Borgese G. A., Giove e Prometeo

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Borgese G. A., Giove e Prometeo
GIOVE E PROMETEO0
i.
discorso di m itologia non è fra i più attràenti, io lo so. Si guerreggia
contro i resti del classicism o da più di un secolo, e parrebbe orm ai
giun to il tem po di non ostinarsi a rifriggere cavoli putridi, com e diceva,
n
con efficacia se non con eleganza, il Berchet. T u ttavia non sono io il
prim o, né sarò certam ente 1’ ultim o : il furore rom antico non im pedì che sorgesse
il C arducci e la m ultiform e scuola poetica che im itandolo lo continuò, e sulle
m acerie am m ucchiate dagli iconoclasti rifiorì la nuova idolatria.
G ià in gran parte, 1’ anticlassicism o rom antico — non parlo del rom anticism o
di buona lega, italiano, m anzoniano, ma di qu ell’altro che è anche più espressivo
com e sono tutti gli estrem i — non fu nemico in genere d ella m itologia, m a in
ispecie della m itologia greca e rom ana e più precisam ente della rom ana. Perchè
anche il m ito greco — che in fondo era lo stesso — cam biati i nom i assumeva
seducente lustra di novità. V enere M ercurio E rco le erano cose rancide, m a bastò
raschiare i nom i e scriver sopra A frodite Erm es E racle perchè le divinità ringio­
vanissero im provvisam ente. U n ph, un h, un th rendevano poi anche più strabiliante
il m iracolo. T a lu n i furono più audacem ente sovversivi e ques.ti rovesciarono le
, statue inalzando sugl’ incolum i piedistalli 1’ effigie di T h o r di O dino di F reya dove
eran M arte G io ve V en ere o q u ella di N oè dov’ era D eucalione. Il m ito ebraico o
scandinavo sem brava m oderno ed atto a succedere nel posto delle im m agini sfrut­
tate e dei sentim enti consunti.
Cose orm ai passate e trapassate. Ciò che resta di tutto quel m ovim ento è la
parte negativa, cioè la libertà : chè la libertà è negativa in arte, com e qu el principio
che lascia il poeta solam ente in relazione con la natura d el suo ingegno e con le
opportunità del suo argom ento, senza né aiutarlo né incepparlo con consigli e con
divieti. O ggi vi sono, e soprattutto dom ani vi saranno poeti inclini m assim am ente
ad esprim ere cose sin golari e fuggevoli d ell' anim o loro, e questi fuggono e fuggi­
ranno dai m iti non per partito preso, m a perchè consci che l’ im m ediatezza della
espressione verrebbe sfigurata dal ricordo m itologico, che in una lirica personale
sarebbe una figura retorica e una zeppa senza valore di com m ozione. E vi sono,
com e v i saranno, poeti disposti a rappresentare aspetti più vasti, e, direm o, più
generici della vita um ana e della storia, e questi ricorreranno a V en ere e a M arte
secondo i casi, com e ricorreranno ad A res e ad A frodite, a O dino e a F reya, a
Caino e a Mosè. Il C arducci è stato, per sua confessione e dei suoi critici, un
poeta classico o classicista che dir si voglia il che non gli ha im pedito di andare
(*) Conferènza letta al C irco lo F ilo lo gico di N apoli e a ll’U niversità Popolare di M ilano.
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un po’ più in là degli im itatori di Ossian e di resuscitare H uitzilopotli e G uatim ozim o, le divinità m essicane.
Rim ane forse della m ania di novità l ’ abitudine di trascrivere grecam ente i
nom i rom ani più com uni e in tellig ib ili fra noi per una tradizione letteraria sette
volte secolare. Ma fra poco 1’ artificio sarà in u tile ; quasi nessuno ignora orm ai che
Zeus è qualcosa di sim ile a G iove e che A th en a (con o senza il th) corrisponde
a un dipresso a quella che si soleva chiamare M inerva. E rim arrà nella sua nuda
verità il fatto essen ziale: che la guerra contro la m itologia classica è finita con
una sconfitta. Sconfitta che ha qualcosa di sim ile a quelle che ogni giorno patiscono
con eroica rassegnazione g l’ inventori di nuove lingue artificiali e internazionali,
le quali infatti abortiscono, perchè sostituiscono un segno logico arido e meccanico
alle parole elaborate dai popoli e dai poeti e che di secolo in secolo s’arricchiscono
di nuovi significati e di colorito più intenso ed hanno il potere di suscitare una
m iriade d’ im m agini accessorie che ne intensificano il valore. E i miti, i nom i delle
antiche divinità non sono, tutto som m ato, che sillabe straricche di significati;
significati di cui l’ hanno abbellita e gravata le leggende dei popoli e le creazioni
dei poeti. Perciò, quanto più son antiche, tanto più han capacità di com m overci ;
e Zeus, di cui sentiam o parlar da Om ero in poi, anche se solam ente nom inato,
suscita nel più incolto italiano tal copia di rem iniscenze d’ im m agini di raffronti
a cui la poesia nè rinuncia né rinuncerà.
Questo è proprio della poesia infatti : che essa riesce grande specialm ente
quando rifrigge i cavoli m olte volte fritti. L a com une osservazione che i grandi
poeti nel concepire il capolavoro non si preoccupano punto d’ inventare il fatto
e ripigliano le leggende popolari o i fatti storici, vale benissim o anche per il mito.
Il presente, dice il C arducci, non fa che percuotere e fugge : ess'o crea il poeta
ma non la poesia, essendo i sentim ent' e le passioni che agitano i nostri tem pi
ancora troppo oscure e indefinite perché 1’ artista possa trarne una sintesi d ’ im ­
m ortale chiarezza e sem plicità ; e l’avvenire non si presta che a fantasie generiche
e nebulose. N on si può far poesia d e ll’ avvenire che fondandosi su im m aginazioni
stram palate che non han n ulla a vedere con l ’arte (W ells, Bellam y, Verné) o su
alcun i concetti generici e m uti per la fantasia — *-la G iustizia, la Pace, la Libertà,
scritte con iniziale m aiuscola — m itologia anche questa, ma povera e p allida m ito­
logia, puram ente intellettuale e d 'a tta a m uovere solam ente le facoltà razionali,
ma non le im m aginative e fantastiche. Laddove il passato offre il più vasto arsenale
di sentim enti e di im m agini, e del passato anche più che i fatti storici il mito
che, poeticam ente considerato, non è che un fatto storico sublim ato e semplificato
d alle fantasie che prim a di noi lo lavorarono, e non più grezzo ma pieghevole già
alla m ano d el creatore.
P er questo la m itologia non è nè m orta nè m oritura, o, a dir m eglio, il mito.
V ’ è questo infatti di diverso tra la poesia classica dei m oderni e qu ella degli
arcadi e degli accadem ici : che un tem po si am ava piuttosto il fatto m itologico, ed
oggi il personaggio con i suoi significati più alti. L a storia degli am ori di G iove
non c’ interessa più tanto, a dire il vero ; e nemm eno g l’ intarsii sugli scudi degli
eroi e le divine baruffe n e ll’ Olim po. E difficile che un poeta odierno per descri­
vere 1’ alba ci racconti la centom illesim a volta che l ’ A u rora dalle rosee dita lasciò
il letto del vecch ierello T rito n e o che per farci sentire il terrore di una tem pesta
ci rappresenti al vivo N ettuno che scrolla il tridente dal suo cocchio tirato dai
delfini. Ma le divinità coi significati naturalistici veri o supposti che la scienza
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m oderna attribuisce ai loro venerabili nom i son tuttavia — anzi sono ora per la
prim a vo lta — fonte d’ ispirazione poetica ; e più ancora che queste rim angono
nel dom inio d ell’ arte alcuni m iti singolarissim i che si prestano ad una interpre­
tazion e consona ai tem pi nuovi ed a lle più recenti aspirazioni umane.
Si può quasi dire che vi sono m iti classici e m iti rom antici, nella stessa
m itologia classica : se per m iti rom antici intendiam o quelli di cui il rom anti­
cism o europeo più che italiano s’è im padronito adattandoli a sé e sfigurandoli in
tal modo che una gita alle sorgenti diviene sorprendente come un viaggio d’esplo­
razione. I più grandi e più celebri di questi m iti rom antici sono qu ello d’U lisse e
quello di Prom oteo. E di Prom oteo quale egli fu realm ente n e ll’ anim a greca in
confronto a ciò che ne ha fatto la poesia del secolo X IX m ’ intratterò con voi, se
la pazienza vi basta.
II..
Strana ad osservarsi è la som iglianza fra il m ito di U lisse e il m ito di P ro­
meteo, sim iglianza che non è alla superficie ma giace nella profondità. G ià l ’ uno
e l ’altro hanno colpito, cosi vivam ente 1’ attenzione m oderna, perché l ’uno e l ’altro
sono fra .i pochi protagonisti — veri e propri protagonisti nel senso nostro della
parola — che si trovino n e ll’ antica poesia greca e rom ana. Il mio concetto è assai
sem plice : si suol dire che protagonista d ell’Iliade è A ch ille, della trilogia eschilea
(Agam ennone E u m enid i Coefore) O reste, d ell’ E neide E nea. Ma ciò è vero, solo
se s’ intende cum grano salis : in realtà protagonista d ell’ Iliade è l ’ esercito greco
intorno a T roia, d ell’ Eneide il concetto d ell’ orìgine e della m issione di Rom a,
d ell’ Orestiade non sappiamo bene se una intera fam iglia o il concetto di una illu ­
m inata ed equa giustizia che succede ad un periodo di sangue e di ferro : proba­
bilm ente l ’ uno e l ’ altro. Veram ente era proprio della poesia antica collocare al
centro d ell’ opera tutta intera una nazione od un popolo é illum inarla con un
concetto predom inante che equam ente irradiasse la sua luce su tutte le parti. Ma
n e ll’ Odissea — fonte principale del m ito di U lisse presso i m oderni — tutta l ’azione
s’ im pernia intorno ad un personaggio ; e nel Prom eteo incatenato — fonte quasi
unica del m ito di Prom eteo — Prom eteo è un vero e proprio protagonista.
Sì U lisse che Prom eteo sono solitarii ultim i resti di due tum ultuanti epopee.
La guerra troiana è com e un’ im menso naufragio in cui annega tutta la G recia eroica.
U lisse è il solo superstite, e raggiunge il lido della patria, quando già tutti gli
altri com pagni sono periti vittim e delle ferite d elle tem peste della vecchiezza o dei
tradim enti dom estici. E Prom eteo è l’ultim ò dei T itan i : savio e prudente egli non
vo lle guerreggiare con Zeus che sentiva predestinato alla vittoria, e, quando tutti
gli altri T itan i, sconfitti nella terribile battaglia, erano già im prigionati nei regni
infernali, egli solo rim aneva sulla terra, apprestandosi a quel furto del fuoco che
doveva far divam pare fra lui e la divinità vittoriosa \m conflitto ben più tragico,
perché più personale, della pugna di Fiegra. D alla stessa sua natura di Titan o egli
era destinato a contrastare con G iove ; ma il contrasto non fu questa vo lta una
battaglia, sibbene un duello, e perciò di gran lunga più interessante per il senti­
m ento cavalleresco e individualista d ell’ età nostra.
U lisse e Prom eteo em ergono dunque solitari e giganteschi da due giganteschi
naufragi : em ersero anche dal naufragio della m itologia, e, quandò V enere e A done,
Leda e F ilom ela erano proscritti in bando perpetuo, continuarono a suggerire
grandi parole alle menti dei poeti. Essi furono creati sim boli della invitta potenza
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um ana che resiste contro la tirannia degli elem enti e contro la soperchieria d elle
forze um ane : e, com e più lunga e più fortunata fu la loro resistenza, così della
resistenza divennero tipi ideali. L a m oglie di A gam ennone Cliten nestra non ebbe
che un solo pretendente durante 1’ assenza del m arito : E gisto. Ma questo uccise
il m arito reduce e preparò una sorte di sciagura a lla casa d egli A trid i. A iace O ileo
non incontrò che una sola tem pesta nel viaggio di ritorno, ma ad essa dovette
soccom bere. E U lisse, al contrario, uccise g l’innum erevoli pretendenti di Penelope,
e, aiutato dalla divinità protettrice e dalla saggezza del suo cuore invitto, passò
incolum e a traverso le disavventure più terrib ili e vinse od evitò i m ostri del
m are e le insidie della terra. E , se la forza dei T itan i — inutile perchè irragio­
nevole forza — fu dom ata d al fulm ine di Zeus, Prom eteo, si, fu incatenato, ma
dopo aver offerto agli uom ini il grande donativo del fuoco, e ottenne infine —
dopo tredici generazioni di patim enti — la liberazione dal cielo e g li onori divini
dalla terra.
P er tal m odo si form arono parallelam ente i m iti m oderni di U lisse e Prom eteo
rib elli alla divinità, alla tradizione, a lla legge : che è com e dire datori e inventori
di progresso. Da Dante in poi si è venuta rielaborando la leggenda di U lisse, che
preferì i rischi e le fatiche della navigazione alla tran q uillità che la sua casa e il
suo regno g li offrivano, e, giunto alle colonne d ’ E rcole — ne plus ultra — spinse
più oltre la sua navicella, correndo alla m orte ed al final sacrificio per il desiderio
di conoscere e di sapere. E una schiera di poeti, tra i quali il più eccelso è lo
Shelley, im m aginarono in Prom eteo 1’ eroe senza paura di fulm ini e di m aledizioni,
nem ico senza tregua della tirannica divinità, donatore agli uom ini delle arti e del
progresso in odio a ll’ olim pico oscurantism o, iniquam ente m artirizzato e liberato
infine e coronato di gloria, quando il pregiudizio m onarchico e teocratico crolla
e la libertà diffonde la sua vasta luce sul rinnovato m ondo.
Il Prom eteo di Sh elley è il fratello m aggiore del Satana di C arducci, com e il
Satana di C arducci è il fratello m aggiore del Lucifero di Rapisardi. N on è, com e
dice
un
mio caro amico, che Dio sia classico e Satana sia rom antico : ma
quando si vo lle nel seno stesso della teologia cristiana trovare un serpente capace
di m ordere la divinità — che in fondo è il prete nel debole raziocinio di
quegli artisti — la m itologia cristiana offerse Satana. In M ilton e nella Bib­
bia è vin to : diam ogli la rivincita, e sia egli liberato com e già fu Prom eteo. E
fin qui giungono anche le analogia tra Prom oteo ed U lisse : la sua qualità di
frodolento e di astuto, la sua finale vittoria sulla divina ira di N ettuno, la sua
infrazione della legge, quando oltrepassò le colonne d’È rcole, erano già qualche
cosa di diabolico. Pensate poi che gran parte della sua popolarità l’U lisse m oderno
deve a Cristoforo Colom bo ; e pensate che non solo l ’ invenzione e la scoperta è
concepita in generale come qualcosa di satanico e di antireligioso, ma che la sco­
perta del m ondo nuovo era nel poem a di L uigi P u lci preannunziata dal buon diavolo
Asturotte. E d ecco che un piccolo paio di corna increspa i capelli sulla testa del
buon navigatore.
III.
D ovrebb’ essere inutile aggiungere che ben poco di tutto ciò è n ell’ antico
U lisse o n e ll’ antico Prom eteo. Ma non è. C iò che più amiam o è anche ciò che
più profondam ente trasform iam o; e i poeti m oderni, prediligendo questi sugli altri
miti d ell’antichità classica, li han resi perfettam ente irriconoscibili. L a critica non
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sempre ha fatto il suo dovere : non 1’ ha fatto punto per U lisse, e per Prom eteo
ha avuto profonde e sottili disquisizioni, in latino e in tedesco, che per la com une
degli uom ini è proprio come non ci fossero. E quei critici — cito ad esem pio
il G ra f — che han parlato di Prom eteo per il pubblico, in luogo di discutere,
hanno esagerato la com une concezione dei poeti.
Di Prom eteo non è parola in Om ero : il suo m ito albeggia in E siodo, e giunge
al m eridiano della gloria in E schilo. Le leggende di Prom eteo, quali resultano dalle
indagini della m itologia comparata, sono m olteplici, confuse e talvolta contraddit­
torie. N o i trascurerem o tutte le appèndici e le diram azioni, e non parlerem o se
non di ciò che è vivo ancora nella nostra fantasia. Se il nom e di Prom eteo signi­
fichi il previdente o non debba piuttosto interpretarsi com e il sanscrito pramantha
che indica lo strum ento con cui gli uom ini prim itivi accendevano il fuoco ; se sia
originaria la leggenda che fa di Prom eteo non un benefattore ma addirittura il
creatore d ell’ u o m o ; s’ egli fosse figlio di T em id e o della T e rra o d ell’una e d el1’ altra, che poi sarebbero una persona sola, ha poca im portanza per noi in questo
m om ento. Di Prom eteo non vive nella coscienza m oderna se non ciò che cantarono
i gran d i poeti antichi ; direm o anzi, se non ciò che cantò Eschilo.
In Esiodo il m ito è narrato con poche parole e con poco calore poetico. V ’è
però nella T eogon ia un particolare notevole, perché dei pochi che concordano se
non con lo spirito delle Prom eteidi m oderne, che è tragico e non burlesco, alm eno
col loro significato sostanziale. Prom eteo, prim a di rubare il fuoco per donarlo
agli uom ini, si sarebbe preso giuoco di Zeus in questo m odo : divise un bove in
due parti e n ell’ una raccolse le carni e g l’ intestini pingui di grasso e ogni cosa
nascose nel, ventricolo del bove ; n e ll’altra invece am m ucchiò tutte le ossa e con
astuta e ingannatrice arte le accom odò e nascose sotto un bianco strato di grasso.
P oi disse a Zeus di scegliere delle due parti quale più desiderasse ; e Zeus - scioc­
chissimo iddio - scelse le ossa, attratto dal seducente aspetto del grasso. A diratosi
d ell’inganno, si vendicò sugli uom ini della b u rla ; e tolse loro il fuoco.
Questo episodio è morto per noi ; la vera Prom eteide com incia dopo ; e qui
g li elem enti del m ito sono identici in E siodo ed in E sch ilo. Prom eteo rapi il
fuoco alla casa degli dei, e lo riconsegnò agli uom ini, che ne eran rim asti privi
dal tem po della gioconda b u rla ; ed in punizione venne incatenato ad una rupe,
ed un’aquila g li rodeva l ’im m ortale fegato, che di tanto ricresceva nella notte
quanto il feroce u ccello ne aveva divorato nel giorno. E g li uom ini, forse perchè
troppo im baldanziti della illegale conquista, furono puniti coi doni di Pandora e
co l celebre scrigno, dal quale tutti i beni fuggirono e vi rim ase ultim a la spe­
ranza. Poi, dopo che Prom eteo ebbe per m iriadi d’anni sofferto la sua pena,
E rco le venne a lib era rlo : uccise l’aquila e sciolse le catene.
T a le è la leggenda che fu fatta eterna da E schilo nella sua trilogìa. N oi ab­
biamo i tito li delle tre tragedie : il Prom eteo portatore di fuoco, il Prom eteo
incatenato e il Prom eteo liberato; ed è probabile — cosi alm eno sembra dalle infi­
nite contese critiche che su questo punto si sono agitate — che veram ente le tre
tragedie stessero in quest’ ordine, che è il più logico : prima la colpa - o, per i
poeti m oderni, il m erito - poi la punizione o il m artirio, infine la liberazione o
l’apoteosi. Ma del Prom eteo portatore di fuoco poco più abbiam o che il titolo, e
del Prom eteo liberato appena è se ci rim angono alcuni framm enti, né tutti signi­
ficativi. Abbiam o in com penso il Prom eteo incatenato, e questa è la gran fonte
d tutta la poesia prom eteica moderna.
21 * H E R M E S
Abbondano le traduzioni in tutte le lingue, nè m ancano a ll’ Italia.
V o i certo
ne avete letta qualcuna, e ciò sim plifica il m io com pito. Basterà accennare che la
scena si svolge nei paesi deserti ed inospiti della Scizia e che - direm m o m oder­
nam ente - il sipario s’alza ^quando E festo-V u lcan o giunge con l ’ordine di eseguire
la sentenza di G io ve e di legar Prom eteo alla rupe con l’aiuto della V io len za e
d ella Forza, m inistre di Giove.
Efesto ha quasi com passione del vinto ; ma la
V io len za e la Forza sono spietate e lo incitano a troncare gl’ indugi.
C osì P ro ­
meteo vien e incatenato, e, rim asto solo, innalza i suoi lam enti, invocando a
testim onianza il cielo il m are g li elem enti. A ttratte d all’ insolito rum ore ven­
gono intorno a lui le O ceanine che form ano il coro com passionevole e saggio
e poi O ceano m edesim o che per la prim a volta abbandona la sua abitazione m a­
rina ed offre al titano incatenato l ’interposizione dei suoi buoni ufficii presso il
re d ell’Olim pò. Ma Prom eteo, altiero e sdegnoso, rifiuta : egli sa bene che G iove
cederà un g io rn o ; egli possiede un terribile segreto, che sarà prezzo della sua
liberazione. Q ual sia il terribile segreto egli non dice, ma noi sappiam o : è che
se G iove un giorno si congiungerà a T etide, nascerà dalle fatali nozze un figlio
più forte del padre, che sovvertirà la signoria di G iove, com e G io ve avea già
sovvertita la signoria di Saturno suo padre. U nico scampo è questo : dar T etid e in
m oglie a un m ortale, come poi avvenne ch’ella sposò Pel'eo, e n’ebbe A ch ille. Ora
questo non sa G iove e Prom eteo sa; però egli sfida altezzoso la potenza del nume.
E l ’ira sua raggiunge il culm ine, quando irrom pe sulla scena Io, la figlia d’Inaco,
perseguitata da G iunone e trasm utata in vacca e costretta ad errare per il mondo
per gelosia che la dea aveva della m ortale desiderata da G iove. Il nuovo re del­
l ’O lim po è dunque libidinoso e prepotente“ peggior tirannia non s’ebbe mai sulla
terra. E i due infelici mescono i loro lam enti e le m aledizioni, finché la venuta
di E rm es-M ercurio non interrom pe il dram m a con l a ' catastrofe che aggrava le
sventure del titano. M ercurio viene inviato da Zeus per chiedere a Prom eteo la
rivelazione del segreto ; ma Prom eteo rifiuta, se prim a Zeus non lo scioglie dalle
catene. A questo il m essaggero divino si rifiuta, ed annunzia al ribelle un ina­
sprim ento delle sué sofferenze, nel caso ch’egli perseveri nel suo silenzio : « que­
sto scabro dirupo col tuon o e con la F olgore fiamm eggiante il Padre squarcerà
e sprofonderà il tuo corpo ; e così una petrosa voragine ti terrà stretto fra le sue
branche. T rascorso quindi un lungo spazio di tem po, tornerai di nuovo alla luce.
E allora il pennuto guardiano di Zeus, l’aquila cruenta, voracem ente ti dilanierà
e farà del tuo corpo un enorm e straccio, e strisciandoti da presso per tutto il
giorno, conviva non invitato, si pascerà del tuo fegato, nero pasto. D i tale sup­
plizio non aspettarti alcun term ine ; bisognerebbe che si presentasse un qualche
dio pronto ad assum ere per sé le tue pene e che volesse discendere lui nel buio
A des e in m ezzo ai tenebrosi abissi del T artaro» (’ ). Questa dipintura dei più atroci
supplizii non 'ha alcuna efficacia su ll’ invitta anim a del T itan o, il quale persiste
nel rifiuto di rivelare il segreto, e, squarciatasi la rupe, piom ba nelle tenebre e
n e ll' abisso.
IV.
L a tragedia unica a noi conservata d ella trilogia, si chiude, lasciando nello
spettatore l’im pressione d’un invincibile orgoglio ; e le parole d ell’ incatenato a
M ercurio, il prezzolato servo degli dei di cui non vorrebbe in nessun
m odo la
*(*) T ra d . d i M . V a lg im ig li.
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sorte, sono atte a farla più intensa.
Ben s’ intende che il lettore m oderno abbia
parteggiato per Prom eteo ; e, poiché della terza tragedia - il Prom eteo liberato abbiamo poco più che il titolo, era facile im m aginarvi un’ apoteosi del vinto e
un’um iliazione della prepotente divinità. E sch ilo diveniva il precursore di Shelley.
F in dal tem po di Bacone si vide in Prom eteo un vindice della ragione ; ma
finché l’ idea del progresso non entrò nel com une patrim onio d elle idee fatte, né
i poeti né i pensatori si occuparono con insistenza del portatore di fuoco. L a sua
popolarità com incia a ll’ istante in cui scoppia la rivoluzione francese e s’ inventa
la locom otiva, e dura e durerà. N on parlerem o dello Shelley, perché tutti lo
conoscete ; né degli altri poeti, essendo la rassegna che ne fece il G ra f quasi
esauriente. Ma anche i critici soggiacquero alla com une tendenza. Edgardo Q uinet, per esempio, non si contentò di com porre una nuova trilogia sul m ito di
Prom eteo, ma, discorse criticam ente dello spirito di ribellione e di eresia che è
nei tragici greci. T rovò tracce d’em pietà nel Filottete di Sofocle, e asserì che nel
Prom eteo e nelle Eum enidi la rivolta è flagrante. Più in là del critico-poeta giunse
un critico puro, lo Schutz, il quale era perfettam ente convinto avere E sch ilo
composto il Prom eteo per am m onire g li A teniesi contro i pericoli della tirannia,
e per innam orarli ancor più vivam ente del regim e repubblicano. A n zi, secondo
lui, l’ ingresso di Io perseguitata sulla scena serviva a dim ostrare come non solo
la libertà personale ma anche l’onore delle fam iglie, la castità delle spose delle
m adri d elle sorelle è continuam ente in pericolo nei regim i m onarchici.
E a un di presso le m edesim e cose ha ripetute il Graf. A n ch ’egli crede che
10 sia introdotta in iscena per dare una prova irrefrugabile della m alvagità di
G iove ; anch’egli esalta Prom eteo perché, pur sapendo di dover essere punito,
fece tuttavia quel che il cuore g li suggeriva. « L a sua passione » egli dice acca­
lorandosi « è un’azione. L e parole ch'egli pronunzia nella im m obilità turbano il
cielo ; l’oppressione che patisce solleva n ell’ animo un sentim ento contrario a quel
che dovrebbe, dà l’idea di una enorm e invin cibile potenza. Paragonata alla sua
com e im pallidisce la figura del G iove trionfante ! » E , indagando le ragioni per cui
11 m ito di Prom eteo non fu popolare a ll’epoca d ell’ im pero rom ano, osserva che
« sopravvenuta la tirannide im periale, la figura di qu ell’antico usurpatore delle
prerogative divine, di q u ell’ indom abil ribelle, fautore di libertà e banditore di
giustizia, doveva tornare assai poco gradita a chi si teneva un G iove in terra,
m entre, da altra banda, al popolo già fatto a ll’abito della servitù, im brutito e
snervato, non poteva riuscir nem m anco intelligibile. »
Per lo Schutz e per il G ra f dunque, com e già per lo Sh elley, il significato
politico si aggiunge al significato religioso : Prom eteo non è solam ente l’anti-D io,
il Satana trionfante, Lucifero rivendicato - anche i nom i si prestavano alla con­
fusione : Lucifero è l’ànnunziatore della luce, come Prom eteo è il portatore di
fuoco - ma anche il libero cittadino, che m anda a spasso i despoti ed inaugura
la repubblica. E g li cum ula in sé la funzione di Bruto regicida e qu ella di G io r­
dano Bruno.
V.
U na
interpretazione contraria a questo volgarizzam ento tra voltairriano e
m azziniano del mito, se non si trova ancora in poesia, è però antico nella critica.
E ra naturale che su ll’irreligiosità di E sch ilo sorgesse qualche dubbio fra i non
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ignoranti lo spirito della tragedia ateniese;
e veram ente a chi ricordava le so­
lenn i parole con cui n e ll’ Agam ennone vien celebrata la grandezza e la giustizia
di G iove, a chi ricordava l ’entusiasm o pindarico che trovava per la suprem a divi­
nità olim pica g li appellativi « di padre, sapiente artefice, inventore della giustitia
e della legge » doveva sem brar problem atico che in un’epoca di tale entusiasm o
religioso quale fu quello che segui a lle guerre persiane e da u n poeta di tanta
fede e di tanto ardore quale fu E sch ilo si pensasse un’ opera d’ arte con intenzioni
eretiche, com e pretese il Quinet. Si osservava inoltre che della trilogia non ci
resta che il Prom eteo incatenato, nel quale udiam o le parole dei vin ti solam ente
e non quelle del vincitore : sappiam o che Prom eteo ed Io ritengono m alvagia la
signoria di G iove, il ch e è ben naturale ; ma non sappiam o con precisione quali
fossero i sentim enti e g l’ intendim enti del poeta, che dovevano più chiaram ente
risultare dal Prom eteo incatenato. E ra anche facile osservare che il coro nelle cui
strofe i poeti tragici usavano esprim ere la significazione m orale d e ll’ opera, nel
Prometeo incatenato non s’ esprim e troppo decisam ente ; ma che parteggi per il
ribelle non si può affatto asserire : lo com patisce, com ’ è suo ufficio ; ma non ha
parole che suonino irreverenza verso G iove, e, in fondo, consiglia al vin to la
sottom issione e l’ obbedienza. Q uando viene M ercurio e chiede la rivelazione del
segreto e Prom eteo rifiuta, così lo co n siglia il coro : « A noi in verità, E rm es non
ci sem bra ché dica cose inopportune ; poiché ti consiglia di deporre l ’ orgoglio e
di rintracciare in te stesso la sacra prudenza. D agli retta ; ché per un sàvio è
brutto ostinarsi n e ll’ errore. » E vero che Prom eteo tratta M ercurio com e un vii
servitore ; m a M ercurio tratta Prom eteo com e un pazzo e lo chiama « maestro
d’ inganni, che tutti sorpassa n e ll’ acerbità d ell’ ira. » C iò non basta ad afferm are
che per E sch ilo aveva ragione M ercurio, ma non è buono a dim ostrare il contrario.
Perciò qualcuno ha detto che, se Prom eteo parlava con irriveren za e con ira del
padre degli uom ini e degli Dei, le sue bestem m ie appartengono così poco ad E sch ilo
com e le bestem m ie di Satana appartengono a M ilton.
T u tte queste ed altre varie ragioni favorirono il sorgere di una concezione
del m ito ben diversa da qu ello che piacque allo Shelley e che piace al Graf. P ro ­
m eteo accusa G io ve d’ ingratitudine e di nequizia, e si vanta d’avere aiutato G iove
nella guerra contro i T ita n i e d’aver beneficato g li uom ini col donativo del fuoco.
O rbene, dice lo Schoem ann sguainando la sua spada erudita per far le vendette di
G iove, questi non sono vanti, sono m illanterie. N on è punto vero che Prom eteo
abbia aiutato G iove, è falsissim o che abbia beneficato g li uom ini. E g li liberò g li
uom ini d alla paura della morte, ma non diè loro la speranza d e ll’ immortalità.
Diede agli uom ini il fuoco, le arti, la possibilità di lavorare i m etalli, e tan te altre
belle cose : le quali però non sono che vantaggi corporali e m ateriali, e non costi­
tuiscono che una civiltà esteriore incapace di qu el m iglioram ento interno che g li
uom ini potevano solo aspettare da G iove. E d anche nel Protagora di Platone,
rincalza lo Schoem ann, è detto che Prom eteo non potè donare agli uom ini la
saggezza politica, la quale apparteneva solam ente a G iove. Prom eteo non sarebbe
più un B ruto prim o che uccide giustam ente T iniquo re T a rq u in io ; sarebbe il
Bruto secondo — ma non di A lfieri, il Bruto secondo di Shakespeare e della cri­
tica m oderna — che con ingratitudine e stoltezza leva la mano om icida contro il
giusto e nobile cuore di Cesare. E un’ altro critico rincarando la dose, a sostenere
che Prom eteo è in E sch ilo il tipo di un falso am ico del popolo, di uno svergo­
gnato dem agogo ; ed il W eck lein a ricordarci che Zeus voleva a lla difettosa umanità
24 * H E R M E S
allora esistente sostituirne una perfetta creata secondo i suoi principi! e che pro­
prio Prom eteo g li traversò i piani, e, preoccupato d ell’ istante, sacrificò l’avvenire.
Se l’ interpretazione um anitaria e liberale del m ito feriva il buon senso, que­
st’ altra feriva il sentim ento. A llo ra si cercò una via conciliativa. Il Dissen trasportò
la indulgente teoria m anzoniana sul diritto e sul torto che non son mai da una
parte sola dalle contese um ane alle contese divine. Perchè, pensò egli, bisogna
sostenere che Prom eteo aveva torto e G iove ragione o viceversa ? Sarà m eglio dire
che un po’ di torto c’ era d all’ una parte e d all’ altra. Prom eteo era colpevole di
aver beneficato g li uom ini contro la volontà di G io ve; G iove era colpevole di non
aver riconosciuto una innegabile bontà di intenzioni in Prom oteo. L 'o p in io n e,
com e tutte le m edie opinioni, fece fortuna. Il Prickard, per esempio, credeva che
« E sch ilo e tutti g li spettatori forniti di un nobile cuore dovevan sentire che
Prom eteo aveva ragione e che nessuno d’ essi, nel suo caso, avrebbe voluto agire
diversam ente da lui. E tuttavia egli aveva anche torto. E difficile dire in che cosa
propriam ente consistesse il torto : se nella soverchiante bram osia, o n e ll’ eccesso
di fiducia in sè, o n ell’ o rg o g lio ; ma in questa o in quella che fosse, riesce certa­
mente difficile asserire che Prom eteo avesse incondizionatam ente torto o incondi­
zionatam ente ragione. » E da noi prim a il Fuochi, non decidendosi a condannar
Zeus, ma pur tuttavia riconoscendo che « Prom eteo ci appare il vero autore del
progresso um ano, e pex-ciò la sua sorte desta la nostra/pietà » e più tardi il V a lgim igli si fecero banditori della terza opinione. Il V algim igli ha tentato con m olto
ingegno e con m olta fortuna un’ intera ricostruzione della trilogia, ed ha anche
indagato il valore com plessivo della leggenda. V o i sapete che Prom eteo viene
alfine liberato da E rcole, il quale uccide 1’ aquila che rodeva il fegato al titano.
Ma, prim a della liberazione, Prom eteo rivela il segreto.
« F ra Zeus e Prom eteo » conchiude il V algim igli « si stabilisce un patto: dica
Prom eteo il segreto e Zeus lo libererà. Così avviene. L ’azione dunque non si svolge
secondo che per l ’ innanzi era stato predetto, che cioè Prom eteo avrebbe rivelato
il segreto soltanto dopo liberato da Zeus ; ma né meno avviene nel modo contrario
che cioè Prom eteo sarebbe stato liberato solam ente dopo che avesse rivelato e in
com penso di averlo rivelato. N e l prim o caso ci sarebbe stata um iliazione per Zeus,
nel secondo per Prom eteo. Invece, con una prom essa fatta da Zeus, col segreto
rivelato da Prom eteo dopo codesta prom essa, con la liberazione dopo la rivelazione
c’è com penso reciproco, non discredito nè scorno per alcuno. »
VI.
Ma la soluzione del V algim igli mi par di quelle che, per volere contentar
tutti, non soddisfano nessuno. E v ’ è qualche cosa in questa soluzione che nè io
com prendo nè voi certo com prenderete. Il V algim igli dice che non avviene nem ­
m eno nel m odo contrario : che, cioè, Prom eteo sarebbe stato liberato solam ente
dopo che avesse rivelato il segreto e in com penso d’averlo rivelato. A vviene invece
che Zeus promette di liberar Prom eteo, dopo ch’egli riveli li segreto, che Prom eteo
lo rivela e allora Zeus lo libera ; cioè, se non m ’ inganno, dopo aver rivelato il
segreto e in com penso d’averlo rivelato. D ove sia la differenza non vedo.
In sostanza non è punto vero che, fatta la somma, vi sia reciproco com pro­
messo, senza discredito nè scorno per alcuno. V ’è discredito e scorno per qualcuno,
cioè per Prom eteo, che soccom be, quanto un dio può soccom bere, a lla . potenza
vittoriosa. Il vaticinio di M ercurio, con cui si chiudeva il Prom eteo incatenato, s’è
25 * H E R M E S
com piutam ente avverato. Prom eteo è caduto n e ll’ abisso, poi è ritornato alla luce
c o ll’ aggravam ento di pena d ell’ aquila che gli rode il fegato, finalm ente é liberato ;
ma nemm eno la rivelazione del segreto basta a sciogliere le catene. Bisognerà —
gli aveva predetto M ercurio — che un’ altro im m ortale acconsenta a scendere nel
T a rta ro in tua vece. E solo perchè E rco lé trova il Dio ben disposto — Chirone,
che stanco d ’ un’ infelice im m ortalità preferisce naufragare nella m orte — Prom eteo
ritorna libero, e si cinge la fronte d ’una corona di vim ini in m em oria delle catene
sofferte ed in segno di tranq uilla sommissione.
Di tran q u illa som m issione — dicevo — ed appunto in questo sentim ento è la
vera vittoria di G iove piuttosto che nei sem plici e. nudi fatti svoltisi secondo la
sua volontà. T r a i fram m enti che noi conosciam o del Prometeo lib era to le n’è uno
im portantissim o, ed è la lam entazione del prigioniero al principiare del dramma.
Il T itan o é incatenato alla rupe del Caucaso. E g li parla : « O stirpe dei T ita n i
partecipe del sangue mio, progenie di U rano : guardate l’ incatenato avvinto su
aspre rocce, come quando i paurosi naviganti, tem endo la notte, se il m are rum o­
reggia in tem pesta, legàno la nave. C osì Zeus, figlio di C ron o, qui mi confisse, e
al volere di Zeus si aggiunse la m ano di Efesto. Costui con atroce arte conficcan­
dom i questi chiodi nelle m em bra m e le spezzò ; ed io, m isero, con siffatta cura
trapassato e percosso, abito questo cam po custodito dalle E rinni. E ora, ogni due
giorni, àhi, giorno funesto !, il satellite di Zeus, volan dom i lúgubrem ente da presso
con g li adunchi artigli mi fa a brani e mi dilania, suo fiero pasto ! ; poi rim pin­
zatasi del pingue fegato e abbondantem ente sazia, l’aquila spande un largo clam ore;
e alto volando via, con la pennuta coda striscia sul mio sangue. Ma quando il
divorato fegato, rigonfiandosi d’ ira, è ricresciuto, allo ra essa torna di nuovo, avida
al tetro pasto. E così io nutro questa custode del mio triste m artirio, la quale me
vivo insozza con angoscia perenne. Perocché, com e vedete, stretto dalle catene di
Zeus, io non posso allontanarm i il crudele u ccello dal petto. E così io fatto privo
di me stesso, devo subire questi m alanni torm entosi, cercando nel desiderio della
m orte un term ine alla m ia sventura ; ma lun gi dalla m orte respingem i il volere
di Zeus. E questo antico doloroso strazio, agglom eratosi orrendam ente da secoli
è infisso al m io corpo ; dal quale, liquefatte d all’ ardore del sole, cadon giù gocce
che di continuo stillano sulle rocce del Caucaso. » È ancora Prom eteo, il grande
ribelle ; ma quantum mutatus ab ilio ! E g li appena ha una parola di rim provero per
V u lcan o, ma la bestem m ia contro G iove g li s’ è disseccata su l la b b ro ; egli che
alla fine d ell’ Incatenato sfidava l’ ira del nume, vantandosi che mai non l ’avrebbe
potuto uccidere, ora desidera la m orte e solo si lagna che G iove non gliela con­
senta. E g li è già prosternato davanti al trono : la sua parola non suona che
rassegnazione e lam ento. Ormai~l’aquila, rodendogli per m igliaia di anni il fegato
— sede d ell’ orgoglio e d ell’ ira — lo ha dom ato per sempre. A che parlare di
com prom essi e di m utue concessioni? la vittoria di G iove su Prom eteo é anche
più grande, se son leciti questi paragoni, di qu ella che il dio biblico riportò su
Satan a: poiché m entre Satana rim ase forza viva ed operante del m ale, perpetuo
antogonista della bontà e della giustizia, Prom eteo curvò la testa al giogo e rientrò
n e ll’ ordine della grande unità.
Veram ente egli non era mai stato un sim bolo di assoluta ed invitta ribellione
com e a tanti è parso. E g li si vantava n ell’ Incatenato di aver aiutato G io ve ad
im padronirsi del regno contro la volon tà d egli altri titani ; si vantava di avere
insegnato agli uom ini il modo di com piere i sacrifici più accetti agli Dei. Le sue
26 * H E R M E S
lam entazioni eran segno di debolezza, per un Dio : vanti una forza che non è
nel tuo debole cuore — gli diceva M ercurio. Infine, la sua condotta per ciò che
riguarda il segreto, è illogica in un ribelle : egli sapeva che se G iove fosse rim asto
n e ll’ ignoranza, il figliuolo nascituro delle sue nozze con T etid e lo avrebbe spode­
stato della celeste signoria.
Perché dunque patteggia la rivelazione del segreto
invece d’ attendere un’epoca m igliore, invece di liberar — col silenzio —1 g li uom ini
e la terra da tanta tirannia ? Rivelando il segreto, egli ritorna un sostegno del1’ ordine e una colonna del potere ; la sua sconfitta è com pleta. A n zi sconfìtta è
quella di Satana : la suà è dedizione.
E non a questo si lim ita la vittoria di G iove : ché, se Prom eteo fosse vera­
mente un sostegno della sua autorità, sarebbe m eritevole di gratitudine e per ciò
stesso com pensato in parte della sua um iliazione. Ma Giove, sicuro d ell’ eternità
del suo im pero, non aveva mai tem uto lo spauracchio del terribile segreto : tanto
è vero che, alla fine dell’ Incatenato, invece di sciogliere il ribelle che s’ ostinava a
tacere, lo fa sprofondare n ell’ abisso. Probabilm ente ha ragione lo Schoem ann, il
quale crede che G iove chiedeva la rivelazione del segreto unicam ente per vedere
se l ’oltracotanza di Prom eteo erasi calm ata, non per paura che avesse. E infatti,
prim a di liberarlo, egli ha già richiam ato alla luce, di sua libera volontà, il padre
Saturno confinato nel T artaro ; e, assolto ih questo modo dalla m aledizione paterna,
il pericolo di T etid e non grava più sulla sua testa. Q uando Prom eteo rivela il
segreto, è un segreto assolutam ente inutile.
L ’ordine e, diciam o pure, la P rovvidenza trionfano sm isuratam ente, le minacce
di Prom eteo sono inutili come vane sono le sue burle. E g li credeva d’ ingannare
G iove, quando a M econe spartì con frodolenza il bove ; ma G iove, dice espressam ente Esiodo, s’ accorse d ell’ inganno prima ancora di scegliere, e m editò la sua
vendetta ; poi prese le ossa coperte di grasso e punì i colpevoli. A llo stesso modo
G iove s’ è liberato dal pericolo prim a ancora d ell’ intervento di Prom eteo, che
riesce um iliante per il ribelle e superfluo per il vincitore. T u tto ciò che G iove fa
è giusto e santo ; quelle che parevano sue colpe vengono dalla catastrofe giustifi­
cate nella eterna ragione delle cose. Prom eteo m alediceva alla vista di Io perse­
guitata la prepotenza e la lussuria del nuovo dom inatore; e tuttavia da tal prepotenza
e lussuria doveva nàscere Ercole, il liberatore. Il T itan o è m iope com e la rivolta ;
il num e è preveggente, com e la storia, com e la Provvidenza.
VII.
Prom eteo è dunque il vinto ; ma com e mai, s’egli rappresenta lo sforzo d el-
1’ um anità verso il progresso ? S’ intendono le ragioni teologiche della sua condanna
ma non già, direm o, le ragioni m orali. S’ intende che la ribellione al volere divino
è una colpa : se non che in questo caso il volere divino sem brerebbe colpevole e
la rivolta giustificabile. G iove teneva g li uom ini in uno stato di barbarie: Prom eteo
li iniziava alla civiltà. Com e mai g li uom ini e il più uom o fra gli uom ini, un
poeta, Eschilo, poteva parteggiare per il Dio contro il titano ? E già straordinaria­
m ente significativo che, nella trilogia, g li uom ini son com pletam ente estranei, al1’ azione, eh’ essi non intervèngono — nem m eno con preghiere o con sagrificii —
in favore d ell’ incatenato ; che m algrado ciò, nemm eno Prom eteo si lagna della
loro ingratitudine. Sia pure che G iove voleva distruggere 1’ um anità esistente per
crearne una m igliore: ma in ogni modo, non era proprio l ’um anità esistente quella
che poteva rim proverare a Prom eteo di non averne perm esso la distruzione. 11
desiderio d ell’ annientam ento non era un sentim ento greco.
27 * H E R M E S
C iò rese incom prensibile la tragedia fino a quando il rom anticism o non la
ebbe sfigurata. Prim a d all’ ora non fu nè popolare nè amm irata. È assai noto che
il D acier lo chiam ò un m ostro dram m atico, che il F on tenelle non ci capì nu lla
e definì E sch ilo « una specie di pazzo che aveva l’ im m aginazione assai viva ma
niente affatto regolata » che infine Laharpe fece la critica del Prom eteo in quattro
e quattr’ otto con queste parole: « Il soggetto del Prom eteo è m ostruso. G iove
vu o l punire Prom eteo non si sa bene perchè, d’ aver rubato il fuoco dal cielo e
d’ avere insegnato agli uom ini tutte le arti. C iò non può nem m eno chiam arsi tra­
gedia. » Sono scioccherie, nelle quali tuttavia c’ è u n . gran ello di buon senso : poiché
quegli onesti critici preferivano non capire la tragedia anziché interpretarla ad
tisum delphini, dando ragione a Prom eteo e torto a Zeus. In che modo i critici
che d ell’errore rom antico si accorsero tentarono di risolvere la questione, abbiamo
già detto: che qualcuno ha addirittura invertito la concezione rom antica di Pro­
m eteo, ed ha sostenuto che nel T itan o E sch ilo volesse rappresentare il tipo di uno
svergognato dem agogo. C oncezione in verità troppo gretta : Prom eteo è x erto co l­
pevole, ma non della colpa di un conciapelli aristofanesco o di un M arat da
Suburra.
A ltri s’ è inalzato in gloria più spirabile, dicendo che Prom eteo donò agli uo­
m ini una civiltà solam ente esteriore, m entre un m iglioram ento interno g li uom ini
potevano solam ente aspettare da Zeus. O ra io non so se nella mente di E schilo
e dei G reci suoi contem poranei potesse albergare così sottile distinzione tra civiltà
esterna e civiltà interna ; ad ogni m ndo, v’.è una grave inesattezza in questa opi­
nione, ed è che Prom eteo abbia solam ente insegnato agli uom ini il fuoco e le arti,
m entr’ egli dice — E sch ilo — fu m aestro di ogni civiltà. C iviltà religiosa, poiché
insegnò com e si dovessero com piere i sacrifici per riuscire accetti agli dei; civiltà
in tellettu ale, perchè insegnò il num ero, fondam ento di ogni conoscenza. G li u o ­
m ini guardavano senza vedere; ascoltavano senza udire. Prom eteo li trasse dall’ ignoranza. E , se pure la civiltà prom eteica fosse stata soltanto m ateriale e non
m orale, era questa buona ragione per condannarlo ? O, cioè; in G iove s'in ten d e,
poiché egli non puniva il dono, m a la disobbedienza, non il fatto, ma l ’ intenzione.
Ma g li uom ini, se pure solo G iove era capace di dotarli di una civiltà interna,
eran perciò dispensati d all’ obbligo di gratitudine verso colui che li aveva dotati
di una civiltà esterna, non inconciliabile certo con la prim a?
L a verità è anche più in alto, com e suole avvenire, anche più semplice. In
Prom eteo l ’ antichità condanna il progresso. S’ è m olto discusso se g li antichi aves­
sero o no l ’ idea d el progresso; certo non fu l’idea dom inante nella loro vita e
n el loro pensiero. E d una fra le ragioni più apparenti di questa diversità fra noi
ed i nostri è che le invenzioni e le scoperte non ebbero presso di loro l ’im prov­
viso barbaglio che oggi ci stupisce e ci esalta. N essun antico scoperse un intero
continente; nessun antico dom ò una forza della natura, la luce il calore o il moto.
D a ll’ origine alla caduta d ella loro civiltà i m ezzi di vita rim asero press’ a poco
iden tici: si trasform arono le arm i ed alcuni attrezzi, ma erano insensibili muta­
m enti a fronte di quelli cui assistiam o noi d’ anno in anno.
VIII.
Sem bra oggi strana e quasi paradossale una sim ile concezione della storia,
che contrasta con i sentim enti a noi più diletti. Pure essa fu fondam entale nel
pensiero antico. Che si trovino inni e versi nei quali l’ invenzione del fuoco e
28 * H E R M E S
della nave è celebrata, è ben naturale ; poiché è raro trovar sistem atici i sentim enti
di una razza e di' un’epoca intera. Ma i nom i stessi dell« epoche in cui g li antichi
divisero la preistoria e la storia d ell’uomo sono assai significativi : l ’ età dell" oro
fu precisam ente 1’ età in cui non s’ era trovato F oro e g li uom ini vivevano nella
felice ignoranza barbarica, poi; venne l ’età d ell’argento, poi quella del bronzo, poi
quella del ferro. Il progresso è decadenza, le im precazioni agli inventori della
nave e agli scopritori d ell’oro, — chi non ricorda quella di Properzio? — sono ben
più frequenti delle esaltazion i; l ’ età d ell’oro, cioè lo stato di natura è il paradiso
ideale d ell’um anità. Quando V irgilio im m agina un'im provviso m iglioram ento delle
sorti um ane, egli non l ’ im m agina che come un ritorno : « com incia una nuova
era » egli dice ; ma non c’illudiam o, « torna l ’antica età Saturnia. » N on è un’in ­
novazione, è una restaurazione. N on solo Prom eteo è incatenato, é annullato il
suo donativo.
Tu ttavia una delle sorgenti della m oderna idea del progresso fu in Roma.
Svoltosi e ingranditosi il suo potere con m irabile e regolare evolu zio n e per sette
secoli, era possibile finalm ente vedere nella storia umana una lin ea diretta, che
g l’ im provvisi voli e le precipitose cadute degl’ im peri orientali e delle egem onie
greche nascondevano agli uom ini. L ’ altra sorgente fu nel cristianesim o, la conce­
zione ebraica della storia fu anch’ essa di decadenza. A dam o è 1’ uom o n e ll’ età
d ell’ oro, Satana Prom eteo g li dà la conoscenza del bene e del male, ed egli
precipita. Ma in fondo vi è la redenzione, e con questa incom incia una nuova
ascensione che non è ritorno ad Adam o, ma più alta salita, perché non tende al
P aradiso terrestre, m a al Paradiso celeste. E la scienza infine ha irrigidito il con­
cetto del progresso : ha soppresso l’ iniziale decadenza e ha im m aginato la scala
degli esseri, dalla cellu la fino a l genio.
Il
che non toglie che la concezione della storia come regresso abbia radice in
alcuni sentim enti originali ed essenziali d ell’anim a umana, la tendenza a lodare il
passato è com une ai vecchi, osservava Orazio, e in generale agli anim i inquieti
del presente e dubitosi d ell’ avvenire. E , se si pensa che tutti g li uom ini son di­
sposti a m etter l’ideale della felicità nella infanzia e nella giovinezza tram ontata,
si com prenderà com e questo individuale sconforto possa estendersi alla um anità
tutta intera. E d anche da questo lato il cristianesim o alterò il m odo di sentire
com une agli antichi : poiché, per esso, la vecchiaia, se è la fine della felicità terrena,
è anche la vigilia della beatitudine eterna. Cosi la speranza individuale corroborava
la fede collettiva n ell’ avvenire.
C iò m algrado, quanti poeti m oderni han bestemm iato il progresso ed esaltato
lo stato prim itivo d ell’uomo, lo stato d i natura ? L a rivolu zione francese, il punto
di partenza d ell’ idolatria del progresso, fu affrettata dal Rousseau, il quale non
n u triva che l ’ innocente desiderio di tornare alla prim itiva eguaglianza ed alla
originaria libertà. E quando il progresso fatto più rapido della intelligenza umana
e superiore alle forze del nostro cuore, ebbe diffuso lo scoram ento l’incertezza la
m alinconia, si alzarono voci poetiche di rim pianto e il desiderio d ell’antico rifiorì
nelle m enti soverchiate dal turbine moderno. Il ram m arico della giovinezza non
mai goduta e la nostalgia verso la infanzia del genere umano fecero un unico
sentim ento sul cuore del Leopardi. A n ch ’egli avrebbe condannato Prom oteo.
IX.
Il
quale non esce dim inuito da questa nostra analisi. E g li è la vittim a di un
m eraviglioso orgoglio, non certam ente un falso demagogo. Soprattutto l ' intenzione
* H ERM ES
di giovare agli uom ini era in lui, com e in Satana, assai povera cosa in confronto
al desiderio di fare un dispetto alla divinità. É in ogni caso farne un benefattore
degli uom ini è del tutto contrario alla concezione storica e alle idee religiose degli
antichi, com e farne un persecutore di Cristo sia per esaltarlo, sia per vituperarlo,
è una prova di grottesca ignoranza del paganesim o e del cristianesim o, al tem po
stesso.
Certo la concezione della storia, da cui sorge il m ito di Prom eteo, è oltrepas­
sata; ma nessuno può dire ch e- la nostra concezione non sia per essere oltrepassata.
N oi siam o in un secondo periodo di passaggio; com e nel prim o - con la navigazione,
la form azione dello stato, l ’invenzione del fuoco e delle arti - passammo dalla
barbarie ad una prim a civiltà; così ora - col soggiogam ento d elle grandi forze na­
turali - passiamo da una prim a ad una ulteriore civiltà. Quando un lun go periodo
di riposo e di calm a, - sim ile alle euritm iche civiltà m editerranee che successero
alle torbide ere di passaggio - sarà succeduto a questo periodo di rinnovam ento
e di turbolenza, è probabile che s’intiepidirà 1’ entusiasm o per la conquista dei
m ezzi m ateriali di vita, l’ idolatria del progresso, e che sparirà anche il m isonei­
smo estetico ingenerato negli uom ini viventi di m em orie e di studi della turbi­
nosa instabilità delle cose odierne.
In ogni caso avrà sempre ragione G iove, il quale non è il sim bolo della cieca
reazione; tanto è vero che punì Prom eteo, ma non ritolse agli uom ini il fuoco, nè
negò la sua protezione. E g li è 1’ evoluzione o la P rovvidenza, che dir si voglia;
m entre Prom eteo è la rivoluzione. E la colpa di Prom eteo è la medesima colpa
del progresso m oderno, che dà a ll’uom o i più m eravigliosi strum enti di com batti­
m ento e di vita prim achè egli abbia conquistato la forza m orale che lo farà pari
alla bisogna. A llo ra com prenderem o il vero significato delia Prom eteide, e corn- ,
prenderem o anche il vero significato d ell’ Odissea. U lisse, qual è per gli antichi,
che non voleva saperne della guerra di T ro ia e non era affatto un m aniaco delle
esplorazioni e dei viaggi e non altro voleva che la sua tranquillità dom estica e
della fida m oglie Penelope, ci apparirà più saggio e non m eno grande di q u eirav­
venturiero d’em ozioni che i m oderni poeti hanno finto.
G li antichi credevano che la felicità risedesse nel cuore d ell’ individuo e che
ognuno in sè m edesim o avesse la fonte della tranquillità e del dolore; noi aspet­
tiam o felicità individuali dal m iglioram ento m ateriale d ell’universa um anità. E pro­
babile che una terza concezione etica sia destinata a illum inare l ’una con 1’ altra
queste due im perfette verità. E G iove avrà sempre ragione che Prom eteo sia libe­
rato infine, ma dopo una giusta espiazione della sua colpa; e che l ’ uomo apprenda
com e più del fuoco e delle arti valga il dom inio di sè, com e più del progresso e
d ella potenza valga la saggezza.
G
iu se p p e
A
n t o n io
B o rgese.
* HERM ES