate in forma gerarchica ma
eterarchica, e quindi bisogna individuare di volta per volta la disciplina
16
applicabile ai singoli casi mediante ricostruzioni di competenza su base
policentrica (il c.d. diritto frammentato).
Questo comporta molta più fatica, come sempre accade quando per
affrontare il rapporto controverso viene richiesto l‟uso di strumenti
appartenenti alle due grandi branche del diritto privato e del diritto
amministrativo, che si trasformano nello stesso momento in cui vengono
adoperati.
Gianpiero Paolo CIRILLO
Presidente di sezione del Consiglio di Stato
(1) Sul punto vedasi per tutti: M.S. GIANNINI, diritto amministrativo, Milano
1993, vol. II, 661-669;
(2) Si vedano, tra i tanti scritti dedicati alla materia, le pagine di P. RESCIGNO,
Capacità di diritto privato e discriminazioni dei soggetti, in Persona e comunità,
Padova 1999,180 ss., che, partendo da un caso pratico, offre uno spaccato dei
vari contributi, suoi e di altri. Dello stesso Autore si veda anche, Capacità
giuridica, in Digesto discipline privatistiche, sezione civile, vol. II, Torino, 218;
(3) Per una visione d‟insieme della soggettività, privata e pubblica, ivi compresa la
tutela del concepito e dell‟embrione, si rinvia a G.P. CIRILLO, Diritto civile
pubblico, Roma Direkta 2012, 11-104;
(4) F. DI SABATO, Società in generale, Società di persone, in Trattato di diritto
civile del consiglio nazionale del notariato, diretto da P. PERLINGIERI,
Napoli, 2004, 11-12. Ma già nello stesso senso, P. Ferro Luzzi, I contratti
associativi, Milano, 1971,238 ss;
(5) N. LIPARI, Le categorie del diritto civile, Milano 2013,50-88;
(6) P. RESCIGNO, Manuale di diritto privato, edizione a cura di G.P. CIRILLO,
Milano, 2000, 211. In tale contesto, il chiarissimo autore mette in rilievo anche
la storicità della distinzione tra diritti ed interessi, destinata ad affievolirsi
attraverso l‟estensione della giurisdizione esclusiva.
(7) Cass. civ., SS.UU., ord. 29 maggio 2008 n. 14201;
(8) Per essi sono enti pubblici tutti quelli che non sono privati, F. GALGANO,
Pubblico e privato nella qualificazione della persona giuridica, in Riv. Trim.di
diritto pubblico, 1966,279
(9) G. OPPO, L‟impresa come fattispecie, in Riv. Dir. Civ., 1982,109 ss. E Id.
Impresa e imprenditore, in Enc. Giur., XVI, 1989, 6;
(10)
V. RICCIUTO, Diritto dell‟economia, Torino, 2013, 309. Dal bel
volume, scritto assieme a E. PICOZZA, sono tratti molti altri spunti contenuti
nel testo;
(11)
Si veda ancora, V. RICCIUTO, op cit., 296 ss.;
(12)
P. RESCIGNO, Manuale cit., 859 ss.;
(13)
M.S. GIANNINI, op. cit., 181 ss.;
(14)
CAMMELLI-DUGATO, Le società degli enti territoriali alla luce
dell‟articolo 13 del d. l. n. 223 barra 2006, in Studi in tema di società a
partecipazione pubblica, a cura di Cammelli e Dugato, Torino, 2008,347;
17
(15)
S. VINTI, La circolarità logica del diritto amministrativo, Torino,
2014,44 ss.;
(16)
Di recente, si veda: Cons. Stato, Sez. VI, 20 marzo 2002 n. 1574;
(17)
In proposito si vedano: N. IRTI, Dall‟ente pubblico economico alla
società per azioni (profilo storico-giuridico), in Riv. Soc., 1993,I, 445, ora in
ID. L‟ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 208,166; G. OPPO, Diritto
privato e interessi pubblici, in Riv. Dir. Civ., 1994, 36; Goisis, contributo allo
studio delle società in mano pubblica come persone giuridiche, Milano, 2004;
(18)
N. IRTI, L‟ordine giuridico dei mercati, cit., 164;
(19)
F. GOISIS, Il problema della natura e lucratività delle società in mano
pubblica alla luce dei più recenti sviluppi dell‟ordinamento nazionale ed
europeo, in Riv. Econ., 2013, 53 ss.
(20)
Cass. civ., Sez. I, 12 aprile 2005 n. 7536;
(21)
SANTINI, Tramonto dello scopo lucrativo nelle società di capitali, in
Riv. Dir. Civ., 1973,151;
(22)
In ogni caso rimane fondamentale lo studio di C. IBBA, Le società
“legali”, Torino, 1992;
(23)
VINTI, op. cit.,90;
(24)
Ciò è stato dimostrato anche dalla sentenza dell‟Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato n. 17 del 2011, laddove ha escluso anche la possibilità di
operare mediante la creazione di una società di terzo grado;
(25)
La denominazione di “semi-ammistrazioni”, peraltro adoperata anche da
M. CLARICH nel Manuale di diritto amministrativo, Bologna 2013, viene
dall‟Assonime con il rapporto sui “Principi di riordino del quadro giuridico
delle società pubbliche”, Roma, 2008, in www.assonime.it, che, a seconda del
tipo di attività esercitata e della quantità dei vincoli che legano la società
all‟ente pubblico partecipante, distingue tra società di mercato e semiamministrazioni. Il rapporto, oltre che dall‟autore di sopra citato, è stato
esaminato anche da M.P. CHITI, Le carenze della disciplina delle società
pubbliche e le linee direttrici per un riordino, in Gior.Dir. Amm., 2009, 1115;
(26)
GOISIS, op. cit., 23 ss.;
(27)
GOISIS, op. cit., 59 ss.;
(28)
Per una piana ricostruzione del controllo sull‟azionariato pubblico da
parte della Corte dei Conti, si veda: M. OREFICE, Manuale di contabilità
pubblica, Direkta, 698 ss.. Per un‟analisi puntuale delle disposizioni normative
in materia, si veda M. FRACANZANI, Le società degli enti pubblici: tra
autonomia d‟impresa e responsabilità erariale. Riflessioni per un‟actio finium
regundorum su partecipazione al capitale, socio d‟opera, oggetto sociale, limiti
soggettivi a contrarre ed a concorrere nelle pubbliche gare, dopo le riforme
2006-2009, in www.giustizia-amministrativa.it;
(29)
Il riferimento è chiaramente rivolto a F. MERUSI, La natura delle cose
come criterio di armonizzazione comunitaria nella disciplina sugli appalti, in
Riv. It. Dir. Pub. Com., 1997, 39; ID. La privatizzazione per fondazioni tra
pubblico e privato, in Dir. Amm., 2004, 447; ID. L‟integrazione fra la legalità
comunitaria della legittimità amministrativa nazionale, in Dir. Am., 2009, 43; e
più recentemente: La legalità amministrativa. Altri sentieri interrotti, Bologna,
2012, 52;
18
(30)
La fortunata espressione di S. CASSESE, Diritto amministrativo
comunitario e diritti amministrativi nazionali, in Trattato di diritto
amministrativo europeo, diretto da M.P. CHITI e G. GRECO, Milano, 1997, 9;
(31)
Si rinvia ancora all‟ottimo libro di S. VINTI, La circolarità logica ecc,
cit., 124 ss., dove viene fornita una puntuale analisi della teoria e delle critiche
ad essa rivolta da vari scrittori successivi;
(32)
Cass. civ., SS.UU., 25 novembre 2013 n. 26283. Il Supremo giudice
civile cosi si esprime: “ciò che davvero è difficile conciliare con la
configurazione della società di capitali intesa quale persona giuridica autonoma
e distinta dai soggetti che in essa agiscono e per il cui tramite essa stessa agisce,
è la totale assenza di un potere decisionale suo proprio, in conseguenza del
totale assoggettamento dei suoi organi al potere gerarchico dell‟ente pubblico
titolare della partecipazione sociale” Sicché, “è giocoforza concludere che
anche la distinzione tra il patrimonio dell ‟ente e quello della società si può
porre in termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità”;
(33)
Per una disamina, piana e convincente, dell‟autoproduzione di società
partecipate ad opera esclusiva dell‟amministrazione, si rinvia ancora a Vinti, op.
cit., 77-105, dove vi sono anche riferimenti di dottrina e di giurisprudenza;
(34)
Da ultimo si veda, Cons. di Stato, Sez. V, 28 novembre 2012 n. 6014.
*Lo scritto è la relazione, parzialmente riveduta con l’apposizione di un
apparato minimo di note, svolta al 60º convegno di studi amministrativi, dal
titolo “Diritto amministrativo ed economia: una sinergia per la competitività del
paese”, tenuto a Varenna, Villa Monastero, il 18 19, 20 settembre 2014.
19