Veio, Roma e il culto di Cerere/Demetra

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Veio, Roma e il culto di Cerere/Demetra
SYMPOSIUM CUMANUM
2008
Veio, Roma ed il culto di Demetra/Cerere
Simona Carosi
Questo intervento mira a fare alcune considerazioni sulla diffusione di forme di
culto ed aspetti religiosi greci, tipici della religiosità demetriaca, su alcune divinità
locali, etrusche e latine, in un momento particolare, quale è quello degli inizi del V
sec.a.C.
La presenza della dea greca Demetra e di sua figlia Kore/Persefone è riscontrabile in
Etruria sin dal pieno VI sec. a.C., grazie alle figurazioni su vasi attici che
confluivano in Etruria (cratere François del 570 con corteo tra cui Demetra, Hestia
ed Iris; anfora tirrenica con raffigurazione della nascita di Atena, a Berlino, da
Cerveteri del pittore di Kyllenios del 570-560 a.C), ma è soprattutto tra fine VI sec.
e prima metà del sec. successivo che la complessa mitologia delle dee eleusine si
diffonde, soprattutto in Etruria centro-meridionale, con raffigurazioni che le vedono
assieme presso il carro di Trittolemo, iconografia gradita e rilanciata da Atene tra il
primo ed il secondo quarto del V sec., nel desiderio di legittimare le scelte della
polis, nel momento in cui si legava al santuario e culto di Eleusi; sono tuttavia
presenti anche altre rappresentazioni, quali Persefone accanto ad Hades, anodos di
Persefone, Persefone ed il ratto di Cerbero, Persefone con Sisifo.
In questo stesso periodo si assiste, anche sul fronte delle evidenze archeologiche, ad
una diffusione della presenza di elementi del culto di Demetra e Persefone, in vari
luoghi sacri etruschi. Innanzi tutto, nei santuari di emporio o di asylia, quali
Gravisca, porto di Tarquinia e Pyrgi, porto di Cerveteri:
- Da Pyrgi-Area Sud, posta nei pressi dell’area monumentale (caratterizzata da due
templi, A e B e area sacra C, dove furono rinvenute le famose laminette d’oro
inscritte in etrusco e punico) e caratterizzata da sacelli costruiti in materiale
deperibile e da vari altari e deposizioni nel terreno, sono state rinvenute nelle ultime
campagne di scavo interessanti menzioni epigrafiche: una, sulla parete di una
piccola lekythos attica (?) a figure nere, in alfabeto e lingua greca, è databile a fine
VI secolo e menziona Kore “ [?] κορ[---]”; la seconda è un’iscrizione graffita dopo
la cottura presso il bordo di un piede a disco pertinente a vaso di forma chiusa
(olpe?) attico a vernice nera, in ductus destrorso: “[---]xδαµα[---] [---]ανεθ[---]”.
L’iscrizione, in alfabeto e lingua greca, se in dialetto di Siracusa e delle altre colonie
euboiche in Italia, potrebbe appartenere ad un nome di persona, relativo al soggetto
della dedica, mentre, se in dialetto dorico, menzionerebbe il nome della dea
“∆αµάτρα”, preceduto dall’articolo a lei relativo; è databile alla prima metà del V
sec. La terza iscrizione cita: “Ευµαχος τηι ∆ηµ[ητ]ρι”, è graffita all’esterno di una
kylix attica a figure rosse e menziona il dedicante, un greco di dialetto ionico, ma di
un ambito non attico, nè eubeo, che ha fatto pensare ad una origine foceomassaliota, (mentre le attestazioni del nome stesso sono in epoca arcaica nel nord
dell’Egeo, a Corinto, ed in Sicilia, in particolare a Gela, Akrai e Montagna di
Marzo), e la dea, in caso dativo, che in questo caso si configura come la madre,
invece che come la “figlia”, attributo ber noto per Cavatha, la divinità più
menzionata nelle epigrafi del santuario pyrgense; è databile al pieno V secolo.
Tra i depositi di Pyrgi-Area Sud, degni di nota in particolare sono :
- deposito rho: situato nei pressi del sacello beta, forse riferibile a rituali di
fondazione, è venuto alla luce nel 1998, in una zona piuttosto isolata
dell’area sacra ed è stato datato alla fine del VI sec; è caratterizzato da una
forma circolare regolare e da una grande accuratezza nel posizionamento dei
vasi al suo interno, 45 in tutto, di cui 28 forme chiuse, per contenere e
versare e 17 forme aperte. La deposizione è stata correlata al culto per una
divinità femminile ctonia, ruotando attorno ad un’anfora attica a collo
distinto, inserita verticalmente al centro della fossa, con l’imboccatura verso
l’alto, contenente un apparato di pendenti e vaghi in lamina (sferici, a
ghianda, cavo a forma di carapace, a protome di ariete..); dagli strati
superiori provengono i vasi di capacità maggiori; dallo strato intermedio
provengono i vasi per versare, molti dei cup-skyphoi erano adagiati nel
livello inferiore; unico contenitore non destinato a liquidi e pertinente alla
sfera femminile è una lekanis-pixis con il suo coperchio con pomo a pigna.
(Baglione 2004).
- deposito kappa: situato al limite sud-orientale dell’area sacra, contiguo un
grande altare circolare denominato lambda, al quale potrebbe essere
connesso, forse nel quadro di rituali di fondazione , è stato scavato tra il 1994
e il 1996. I materiali di cui è composto rimandano ai decenni centrali della
prima metà del V sec. All’interno del deposito sono stati distinti tre settori
diversi:
a) Verso N: ricoperto da un bacile in lamina bronzea rovesciato di oltre
70 cm, un
gruppo di vasi portaprofumo di materiale pregiato
(alabastro e pasta vitrea); nella parte più meridionale, un pacchetto di
lamine foliate di bronzo e ferro, correlabili al culto demetriaco della
phillobolia.
b) Verso S, un ammasso compatto di vasi, sia potori sia di forma aperta,
prevalentemente di importazione attica, riconducibile alla sfera
dionisiaca del banchetto e del simposio. A chiudere l’offerta, una
phiale mesomphalos, in cui erano stati deposti una valva di cozza ed
una patella, assieme ad un anellino in bronzo e un dischetto in osso.
c) nella zona W del deposito, un gruppo di offerte a coppia,
comprendente una coppia di crateri a colonnette attici e una coppia di
busti femminili tipologicamente inseribili nel vasto ambito delle
produzioni magno-greche e riconducibili alla sfera di divinità ctonie
femminili. Il cratere meglio conservato è quello con Eracle
simposiasta (480/470), che reca sotto il piede l’iscizione “mi
fuflunusra” (io sono fuflunio), con probabile allusione ad un epiteto
del dio Suri. Fa parte dell’insieme anche una grande olla di impasto
grezzo, che è da considerare essa stessa uno spazio per la
deposizione di offerte, in quanto comprendeva 4 frammenti di aes
rude ed un askos a figure nere; sul fondo dell’olla, un foro era
destinato a far colare il liquido forse proveniente dall’askos. L’analisi
del deposito K ha permesso di dedurre, dalla presenza di forme
strettamente connesse con la distribuzione (crateri) ed il consumo del
vino (kantharos, skyphoi), riferimenti alla sfera dionisiaca, accanto a
quella eleusinia, più volte rilevata in questa area del santuario.
Analizzando le strutture, i depositi e i materiali, si intuisce il carattere ctonio-infero
delle divinità dell’Area Sud di Pyrgi; la presenza di una divinità femminile è
confermato dal dono di statuette in trono, gioielli, ma anche doni legati al momento
nuziale, quali gli epinetra. Sono stati inoltre rinvenuti in tutto il santuario: skyphoi,
lekythoi, vasi configurati a testa femminile e soprattutto piccole olpai di ceramica
acroma e produzione locale, destinate ad attingere liquido, ossa di animali e
strumenti da taglio che evocano il consumo di pasti rituali.
Le attestazioni epigrafiche più diffuse ci parlano di una divinità femminile locale,
Kavatha, nota qui con l’epiteto di “figlia (σεχ)” e spesso in coppia con Suri,
identificato come un dio ctonio-oracolare, una sorta di Dis Pater. Kavatha è legata
alla sfera del matrimonio, come indiziano materiali ceramici noti come doni di
nozze, ed in genere, ai riti di passaggio, come anche le associazioni di forme
vascolari attestano. Anche se è presente Demetra, è stato dedotto perciò un
avvicinamento a Kore per Kavatha, in una data che è ragionevole collocare alla fine
del VI sec.
Nel santuari emporico di Gravisca è ben nota la presenza di Demetra sin dagli anni
’70, quando venne alla luce, presso il sacello beta, l’iscrizione in genitivo alla dea,
posta sotto una kylix attica a figure nere, datata alla fine del VI sec., in dialetto e
scrittura ionica: Dèmetros.
Gli ex-voto pertinenti al naìskos più antico del santuario (dalla fine del VII sec.)
costituiscono un insieme di fondamentale interesse, tra cui i materiali iscritti
permettono l’identificazione della divinità a cui erano dedicati con Afrodite-Turan;
in questa fase i culti dovevano secondo Torelli svolgersi sub-divo, come i depositi di
anfore commerciali attestano, forse offerti come decima in occasione di transazioni
commerciali andate a buon fine. A questa più antica divinità se ne affiancarono ben
presto altre, come Demetra ed Hera.
A Demetra era dedicato l’edificio beta, costituito da un unico vasto oikos (G) di
m. 10,70 x 6,60, con all’interno un pozzo ed un altare, orientato a SE e costruito con
tre blocchi di macco su pianta quasi quadrata (m.0,90 x m.0,95), che ne
costituiscono la fondazione. Sulla piazza ad W di beta, all’aperto, vi era una grossa
pietra rotonda sistemata nelle immediate vicinanze di quella zona occupata poi
dall’edificio beta, che è stata interpretata come un altare rotondo, sulla scorta di
consimili esempi sicelioti e magno-greci, soprattutto legati al culto di Demetra.
L’altare circolare dell’area nei pressi dell’edificio beta, così simile per forma e
collocazione a notissimi esemplari sicelioti, conferma la componente grecooccidentale nella tipologia del culto. L’oikos venne in parte modificato, come anche
le altre strutture del santuario, nella fase finale (300-250 a.C.): venne allora aggiunta
una sorta di anticamera (H) di m.3,80 x 6,60.
Da qui, oltre alla dedica a Demetra provengono anche due dediche alla etrusca Vei:
una sul fondo di skyphos attico a vernice rossa della fine del VI sec.: Vea. inv. 73/
18125; una all’esterno di una kylix attica a figure rosse del 470-460: Vei.
Provenendo le le iscrizioni a Demetra ed alla etrusca Vei tutte dalla stessa area,
Torelli proponeva l’identificazione tra la Vei etrusca e Demetra. Alla fase più
antica del culto di Demetra appartiene la dedica di punte di aratro in ferro, un pinax
locrese, uno stampo per focacce sacre, un deposito votivo datato a partire dalla fine
del V sec, i cui ex- voto giacevano, per lo più in frammenti, in uno strato di crollo di
tegolame, disposti in linea di massima in quest’ordine: a N ed al centro quasi
esclusivamente uteri, a SW teste, numerosi frammenti di statue panneggiate,
statuette ed edicolette, 3 frammenti di maschere femminili.
Recentemente è stato rinvenuto un nuovo deposito a NW dell’area sacra (in scavo
dal 1994) dai caratteri pienamente magnogreci: da qui provengono maschere e
protomi-busto, armi da getto, statuette femminili sedute, molta ed abbondante
ceramica tra cui soprattutto olpai e skyphoi .
Mentre i più antichi flussi commerciali parlano di una componente samia e poi
egineta, i recenti studi sulla nuova stipe votiva scoperta a NW del santuario
avrebbero dimostrato che tra la fine del VI e il primo quarto del V secolo a.C. stretti
legami dovettero esistere tra Gravisca e il mondo siceliota, nel momento in cui si
consolidava la dinastia dinomenide sull’isola e il controllo siceliota dei traffici
commerciali gravitanti sullo Stretto di Messina.
Dagli inizi del V sec. inizia la frequentazione del santuario di Veio/Campetti:
Scavato negli anni ‘39-‘40 da Massimo Pallottino, il santuario risultava
caratterizzato da almeno due edifici, di cui uno coperto, come attesterebbero le
terrecotte architettoniche rinvenute (probabilmente il B) ed uno avente l’aspetto di
un recinto ipetrale (A), secondo uno schema, quello di tempio- recinto, attestato in
altri luoghi di culto demetriaci sicelioti, come a Gela/tempio acropoli e
Siracusa/Piazza della Vittoria.
Tra il 1948 ed il 1952 la Santangelo pubblicava due importarti reperti: una statuetta
bronzea ( meglio di oricalco) di IV sec.a.C. raffigurante una offerente femminile
con porcellino, ed una brocchetta in argilla depurata acroma con iscrizione a Cerere
da parte di L. Tolonios, lo stesso che nell’altro santuario veiente di Portonaccio, fa
una dedica identica a Menerva. Nel 1969 il Gar intraprende uno scavo a Campetti
nei pressi di una “grotta con pilastro” , rinvenuta piena di materiale votivo,
soprattutto pertinente alla fase romana del santuario, nei pressi della quale, erano
state deposte, evidentemente a scopo rituale, almeno 11 olle biansate in una fossa, in
cui erano presenti anche altri vasi utilizzati forse per un rito libatorio ed una statuetta
femminile. Il materiale votivo, databile tra inizi del V sec. e II sec.a.C. è stato
pubblicato nel 1971 da L. Vagnetti (materiali provenienti dallo scavo Pallottino) e
nel 1990 da Comella e Stefani (materiale Santangelo e Gar) ed è considerabile un
deposito, oltre che numerosissimo, molto vario e con alcune specificità tipologiche.
Infatti nella fase più antica (V) sono diffusissime soprattutto teste femminili
provenienti sia da statuette che da maschere, alcune delle quali molto simili a
prototipi sicelioti e statuette femminili stanti (con melograno) o sedute, con o senza
bambino, vicine ad esemplari magno greci. La particolarità del santuario è che sono
presenti anche alcuni esemplari di statuette con porcellino da prototipi geloi ed un
bustino femminile con le mani al petto a tenere un’offerta, che farebbero guardare,
oltre alle specificità rituali ed alle caratteristiche topografiche del santuario ad
analoghi complessi magno-greci e siciliani dedicati a Demetra e Kore.
Suggestivamente per questo santuario che, si ricorda, è collocato dentro le mura
della città di Veio, in posizione defilata ma nei pressi della più importante viabilità
ed a guardare la più antica necropoli, quella dei Quattro Fontanili, è stato collegato
con la divinità Vei, già conosciuta anche in altri contesti etruschi (si ricordi
Gravisca) sin dal 1967. Qui Vei, divinità che proteggeva i passaggi più importanti
della vita femminile, almeno agli inizi del V sec. è assimilata con la greca Demetra,
della quale sembrerebbe assorbire alcune forme di devozione. La posizione interna
alle mura, il fatto che accompagni le fasi fondamentali della storia della città (e sono
avvisabili dei cambiamenti, nel regime delle offerte dopo la presa della città da parte
di Roma) fanno del santuario di Campetti una testimonianza importante per la
comprensione di fatti storico-cultuali anche delle città limitrofe. Osservando più da
vicino la situazione storico-politica della città, si deve ammettere che tra fine VI
sec.ed inizi del V sec.a.C., Veio attraversa un momento cruciale, come in realtà in
tutto il mondo etrusco-laziale, dove si assiste alla crisi delle vecchie aristocrazie ed
al consolidarsi delle strutture urbane. Questo processo portò, nell’agro veiente per
esempio, ad una crescita del numero dei siti rurali, ad una maggiore attenzione per
opere di bonifica idraulica, alla quale si arrivò mediante la creazione di cunicoli e
pozzi, ed a sistemazioni per una più efficiente rete stradale. Tale fenomeno è stato
definito come una sorta di “colonizzazione interna” etrusca, avente il fine di
acquisire nuove terre ad uso dei cittadini e portata avanti proprio dai ceti urbani in
ascesa, talora appoggiati da figure (Thefarie Velianas a Pyrgi o Porsenna a Chiusi)
contraddistinte da connotati tirannici, che si legano, nelle città, a nuovi assetti
urbanistici, con impianti di edifici pubblici, sacri o civili, a scapito dell’ostentazione
di ricchezza privata. Se tale situazione vedrà ben presto ovunque i segni di un nuovo
rovesciamento in senso oligarchico, a Veio troverà, al contrario, il suo equilibrio e
sarà poi la causa, nel corso del V sec. e fino alla caduta per mano romana, dell’odio
da parte delle altre città etrusche ( o meglio dei ceti oligarchici tornati in auge)
proprio per aver continuato ad appoggiare re-tiranni, mentre la tendenza generale era
quella di un ritorno alle strutture oligarchiche (Livio narra che al tempo della guerra
per Fidenae, 434, e poi alla vigilia della sua caduta, Veio prese l’iniziativa della
guerra contro Roma senza consultare la lega). Nel quadro così delineato si colloca a
Veio appunto l’inizio della frequentazione del santuario di Campetti: un fatto che,
nella temperie storica della città assume un’importante valenza storica e politica, nel
ruolo dato ad un culto che include in sé un forte legame con la terra e che, a
differenza di quelli analoghi in altre città, è collocato dentro le mura urbane: scelta
che ribadisce la forza del demos, quel ceto urbano che fece del santuario di Campetti
il luogo dove esprimere le proprie esigenze religiose. La forte componente urbana
sembrerebbe confermata dal nome della divinità che, se Vei, come oggi
suggestivamente accettato, è eponima di Veio.
Anche nel Lazio e nello stesso periodo, si hanno indizi che vanno nella stessa
direzione: Ad Ariccia, sembra risalire al V sec la frequentazione del santuario in loc.
Casaletto, noto per i celebri busti e statue fittili in terracotta raffiguranti Cerere e
Proserpina e sembra essere in connessione, almeno topografica, con la costruzione
dell’emissario del lago di Nemi che attraversava tutta la Valle Ariccia, ai margini
della quale il santuario si trovava; ad Anagni citta degli Ernici, nel santuario di
S.Cecilia, proprio agli inizi del V sec.a.C. viene costruita una fossa destinata ad
accogliere sia sacrifici a fuoco, sia i resti di un pasto rituale i cui materiali ceramici
vennero lasciati, capovolti, sul terreno, per una divinità indigena femminile, qui
riconosciuta come Angitia/Anaceta dea dei Marsi, che nel nome ricorderebbe la città
stessa di Anagni ; significativo appare il fatto che sul muretto di recinzione della
fossa vennero trovati due piccoli depositi rituali: una piccola lekytos assieme ad un
falcetto, una olla grande ed una olletta miniaturistica, a richiamare le valenze
“cererie” della divinità. Ora, Ariccia ed Anagni sono i luoghi in cui Spurio Cassio
aveva rivolto la sua opera politica, come ricordano il foedus Cassianum, stipulato
con i Latini (che avevano appunto in Ariccia la sede del loro santuario federale)
dopo la vittoria al Lago Regillo (493 a.C.) ed il foedus con gli Ernici, contro Equi e
Volsci (486 a.C.).
A Roma il tempio per Cerere/Libero e Libera votato da A.Postumio (496) fu eretto
grazie alla soddisfazione dell’approvvigionamento granario arrivato dai territori del
Lazio vinto per opera di Spurio Cassio (493), anche se le fonti ci parlano di una crisi
che perdurò a lungo se interessò per le richieste anche gli Etruschi (probabilmente
quelli dell’interno) e Gelone, tiranno di Gela nel 492/491. Le Bonniec pensava che
se un influsso esterno c’era stato per l’introduzione del culto greco all’Aventino,
anche se, va ricordato, quello di Cerere a Roma è un culto indigeno e di antica
tradizione, bisognava al massimo guardare a Cuma, intervenuta per il grano già
precedentemente, nel 508, e non alla Sicilia. Secondo De Cazanove il ‘rilancio’ del
culto di Cerere ebbe un certo ruolo nella politica romana nei confronti dell’ambiente
latino, stando a rappresentare, da una parte l’attenzione prestata in quel momento al
valore della terra e delle sue ricchezze, dall’altra, una voluta appropriazione di un
culto, assimilato a quello della Demetra di Cuma, città di Aristodemo, che era allora
rivale di Roma.
Se tutte queste argomentazioni sono accettabili ancora oggi, vale la pena soffermarsi
su quanto anche i recenti scavi in area Etrusco-meridionale mettono in luce: l’area
in questione che, abbiamo visto, ben conosceva le caratteristiche del culto
demetriaco, ancora in questa fase storica (inizi del V sec.), rimane fortemente
influente culturalmente nel Lazio; alcune attestazioni di area etrusca interna
mostrerebbero che era già in atto un certo modello “democratico” che a Roma stessa
verrà poi consolidato con le leggi delle XII Tavole: va ricordato che ad Orvieto dal
VI sec. esisteva già un ordinamento egualitario per le tombe della necropoli del
Crocefisso e si è visto che Veio è caratterizzata in questo periodo da una forte spinta
verso il possesso e la colonizzazione della terra e verso l’esaltazione della città e
della sfera pubblica.
Possiamo dunque concludere che nel sistema di scambio finora incentrato sulle città
calcidesi (Cuma, Caere, Rhegium), supportato dal regime di tryphè filo punica dei
re/tiranni, Aristodemo, Thefarie Velianas ed Anassilao ed incentrata sulle divinità
Hera/Afrodite (spesso dai caratteri orientali) prende corpo nei primi decenni del V
sec. quello basato su Demetra/Kore (dalle città che controllavano allora lo Stretto:
Gela e Siracusa, Locri) e sull’appoggio ai ceti del demos, rilanciato da Roma,
probabilmente in una “comunanza di idee e contatti” con l’Etruria meridionale. Tale
situazione di convergenze sociali e politiche tra Roma e l’Etruria meridionale, in
particolare con Veio,durerà fino al 470 circa, quando è ricordata dalle fonti, la cd.
“serrata del patriziato”: da questo momento anche la vecchia sudditanza verso il
mondo etrusco cesserà, sudditanza da considerarsi forte anche successivamente alla
cacciata dei re “etruschi” nel 509 a.C. Dopo il 470 anche l’impronta demetriaca nei
culti sarà meno evidente.