Cerimonia di conferimento della laurea magistrale honoris causa in
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Cerimonia di conferimento della laurea magistrale honoris causa in
Cerimonia di conferimento della laurea magistrale honoris causa in Televisione, cinema e produzione multimediale a Mike Bongiorno Introduzione del Rettore Prof. Giovanni Puglisi Università IULM, Milano 13 dicembre 2007 Da quando abbiamo fissato la data per convocare questo evento – perché considero scientificamente “evento” la laurea magistrale in Televisione, cinema e produzione multimediale nel 2007, 53 anni dopo l’introduzione della televisione in Italia, evento a sua volta che accadde con Mike Bongiorno in video proprio quel primo sperimentale giorno – è successo qualcosa che ha ampliato il senso, il significato, le argomentazioni – per noi, per la commissione che sta alle mie spalle, già robuste – della deliberazione della laurea honoris causa al signor Michael Nicholas Salvatore, per tutti, Mike Bongiorno, nato a New York il 26 maggio 1924. E’ successo, cioè, che è stata pubblicata l’autobiografia dello stesso Mike Bongiorno, che si deve evidentemente a lui stesso e al figlio Nicolò, regista e sceneggiatore. Ho letto quel libro – come stanno facendo tanti italiani soprattutto per l’importante attenzione che le televisioni hanno giustamente avuto per il contenuto di una storia che è la storia delle tv, quella pubblica e quella privata in Italia – e ho deciso di limitare la mia introduzione, che sarà alimentata da una specifica laudatio del collega Alberto Abruzzese, a tre spunti che ho tratto da questo ponderoso volume. Il primo riguarda la riflessione su chi è stato Mike Bongiorno nell’immaginario degli italiani e nella dinamica della cultura del cambiamento che, dopo la guerra, ha riguardato un paese che si apriva all’Europa e al mondo con gratitudine per l’America che per la seconda volta si era schierata sul terreno della libertà di tutti i paesi europei e che voleva credere in se stessa, nella sua lingua, nella sua cultura, nella sua storia, nella sua possibilità di farcela e di perseguire importanti obiettivi di sviluppo. Faccio due soli riferimenti al libro edito da Mondadori. ¾ Il primo è alla pagina disegnata da Walter Molino e riprodotta a colori di una Domenica del Corriere degli anni cinquanta in cui Papa Pacelli è a tu per tu con Mike Bongiorno – con le tipologie degli italiani intorno – alla fine di un’udienza a Castelgandolfo. Come sintetizzare meglio il punto di forza di ciò che – nel sistema della comunicazione nazionale – stavano rappresentando Lascia o raddoppia? e la figura di Mike per l’intera Italia? ¾ Il secondo non si riferisce a un modo di dire, per altro invalso, ma all’opinione dell’amico prof. Francesco Sabatini, presidente dell’Accademia della Crusca – il luogo del “sacerdozio” nei confronti della lingua italiana – che, alla pagina 350 della biografia, ricorda con queste parole il significato è il ruolo di Bongiorno nell’evoluzione culturale del nostro Paese: “Mike, lei ha insegnato l’italiano agli italiani!”. Espressione questa, per altro, recentemente usata da un “critico del quotidiano”, per polemizzare, in modo risibile, con chi parla, a proposito dell’uso – a suo dire – improprio della lingua inglese in luogo di quella italiana, in alcune comunicazioni istituzionali. Colgo – per inciso – l’occasione della citazione della Crusca per rendere qui omaggio alla memoria di Dante Isella, membro di quell’Accademia e, questa volta, vero critico, anzi forse il maggior critico italiano per quanto riguarda la storia letteraria lombarda, scomparso nei giorni scorsi. Il secondo spunto riguarda gli uomini che Mike Bongiorno considera “chiave” per la sua storia professionale. Essi riguardano tre città, tre culture, tre mondi in cui sta una parte non irrilevante della sostanza del paese (mi sarebbe piaciuta una quarta citazione, per esempio sulla Sicilia, ma diamo tempo all’ever green Mike Bongiorno di fare questo completamento nel sicuro futuro della sua straordinaria vita). Si tratta del caporedattore della Stampa degli anni quaranta a Torino Gino Cavallero, con cui si avvia alla professione giornalistica rivolta allo sport, del capo redattore del telegiornale della Rai Vittorio Veltroni – padre di Walter Veltroni – con cui si schiude a Roma il capitolo dell’esperienza fondativa della stessa televisione pubblica, e, infine, di un figlio della Milano operosa e industriale, Silvio Berlusconi, con cui si apre, venticinque anni dopo la nascita della Rai, la storia della televisione privata, competitiva in Italia, che ha significato per Mike altri venticinque anni di centralità nella vita degli italiani. Il terzo spunto riguarda l’interpretazione del “quiz” come formula di gioco popolare nella lettura delle dinamiche culturali di un paese come l’Italia. Dirà cose più precise Alberto Abruzzese. Ma è comunque questo un territorio che interessa da vicino un ateneo, una comunità scientifica, che forma la classe dirigente sui terreni alti del sapere e del saper fare (noi qui cerchiamo di aggiungere anche il terreno del far sapere…), per approdare a quello più alto ancora del saper essere. E’ fin troppo ovvio che, su questo argomento, gli intellettuali italiani (anche se non tutti, devo dire) hanno esercitato anni di evidente diffidenza. Qualcuno ha ostentato a lungo persino disprezzo per la televisione come mezzo di cultura. I più non hanno mai immaginato possibile - almeno fino ad alcuni anni fa - coniugare la parola cultura con la parola televisione. Se noi partissimo ancora da questo genere di vero e proprio “teorema”, non potremmo neppure avventurarci (e siamo, per quanto pionieri, al quarantesimo anno di vita di questo ateneo!) sul terreno dello sviluppo accademico nelle scienze della comunicazione, figlie dirette e legittime delle scienze del linguaggio e di tutto ciò che, in Italia in particolare, ha significato l’approccio professionale e culturale alle lingue e alle culture, identitarie e “altre”, come vettore di una etica della conoscenza, ispirata ai valori dell’interculturalità e della diversità culturale insieme. Ebbene, credo, che proprio grazie agli studi – in realtà interdisciplinari, con ruolo per i sociologi, gli economisti, i linguisti, gli antropologi, gli psicologi, gli storici, i filosofi, i letterati e per molti altri – che riguardano i media e la società di massa, noi siamo in grado oggi di dare letture differenziate ai fenomeni di acculturazione nel campo mediatico. E riconoscere che gli italiani che hanno mostrato voglia di studiare, di imparare, di sapere, di misurarsi con prove non banali – talvolta di pura erudizione, ma spesso di vera e propria organizzazione della conoscenza, come tanti format televisivi inventati da Mike Bongiorno hanno mostrato – sono cosa diversa dagli italiani che vincono soldi o immagine (che poi rappresenta ancora soldi) solo mostrando muscoli e ben altro, solo sgranocchiando torsoli di mele nelle isole, solo pescando, nel sacco della fortuna, la carta giusta. Dobbiamo contestualizzare questa storia. Dobbiamo parlare del paese reale che era e che è diventato l’Italia. Dobbiamo capire come esso è stato accompagnato in anni in cui élite e popolo dovevano avvicinarsi, perché non potevamo più ripetere, a democrazia riconquistata, il modello duale del paese elitario e ignorante del postrisorgimento. Una nota dissonante di critica ad un costume contemporaneo sempre più diffuso, mi sarà concessa: quello che un tempo, il tempo di Lascia o raddoppia? era un gioco, utile per incuriosire e sviluppare l’anima culturale degli italiani, il quiz, negli ultimi anni, nei nostri giorni è diventato uno strumento aberrante di valutazione e talora di selezione [quiz alla fine dei corsi universitari, invece di sani e robusti esami di profitto, quiz per essere ammessi a frequentare – odi, odi! – le Università, alias istituzioni di istruzione superiore]: lo dica lei, Mike, alle sorde orecchie dell’Italia “usa e getta”, che il quiz va bene per giocare o divertirsi, per aprire le porte di una cabina di Lascia o raddoppia?, e non per misurare cultura e competenza o aprire le porte dell’Università e addirittura della propria futura professione. Io mi limito a questi spunti, perché tantissimo ci sarebbe da dire sul rapporto che lega la magnifica storia di Mike Bongiorno (e il suo libro ci ha anche raccontato pagine inedite o almeno meno note, della sua famiglia italiana, della sua partecipazione alla resistenza, della sua identità complessa che è divenuta un tassello stesso dell’identità italiana, come la Seicento o come l’Autostrada del Sole) e la storia degli italiani, sia pure nella cornice della vita vera e della vita immaginaria che si svolge nella scatola della tv. Ma che dalla scatola della tv scende nelle case di tutti, nella vita di tutti, nei pensieri di tutti. Nel libro, Mike Bongiorno parla dei suoi studi. E fa questa riflessione: “Purtroppo, a causa dell’occupazione, non ebbi la possibilità di andare subito all’università. Fui travolto dal dramma della guerra che incise molto su di me, costringendomi a delle scelte obbligate. Il fatto di non laurearmi fu un vero dispiacere e anche quando, una volta tornato in America, per altri motivi non riuscii a farlo, ne soffrii moltissimo. Solo adesso, per grazia ricevuta, riesco a laurearmi sessant’anni dopo. Grazie al rettore dello IULM , il professor Puglisi, che mi ha proposto per la laurea honoris causa in Scienze della comunicazione. Visto che finalmente sono una persona laureata – e non è mai troppo tardi – d’ora innanzi chiamatemi dottor Bongiorno! “. E’ proprio così, dottor Bongiorno, non è mai troppo tardi (per ricordarci di un altro capitolo della tv italiana storica, quella che ha alfierianamente fatto anche gli italiani). Io sono orgoglioso che questo capitolo si scriva – anche grazie all’immediata approvazione della nostra proposta da parte del Ministro dell’Università Fabio Mussi – in questo Ateneo, a Milano, sostanzialmente la sua città, la città che in Italia ha conosciuto per prima, dalle carceri del nazismo agli studi televisivi della Rai prima, di Fininvest poi; tra gli studenti che hanno bisogno di imparare le cose di oggi, senza perdere di vista radici e memorie; tra gli uomini delle Istituzioni, qui oggi venuti a rendergli omaggio come il Ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, come il Vice- Ministro degli Affari Esteri con delega – mi piace sottolinearlo – alla cultura, il “milanesissimo” Ugo Intini, come il Presidente di Mediaset, azienda leader in Italia della comunicazione, Fedele Confalonieri; tra i suoi familiari e i suoi amici, alcuni illustri amici, nell’ambito di una attenzione che noi mettiamo tutti i giorni per le dinamiche dei media e della comunicazione. Ma soprattutto – me lo lasci dire – in un contesto dove c’è anche amore per il nostro paese e la consapevolezza che si deve vera gratitudine a tutti coloro che lo hanno servito, aiutato, capito, spiegato, reso simpatico, attrattivo, umano in mezzo secolo e più della sua storia. Di lei si è detto e scritto tanto. Le hanno attribuito almeno venticinque “Telegatti”, premi per chi fa la televisione che conta (è divertente vedere che il primo – non l’ultimo – che risale al 1972, aveva come motivazione “il personaggio sempreverde della tv”!). E c’è da aspettarsi che questa straordinaria pagina di fiction che lei interpreta, con un misurato Fiorello, negli spazi pubblicitari degli ultimi tempi abbia presto il suo giusto riconoscimento. Ma una cosa forse non è stata detta fino in fondo. E lo ha ricordato suo figlio Nicolò che, presentando il libro, ha detto di averlo scritto con lei scoprendo alla fine un padre che non conosceva. Succede nella logica dei padri e dei figli. Ma è successo soprattutto per la straordinaria misura con cui lei è stato professionista in un’epoca di gossip, scandaletti, sfruttamento pubblicitario della propria vita e quant’altro. Gli italiani scoprono tante cose di lei oggi, a 83 anni suonati. Che lezione di stile! Ma, scusi, è proprio quello che succede nelle famiglie il giorno in cui si laurea un figlio, che lo si vede per la prima volta anche con altri occhi. Con tanto affetto per lei e per ciò che ha fatto e continuerà a fare. Il breve filmato, che gli amici di Mediaset hanno voluto realizzare e che gli amici della Rai hanno voluto consentire, mettendo a nostra disposizione le preziosissime e impareggiabili Teche-Rai, è il modo miglior di concludere questa mia introduzione, prima di ascoltare la laudatio pronunciata dal professor Alberto Abruzzese, ordinario di Sociologia dei media e Presidente del Corso della Laurea Magistrale che è stata attribuita a Bongiorno in questa Università. Prof. Giovanni Puglisi