Ma quanti danni ha fatto la musica indie? Ce lo ha raccontato Enzo

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Ma quanti danni ha fatto la musica indie? Ce lo ha raccontato Enzo
Giovedì, 16 Marzo 2017
L’intervista
Ma quanti danni ha fatto la
musica indie? Ce lo ha
raccontato Enzo Savastano,
neomelodico del cuore
Siamo stati conquistati dalla sua geniale
derisione, dallo sberleffo a un mondo che, non
ce ne vogliano gli hipster riuniti, risulta spesso
standardizzato e piatto. E, grazie a questa
presa in giro illuminante e rivelatrice,
abbiamo conosciuto Antonio, il musicista
beneventano serio e il suo doppio, Enzo:
artista che ama la vita e parla alla gente, ma
soprattutto è insegnante di neomelodia e
gorgheggi
Autore: Maria Fioretti
Data di pubblicazione: Sabato, 28 Maggio 2016
Madonna quanti danni ha fatto l’indie. E quanti ancora ne farà. Un genere musicale che si muove tra accordini e
tormenti emozionali trasformati in tormentoni, nomi strambi, incomprensibili ma assolutamente fighi e
arrangiamenti minimal. C’è tutta una sottocultura che, rifiutando il mainstream, e proclamando la necessità di far
arrivare al pubblico la propria individualità e indipendenza, finisce per diventare fenomeno di massa.
E poi esiste la storia ironica del neomelodico del cuore che per sbaglio mette giù qualche accordo e scrive un vero
pezzo indie, per cui non ha ancora finito di scusarsi. Può succedere e siamo sicuri che il suo pubblico abbia già
perdonato Enzo Savastano. Noi abbiamo ammirato la sua geniale derisione, lo sberleffo a un mondo che, non ce
ne vogliano gli hipster riuniti, risulta spesso standardizzato e piatto, nonostante qualche eccezione di valore.
Una presa in giro illuminante e rivelatrice che ci ha permesso di conoscere Antonio il musicista beneventano serio
e il suo doppio, Enzo: artista che ama la vita e parla al cuore della gente, ma soprattutto insegnante di
neomelodia. Di recente ha avuto addirittura come allievo il cantautore Brunori, che finalmente ha potuto
apprendere l’arte del gorgheggio spinto, le pose, i suoni e le tecniche di un genere che veramente riempie le piazze
di sentimento.
Qual è la storia di Enzo Savastano?
«E’ nato a Riva del Garda nel 1982. All’età di tre anni la sua famiglia si è trasferita a Casapesenna, in Campania. Qui
il piccolo Enzo comincia a dimostrare una certa attitudine alla musica. Riesce, infatti, ad ottenere dai suoi genitori
la possibilità di iscriversi al conservatorio. Sorprendente bambino prodigio, si diploma in pianoforte e canto lirico
a soli nove anni. “E’ l’erede naturale di Placido Domingo”, si scriverà nella recensione di una serata di beneficenza
in cui Enzo si esibisce. I professionisti non se lo lasciano sfuggire. Umberto Smaila lo invita in trasmissione. Poi è la
volta dell’Operà di Parigi e della passione per la lirica. Proprio in quel momento tutti riconoscono il suo talento, il
pubblico e la critica. Nel 1998, però, la sua vita cambia completamente. Sua sorella Assunta conosce e sposa
Nicola Tanfo Junior, un pezzo grosso della neomelodia e da qui si troverà a sperimentare un nuovo percorso
artistico. È il 2006 quando esce il singolo “Traditore fino a un certo punto”. Il brano è subito un cult. Doppio disco
di platino, incisione in undici lingue per il mercato estero e featuring con Rihanna. La parabola ascendente di Enzo
cresce sempre di più. Dopo una tournee in Mozambico, Colombia ed Europa del Nord, arriva il momento di tornare
nella sua Napoli per il concerto di Capodanno 2011 ed è subito un successo: centoventimila spettatori paganti,
cinque televisioni collegate da tutto il mondo e il messaggio introduttivo di Benedetto XVI che augura una buona
serata. Nel 2012 lo chiama la politica nella persona di Luigi De Magistris. Ma l’idillio è durato poco, è stato in carica
appena quindici giorni come Assessore alla Cultura. Esterrefatto dalla burocrazia, ha dovuto rinunciare
all’incarico, tornando ad assecondare quella grande passione di sempre: la musica. Le sue delusioni vengono
sintetizzate nel singolo “Piazza Municipio”, che anticipa l’ultimo album “Citofonare Savastano”, già in vetta alle
classifiche. Da pochi mesi si è trasferito nel cuore del Sannio, a Benevento, per cercare l’ispirazione che lo
accompagni verso il suo prossimo album».
Una carriera intensa e sorprendente, quanto incredibile, segnata da molte influenze, che ha portato anche
diversi riconoscimenti…
«Per citarne alcuni: Premio Ischia per il Neomelodico, il Nino D’Angelo d’Oro nel 2010 e il Neomelodic Award alla
Carriera nel 2012. Le ispirazioni sono multiformi, da Gigi D’alessio. Passando per Alessio e Raffaello, senza
dimenticare Bach e Maria Nazionale. La musica popolare napoletana che poi si fonde con la musica classica. Per
un genere che può essere definito neomelodico sociale, possibile grazie ai musicisti che mi accompagnano:
Ignazio Toro alla batteria, Antonello Duraturo al basso, Lello Sorice & Santo Subito che è il sassofonista, Domi
Esposto alle percussioni, Paolo Freud alla pianola e Paolo Battello alla chitarra elettrica».
E adesso l’estremo sacrificio, dover cedere alla canzone indie. Si vivono stati d’animo contrastanti?
«Per Enzo è molto difficile, anche perché lui ha affrontato tutto questo contesto indie solo per esorcizzare una
difficoltà familiare, per accontentare le richieste della figlia che ascolta Calcutta, dopotutto i guai stanno in ogni
casa. Ma tutto questo mondo, in realtà, non gli appartiene, perché deve suonare in locali piccolissimi, ma
soprattutto perché lui era da sempre abituato a parlare del cachet e degli ingaggi con il padre della sposa. Invece
adesso si trova a confronto con i gestori dei locali, tutte persone poco simpatiche. Non è il suo ambiente, ha
attirato anche le ire dei cantanti indie famosi, ha subito un rapimento, nonostante sia l’autore di molti brani indie.
Insomma non si trova in una situazione facile, vive sicuramente un conflitto».
Partendo da una profonda conoscenza dell’ambiente, in base alle tue esperienze, perché si dovrebbe
studiare la musica neomelodica? Che cosa insegna?
«C’è sempre da imparare, è una musica di sentimento e le emozioni sono grandi maestre. La tecnica è
fondamentale, senza quella non si riuscirà mai a raggiungere un buon livello, a questo servono i tutorial. Bisogna
studiare tanto, dare voce al cuore, scegliere l’abbigliamento e i particolari giusti per stare sulla scena. Ma più di
tutto è il genere che sta in mezzo alla gente, è una musica umile, che non pretende niente, che canta l’amore e
rispecchia l’essenza delle persone, i loro bisogni».
Eppure è circondata da pregiudizi difficili da far cadere, ci si pone sempre con un certo snobismo nei
confronti del neomelodico, tu cosa ne pensi?
«Savastano ti direbbe che il neomelodico ha più pubblico, quindi gli altri generi sono invidiosi, per gelosia si
chiudono all’ascolto e non vogliono sentire niente. Poi onestamente si fanno di sicuro più concerti neomelodici
che performance indie, questo dice tutto».
Ma tu quest’indie lo hai capito? E se lo hai capito, ce lo spieghi?
«L’unica cosa che veramente non riesco a comprendere, è la scelta dei nomi dei cantanti, pechè sono tutti strani. Il
testo mi è chiaro, alla fine racconta le stesse storie e gli stessi sentimenti che si trovano nella musica neomelodica.
Solo che, come direbbe Savastano, al posto di usare l’accordo minore, utilizzano note messe a caso, per creare un
po’ di confusione. I testi poi sono uguali, identici a quelli neomelodici, a parte il gagaga ovviamente, il gorgheggio,
quello è proprio il tratto distintivo della neomelodia, e va imparato».
Non è che tra qualche mese Savastano cambia tutto, dice addio alle sue origini e ci diventa un hipster
qualunque?
«Savastano ascolta il cuore, quindi non c’è questo rischio. Resterà fedelissimo a Lello e al suo sassofono, ma più di
tutto continuerà a fare quello che la gente vuole sentire, interpretandone i gusti, ma anche i desideri. Sarà sempre
un neomelodico vero».
Posso fare adesso una domanda ad Antonio?
«Ma quindi una domanda seria?»
Si più o meno seria, ma è l’ultima. In Irpinia spopola una certa musica, forse non ben identificabile con un
genere, che però riempie le piazze, è quella di Gigione e Jo Donatello. Invece di neomelodico in provincia
non c’è quasi niente, secondo te il successo del genere di Savastano dipende anche dal contesto?
«Non è semplice trovare una spiegazione per il fenomeno irpino, è anche quella una musica popolare, a suo modo
verace, che risponde ad un bisogno. Ma pur essendo difficile trovare un’unica risposta, credo che tutta la musica
poi finisca per legarsi in particolare ad un contesto. Si evolve e subisce le influenze di quello che c’è intorno,
dell’ambiente e della società. Il genere neomelodico risponde alle persone, ai vissuti, in base a questo poi cambia
e si condiziona, credo sia inevitabile».
Grazie ad Enzo e anche ad Antonio…
«Grazie a te».
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Savastano, neomelodico del cuore