Testo gruppo FC Brescia - Riconoscersi professionisti

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Testo gruppo FC Brescia - Riconoscersi professionisti
RiRi-conoscersi professionisti
Le scritture riflessive degli assistenti sociali in provincia di Brescia
A cura di
Laura Ciapetti, Ludovica Danieli, Francesca Giugno,
Marina Francesca Poinelli, Simonetta Filippini, Sonia Tignonsini
Gruppo di sperimentazione sulla formazione continua
della provincia di Brescia
Brescia
Ottobre 2012
1
Indice
Premessa
L’Ordine Professionale alla ricerca di senso dell’agire professionale:
tre anni per sperimentare il sistema della Formazione Continua
come luogo strumento della partecipazione professionale
a cura di Renata Ghisalberti, Presidente CROAS Lombardia
pag. 3
1. Il gruppo di sperimentazione sulla formazione continua della
provincia di Brescia: i passi
Il Gruppo di Formazione continua della provincia di Brescia: il contesto
pag. 5
2. La ricerca sulla professionalita’
2.1 Note metodologiche
pag. 6
A cura di Ludovica Danieli
3. Le scritture ci raccontano
Riflessioni introduttive
pag. 9
A cura di Ludovica Danieli
La prima sollecitazione: Per te cosa significa essere un professionista?
a cura di Laura Ciapetti, Sonia Tignonsini
pag. 11
La seconda sollecitazione “A tuo parere quale significato ha essere professionista in
qualità di dipendente di un Ente o Coop o Società …”
pag. 14
a cura di Francesca Giugno
La terza sollecitazione: “A tuo parere ci sono, e se si quali, fattori che indeboliscono
(impediscono, riducono, contrastano)/ rafforzano l’espressione della tua professionalità
nel servizio e/o Ente per il quale lavori?”.
A cura di Ludovica Danieli e Marina Francesca Poinelli
pag. 17
4. Appunti conclusivi.
A cura di Ludovica Danieli e Simonetta Filippini
pag. 27
Bibliografia
pag. 31
Allegati
pag. 32
A cura di Simonetta Filippini e Marina Francesca Poinelli
2
PREMESSA
L’Ordine professionale alla ricerca di senso dell’agire professionale:
tre anni per sperimentare il sistema della Formazione Continua come luogo strumento
della partecipazione professionale.
Assistenti Sociali: perché essere una “professione”?
La domanda è alla base di un percorso storico che ha visto la nostra professione confrontarsi con
una cultura italiana che riconosce pari dignità a tutte le attività economiche umane in quanto Lavoro
(nella Costituzione è un parola-chiave ed elemento cardine dell’esistenza individuale e collettiva
della Nazione), ma considera le professioni come una speciale modalità di attività umana, al punto
di garantirle con un apposito esame di stato per l’abilitazione professionale (art. 33 Costituzione).
La storia delle professioni trae origine dai presupposti di utilità sociale che ad ogni professione
viene riconosciuta nel corso del tempo; la nostra nasce con il processo di professionalizzazione del
lavoro filantropico e di controllo sociale iniziato con la nascita degli Stati nazionali nella fase
dell’industrializzazione dei paesi occidentali e accompagna le trasformazioni socio-economiche e
culturali del secolo scorso, origine che ci rende particolarmente sensibili ai cambiamenti
antropologici e culturali.
Nel 2013 in Italia festeggeremo i 20 anni della Legge 84 del 1993 che ha riconosciuto
“L’ordinamento della professione di assistente sociale e istituzione dell’ordine professionale” che
rappresenta ancora oggi, con tutti i cambiamenti normativi successivi ad essa, l’essenza della
definizione dell’attività dell’assistente sociale, consentendoci di concorrere direttamente alla
realizzazione dei diritti costituzionalmente previsti (art. 32: La Repubblica tutela la salute come
diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli
indigenti; art. 38: Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari ha diritto al
mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati
mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia,
disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione all’avviamento
professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o
integrati dallo Stato. L’assistenza privata è libera).
L’ampia discussione negli anni recenti sulla preannunciata riforma degli ordini, influenzata anche
dalla dimensione europea, è diventata ora la riforma di una parte delle professioni (non sono
comprese le professioni sanitarie) che nella calda estate del 2012 si è conclusa con un atto
normativo, il DPR del 7 agosto 2012 n. 137 (GU 14.08.2012) “Regolamento recante la riforma
delle professioni”. Alcuni presupposti di questa riforma sono poco affini alle problematiche che gli
assistenti sociali considerano come centrali nell’esercizio della propria professione e più tipici delle
professioni liberali tradizionali: dalla libera concorrenza alla pubblicità informativa; anche il
principio stesso della liberalizzazione non caratterizza la comune percezione del gruppo
professionale sulle proprie condizioni di lavoro.
L’utopia di uno Stato Sociale destinato a dare opportunità uguali per tutti, a farsi carico dei cittadini
fragili, ad emancipare le persone dagli esperti, l’apertura delle istituzioni chiuse e totalizzanti ha
sicuramente rappresentato alcune delle principali motivazioni che molti di noi hanno “sentito” nel
momento in cui stavano scegliendo una professione di aiuto, animati dalla ricerca di giustizia
sociale e convinti di poter avere un ruolo nella promozione di solidarietà sociale.
Il singolo e la comunità sono i riferimenti principali della nostra azione professionale, rispettosa
delle aggregazioni che ciascuna persona sceglie di vivere.
3
Grande influenza ha la dimensione organizzativa che sembra “costringere” gli assistenti sociali ad
assumere come prevalente il mandato dell’ente in cui operano, che è ancora, in larga maggioranza,
costituito dalla pubblica amministrazione.
La scelta di operare nella P.A. per alcuni di noi è stata una scelta “obbligata”: ci siamo identificati
in un apparato statale, perché non concepivamo il nostro ruolo fuori dalla validazione che lo Stato
dava ai servizi.
Con gli anni ’90 la riflessione sul Welfare, dalla visione universalistica a quella del Welfare mix, ci
ha posti di fronte ad un nuovo paradigma che ha aperto la strada ad un sistema dei servizi misto,
dove il concetto di pubblico è diverso da quello di statale, potenziando le scelte gestionali della rete
di offerta dei servizi. Rimane un nodo centrale, dalla riforma nazionale incompiuta della Legge
328/2000 alle riforme regionali striscianti, l’importanza della regia pubblica a garanzia dei diritti
sociali che la rete dei servizi pubblici e privati supportano e integrano.
Come gioca il fattore Formazione Continua nei nuovi scenari delle professioni e dei servizi alla
persona? La risposta possibile è come sempre non unica, è legata alle scelte che siamo chiamati a
pensare e fare per mantenere vivo il senso profondo della nostra presenza nella vita societaria:
creare reti di conoscenza e solidarietà, creare movimenti dal basso, avere istituzioni (l’Ordine è un’
istituzione) capaci di dare regole, di garantire continuità e di raccogliere il meglio delle innovazioni
e delle buone pratiche.
Il percorso del Gruppo di supporto alla FCAS del bresciano ne è un meritevole e emblematico
“caso”, risultato di un’idea che mette al centro il DNA della nostra professione: agire con i metodi
della partecipazione e dell’autodeterminazione, riflettere sulla pratica professionale, interrogarsi sul
significato del pensiero e dell’azione a partire dal confronto con altri soggetti, incrementare le
competenze, valutare i risultati, restituire alla collettività professionale e alla società dei cittadini.
Cosa sia la Formazione “che dura tutta la vita” è un argomento complesso, non liquidabile nelle
poche frasi di questa breve premessa; ritengo sicuramente che il sistema della Formazione Continua
che stiamo costruendo desideri un’offerta formativa di qualità, in cui i professionisti siano capaci di
essere parte attiva sia nel domandare opportunità di crescita professionale e culturale, sia nel
costruire luoghi di formazione relazionale e democratica, come il nostro Codice deontologico ci
indica.
Renata Ghisalberti
Presidente CROAS Lombardia
4
1. IL GRUPPO DI SPERIMENTAZIONE SULLA FORMAZIONE CONTINUA DELLA
PROVINCIA DI BRESCIA: I PASSI
1.1 Il Gruppo di Formazione continua della provincia di Brescia: il contesto
Il Gruppo di formazione continua della provincia di Brescia si è costituito, in raccordo con l’Ordine
degli Assistenti Sociali della Regione Lombardia, nel mese di ottobre 2010.
Il gruppo è formato da 16 persone, tutte donne, e si incontra una volta al mese.
Le Assistenti sociali partecipanti provengono da realtà eterogenee: Asl Brescia/Valcamonica;
cooperazione; Azienda Ospedaliera; Comune; Provincia; altre realtà di gestione associata servizi;
libera professione. I dipendenti degli Enti partecipano in forme diverse: chi in orario di servizio, chi
prendendo permessi, chi in condizione di “ferie”; gli assistenti sociali che svolgono la libera
professione impegnando il loro tempo per un lavoro di condivisione. Nel corso del 2010/2012 si
sono aggiunte altre assistenti sociali1.
Il gruppo nel periodo 2010/2012 ha promosso tre incontri provinciali su temi inerenti la
Deontologia professionale invitando la Presidente dell’Ordine della Regione Lombardia e formatori
esperti nell’ambito del servizio sociale.
Sia il primo che il secondo incontro hanno visto la partecipazione di circa il 70% sul totale degli
assistenti sociali, della provincia di Brescia, iscritti all’albo ( 579 nel 2011).
Il terzo incontro programmato nell’ottobre del 2012 avrà come tema di riflessione: Deontologia e
Responsabilità professionali dell’Assistente Sociale.
Contestualmente il gruppo, a partire dal suo costituirsi, decide di approfondire alcuni temi.
Gli oggetti di lavoro sono sintetizzabili nelle seguenti linee:
• lettura metariflessiva dei dati raccolti nel mese di marzo 2010 dall’Ordine Regionale intorno alla
Formazione degli Assistenti sociali nelle Province della Lombardia;
• Ricognizione della formazione permanente svolta dagli assistenti sociali della Provincia di
Brescia:
conoscere quale ruolo le/gli assistenti sociali della Provincia di Brescia assumono rispetto alla
Formazione: fruitori; docenti; ricercatori;etc
conoscere quali sono i canali formativi con i quali le/gli AASS si relazionano.
Infine, viene identificato dal gruppo un tema prioritario da indagare e sul quale sostare per una
riflessione comune e condivisa: maturare e partecipare riflessioni inerenti la Professionalità
dell’assistente sociale quale contributo per una crescita culturale della professione.
Per la ricognizione della formazione permanente e l’indagine sul tema prioritario il gruppo ha
costruito due strumenti di comunicazione con gli assistenti sociali:
richiesta di scritture intorno al tema della Professionalità;
una scheda di rilevazione sullo stato di formazione/aggiornamento.2
1
Assistenti sociali che compongono il gruppo di supporto tecnico alla FC dal 2010 al 2012: Letizia Sudati, Francesca
Giugno, maria passeri, Rosangela Paroni, Sonia Tignonsini, Marina Poinelli, Franca Roberti, Roberta Valorsi, Rosaria
Campana, Giovanna Squaratti, Chiara Fiorini, Lucia Venturelli, Daniela Dogali, Orietta Barucco, Simonetta Filippini,
Elisabetta Bianchi, Ludovica Danieli, Erminia Drera, Laura Ciapetti, Cristina Ramponi, Wanda Romagnoli.
2
Le schede riconsegnate sono un centinaio. La collega Orietta Barucco ha svolto un lavoro di lettura dei dati.
5
2. LA RICERCA SULLA PROFESSIONALITA’
2.1 Note metodologiche
Il gruppo al fine di indagare il motivo della Professionalità si è avvalso di un impianto di ricerca
qualitativa3. “Il ricercatore, che si avvale di un'analisi qualitativa, opera per raccogliere impressioni,
rappresentazioni individuali o collettive di specifici fatti e esperienze umane, la loro analisi è una
disaggregazione allo scopo di far luce sui fatti immediatamente visibili, o di portare alla luce i fatti
non immediatamente percepibili, che stanno sotto il mondo delle nostre immediate percezioni
quotidiane; non opera dunque sui grandi numeri, né si avvale di strumenti matematici. Egli in
questo senso, non è interessato al numero dei casi, ma alla enucleazione del maggior numero di
aspetti e informazioni ricavabili dal caso umano singolo o contestuale”4
Target di indagine
Totale assistenti sociali iscritti Totale mail inviate
albo A e albo B Ordine
Regione Lombardia – sez.
Brescia – dic 2011
n. 579
n. 500
Totale mail ricevute
n. 44
I soggetti contattati sono gli assistenti sociali iscritti, al mese dicembre 2011, all’albo A e all’albo
B dell’Ordine Assistenti Sociali della Regione Lombardia sezione Provincia di Brescia ( assistenti
sociali iscritti n. 579 - fonte Dati Ordine AS Regione Lombardia) .
La modalità di contatto avviene tramite l’invio di una lettera di presentazione dell’iniziativa e
della scheda contenente le tre sollecitazioni. Il materiale è trasmesso via e-mail ( Vedi allegato 1)
Sono state inoltrate circa 500 e-mail (il gruppo, attraverso un lavoro di ricognizione, ha a
disposizione circa il 90% degli indirizzi degli iscritti - Albo A e B- )
Le scritture pervenute sono n. 44; le risposte provengono da assistenti sociali femmine.
Le scritture pervenute - mesi gennaio-aprile 2011 - sono state inviate da assistenti sociali occupate
nelle seguenti organizzazioni: Comune; ASL; Azienda speciale consortile; Società s.r.l;
cooperativa, liberi professionisti.
Abbiamo pertanto raccolto un punto di vista che aggrega organizzazioni fortemente radicate nel
territorio che sviluppano relazioni importanti nell’articolato contesto nel quale sono incluse.
I risultati non sono statisticamente generalizzabili, ma ci consentono di aprire un osservatorio sul
tema posto in ricerca
3
Gli studi, i testi e la documentazione sulla ricerca qualitativa, ricerca partecipata, ricerca etnografica sono numerosi. Si citano qui
alcuni studiosi e ricercatori che in Italia, negli ultimi venti anni, hanno prodotto riflessioni importanti intorno alla ricerca qualitativa:
Bichi Rita, Bimbi Franca, Bruschi Alessandro, Cavalli Alessandro, De Lillo Antonio, Melucci Alberto, Corbetta Pier Giorgio,
Ferrarotti Franco, Gobo Gimpietro, Jedloswki Paolo, Leccardi Carmen, Olagnero Marina, Saraceno Chiara, Passerini Laura.
4
Ricerca Formez
6
Definizione e Costruzione degli strumenti
Lo strumento assunto all’interno dell’indagine è stata la scrittura5 sollecitata da tre domande
aperte:
1) Per te cosa significa essere professionista
2) A tuo parere quale significato ha essere professionista in qualità di dipendente di un Ente,
una Cooperativa, o altro soggetto
3) A tuo parere ci sono, e si quali, fattori che indeboliscono ( impediscono, riducono,
contrastano)/rafforzano l’espressione della tua professionalità nel servizio/Ente nel quali
lavori?
L’analisi dei testi
L’analisi delle scritture è avvenuta avendo come orizzonte un impianto metodologico qualitativo6.
Per quanto riguarda l’analisi della prima sollecitazione sono stati individuati tre argomenti chiave:
1. Gli elementi che concorrono a definire un professionista
2. L’attribuzione di significato dell’essere professionista
3. Le caratteristiche che dovrebbe avere la figura dell’assistente sociale.
5
Francesca Merlini, Teresa Bertotti, Scrivere nel lavoro sociale, Prospettive sociali e sanitarie n. 2/2009; sulla scrittura come pratica
riflessiva, di ricerca sociale e di metodologia dei servizi si vedano inoltre i testi di Duccio Demetrio, Laura Formanti, Sergio Quaglia.
6
Gevisa La Rocca, Software per l’analisi qualitativa dei testi, in Rivista m@gm@, Rivista elettronica di Scienze umane e sociali
specializzata in approcci e metodologie qualitative. “La generazione di teorie avviene, soprattutto, avvalendosi del metodo
comparativo, il quale può essere applicato su unità di analisi – fenomeni sociali – di diverse dimensioni. La procedura di codifica dei
dati consiste - nella sua prima fase - nell’analisi line-by-line di segmenti, parole, paragrafi, porzioni di testo. Questo tipo di micro
analisi è necessaria all’inizio dello studio per poter attivare il processo di concettualizzazione e generazione delle categorie e delle
loro proprietà. L’analisi «riga per riga» dei dati richiede un dispendio di energie non indifferente ma produce un dettaglio di studio
maggiore rispetto a qualsiasi altro tipo di indagine condotta sui dati qualitativi. Secondariamente, i dati qualitativi sono codificati
secondo tre modalità distinte:
- la codifica aperta;
- la codifica assiale;
- la codifica selettiva.
La codifica aperta è il processo analitico attraverso il quale i concetti vengono identificati e le loro dimensioni emergono dai dati
[Strauss, Corbin 1996; p. 101]. Il cuore della codifica aperta è rappresentato dai concetti; del resto – come sostengono Anselm
Strauss e Juliet Corbin – non esiste scienza senza concetti. Open Coding vuol dire quindi «aprire» un testo e far emergere da esso le
idee, le forme comunicative che contiene. In questo senso il primo passo di questo approccio è la «concettualizzazione»: un concetto
è un fenomeno etichettato (labeled phenomenon) [Strauss, Corbin 1996; p. 103].
[…]Nell’etichettare il fenomeno il ricercatore può attribuire un proprio nome, una propria etichetta a quanto l’intervistato dice o a
quanto emerge da un testo oppure può utilizzare le parole stesse del soggetto; quest’ultimo processo di codifica è spesso definito
come «in vivo codes». L’Axial Coding è il processo che collega le categorie alle sub-categorie, collegando le categorie alle proprie
proprietà e dimensioni [Strauss, Corbin 1996; p. 123].
Nella codifica aperta si lavora sui concetti che emergono dal testo, nella codifica assiale si lavora sulle relazioni fra categorie e loro
dimensioni. Collegare le categorie alle proprie dimensioni è nella pratica molto più semplice di quanto possa sembrare. Strauss e
Corbin sottolineano come questa attività sia già in nuce nella codifica aperta. L’ultimo processo di codifica è rappresentato dalla
codifica selettiva, che è il processo di integrazione e rifinitura della teoria. La Selective Coding è il momento in cui si individua una
categoria principale e si decide di far ruotare attorno a essa l’interpretazione che dei dati si vuole fornire. Anche in questo momento
della Grounded Theory è necessario, una volta individuata la categoria, attenersi alla comparazione costante tra questa categoria
centrale e le altre o ulteriori elementi che possano emergere dai dati qualitativi.
Centrale in questa fase è l’individuazione della categoria principale, del focus attorno al quale far ruotare la narrazione di quanto
trovato. La categoria centrale è quella che appare più di frequente nei dati; ha più connessioni con le altre categorie e la
spiegazione/interpretazione che essa fornisce ai dati appare logicamente dagli stessi, non mediante una forzatura. Inoltre, la frase o le
parole utilizzate dal ricercatore per indicare questa categoria, quindi il concetto attraverso il quale la si designa, deve porsi a un
livello di astrazione tale da poter essere attribuito, senza subire cambiamenti alcuni, sia alla teoria evidente che alla teoria formale. In
questo modo si accresce il potere esplicativo della teoria fondata. Attraverso un processo di astrazione e utilizzando i memo che il
ricercatore ha man mano prodotto e astraendo l’evento analizzato si individua come categoria principale il «rituale di passaggio».
7
Le scritture rispondenti alla seconda sollecitazione sono state poste in analisi rintracciando gli
elementi identificati come segnanti “Essere professionisti in qualità di dipendenti”.
Infine la terza sollecitazione ha visto una prima suddivisione fra “fattori che indeboliscono” e
“fattori che rafforzano” e una ulteriore analisi dei due fattori così distinta:
1. Fattori che indeboliscono
a. Problematiche connesse all’organizzazione
b. Rapporto tra tecnici ed amministratori
c. La scarsa conoscenza della figura dell’assistente sociale
2. Fattori che rafforzano ( individuate aree)
a. motivi legati all’Ente Organizzazione
b. lavoro in èquipe/rete professionisti
c. capacità di confronto
d. modalità di lavoro
e. formazione
f. soggettività
g. supervisione
h. contesto
8
3. LE SCRITTURE RACCONTANO
Riflessioni introduttive
Franca Olivetti Manoukian, intorno ad una complessa interrogazione e riflessione su quanto sia
sociale, oggi, il lavoro nei servizi, introduce il motivo del codice dell’azione sociale che, per quanto
riguarda in specifico il lavoro sociale, risulta caratterizzato da una matrice relazionale. Questo
codice interroga i modelli di pensiero, i modelli di relazione e i modelli di azione nel lavoro.
Riconoscere i propri codici culturali diviene indispensabile in quanto si tratta di “riconoscersi, di
esplicitare i propri automatismi, i modi di pensiero connaturati, per poter aprire e mobilitare
possibilità di conoscenza che non siano solo […] applicazione di saperi precostituiti”7.
Riflettere intorno alla professionalità dell’assistente sociale comporta saper contenere un
riconoscimento dei propri codici, provenienti dalla storia professionale collettiva e individuale,
dalle norme deontologiche che orientano l’azione professionale, dal corpus di conoscenze, norme e
valori socialmente accettati e riconosciuti inerenti la professione, e anche una disposizione
professionale ad assumere quel pensiero che Manoukian chiama “ pensiero viandante”: “ […] oggi
è cruciale, per uscire dall’assedio, costruire un pensiero viandante che, nel continuo interagire con
le persone, i contesti, i livelli dei problemi , costruisce le categorie, i concetti, le teorie per orientarsi
nelle situazioni”8.
Scrivono A. Casartelli e F. Merlini “ […] l’assistente sociale è una figura professionale storica, che
da qualche tempo sta prendendo sempre maggiore coscienza di sé, crescendo in consapevolezza di
categoria e sviluppando cultura. Essere assistente sociale negli anni duemila è diverso che esserlo
stato negli anni Settanta. Ottanta o Novanta del secolo scorso […] perché oggi i servizi sociali, ‘nati
per promuovere cambiamenti nella società e nei rapporti sociali, stanno attraversando una fase assai
difficile e rischiano di essere schiacciati dalle trasformazioni del contesto generale […] in cui
crescono i malesseri, diminuiscono le risorse, si chiede di riparare i danni ( F.. Manoukian)’. Questo
è lo scenario in cui l’assistente sociale si muove[…]”9
Anche la relazione con l’organizzazione è tema apicale nella costruzione e nell’espressione della
professione. Le organizzazioni lavorative sono sistemi complessi all’interno dei quali si colloca la
persona e la professione che essa svolge. Ed ancora, le organizzazioni, in questo caso erogatrici di
servizi nel sistema ampio del Welfare, vivono di relazioni con coloro che portano una
domanda/bisogno.
Il disegno relazionale nel quale un assistente sociale, in questi ultimi anni di mutamenti legislativi e
di struttura organizzativa dei sistemi socio sanitari, si trova ad operare è una rete formata da
numerosi nodi che a loro volta, spesso, afferiscono a sistemi più vasti. A questa complessa trama di
relazioni si accompagnano i temi dell’incertezza in ambito lavorativo, delle risorse economiche
ridotte, della razionalizzazione e dell’esternalizzazione di servizi: tutti questi elementi configurano
non solo la messa in opera della professione ma, pensiamo, anche l’immaginario soggettivo che
ogni assistente sociale costruisce nel tempo della propria biografia professionale.
Si tratta dunque di pensare alla Professione come ad una “condizione” che vive in un sistema
relazionale e dunque cresce, cammina, si ferma, ha momenti di crisi, riprende la crescita. Sta
dunque in dimensioni che, rileggendo E. Morin, riconducono a saperi molteplici e interconessi.10 È
questa dimensione “vivente” che ci sembra importante da indagare attraverso una postura di ricerca
soggettiva e condivisa.
7
Franca Olivetti Manoukian, Il codice dell’azione sociale. Orientamenti per il lavoro sociale oggi, Animazione sociale,
ottobre 2004, p. 53
8
ibidem p. 56
9
Ariela Casartelli, Francesca Merlini, Assistente sociale. Uno sguardo sulla professione in cambiamento, in I Quid n. 4,
2009 Prospettive sociali e sanitarie, Milano p. VII
10
Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2001
9
Le scritture restituite raffigurano una professione che si muove all’interno di una struttura
relazionale e sistemica; inoltre sembrano mettere in luce i molteplici aspetti che si mobilitano sia
sulla professione agita, sia come istanza interna.
Nel sistema del Welfare, in questo caso bresciano, Ente/Organizzazione è una definizione che
contiene una molteplicità di realtà e gli assistenti sociali esercitano la propria professionalità in
diverse situazioni organizzative.
Gli Assistenti sociali della Provincia di Brescia iscritti all’albo dell’Ordine della Regione
Lombardia al mese di ottobre 2012 risultano essere pari a 612 ( Lombardia n. 4882)11.
Attraverso i dati - aggiornati al settembre 2012 - in possesso dell’Ufficio che programma il Piano
Formativo Annuale provinciale per gli operatori socio assistenziali e socio sanitari – Assessorato
Famiglia e attività socio assistenziali della Provincia di Brescia – abbiamo ricostruito il seguente
quadro inerente la distribuzione degli assistenti sociali della provincia di Brescia nei diversi contesti
organizzativi.
Gli Iscritti all’ albo A sono n. 101 così distribuiti come si legge dalla tabella 1)
tabella 1)12
Realtà Organizzativa
V.A
Comune
31
ASL di Brescia - Vallecamonica Sebino
34
Azienda speciale territoriale servizi alla persona 7
Fondazioni, Congrega, Caritas, realtà priv
6
Azienda ospedaliera
4
Provincia
4
Ministero Grazie e Giustizia
2
Ministero Interno
3
LP
3
Comunità Montana
1
Sindacato
1
Cooperativa
1
Non rilevati
4
Gli iscritti all’ albo B sono n. 511 così distribuiti come si legge dalla tabella 2)
tab. 2)
Realtà Organizzativa
V.A
Comune
141
Azienda speciale/consortile territoriale servizi 73
alla persona
Fondazioni, realtà private, etc
20
ASL di Brescia e Vallecamonica
69
Ministero di Grazia e Giustizia
17
Azienda Ospedaliera
15
Cooperativa
15
Comunità Montana
8
LP
4
Inail
1
Non rilevati
148 ( di cui n. 36 iscritti
all’albo nel 2012; e n. 36
iscritti all’albo nel 2010 e 2011
pari a n. 72)
11
12
Fonte dati sito Ordine Regione Lombardia, www.ordineaslombardia.it
Fonte dati presenti nelle tabelle 1) e 2): ufficio formazione Provincia di Brescia
10
3.1 La prima sollecitazione: Per te cosa significa essere un professionista?
a cura di Laura Ciapetti, Sonia Tignonsini
La prima sollecitazione si prefiggeva di far emergere i punti di vista soggettivi sul significato
dell’essere professionista. Ci interessava conoscere come ciascun soggetto ricostruisse, attraverso
proprie categorie interpretative, una definizione di professione. Come mostrano i dati delle tabelle
precedenti ( tab.1 e tab.2) l’assistente sociale lavora prevalentemente in qualità di dipendente.
Risultava dunque interessante esplorare il tema della professione attraverso il pensiero di chi si
trova ad operare in qualità di dipendente rivestendo lo stato di “ professionista” così come declinato
dalle norme di riferimento specifiche inerenti l’assistente sociale.
Con la Legge 23 marzo 1993, n. 84, non solo la professione è stata normata in modo puntuale, ma
prevede anche l’attivazione dell’Ordine professionale.
1. L'assistente sociale opera con autonomia tecnico-professionale e di giudizio in tutte le fasi
dell'intervento per la prevenzione, il sostegno e il recupero di persone, famiglie, gruppi e comunità
in situazioni di bisogno e di disagio e può svolgere attività didattico-formative.
2. L'assistente sociale svolge compiti di gestione, concorre all'organizzazione e alla
programmazione e può esercitare attività di coordinamento e di direzione dei servizi sociali.
3. La professione di assistente sociale può essere esercitata in forma autonoma o di rapporto di
lavoro subordinato.
4. Nella collaborazione con l'autorità giudiziaria, l'attività dell'assistente sociale ha esclusivamente
funzione tecnico-professionale.
5. Per poter esercitare la professione di assistente sociale e assistente sociale specialista è richiesto
rispettivamente il conseguimento della laurea triennale e della laurea specialistica o magistrale in
Servizio sociale e, successivamente, il superamento del relativo esame di Stato di abilitazione
all’esercizio professionale.
Per l’Assistente sociale, “essere professionista” ha significato percorrere un lungo cammino
normativo che ha disegnato anche i parametri dell’identità professionale. “Ma cos’è l’identità?
Quali sono le sue caratteristiche? Ha natura stipulativa, non è data una volta per tutte, e viene
messa alla prova nel rapporto con l’altro ( collega, collega di altre professioni, istituzione, utente,
ecc); è un processo di auto-identificazione e di etero-identificazione. Non basta quindi che lo Stato
ci abbia dato “una certificazione di qualità”, ma spetta al gruppo professionale mantenere il livello
adeguato rispetto alle caratteristiche peculiari e all’utilità sociale che caratterizzano le
professioni”.13
Le scienze sociali si distanziano da un'impostazione dell'identità come unità-totalità indifferenziata.
e nel loro complesso, si focalizzano sul carattere relazionale, intersoggettivo dell'identità e
analizzano i fattori sociali e le dinamiche interattive che sono alla base della sua genesi e del suo
mantenimento. Fra gli elementi innovativi introdotti dagli studi di Erikson,
il processo di categorizzazione sociale è da considerarsi sotto un duplice profilo: come definizione
oggettiva, esterna e vincolante per l'individuo, e come autopercezione, soggettiva e modificabile nel
corso dell'interazione sociale. 14
Il discorso sull’identità professionale diviene dunque un oggetto del pensiero e della riflessione che
13
Renata Ghisalberti, Daniela Poli, Le prospettive di una professione, in Prospettive sociali e sanitarie, n. 17 – 2001, p.2
14
Loredana Sciolla Identita personale e collettiva, Enciclopedia delle Scienze Sociali (1994)
11
si inserisce in un dialogo fra il professionista ed il contesto avendo come bussola di orientamento la
norma che stabilisce i confini di tale identità professionale.
Nell’analisi delle scritture raccolte, fra le risposte pervenute ( allegato 2) alcune attribuiscono un
significato preciso all' “essere professionista”; altre si concentrano sulle “caratteristiche” che
l'assistente sociale dovrebbe avere per essere considerato professionista. Una in particolare sembra
contenere una complessità d’insieme che ci pare interessante:
"E' colui il quale ha acquisito delle conoscenze e sviluppato delle competenze che sa utilizzare con
coscienza soprattutto nell'ambito lavorativo. Egli è consapevole di avere a disposizione degli strumenti o delle
tecniche che per essere efficaci devono essere utilizzate in modo saggio, non necessariamente in modo standardizzato
(dipende da professione a professione) e necessitano di osservazione e riflessione prima di essere applicate. Il
professionista sa di avere delle responsabilità e dunque percorrere i propri doveri con attenzione: e attento a ciò che
agisce, poiché sa che gli altri si affidano a lui. E' la persona che sa assumersi gli oneri del lavoro. Il professionista sa
assumere le decisioni in autonomia, individuare priorità, esprimere valutazioni e organizzarsi il lavoro. Viceversa è la
stessa figura che è capace di lavorare con gli altri (équipe, superiori, altre persone) e sa interfacciarsi con diversi
interlocutori. Il professionista, pur sapendo di poter contare sulle proprie competenze, accoglie i suggerimenti, le
critiche e accetta l'aiuto di altri: se serve sa anche chiedere aiuto, informarsi e cercare strategie nuove. Egli accetta di
osservare i limiti personali o professionali che lo riguardano, tenta di correggerli ed è cosciente che per quanto il suo
lavoro sia qualitativamente elevato, non può risolvere ogni situazione. Il professionista si interroga circa il proprio
lavoro e cerca il confronto, è attento ai cambiamenti e disposto a modificare il proprio operato per aggiornarlo e
migliorarlo. Desidera formarsi e sfrutta ogni occasione, diretta ed indiretta, per soddisfare tale necessità. Il
professionista, inoltre, avverte il senso di responsabilità verso la classe professionale cui appartiene; con il proprio
lavoro cerca di presentare nel modo più adeguato la professione stessa ( in particolare laddove non sia conosciuta o il
contesto non sia favorevole). Egli mette al servizio del bene comune quello che sa fare e si sforza di onorare il lavoro
anche degli altri colleghi (siano pure di professioni diverse)".
Questa scrittura per la ricchezza dei contenuti ci fornisce alcuni punti focali che ci orientano nella
messa in dialogo intorno alla prima sollecitazione:
“[…] Il professionista è colui che ha acquisito conoscenze e sviluppato delle competenze che sa
utilizzare con coscienza[…]”. Nel processo di “adultizzazione” della professione abbiamo assistito
allo sviluppo e all’ampliamento di conoscenze, strumenti, tecniche che hanno contribuito ad una
aumentata complessità sia sul versante della “identità professionale” che nell’assunzione di
proposte e strategie operative rivolte al singolo e alla comunità.
Nel contesto attuale fortemente segnato dalla crisi economico- sociale, i servizi stanno assistendo ad
un aumento di bisogni che si possono declinare in un paradigma “dell’emergenza”. Situazioni
umane complesse che necessitano di un pronto intervento sociale e di una continuità assistenziale.
La professionalità dell’operatore, sollecitata anche da questo quadro d’insieme, necessita dunque di
di spazi di pensiero e confronto con colleghi, prevedendo equipe strutturate o richiedendo momenti
di supervisione. Nulla deve essere lasciato al caso; la complessità e l’emotività che caratterizza
molti colloqui deve essere gestita con competenza e sviluppo di conoscenze. Secondo alcuni
colleghi “essere professionisti” significa essere disponibili ad accogliere suggerimenti, critiche e
ad accettare l’aiuto di altri.
“[…] Assumere decisioni in autonomia[…]”. La contrazione delle risorse, l’ingerenza politica e la
precarietà lavorativa, ci spinge a dire che prendere decisioni autonomamente non sempre è
possibile. La legge n. 84/1993 all’art. 1 sancisce come l’assistente sociale opera con autonomia
tecnico-professionale e di giudizio in tutte le fasi dell’intervento per la prevenzione, il sostegno e il
recupero di persone, famigli, gruppi e comunità in situazioni di bisogno e di disagio e può svolgere
attività didattico-formative. È quindi questa norma un caposaldo per evitare interferenze durante la
conduzione di un caso. Anche il codice deontologico, art 6, sottolinea come il dovere dell’assistente
sociale è quello di difendere la propria autonomia da pressioni e condizionamenti. Il responsabile
12
del caso è l’assistente sociale che, in quanto professionista, si rende garante della realizzazione del
progetto individuando priorità, esprimendo valutazioni, organizzando il lavoro.
“[…] Desidera formarsi e sfrutta ogni occasione diretta e indiretta per soddisfare tale
possibilità[…]”. All’interno della stessa comunità degli assistenti sociali, la Formazione Continua,
in modo particolare all’avvio del triennio di sperimentazione, è stata accolta come un ulteriore
appesantimento e una sottrazione di tempo al procedere lavorativo. A tal proposito ricordiamo
l’osservazione del Consiglio Regionale della Lombardia che presentava la formazione continua
come un evento positivo che andava a rafforzare il prestigio e la qualità della professione. La
professione dell’Assistente Sociale ha un riconoscimento giuridico da parte dello Stato, un titolo di
studio riconosciuto, agisce secondo i dettami propri della professione, ossia nel rispetto
dell’etica, della deontologia e della metodologia. Ma oltre alla preparazione accademica riteniamo
sia necessario affinare l’esperienza acquisita attraverso la formazione permanente in quanto risposta
alla costruzione in divenire dell’identità professionale che vive di un legame stretto con i
cambiamenti socio-culturali.
“[…] con il proprio operato cerca di presentare nel modo più adeguato la professione stessa (in
particolare laddove non sia conosciuta o il contesto non sia favorevole)[…]”. Abbiamo mai
provato a chiedere ad un “non addetto ai lavori” qual è il ruolo dell’assistente sociale? Nel migliore
dei casi la risposta è dettata da una confusione circa il ruolo dell’assistente sociale e quello
dell’assistente socio assistenziale, nel peggiore è la persona che allontana i bambini dalla propria
famiglia. Abbiamo mai visto un’assistente sociale che ha un biglietto da visita? Può essere che la
professione sia sottostimata non solo dalla società ma anche da alcuni atteggiamenti degli assistenti
sociali stessi?
13
3.2 La seconda sollecitazione “A tuo parere quale significato ha essere professionista in qualità
di dipendente di un Ente o Coop o Società …” a cura di Francesca Giugno
Questa seconda questione interroga, apre la riflessione sul rapporto fra Assistente sociale e
organizzazione. Già nell’introduzione abbiamo accennato al significato che assume
l’organizzazione nella costruzione dell’identità professionale. Ci interessava conoscere quali
attribuzioni di significato potessero essere individuate a proposito.
E’ noto che la gestione dei servizi sociali in Italia vede, ad oggi, la presenza di un sistema di
organizzazioni estremamente eterogeneo. Tale pone una necessità di riorientamento non solo da
parte dell’utenza che accede ai servizi ma anche degli operatori stessi all’interno di contesti
lavorativi sempre più diversificati e “liquidi”.
Prima di iniziare ad analizzare le risposte ( allegato 3) date dai volonterosi colleghi che hanno
aderito all’iniziativa, ritengo importante riprendere quanto il Codice deontologico degli Assistenti
Sociali riporta in termini di responsabilità del professionista relativamente all’organizzazione
lavorativa dove è chiamato ad operare e di mission del proprio agire professionale:
“L´assistente sociale deve impegnare la propria competenza professionale per contribuire al miglioramento
della politica e delle procedure dell´organizzazione di lavoro, all´efficacia, all´efficienza, all´economicità e alla
qualità degli interventi e delle prestazioni professionali. Deve altresì contribuire all'individuazione di standards
di qualità e alle azioni di pianificazione e programmazione, nonché al razionale ed equo utilizzo delle risorse a
disposizione.” ( Titolo VI capito I comma 5).
In questo passaggio del codice deontologico viene ben evidenziata in termini generali la mission
dell’operatore che si modulerà successivamente in base al contesto lavorativo.
Per meglio chiarire quello che è attualmente il quadro di riferimento all’interno del quale si vanno a
connaturare i diversi servizi presenti sul territorio risulta esplicativo riportare quanto esplicitato
all’interno della Legge n. 3/2008 di Regione Lombardia “Governo della rete degli interventi e dei
servizi alla persona in ambito sociale e sociosanitario”, e più precisamente nell’art. 3 vengono
definiti i Soggetti:
“ Nel quadro dei principi della presente legge e in particolare secondo il principio di sussidiarietà, concorrono
alla programmazione, progettazione e realizzazione della rete delle unità di offerta sociali e sociosanitarie,
secondo gli indirizzi definiti dalla Regione: i comuni, singoli ed associati, le province, le comunità montane e
gli altri enti territoriali, le aziende sanitarie locali (ASL), le aziende di servizi alla persona (ASP) e gli altri
soggetti di diritto pubblico; le persone fisiche, le famiglie e i gruppi informali di reciproco aiuto e solidarietà; i
soggetti del terzo settore, le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e gli altri soggetti di diritto
privato che operano in ambito sociale e sociosanitario; gli enti riconosciuti delle confessioni religiose, con le
quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, che operano in ambito sociale e sociosanitario.”
Da quanto sopraesposto appare fin da subito chiaro quanto, oggi, risulti possibile da parte di
organizzazioni pubbliche e private, più o meno strutturate, concorrere al panorama della rete
d’offerta.
Proprio all’interno di tale multidimensionalità esercitare richiede al singolo operatore sociale una
maggiore capacità di comprensione di contesti nuovi e la necessità di adattarsi a situazioni e
condizioni lavorative talvolta complesse. Tenendo in considerazione questi elementi e forse più
facile comprendere ciò che viene evidenziato successivamente.
Da una prima analisi delle scritture prodotte dai colleghi sul quesito “Quale significato ha essere
professionista in qualità di dipendente di un Ente o Cooperativa e Società…” sembra emergere un
profilo di campione di operatori impiegati all’interno di un Ente Locale o di una organizzazione
lavorativa dalla struttura chiara e definita. Pertanto ci pare opportuno tracciare una relazione fra chi
ha risposto al quesito e l’appartenenza organizzativa: coloro che sono inquadrati all’interno di un
contesto strutturato può essere che si riconoscano maggiormente come professionisti? Oppure gli
14
assistenti sociali che si trovano in servizi di più recente fondazione si sentano meno legittimati a
causa di limiti organizzativi?
Vi è da sottolineare come, lo svolgere il proprio mandato professionale all’interno di un contesto
istituzionale dai confini chiari e definiti, renda l’operatore stesso maggiormente consapevole del
propri agire professionale e delle dinamiche di relazioni istituzionali da porre in essere sia
all’interno del proprio Ente sia all’esterno. Tale modalità, se non opportunamente gestita, potrebbe
però giungere a reindirizzare modificando, sulla base di caratteristiche generali ed intrinseche sia
della struttura sia dei ruoli gerarchici, le caratteristiche peculiari della professionalità del singolo
operatore.
Vi è altresì, la necessità di evidenziare ciò che qualche assistente sociale ha precisato relativamente
alla tutela di maggiori diritti sia del lavoratore sia del professionista (rapporti sindacali, tutela
giuridica, formazione continua, ecc..), e forse è anche questo uno degli aspetti che amplificano il
desiderio ad una partecipazione su tematiche relative all’essere professionista oggi.
Cercando di analizzare questo dato relativamente alla partecipazione alle sollecitazioni unitamente
a quanto riportato sul sito dell’ordine professionale della Lombardia in relazione alle fasce d’età
degli iscritti (v. tabella sottostante. Fonte sito Croas Regione Lombardia anno 2011), è possibile
riflettere sul fatto che il numero maggiore di iscritti è compreso nelle fasce d’età 30-39 e 40-49 e
che pertanto costoro abbiano un impiego ormai stabile.
DA (età)
20
30
40
50
60
70
80
TOTALE
A (età)
29
39
49
59
69
79
89
SEZ. A
26
116
312
334
85
14
-
SEZ. B
701
1298
877
744
206
43
4
TOTALE
727
1414
1189
1078
291
57
4
4760
Entrando maggiormente sul versante tecnico, dalle scritture emerge come funzione di grande
importanza dell’essere professionista in contesti diversi, la possibilità, attraverso le proprie
conoscenze dei fenomeni sociali, di poter fornire alla parte politica quelle informazioni importanti
per ragionare congiuntamente nel programmare le politiche sociali future. Tale ruolo è posto in
luce anche all’interno del Codice Deontologico degli Assistenti Sociali che all’art. 37 testualmente
dichiara: “L’assistente sociale ha il dovere di porre all’attenzione delle istituzioni che ne hanno la
responsabilità e della stessa opinione pubblica situazioni di deprivazione e gravi stati di disagio
non sufficientemente tutelati”. E’ possibile ipotizzare che tale competenza dell’agire professionale
venga ritenuta oggi ancor più rilevante proprio alla luce delle risorse sempre più limitate all’interno
dei servizi e della complessità delle situazioni con le quali si lavora. Questa sensazione di precarietà
e di continuo “movimento” rende necessario, da quanto emerso, creare spazi di riflessione al fine di
approfondire la situazione esistente e di programmare la tipologia di intervento possibili in un
sistema sempre più mutevole che giunge in taluni casi fino al rendere incerta la presenza
dell’operatore stesso che si manifesta con un elevato turn over e/o con la contrazione del monte
orario disponibile.
All’interno di un panorama di questo tipo il rischio nel quale il professionista potrebbe imbattersi è
quello di appiattirsi, perdendo di vigore nelle caratteristiche tipiche della professione, perché il
tempo a disposizione è sempre meno, le richieste aumentano e la concentrazione è maggiormente
orientata alla prestazione contingente in termini di erogazione di servizi. Proprio in quest’ottica
15
Letizia Chiodi 15 afferma “[…] Sovente viene infatti a crearsi una situazione per cui, piuttosto che
ritenere che i servizi si caratterizzino qualitativamente grazie al contributo professionale degli
assistenti sociali costituito da metodologie, strumenti e tecniche, l’identità professionale di questi
viene ‘offuscata’ dal servizio stesso”. In tal senso il professionista oggi viene privato di: spazi di
riflessione, di confronto con colleghi e supervisori; l’opportunità di crearsi un bagaglio
esperienziale e pertanto una specializzazione; la possibilità di raggiungere degli obiettivi
professionali anche attraverso il riconoscimento del proprio lavoro da parte dell’altro.
Per concludere, ci sembra importante costruire spazi di pensiero condiviso che abbiano come
finalità la riflessione su come poter gestire questo periodo storico molto complesso che si ripercuote
anche sulle professioni di aiuto al fine di ritrovare, congiuntamente, una nuova spinta motivazionale
all’operare sottolineando sempre più l’importanza delle caratteristiche della professione
dell’assistente sociale. E’ opinione ormai condivisa che spesso gli assistenti sociali tendano a
“cullarsi” in una critica sterile su ciò che l’amministratore e la politica, in termini generali, non
pongono in essere, ponendo scarsa attenzione all’assunzione in primis della messa in opera di
un’azione che i primi promotori della professione sono gli assistenti sociali stessi affrontando la
fatica mettersi in luce e a valorizzarsi.
15
Letizia Chiodi, L’assistente sociale: professionista dell’aiuto o erogatore di servizi?, in Prospettive sociali e sanitarie,
n. 3/2011 pp.gg 11-15
16
3.3 La terza sollecitazione: “A tuo parere ci sono, e se si quali, fattori che indeboliscono
(impediscono, riducono, contrastano)/ rafforzano l’espressione della tua professionalità nel
servizio e/o Ente per il quale lavori?”. A cura di Ludovica Danieli e Marina Francesca Poinelli
La terza sollecitazione intendeva aprire un’autoriflessione intorno a ciò che ostacola e/o facilita
l’esercizio della professionalità all’interno dell’organizzazione di appartenenza.
Di seguito andremo a proporre alcune piste di lettura di quanto i testi hanno consegnato intorno ai
due temi contenuti nella sollecitazione: il primo i fattori che indeboliscono la professione; il
secondo i fattori che rinforzano la professione.
I fattori che indeboliscono l’espressione della professionalità
Per quanto riguarda la riflessione proposta, trentasette sono le scritture che dialogano con la
sollecitazione. Esaminandole attraverso l’individuazione di salienze sono venute a configurarsi tre
aree che calamitano le scritture/rappresentazioni su ciò che “indebolisce la professionalità”.
1. Problematiche connesse all’organizzazione
2. Rapporto tra tecnici ed amministratori
3. La scarsa conoscenza della figura professionale/professionalità dell’Assistente Sociale
Le tre aree prendono voce attraverso l’individuazione di motivi che ruotano loro attorno.
17
Schema 1 – Problematiche connesse all’organizzazione
La scelta da parte
dell’Amministrazione di
un responsabile non
assistente sociale e non
laureato, nonostante la
presenza in servizio di
tre assistenti sociali.
Non poter delegare
maggiormente funzioni
più
amministrative/burocratic
he che fanno perdere
tempo.
Limitatezza delle
risorse economiche,
umane e strumentali.
Frammentazione di
progetti, proposte,
soggetti e difficoltà di
svolgere un ruolo di
regia o di costruzione
di senso condivisa.
Non essere assunta
direttamente dall'ente.
La carenza di personale
amministrativo.
Problematiche connesse
all’organizzazione
Poca chiarezza da parte dei
responsabili sulle linee
progettuali da seguire per le
situazioni con problemi
economici e abitativi ( a chi
e quali servizi erogare, per
quanto tempo, quali criteri
applicare per i contributi
economici ecc…
Trovarsi sempre più
“sul fronte” a dover
affrontare situazioni di
gravi e crescenti
fragilità, di ogni tipo,
potendo però contare
su sempre meno
risorse disponibili.
Dover negoziare
continuamente tra la
rigidità organizzativa
(regole, funzioni,
competenze, risorse) e i
processi sociali dei quali
si è interpreti e sui quali
si interviene per
prevenire o rimuovere gli
stati di bisogno.
La dimensione
organizzativa incide
pesantemente sui limiti e
sulle opportunità di
esercizio della propria
professione.
Molto tempo dedicato ad
atti amministrativi
(determine,
rendicontazioni,
conteggi, bilancio etc…)
che spesso “minano” lo
stato d’animo e
l’attenzione dovuti
all’accoglienza.
L’eccessivo carico di lavoro
non permette all’operatore
di mettere in atto azioni ed
interventi rispondenti ai
reali bisogni rilevati perché
sempre più si è chiamati a
rispondere e “tamponare” le
situazioni di
urgenze/emergenza.
18
Schema 2 – Rapporto fra tecnici e amministratori
Rapportarsi con il
potere politico che
spesso cambia e
muta le scelte dei
progetti nei servizi.
Rapporto con le figure
politiche, che spesso
creano interferenze
con le situazioni in
carico per la non
conoscenza del ruolo
dell'assistente sociale.
Dover, per ogni tipo di intervento, di
progetto da attuare o in alcune
situazioni per la gestione del caso
stesso, attendere parere vincolante da
assessori, funzionari o dirigenti in
particolare se non appartenenti alla
propria comunità professionale;
solitudine professionale.
Le linee
d’intervento
imposte da
un’Amministrazio
ne.
Rapporto tra
tecnici e
amministratori
Le scelte
politiche
conseguenti
alla crisi
economica.
Il delicato rapporto tra
tecnici e politici. (Tante
volte il problema non è
solo la carenza di
risorse o la
disponibilità a volerle
utilizzare, bensì che il
politico accetti di
fidarsi del
professionista, quindi
“di non avere nessuna
competenza in quel
campo”, e percorra
una strada indicata da
un altro diverso da lui
o dalla giunta).
L'impossibilita' di contrattare e la scarsa
incisività sulla Programmazione
politica/sociale/economica che fatta al vertice
della piramide (regione) a cascata si
ripercuote nei servizi di base.
Cosa ci dicono questi primi due schemi? Così come si incontrerà più avanti nel paragrafo dedicato
ai motivi che rafforzano la professionalità, il rapporto con l’organizzazione/Ente, senza soluzione di
continuità con lo schema 2), sembra essere percepito e costituire lo snodo e anche il nodo di
maggiore importanza e complessità nella definizione del “Cosa ostacola, pregiudica, indebolisce
l’espressione della professionalità”.
Intorno alla tematica Rapporto fra assistente sociale e Organizzazione gli studi e le ricerche prodotte
in ambito accademico e scientifico sono numerose. La messa a fuoco di un’analisi psico-sociologica
delle organizzazioni è da sempre materia di studio nei percorsi formativi di base rivolti alla figura
dell’assistente sociale. La Provincia di Brescia a partire dal 1990 edita la Collana Formazione e
19
servizi e pubblica i Quaderni che contengono le elaborazioni teorico-riflessive maturate in alcuni
percorsi formativi. In questi quaderni sono affrontati temi che potremmo definire sostanziali e
trasversali per la figura dell’Assistente sociale e non solo. Abbiamo dunque volutamente riaperto le
pagine di due pubblicazioni della Collana Formazione Servizi della Provincia di Brescia16,
consapevoli che si procede in strade nuove non facendo oblio di quanto è accaduto prima e dunque
di una forma di saggezza del sapere attraversato negli anni per trasformarlo, talvolta confutarlo,
altre ancora per apprendere da esso in termini di progettualità conoscitiva futura.
La docente del corso formativo e curatrice del quaderno n.1/1990 e relatrice al Convegno
(quaderno n. 3/1991), Dr.ssa Carla Bisleri, nell’analisi del percorso/processo di formazione che
vedeva coinvolte Assistenti sociali di Comuni e USSL, mette in evidenza alcuni nuclei che
ritornano e ritroviamo nelle scritture raccolte nell’anno 2011 dal Gruppo FC di Brescia.
I motivi re-incontrati in questo lavoro formativo, svolto negli anni 1986 – 1990, risuonano oggi
come stimolo a continuare la riflessione intorno a temi che chiedono di essere ancora indagati.
Vediamone, fra i tanti che emergono nel Quaderno n. 1/1990, alcuni:
La preoccupazione circa la continuità tra passato e futuro per quanto riguarda la storia della figura professionale,
le evoluzioni, le percezioni, gli impegni legislativi.
Le tensioni rivolte alla auto legittimazione si sono tradotte frequentemente in “modelli idealizzati” di
professionalità.
Piuttosto che da modelli, come costruire interrogativi sulla natura e caratteristiche del rapporto che gli assistenti
sociali instaurano con le organizzazioni ( cosa è loro chiesto e cosa chiedono).
La reciprocità tra persona e organizzazione intesa come l’influenza elevata dell’organizzazione nell’esercizio
della professione e che, all’assistente sociale sono richieste competenze, abilità, impegni per ciò che attiene
all’organizzazione di interventi, alla gestione di processi organizzativi.
Un rischio sempre presente a cui far fronte è quello di separare, di scindere la lettura degli avvenimenti e dei
fenomeni o a carico del soggetto o a carico della organizzazione.
Il ruolo è il risultato di una interazione, non è né solo attributi personali né solo adesione ad una funzione
organizzativa. È una traduzione.
Utilizzare la formazione come luogo di riflessione e di apprendimento, di supervisione e di analisi per essere più
“autori” del proprio lavoro.
Ci sembrava interessante dare riscontro di questa continuità tematica nell’individuare i nodi e gli
snodi sostanziali percepiti dagli assistenti sociali interconettendoli con le nuove scritture.
Prendendo in esame le scritture dello schema 1) un primo motivo ostacolante, che pare emergere,
è una sorta di polarizzazione fra due elementi: rigidità organizzativa VS processi sociali.
L’influenza dell’organizzazione nell’esercizio della professione, nel nostro caso, dell’assistente
sociale, è una dimensione importante, con una portata di questioni che influiscono e influenzano la
poliedrica forma della professione. Le scritture ci segnalano una organizzazione che esprime una
dimensione “forte” e che sembra produrre l’immagine e la percezione soggettiva di una divisione
manichea: può agevolare oppure ostacolare il lavoro dell’operatore. È in tale condizione di
liminalità che sembra muoversi l’assistente sociale nell’esercizio delle proprie competenze
professionali.
L’organizzazione con le sue regole di funzionamento sembra percepita come freno all’espressione
della professionalità da un lato e dall’altro viene segnalata la fatica di quel ruolo di “mediazione”,
fra assistente sociale – organizzazione – sistema cittadino/utente/cliente. L’assistente sociale si pone
“tra”. Spesso una posizione di soglia che può destabilizzare e dunque polarizzare la visione del
processo nel quale la stessa assistente sociale è inserita.
Dal quaderno n. 3/1991 leggiamo
16
Provincia di Brescia, Assessorato Servizi sociali, Formazione e servizi - Quaderno n. 1, La Professionalità
dell’assistente sociale nella organizzazione dei servizi socio-sanitari, a cura di Carla Bisleri, Brescia, 1990; Provincia di
Brescia, Assessorato servizi sociali, Formazione e servizi – Quaderno n. 3, Atti dell’incontro di studio realizzato a
Brescia, La Professionalità dell’assistente sociale nella organizzazione dei servizi, a cura di Nicola Negretti, Brescia,
1991.
20
[…]Il lavoro nell’organizzazione e per l’organizzazione […] spesso per l’assistente sociale in particolare è
“fare concretamente” ciò che gli altri chiedono ( l’utente, l’amministratore, il collega, il preside della scuola,
etc.) disperdendo in queste frammentazioni di cose da fare e da tenere insieme anche la propria soggettività, i
propri “confini”, e talvolta la propria identità professionale […]. In questa dimensione del lavoro si situano
processi decisivi sia per l’efficacia degli interventi alle persone, sia per lo sviluppo della propria immagine ( ed
altrui) che per l’esercizio di competenze professionali.
Altri due elementi vengono segnalati come ostacolanti, in questa prima area riferita alle
problematiche connesse all’organizzazione: le funzioni amministrative e le risorse economiche
carenti: “molto tempo dedicato ad atti amministrativi (determine, rendicontazioni, conteggi,
bilancio etc…) che spesso “minano” lo stato d’animo e l’attenzione dovuti all’accoglienza”.
Il tempo dedicato alla “presa in carico” degli atti amministrativi viene percepito come
“destabilizzante” nel rapporto con la persona-utente del servizio. Ancora una volta sembra
disegnarsi una logica separativa che toglie risorse ed energie.
In questa contrapposizione segnalata dalle scritture sembra così delinearsi un primo dato di
sofferenza nell’espressione della propria professionalità. Sembra incastrata fra due confini. Quale
può essere il gioco per non rimanerne schiacciati?
Un altro raggruppamento che segnaliamo essere presente in questa area che stiamo analizzando è
riconducibile a quanto viene codificato come “essere sul fronte”. E questa posizione sembra
rivestirsi di alcune espressioni: “affrontare situazioni di gravi e crescenti fragilità”; “ l’eccessivo
carico di lavoro non permette di agire interventi rispondenti ai bisogni”; “ tamponare le
situazioni”; “ poche risorse disponibili”.
Dichiarazioni che sembrano mettere in luce da un lato il confrontarsi in prima linea con gli effetti di
un sistema sociale, economico e culturale che sta producendo soggettività “fragili” nelle diverse età
della vita e in diverse dimensioni esistenziali. Una fragilità diffusa che investe la figura
dell’Assistente sociale che all’interno di una organizzazione spesso è chiamata a “dare risposta” e in
questo momento storico con una sempre più elevata sottrazione di risorse economiche. Come, in
questo stato di rincorsa e povertà, rendere la propria professionalità risorsa per sé, per il cittadino e
per l’organizzazione?
In continuità con lo schema 1) il successivo (2) racconta di un altro elemento costitutivo della figura
dell’assistente sociale nell’esercizio della sua professionalità: il rapporto con il
politico/amministratore. Quale e che tipo di scambio si costruisce fra tecnici e politici?
In primo luogo pare emergere la fatica di questa relazione. Fatica che si contestualizza anche
all’interno di una crisi del sistema politico attuale nelle sue diverse variabili riferite ad una strategia
complessiva che sembra riportare a indirizzi culturali di antica data ( monetarizzazione, contributi,
logiche assistenziali, etc.) e riferibili a indirizzi distanti da programmi politici che investono nella
creazione di una cultura di servizi sociali emancipativi delle persone e della comunità. Questioni
queste che si intrecciano con la crisi economica che investe le politiche sociali, o diventa, in taluni
casi, un alibi per governare le scelte progettuali in ambito sociale.
Nuovamente ritorna l’immagine di un operatore che si colloca “Tra” il bisogno del cittadino e le
politiche nazionali e locali che permeano anche l’agire professionale.
Ci sembra importante riportare, in linea con questi motivi segnalati nelle scritture degli assistenti
sociali, alcuni passaggi del documento scritto e diffuso dall’Ordine degli assistenti sociali della
Regione Lombardia in data 21 ottobre 2011 avente come contenuto Azioni di sostegno per
fronteggiare la situazione politica nazionale intraprese dal CROAS della Lombardia e scritto
in relazione alla costruzione di un tavolo di riflessione allargato a diversi soggetti sul disegno di
Legge Delega per la riforma Fiscale e assistenziale (n. 4566) approvato dal Consiglio dei ministri il
30 giugno 2011.
Leggiamo nel documento:
21
“Meno erogazioni monetarie e più servizi! […]Costruire un’economia sociale nel rispetto dei principi, di standard,
avendo chiaro che quando si parla di servizi alla persona non si è dentro ad una logica di mercato; ruolo del
pubblico come programmatore di tavoli integrati; ponte/garante dell’accesso ai servizi; presidio dei bisogni locali;
[…] Prevedere forme di contrasto alla povertà attraverso un sistema basato su criteri universalistici; una
valutazione della necessità economica; il superamento della logica ripartivo/assistenziale; la definizione di obiettivi
da perseguire e verificare nel tempo; interventi mirati alla progressiva emancipazione/autonomizzazione della
persona”
In questo frammento, prelevato dal documento sopracitato, e parallelamente nelle scritture raccolte,
vengono messi in luce quei temi importanti nella gestione complessiva di una politica sociale che se
sganciati da un dialogo fra livello politico e livello del sapere tecnico provocano scissioni che
costruiscono vicoli ciechi nell’operare dell’uno e dell’altro livello.
Le assistenti sociali segnalano inoltre la percezione di una aumentata assenza di fiducia da parte del
politico nei confronti del professionista. Un ulteriore aspetto di una divaricazione che si allontana
peraltro anche dalle diverse norme legislative inerenti il rapporto fra politici e tecnici nella gestione
degli adempimenti di un Ente e che tocca il disconoscimento della professione in capo
all’Assistente sociale. Questa separazione dei saperi sembra riversarsi ulteriormente nella possibilità
di agire quelle parti inerenti l’esercizio professionale riguardanti gli aspetti di programmazione e
progettazione, nonché di valutazione propri della figura dell’Assistente sociale: “la scarsa incisività
sulla programmazione politica/sociale/economica è fatta al vertice della piramide ( Regione) e a
cascata ricade nei servizi di base”. Una condizione che sembra costruire un terreno operativo più di
esecuzione che di partecipazione condivisa nella diversificazione delle competenze.
Un quadro che ci rassegna una immagine di fatica, sofferenza ma anche di capacità di cogliere, da
parte degli assistenti sociali, e potenzialmente di elaborare tramite luoghi e spazi di pensiero, le
questioni che possono indebolire la professione. Come vedremo nel paragrafo dedicato a quanto
garantisce l’espressione, il rinforzo della professionalità, la formazione viene evidenziata come
elemento necessario. La domanda che ci si pone: quale formazione, in questo momento storico
culturale, può essere opportuna per far fronte alle questioni sollevate in precedenza? Quanto
potrebbe risultare importante offrire un tempo formativo intorno al pensiero riflessivo sui processi
di lavoro oltre che sui contenuti del proprio lavoro?
Proseguendo nell’analisi delle scritture nel successivo schema 3) abbiamo riassunto le riflessioni
che si addensano attorno al tema della scarsa conoscenza della professionalità dell’assistente
sociale.
Quale conoscenza diffusa sul piano culturale, sociale, nel contesto locale e nazionale, della figura
professionale dell’Assistente sociale? E come è cambiato, se si è modificato, nel tempo, in relazione
anche ad una aumentato peso culturale dopo il riconoscimento del corso di base a livello
Universitario, questo sguardo dell’esterno? E’ una figura che deve fare ancora i conti con pregiudizi
socio-culturali all’interno dei quali si vengono a costruire adesioni/idealizzazioni/sottovalutazione
diffuse ma anche di percezione soggettiva a carico dello stesso professionista? E quanto influisce
dunque sull’espressione della Professione?
Dalle scritture riappaiono i conosciuti e “storici” pregiudizi ancora presenti nell’immaginario
collettivo: un volto “buono”: si fa questo lavoro per spirito di missionarietà, è necessario avere buon
senso; e un volto cattivo: l’operatore che porta via i bambini, il legame con il potere che controlla.
In questi sguardi transita, attraverso il linguaggio, il motivo di svalutazione della figura
professionale che incide nel non riconoscimento della complessità del ruolo da parte del sistema
sociale: cittadini, politici, reti sociali e culturali. Il pregiudizio nasce dalla non conoscenza della
prismaticità dell’altro da sé, delle sue molteplici caratteristiche che non si riducono mai ad una sola
definizione.
Pertanto il motivo del “far conoscere per conoscere” la figura professionale dell’assistente sociale ci
sembra un interrogativo ancora aperto e che attende ulteriori risposte da affiancare a quante già ne
sono state offerte. Il tema è anche come ci si fa conoscere; quali possibilità, strumenti e occasioni si
22
costruiscono. Ma anche quale collusione, talvolta, anche la stessa assistente sociale mette in atto
con tale immaginario che la vede “impossibilitata a dire NO, e ad occuparsi di tutto”.
Sollecitazioni importanti che possono smuovere il terreno indurito dalla attribuzione o
dall’assunzione di “maschere professionali” che poco alla volta mostrano la distanza dall’esercizio
di una professione che abita il dialogo con la complessità e che non può non farsene carico.
Schema 3 - La scarsa conoscenza della professionalità dell’assistente sociale
Logica diffusa delegante
che attribuisce al servizio
sociale la soluzione dei
problemi come se le
persone e la comunità non
fossero parte in causa.
Una scarsa considerazione
del ruolo dell'assistente
sociale spesso non solo dai
cittadini per i loro pregiudizi,
cosa più comprensibile, (a.s.
= quella che porta via i
bambini; as. viene a lavare il
nonno ecc.) ma sempre più
frequente da parte delle altre
istituzioni che si permettono di
individuare interventi propri
della ns. professione (es.
scuola che segnala situazioni
e propone già come
intervenire -adm ecc.- o
contesta approfondimenti ed
analisi della situazione come
perdite di tempo chiedendo a
domanda-risposta immediata;
avvocati che richiedono
presenza as. agli sfratti come
se fossimo un organo di
polizia...).
L’opinione, ancora molto
diffusa, che per fare
l’assistente sociale, sia
sufficiente il buon senso
ed il buon animo.
La scarsa conoscenza della
Professionalità dell’assistente
sociale
Il pensiero spesso condiviso che la nostra non
sia una professione ma una missione e per
questo non possiamo mai dire di no, non
possiamo mai delegare e quindi veniamo
definite le “TUTTOLOGHE dell'aiuto”, come se
fare l'assistente sociale fosse sinonimo di
volontariato.
Lo scarso
riconoscimento
economico.
La difficoltà "a farti
riconoscere" in quanto
professionista all'interno
della tua équipe di lavoro- il
tema dell'integrazione
professionale.
La svalutazione della propria
specificità di costruire
relazioni d’aiuto rende deboli
e poco potenti.
Scarsa conoscenza (e spesso
anche considerazione) del
ruolo dell’a.s. da parte di altre
professionalità e istituzioni.
Delegare al professionista
mansioni altre rispetto a
quelle che sarebbe chiamato
a svolgere per definizione.
23
Quanto Rafforza la professionalità
Per questo secondo tema contenuto nella sollecitazione abbiamo circoscritto otto aree che
aggregano le scritture/rappresentazioni di quanto “rafforza la professionalità”.
Aree
Motivi legati all’Ente/Organizzazione
Scritture/rappresentazioni
Riconoscimento del lavoro
Presenza in un servizio di più assistenti sociali
Coinvolgimento as nella programmazione delle
modalità di intervento – impostazione servizio –
realizzazione di un progetto
Autonomia nell’agire il ruolo
Una cornice organizzativa chiara
Presenza di risorse economiche
Riconoscimento formale da parte dell’Ente del
gruppo professionale
Lavoro presso un ente locale referente titolare del
caso
Collaborazione con il proprio Ente di appartenenza
Presenza di un responsabile partecipativo e che
condivide
Sostegno dei superiori
Carico di lavoro proporzionato al tempo a
disposizione
Condivisione delle scelte con l’ente
Lavoro in equipe/di rete con professionisti
Lavoro in equipe
Lavoro di rete fra professionisti
Lavoro con un collega
Lavoro con gruppo di lavoro
Collaborazione con altri professionisti
Partecipare a realtà esterne all’ente di appartenenza
Integrazione socio sanitaria
Attività di raccordo con altri enti
Confronto/capacità di
Confronto
Confronto con i colleghi
Capacità di confronto
Spazi di pensiero con un collega
Condividere conoscenza e sapere
Interagire con altri professionisti
Interagire con la propria comunità professionale
Acquisire competenze diversificate: amministrative e
di coordinamento ma anche contatto diretto con
l’utenza
Centratura sulla competenza relazionale
Incontri con il territorio
Sinergie con il terzo settore
Accoglienza e ricevimento del pubblico
Assunzione di responsabilità organizzative e di
coordinamento
Partecipazione a tavoli integrati
Capacità di proporre progetti/soluzioni/alternative
Capacità di programmare e valutare
Formazione continua
Formazione continua
Soggettività
Autonomia di scelta e di pensiero
Chiedersi che tipo di professionisti vorremmo essere
Percorso su se stessi
Modalità di lavoro
24
Supervisione
Fermarsi a pensare servizi, modalità operative
Spazi di autonomia
Flessibilità
Far conoscere la professione
Essere riconosciuto come soggetto dotato di
strumenti professionali consoni al fine di esplorare il
possibile e Progettare con consapevolezza
Supervisione
Il contesto dell’Ufficio di piano
Partecipare al lavoro dell’ufficio di piano
Fra le otto aree la più rappresentata risulta essere “Motivi legati all’Ente/Organizzazione”.
La relazione con l’Ente/organizzazione è interpretata attraverso elementi diversificati quali la
presenza di una cornice organizzativa chiara dove andiamo a supporre una definizione di ruoli e
competenze nei quali i professionisti possono riconoscersi, essere riconosciuti, dentro ad una trama
organizzativa di senso, di progettualità e messa in azione che, nel momento in cui funziona,
risponde a quanto viene indicato come riconoscimento del lavoro. Una trama organizzativa che sa
muoversi intorno ad assetti che riconoscono i saperi e che procedono attraverso una progettualità
che muove dall’esistente per comprendere il percorso da sviluppare in un preciso contesto e dunque
sembrano così evidenziarsi altri motivi segnalati: il Coinvolgimento dell’assistente sociale nella
programmazione delle modalità di intervento – impostazione servizio – realizzazione di un
progetto; la collaborazione e condivisione con il proprio Ente, la presenza di un responsabile
partecipativo e che condivide, il sostegno dei superiori, presenza di risorse economiche.
Aspetti che richiamano quell’intreccio complesso fra professionalità dell’Assistente sociale e
funzione specifica dell’Ente/organizzazione nel/nella quale essa opera attraverso specifiche
competenze e pratiche di lavoro.
Ed ancora sembrano riconoscere come elementi che rinforzano la capacità da parte
dell’Ente/Organizzazione le proprie risorse professionali (Riconoscimento del lavoro), di sviluppare
fiducia nella parte tecnica, di consolidare il rispetto dell’ Autonomia nell’agire il ruolo da parte
dell’assistente sociale.
Questi motivi che raccontano l’Area della relazione con l’ente/organizzazione sembrano
polarizzarsi, a loro volta, attorno a tre configurazioni interessanti:
-
-
-
quale “ordine” organizzativo/progettuale si da l’ente ( cornice organizzativa; presenza di un
responsabile partecipativo e che condivide; carico di lavoro adeguato al tempo-lavoro; risorse
economiche)
quale “sapere relazionale” viene giocato dall’ente/organizzazione ( riconoscimento del lavoro;
coinvolgimento assistente sociale nella programmazione- realizzazione di un progetto ma anche
rispetto dell’autonomia professionale; riconoscimento di un gruppo professionale)
quale condivisione “orizzontale”, con altri operatori, è sperimentata ( presenza di più assistenti
sociali in un ente/organizzazione e/o di un gruppo professionale riconosciuto formalmente)
Chi segnala la Relazione con l’ente come indicatore del rafforzamento della professionalità sembra
dirci di un Ente/Organizzazione dinamica, attenta ad un procedere progettuale e che si prende cura
anche dell’espressione dell’ambito relazionale come ingrediente fondativo dell’efficienza ed
efficacia di un servizio che produce “oggetti immateriali”.17
17
Franca Olivetti Manoukian, Produrre servizi. Lavorare con oggetti immateriali, Il Mulino, Bologna 1998
25
Allora si apre la domanda: in tale paesaggio articolato e complesso quali sono i protagonisti di
questa relazione e con che modalità viene costruita, curata, modificata la relazione fra essi?
Quale investimento intellettivo, progettuale, operativo richiede all’assistente sociale e
all’Organizzazione ?
La seconda area posta in evidenza Il Lavoro in equipe/lavoro di rete con professionisti.
In un suo scritto, Franca Olivetti Manoukian pone una questione interessante: “C’è molto più
attaccamento alle dimensioni professionali che investimento nelle dimensioni organizzative”18.
Perché la citiamo? Perché mettere in evidenza, da parte degli assistenti sociali, la dimensione del
lavoro condiviso o della co-costruzione di orizzonti progettuali e operativi, sia in termini di gruppo
professionale che nell’integrazione fra professionalità diverse ( educative, sanitarie, amministrative,
scolastiche, volontariato,…), sembra mostrare una intenzionalità professionale non arroccata nella
difesa aprioristica dei propri confini ma disposta, per ragioni di promozione di beni rivolti ai
cittadini dunque di investimento nelle dimensioni organizzative, a muoversi secondo una logica di
integrazione e di confronto.
In queste scritture troviamo come rafforzamento della professionalità la risorsa che rappresenta un
gruppo di lavoro specifico dell’unità d’offerta che si accompagna all’opportunità di lavoro in
coppia – con un, una collega -; la collaborazione con altri professionisti. Una dimensione di
relazionalità che va costruita e cercata all’interno e che “fa bene” alla professionalità, ma anche al
di fuori delle mura del servizio: nel territorio nell’integrazione con altre realtà organizzative.
Sembra evidenziarsi un elemento chiave dell’assistente sociale: l’importanza della rete, del lavoro
comunitario a più livelli. Sembrano dirci queste scritture: l’efficacia di un intervento o di un
servizio si misura dalla capacità di “lavorare con”.
Questa imprenditorialità relazionale è ulteriormente sostenuta dalla terza area che abbiamo
chiamato confronto e capacità di confronto.
Stare in una relazione comporta diverse capacità: ascolto, riflessione, una pratica dell’epochè
fenomenologica, autoriflessione, interrogazione, mediazione, decisone.
La capacità di confronto va educata, cresciuta, sostenuta. Una virtuosità che sembra alimentare non
solo il processo operativo ma ancor prima il Conoscere, come categoria che interviene nella crescita
e sviluppo della Professionalità in tutti i suoi diversi accenti.
Il tema del rafforzamento della professionalità sembra infine essere strettamente correlato a quanto
viene evidenziato nelle ultime due aree: Modalità di lavoro e Formazione continua e
supervisione.
Se la formazione viene più volte individuata come luogo di emancipazione professionale, pensiamo
anche come luogo di pensiero e di revisione del proprio essere assistente sociale professionista
dentro a contesti organizzativi diversificati così le modalità di lavoro, strettamente connesse ci pare
di poter dire alla possibilità di formarsi, risultano mattoni indispensabili nel rafforzamento
dell’esercizio della professione. Le dimensioni che incontriamo in questa area sembrano
circuambulare intorno alla specificità operativa dell’assistente sociale: il lavoro con il singolo, il
lavoro con i gruppi, il lavoro con una comunità più vasta e al loro interno la capacità di pensare nei
termini di progettazione, programmazione, coordinamento. Così come è riconosciuta l’importanza
della supervisione.
I luoghi che producono pensiero riflessivo, di osservazione, analisi del proprio ruolo, competenze,
agire professionale, vengono qui evocati come opportunità per comprendere, ospitare, indagare,
interrogare quel dato complesso e pluriforme che connota la professione dell’Assistente sociale.
In allegato 4) riportiamo, per esteso, le scritture pervenute. Nel primo schema le scritture sono
distribuite in ordine alle due categorie: Ciò che rafforza ciò che indebolisce; nel secondo sono
rappresentate le parole chiave maggiormente ricorrenti nelle scritture.
18
Franca Olivetti Manoukian, Modelli organizzativi dei servizi di salute mentale, relazione al terzo seminario, 28 marzo
2007 – www.psychiatryonline.it
26
4. APPUNTI CONCLUSIVI. A cura di Ludovica Danieli e Simonetta Filippini
Le tre sollecitazioni ci hanno restituito “il pensiero” del 7,71 % degli assistenti sociali iscritte
all’albo in provincia di Brescia. Nonostante l’esigua percentuale, l’indagine qualitativa svolta
attraverso la scrittura, ci aiuta a delineare un quadro di tematiche che trovano rispecchiamento in
indagini più generali condotte a livello nazionale, in tempi recenti, nonché alle riflessioni prodotte
da studiosi nell’ambito dell’organizzazione dei servizi e delle politiche di Welfare.
La ricerca di recente pubblicazione a cura di Carla Facchini19 mette in evidenza, infatti, alcune
tematiche che emergono anche nelle nostre scritture. Fra le diverse corrispondenze riscontrate, due
paiono particolarmente interessanti.
La prima riguarda l’immagine del lavoro: un mestiere molto piegato sul versante “del fare”,
dell’avere le mani in pasta per carichi di lavoro ingenti e intensi a scapito di tempo e spazio per la
riflessione intellettuale. Anche nelle nostre scritture questo dato emerge in molti frammenti ma
viene più volte nominata l’importanza della formazione continua, dello scambio fra colleghe come
luoghi di ricerca e riflessione per cercare un “nutrimento” intellettuale che possa avere ricadute
sull’operatività e sulla costruzione della propria professionalità. Rilanciamo a tal proposito una
delle domande che si sono aperte in queste pagine: Quale formazione, in questo momento storico
culturale, può essere opportuna per far fronte alle questioni sollevate in precedenza? Quale
investimento intellettivo, progettuale, operativo è richiesto all’assistente sociale e
all’organizzazione ? Quanto potrebbe risultare importante offrire un tempo formativo intorno al
pensiero riflessivo sui processi di lavoro oltre che sui contenuti del proprio lavoro?
La seconda pone in risalto una risposta nel complesso positiva circa il cammino di
professionalizzazione intrapreso in riferimento ad un elemento caratterizzante l’assistente sociale: il
riconoscimento della centralità e della trasversalità del proprio lavoro nel contesto dei servizi socio
assistenziali e sanitari. Una professione snodo che potenzialmente è chiamata a tessere trame
operative sia in ordine ai presupposti formativi di base, al codice deontologico, alle pratiche
operative sempre più orientate all’integrazione e condivisione per l’assunzione delle problematiche
sociali. Un elemento questo più volte sottolineato nelle scritture da noi raccolte in riferimento alla
prismaticità operativa e relazionale incontrata nel quotidiano. È in relazione a questo tema ultimo
che nel corso delle pagine qui presentate abbiamo aperto alcune domande sentite come
particolarmente evocative:
Rigidità organizzativa VS processi sociali. In questa contrapposizione segnalata dalle scritture
sembra delinearsi un primo dato di sofferenza nell’espressione della propria professionalità.
Sembra incastrata fra due confini. Quale può essere il gioco per non rimanerne schiacciati?
Come, in questo stato di rincorsa e povertà, rendere la propria professionalità risorsa per sé, per
il cittadino,per la comunità e per l’organizzazione?
Quale formazione, in questo momento storico culturale, può essere opportuna per far fronte alle
questioni sollevate in precedenza? Quale investimento intellettivo, progettuale, operativo è
richiesto all’assistente sociale e all’organizzazione ? Quanto potrebbe risultare importante
offrire un tempo formativo intorno al pensiero riflessivo sui processi di lavoro oltre che sui
contenuti del proprio lavoro?
In tale paesaggio articolato e complesso quali sono i protagonisti di questa relazione e con che
modalità viene costruita, curata, modificata la relazione fra essi?
19
Carla Facchini, Tra impegno e professione, gli assistenti sociali come soggetti del welfare. Il Mulino, Bologna, 2010
27
Condividiamo con Robertson20 la definizione di professionalità intesa come “una attività prestigiosa
dal punto di vista sociale che controlla il proprio training, il reclutamento e la pratica, che applica
delle conoscenze specializzate, sotto la guida di un codice etico, ai problemi individuali e sociali”.
Ipotizziamo, quindi, che nonostante l’evoluzione ed i riconoscimenti ottenuti dalla professione,
dalla sua introduzione in Italia ad oggi, grazie al significativo impegno di molti assistenti sociali,
diverse siano le strade ancora da percorrere per rafforzare la professionalità e, contestualmente
ottenere un significativo riconoscimento sociale. Oltre alle diverse attività avviate in questi ultimi
dall’Ordine professionale (proposta di una legge di riforma della professione, riconoscimento di una
disciplina autonoma in ambito universitario, rafforzamento della presenza in diversi tavoli di
concertazione su tematiche trasversali ecc.), indichiamo di seguito quelle che, secondo il gruppo di
lavoro, potrebbero rappresentare interessanti aree di lavoro a partire da una diversa assunzione di
responsabilità di ciascun assistente sociale nei confronti della professione:
1. Esplorare a fondo i significati e le norme contenute nel codice deontologico. L’adozione da
parte del Consiglio Nazionale dell’Ordine professionale degli assistenti sociali nel 1998 del
primo codice deontologico dell’assistente sociale (successivamente modificato due volte), ha
comportato, dal punto di vista simbolico, l’acquisizione dell’ultimo requisito mancante alla
professione per potersi definire tale21. Tuttavia, a distanza di quattordici anni, “…Il codice
deontologico…è poco conosciuto dalla comunità professionale nei suoi contenuti specifici e in
riferimento alle responsabilità che gravano su ognuno, quale garanzia dovuta al cittadino utente
in rapporto al mandato professionale e pubblicistico (istituzionale)”22. Alcune delle riflessioni
esplicitate dai colleghi nelle scritture, rafforzerebbero questa enunciazione. Vero è che, se da un
lato, assumere a fondamento dell’azione professionale la deontologia sia dovere per ciascun
professionista, l’introduzione in tempi recenti del codice deontologico dell’assistente sociale,
non ha ancora consentito alla professione di acquisire ed esercitare appieno in completa sintonia
con le norme in esso contenute. Conoscere approfonditamente le responsabilità professionali,
verso gli utenti, la società, le altre professioni, l’organizzazione e la professione stessa,
potrebbe, infatti contribuire in modo significativo a rafforzare la professione, supportando scelte
spesso conflittuali su ciò che si può o non si può fare e contribuendo a dipanare i dubbi sulle
azioni professionali da attivare nei diversi contesti di lavoro.
2. Esercitare la professione in qualità di dipendenti. L’analisi delle scritture ha fatto emergere lo
stretto legame tra esercizio della professione ed organizzazione di appartenenza indicando in
modo puntuale sia gli elementi di vincolo che di risorsa insiti in tale legame. Si è evidenziato,
inoltre come la maggior parte degli assistenti sociali, ancora oggi, eserciti la professione in
regime di lavoro subordinato: ma cosa implica essere contestualmente professionisti e
dipendenti? Il tema è ad oggi poco esplorato. Far emergere le specificità di questo binomio e
individuare le variabili che lo caratterizzano, potrebbe invece far emergere gli elementi dai quali
rilanciare e rafforzare la professionalità. Inoltre, questo approfondimento potrebbe contribuire a
contenere i rischi di appiattimento sulla gestione delle funzioni burocratiche amministrative,
20
“Professionalizzazione e compiti del servizio sociale” in Bianchi e Folgheraiter (a cura di): L’ assistente sociale nella
nuova realtà dei servizi – ed. F. Angeli, Milano, 1993.
21
Gli studi del sociologo delle professioni , Greenwood, identificano, infatti, cinque attributi per poter definire tale una
professione: Corpo sistematico di conoscenze teoriche condivise dalla comunità professionale, Autorità professionale
fondata sulle conoscenze disciplinari, rispetto ai profani e alla soggettività del cliente/committente, Sanzione della
comunità, Riconoscimento dell’utilità sociale dell’azione professionale (autonomia, poteri, privilegi), Codice regolativo
dell’etica, Cultura professionale ( valori, norme, simboli). GREENWOOD E., Attributes of a profession, in « Social
work», 1957, n. 3, parziale trad. it. In Prandstraller G.P., Sociologia delle professioni, Città Nuova, Roma, 1988.
22
“Riflessioni sul servizio sociale di oggi”, a cura del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali, 2010,
documento pubblicato sul sito www.cnoas.it
28
tipiche del dipendente, consentendo, invece di dare valore a tutte le attività più squisitamente
professionali, come la gestione della relazione d’aiuto, il lavoro di comunità e la ricerca sociale
specifiche della nostra professione.
3. Prendersi cura dell’immagine e delle idee sulla professione. Molte scritture hanno messo in
evidenza come l’immagine dell’assistente sociale sia associata a vecchi pregiudizi e stereotipi,
dai quali gli assistenti sociali hanno da tempo preso le distanze. Tuttavia, nel gruppo di lavoro
ed in alcune scritture emerge quanto le comunicazioni che riguardano la professione siano
spesso confuse e poco rispondenti sia rispetto a chi è l’assistente sociale, sia a come lavora ed a
ciò che realisticamente può fare. “L’idea che gli altri hanno di noi”, per molti anni non è stato
un problema all’attenzione degli stessi assistenti sociali23 e le azioni attivate dalla professione
per farsi conoscere non si sono rivelate, evidentemente, sufficienti. Per la professione diventa
oggi, quindi, indispensabile prendersi cura della comunicazione sulla professione, riflettendo
ed individuando strategie comunicative a più livelli: dal singolo professionista al gruppo di
lavoro di un ente o territoriale, dagli ordini regionali al nazionale, per contribuire a fare
chiarezza ed a costruire un’immagine realistica. Condividere il linguaggio e le strategie di
rappresentazione della professione risponde ad un preciso dovere professionale, indicato nel
codice deontologico agli artt. 44, “…l’assistente sociale deve chiedere il rispetto del suo profilo
e della sua autonomia professionale…” e 53 “L’assistente sociale deve adoperarsi nei diversi
livelli e nelle diverse forme dell’esercizio professionale per far conoscere e sostenere i valori e i
contenuti scientifici e metodologici della professione, nonché i suoi riferimenti etici e
deontologici.”. Inoltre, potrebbe contribuire a contenere i rischi di svalutazione da parte di tutti
soggetti che a titolo diverso si rapportano, direttamente o indirettamente, con l’assistente sociale
(amministratori, cittadini, altri professionisti ecc.) ed i relativi meccanismi di autosvalutazione
che si innescano.
4. Valorizzare l’apporto delle esperienze professionali operative. Dal primo testo di servizio
sociale pubblicato in Italia nel 198724, non v’è dubbio che la pubblicistica di settore sia
aumentata in modo significativo; tuttavia, ancora oggi, sono molto limitati i contributi specifici
che i professionisti forniscono alla letteratura di settore. Assumere la decisione di mettere per
iscritto le proprie esperienze professionali è, prima di tutto scelta individuale, che
innegabilmente potrebbe contribuire a rafforzare la professione. Scrivere di servizio sociale e
per il servizio sociale, oltre a rafforzare la circolarità teoria – prassi – teoria che tanto
caratterizza la nostra professione, potrebbe, infatti contribuire a dare valore agli esiti del lavoro
professionale, dando conto delle numerose esperienze di successo alle quali la professione
partecipa. Valorizzare la scrittura, come modalità comunicativa, potrebbe inoltre far assumere o,
far emergere, un atteggiamento di ricerca utile a rafforzare la professionalità a partire dalla
riflessione sulla propria operatività.
A conclusione di questo primo lavoro pare interessante assumere, in sintonia con Morin25,
un’affermazione che rappresenta per noi un impegno e contestualmente una buona strategia per
rafforzare la nostra professionalità: “Bisogna apprendere a navigare in un oceano d’incertezze
attraverso arcipelaghi di certezza”.
Non v’è dubbio sulle incertezze nelle quali la professione è costretta a navigare in questi ultimi
anni: dalla mancanza di chiare indicazioni sulle scelte di politica sociale e del welfare, all’assenza
del decreto sui livelli essenziali delle prestazioni sociali, dai tagli alle spese sociali alle numerose
differenze regionali scaturite dalle riorganizzazioni in applicazione delle modifiche dell’art. 17 della
23
Ad eccezione del lavoro realizzato da Elena Allegri , Le rappresentazioni dell’assistente sociale, Carocci Faber,
Roma, 2006, non sono, infatti rintracciabili in letteratura approfondimenti sul tema.
24
Dal Pra Ponticelli M., Lineamenti di servizio sociale, Astrolabio, Roma, 1987.
25
Op. Cit.
29
Costituzione, dalla necessità di ridefinire il proprio agire professionale in relazione ai diversi
modelli gestionali dei servizi sociali adottati negli ultimi anni, alla incertezza intrinseca che la
costruzione di relazioni d’aiuto porta con sé.
Questo lavoro, ci ha consentito di avviare una prima riflessione comune e condivisa sugli
“arcipelaghi” di certezza della professione, che, come abbiamo ampiamente argomentato
necessitano di maggiori e continue esplorazioni, per le quali il contributo di tutti è veramente
importante e potrebbe rivelarsi decisivo, da un lato, per l’affermazione ed il riconoscimento di una
professionalità compiuta e, dall’altro per accrescere il senso di appartenenza alla comunità
professionale; “arcipelaghi” che sono rappresentati dalla conoscenza e consapevolezza che la
nostra è una professione normata e ordinata, fondata su un Codice deontologico (Valori, principi
operativi, responsabilità) e su un complesso ed articolato sapere professionale (teorie, metodologia,
strumenti).
Si ringraziano le colleghe che con senso di condivisione hanno risposto alle sollecitazioni
inviando le loro scritture che hanno generato questo contributo.
Negli allegati, sono riportati i contenuti delle scritture pervenute, riferite ai singoli quesiti.
30
Bibliografia
Allegri E., Le rappresentazioni dell’assistente sociale, Carocci Faber, Roma, 2006.
Bisleri C., a cura di, La Professionalità dell’assistente sociale nella organizzazione dei servizi
socio-sanitari, Provincia di Brescia, Assessorato Servizi sociali, Formazione e servizi - Quaderno
n. 1, Brescia, 1990.
Casartelli A., Merlini F., Assistente sociale. Uno sguardo sulla professione in cambiamento, in I
Quid n. 4, 2009 Prospettive sociali e sanitarie, Milano p. VII.
Chiodi L., L’assistente sociale: professionista dell’aiuto o erogatore di servizi?, Prospettive sociali
e sanitarie, n. 3/2011 pp. 11 – 15.
Dal Pra Ponticelli M., Lineamenti di servizio sociale, Astrolabio, Roma, 1987.
Facchini C., Tra impegno e professione, gli assistenti sociali come soggetti del welfare. Il Mulino,
Bologna, 2010
Ghisalberti R., Poli D., Le prospettive di una professione, in Prospettive sociali e sanitarie, n. 17 –
2001, p.2.
Morin E., I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore, Milano,
2001.
Negretti N., a cura di, Atti dell’incontro di studio realizzato a Brescia, La Professionalità
dell’assistente sociale nella organizzazione dei servizi, Provincia di Brescia, Assessorato servizi
sociali, Formazione e servizi – Quaderno n. 3, Brescia, 1991.
Olivetti Manoukian F., Produrre servizi. Lavorare con oggetti immateriali, Il Mulino, Bologna
1998.
Olivetti Manoukian F., Il codice dell’azione sociale. Orientamenti per il lavoro sociale oggi,
Animazione sociale, ottobre 2004, p. 53.
Prandstraller G.P., Sociologia delle professioni, Città Nuova, Roma, 1988.
Robertson A., “Professionalizzazione e compiti del servizio sociale”, in Bianchi e Folgheraiter, a
cura di, L’ assistente sociale nella nuova realtà dei servizi, Edizioni Franco Angeli, Milano, 1993.
Codice Deontologico dell’Assistente Sociale approvato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine nella
seduta del 17 giugno 2009.
31
Allegato 1)
Brescia, 14 Marzo 2011
Gentili Colleghe e Colleghi,
il gruppo provinciale di supporto per la Formazione continua degli assistenti sociali, si sta incontrando regolarmente
dal mese di ottobre del 2010 - trovate sul sito www.servizisocialifamiglia.brescia.it - box assistenti sociali i diari degli
incontri e le informazioni sulla Formazione Continua – con lo scopo di approfondire i seguenti contenuti:
• Ricognizione della formazione permanente svolta dagli assistenti sociali
• Raccordo con Ordine Professionale
• Maturare e condividere motivi inerenti la Professionalità dell’assistente sociale quale contributo per una
crescita culturale della professione.
A tale scopo per il 2011 due sono gli appuntamenti che intendono coinvolgere tutte e tutti voi:
1. il gruppo provinciale di supporto alla sperimentazione triennale per la formazione continua vi chiede di voler
cortesemente dedicare uno spazio per la riflessione sulla tematica “Formazione Continua” posta
particolarmente in rilievo in questi ultimi tempi.
E’ stato elaborato uno schema di “registrazione” per la raccolta delle attività formative svolte nell’anno 2010
dagli assistenti sociali della Provincia di Brescia e pensato come tappa iniziale di collegamento e scambio tra il
gruppo e tutti i colleghi, in modo da essere di supporto e promozione per affrontare insieme alcuni quesiti e
necessità richiesti nell’ambito specifico della formazione non solo dal lavoro quotidiano ma anche dall’Ordine.
La compilazione di questo schema da parte di ciascuno di noi, consentirà di delineare il panorama delle
esperienze formative, nella loro diversità e ricchezza, finora realizzate nel territorio. Permetterà inoltre di
condividere uno strumento, sicuramente migliorabile con l’apporto di tutti voi, della comunicazione obbligatoria
che ciascuno di noi dovrà fornire all’Ordine.
Ringraziando per la collaborazione vi preghiamo di inviare lo schema compilato entro il 1 APRILE 2011 ( vedi
allegato Formato Europeo per il Curriculum vitae)
2.
Il gruppo provinciale sta organizzando per il giorno Martedi 10 Maggio 2011 – ore 13,30/ 18,30 ( si invierà a
breve programma della giornata di studio riconosciuta dall’Ordine Regionale per i crediti formativi)- un
incontro rivolto a tutti gli assistenti sociali della provincia di Brescia per avviare alcune riflessioni ed un
confronto sul tema della professionalità dell’assistente sociale ed in particolare sulle caratteristiche e le
implicazioni dell’esercizio della professione di assistente sociale in qualità di dipendente. Per tale appuntamento
pensiamo che raccogliere le voci di chi ogni giorno è coinvolto nella riflessione deontologica ed operativa
risponda all’esigenza di co-costruire un pomeriggio di riflessione condiviso. A tale scopo chiediamo a ciascun
assistente sociale un contributo di breve scrittura reagendo alle tre sollecitazioni sotto indicate:
1. Per te cosa significa essere un professionista?
2. A tuo parere quale significato ha essere professionista in qualità di dipendente di un Ente o Coop o
Società..ecc
3. A tuo parere ci sono, e se si quali , fattori che indeboliscono (impediscono, riducono, contrastano)
l’espressione della tua professionalità nel servizio e/o ente per il quale lavori? E che la rinforzano?
Le scritture che ci invierete, saranno restituite nell’incontro del 10 maggio 2011.
Ti chiediamo di inviarci le tue riflessioni scritte all’indirizzo e mail [email protected]
( Ludovica Danieli) entro il 1 APRILE 2011.
Sappiamo quanto sia difficile ed impegnativo scrivere, ma confidiamo nella tua disponibilità a condividere con tutti i
colleghi le tue riflessioni.
Un caro saluto
Il Gruppo di supporto per la formazione continua
Chiara Fiorini, Cristina Ramponi, Daniela Dogali, Elisabetta Bianchi, Erminia Drera, Franca Roberti, Laura Ciapetti,
Letizia Sudati, Ludovica Danieli, Maria Passeri, Marina Poinelli, Orietta Barucco, Roberta Valorsi, Rosa Di Gregorio,
Rosangela Paroni, Simonetta Filippini, Sonia Tignonsini, Vanda Romagnoli.
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Allegato 2)
Le scritture inerenti la prima Sollecitazione “Per te cosa significa essere un professionista”
Di seguito sono riportate le scritture pervenuteci. Un primo intervento sul materiale raccolto è stato di significarlo
inserendolo in tre argomenti chiave:
1.
2.
3.
Gli elementi che concorrono a definire un professionista
L’attribuzione di significato all’essere professionista
Le caratteristiche che dovrebbe avere la figura dell’Assistente sociale.
Sulla base delle risposte fornite possiamo individuare gli elementi che concorrono a definire un professionista:
-
esercitare una professione intellettuale caratterizzata da: un sapere trasmissibile teoricamente fondato;
percorsi formativi qualificanti e sufficientemente articolati; un corpo professionale che definisce i criteri per
l’ingresso; un codice deontologico;
aver acquisito conoscenze e sviluppato competenze da utilizzare con scienza e coscienza;
essere consapevoli di avere a disposizione un metodo di lavoro, tecniche e strumenti che per essere efficaci
devono essere utilizzati in modo saggio, non necessariamente in modo standardizzato e necessitano di
osservazione /riflessione prima di essere applicati;
conoscere le proprie responsabilità e dunque percorrere i propri doveri con attenzione, nella consapevolezza
che altri si affidano a lui;
saper assumere delle decisioni in autonomia, individuando priorità, esprimendo valutazioni e organizzandosi
il lavoro;
saper lavorare con gli altri (équipe, superiori, altre persone) e sapersi interfacciare con diversi interlocutori;
essere disponibili ad accogliere i suggerimenti, le critiche e ad accettare l’aiuto di altri;
saper chiedere aiuto, informarsi e cercare strategie nuove;
andare costantemente alla ricerca di ciò che si dovrebbe e potrebbe essere;
accettare di osservare i limiti personali o professionali che lo riguardano, tentando di correggerli nella
consapevolezza che, per quanto il suo lavoro sia qualitativamente elevato, non può risolvere ogni situazione;
interrogarsi circa il proprio lavoro e cercare il confronto;
essere attento ai cambiamenti e disposto a modificare il proprio operato per aggiornarlo o migliorarlo;
saper accogliere i cambiamenti e proporre strategie innovative;
assumere la necessità di formarsi e sfruttare ogni occasione, diretta ed indiretta, per soddisfare tale necessità;
essere consapevoli di appartenere ad una categoria professionale rispetto alla quale ci sono doveri e
responsabilità.
Tra le quarantaquattro risposte analizzate ventuno attribuiscono significato all’essere professionista. Le
affermazioni sono:
-
parole chiave per definirlo: riconoscibilità; autonomia; conoscenza di metodi e principi specifici della
professione;
esercitare un ruolo lavorativo riconosciuto dall’ordinamento giuridico, coniugando, nel rispetto del codice
deontologico proprio della professione, il livello del sapere teorico e il livello dell’operatività pratica al fine di
garantire la qualità delle attività svolte;
assumere la capacità di interrogarsi sulle proprie responsabilità e ricercare le modalità per affrontarle;
inoltre avere la consapevolezza della necessità di avviare e mantenere la ricerca del sapere teorico;
È colui il quale ha acquisito delle conoscenze e sviluppato delle competenze che sa utilizzare con coscienza
soprattutto nell’ambito lavorativo. Egli è consapevole di avere a disposizione degli strumenti o delle tecniche
che per essere efficaci devono essere utilizzate in modo saggio, non necessariamente in modo standardizzato
(dipende anche da professione a professione) e necessitano di osservazione /riflessione prima di essere
applicate. Il professionista sa di avere delle responsabilità e dunque percorre i propri doveri con attenzione: è
attento a ciò che agisce, poiché sa che altri si affidano a lui. È la persona che sa assumersi soprattutto gli
oneri del lavoro. Il professionista sa assumere delle decisioni in autonomia, individuare priorità, esprimere
valutazioni e organizzarsi il lavoro. Viceversa è la stessa figura che è capace di lavorare con gli altri (équipe,
superiori, altre persone) e sa interfacciarsi con diversi interlocutori. Il professionista, pur sapendo di poter
contare sulle proprie competenze, accoglie i suggerimenti, le critiche e accetta l’aiuto di altri: se serve sa
anche chiedere aiuto, informarsi e cercare strategie nuove. Egli accetta di osservare i limiti personali o
professionali che lo riguardano, tenta di correggerli ed è cosciente che, per quanto il suo lavoro sia
qualitativamente elevato, non può risolvere ogni situazione. Il professionista si interroga circa il proprio
lavoro e cerca il confronto, è attento ai cambiamenti e disposto a modificare il proprio operato per
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aggiornarlo o migliorarlo. Desidera formarsi e sfrutta ogni occasione, diretta ed indiretta, per soddisfare tale
necessità. Il professionista inoltre avverte il senso di responsabilità verso la classe professionale cui
appartiene; con il proprio operato cerca di presentare nel modo più adeguato la professione stessa (in
particolare laddove non sia conosciuta o il contesto non sia favorevole). Egli mette a servizio del bene comune
quello che sa fare e si sforza di onorare il lavoro anche degli altri colleghi (siano pure di professioni diverse);
fare un lavoro per il quale si è ricevuta una formazione “ad hoc”, possibilmente aggiornata nel corso del
tempo. Essere un professionista significa utilizzare linguaggi, strumentazioni, metodi propri di quella
professione, ben riconoscibili rispetto a quelli di altri professionisti;
condividere un patrimonio di conoscenze tecniche ma anche valori professionali, nonchè operare secondo una
deontologia comune ad altri professionisti, qualificandosi in modo preciso, all' interno delle situazioni
lavorative;
svolgere il proprio ruolo applicando conoscenze acquisite da indirizzi di studio specifici, utilizzare strumenti
di lavoro che abbiano un riscontro nella professione in quanto supportati dalla letteratura e dagli studi
esistenti. Essere in grado di apprendere dall’esperienza sul campo in un percorso di “ricerca-azione”
finalizzato anche alla definizione di modelli operativi specifici per tipologia d’utenza e/o per bisogni rilevati;
avere un titolo di studio riconosciuto e agire secondo i dettami propri della professione ossia nel rispetto
dell'etica, della deontologia e della metodologia;
andare costantemente alla ricerca di ciò che dovremmo e potremmo essere;
poter operare in autonomia rispettando il nostro mandato professionale;
lavorare in un contesto in piena autonomia nel rispetto dell'Ente in cui si lavora e della metodologia
professionale. Lavorare con serietà, chiarezza del ruolo, capacità e limiti ( non siamo onnipotenti!) che la
professione richiede;
Essere professionista è esercitare un'attività per cui occorre un titolo di studio qualificato, contraddistinta da:
un corpo sistematico di conoscenze teoriche e saperi di riferimento; una razionalità scientifica in quanto
applicazione oggettiva di principi e strumenti metodologici; un’autonomia e una responsabilità nel suo
espletamento; un codice autoregolativo dei rapporti con gli utenti e norme di condotta; una cultura
professionale acquisita attraverso un iter formativo specifico e attraverso atteggiamenti di interscambio
culturali;
essere riconosciuto come soggetto con un ruolo identificato, munito di saperi specifici, appartenente ad una
precisa comunità professionale e dotato di autonomie tecniche e decisionali in relazione al peculiare campo di
azione; essere un soggetto attivo e volitivo, consapevole di sé e delle proprie potenzialità, in grado di
costruire, in un dialogo reciproco e in un rapporto cooperativo con le persone, l’organizzazione e più in
generale con la comunità con cui si trova ad interagire, una rete nella quale esprimere e mobilitare
prerogative, valori, attribuzioni di senso; fattori in grado di far emergere un lavoro dotato di morfologia
vitale;
avere la capacità di mettere in campo le proprie competenze a seconda della situazione. Alcuni accorgimenti e
strumenti sono indispensabili sempre, ma sta alla persona utilizzarli nel modo consono a quella occasione;
avere una formazione specifica e coerente con il tipo di professione cui si è impegnati. Significa agire in un
contesto di regole ed azioni specifiche per l’attività professionale;
avere un’ identità che viene riconosciuta all'interno del luogo dove si lavora e all'esterno dalle varie agenzie
sociali. L'identità professionale stabilisce i compiti, i ruoli e i confini tra il professionista e le varie
persone/realtà che incontra. Il professionista necessita di un'identità per esistere e l'identità necessita di
riconoscimento esterno per esprimersi. Per essere professionisti e quindi per mettere a disposizione degli altri
il nostro sapere, le nostre competenze e la nostra etica, necessitiamo di uno spazio che permetta l'espressione
di tutto ciò. Il professionista è colui che ha acquisito competenze specifiche che gli danno un ruolo, una
posizione e che lui mette a servizio di altri e gli altri riconoscono le sue competenze, il suo ruolo e i suoi spazi
e quindi un'identità;
essere un soggetto pienamente in grado di svolgere la propria attività lavorativa, significa essere competente
qualificato e preparato rispetto al ruolo che una persona ha nel suo ambito lavorativo. Avere una
preparazione che consenta al professionista stesso di trovare sempre nuove soluzioni e/o strategie;
è colui che è in grado di esercitare la propria pratica operativa sulla base di conoscenze specifiche, di
strumenti metodologici e di riferimento valoriali. Il professionista agisce secondo un mandato istituzionale, ma
ancor prima professionale;
ritengo abbia a che fare con la padronanza di strumenti e saperi via via consolidati e rafforzati da scambi
lavorativi, culturali e formativi ed utilizzati con sempre maggiore consapevolezza e apertura verso i nuovi
bisogni e le nuove realtà lavorative. Significa a mio parere saper gestire la specificità professionale in una
realtà di servizi, norme e bisogni dinamica e complessa, con la capacità di adattare e accrescere le proprie
competenze senza perdere i riferimenti ai valori di promozione delle risorse della persona e di esercizio della
professione secondo criteri scrupolosi di qualità;
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-
svolgere con competenza, responsabilità ed eticità 'il lavoro;
un lavoratore che: mette al servizio di persone, gruppi, aziende e/o enti , le sue conoscenze acquisite
attraverso uno specifico percorso di studio; opera nel rispetto della deontologia professionale, di un metodo
e si avvale dell’esperienza acquisita come valore aggiunto; sente come dovere etico la formazione continua e
l’aggiornamento;
aver seguito un percorso formativo universitario specifico per la professione che si intende esercitare,
sostenere la formazione permanente, essere iscritti ad un albo professionale, con relativi òneri ed onòri, che
tutela, fornisce indicazioni, crea un’immagine omogenea del professionista, e, se si è fortunati, c’è anche un
codice deontologico che rappresenta il vademecum del quotidiano operare.
Diciannove risposte concentrano invece l’attenzione sulle caratteristiche che dovrebbe avere l’assistente sociale.
- Qualità che ci caratterizzano e senza le quali è impensabile poter lavorare con gli altri e per gli altri…Essere un
professionista nel sociale richiede una buona capacità di ascolto e di mediazione, da spendere sia con l’utenza,
ma anche con i superiori ed i politici che spesso sono presenti all’interno dei nostri servizi; si deve essere in grado
di prendersi cura delle relazioni, sia con gli utenti, ma anche con i colleghi e con gli operatori del settore; essere
un professionista significa mantenere saldi i propri principi all’interno di un sistema che non sempre è
dispensatore di giustizia e di equità…Un altro elemento che definisce un operare professionale è certamente
l’autonomia di pensiero e di azione, tenuto conto dei numerosi dei vincoli e limiti rappresentati dai regolamenti,
dal bilancio e dalle risorse, sempre più ridotte. Ritengo inoltre che una qualità di primaria importanza sia la
creatività nell’operare quotidiano e nel progettare con l’utenza: per garantire interventi di qualità ed evitare di
offrire risposte precodificate e preconfezionate …
-agire nel rispetto dei principi deontologici; capacità di leggere i bisogni per ideare percorsi rivolti all’intera
comunità, adeguando il proprio intervento al cambiamento della società, dei bisogni, delle famiglie…lavorare
partendo sempre dalle risorse e non dalle mancanze;
- Significa riconoscersi e identificarsi con i punti cardine propri del servizio sociale professionale, su cui
costruire il sapere scientifico e professionale, attraverso l’esperienza e la formazione costante, all’interno dei
continui cambiamenti e sviluppi del contesto e dei progressi della conoscenza. Significa mettere al servizio degli
utenti/clienti le proprie competenza e abilità professionale, costantemente aggiornate, in collaborazione con altri
professionisti se la complessità del caso lo richiede;
- Essere un professionista “oggi” significa affrontare crescenti situazioni di bisogno e marginalità con meno
risorse a disposizione; questo implica la ricerca di risposte plurime e flessibili. Bisogna imparare a stare nelle
provvisorietà e continuare a riflettere sull’esperienza. Fondamentale è il confronto con colleghi assistenti sociali e
altri professionisti del settore per condividere i vissuti e ampliare le proprie modalità operative;
- Essere una professionista con la qualifica di assistente sociale, significa svolgere la professione che ho scelto e
che desideravo fare e con i tempi che corrono non mi pare cosa da poco! Significa rileggere con interesse il nostro
codice deontologico e vederci scritte le motivazioni che mi hanno fatto scegliere questa professione, gratificante
sia a livello umano che professionale. Significa: diritti, doveri, serietà, etica, senso di appartenenza, impegno
gratificante, confronti costruttivi;
- Svolgere il proprio lavoro con competenza e professionalità, rispettando la mission dell’assistente sociale,
seguendo i principi e i valori della professione specificati nel codice deontologico. Utilizzare le abilità
professionali e personali per svolgere i compiti assegnati;
- Purtroppo, non riesco ad esprimermi sul significato della professione in modo ampio, costruendone un profilo
teorico complessivo; il mio pensiero è riferito al mio agire professionale nell’organizzazione nella quale sono
inserita. Il ruolo dell’Amministrazione Provinciale nell’ambito delle politiche sociali non è ben definito, o meglio,
dalle norme sì, ma nella realtà le attività si esprimono connotandolo come Ente preposto “all’aiuto”, come “Ente
Erogatore di Servizi” come Ente Finanziatore e Sostenitore di Progetti e di Iniziative in ambito sociale per il
territorio, come Istanza di Raccordo e di Messa in Rete di attività diverse aventi uno stesso obiettivo. Sono certa
che nel rapportarmi con quanto specificato sopra, utilizzo chiavi di lettura e saperi che la formazione alla
professione di Assistente Sociale mi ha dato, accanto alla consapevolezza che il mio agire è molto condizionato dal
contesto organizzativo ed amministrativo. Da ciò deriva un agire sul compito, sulla consegna che mi viene
richiesta: risorse economiche da ridurre e conseguente restrizione delle attività, convegni da effettuare, progetti da
imbastire in vista di finanziamenti regionali ecc. Una sorta di adeguamento o meglio di manovalanza che
“indebolisce” la professionalità e che la “sopprime” nel momento in cui ciclicamente si ripresentano “nodi” mai
sciolti e che rimangono tali. Ultimamente, gli incontri con i gruppi finalizzati al supporto per la FC, mi danno
l’opportunità di conoscere situazioni e servizi a me estranei nonché modalità nuove di governo degli stessi. Già
l’adoperarmi per scrivere queste righe mi ha aperto alla riflessione su quanti modelli e riferimenti concettuali
obsoleti mi avvalgo. La professione dell’assistente sociale si caratterizza per:il SAPERE (conoscenze tecniche
organizzate) il SAPER ESSERE (maturità e capacità di relazione) il SAPER FARE (capacità di applicare le
conoscenze teoriche) il SAPER DIVENIRE (capacità di adeguarsi alla società che evolve) la LEGITTIMAZIONE
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FORMALE (riconoscimento dell’esercizio della professione e mandato sociale) il CODICE ETICO (insieme di
principi e valori a cui l’assistente sociale si uniforma nell’esercizio della professione);
- Lavorare con la consapevolezza del "dover essere" nonostante ci siano limiti operativi (strutturali, organizzativi,
di contesto) per cui spesso ciò che si dovrebbe fare secondo un ideal- tipo professionale è distante da ciò che
realmente si può fare. Trovare spazi di confronto e momenti di analisi del proprio operato e spazi di pensiero che
orientino la prassi operativa. Riuscire a difendere il proprio ruolo tecnico e professionale utilizzando la scrittura e
altri strumenti nonostante strumentalizzazioni, scarsa considerazione del ns. ruolo ed ingerenze. Garantirsi
momenti di formazione concreti e realmente utili alla professione;
- Possedere e potenziare le capacità lavorative proprio del ruolo, acquisite inizialmente con la formazione e
continuamente rafforzate dalle seguenti attività 1)Supervisione continua; 2) Formazione continua; 3) Riflessione
sull’applicazione del proprio metodo di lavoro, sia rivolto al singolo che ai gruppi e alla comunità che dovrebbe
nascere da precisi riferimenti teorici e che applicato nella prassi quotidiana andrebbe monitorato;
- La mia idea di professionista consiste nell’essere in grado di operare nell’interesse di quelle persone o di quei
gruppi che si trovano in situazioni di difficoltà; ciò comporta innanzitutto l’identificazione del problema, subito
dopo capire quali sono gli strumenti che il territorio in cui operiamo offre per la situazione che stiamo affrontando
ed infine attivare quegli interventi che servono a risolvere le situazioni di disagio. Un bravo professionista deve
possedere un insieme di conoscenze teoriche, sapere mettere in pratica quanto imparato nei casi che gli si
propongono e rispettare quanto previsto dal codice deontologico e dal segreto professionale;
- Rispetto all’essere un professionista nel sociale rifletterei sul significato di alcuni assunti che non credo
possano essere esaustivi ma possano, almeno, avvicinarsi ad una rappresentazione “dell’essere un
professionista”: avere la capacità di accogliere l’utente, gestire il caso, avere la consapevolezza del proprio livello
di autonomia-decisionalità e responsabilità rispetto all’utenza del servizio sociale; credo sia fondamentale
riconoscere e tenere sempre presente il proprio mandato professionale all’interno di qualsiasi contesto lavorativo
di appartenenza;
- Essere professionista equivale ad avere criterio e coscienza nel condividere e far proseguire un progetto; essere
capace di capire i bisogni che l'altro porta ed avere chiari gli obiettivi da raggiungere; Saper lavorare in équipe;
Saper valutare attentamente le ipotesi operative che emergono; Saper prendersi la responsabilità delle scelte fatte;
- Per me essere un Professionista Assistente Sociale significa innanzi tutto avere buone competenze professionali
intese come : - essere capaci di pianificare, attuare e valutare degli interventi di propria competenza (per quanto
mi riguarda nell'area materno infantile sulle tematiche consultoriali);- essere capace di accogliere, accompagnare
e sostenere l'utente (quindi informazione, consulenza e presa in carico del singolo, della coppia, della famiglia; essere in grado di collaborare con le diverse équipes di lavoro;- essere in grado di condurre gruppi di
informazione, formazione e sostegno;- essere capaci di progettare, attuare e valutare dei progetti di educazione promozione alla salute in senso lato;- essere in grado di collaborare con le diverse agenzie territoriali in settori
attinenti al consultorio:Inoltre avere la possibilità di avere responsabilità organizzative e gestionale e la
possibilità di avere una formazione continua in ambito aziendale ed extra-aziendale;
- Siamo un gruppo di 4 assistenti sociali, dipendi asl, inserite nel servizio anziani e cure domiciliari. Vogliamo
condividere alcune semplici riflessioni stimolate da queste domande, in particolare sottolineando le difficoltà
quotidiane che ci troviamo ad affrontare. Il nostro contesto lavorativo risulta essere prevalentemente sanitario e
spesso facciamo fatica a ritagliarci uno spazio come assistenti sociali. E' frequente che ci vengano fatte richieste
che esulano dalla nostra professione ed è quindi necessario ridefinire ogni volta il nostro ruolo. Da un lato è
arricchente lavorare in integrazione con figure differenti perchè permette un continuo confronto e un approccio
multidisciplinare alla valutazione del bisogno e alla presa in carico, permettendo così una risposta globale al
paziente; dall'altro, vista la tipologia del settore, a tutti gli operatore (non solo a.s.) vengono fatte richieste che
non hanno niente a che fare con lo specifico professionale. La sensazione è che l'orientamento dell'ente sia di
chiedere sempre più agli operatori il "di tutto e di più". Il risultato è che spesso questa situazione crea confusione
e tensioni nel gruppo di lavoro. In questo servizio, così come organizzato nel nostro territorio e quindi non
generalizzando, il ruolo di noi assistenti sociali deve essere continuamente ridefinito
- La motivazione della presenza dei professionisti risiede nel riconoscimento del loro ruolo di mediazione tra il
livello del sapere teorico e il livello dell’operatività pratica. La necessaria conoscenza loro richiesta dei modelli e
delle norme generali per un’adeguata applicabilità degli stessi a soluzione di casi pratici peculiari, li pone in una
situazione cardine, in cui assumono la responsabilità della verifica costante della congruità delle stesse norme e
dei modelli alla realtà in continua evoluzione.
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Allegato 3)
Le scritture inerenti la seconda sollecitazione “ A tuo parere quale significato ha essere professionista in qualità
di dipendente di un Ente, cooperativa, società, etc…?”
Gli elementi che caratterizzano l’essere professionisti in qualità di dipendente sono:
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mettere a disposizione dell'ente per cui si lavora i propri saperi, le proprie competenze e la propria etica per
un obiettivo comune tra il professionista e l'ente;
essere subordinati rispetto all'ente;
avere un riconoscimento in quanto portatore di saperi necessari al funzionamento dello stesso;
creare un ruolo di reciprocità, da un lato, tra ente e professionista, da un altro di subordine tra dipendente e
ente ma che si regge con un riconoscimento reciproco e con la condivisione dell'obiettivo/finalità generale;
ricercare le congruenze fra la mission dell’Ente e il mandato professionale;
ricercare e consolidare la propria autonomia professionale;
mettere in contatto il bisogno (sempre più presente e variegato) con le risorse (sempre più scarse e difficili da
reperire). Questo richiede una particolare abilità nel valutare le situazioni , che devono essere accurate e
puntuali e una capacità critica e creativa che permetta di "inventare" le soluzioni, valorizzando il più possibile
le qualità del soggetto o del nucleo familiare che abbiamo di fronte;
essere parte di un Ente da un lato garantisce una buona tutela sia professionale che economica, e, nello stesso
tempo, come tutte le comunità che si rispettano, richiede e impone alcune scelte indiscusse, magari non
sempre condivise…Essere parte di un Ente è quindi un’occasione per far conoscere e riconoscere la nostra
professione e professionalità;
apportare nell’ente in cui si opera e nel territorio riflessioni, spunti, idee, proposte che nascono dall’agire
professionale quotidiano;
sacrificare la costruzione di relazioni d’aiuto a vantaggio dell’erogazione di prestazioni;
far presente agli amministratori l’impossibilità di fornire risposte risolutive e “ricette” per eliminare i
problemi;
in un ente pubblico vi è maggior possibilità di essere portatore di diritti da parte degli utenti più fragili e ad
alto rischio di emarginazione, promuovendo politiche di tutela e di sostegno delle categorie che diventano
sempre più invisibili all’interno della nostra società;
aver a che fare con realtà diverse, avere un numero maggiore di colleghi con cui collaborare e talvolta
doversi impegnare maggiormente perché l’ente di riferimento capisca le caratteristiche della professione.
Non sempre si può dare per scontato che chi ci assume conosca davvero la professione o la sappia descrivere
con precisione e attenzione anche alla deontologia professionale ai committenti coinvolti;
se l’ente gestore funziona in modo adeguato e cerca di costruire un rapporto di lavoro basato sulla stima
reciproca, al di là delle gerarchie, è possibile che il professionista avverta sostegno e dunque sia stimolato a
lavorare con maggior serenità, attenzione e responsabilità;
rende più complicato l’esercizio della professione perché è l’ente di appartenenza che fornisce la cornice
all’interno della quale il professionista si muove, cosa che, in misura minore, vale anche per un lavoratore
autonomo, che però è più “libero” da vincoli che, del resto, possono essere visti anche come strumenti di
protezione. Il nostro lavoro, essendo molto legato alle risorse che ci vengono messe a disposizione è, forse,
più di altri che utilizzano “solo” lo strumento della propria professionalità, soggetto a grandi oscillazioni e a
una diversità di fisionomia che fa sì che possa “incarnarsi” in modo molto diverso nelle diverse realtà;
tenendo conto dei limiti e delle risorse dell’organizzazione, chiedersi come esercitare la propria autonomia:
identificare gli spazi di pensiero ed azione e scegliere come agirli;
rispettare le linee guida e le indicazioni dell’ente per i progetti da attuare in base al piano socio-assistenziale
presente. Rendere conto del proprio operato. Partecipare all’organizzazione del lavoro, proporre idee o
iniziative nuove ma anche evidenziare problemi o punti critici presenti;
avere un ruolo preciso all'interno dell'organizzazione, la quale ha un proprio mandato istituzionale. In base
ai due mandati, istituzionale e professionale, il professionista deve svolgere il proprio operato;
il professionista si deve rapportare con colleghi, superiori, amministratori che spesso faticano a riconoscere e
capire il nostro ruolo. La professione viene spesso sminuita;
dover avere conferma della propria professionalità da soggetti che non possiedono competenze per poter
effettuare valutazioni in tal senso;
avere la consapevolezza di appartenere ad un ente o cooperativa. Questo comporta l’obbligo di osservare le
regole o direttive che il proprio Ente pone in essere. La libertà di azione è quindi limitata alla struttura dell’
Ente all’interno del quale si lavora, sempre nel rispetto dei propri principi professionali. Quando quindi
queste due entità sono contrastanti, è necessario chiedersi fino a che punto si può essere professionisti;
In un ente comunale essere professionista dovrebbe implicare: 1) il coinvolgimento dell’operatore nella
raccolta sistematica dei dati sui bisogni espressi dal singolo e dalla comunità e rilevati nel lavoro quotidiano;
2) la lettura e decodifica di tali bisogni e la conoscenza delle risorse del territorio, 3) la proposta all’ente di
organizzazione di servizi o interventi in relazione ai bisogni suindicati;
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Lavorare come dipendente comporta sicuramente delle responsabilità diverse, in quanto l’assistente sociale è
rappresentato dall’Ente in cui lavora. Inoltre spesso l’essere parte di una organizzazione offre sicuramente
una maggiore stabilità, in una realtà lavorativa attualmente molto difficile. Comunque io penso che lavorare
come dipendente ci dia la possibilità di “iniziare”, di accumulare esperienze, ci consente di raggiungere il
livello di preparazione necessaria ad affrontare un eventuale futuro ingresso nel modo della libera
professione;
sapersi adattare ai contesti diversi in cui ci troviamo a lavorare;
il professionista potrebbe usufruire di maggiore elasticità operativa rispetto al dipendente pubblico oppure il
contrario (budget limitato);
richiede la capacità di giocare la propria appartenenza professionale comunicando temi e strumenti specifici
alle altre figure professionali, accettando il confronto, lo scambio e perseguendo in modo continuo la crescita
personale e professionale. Facilitatore di una visione d’insieme dei bisogni sociosanitari, si sperimenta in
nuovi ruoli e funzioni, misurandosi anche nell’interazione gerarchica, cogliendo l’opportunità di arricchirsi
professionalmente nelle diverse situazioni organizzative;
svolgere con competenza, responsabilità ed eticità il lavoro adempiendo ai compiti dell' ente di appartenenza
nel pieno; rispetto dei cittadini;
la qualità del suo operato non scaturirà solamente in base alla sua capacità tecnica, ma anche e più ancora
per la posizione ch’esso ricopre sarà determinante la levatura morale che lo caratterizza e la capacità di
creare meccanismi di fiducia, dovrà essere in grado di perseguire con semplicità gli obiettivi preposti
dall’ente in cui lavora;
doversi interfacciare con tutti gli attori interessati: gli amministratori che valutano le spese, i funzionari che
valutano i costi e gli operatori che valutano il raggiungimento degli obiettivi.
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Allegato 4)
Le scritture inerenti la terza sollecitazione “ A tuo parere ci sono, e se si quali, fattori che indeboliscono (
impediscono, riducono, contrastano) /rafforzano l’espressione della tua professionalità nel servizio e/o Ente per il
quale lavori?
1
RAFFORZANO
INDEBOLISCONO
Rafforza la professionalità la centratura sulla
competenza relazionale e la capacità di stare in
una relazione di aiuto che ponga l’altro nella
posizione di protagonista.,
la svalutazione di queste dimensione rende deboli e poco
potenti.
2
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4
5
6
Lavorare in un’organizzazione significa dover negoziare
continuamente tra la rigidità organizzativa (regole,
funzioni, competenze, risorse) e i processi sociali dei quali
si è interpreti e sui quali si interviene per prevenire o
rimuovere gli stati di bisogno.
L’autonomia di scelta e di pensiero, la formazione
continua, il riconoscimento del lavoro effettuato, un
carico di lavoro proporzionato al tempo a
disposizione sono tutti elementi indispensabili per
un agire professionale e certamente proficuo;
possibilità di confronto, supervisione e di “spazi di
pensiero” con un’altra collega (siamo due a.s. nel
ns servizio) e con consulenti esterni con cui
collaboriamo; il ns servizio sociale ha una storia
ben consolidata e riconosciuta sul territorio di
lavoro di rete e comunità.
riconoscimento dell’attività di servizio e del ruolo
esercitato; autonomia decisionale nella scelta delle
modalità di intervento
Lavorare all’interno di un Ufficio di Piano mi ha
consentito di avere comunque contatti con l’utenza
(anche se dell’Ambito) per i vari buoni e voucher
erogati, ma anche di acquisire competenze
amministrative e di coordinamento di tavoli e
gruppi di lavoro. La mia professionalità
sicuramente ha giovato di questa duplice veste.
7
carico di lavoro elevato e molto tempo dedicato ad atti
amministrativi (determine, rendicontazioni, conteggi,
bilancio etc…) che spesso “minano” lo stato d’animo e
l’attenzione dovuti all’accoglienza; scarsa conoscenza (e
spesso anche considerazione) del ruolo dell’a.s. da parte di
altre professionalità e istituzioni
limitatezza delle risorse economiche, umane e strumentali
Il rischio è che non sempre sia chiaro il ruolo
dell’Assistente Sociale all’interno di un Ufficio di Piano,
ma forse bisognerebbe prima chiarire il concetto di Ambito
e di programmazione zonale.
ci si trova sempre più “sul fronte” a dover affrontare
situazioni di gravi e crescenti fragilità, di ogni tipo,
potendo però contare su sempre meno risorse disponibili.
La dimensione organizzativa incide pesantemente sui limiti
e sulle opportunità di esercizio della propria professione.
L’eccessivo carico di lavoro non permette all’operatore di
mettere in atto azioni ed interventi rispondenti ai reali
bisogni rilevati perché sempre più si è chiamati a
rispondere
e
“tamponare”
le
situazioni
di
urgenze/emergenza.
Le linee d’intervento imposte da un’Amministrazione se
tengono conto solo di alcuni aspetti (ad es. quello
economico) possono inficiare il lavoro dell’A.S. e impedire
l’attuazione di alcuni interventi.
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9
per contro la mancanza o la limitazione di quanto sopra
impedisce, riduce e contrasta la professionalità.
il coinvolgimento dell’A.S. nella programmazione
delle modalità d’intervento, nell’impostazione di un
servizio, nella realizzazione di un progetto; la
richiesta di un parere tecnico per affrontare una
problematica. La presenza all’interno di un servizio
di più assistenti sociali aiuta l’espressione della
professionalità.
Esistono sicuramente “buone prassi consolidate”
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che spesso evidenziano l’attività sociale, occorre
un riconoscimento maggiore della professionalità
10
Viceversa la mia professionalità si esprime al
meglio ogni volta che incontra la disponibilità dei
colleghi, dei superiori, dei politici, delle persone
che anche questi ultimi sanno coinvolgere;
essenzialmente ogni volta che c’è collaborazione e
si percepisce un obiettivo comune. Fare parte di
una società/coop. può aumentare la professionalità
perché, come già indicato nella risposta n.2, si può
effettuare un confronto continuo con il gruppo di
lavoro, cercare un dialogo con i superiori ed essere
sostenuti nel proporre iniziative o modifiche alle
committenze. Purtroppo non sempre questo
avviene.
11
Nella realtà dove lavoro credo che, finora, ci sia
stato il massimo della possibilità di espressione
della mia professionalità, legato al fatto che il
ruolo può essere giocato in autonomia, all’interno
di una cornice chiara di riferimento, con l’utilizzo
di un gran numero di risorse, senza la pressione
diretta di ingerenze di varia natura, con la
possibilità di un confronto con i colleghi e di
formazioni di buon livello.
Fattori rinforzanti : _ l'aver raggiunto,
nell'operatività quotidiana, l'integrazione tra
sanitario e sociale, così nel massimo rispetto delle
varie competenze si lavora davvero bene insieme
con vantaggi per noi operatori e per l'utenza; _
lavorare in servizi che erogano prestazioni perché
è gratificante poter rispondere ai bisogni
dell'utenza.
12
13
Nella realtà in cui opero attualmente ciò che ostacola
maggiormente la mia professionalità è il delicato rapporto
tra tecnici e politici. Questi ultimi spesso sono convinti di
avere le medesime capacità del professionista stesso,
magari solo per il fatto che fino a dieci anni fa la mia
professione non era così diffusa sul territorio. Capita, ad
esempio, che amministratori impartiscano ordini per cui
una azione tecnica di debba fermare (per poi magari
continuare esattamente come io avevo iniziato), perché il
sindaco o l’assessore decidono di voler agire al mio posto,
oppure perché si avanzano delle richieste/proposte di tipo
economico. Tante volte il problema non è solo la carenza
di risorse o la disponibilità a volerle utilizzare, bensì che il
politico accetti di fidarsi del professionista, quindi “di non
avere nessuna competenza in quel campo”, e percorra una
strada indicata da un altro diverso da lui o dalla giunta.
Certamente un limite grande che riduce l’espressione di
professionalità è il delegare al professionista mansioni
altre rispetto a quelle che sarebbe chiamato a svolgere per
definizione. Se si fosse liberi professionisti ci si potrebbe
rifiutare di rispondere a quelle richieste e, se tutti lo
facessero, nessuno continuerebbe a richiederle. Invece così
si dà un’immagine distorta della professione all’utenza, si
impedisce di avere l’attenzione allo specifico professionale
e, facilmente, succede che gli enti spendano cifre elevate
per compiti che potrebbero spettare ad altri ed essere
retribuiti in modo inferiore (es. un assistente sociale
costretto a svolgere un lavoro prettamente impiegatizio).
Nell’ultimo periodo la crisi economica, o meglio le scelte
politiche conseguenti ad essa, hanno portato ad un
cambiamento profondo che ha messo in crisi il modello
consolidato. Siamo ancora in fase di transizione, ma per
ora la scarsità di risorse ha indebolito il ruolo e lo ha reso
più fragile.
Un fattore che indebolisce è secondo me l'impossibilita' di
contrattare e la scarsa incisività sulla Programmazione
politica/sociale/economica che fatta al vertice della
piramide (regione) a cascata si ripercuote nei servizi di
base, al Distretto ASL non resta altro che raggiungere gli
obiettivi prefissati e magari non sempre condivisi: di
conseguenza io operatore, senza metterci troppa creatività
devo fare la mia parte perché vengano raggiunti i risultati
programmati.
In generale Ritengo che l'Ente dia legittimità
all'operato e, in un certo senso, tuteli il
professionista rispetto all'attività che svolge per le
funzioni istituzionali. Ritengo inoltre di massima
che il mio Ente - ASL Vallecamonica Sebino - abbia
tutto sommato rispettato l'autonomia professionale
delle AASS nell'attività quotidiana svolta. Nella mia
attività lavorati specifica e per il mio Ente , che
ritengo sia abbastanza particolare per l'ambiente e
capi, - la figura dell'AASS è sempre stata molto
sottovalutata e vissuta con timore rispetto alla sue
possibilità
e
competenze
rispetto
anche
40
all'assunzione di ruoli direttivi, organizzativi e di
coordinamento. Questo ha comportato conflitti e
necessità di difendere il ruolo e le competenze,
spesso gestiti ed affrontati di singoli AASS nei
propri servizi.. Il riconoscimento del Gruppo
Professionale nel 2003 ha aiutato in quanto ha
permesso di ufficializzare alcune posizioni, non
lasciando solo il singolo AASS.
14
Fattori che rinforzano: lavoro in equipe con
l’educatrice e la psicologa, lavoro con i mediatori
culturali, supervisione (attualmente non attiva).
15
Rinforza l’esercizio della professione di assistente
sociale chiedersi che tipo di professionisti
vorremmo essere.
16
favoriscono però una maggiore tutela
Impediscono lo scarso riconoscimento del ruolo dell’AS
oltre che la mancanza di conoscenze sull'operatività , la
scarsità di risorse economiche a disposizione ed il
difficoltoso rapporto tra tecnico e politico con
amministrazioni in continuo cambiamento
La mia professionalità viene indebolita dalla riduzione
degli spazi di autonomia che l'attuale organizzazione del
Dipartimento comporta.
18
Il fatto di lavorare presso un ente locale, ente che
ha la titolarità del caso nel lavoro con l'utenza, è
un punto di forza del lavoro. Grande punto di forza
del lavoro all'interno dell'ente locale è la
partecipazione all'ufficio di piano.
Fattore che invece indebolisce il mio ruolo è legato al fatto
di non essere assunta direttamente dall'ente. Altro punto di
debolezza lo trovo nel rapporto con le figure politiche, che
spesso creano interferenze con le situazioni in carico per la
non conoscenza del ruolo dell'assistente sociale.
19
La possibilità di formazione continua la rinforza
20
Rinforzano:condividere la conoscenza ed il sapere,
attivare flussi di stimoli e moltiplicarli; interagire
con altri professionisti, servizi e con la propria
comunità professionale (confronti con altre aa.ss.,
formazione, supervisione); essere riconosciuto
come soggetto dotato di strumenti professionali
consoni in grado di esplorare il possibile e di
progettare al fine di fronteggiare con
consapevolezza, responsabilità e “creatività” le
“sfide sociali”.
La poca considerazione della nostra figura indebolisce
l'espressione della professionalità.
Indeboliscono: dover, per ogni tipo di intervento, di
progetto da attuare o in alcune situazioni per la gestione
del caso stesso, attendere parere vincolante da assessori,
funzionari o dirigenti in particolare se non appartenenti
alla
propria comunità professionale; solitudine
professionale.
21
lavoro di rete tra professionisti nel rispetto dei
diversi ruoli;
supervisione o formazione mirata all'operatività;
costruzione di sinergie ed alleanze con terzo
settore, figure risorsa della comunità, reti di
vicinato ecc.
momenti di incontro sul territorio con la comunità
per far conoscer maggiormente la nostra
professionalità;
l'accoglienza ed il ricevimento del pubblico quando
si riesce a garantirla di qualità nonostante le
17
Fattori che indeboliscono: Eccessivo carico di lavoro che
impedisce di seguire adeguatamente le situazioni e i
progetti in atto. Carenza di personale. Poca chiarezza da
parte dei responsabili sulle linee progettuali da seguire per
le situazioni con problemi economici e abitativi ( a chi e
quali servizi erogare, per quanto tempo, quali criteri
applicare per i contributi economici ecc…) Rapportarsi
con il potere politico che spesso cambia e muta le scelte
dei progetti nei servizi.
una scarsa considerazione del ruolo dell'assistente sociale
spesso non solo dai cittadini per i loro pregiudizi, cosa più
comprensibile, (a.s. = quella che porta via i bambini; as.
viene a lavare il nonno ecc.) ma sempre più frequente da
parte delle altre istituzioni che si permettono di individuare
interventi propri della ns. professione (es. scuola che
segnala situazioni e propone già come intervenire -adm
ecc.- o contesta approfondimenti ed analisi della
situazione come perdite di tempo chiedendo a domandarisposta immediata; avvocati che richiedono presenza as.
agli sfratti come se fossimo un organo di polizia...);
41
condizioni lavorative.
22
23
Per primo punto credo essenziale la comunicazione
con l’ente o con l’amministrazione comunale.
L’assistente sociale lavora per il Comune e non
contro, è quindi necessario rendere partecipe e
collaborare affinché le risorse non vengano
sprecate inutilmente. La collaborazione porta
inoltre a lavorare con soggetti terzi, come possono
essere gli uffici del Comune o operatori dei vari
servizi.
il fatto che siamo tre colleghe ed è possibile
condividere pensieri ed opinioni in lavoro d’equipe
la possibilità di aggiornarsi continuamente
logica diffusa delegante che attribuisce al servizio sociale
la soluzione dei problemi come se le persone e la comunità
non fossero parte in causa;
frammentazione di progetti, proposte, soggetti e difficoltà
di svolgere un ruolo di regia o di costruzione di senso
condivisa.
la scelta da parte dell’Amministrazione di un responsabile
non assistente sociale e non laureato, nonostante la
presenza in servizio di tre assistenti sociali;
l’opinione, ancora molto diffusa, che per fare l’assistente
sociale, sia sufficiente il buon senso ed il buon animo;
la carenza di personale amministrativo
Non avere un ufficio da sola; Non poter delegare
maggiormente funzioni più amministrative/burocratiche
che fanno perdere tempo; L’urgenza, la fretta e altri fattori
che rendono difficile l’applicazione delle attività descritte
nella prima risposta..
Spesso può succedere che quando si lavora come
dipendente presso un qualsiasi Ente, sia difficile esprimersi
professionalmente sempre al meglio e soprattutto come noi
lo desideriamo. Infatti ad esempio può capitare che quello
che per noi rappresenta l’intervento più giusto da attuare,
a causa di dinamiche interne non ci sia consentito farlo;
invece in altre situazioni capita di essere costretti ad agire
come non avremmo mai fatto.
Sicuramente potevo fare meglio, ma non è semplice
ragionare su questi temi in completa solitudine.
24
Lavorare con una collega; Avere un responsabile
che gestisce l’ufficio con un metodo molto
consultivo e partecipativo
25
Tuttavia nel mio caso in particolare, penso che
lavorare in un struttura che accoglie diverse
tipologie di utenze (disabili, anziani e malati
terminali) possa aiutarmi ad ampliare la
conoscenza di mondi diversi e quindi acquisire
contemporaneamente esperienza in diversi ambiti
lavorativi del servizio sociale.
26
-la possibilità di confronto con le colleghe e la
possibilità di lavorare all'interno di un gruppo dove
si possa condividere la quotidianità del nostro
operare.
-Un percorso su se stessi e la propria personalità,
per affrontare al meglio la complessità delle
problematiche con cui ci troviamo ad operare.
-La formazione continua e permanente.
-La supervisione professionale riconosciuta.
27
Sono presenti entrambi. Fattori che rinforzano la
professionalità credo possano venire all’esterno del
semplice “Ente di appartenenza”, quindi
valorizzando le forme associate, l’Ufficio di Piano,
le Aziende Territoriali, i gruppi tecnici di lavoro e
di auto mutuo aiuto.
Rispetto ai primi risulta particolarmente complesso
lavorare in contesti di Enti con limitate risorse
economiche: rimane invariata la lettura del bisogno da
parte del professionista nei confronti dell’utenza, ma ne
consegue, a fronte di una carenza di risorse a cui
attingere, che si modificano i progetti sui casi e la funzione
preventiva del disagio sociale si indebolisce.
28
I fattori che invece la rinforzano sono: la
supervisione, la partecipazione a corsi di
formazione, l’aggiornamento continuo e anche il
vedere l’utenza maggiormente serena e, per quanto
possibile più soddisfatta.
I fattori che indeboliscono contrastano o riducono la mia
professionalità sono alcune figure politiche, che, a volte,
impediscono la nostra partecipazione ai corsi per il fatto
che altrimenti l’ufficio resta scoperto!
29
Nel servizio dove lavoro vengo lasciata libera di
organizzarmi come meglio ritengo ed il sostegno
Ciò che reputo pesante è il carico burocratico
amministrativo che, pur condividendo la necessità di
42
dei miei superiori è, comunque, gratificante. E'
necessario condividere le scelte operative ed
organizzative ed accettare eventuali modifiche
imposte.
30
Fattori rinforzanti: alta considerazione dell'attività
di raccordo che viene fatta con gli altri enti, buona
capacità di confronto - collaborazione con
professionisti di altre discipline, "creatività" che si
può sfoggiare soprattutto rispetto ai progetti
innovativi.
31
rendere tracciabile il proprio operato,sta diventando
eccessivo
Fattori che indeboliscono: budget sempre più ridotti,
aumento della burocrazia, eccessiva attenzione per alcune
norme (vedi legge sulla privacy) che a volte diventa
pretesto per non fare.
Un aspetto che appartiene un po' a tutte le grosse
organizzazioni che riduce un po' l'espressione della mia
professionalità è la macchina organizzativa ( i passaggi
decisionali, i pareri contrastanti, i tempi....- vedi su
progettazioni a medio-lungo termine) nonché, a volte, la
difficoltà " a farti riconoscere" in quanto professionista
all'interno della tua équipe di lavoro- il tema
dell'integrazione professionale.
32
Ciò che rafforza la professione è:
-la possibilità di confronto con le colleghe e la
possibilità di lavorare all'interno di un gruppo dove
si possa condividere la quotidianità del nostro
operare.
-Un percorso su se stessi e la propria personalità,
per affrontare al meglio la complessità delle
problematiche con cui ci troviamo ad operare.
-La formazione continua e permanente.
-La supervisione professionale riconosciuta.
I fattori che indeboliscono la professione sono:
-lo scarso riconoscimento economico,
-il percorso universitario che non vede un'unica facoltà per
la nostra professione e quindi indebolisce l'identità,
-la burocratizzazione del nostro ruolo all'interno di enti e
servizi,
-la scarsa base teorica su cui si basa la professione e la
mancanza di ricerca nella nostra materia,
-il pensiero spesso condiviso che la nostra non sia una
professione ma una missione e per questo non possiamo
mai dire di no, non possiamo mai delegare e quindi
veniamo definite le “TUTTOLOGHE dell'aiuto”, come se
fare l'assistente sociale fosse sinonimo di volontariato.
33
La formazione continua può essere una risorsa
positiva per risolvere il problema del
rapporto/collaborazione con le altre professioni,
ma per essere tale dovrebbe avere lo stesso
riconoscimento anche da parte degli enti di
appartenenza.
34
Ritengo di avere rafforzato la mia professionalità
con la possibilità offerta di assumere responsabilità
organizzative e di coordinamento nel servizio,
nonché di svolgere attività in integrazione con altri
servizi e dipartimenti, nella sperimentazione di
modalità congiunte di definizione e raggiungimento
degli obiettivi di salute. La partecipazione a
programmi comunitari ed a tavoli integrati con
altre realtà territoriali, in funzione della
valorizzazione e dello sviluppo di risorse locali,
penso mi abbia consentito di acquisire una diversa
prospettiva professionale realizzando il mio ruolo
in forma maggiormente promozionale.
Non sempre il rapporto con le amministrazioni rispecchia i
principi del servizio sociale; A volte la nostra figura
professionale non viene adeguatamente riconosciuta
all’interno dell’ente e ancor meno lo è la nostra
formazione continua. L’operato soprattutto negli ultimi
anni è condizionato da scelte amministrative e politiche ed
economiche che ne limitano l’autonomia. Da non
sottovalutare è la diversificazione che è presente su
territorio italiano degli inquadramenti contrattuali che
necessariamente creano differenze di diritti, riconoscimenti
economici sia all’interno della professione che in rapporto
ad altre ad esse equiparate.
Contrasta invece la piena espressione di capacità
professionali, la difficoltà di trovare un corrispondente
riconoscimento formale ed economico conseguente a
dinamiche aziendali di gestione delle risorse umane ed ai
limiti di inquadramento contrattuale.
43
35
36
la rinforzano la capacità di proporre
progetti/soluzioni/alternative;
La flessibilità ha d’altro canto anche un punto di
forza: offre nuovi stimoli, riduce il rischio di
fossilizzarsi su posizioni talvolta poco gratificanti
sia in termini professionali che personali. Il
servizio sociale è sempre più un “distributore di
contributi”, sempre meno un luogo di pensiero,
progettazione, prevenzione, sostegno alla persona
che non sia di tipo economico. Siamo di fronte a un
cambiamento storico importante sia in termini di
riorganizzazione di servizi che dei bisogni
dell’utenza.
Questo cambiamento storico, ci obbliga a fermarci,
a ripensare i servizi e le modalità con le quali
abbiamo operato nell’ultimo decennio: ciò credo
possa trasformarsi in una grande opportunità per
migliorare.
Il confronto con i colleghi e la possibilità di evitare
l’isolamento.
La formazione continua come impegno eticoprofessionale.
37
38
39
riconoscimento dell’attività di servizio e del ruolo
esercitato autonomia decisionale nella scelta delle
modalità di intervento
il confronto con le colleghe, la possibilità di
supervisione sui casi
40
41
Il rinforzo principale viene dall’esperienza e dal
suo riconoscimento da parte dell’Ente.
42
Personalmente sono contenta di far parte di
un’equipe di un Servizio Pubblico che rispetta il
mio ruolo professionale sia in termini di richiesta
di appropriate consulenze che di pareri e/o
interventi sui quali mi lascia ampia possibilità di
scelta e campo libero (ove possibile) e che mi
“accompagna”, senza sottrarsi a responsabilità,
nelle situazioni più complesse e delicate.
. Un aspetto, invece, che ritengo positivo
43
questi spazi di autonomia sono sempre più ridotti
La richiesta da parte dell’ente di appartenenza di una
figura flessibile, che si adatta in relazione alle necessità
dettate dal momento storico, legislativo, interne al servizio
(maternità, riduzioni di orario per esigenze personali…),
spesso incide negativamente su una crescita professionale.
Le competenze richieste a un’assistente sociale sono
molteplici : si acquisisce un patrimonio di conoscenze in
un settore specifico dopo anni di lavoro e non sempre
questo viene adeguatamente riconosciuto. Ciò accade
quando ad esempio ci si deve occupare dopo una maternità
(nella migliore delle ipotesi) di un settore /area
completamente diversa da quella per la quale si è lavorato
per anni a discapito della specializzazione. L’assistente
sociale rischia di diventare un professionista competente
su materie/aree diverse senza la possibilità di
approfondire, diventare “bravi”, specializzarsi appunto.
Cambiamento per il quale il servizio sociale non è ancora
pronto poiché non supportato da una seria progettazione
socio-politica.
I fattori che indeboliscono l’espressione della
professionalità nel servizio sono la continua diminuzione
delle risorse e l’aumento esponenziale delle richieste.
Sempre più si pone attenzione al tema della valutazione per
stanziare fondi in modo ragionevole e raggiungere gli
obiettivi desiderati. La professionalità è rinforzata dalla
capacità di programmare e valutare. Progettare significa
trasformare intuizioni o ipotesi in pensieri ordinati, lineari
e comunicabili
limitatezza delle risorse economiche, umane e strumentali
le poche risorse a dispostone per far fronte ai bisogni delle
persone, la reputazione che nel tempo ci siamo costruite, il
lavorare avendo poco tempo da dedicare alla riflessione
Il principale fattore che indebolisce la mia professionalità
all’interno dell’Ente in cui lavoro è la difficoltà di
considerare l’assistente sociale (e la maggior parte delle
altre figure impiegate) come professionista dotato di una
propria autonomia. Spesso, infatti, l’assistente sociale, mi
pare sia identificato esclusivamente con i servizi sociali,
intesi come l’insieme dei servizi e delle prestazioni che
possono essere erogati verso i soggetti in difficoltà, oppure
come risolutore di problemi. Ad oggi sto ancora cercando i
vantaggi.
Per ciò che mi riguarda non percepisco fattori indebolenti
diretti, se non la frammentata identità di gruppo
professionale.
Nella mia esperienza professionale, credo che sia elemento
44
all’interno di questo Ente è il fatto che vi sia da
parte dei responsabili la disponibilità all’ascolto e
alla valutazione delle proposte da me suggerite.
44
il lavoro all'interno di una equipe multidisciplinare
la creatività intesa come capacità di lettura e di
attenzione ai cambiamenti sociali e di
individuazione delle risorse che l'ambiente può
offrire
l'attenzione alla normativa costantemente in
evoluzione
la disponibilità alla flessibilità.
di debolezza l’essere l’unica Assistente Sociale di questo
Ente, in un contesto lavorativo caratterizzato dalla
presenza di amministrativi. Questo determina una scarsa
conoscenza dello specifico professionale dell’Assistente
Sociale e del suo ruolo. Contemporaneamente limita la
ricchezza che scaturisce dal confronto con un collega
relativamente alle situazioni di maggiore complessità
In un servizio specialistico come il Ser.T, all'interno di una
equipe multidisciplinare, la posizione contrattuale della
assistente sociale (comparto) inferiore ad altre professioni
(dirigenza) rende debole il potere decisionale rispetto ad
altre figure. Per lo stesso motivo l' AS, all'interno dell'ente
, può assai difficilmente ricoprire un ruolo di
coordinamento e/o respnsabilità.
i pochi strumenti teorico-scientifici specifici, che per
formazione l' AS possiede, di supporto all'intervento
operativo, riducono la possibilità di trasformare l'operato
in teoria.
Parole chiave rintracciate nelle scritture relative alla terza sollecitazione
Parole ricorrenti
ELEMENTI RAFFORZANTI
RICONOSCIMENTO
FORMAZIONE
CONFRONTO
N.ro
volte
8
8
7
COMPRESENZA DI PIU' AA.SS.
CONDIVISIONE
SUPERVISIONE
COINVOLGIMENTO
AUTONOMIA
COLLABORAZIONE
PARTECIPAZIONE
UFFICIO DI PIANO
RISORSE
FLESSIBILITA'
COMPETENZA RELAZIONALE
PROTAGONISTA
CARICO DI LAVORO
BUONE PRASSI
7
6
5
5
4
4
4
2
2
2
1
1
1
1
CHIARA CORNICE
INTEGRAZIONE
1
1
GRATIFICAZIONE
TUTELA
TITOLARIETA' DEL CASO
CONOSCENZA DEL RUOLO DA
PARTE DELLA COMUNITA'
RESPONSABILITA'
CAPACITA' DI PROGETTARE
1
1
1
Parole ricorrenti
ELEMENTI INDEBOLENTI
LIMITATEZZA RISORSE
RAPPORTO TECNICO POLITICO
CARICO DI LAVORO
AMMINISTRAZIONE LINEE
INTERVENTO DIRETTIVE
SCARSA AUTONOMIA
CARICO AMMINISTRATIVO
RIGIDITA' ORGANIZZATIVA
SCARSA CONSIDERAZIONE
RICONOSCIMENTO
RUOLO
CONSIDERAZIONE
SOTTOVALUTAZIONE
MANSIONI NON PROPRIE
RUOLO NON RICONOSCIUTO
RESPONSABILITA'
RICONOSCIMENTO ECONOMICO
SCARSA FLESSIBILITA'
POCA CAPACITA' DI
PROGETTARE
SCARSA CONOSCENZA
IDENTITA' GRUPPO
PROFESSIONALE
LEGAME TEORIA/PRATICA
N.ro
volte
8
6
4
4
4
4
3
2
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
45