Testo gruppo FC Brescia - Riconoscersi professionisti
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Testo gruppo FC Brescia - Riconoscersi professionisti
RiRi-conoscersi professionisti Le scritture riflessive degli assistenti sociali in provincia di Brescia A cura di Laura Ciapetti, Ludovica Danieli, Francesca Giugno, Marina Francesca Poinelli, Simonetta Filippini, Sonia Tignonsini Gruppo di sperimentazione sulla formazione continua della provincia di Brescia Brescia Ottobre 2012 1 Indice Premessa L’Ordine Professionale alla ricerca di senso dell’agire professionale: tre anni per sperimentare il sistema della Formazione Continua come luogo strumento della partecipazione professionale a cura di Renata Ghisalberti, Presidente CROAS Lombardia pag. 3 1. Il gruppo di sperimentazione sulla formazione continua della provincia di Brescia: i passi Il Gruppo di Formazione continua della provincia di Brescia: il contesto pag. 5 2. La ricerca sulla professionalita’ 2.1 Note metodologiche pag. 6 A cura di Ludovica Danieli 3. Le scritture ci raccontano Riflessioni introduttive pag. 9 A cura di Ludovica Danieli La prima sollecitazione: Per te cosa significa essere un professionista? a cura di Laura Ciapetti, Sonia Tignonsini pag. 11 La seconda sollecitazione “A tuo parere quale significato ha essere professionista in qualità di dipendente di un Ente o Coop o Società …” pag. 14 a cura di Francesca Giugno La terza sollecitazione: “A tuo parere ci sono, e se si quali, fattori che indeboliscono (impediscono, riducono, contrastano)/ rafforzano l’espressione della tua professionalità nel servizio e/o Ente per il quale lavori?”. A cura di Ludovica Danieli e Marina Francesca Poinelli pag. 17 4. Appunti conclusivi. A cura di Ludovica Danieli e Simonetta Filippini pag. 27 Bibliografia pag. 31 Allegati pag. 32 A cura di Simonetta Filippini e Marina Francesca Poinelli 2 PREMESSA L’Ordine professionale alla ricerca di senso dell’agire professionale: tre anni per sperimentare il sistema della Formazione Continua come luogo strumento della partecipazione professionale. Assistenti Sociali: perché essere una “professione”? La domanda è alla base di un percorso storico che ha visto la nostra professione confrontarsi con una cultura italiana che riconosce pari dignità a tutte le attività economiche umane in quanto Lavoro (nella Costituzione è un parola-chiave ed elemento cardine dell’esistenza individuale e collettiva della Nazione), ma considera le professioni come una speciale modalità di attività umana, al punto di garantirle con un apposito esame di stato per l’abilitazione professionale (art. 33 Costituzione). La storia delle professioni trae origine dai presupposti di utilità sociale che ad ogni professione viene riconosciuta nel corso del tempo; la nostra nasce con il processo di professionalizzazione del lavoro filantropico e di controllo sociale iniziato con la nascita degli Stati nazionali nella fase dell’industrializzazione dei paesi occidentali e accompagna le trasformazioni socio-economiche e culturali del secolo scorso, origine che ci rende particolarmente sensibili ai cambiamenti antropologici e culturali. Nel 2013 in Italia festeggeremo i 20 anni della Legge 84 del 1993 che ha riconosciuto “L’ordinamento della professione di assistente sociale e istituzione dell’ordine professionale” che rappresenta ancora oggi, con tutti i cambiamenti normativi successivi ad essa, l’essenza della definizione dell’attività dell’assistente sociale, consentendoci di concorrere direttamente alla realizzazione dei diritti costituzionalmente previsti (art. 32: La Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti; art. 38: Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione all’avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L’assistenza privata è libera). L’ampia discussione negli anni recenti sulla preannunciata riforma degli ordini, influenzata anche dalla dimensione europea, è diventata ora la riforma di una parte delle professioni (non sono comprese le professioni sanitarie) che nella calda estate del 2012 si è conclusa con un atto normativo, il DPR del 7 agosto 2012 n. 137 (GU 14.08.2012) “Regolamento recante la riforma delle professioni”. Alcuni presupposti di questa riforma sono poco affini alle problematiche che gli assistenti sociali considerano come centrali nell’esercizio della propria professione e più tipici delle professioni liberali tradizionali: dalla libera concorrenza alla pubblicità informativa; anche il principio stesso della liberalizzazione non caratterizza la comune percezione del gruppo professionale sulle proprie condizioni di lavoro. L’utopia di uno Stato Sociale destinato a dare opportunità uguali per tutti, a farsi carico dei cittadini fragili, ad emancipare le persone dagli esperti, l’apertura delle istituzioni chiuse e totalizzanti ha sicuramente rappresentato alcune delle principali motivazioni che molti di noi hanno “sentito” nel momento in cui stavano scegliendo una professione di aiuto, animati dalla ricerca di giustizia sociale e convinti di poter avere un ruolo nella promozione di solidarietà sociale. Il singolo e la comunità sono i riferimenti principali della nostra azione professionale, rispettosa delle aggregazioni che ciascuna persona sceglie di vivere. 3 Grande influenza ha la dimensione organizzativa che sembra “costringere” gli assistenti sociali ad assumere come prevalente il mandato dell’ente in cui operano, che è ancora, in larga maggioranza, costituito dalla pubblica amministrazione. La scelta di operare nella P.A. per alcuni di noi è stata una scelta “obbligata”: ci siamo identificati in un apparato statale, perché non concepivamo il nostro ruolo fuori dalla validazione che lo Stato dava ai servizi. Con gli anni ’90 la riflessione sul Welfare, dalla visione universalistica a quella del Welfare mix, ci ha posti di fronte ad un nuovo paradigma che ha aperto la strada ad un sistema dei servizi misto, dove il concetto di pubblico è diverso da quello di statale, potenziando le scelte gestionali della rete di offerta dei servizi. Rimane un nodo centrale, dalla riforma nazionale incompiuta della Legge 328/2000 alle riforme regionali striscianti, l’importanza della regia pubblica a garanzia dei diritti sociali che la rete dei servizi pubblici e privati supportano e integrano. Come gioca il fattore Formazione Continua nei nuovi scenari delle professioni e dei servizi alla persona? La risposta possibile è come sempre non unica, è legata alle scelte che siamo chiamati a pensare e fare per mantenere vivo il senso profondo della nostra presenza nella vita societaria: creare reti di conoscenza e solidarietà, creare movimenti dal basso, avere istituzioni (l’Ordine è un’ istituzione) capaci di dare regole, di garantire continuità e di raccogliere il meglio delle innovazioni e delle buone pratiche. Il percorso del Gruppo di supporto alla FCAS del bresciano ne è un meritevole e emblematico “caso”, risultato di un’idea che mette al centro il DNA della nostra professione: agire con i metodi della partecipazione e dell’autodeterminazione, riflettere sulla pratica professionale, interrogarsi sul significato del pensiero e dell’azione a partire dal confronto con altri soggetti, incrementare le competenze, valutare i risultati, restituire alla collettività professionale e alla società dei cittadini. Cosa sia la Formazione “che dura tutta la vita” è un argomento complesso, non liquidabile nelle poche frasi di questa breve premessa; ritengo sicuramente che il sistema della Formazione Continua che stiamo costruendo desideri un’offerta formativa di qualità, in cui i professionisti siano capaci di essere parte attiva sia nel domandare opportunità di crescita professionale e culturale, sia nel costruire luoghi di formazione relazionale e democratica, come il nostro Codice deontologico ci indica. Renata Ghisalberti Presidente CROAS Lombardia 4 1. IL GRUPPO DI SPERIMENTAZIONE SULLA FORMAZIONE CONTINUA DELLA PROVINCIA DI BRESCIA: I PASSI 1.1 Il Gruppo di Formazione continua della provincia di Brescia: il contesto Il Gruppo di formazione continua della provincia di Brescia si è costituito, in raccordo con l’Ordine degli Assistenti Sociali della Regione Lombardia, nel mese di ottobre 2010. Il gruppo è formato da 16 persone, tutte donne, e si incontra una volta al mese. Le Assistenti sociali partecipanti provengono da realtà eterogenee: Asl Brescia/Valcamonica; cooperazione; Azienda Ospedaliera; Comune; Provincia; altre realtà di gestione associata servizi; libera professione. I dipendenti degli Enti partecipano in forme diverse: chi in orario di servizio, chi prendendo permessi, chi in condizione di “ferie”; gli assistenti sociali che svolgono la libera professione impegnando il loro tempo per un lavoro di condivisione. Nel corso del 2010/2012 si sono aggiunte altre assistenti sociali1. Il gruppo nel periodo 2010/2012 ha promosso tre incontri provinciali su temi inerenti la Deontologia professionale invitando la Presidente dell’Ordine della Regione Lombardia e formatori esperti nell’ambito del servizio sociale. Sia il primo che il secondo incontro hanno visto la partecipazione di circa il 70% sul totale degli assistenti sociali, della provincia di Brescia, iscritti all’albo ( 579 nel 2011). Il terzo incontro programmato nell’ottobre del 2012 avrà come tema di riflessione: Deontologia e Responsabilità professionali dell’Assistente Sociale. Contestualmente il gruppo, a partire dal suo costituirsi, decide di approfondire alcuni temi. Gli oggetti di lavoro sono sintetizzabili nelle seguenti linee: • lettura metariflessiva dei dati raccolti nel mese di marzo 2010 dall’Ordine Regionale intorno alla Formazione degli Assistenti sociali nelle Province della Lombardia; • Ricognizione della formazione permanente svolta dagli assistenti sociali della Provincia di Brescia: conoscere quale ruolo le/gli assistenti sociali della Provincia di Brescia assumono rispetto alla Formazione: fruitori; docenti; ricercatori;etc conoscere quali sono i canali formativi con i quali le/gli AASS si relazionano. Infine, viene identificato dal gruppo un tema prioritario da indagare e sul quale sostare per una riflessione comune e condivisa: maturare e partecipare riflessioni inerenti la Professionalità dell’assistente sociale quale contributo per una crescita culturale della professione. Per la ricognizione della formazione permanente e l’indagine sul tema prioritario il gruppo ha costruito due strumenti di comunicazione con gli assistenti sociali: richiesta di scritture intorno al tema della Professionalità; una scheda di rilevazione sullo stato di formazione/aggiornamento.2 1 Assistenti sociali che compongono il gruppo di supporto tecnico alla FC dal 2010 al 2012: Letizia Sudati, Francesca Giugno, maria passeri, Rosangela Paroni, Sonia Tignonsini, Marina Poinelli, Franca Roberti, Roberta Valorsi, Rosaria Campana, Giovanna Squaratti, Chiara Fiorini, Lucia Venturelli, Daniela Dogali, Orietta Barucco, Simonetta Filippini, Elisabetta Bianchi, Ludovica Danieli, Erminia Drera, Laura Ciapetti, Cristina Ramponi, Wanda Romagnoli. 2 Le schede riconsegnate sono un centinaio. La collega Orietta Barucco ha svolto un lavoro di lettura dei dati. 5 2. LA RICERCA SULLA PROFESSIONALITA’ 2.1 Note metodologiche Il gruppo al fine di indagare il motivo della Professionalità si è avvalso di un impianto di ricerca qualitativa3. “Il ricercatore, che si avvale di un'analisi qualitativa, opera per raccogliere impressioni, rappresentazioni individuali o collettive di specifici fatti e esperienze umane, la loro analisi è una disaggregazione allo scopo di far luce sui fatti immediatamente visibili, o di portare alla luce i fatti non immediatamente percepibili, che stanno sotto il mondo delle nostre immediate percezioni quotidiane; non opera dunque sui grandi numeri, né si avvale di strumenti matematici. Egli in questo senso, non è interessato al numero dei casi, ma alla enucleazione del maggior numero di aspetti e informazioni ricavabili dal caso umano singolo o contestuale”4 Target di indagine Totale assistenti sociali iscritti Totale mail inviate albo A e albo B Ordine Regione Lombardia – sez. Brescia – dic 2011 n. 579 n. 500 Totale mail ricevute n. 44 I soggetti contattati sono gli assistenti sociali iscritti, al mese dicembre 2011, all’albo A e all’albo B dell’Ordine Assistenti Sociali della Regione Lombardia sezione Provincia di Brescia ( assistenti sociali iscritti n. 579 - fonte Dati Ordine AS Regione Lombardia) . La modalità di contatto avviene tramite l’invio di una lettera di presentazione dell’iniziativa e della scheda contenente le tre sollecitazioni. Il materiale è trasmesso via e-mail ( Vedi allegato 1) Sono state inoltrate circa 500 e-mail (il gruppo, attraverso un lavoro di ricognizione, ha a disposizione circa il 90% degli indirizzi degli iscritti - Albo A e B- ) Le scritture pervenute sono n. 44; le risposte provengono da assistenti sociali femmine. Le scritture pervenute - mesi gennaio-aprile 2011 - sono state inviate da assistenti sociali occupate nelle seguenti organizzazioni: Comune; ASL; Azienda speciale consortile; Società s.r.l; cooperativa, liberi professionisti. Abbiamo pertanto raccolto un punto di vista che aggrega organizzazioni fortemente radicate nel territorio che sviluppano relazioni importanti nell’articolato contesto nel quale sono incluse. I risultati non sono statisticamente generalizzabili, ma ci consentono di aprire un osservatorio sul tema posto in ricerca 3 Gli studi, i testi e la documentazione sulla ricerca qualitativa, ricerca partecipata, ricerca etnografica sono numerosi. Si citano qui alcuni studiosi e ricercatori che in Italia, negli ultimi venti anni, hanno prodotto riflessioni importanti intorno alla ricerca qualitativa: Bichi Rita, Bimbi Franca, Bruschi Alessandro, Cavalli Alessandro, De Lillo Antonio, Melucci Alberto, Corbetta Pier Giorgio, Ferrarotti Franco, Gobo Gimpietro, Jedloswki Paolo, Leccardi Carmen, Olagnero Marina, Saraceno Chiara, Passerini Laura. 4 Ricerca Formez 6 Definizione e Costruzione degli strumenti Lo strumento assunto all’interno dell’indagine è stata la scrittura5 sollecitata da tre domande aperte: 1) Per te cosa significa essere professionista 2) A tuo parere quale significato ha essere professionista in qualità di dipendente di un Ente, una Cooperativa, o altro soggetto 3) A tuo parere ci sono, e si quali, fattori che indeboliscono ( impediscono, riducono, contrastano)/rafforzano l’espressione della tua professionalità nel servizio/Ente nel quali lavori? L’analisi dei testi L’analisi delle scritture è avvenuta avendo come orizzonte un impianto metodologico qualitativo6. Per quanto riguarda l’analisi della prima sollecitazione sono stati individuati tre argomenti chiave: 1. Gli elementi che concorrono a definire un professionista 2. L’attribuzione di significato dell’essere professionista 3. Le caratteristiche che dovrebbe avere la figura dell’assistente sociale. 5 Francesca Merlini, Teresa Bertotti, Scrivere nel lavoro sociale, Prospettive sociali e sanitarie n. 2/2009; sulla scrittura come pratica riflessiva, di ricerca sociale e di metodologia dei servizi si vedano inoltre i testi di Duccio Demetrio, Laura Formanti, Sergio Quaglia. 6 Gevisa La Rocca, Software per l’analisi qualitativa dei testi, in Rivista m@gm@, Rivista elettronica di Scienze umane e sociali specializzata in approcci e metodologie qualitative. “La generazione di teorie avviene, soprattutto, avvalendosi del metodo comparativo, il quale può essere applicato su unità di analisi – fenomeni sociali – di diverse dimensioni. La procedura di codifica dei dati consiste - nella sua prima fase - nell’analisi line-by-line di segmenti, parole, paragrafi, porzioni di testo. Questo tipo di micro analisi è necessaria all’inizio dello studio per poter attivare il processo di concettualizzazione e generazione delle categorie e delle loro proprietà. L’analisi «riga per riga» dei dati richiede un dispendio di energie non indifferente ma produce un dettaglio di studio maggiore rispetto a qualsiasi altro tipo di indagine condotta sui dati qualitativi. Secondariamente, i dati qualitativi sono codificati secondo tre modalità distinte: - la codifica aperta; - la codifica assiale; - la codifica selettiva. La codifica aperta è il processo analitico attraverso il quale i concetti vengono identificati e le loro dimensioni emergono dai dati [Strauss, Corbin 1996; p. 101]. Il cuore della codifica aperta è rappresentato dai concetti; del resto – come sostengono Anselm Strauss e Juliet Corbin – non esiste scienza senza concetti. Open Coding vuol dire quindi «aprire» un testo e far emergere da esso le idee, le forme comunicative che contiene. In questo senso il primo passo di questo approccio è la «concettualizzazione»: un concetto è un fenomeno etichettato (labeled phenomenon) [Strauss, Corbin 1996; p. 103]. […]Nell’etichettare il fenomeno il ricercatore può attribuire un proprio nome, una propria etichetta a quanto l’intervistato dice o a quanto emerge da un testo oppure può utilizzare le parole stesse del soggetto; quest’ultimo processo di codifica è spesso definito come «in vivo codes». L’Axial Coding è il processo che collega le categorie alle sub-categorie, collegando le categorie alle proprie proprietà e dimensioni [Strauss, Corbin 1996; p. 123]. Nella codifica aperta si lavora sui concetti che emergono dal testo, nella codifica assiale si lavora sulle relazioni fra categorie e loro dimensioni. Collegare le categorie alle proprie dimensioni è nella pratica molto più semplice di quanto possa sembrare. Strauss e Corbin sottolineano come questa attività sia già in nuce nella codifica aperta. L’ultimo processo di codifica è rappresentato dalla codifica selettiva, che è il processo di integrazione e rifinitura della teoria. La Selective Coding è il momento in cui si individua una categoria principale e si decide di far ruotare attorno a essa l’interpretazione che dei dati si vuole fornire. Anche in questo momento della Grounded Theory è necessario, una volta individuata la categoria, attenersi alla comparazione costante tra questa categoria centrale e le altre o ulteriori elementi che possano emergere dai dati qualitativi. Centrale in questa fase è l’individuazione della categoria principale, del focus attorno al quale far ruotare la narrazione di quanto trovato. La categoria centrale è quella che appare più di frequente nei dati; ha più connessioni con le altre categorie e la spiegazione/interpretazione che essa fornisce ai dati appare logicamente dagli stessi, non mediante una forzatura. Inoltre, la frase o le parole utilizzate dal ricercatore per indicare questa categoria, quindi il concetto attraverso il quale la si designa, deve porsi a un livello di astrazione tale da poter essere attribuito, senza subire cambiamenti alcuni, sia alla teoria evidente che alla teoria formale. In questo modo si accresce il potere esplicativo della teoria fondata. Attraverso un processo di astrazione e utilizzando i memo che il ricercatore ha man mano prodotto e astraendo l’evento analizzato si individua come categoria principale il «rituale di passaggio». 7 Le scritture rispondenti alla seconda sollecitazione sono state poste in analisi rintracciando gli elementi identificati come segnanti “Essere professionisti in qualità di dipendenti”. Infine la terza sollecitazione ha visto una prima suddivisione fra “fattori che indeboliscono” e “fattori che rafforzano” e una ulteriore analisi dei due fattori così distinta: 1. Fattori che indeboliscono a. Problematiche connesse all’organizzazione b. Rapporto tra tecnici ed amministratori c. La scarsa conoscenza della figura dell’assistente sociale 2. Fattori che rafforzano ( individuate aree) a. motivi legati all’Ente Organizzazione b. lavoro in èquipe/rete professionisti c. capacità di confronto d. modalità di lavoro e. formazione f. soggettività g. supervisione h. contesto 8 3. LE SCRITTURE RACCONTANO Riflessioni introduttive Franca Olivetti Manoukian, intorno ad una complessa interrogazione e riflessione su quanto sia sociale, oggi, il lavoro nei servizi, introduce il motivo del codice dell’azione sociale che, per quanto riguarda in specifico il lavoro sociale, risulta caratterizzato da una matrice relazionale. Questo codice interroga i modelli di pensiero, i modelli di relazione e i modelli di azione nel lavoro. Riconoscere i propri codici culturali diviene indispensabile in quanto si tratta di “riconoscersi, di esplicitare i propri automatismi, i modi di pensiero connaturati, per poter aprire e mobilitare possibilità di conoscenza che non siano solo […] applicazione di saperi precostituiti”7. Riflettere intorno alla professionalità dell’assistente sociale comporta saper contenere un riconoscimento dei propri codici, provenienti dalla storia professionale collettiva e individuale, dalle norme deontologiche che orientano l’azione professionale, dal corpus di conoscenze, norme e valori socialmente accettati e riconosciuti inerenti la professione, e anche una disposizione professionale ad assumere quel pensiero che Manoukian chiama “ pensiero viandante”: “ […] oggi è cruciale, per uscire dall’assedio, costruire un pensiero viandante che, nel continuo interagire con le persone, i contesti, i livelli dei problemi , costruisce le categorie, i concetti, le teorie per orientarsi nelle situazioni”8. Scrivono A. Casartelli e F. Merlini “ […] l’assistente sociale è una figura professionale storica, che da qualche tempo sta prendendo sempre maggiore coscienza di sé, crescendo in consapevolezza di categoria e sviluppando cultura. Essere assistente sociale negli anni duemila è diverso che esserlo stato negli anni Settanta. Ottanta o Novanta del secolo scorso […] perché oggi i servizi sociali, ‘nati per promuovere cambiamenti nella società e nei rapporti sociali, stanno attraversando una fase assai difficile e rischiano di essere schiacciati dalle trasformazioni del contesto generale […] in cui crescono i malesseri, diminuiscono le risorse, si chiede di riparare i danni ( F.. Manoukian)’. Questo è lo scenario in cui l’assistente sociale si muove[…]”9 Anche la relazione con l’organizzazione è tema apicale nella costruzione e nell’espressione della professione. Le organizzazioni lavorative sono sistemi complessi all’interno dei quali si colloca la persona e la professione che essa svolge. Ed ancora, le organizzazioni, in questo caso erogatrici di servizi nel sistema ampio del Welfare, vivono di relazioni con coloro che portano una domanda/bisogno. Il disegno relazionale nel quale un assistente sociale, in questi ultimi anni di mutamenti legislativi e di struttura organizzativa dei sistemi socio sanitari, si trova ad operare è una rete formata da numerosi nodi che a loro volta, spesso, afferiscono a sistemi più vasti. A questa complessa trama di relazioni si accompagnano i temi dell’incertezza in ambito lavorativo, delle risorse economiche ridotte, della razionalizzazione e dell’esternalizzazione di servizi: tutti questi elementi configurano non solo la messa in opera della professione ma, pensiamo, anche l’immaginario soggettivo che ogni assistente sociale costruisce nel tempo della propria biografia professionale. Si tratta dunque di pensare alla Professione come ad una “condizione” che vive in un sistema relazionale e dunque cresce, cammina, si ferma, ha momenti di crisi, riprende la crescita. Sta dunque in dimensioni che, rileggendo E. Morin, riconducono a saperi molteplici e interconessi.10 È questa dimensione “vivente” che ci sembra importante da indagare attraverso una postura di ricerca soggettiva e condivisa. 7 Franca Olivetti Manoukian, Il codice dell’azione sociale. Orientamenti per il lavoro sociale oggi, Animazione sociale, ottobre 2004, p. 53 8 ibidem p. 56 9 Ariela Casartelli, Francesca Merlini, Assistente sociale. Uno sguardo sulla professione in cambiamento, in I Quid n. 4, 2009 Prospettive sociali e sanitarie, Milano p. VII 10 Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2001 9 Le scritture restituite raffigurano una professione che si muove all’interno di una struttura relazionale e sistemica; inoltre sembrano mettere in luce i molteplici aspetti che si mobilitano sia sulla professione agita, sia come istanza interna. Nel sistema del Welfare, in questo caso bresciano, Ente/Organizzazione è una definizione che contiene una molteplicità di realtà e gli assistenti sociali esercitano la propria professionalità in diverse situazioni organizzative. Gli Assistenti sociali della Provincia di Brescia iscritti all’albo dell’Ordine della Regione Lombardia al mese di ottobre 2012 risultano essere pari a 612 ( Lombardia n. 4882)11. Attraverso i dati - aggiornati al settembre 2012 - in possesso dell’Ufficio che programma il Piano Formativo Annuale provinciale per gli operatori socio assistenziali e socio sanitari – Assessorato Famiglia e attività socio assistenziali della Provincia di Brescia – abbiamo ricostruito il seguente quadro inerente la distribuzione degli assistenti sociali della provincia di Brescia nei diversi contesti organizzativi. Gli Iscritti all’ albo A sono n. 101 così distribuiti come si legge dalla tabella 1) tabella 1)12 Realtà Organizzativa V.A Comune 31 ASL di Brescia - Vallecamonica Sebino 34 Azienda speciale territoriale servizi alla persona 7 Fondazioni, Congrega, Caritas, realtà priv 6 Azienda ospedaliera 4 Provincia 4 Ministero Grazie e Giustizia 2 Ministero Interno 3 LP 3 Comunità Montana 1 Sindacato 1 Cooperativa 1 Non rilevati 4 Gli iscritti all’ albo B sono n. 511 così distribuiti come si legge dalla tabella 2) tab. 2) Realtà Organizzativa V.A Comune 141 Azienda speciale/consortile territoriale servizi 73 alla persona Fondazioni, realtà private, etc 20 ASL di Brescia e Vallecamonica 69 Ministero di Grazia e Giustizia 17 Azienda Ospedaliera 15 Cooperativa 15 Comunità Montana 8 LP 4 Inail 1 Non rilevati 148 ( di cui n. 36 iscritti all’albo nel 2012; e n. 36 iscritti all’albo nel 2010 e 2011 pari a n. 72) 11 12 Fonte dati sito Ordine Regione Lombardia, www.ordineaslombardia.it Fonte dati presenti nelle tabelle 1) e 2): ufficio formazione Provincia di Brescia 10 3.1 La prima sollecitazione: Per te cosa significa essere un professionista? a cura di Laura Ciapetti, Sonia Tignonsini La prima sollecitazione si prefiggeva di far emergere i punti di vista soggettivi sul significato dell’essere professionista. Ci interessava conoscere come ciascun soggetto ricostruisse, attraverso proprie categorie interpretative, una definizione di professione. Come mostrano i dati delle tabelle precedenti ( tab.1 e tab.2) l’assistente sociale lavora prevalentemente in qualità di dipendente. Risultava dunque interessante esplorare il tema della professione attraverso il pensiero di chi si trova ad operare in qualità di dipendente rivestendo lo stato di “ professionista” così come declinato dalle norme di riferimento specifiche inerenti l’assistente sociale. Con la Legge 23 marzo 1993, n. 84, non solo la professione è stata normata in modo puntuale, ma prevede anche l’attivazione dell’Ordine professionale. 1. L'assistente sociale opera con autonomia tecnico-professionale e di giudizio in tutte le fasi dell'intervento per la prevenzione, il sostegno e il recupero di persone, famiglie, gruppi e comunità in situazioni di bisogno e di disagio e può svolgere attività didattico-formative. 2. L'assistente sociale svolge compiti di gestione, concorre all'organizzazione e alla programmazione e può esercitare attività di coordinamento e di direzione dei servizi sociali. 3. La professione di assistente sociale può essere esercitata in forma autonoma o di rapporto di lavoro subordinato. 4. Nella collaborazione con l'autorità giudiziaria, l'attività dell'assistente sociale ha esclusivamente funzione tecnico-professionale. 5. Per poter esercitare la professione di assistente sociale e assistente sociale specialista è richiesto rispettivamente il conseguimento della laurea triennale e della laurea specialistica o magistrale in Servizio sociale e, successivamente, il superamento del relativo esame di Stato di abilitazione all’esercizio professionale. Per l’Assistente sociale, “essere professionista” ha significato percorrere un lungo cammino normativo che ha disegnato anche i parametri dell’identità professionale. “Ma cos’è l’identità? Quali sono le sue caratteristiche? Ha natura stipulativa, non è data una volta per tutte, e viene messa alla prova nel rapporto con l’altro ( collega, collega di altre professioni, istituzione, utente, ecc); è un processo di auto-identificazione e di etero-identificazione. Non basta quindi che lo Stato ci abbia dato “una certificazione di qualità”, ma spetta al gruppo professionale mantenere il livello adeguato rispetto alle caratteristiche peculiari e all’utilità sociale che caratterizzano le professioni”.13 Le scienze sociali si distanziano da un'impostazione dell'identità come unità-totalità indifferenziata. e nel loro complesso, si focalizzano sul carattere relazionale, intersoggettivo dell'identità e analizzano i fattori sociali e le dinamiche interattive che sono alla base della sua genesi e del suo mantenimento. Fra gli elementi innovativi introdotti dagli studi di Erikson, il processo di categorizzazione sociale è da considerarsi sotto un duplice profilo: come definizione oggettiva, esterna e vincolante per l'individuo, e come autopercezione, soggettiva e modificabile nel corso dell'interazione sociale. 14 Il discorso sull’identità professionale diviene dunque un oggetto del pensiero e della riflessione che 13 Renata Ghisalberti, Daniela Poli, Le prospettive di una professione, in Prospettive sociali e sanitarie, n. 17 – 2001, p.2 14 Loredana Sciolla Identita personale e collettiva, Enciclopedia delle Scienze Sociali (1994) 11 si inserisce in un dialogo fra il professionista ed il contesto avendo come bussola di orientamento la norma che stabilisce i confini di tale identità professionale. Nell’analisi delle scritture raccolte, fra le risposte pervenute ( allegato 2) alcune attribuiscono un significato preciso all' “essere professionista”; altre si concentrano sulle “caratteristiche” che l'assistente sociale dovrebbe avere per essere considerato professionista. Una in particolare sembra contenere una complessità d’insieme che ci pare interessante: "E' colui il quale ha acquisito delle conoscenze e sviluppato delle competenze che sa utilizzare con coscienza soprattutto nell'ambito lavorativo. Egli è consapevole di avere a disposizione degli strumenti o delle tecniche che per essere efficaci devono essere utilizzate in modo saggio, non necessariamente in modo standardizzato (dipende da professione a professione) e necessitano di osservazione e riflessione prima di essere applicate. Il professionista sa di avere delle responsabilità e dunque percorrere i propri doveri con attenzione: e attento a ciò che agisce, poiché sa che gli altri si affidano a lui. E' la persona che sa assumersi gli oneri del lavoro. Il professionista sa assumere le decisioni in autonomia, individuare priorità, esprimere valutazioni e organizzarsi il lavoro. Viceversa è la stessa figura che è capace di lavorare con gli altri (équipe, superiori, altre persone) e sa interfacciarsi con diversi interlocutori. Il professionista, pur sapendo di poter contare sulle proprie competenze, accoglie i suggerimenti, le critiche e accetta l'aiuto di altri: se serve sa anche chiedere aiuto, informarsi e cercare strategie nuove. Egli accetta di osservare i limiti personali o professionali che lo riguardano, tenta di correggerli ed è cosciente che per quanto il suo lavoro sia qualitativamente elevato, non può risolvere ogni situazione. Il professionista si interroga circa il proprio lavoro e cerca il confronto, è attento ai cambiamenti e disposto a modificare il proprio operato per aggiornarlo e migliorarlo. Desidera formarsi e sfrutta ogni occasione, diretta ed indiretta, per soddisfare tale necessità. Il professionista, inoltre, avverte il senso di responsabilità verso la classe professionale cui appartiene; con il proprio lavoro cerca di presentare nel modo più adeguato la professione stessa ( in particolare laddove non sia conosciuta o il contesto non sia favorevole). Egli mette al servizio del bene comune quello che sa fare e si sforza di onorare il lavoro anche degli altri colleghi (siano pure di professioni diverse)". Questa scrittura per la ricchezza dei contenuti ci fornisce alcuni punti focali che ci orientano nella messa in dialogo intorno alla prima sollecitazione: “[…] Il professionista è colui che ha acquisito conoscenze e sviluppato delle competenze che sa utilizzare con coscienza[…]”. Nel processo di “adultizzazione” della professione abbiamo assistito allo sviluppo e all’ampliamento di conoscenze, strumenti, tecniche che hanno contribuito ad una aumentata complessità sia sul versante della “identità professionale” che nell’assunzione di proposte e strategie operative rivolte al singolo e alla comunità. Nel contesto attuale fortemente segnato dalla crisi economico- sociale, i servizi stanno assistendo ad un aumento di bisogni che si possono declinare in un paradigma “dell’emergenza”. Situazioni umane complesse che necessitano di un pronto intervento sociale e di una continuità assistenziale. La professionalità dell’operatore, sollecitata anche da questo quadro d’insieme, necessita dunque di di spazi di pensiero e confronto con colleghi, prevedendo equipe strutturate o richiedendo momenti di supervisione. Nulla deve essere lasciato al caso; la complessità e l’emotività che caratterizza molti colloqui deve essere gestita con competenza e sviluppo di conoscenze. Secondo alcuni colleghi “essere professionisti” significa essere disponibili ad accogliere suggerimenti, critiche e ad accettare l’aiuto di altri. “[…] Assumere decisioni in autonomia[…]”. La contrazione delle risorse, l’ingerenza politica e la precarietà lavorativa, ci spinge a dire che prendere decisioni autonomamente non sempre è possibile. La legge n. 84/1993 all’art. 1 sancisce come l’assistente sociale opera con autonomia tecnico-professionale e di giudizio in tutte le fasi dell’intervento per la prevenzione, il sostegno e il recupero di persone, famigli, gruppi e comunità in situazioni di bisogno e di disagio e può svolgere attività didattico-formative. È quindi questa norma un caposaldo per evitare interferenze durante la conduzione di un caso. Anche il codice deontologico, art 6, sottolinea come il dovere dell’assistente sociale è quello di difendere la propria autonomia da pressioni e condizionamenti. Il responsabile 12 del caso è l’assistente sociale che, in quanto professionista, si rende garante della realizzazione del progetto individuando priorità, esprimendo valutazioni, organizzando il lavoro. “[…] Desidera formarsi e sfrutta ogni occasione diretta e indiretta per soddisfare tale possibilità[…]”. All’interno della stessa comunità degli assistenti sociali, la Formazione Continua, in modo particolare all’avvio del triennio di sperimentazione, è stata accolta come un ulteriore appesantimento e una sottrazione di tempo al procedere lavorativo. A tal proposito ricordiamo l’osservazione del Consiglio Regionale della Lombardia che presentava la formazione continua come un evento positivo che andava a rafforzare il prestigio e la qualità della professione. La professione dell’Assistente Sociale ha un riconoscimento giuridico da parte dello Stato, un titolo di studio riconosciuto, agisce secondo i dettami propri della professione, ossia nel rispetto dell’etica, della deontologia e della metodologia. Ma oltre alla preparazione accademica riteniamo sia necessario affinare l’esperienza acquisita attraverso la formazione permanente in quanto risposta alla costruzione in divenire dell’identità professionale che vive di un legame stretto con i cambiamenti socio-culturali. “[…] con il proprio operato cerca di presentare nel modo più adeguato la professione stessa (in particolare laddove non sia conosciuta o il contesto non sia favorevole)[…]”. Abbiamo mai provato a chiedere ad un “non addetto ai lavori” qual è il ruolo dell’assistente sociale? Nel migliore dei casi la risposta è dettata da una confusione circa il ruolo dell’assistente sociale e quello dell’assistente socio assistenziale, nel peggiore è la persona che allontana i bambini dalla propria famiglia. Abbiamo mai visto un’assistente sociale che ha un biglietto da visita? Può essere che la professione sia sottostimata non solo dalla società ma anche da alcuni atteggiamenti degli assistenti sociali stessi? 13 3.2 La seconda sollecitazione “A tuo parere quale significato ha essere professionista in qualità di dipendente di un Ente o Coop o Società …” a cura di Francesca Giugno Questa seconda questione interroga, apre la riflessione sul rapporto fra Assistente sociale e organizzazione. Già nell’introduzione abbiamo accennato al significato che assume l’organizzazione nella costruzione dell’identità professionale. Ci interessava conoscere quali attribuzioni di significato potessero essere individuate a proposito. E’ noto che la gestione dei servizi sociali in Italia vede, ad oggi, la presenza di un sistema di organizzazioni estremamente eterogeneo. Tale pone una necessità di riorientamento non solo da parte dell’utenza che accede ai servizi ma anche degli operatori stessi all’interno di contesti lavorativi sempre più diversificati e “liquidi”. Prima di iniziare ad analizzare le risposte ( allegato 3) date dai volonterosi colleghi che hanno aderito all’iniziativa, ritengo importante riprendere quanto il Codice deontologico degli Assistenti Sociali riporta in termini di responsabilità del professionista relativamente all’organizzazione lavorativa dove è chiamato ad operare e di mission del proprio agire professionale: “L´assistente sociale deve impegnare la propria competenza professionale per contribuire al miglioramento della politica e delle procedure dell´organizzazione di lavoro, all´efficacia, all´efficienza, all´economicità e alla qualità degli interventi e delle prestazioni professionali. Deve altresì contribuire all'individuazione di standards di qualità e alle azioni di pianificazione e programmazione, nonché al razionale ed equo utilizzo delle risorse a disposizione.” ( Titolo VI capito I comma 5). In questo passaggio del codice deontologico viene ben evidenziata in termini generali la mission dell’operatore che si modulerà successivamente in base al contesto lavorativo. Per meglio chiarire quello che è attualmente il quadro di riferimento all’interno del quale si vanno a connaturare i diversi servizi presenti sul territorio risulta esplicativo riportare quanto esplicitato all’interno della Legge n. 3/2008 di Regione Lombardia “Governo della rete degli interventi e dei servizi alla persona in ambito sociale e sociosanitario”, e più precisamente nell’art. 3 vengono definiti i Soggetti: “ Nel quadro dei principi della presente legge e in particolare secondo il principio di sussidiarietà, concorrono alla programmazione, progettazione e realizzazione della rete delle unità di offerta sociali e sociosanitarie, secondo gli indirizzi definiti dalla Regione: i comuni, singoli ed associati, le province, le comunità montane e gli altri enti territoriali, le aziende sanitarie locali (ASL), le aziende di servizi alla persona (ASP) e gli altri soggetti di diritto pubblico; le persone fisiche, le famiglie e i gruppi informali di reciproco aiuto e solidarietà; i soggetti del terzo settore, le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e gli altri soggetti di diritto privato che operano in ambito sociale e sociosanitario; gli enti riconosciuti delle confessioni religiose, con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, che operano in ambito sociale e sociosanitario.” Da quanto sopraesposto appare fin da subito chiaro quanto, oggi, risulti possibile da parte di organizzazioni pubbliche e private, più o meno strutturate, concorrere al panorama della rete d’offerta. Proprio all’interno di tale multidimensionalità esercitare richiede al singolo operatore sociale una maggiore capacità di comprensione di contesti nuovi e la necessità di adattarsi a situazioni e condizioni lavorative talvolta complesse. Tenendo in considerazione questi elementi e forse più facile comprendere ciò che viene evidenziato successivamente. Da una prima analisi delle scritture prodotte dai colleghi sul quesito “Quale significato ha essere professionista in qualità di dipendente di un Ente o Cooperativa e Società…” sembra emergere un profilo di campione di operatori impiegati all’interno di un Ente Locale o di una organizzazione lavorativa dalla struttura chiara e definita. Pertanto ci pare opportuno tracciare una relazione fra chi ha risposto al quesito e l’appartenenza organizzativa: coloro che sono inquadrati all’interno di un contesto strutturato può essere che si riconoscano maggiormente come professionisti? Oppure gli 14 assistenti sociali che si trovano in servizi di più recente fondazione si sentano meno legittimati a causa di limiti organizzativi? Vi è da sottolineare come, lo svolgere il proprio mandato professionale all’interno di un contesto istituzionale dai confini chiari e definiti, renda l’operatore stesso maggiormente consapevole del propri agire professionale e delle dinamiche di relazioni istituzionali da porre in essere sia all’interno del proprio Ente sia all’esterno. Tale modalità, se non opportunamente gestita, potrebbe però giungere a reindirizzare modificando, sulla base di caratteristiche generali ed intrinseche sia della struttura sia dei ruoli gerarchici, le caratteristiche peculiari della professionalità del singolo operatore. Vi è altresì, la necessità di evidenziare ciò che qualche assistente sociale ha precisato relativamente alla tutela di maggiori diritti sia del lavoratore sia del professionista (rapporti sindacali, tutela giuridica, formazione continua, ecc..), e forse è anche questo uno degli aspetti che amplificano il desiderio ad una partecipazione su tematiche relative all’essere professionista oggi. Cercando di analizzare questo dato relativamente alla partecipazione alle sollecitazioni unitamente a quanto riportato sul sito dell’ordine professionale della Lombardia in relazione alle fasce d’età degli iscritti (v. tabella sottostante. Fonte sito Croas Regione Lombardia anno 2011), è possibile riflettere sul fatto che il numero maggiore di iscritti è compreso nelle fasce d’età 30-39 e 40-49 e che pertanto costoro abbiano un impiego ormai stabile. DA (età) 20 30 40 50 60 70 80 TOTALE A (età) 29 39 49 59 69 79 89 SEZ. A 26 116 312 334 85 14 - SEZ. B 701 1298 877 744 206 43 4 TOTALE 727 1414 1189 1078 291 57 4 4760 Entrando maggiormente sul versante tecnico, dalle scritture emerge come funzione di grande importanza dell’essere professionista in contesti diversi, la possibilità, attraverso le proprie conoscenze dei fenomeni sociali, di poter fornire alla parte politica quelle informazioni importanti per ragionare congiuntamente nel programmare le politiche sociali future. Tale ruolo è posto in luce anche all’interno del Codice Deontologico degli Assistenti Sociali che all’art. 37 testualmente dichiara: “L’assistente sociale ha il dovere di porre all’attenzione delle istituzioni che ne hanno la responsabilità e della stessa opinione pubblica situazioni di deprivazione e gravi stati di disagio non sufficientemente tutelati”. E’ possibile ipotizzare che tale competenza dell’agire professionale venga ritenuta oggi ancor più rilevante proprio alla luce delle risorse sempre più limitate all’interno dei servizi e della complessità delle situazioni con le quali si lavora. Questa sensazione di precarietà e di continuo “movimento” rende necessario, da quanto emerso, creare spazi di riflessione al fine di approfondire la situazione esistente e di programmare la tipologia di intervento possibili in un sistema sempre più mutevole che giunge in taluni casi fino al rendere incerta la presenza dell’operatore stesso che si manifesta con un elevato turn over e/o con la contrazione del monte orario disponibile. All’interno di un panorama di questo tipo il rischio nel quale il professionista potrebbe imbattersi è quello di appiattirsi, perdendo di vigore nelle caratteristiche tipiche della professione, perché il tempo a disposizione è sempre meno, le richieste aumentano e la concentrazione è maggiormente orientata alla prestazione contingente in termini di erogazione di servizi. Proprio in quest’ottica 15 Letizia Chiodi 15 afferma “[…] Sovente viene infatti a crearsi una situazione per cui, piuttosto che ritenere che i servizi si caratterizzino qualitativamente grazie al contributo professionale degli assistenti sociali costituito da metodologie, strumenti e tecniche, l’identità professionale di questi viene ‘offuscata’ dal servizio stesso”. In tal senso il professionista oggi viene privato di: spazi di riflessione, di confronto con colleghi e supervisori; l’opportunità di crearsi un bagaglio esperienziale e pertanto una specializzazione; la possibilità di raggiungere degli obiettivi professionali anche attraverso il riconoscimento del proprio lavoro da parte dell’altro. Per concludere, ci sembra importante costruire spazi di pensiero condiviso che abbiano come finalità la riflessione su come poter gestire questo periodo storico molto complesso che si ripercuote anche sulle professioni di aiuto al fine di ritrovare, congiuntamente, una nuova spinta motivazionale all’operare sottolineando sempre più l’importanza delle caratteristiche della professione dell’assistente sociale. E’ opinione ormai condivisa che spesso gli assistenti sociali tendano a “cullarsi” in una critica sterile su ciò che l’amministratore e la politica, in termini generali, non pongono in essere, ponendo scarsa attenzione all’assunzione in primis della messa in opera di un’azione che i primi promotori della professione sono gli assistenti sociali stessi affrontando la fatica mettersi in luce e a valorizzarsi. 15 Letizia Chiodi, L’assistente sociale: professionista dell’aiuto o erogatore di servizi?, in Prospettive sociali e sanitarie, n. 3/2011 pp.gg 11-15 16 3.3 La terza sollecitazione: “A tuo parere ci sono, e se si quali, fattori che indeboliscono (impediscono, riducono, contrastano)/ rafforzano l’espressione della tua professionalità nel servizio e/o Ente per il quale lavori?”. A cura di Ludovica Danieli e Marina Francesca Poinelli La terza sollecitazione intendeva aprire un’autoriflessione intorno a ciò che ostacola e/o facilita l’esercizio della professionalità all’interno dell’organizzazione di appartenenza. Di seguito andremo a proporre alcune piste di lettura di quanto i testi hanno consegnato intorno ai due temi contenuti nella sollecitazione: il primo i fattori che indeboliscono la professione; il secondo i fattori che rinforzano la professione. I fattori che indeboliscono l’espressione della professionalità Per quanto riguarda la riflessione proposta, trentasette sono le scritture che dialogano con la sollecitazione. Esaminandole attraverso l’individuazione di salienze sono venute a configurarsi tre aree che calamitano le scritture/rappresentazioni su ciò che “indebolisce la professionalità”. 1. Problematiche connesse all’organizzazione 2. Rapporto tra tecnici ed amministratori 3. La scarsa conoscenza della figura professionale/professionalità dell’Assistente Sociale Le tre aree prendono voce attraverso l’individuazione di motivi che ruotano loro attorno. 17 Schema 1 – Problematiche connesse all’organizzazione La scelta da parte dell’Amministrazione di un responsabile non assistente sociale e non laureato, nonostante la presenza in servizio di tre assistenti sociali. Non poter delegare maggiormente funzioni più amministrative/burocratic he che fanno perdere tempo. Limitatezza delle risorse economiche, umane e strumentali. Frammentazione di progetti, proposte, soggetti e difficoltà di svolgere un ruolo di regia o di costruzione di senso condivisa. Non essere assunta direttamente dall'ente. La carenza di personale amministrativo. Problematiche connesse all’organizzazione Poca chiarezza da parte dei responsabili sulle linee progettuali da seguire per le situazioni con problemi economici e abitativi ( a chi e quali servizi erogare, per quanto tempo, quali criteri applicare per i contributi economici ecc… Trovarsi sempre più “sul fronte” a dover affrontare situazioni di gravi e crescenti fragilità, di ogni tipo, potendo però contare su sempre meno risorse disponibili. Dover negoziare continuamente tra la rigidità organizzativa (regole, funzioni, competenze, risorse) e i processi sociali dei quali si è interpreti e sui quali si interviene per prevenire o rimuovere gli stati di bisogno. La dimensione organizzativa incide pesantemente sui limiti e sulle opportunità di esercizio della propria professione. Molto tempo dedicato ad atti amministrativi (determine, rendicontazioni, conteggi, bilancio etc…) che spesso “minano” lo stato d’animo e l’attenzione dovuti all’accoglienza. L’eccessivo carico di lavoro non permette all’operatore di mettere in atto azioni ed interventi rispondenti ai reali bisogni rilevati perché sempre più si è chiamati a rispondere e “tamponare” le situazioni di urgenze/emergenza. 18 Schema 2 – Rapporto fra tecnici e amministratori Rapportarsi con il potere politico che spesso cambia e muta le scelte dei progetti nei servizi. Rapporto con le figure politiche, che spesso creano interferenze con le situazioni in carico per la non conoscenza del ruolo dell'assistente sociale. Dover, per ogni tipo di intervento, di progetto da attuare o in alcune situazioni per la gestione del caso stesso, attendere parere vincolante da assessori, funzionari o dirigenti in particolare se non appartenenti alla propria comunità professionale; solitudine professionale. Le linee d’intervento imposte da un’Amministrazio ne. Rapporto tra tecnici e amministratori Le scelte politiche conseguenti alla crisi economica. Il delicato rapporto tra tecnici e politici. (Tante volte il problema non è solo la carenza di risorse o la disponibilità a volerle utilizzare, bensì che il politico accetti di fidarsi del professionista, quindi “di non avere nessuna competenza in quel campo”, e percorra una strada indicata da un altro diverso da lui o dalla giunta). L'impossibilita' di contrattare e la scarsa incisività sulla Programmazione politica/sociale/economica che fatta al vertice della piramide (regione) a cascata si ripercuote nei servizi di base. Cosa ci dicono questi primi due schemi? Così come si incontrerà più avanti nel paragrafo dedicato ai motivi che rafforzano la professionalità, il rapporto con l’organizzazione/Ente, senza soluzione di continuità con lo schema 2), sembra essere percepito e costituire lo snodo e anche il nodo di maggiore importanza e complessità nella definizione del “Cosa ostacola, pregiudica, indebolisce l’espressione della professionalità”. Intorno alla tematica Rapporto fra assistente sociale e Organizzazione gli studi e le ricerche prodotte in ambito accademico e scientifico sono numerose. La messa a fuoco di un’analisi psico-sociologica delle organizzazioni è da sempre materia di studio nei percorsi formativi di base rivolti alla figura dell’assistente sociale. La Provincia di Brescia a partire dal 1990 edita la Collana Formazione e 19 servizi e pubblica i Quaderni che contengono le elaborazioni teorico-riflessive maturate in alcuni percorsi formativi. In questi quaderni sono affrontati temi che potremmo definire sostanziali e trasversali per la figura dell’Assistente sociale e non solo. Abbiamo dunque volutamente riaperto le pagine di due pubblicazioni della Collana Formazione Servizi della Provincia di Brescia16, consapevoli che si procede in strade nuove non facendo oblio di quanto è accaduto prima e dunque di una forma di saggezza del sapere attraversato negli anni per trasformarlo, talvolta confutarlo, altre ancora per apprendere da esso in termini di progettualità conoscitiva futura. La docente del corso formativo e curatrice del quaderno n.1/1990 e relatrice al Convegno (quaderno n. 3/1991), Dr.ssa Carla Bisleri, nell’analisi del percorso/processo di formazione che vedeva coinvolte Assistenti sociali di Comuni e USSL, mette in evidenza alcuni nuclei che ritornano e ritroviamo nelle scritture raccolte nell’anno 2011 dal Gruppo FC di Brescia. I motivi re-incontrati in questo lavoro formativo, svolto negli anni 1986 – 1990, risuonano oggi come stimolo a continuare la riflessione intorno a temi che chiedono di essere ancora indagati. Vediamone, fra i tanti che emergono nel Quaderno n. 1/1990, alcuni: La preoccupazione circa la continuità tra passato e futuro per quanto riguarda la storia della figura professionale, le evoluzioni, le percezioni, gli impegni legislativi. Le tensioni rivolte alla auto legittimazione si sono tradotte frequentemente in “modelli idealizzati” di professionalità. Piuttosto che da modelli, come costruire interrogativi sulla natura e caratteristiche del rapporto che gli assistenti sociali instaurano con le organizzazioni ( cosa è loro chiesto e cosa chiedono). La reciprocità tra persona e organizzazione intesa come l’influenza elevata dell’organizzazione nell’esercizio della professione e che, all’assistente sociale sono richieste competenze, abilità, impegni per ciò che attiene all’organizzazione di interventi, alla gestione di processi organizzativi. Un rischio sempre presente a cui far fronte è quello di separare, di scindere la lettura degli avvenimenti e dei fenomeni o a carico del soggetto o a carico della organizzazione. Il ruolo è il risultato di una interazione, non è né solo attributi personali né solo adesione ad una funzione organizzativa. È una traduzione. Utilizzare la formazione come luogo di riflessione e di apprendimento, di supervisione e di analisi per essere più “autori” del proprio lavoro. Ci sembrava interessante dare riscontro di questa continuità tematica nell’individuare i nodi e gli snodi sostanziali percepiti dagli assistenti sociali interconettendoli con le nuove scritture. Prendendo in esame le scritture dello schema 1) un primo motivo ostacolante, che pare emergere, è una sorta di polarizzazione fra due elementi: rigidità organizzativa VS processi sociali. L’influenza dell’organizzazione nell’esercizio della professione, nel nostro caso, dell’assistente sociale, è una dimensione importante, con una portata di questioni che influiscono e influenzano la poliedrica forma della professione. Le scritture ci segnalano una organizzazione che esprime una dimensione “forte” e che sembra produrre l’immagine e la percezione soggettiva di una divisione manichea: può agevolare oppure ostacolare il lavoro dell’operatore. È in tale condizione di liminalità che sembra muoversi l’assistente sociale nell’esercizio delle proprie competenze professionali. L’organizzazione con le sue regole di funzionamento sembra percepita come freno all’espressione della professionalità da un lato e dall’altro viene segnalata la fatica di quel ruolo di “mediazione”, fra assistente sociale – organizzazione – sistema cittadino/utente/cliente. L’assistente sociale si pone “tra”. Spesso una posizione di soglia che può destabilizzare e dunque polarizzare la visione del processo nel quale la stessa assistente sociale è inserita. Dal quaderno n. 3/1991 leggiamo 16 Provincia di Brescia, Assessorato Servizi sociali, Formazione e servizi - Quaderno n. 1, La Professionalità dell’assistente sociale nella organizzazione dei servizi socio-sanitari, a cura di Carla Bisleri, Brescia, 1990; Provincia di Brescia, Assessorato servizi sociali, Formazione e servizi – Quaderno n. 3, Atti dell’incontro di studio realizzato a Brescia, La Professionalità dell’assistente sociale nella organizzazione dei servizi, a cura di Nicola Negretti, Brescia, 1991. 20 […]Il lavoro nell’organizzazione e per l’organizzazione […] spesso per l’assistente sociale in particolare è “fare concretamente” ciò che gli altri chiedono ( l’utente, l’amministratore, il collega, il preside della scuola, etc.) disperdendo in queste frammentazioni di cose da fare e da tenere insieme anche la propria soggettività, i propri “confini”, e talvolta la propria identità professionale […]. In questa dimensione del lavoro si situano processi decisivi sia per l’efficacia degli interventi alle persone, sia per lo sviluppo della propria immagine ( ed altrui) che per l’esercizio di competenze professionali. Altri due elementi vengono segnalati come ostacolanti, in questa prima area riferita alle problematiche connesse all’organizzazione: le funzioni amministrative e le risorse economiche carenti: “molto tempo dedicato ad atti amministrativi (determine, rendicontazioni, conteggi, bilancio etc…) che spesso “minano” lo stato d’animo e l’attenzione dovuti all’accoglienza”. Il tempo dedicato alla “presa in carico” degli atti amministrativi viene percepito come “destabilizzante” nel rapporto con la persona-utente del servizio. Ancora una volta sembra disegnarsi una logica separativa che toglie risorse ed energie. In questa contrapposizione segnalata dalle scritture sembra così delinearsi un primo dato di sofferenza nell’espressione della propria professionalità. Sembra incastrata fra due confini. Quale può essere il gioco per non rimanerne schiacciati? Un altro raggruppamento che segnaliamo essere presente in questa area che stiamo analizzando è riconducibile a quanto viene codificato come “essere sul fronte”. E questa posizione sembra rivestirsi di alcune espressioni: “affrontare situazioni di gravi e crescenti fragilità”; “ l’eccessivo carico di lavoro non permette di agire interventi rispondenti ai bisogni”; “ tamponare le situazioni”; “ poche risorse disponibili”. Dichiarazioni che sembrano mettere in luce da un lato il confrontarsi in prima linea con gli effetti di un sistema sociale, economico e culturale che sta producendo soggettività “fragili” nelle diverse età della vita e in diverse dimensioni esistenziali. Una fragilità diffusa che investe la figura dell’Assistente sociale che all’interno di una organizzazione spesso è chiamata a “dare risposta” e in questo momento storico con una sempre più elevata sottrazione di risorse economiche. Come, in questo stato di rincorsa e povertà, rendere la propria professionalità risorsa per sé, per il cittadino e per l’organizzazione? In continuità con lo schema 1) il successivo (2) racconta di un altro elemento costitutivo della figura dell’assistente sociale nell’esercizio della sua professionalità: il rapporto con il politico/amministratore. Quale e che tipo di scambio si costruisce fra tecnici e politici? In primo luogo pare emergere la fatica di questa relazione. Fatica che si contestualizza anche all’interno di una crisi del sistema politico attuale nelle sue diverse variabili riferite ad una strategia complessiva che sembra riportare a indirizzi culturali di antica data ( monetarizzazione, contributi, logiche assistenziali, etc.) e riferibili a indirizzi distanti da programmi politici che investono nella creazione di una cultura di servizi sociali emancipativi delle persone e della comunità. Questioni queste che si intrecciano con la crisi economica che investe le politiche sociali, o diventa, in taluni casi, un alibi per governare le scelte progettuali in ambito sociale. Nuovamente ritorna l’immagine di un operatore che si colloca “Tra” il bisogno del cittadino e le politiche nazionali e locali che permeano anche l’agire professionale. Ci sembra importante riportare, in linea con questi motivi segnalati nelle scritture degli assistenti sociali, alcuni passaggi del documento scritto e diffuso dall’Ordine degli assistenti sociali della Regione Lombardia in data 21 ottobre 2011 avente come contenuto Azioni di sostegno per fronteggiare la situazione politica nazionale intraprese dal CROAS della Lombardia e scritto in relazione alla costruzione di un tavolo di riflessione allargato a diversi soggetti sul disegno di Legge Delega per la riforma Fiscale e assistenziale (n. 4566) approvato dal Consiglio dei ministri il 30 giugno 2011. Leggiamo nel documento: 21 “Meno erogazioni monetarie e più servizi! […]Costruire un’economia sociale nel rispetto dei principi, di standard, avendo chiaro che quando si parla di servizi alla persona non si è dentro ad una logica di mercato; ruolo del pubblico come programmatore di tavoli integrati; ponte/garante dell’accesso ai servizi; presidio dei bisogni locali; […] Prevedere forme di contrasto alla povertà attraverso un sistema basato su criteri universalistici; una valutazione della necessità economica; il superamento della logica ripartivo/assistenziale; la definizione di obiettivi da perseguire e verificare nel tempo; interventi mirati alla progressiva emancipazione/autonomizzazione della persona” In questo frammento, prelevato dal documento sopracitato, e parallelamente nelle scritture raccolte, vengono messi in luce quei temi importanti nella gestione complessiva di una politica sociale che se sganciati da un dialogo fra livello politico e livello del sapere tecnico provocano scissioni che costruiscono vicoli ciechi nell’operare dell’uno e dell’altro livello. Le assistenti sociali segnalano inoltre la percezione di una aumentata assenza di fiducia da parte del politico nei confronti del professionista. Un ulteriore aspetto di una divaricazione che si allontana peraltro anche dalle diverse norme legislative inerenti il rapporto fra politici e tecnici nella gestione degli adempimenti di un Ente e che tocca il disconoscimento della professione in capo all’Assistente sociale. Questa separazione dei saperi sembra riversarsi ulteriormente nella possibilità di agire quelle parti inerenti l’esercizio professionale riguardanti gli aspetti di programmazione e progettazione, nonché di valutazione propri della figura dell’Assistente sociale: “la scarsa incisività sulla programmazione politica/sociale/economica è fatta al vertice della piramide ( Regione) e a cascata ricade nei servizi di base”. Una condizione che sembra costruire un terreno operativo più di esecuzione che di partecipazione condivisa nella diversificazione delle competenze. Un quadro che ci rassegna una immagine di fatica, sofferenza ma anche di capacità di cogliere, da parte degli assistenti sociali, e potenzialmente di elaborare tramite luoghi e spazi di pensiero, le questioni che possono indebolire la professione. Come vedremo nel paragrafo dedicato a quanto garantisce l’espressione, il rinforzo della professionalità, la formazione viene evidenziata come elemento necessario. La domanda che ci si pone: quale formazione, in questo momento storico culturale, può essere opportuna per far fronte alle questioni sollevate in precedenza? Quanto potrebbe risultare importante offrire un tempo formativo intorno al pensiero riflessivo sui processi di lavoro oltre che sui contenuti del proprio lavoro? Proseguendo nell’analisi delle scritture nel successivo schema 3) abbiamo riassunto le riflessioni che si addensano attorno al tema della scarsa conoscenza della professionalità dell’assistente sociale. Quale conoscenza diffusa sul piano culturale, sociale, nel contesto locale e nazionale, della figura professionale dell’Assistente sociale? E come è cambiato, se si è modificato, nel tempo, in relazione anche ad una aumentato peso culturale dopo il riconoscimento del corso di base a livello Universitario, questo sguardo dell’esterno? E’ una figura che deve fare ancora i conti con pregiudizi socio-culturali all’interno dei quali si vengono a costruire adesioni/idealizzazioni/sottovalutazione diffuse ma anche di percezione soggettiva a carico dello stesso professionista? E quanto influisce dunque sull’espressione della Professione? Dalle scritture riappaiono i conosciuti e “storici” pregiudizi ancora presenti nell’immaginario collettivo: un volto “buono”: si fa questo lavoro per spirito di missionarietà, è necessario avere buon senso; e un volto cattivo: l’operatore che porta via i bambini, il legame con il potere che controlla. In questi sguardi transita, attraverso il linguaggio, il motivo di svalutazione della figura professionale che incide nel non riconoscimento della complessità del ruolo da parte del sistema sociale: cittadini, politici, reti sociali e culturali. Il pregiudizio nasce dalla non conoscenza della prismaticità dell’altro da sé, delle sue molteplici caratteristiche che non si riducono mai ad una sola definizione. Pertanto il motivo del “far conoscere per conoscere” la figura professionale dell’assistente sociale ci sembra un interrogativo ancora aperto e che attende ulteriori risposte da affiancare a quante già ne sono state offerte. Il tema è anche come ci si fa conoscere; quali possibilità, strumenti e occasioni si 22 costruiscono. Ma anche quale collusione, talvolta, anche la stessa assistente sociale mette in atto con tale immaginario che la vede “impossibilitata a dire NO, e ad occuparsi di tutto”. Sollecitazioni importanti che possono smuovere il terreno indurito dalla attribuzione o dall’assunzione di “maschere professionali” che poco alla volta mostrano la distanza dall’esercizio di una professione che abita il dialogo con la complessità e che non può non farsene carico. Schema 3 - La scarsa conoscenza della professionalità dell’assistente sociale Logica diffusa delegante che attribuisce al servizio sociale la soluzione dei problemi come se le persone e la comunità non fossero parte in causa. Una scarsa considerazione del ruolo dell'assistente sociale spesso non solo dai cittadini per i loro pregiudizi, cosa più comprensibile, (a.s. = quella che porta via i bambini; as. viene a lavare il nonno ecc.) ma sempre più frequente da parte delle altre istituzioni che si permettono di individuare interventi propri della ns. professione (es. scuola che segnala situazioni e propone già come intervenire -adm ecc.- o contesta approfondimenti ed analisi della situazione come perdite di tempo chiedendo a domanda-risposta immediata; avvocati che richiedono presenza as. agli sfratti come se fossimo un organo di polizia...). L’opinione, ancora molto diffusa, che per fare l’assistente sociale, sia sufficiente il buon senso ed il buon animo. La scarsa conoscenza della Professionalità dell’assistente sociale Il pensiero spesso condiviso che la nostra non sia una professione ma una missione e per questo non possiamo mai dire di no, non possiamo mai delegare e quindi veniamo definite le “TUTTOLOGHE dell'aiuto”, come se fare l'assistente sociale fosse sinonimo di volontariato. Lo scarso riconoscimento economico. La difficoltà "a farti riconoscere" in quanto professionista all'interno della tua équipe di lavoro- il tema dell'integrazione professionale. La svalutazione della propria specificità di costruire relazioni d’aiuto rende deboli e poco potenti. Scarsa conoscenza (e spesso anche considerazione) del ruolo dell’a.s. da parte di altre professionalità e istituzioni. Delegare al professionista mansioni altre rispetto a quelle che sarebbe chiamato a svolgere per definizione. 23 Quanto Rafforza la professionalità Per questo secondo tema contenuto nella sollecitazione abbiamo circoscritto otto aree che aggregano le scritture/rappresentazioni di quanto “rafforza la professionalità”. Aree Motivi legati all’Ente/Organizzazione Scritture/rappresentazioni Riconoscimento del lavoro Presenza in un servizio di più assistenti sociali Coinvolgimento as nella programmazione delle modalità di intervento – impostazione servizio – realizzazione di un progetto Autonomia nell’agire il ruolo Una cornice organizzativa chiara Presenza di risorse economiche Riconoscimento formale da parte dell’Ente del gruppo professionale Lavoro presso un ente locale referente titolare del caso Collaborazione con il proprio Ente di appartenenza Presenza di un responsabile partecipativo e che condivide Sostegno dei superiori Carico di lavoro proporzionato al tempo a disposizione Condivisione delle scelte con l’ente Lavoro in equipe/di rete con professionisti Lavoro in equipe Lavoro di rete fra professionisti Lavoro con un collega Lavoro con gruppo di lavoro Collaborazione con altri professionisti Partecipare a realtà esterne all’ente di appartenenza Integrazione socio sanitaria Attività di raccordo con altri enti Confronto/capacità di Confronto Confronto con i colleghi Capacità di confronto Spazi di pensiero con un collega Condividere conoscenza e sapere Interagire con altri professionisti Interagire con la propria comunità professionale Acquisire competenze diversificate: amministrative e di coordinamento ma anche contatto diretto con l’utenza Centratura sulla competenza relazionale Incontri con il territorio Sinergie con il terzo settore Accoglienza e ricevimento del pubblico Assunzione di responsabilità organizzative e di coordinamento Partecipazione a tavoli integrati Capacità di proporre progetti/soluzioni/alternative Capacità di programmare e valutare Formazione continua Formazione continua Soggettività Autonomia di scelta e di pensiero Chiedersi che tipo di professionisti vorremmo essere Percorso su se stessi Modalità di lavoro 24 Supervisione Fermarsi a pensare servizi, modalità operative Spazi di autonomia Flessibilità Far conoscere la professione Essere riconosciuto come soggetto dotato di strumenti professionali consoni al fine di esplorare il possibile e Progettare con consapevolezza Supervisione Il contesto dell’Ufficio di piano Partecipare al lavoro dell’ufficio di piano Fra le otto aree la più rappresentata risulta essere “Motivi legati all’Ente/Organizzazione”. La relazione con l’Ente/organizzazione è interpretata attraverso elementi diversificati quali la presenza di una cornice organizzativa chiara dove andiamo a supporre una definizione di ruoli e competenze nei quali i professionisti possono riconoscersi, essere riconosciuti, dentro ad una trama organizzativa di senso, di progettualità e messa in azione che, nel momento in cui funziona, risponde a quanto viene indicato come riconoscimento del lavoro. Una trama organizzativa che sa muoversi intorno ad assetti che riconoscono i saperi e che procedono attraverso una progettualità che muove dall’esistente per comprendere il percorso da sviluppare in un preciso contesto e dunque sembrano così evidenziarsi altri motivi segnalati: il Coinvolgimento dell’assistente sociale nella programmazione delle modalità di intervento – impostazione servizio – realizzazione di un progetto; la collaborazione e condivisione con il proprio Ente, la presenza di un responsabile partecipativo e che condivide, il sostegno dei superiori, presenza di risorse economiche. Aspetti che richiamano quell’intreccio complesso fra professionalità dell’Assistente sociale e funzione specifica dell’Ente/organizzazione nel/nella quale essa opera attraverso specifiche competenze e pratiche di lavoro. Ed ancora sembrano riconoscere come elementi che rinforzano la capacità da parte dell’Ente/Organizzazione le proprie risorse professionali (Riconoscimento del lavoro), di sviluppare fiducia nella parte tecnica, di consolidare il rispetto dell’ Autonomia nell’agire il ruolo da parte dell’assistente sociale. Questi motivi che raccontano l’Area della relazione con l’ente/organizzazione sembrano polarizzarsi, a loro volta, attorno a tre configurazioni interessanti: - - - quale “ordine” organizzativo/progettuale si da l’ente ( cornice organizzativa; presenza di un responsabile partecipativo e che condivide; carico di lavoro adeguato al tempo-lavoro; risorse economiche) quale “sapere relazionale” viene giocato dall’ente/organizzazione ( riconoscimento del lavoro; coinvolgimento assistente sociale nella programmazione- realizzazione di un progetto ma anche rispetto dell’autonomia professionale; riconoscimento di un gruppo professionale) quale condivisione “orizzontale”, con altri operatori, è sperimentata ( presenza di più assistenti sociali in un ente/organizzazione e/o di un gruppo professionale riconosciuto formalmente) Chi segnala la Relazione con l’ente come indicatore del rafforzamento della professionalità sembra dirci di un Ente/Organizzazione dinamica, attenta ad un procedere progettuale e che si prende cura anche dell’espressione dell’ambito relazionale come ingrediente fondativo dell’efficienza ed efficacia di un servizio che produce “oggetti immateriali”.17 17 Franca Olivetti Manoukian, Produrre servizi. Lavorare con oggetti immateriali, Il Mulino, Bologna 1998 25 Allora si apre la domanda: in tale paesaggio articolato e complesso quali sono i protagonisti di questa relazione e con che modalità viene costruita, curata, modificata la relazione fra essi? Quale investimento intellettivo, progettuale, operativo richiede all’assistente sociale e all’Organizzazione ? La seconda area posta in evidenza Il Lavoro in equipe/lavoro di rete con professionisti. In un suo scritto, Franca Olivetti Manoukian pone una questione interessante: “C’è molto più attaccamento alle dimensioni professionali che investimento nelle dimensioni organizzative”18. Perché la citiamo? Perché mettere in evidenza, da parte degli assistenti sociali, la dimensione del lavoro condiviso o della co-costruzione di orizzonti progettuali e operativi, sia in termini di gruppo professionale che nell’integrazione fra professionalità diverse ( educative, sanitarie, amministrative, scolastiche, volontariato,…), sembra mostrare una intenzionalità professionale non arroccata nella difesa aprioristica dei propri confini ma disposta, per ragioni di promozione di beni rivolti ai cittadini dunque di investimento nelle dimensioni organizzative, a muoversi secondo una logica di integrazione e di confronto. In queste scritture troviamo come rafforzamento della professionalità la risorsa che rappresenta un gruppo di lavoro specifico dell’unità d’offerta che si accompagna all’opportunità di lavoro in coppia – con un, una collega -; la collaborazione con altri professionisti. Una dimensione di relazionalità che va costruita e cercata all’interno e che “fa bene” alla professionalità, ma anche al di fuori delle mura del servizio: nel territorio nell’integrazione con altre realtà organizzative. Sembra evidenziarsi un elemento chiave dell’assistente sociale: l’importanza della rete, del lavoro comunitario a più livelli. Sembrano dirci queste scritture: l’efficacia di un intervento o di un servizio si misura dalla capacità di “lavorare con”. Questa imprenditorialità relazionale è ulteriormente sostenuta dalla terza area che abbiamo chiamato confronto e capacità di confronto. Stare in una relazione comporta diverse capacità: ascolto, riflessione, una pratica dell’epochè fenomenologica, autoriflessione, interrogazione, mediazione, decisone. La capacità di confronto va educata, cresciuta, sostenuta. Una virtuosità che sembra alimentare non solo il processo operativo ma ancor prima il Conoscere, come categoria che interviene nella crescita e sviluppo della Professionalità in tutti i suoi diversi accenti. Il tema del rafforzamento della professionalità sembra infine essere strettamente correlato a quanto viene evidenziato nelle ultime due aree: Modalità di lavoro e Formazione continua e supervisione. Se la formazione viene più volte individuata come luogo di emancipazione professionale, pensiamo anche come luogo di pensiero e di revisione del proprio essere assistente sociale professionista dentro a contesti organizzativi diversificati così le modalità di lavoro, strettamente connesse ci pare di poter dire alla possibilità di formarsi, risultano mattoni indispensabili nel rafforzamento dell’esercizio della professione. Le dimensioni che incontriamo in questa area sembrano circuambulare intorno alla specificità operativa dell’assistente sociale: il lavoro con il singolo, il lavoro con i gruppi, il lavoro con una comunità più vasta e al loro interno la capacità di pensare nei termini di progettazione, programmazione, coordinamento. Così come è riconosciuta l’importanza della supervisione. I luoghi che producono pensiero riflessivo, di osservazione, analisi del proprio ruolo, competenze, agire professionale, vengono qui evocati come opportunità per comprendere, ospitare, indagare, interrogare quel dato complesso e pluriforme che connota la professione dell’Assistente sociale. In allegato 4) riportiamo, per esteso, le scritture pervenute. Nel primo schema le scritture sono distribuite in ordine alle due categorie: Ciò che rafforza ciò che indebolisce; nel secondo sono rappresentate le parole chiave maggiormente ricorrenti nelle scritture. 18 Franca Olivetti Manoukian, Modelli organizzativi dei servizi di salute mentale, relazione al terzo seminario, 28 marzo 2007 – www.psychiatryonline.it 26 4. APPUNTI CONCLUSIVI. A cura di Ludovica Danieli e Simonetta Filippini Le tre sollecitazioni ci hanno restituito “il pensiero” del 7,71 % degli assistenti sociali iscritte all’albo in provincia di Brescia. Nonostante l’esigua percentuale, l’indagine qualitativa svolta attraverso la scrittura, ci aiuta a delineare un quadro di tematiche che trovano rispecchiamento in indagini più generali condotte a livello nazionale, in tempi recenti, nonché alle riflessioni prodotte da studiosi nell’ambito dell’organizzazione dei servizi e delle politiche di Welfare. La ricerca di recente pubblicazione a cura di Carla Facchini19 mette in evidenza, infatti, alcune tematiche che emergono anche nelle nostre scritture. Fra le diverse corrispondenze riscontrate, due paiono particolarmente interessanti. La prima riguarda l’immagine del lavoro: un mestiere molto piegato sul versante “del fare”, dell’avere le mani in pasta per carichi di lavoro ingenti e intensi a scapito di tempo e spazio per la riflessione intellettuale. Anche nelle nostre scritture questo dato emerge in molti frammenti ma viene più volte nominata l’importanza della formazione continua, dello scambio fra colleghe come luoghi di ricerca e riflessione per cercare un “nutrimento” intellettuale che possa avere ricadute sull’operatività e sulla costruzione della propria professionalità. Rilanciamo a tal proposito una delle domande che si sono aperte in queste pagine: Quale formazione, in questo momento storico culturale, può essere opportuna per far fronte alle questioni sollevate in precedenza? Quale investimento intellettivo, progettuale, operativo è richiesto all’assistente sociale e all’organizzazione ? Quanto potrebbe risultare importante offrire un tempo formativo intorno al pensiero riflessivo sui processi di lavoro oltre che sui contenuti del proprio lavoro? La seconda pone in risalto una risposta nel complesso positiva circa il cammino di professionalizzazione intrapreso in riferimento ad un elemento caratterizzante l’assistente sociale: il riconoscimento della centralità e della trasversalità del proprio lavoro nel contesto dei servizi socio assistenziali e sanitari. Una professione snodo che potenzialmente è chiamata a tessere trame operative sia in ordine ai presupposti formativi di base, al codice deontologico, alle pratiche operative sempre più orientate all’integrazione e condivisione per l’assunzione delle problematiche sociali. Un elemento questo più volte sottolineato nelle scritture da noi raccolte in riferimento alla prismaticità operativa e relazionale incontrata nel quotidiano. È in relazione a questo tema ultimo che nel corso delle pagine qui presentate abbiamo aperto alcune domande sentite come particolarmente evocative: Rigidità organizzativa VS processi sociali. In questa contrapposizione segnalata dalle scritture sembra delinearsi un primo dato di sofferenza nell’espressione della propria professionalità. Sembra incastrata fra due confini. Quale può essere il gioco per non rimanerne schiacciati? Come, in questo stato di rincorsa e povertà, rendere la propria professionalità risorsa per sé, per il cittadino,per la comunità e per l’organizzazione? Quale formazione, in questo momento storico culturale, può essere opportuna per far fronte alle questioni sollevate in precedenza? Quale investimento intellettivo, progettuale, operativo è richiesto all’assistente sociale e all’organizzazione ? Quanto potrebbe risultare importante offrire un tempo formativo intorno al pensiero riflessivo sui processi di lavoro oltre che sui contenuti del proprio lavoro? In tale paesaggio articolato e complesso quali sono i protagonisti di questa relazione e con che modalità viene costruita, curata, modificata la relazione fra essi? 19 Carla Facchini, Tra impegno e professione, gli assistenti sociali come soggetti del welfare. Il Mulino, Bologna, 2010 27 Condividiamo con Robertson20 la definizione di professionalità intesa come “una attività prestigiosa dal punto di vista sociale che controlla il proprio training, il reclutamento e la pratica, che applica delle conoscenze specializzate, sotto la guida di un codice etico, ai problemi individuali e sociali”. Ipotizziamo, quindi, che nonostante l’evoluzione ed i riconoscimenti ottenuti dalla professione, dalla sua introduzione in Italia ad oggi, grazie al significativo impegno di molti assistenti sociali, diverse siano le strade ancora da percorrere per rafforzare la professionalità e, contestualmente ottenere un significativo riconoscimento sociale. Oltre alle diverse attività avviate in questi ultimi dall’Ordine professionale (proposta di una legge di riforma della professione, riconoscimento di una disciplina autonoma in ambito universitario, rafforzamento della presenza in diversi tavoli di concertazione su tematiche trasversali ecc.), indichiamo di seguito quelle che, secondo il gruppo di lavoro, potrebbero rappresentare interessanti aree di lavoro a partire da una diversa assunzione di responsabilità di ciascun assistente sociale nei confronti della professione: 1. Esplorare a fondo i significati e le norme contenute nel codice deontologico. L’adozione da parte del Consiglio Nazionale dell’Ordine professionale degli assistenti sociali nel 1998 del primo codice deontologico dell’assistente sociale (successivamente modificato due volte), ha comportato, dal punto di vista simbolico, l’acquisizione dell’ultimo requisito mancante alla professione per potersi definire tale21. Tuttavia, a distanza di quattordici anni, “…Il codice deontologico…è poco conosciuto dalla comunità professionale nei suoi contenuti specifici e in riferimento alle responsabilità che gravano su ognuno, quale garanzia dovuta al cittadino utente in rapporto al mandato professionale e pubblicistico (istituzionale)”22. Alcune delle riflessioni esplicitate dai colleghi nelle scritture, rafforzerebbero questa enunciazione. Vero è che, se da un lato, assumere a fondamento dell’azione professionale la deontologia sia dovere per ciascun professionista, l’introduzione in tempi recenti del codice deontologico dell’assistente sociale, non ha ancora consentito alla professione di acquisire ed esercitare appieno in completa sintonia con le norme in esso contenute. Conoscere approfonditamente le responsabilità professionali, verso gli utenti, la società, le altre professioni, l’organizzazione e la professione stessa, potrebbe, infatti contribuire in modo significativo a rafforzare la professione, supportando scelte spesso conflittuali su ciò che si può o non si può fare e contribuendo a dipanare i dubbi sulle azioni professionali da attivare nei diversi contesti di lavoro. 2. Esercitare la professione in qualità di dipendenti. L’analisi delle scritture ha fatto emergere lo stretto legame tra esercizio della professione ed organizzazione di appartenenza indicando in modo puntuale sia gli elementi di vincolo che di risorsa insiti in tale legame. Si è evidenziato, inoltre come la maggior parte degli assistenti sociali, ancora oggi, eserciti la professione in regime di lavoro subordinato: ma cosa implica essere contestualmente professionisti e dipendenti? Il tema è ad oggi poco esplorato. Far emergere le specificità di questo binomio e individuare le variabili che lo caratterizzano, potrebbe invece far emergere gli elementi dai quali rilanciare e rafforzare la professionalità. Inoltre, questo approfondimento potrebbe contribuire a contenere i rischi di appiattimento sulla gestione delle funzioni burocratiche amministrative, 20 “Professionalizzazione e compiti del servizio sociale” in Bianchi e Folgheraiter (a cura di): L’ assistente sociale nella nuova realtà dei servizi – ed. F. Angeli, Milano, 1993. 21 Gli studi del sociologo delle professioni , Greenwood, identificano, infatti, cinque attributi per poter definire tale una professione: Corpo sistematico di conoscenze teoriche condivise dalla comunità professionale, Autorità professionale fondata sulle conoscenze disciplinari, rispetto ai profani e alla soggettività del cliente/committente, Sanzione della comunità, Riconoscimento dell’utilità sociale dell’azione professionale (autonomia, poteri, privilegi), Codice regolativo dell’etica, Cultura professionale ( valori, norme, simboli). GREENWOOD E., Attributes of a profession, in « Social work», 1957, n. 3, parziale trad. it. In Prandstraller G.P., Sociologia delle professioni, Città Nuova, Roma, 1988. 22 “Riflessioni sul servizio sociale di oggi”, a cura del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali, 2010, documento pubblicato sul sito www.cnoas.it 28 tipiche del dipendente, consentendo, invece di dare valore a tutte le attività più squisitamente professionali, come la gestione della relazione d’aiuto, il lavoro di comunità e la ricerca sociale specifiche della nostra professione. 3. Prendersi cura dell’immagine e delle idee sulla professione. Molte scritture hanno messo in evidenza come l’immagine dell’assistente sociale sia associata a vecchi pregiudizi e stereotipi, dai quali gli assistenti sociali hanno da tempo preso le distanze. Tuttavia, nel gruppo di lavoro ed in alcune scritture emerge quanto le comunicazioni che riguardano la professione siano spesso confuse e poco rispondenti sia rispetto a chi è l’assistente sociale, sia a come lavora ed a ciò che realisticamente può fare. “L’idea che gli altri hanno di noi”, per molti anni non è stato un problema all’attenzione degli stessi assistenti sociali23 e le azioni attivate dalla professione per farsi conoscere non si sono rivelate, evidentemente, sufficienti. Per la professione diventa oggi, quindi, indispensabile prendersi cura della comunicazione sulla professione, riflettendo ed individuando strategie comunicative a più livelli: dal singolo professionista al gruppo di lavoro di un ente o territoriale, dagli ordini regionali al nazionale, per contribuire a fare chiarezza ed a costruire un’immagine realistica. Condividere il linguaggio e le strategie di rappresentazione della professione risponde ad un preciso dovere professionale, indicato nel codice deontologico agli artt. 44, “…l’assistente sociale deve chiedere il rispetto del suo profilo e della sua autonomia professionale…” e 53 “L’assistente sociale deve adoperarsi nei diversi livelli e nelle diverse forme dell’esercizio professionale per far conoscere e sostenere i valori e i contenuti scientifici e metodologici della professione, nonché i suoi riferimenti etici e deontologici.”. Inoltre, potrebbe contribuire a contenere i rischi di svalutazione da parte di tutti soggetti che a titolo diverso si rapportano, direttamente o indirettamente, con l’assistente sociale (amministratori, cittadini, altri professionisti ecc.) ed i relativi meccanismi di autosvalutazione che si innescano. 4. Valorizzare l’apporto delle esperienze professionali operative. Dal primo testo di servizio sociale pubblicato in Italia nel 198724, non v’è dubbio che la pubblicistica di settore sia aumentata in modo significativo; tuttavia, ancora oggi, sono molto limitati i contributi specifici che i professionisti forniscono alla letteratura di settore. Assumere la decisione di mettere per iscritto le proprie esperienze professionali è, prima di tutto scelta individuale, che innegabilmente potrebbe contribuire a rafforzare la professione. Scrivere di servizio sociale e per il servizio sociale, oltre a rafforzare la circolarità teoria – prassi – teoria che tanto caratterizza la nostra professione, potrebbe, infatti contribuire a dare valore agli esiti del lavoro professionale, dando conto delle numerose esperienze di successo alle quali la professione partecipa. Valorizzare la scrittura, come modalità comunicativa, potrebbe inoltre far assumere o, far emergere, un atteggiamento di ricerca utile a rafforzare la professionalità a partire dalla riflessione sulla propria operatività. A conclusione di questo primo lavoro pare interessante assumere, in sintonia con Morin25, un’affermazione che rappresenta per noi un impegno e contestualmente una buona strategia per rafforzare la nostra professionalità: “Bisogna apprendere a navigare in un oceano d’incertezze attraverso arcipelaghi di certezza”. Non v’è dubbio sulle incertezze nelle quali la professione è costretta a navigare in questi ultimi anni: dalla mancanza di chiare indicazioni sulle scelte di politica sociale e del welfare, all’assenza del decreto sui livelli essenziali delle prestazioni sociali, dai tagli alle spese sociali alle numerose differenze regionali scaturite dalle riorganizzazioni in applicazione delle modifiche dell’art. 17 della 23 Ad eccezione del lavoro realizzato da Elena Allegri , Le rappresentazioni dell’assistente sociale, Carocci Faber, Roma, 2006, non sono, infatti rintracciabili in letteratura approfondimenti sul tema. 24 Dal Pra Ponticelli M., Lineamenti di servizio sociale, Astrolabio, Roma, 1987. 25 Op. Cit. 29 Costituzione, dalla necessità di ridefinire il proprio agire professionale in relazione ai diversi modelli gestionali dei servizi sociali adottati negli ultimi anni, alla incertezza intrinseca che la costruzione di relazioni d’aiuto porta con sé. Questo lavoro, ci ha consentito di avviare una prima riflessione comune e condivisa sugli “arcipelaghi” di certezza della professione, che, come abbiamo ampiamente argomentato necessitano di maggiori e continue esplorazioni, per le quali il contributo di tutti è veramente importante e potrebbe rivelarsi decisivo, da un lato, per l’affermazione ed il riconoscimento di una professionalità compiuta e, dall’altro per accrescere il senso di appartenenza alla comunità professionale; “arcipelaghi” che sono rappresentati dalla conoscenza e consapevolezza che la nostra è una professione normata e ordinata, fondata su un Codice deontologico (Valori, principi operativi, responsabilità) e su un complesso ed articolato sapere professionale (teorie, metodologia, strumenti). Si ringraziano le colleghe che con senso di condivisione hanno risposto alle sollecitazioni inviando le loro scritture che hanno generato questo contributo. Negli allegati, sono riportati i contenuti delle scritture pervenute, riferite ai singoli quesiti. 30 Bibliografia Allegri E., Le rappresentazioni dell’assistente sociale, Carocci Faber, Roma, 2006. Bisleri C., a cura di, La Professionalità dell’assistente sociale nella organizzazione dei servizi socio-sanitari, Provincia di Brescia, Assessorato Servizi sociali, Formazione e servizi - Quaderno n. 1, Brescia, 1990. Casartelli A., Merlini F., Assistente sociale. Uno sguardo sulla professione in cambiamento, in I Quid n. 4, 2009 Prospettive sociali e sanitarie, Milano p. VII. Chiodi L., L’assistente sociale: professionista dell’aiuto o erogatore di servizi?, Prospettive sociali e sanitarie, n. 3/2011 pp. 11 – 15. Dal Pra Ponticelli M., Lineamenti di servizio sociale, Astrolabio, Roma, 1987. Facchini C., Tra impegno e professione, gli assistenti sociali come soggetti del welfare. Il Mulino, Bologna, 2010 Ghisalberti R., Poli D., Le prospettive di una professione, in Prospettive sociali e sanitarie, n. 17 – 2001, p.2. Morin E., I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2001. Negretti N., a cura di, Atti dell’incontro di studio realizzato a Brescia, La Professionalità dell’assistente sociale nella organizzazione dei servizi, Provincia di Brescia, Assessorato servizi sociali, Formazione e servizi – Quaderno n. 3, Brescia, 1991. Olivetti Manoukian F., Produrre servizi. Lavorare con oggetti immateriali, Il Mulino, Bologna 1998. Olivetti Manoukian F., Il codice dell’azione sociale. Orientamenti per il lavoro sociale oggi, Animazione sociale, ottobre 2004, p. 53. Prandstraller G.P., Sociologia delle professioni, Città Nuova, Roma, 1988. Robertson A., “Professionalizzazione e compiti del servizio sociale”, in Bianchi e Folgheraiter, a cura di, L’ assistente sociale nella nuova realtà dei servizi, Edizioni Franco Angeli, Milano, 1993. Codice Deontologico dell’Assistente Sociale approvato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine nella seduta del 17 giugno 2009. 31 Allegato 1) Brescia, 14 Marzo 2011 Gentili Colleghe e Colleghi, il gruppo provinciale di supporto per la Formazione continua degli assistenti sociali, si sta incontrando regolarmente dal mese di ottobre del 2010 - trovate sul sito www.servizisocialifamiglia.brescia.it - box assistenti sociali i diari degli incontri e le informazioni sulla Formazione Continua – con lo scopo di approfondire i seguenti contenuti: • Ricognizione della formazione permanente svolta dagli assistenti sociali • Raccordo con Ordine Professionale • Maturare e condividere motivi inerenti la Professionalità dell’assistente sociale quale contributo per una crescita culturale della professione. A tale scopo per il 2011 due sono gli appuntamenti che intendono coinvolgere tutte e tutti voi: 1. il gruppo provinciale di supporto alla sperimentazione triennale per la formazione continua vi chiede di voler cortesemente dedicare uno spazio per la riflessione sulla tematica “Formazione Continua” posta particolarmente in rilievo in questi ultimi tempi. E’ stato elaborato uno schema di “registrazione” per la raccolta delle attività formative svolte nell’anno 2010 dagli assistenti sociali della Provincia di Brescia e pensato come tappa iniziale di collegamento e scambio tra il gruppo e tutti i colleghi, in modo da essere di supporto e promozione per affrontare insieme alcuni quesiti e necessità richiesti nell’ambito specifico della formazione non solo dal lavoro quotidiano ma anche dall’Ordine. La compilazione di questo schema da parte di ciascuno di noi, consentirà di delineare il panorama delle esperienze formative, nella loro diversità e ricchezza, finora realizzate nel territorio. Permetterà inoltre di condividere uno strumento, sicuramente migliorabile con l’apporto di tutti voi, della comunicazione obbligatoria che ciascuno di noi dovrà fornire all’Ordine. Ringraziando per la collaborazione vi preghiamo di inviare lo schema compilato entro il 1 APRILE 2011 ( vedi allegato Formato Europeo per il Curriculum vitae) 2. Il gruppo provinciale sta organizzando per il giorno Martedi 10 Maggio 2011 – ore 13,30/ 18,30 ( si invierà a breve programma della giornata di studio riconosciuta dall’Ordine Regionale per i crediti formativi)- un incontro rivolto a tutti gli assistenti sociali della provincia di Brescia per avviare alcune riflessioni ed un confronto sul tema della professionalità dell’assistente sociale ed in particolare sulle caratteristiche e le implicazioni dell’esercizio della professione di assistente sociale in qualità di dipendente. Per tale appuntamento pensiamo che raccogliere le voci di chi ogni giorno è coinvolto nella riflessione deontologica ed operativa risponda all’esigenza di co-costruire un pomeriggio di riflessione condiviso. A tale scopo chiediamo a ciascun assistente sociale un contributo di breve scrittura reagendo alle tre sollecitazioni sotto indicate: 1. Per te cosa significa essere un professionista? 2. A tuo parere quale significato ha essere professionista in qualità di dipendente di un Ente o Coop o Società..ecc 3. A tuo parere ci sono, e se si quali , fattori che indeboliscono (impediscono, riducono, contrastano) l’espressione della tua professionalità nel servizio e/o ente per il quale lavori? E che la rinforzano? Le scritture che ci invierete, saranno restituite nell’incontro del 10 maggio 2011. Ti chiediamo di inviarci le tue riflessioni scritte all’indirizzo e mail [email protected] ( Ludovica Danieli) entro il 1 APRILE 2011. Sappiamo quanto sia difficile ed impegnativo scrivere, ma confidiamo nella tua disponibilità a condividere con tutti i colleghi le tue riflessioni. Un caro saluto Il Gruppo di supporto per la formazione continua Chiara Fiorini, Cristina Ramponi, Daniela Dogali, Elisabetta Bianchi, Erminia Drera, Franca Roberti, Laura Ciapetti, Letizia Sudati, Ludovica Danieli, Maria Passeri, Marina Poinelli, Orietta Barucco, Roberta Valorsi, Rosa Di Gregorio, Rosangela Paroni, Simonetta Filippini, Sonia Tignonsini, Vanda Romagnoli. 32 Allegato 2) Le scritture inerenti la prima Sollecitazione “Per te cosa significa essere un professionista” Di seguito sono riportate le scritture pervenuteci. Un primo intervento sul materiale raccolto è stato di significarlo inserendolo in tre argomenti chiave: 1. 2. 3. Gli elementi che concorrono a definire un professionista L’attribuzione di significato all’essere professionista Le caratteristiche che dovrebbe avere la figura dell’Assistente sociale. Sulla base delle risposte fornite possiamo individuare gli elementi che concorrono a definire un professionista: - esercitare una professione intellettuale caratterizzata da: un sapere trasmissibile teoricamente fondato; percorsi formativi qualificanti e sufficientemente articolati; un corpo professionale che definisce i criteri per l’ingresso; un codice deontologico; aver acquisito conoscenze e sviluppato competenze da utilizzare con scienza e coscienza; essere consapevoli di avere a disposizione un metodo di lavoro, tecniche e strumenti che per essere efficaci devono essere utilizzati in modo saggio, non necessariamente in modo standardizzato e necessitano di osservazione /riflessione prima di essere applicati; conoscere le proprie responsabilità e dunque percorrere i propri doveri con attenzione, nella consapevolezza che altri si affidano a lui; saper assumere delle decisioni in autonomia, individuando priorità, esprimendo valutazioni e organizzandosi il lavoro; saper lavorare con gli altri (équipe, superiori, altre persone) e sapersi interfacciare con diversi interlocutori; essere disponibili ad accogliere i suggerimenti, le critiche e ad accettare l’aiuto di altri; saper chiedere aiuto, informarsi e cercare strategie nuove; andare costantemente alla ricerca di ciò che si dovrebbe e potrebbe essere; accettare di osservare i limiti personali o professionali che lo riguardano, tentando di correggerli nella consapevolezza che, per quanto il suo lavoro sia qualitativamente elevato, non può risolvere ogni situazione; interrogarsi circa il proprio lavoro e cercare il confronto; essere attento ai cambiamenti e disposto a modificare il proprio operato per aggiornarlo o migliorarlo; saper accogliere i cambiamenti e proporre strategie innovative; assumere la necessità di formarsi e sfruttare ogni occasione, diretta ed indiretta, per soddisfare tale necessità; essere consapevoli di appartenere ad una categoria professionale rispetto alla quale ci sono doveri e responsabilità. Tra le quarantaquattro risposte analizzate ventuno attribuiscono significato all’essere professionista. Le affermazioni sono: - parole chiave per definirlo: riconoscibilità; autonomia; conoscenza di metodi e principi specifici della professione; esercitare un ruolo lavorativo riconosciuto dall’ordinamento giuridico, coniugando, nel rispetto del codice deontologico proprio della professione, il livello del sapere teorico e il livello dell’operatività pratica al fine di garantire la qualità delle attività svolte; assumere la capacità di interrogarsi sulle proprie responsabilità e ricercare le modalità per affrontarle; inoltre avere la consapevolezza della necessità di avviare e mantenere la ricerca del sapere teorico; È colui il quale ha acquisito delle conoscenze e sviluppato delle competenze che sa utilizzare con coscienza soprattutto nell’ambito lavorativo. Egli è consapevole di avere a disposizione degli strumenti o delle tecniche che per essere efficaci devono essere utilizzate in modo saggio, non necessariamente in modo standardizzato (dipende anche da professione a professione) e necessitano di osservazione /riflessione prima di essere applicate. Il professionista sa di avere delle responsabilità e dunque percorre i propri doveri con attenzione: è attento a ciò che agisce, poiché sa che altri si affidano a lui. È la persona che sa assumersi soprattutto gli oneri del lavoro. Il professionista sa assumere delle decisioni in autonomia, individuare priorità, esprimere valutazioni e organizzarsi il lavoro. Viceversa è la stessa figura che è capace di lavorare con gli altri (équipe, superiori, altre persone) e sa interfacciarsi con diversi interlocutori. Il professionista, pur sapendo di poter contare sulle proprie competenze, accoglie i suggerimenti, le critiche e accetta l’aiuto di altri: se serve sa anche chiedere aiuto, informarsi e cercare strategie nuove. Egli accetta di osservare i limiti personali o professionali che lo riguardano, tenta di correggerli ed è cosciente che, per quanto il suo lavoro sia qualitativamente elevato, non può risolvere ogni situazione. Il professionista si interroga circa il proprio lavoro e cerca il confronto, è attento ai cambiamenti e disposto a modificare il proprio operato per 33 - - - - - aggiornarlo o migliorarlo. Desidera formarsi e sfrutta ogni occasione, diretta ed indiretta, per soddisfare tale necessità. Il professionista inoltre avverte il senso di responsabilità verso la classe professionale cui appartiene; con il proprio operato cerca di presentare nel modo più adeguato la professione stessa (in particolare laddove non sia conosciuta o il contesto non sia favorevole). Egli mette a servizio del bene comune quello che sa fare e si sforza di onorare il lavoro anche degli altri colleghi (siano pure di professioni diverse); fare un lavoro per il quale si è ricevuta una formazione “ad hoc”, possibilmente aggiornata nel corso del tempo. Essere un professionista significa utilizzare linguaggi, strumentazioni, metodi propri di quella professione, ben riconoscibili rispetto a quelli di altri professionisti; condividere un patrimonio di conoscenze tecniche ma anche valori professionali, nonchè operare secondo una deontologia comune ad altri professionisti, qualificandosi in modo preciso, all' interno delle situazioni lavorative; svolgere il proprio ruolo applicando conoscenze acquisite da indirizzi di studio specifici, utilizzare strumenti di lavoro che abbiano un riscontro nella professione in quanto supportati dalla letteratura e dagli studi esistenti. Essere in grado di apprendere dall’esperienza sul campo in un percorso di “ricerca-azione” finalizzato anche alla definizione di modelli operativi specifici per tipologia d’utenza e/o per bisogni rilevati; avere un titolo di studio riconosciuto e agire secondo i dettami propri della professione ossia nel rispetto dell'etica, della deontologia e della metodologia; andare costantemente alla ricerca di ciò che dovremmo e potremmo essere; poter operare in autonomia rispettando il nostro mandato professionale; lavorare in un contesto in piena autonomia nel rispetto dell'Ente in cui si lavora e della metodologia professionale. Lavorare con serietà, chiarezza del ruolo, capacità e limiti ( non siamo onnipotenti!) che la professione richiede; Essere professionista è esercitare un'attività per cui occorre un titolo di studio qualificato, contraddistinta da: un corpo sistematico di conoscenze teoriche e saperi di riferimento; una razionalità scientifica in quanto applicazione oggettiva di principi e strumenti metodologici; un’autonomia e una responsabilità nel suo espletamento; un codice autoregolativo dei rapporti con gli utenti e norme di condotta; una cultura professionale acquisita attraverso un iter formativo specifico e attraverso atteggiamenti di interscambio culturali; essere riconosciuto come soggetto con un ruolo identificato, munito di saperi specifici, appartenente ad una precisa comunità professionale e dotato di autonomie tecniche e decisionali in relazione al peculiare campo di azione; essere un soggetto attivo e volitivo, consapevole di sé e delle proprie potenzialità, in grado di costruire, in un dialogo reciproco e in un rapporto cooperativo con le persone, l’organizzazione e più in generale con la comunità con cui si trova ad interagire, una rete nella quale esprimere e mobilitare prerogative, valori, attribuzioni di senso; fattori in grado di far emergere un lavoro dotato di morfologia vitale; avere la capacità di mettere in campo le proprie competenze a seconda della situazione. Alcuni accorgimenti e strumenti sono indispensabili sempre, ma sta alla persona utilizzarli nel modo consono a quella occasione; avere una formazione specifica e coerente con il tipo di professione cui si è impegnati. Significa agire in un contesto di regole ed azioni specifiche per l’attività professionale; avere un’ identità che viene riconosciuta all'interno del luogo dove si lavora e all'esterno dalle varie agenzie sociali. L'identità professionale stabilisce i compiti, i ruoli e i confini tra il professionista e le varie persone/realtà che incontra. Il professionista necessita di un'identità per esistere e l'identità necessita di riconoscimento esterno per esprimersi. Per essere professionisti e quindi per mettere a disposizione degli altri il nostro sapere, le nostre competenze e la nostra etica, necessitiamo di uno spazio che permetta l'espressione di tutto ciò. Il professionista è colui che ha acquisito competenze specifiche che gli danno un ruolo, una posizione e che lui mette a servizio di altri e gli altri riconoscono le sue competenze, il suo ruolo e i suoi spazi e quindi un'identità; essere un soggetto pienamente in grado di svolgere la propria attività lavorativa, significa essere competente qualificato e preparato rispetto al ruolo che una persona ha nel suo ambito lavorativo. Avere una preparazione che consenta al professionista stesso di trovare sempre nuove soluzioni e/o strategie; è colui che è in grado di esercitare la propria pratica operativa sulla base di conoscenze specifiche, di strumenti metodologici e di riferimento valoriali. Il professionista agisce secondo un mandato istituzionale, ma ancor prima professionale; ritengo abbia a che fare con la padronanza di strumenti e saperi via via consolidati e rafforzati da scambi lavorativi, culturali e formativi ed utilizzati con sempre maggiore consapevolezza e apertura verso i nuovi bisogni e le nuove realtà lavorative. Significa a mio parere saper gestire la specificità professionale in una realtà di servizi, norme e bisogni dinamica e complessa, con la capacità di adattare e accrescere le proprie competenze senza perdere i riferimenti ai valori di promozione delle risorse della persona e di esercizio della professione secondo criteri scrupolosi di qualità; 34 - - svolgere con competenza, responsabilità ed eticità 'il lavoro; un lavoratore che: mette al servizio di persone, gruppi, aziende e/o enti , le sue conoscenze acquisite attraverso uno specifico percorso di studio; opera nel rispetto della deontologia professionale, di un metodo e si avvale dell’esperienza acquisita come valore aggiunto; sente come dovere etico la formazione continua e l’aggiornamento; aver seguito un percorso formativo universitario specifico per la professione che si intende esercitare, sostenere la formazione permanente, essere iscritti ad un albo professionale, con relativi òneri ed onòri, che tutela, fornisce indicazioni, crea un’immagine omogenea del professionista, e, se si è fortunati, c’è anche un codice deontologico che rappresenta il vademecum del quotidiano operare. Diciannove risposte concentrano invece l’attenzione sulle caratteristiche che dovrebbe avere l’assistente sociale. - Qualità che ci caratterizzano e senza le quali è impensabile poter lavorare con gli altri e per gli altri…Essere un professionista nel sociale richiede una buona capacità di ascolto e di mediazione, da spendere sia con l’utenza, ma anche con i superiori ed i politici che spesso sono presenti all’interno dei nostri servizi; si deve essere in grado di prendersi cura delle relazioni, sia con gli utenti, ma anche con i colleghi e con gli operatori del settore; essere un professionista significa mantenere saldi i propri principi all’interno di un sistema che non sempre è dispensatore di giustizia e di equità…Un altro elemento che definisce un operare professionale è certamente l’autonomia di pensiero e di azione, tenuto conto dei numerosi dei vincoli e limiti rappresentati dai regolamenti, dal bilancio e dalle risorse, sempre più ridotte. Ritengo inoltre che una qualità di primaria importanza sia la creatività nell’operare quotidiano e nel progettare con l’utenza: per garantire interventi di qualità ed evitare di offrire risposte precodificate e preconfezionate … -agire nel rispetto dei principi deontologici; capacità di leggere i bisogni per ideare percorsi rivolti all’intera comunità, adeguando il proprio intervento al cambiamento della società, dei bisogni, delle famiglie…lavorare partendo sempre dalle risorse e non dalle mancanze; - Significa riconoscersi e identificarsi con i punti cardine propri del servizio sociale professionale, su cui costruire il sapere scientifico e professionale, attraverso l’esperienza e la formazione costante, all’interno dei continui cambiamenti e sviluppi del contesto e dei progressi della conoscenza. Significa mettere al servizio degli utenti/clienti le proprie competenza e abilità professionale, costantemente aggiornate, in collaborazione con altri professionisti se la complessità del caso lo richiede; - Essere un professionista “oggi” significa affrontare crescenti situazioni di bisogno e marginalità con meno risorse a disposizione; questo implica la ricerca di risposte plurime e flessibili. Bisogna imparare a stare nelle provvisorietà e continuare a riflettere sull’esperienza. Fondamentale è il confronto con colleghi assistenti sociali e altri professionisti del settore per condividere i vissuti e ampliare le proprie modalità operative; - Essere una professionista con la qualifica di assistente sociale, significa svolgere la professione che ho scelto e che desideravo fare e con i tempi che corrono non mi pare cosa da poco! Significa rileggere con interesse il nostro codice deontologico e vederci scritte le motivazioni che mi hanno fatto scegliere questa professione, gratificante sia a livello umano che professionale. Significa: diritti, doveri, serietà, etica, senso di appartenenza, impegno gratificante, confronti costruttivi; - Svolgere il proprio lavoro con competenza e professionalità, rispettando la mission dell’assistente sociale, seguendo i principi e i valori della professione specificati nel codice deontologico. Utilizzare le abilità professionali e personali per svolgere i compiti assegnati; - Purtroppo, non riesco ad esprimermi sul significato della professione in modo ampio, costruendone un profilo teorico complessivo; il mio pensiero è riferito al mio agire professionale nell’organizzazione nella quale sono inserita. Il ruolo dell’Amministrazione Provinciale nell’ambito delle politiche sociali non è ben definito, o meglio, dalle norme sì, ma nella realtà le attività si esprimono connotandolo come Ente preposto “all’aiuto”, come “Ente Erogatore di Servizi” come Ente Finanziatore e Sostenitore di Progetti e di Iniziative in ambito sociale per il territorio, come Istanza di Raccordo e di Messa in Rete di attività diverse aventi uno stesso obiettivo. Sono certa che nel rapportarmi con quanto specificato sopra, utilizzo chiavi di lettura e saperi che la formazione alla professione di Assistente Sociale mi ha dato, accanto alla consapevolezza che il mio agire è molto condizionato dal contesto organizzativo ed amministrativo. Da ciò deriva un agire sul compito, sulla consegna che mi viene richiesta: risorse economiche da ridurre e conseguente restrizione delle attività, convegni da effettuare, progetti da imbastire in vista di finanziamenti regionali ecc. Una sorta di adeguamento o meglio di manovalanza che “indebolisce” la professionalità e che la “sopprime” nel momento in cui ciclicamente si ripresentano “nodi” mai sciolti e che rimangono tali. Ultimamente, gli incontri con i gruppi finalizzati al supporto per la FC, mi danno l’opportunità di conoscere situazioni e servizi a me estranei nonché modalità nuove di governo degli stessi. Già l’adoperarmi per scrivere queste righe mi ha aperto alla riflessione su quanti modelli e riferimenti concettuali obsoleti mi avvalgo. La professione dell’assistente sociale si caratterizza per:il SAPERE (conoscenze tecniche organizzate) il SAPER ESSERE (maturità e capacità di relazione) il SAPER FARE (capacità di applicare le conoscenze teoriche) il SAPER DIVENIRE (capacità di adeguarsi alla società che evolve) la LEGITTIMAZIONE 35 FORMALE (riconoscimento dell’esercizio della professione e mandato sociale) il CODICE ETICO (insieme di principi e valori a cui l’assistente sociale si uniforma nell’esercizio della professione); - Lavorare con la consapevolezza del "dover essere" nonostante ci siano limiti operativi (strutturali, organizzativi, di contesto) per cui spesso ciò che si dovrebbe fare secondo un ideal- tipo professionale è distante da ciò che realmente si può fare. Trovare spazi di confronto e momenti di analisi del proprio operato e spazi di pensiero che orientino la prassi operativa. Riuscire a difendere il proprio ruolo tecnico e professionale utilizzando la scrittura e altri strumenti nonostante strumentalizzazioni, scarsa considerazione del ns. ruolo ed ingerenze. Garantirsi momenti di formazione concreti e realmente utili alla professione; - Possedere e potenziare le capacità lavorative proprio del ruolo, acquisite inizialmente con la formazione e continuamente rafforzate dalle seguenti attività 1)Supervisione continua; 2) Formazione continua; 3) Riflessione sull’applicazione del proprio metodo di lavoro, sia rivolto al singolo che ai gruppi e alla comunità che dovrebbe nascere da precisi riferimenti teorici e che applicato nella prassi quotidiana andrebbe monitorato; - La mia idea di professionista consiste nell’essere in grado di operare nell’interesse di quelle persone o di quei gruppi che si trovano in situazioni di difficoltà; ciò comporta innanzitutto l’identificazione del problema, subito dopo capire quali sono gli strumenti che il territorio in cui operiamo offre per la situazione che stiamo affrontando ed infine attivare quegli interventi che servono a risolvere le situazioni di disagio. Un bravo professionista deve possedere un insieme di conoscenze teoriche, sapere mettere in pratica quanto imparato nei casi che gli si propongono e rispettare quanto previsto dal codice deontologico e dal segreto professionale; - Rispetto all’essere un professionista nel sociale rifletterei sul significato di alcuni assunti che non credo possano essere esaustivi ma possano, almeno, avvicinarsi ad una rappresentazione “dell’essere un professionista”: avere la capacità di accogliere l’utente, gestire il caso, avere la consapevolezza del proprio livello di autonomia-decisionalità e responsabilità rispetto all’utenza del servizio sociale; credo sia fondamentale riconoscere e tenere sempre presente il proprio mandato professionale all’interno di qualsiasi contesto lavorativo di appartenenza; - Essere professionista equivale ad avere criterio e coscienza nel condividere e far proseguire un progetto; essere capace di capire i bisogni che l'altro porta ed avere chiari gli obiettivi da raggiungere; Saper lavorare in équipe; Saper valutare attentamente le ipotesi operative che emergono; Saper prendersi la responsabilità delle scelte fatte; - Per me essere un Professionista Assistente Sociale significa innanzi tutto avere buone competenze professionali intese come : - essere capaci di pianificare, attuare e valutare degli interventi di propria competenza (per quanto mi riguarda nell'area materno infantile sulle tematiche consultoriali);- essere capace di accogliere, accompagnare e sostenere l'utente (quindi informazione, consulenza e presa in carico del singolo, della coppia, della famiglia; essere in grado di collaborare con le diverse équipes di lavoro;- essere in grado di condurre gruppi di informazione, formazione e sostegno;- essere capaci di progettare, attuare e valutare dei progetti di educazione promozione alla salute in senso lato;- essere in grado di collaborare con le diverse agenzie territoriali in settori attinenti al consultorio:Inoltre avere la possibilità di avere responsabilità organizzative e gestionale e la possibilità di avere una formazione continua in ambito aziendale ed extra-aziendale; - Siamo un gruppo di 4 assistenti sociali, dipendi asl, inserite nel servizio anziani e cure domiciliari. Vogliamo condividere alcune semplici riflessioni stimolate da queste domande, in particolare sottolineando le difficoltà quotidiane che ci troviamo ad affrontare. Il nostro contesto lavorativo risulta essere prevalentemente sanitario e spesso facciamo fatica a ritagliarci uno spazio come assistenti sociali. E' frequente che ci vengano fatte richieste che esulano dalla nostra professione ed è quindi necessario ridefinire ogni volta il nostro ruolo. Da un lato è arricchente lavorare in integrazione con figure differenti perchè permette un continuo confronto e un approccio multidisciplinare alla valutazione del bisogno e alla presa in carico, permettendo così una risposta globale al paziente; dall'altro, vista la tipologia del settore, a tutti gli operatore (non solo a.s.) vengono fatte richieste che non hanno niente a che fare con lo specifico professionale. La sensazione è che l'orientamento dell'ente sia di chiedere sempre più agli operatori il "di tutto e di più". Il risultato è che spesso questa situazione crea confusione e tensioni nel gruppo di lavoro. In questo servizio, così come organizzato nel nostro territorio e quindi non generalizzando, il ruolo di noi assistenti sociali deve essere continuamente ridefinito - La motivazione della presenza dei professionisti risiede nel riconoscimento del loro ruolo di mediazione tra il livello del sapere teorico e il livello dell’operatività pratica. La necessaria conoscenza loro richiesta dei modelli e delle norme generali per un’adeguata applicabilità degli stessi a soluzione di casi pratici peculiari, li pone in una situazione cardine, in cui assumono la responsabilità della verifica costante della congruità delle stesse norme e dei modelli alla realtà in continua evoluzione. 36 Allegato 3) Le scritture inerenti la seconda sollecitazione “ A tuo parere quale significato ha essere professionista in qualità di dipendente di un Ente, cooperativa, società, etc…?” Gli elementi che caratterizzano l’essere professionisti in qualità di dipendente sono: - - - - - - - - - mettere a disposizione dell'ente per cui si lavora i propri saperi, le proprie competenze e la propria etica per un obiettivo comune tra il professionista e l'ente; essere subordinati rispetto all'ente; avere un riconoscimento in quanto portatore di saperi necessari al funzionamento dello stesso; creare un ruolo di reciprocità, da un lato, tra ente e professionista, da un altro di subordine tra dipendente e ente ma che si regge con un riconoscimento reciproco e con la condivisione dell'obiettivo/finalità generale; ricercare le congruenze fra la mission dell’Ente e il mandato professionale; ricercare e consolidare la propria autonomia professionale; mettere in contatto il bisogno (sempre più presente e variegato) con le risorse (sempre più scarse e difficili da reperire). Questo richiede una particolare abilità nel valutare le situazioni , che devono essere accurate e puntuali e una capacità critica e creativa che permetta di "inventare" le soluzioni, valorizzando il più possibile le qualità del soggetto o del nucleo familiare che abbiamo di fronte; essere parte di un Ente da un lato garantisce una buona tutela sia professionale che economica, e, nello stesso tempo, come tutte le comunità che si rispettano, richiede e impone alcune scelte indiscusse, magari non sempre condivise…Essere parte di un Ente è quindi un’occasione per far conoscere e riconoscere la nostra professione e professionalità; apportare nell’ente in cui si opera e nel territorio riflessioni, spunti, idee, proposte che nascono dall’agire professionale quotidiano; sacrificare la costruzione di relazioni d’aiuto a vantaggio dell’erogazione di prestazioni; far presente agli amministratori l’impossibilità di fornire risposte risolutive e “ricette” per eliminare i problemi; in un ente pubblico vi è maggior possibilità di essere portatore di diritti da parte degli utenti più fragili e ad alto rischio di emarginazione, promuovendo politiche di tutela e di sostegno delle categorie che diventano sempre più invisibili all’interno della nostra società; aver a che fare con realtà diverse, avere un numero maggiore di colleghi con cui collaborare e talvolta doversi impegnare maggiormente perché l’ente di riferimento capisca le caratteristiche della professione. Non sempre si può dare per scontato che chi ci assume conosca davvero la professione o la sappia descrivere con precisione e attenzione anche alla deontologia professionale ai committenti coinvolti; se l’ente gestore funziona in modo adeguato e cerca di costruire un rapporto di lavoro basato sulla stima reciproca, al di là delle gerarchie, è possibile che il professionista avverta sostegno e dunque sia stimolato a lavorare con maggior serenità, attenzione e responsabilità; rende più complicato l’esercizio della professione perché è l’ente di appartenenza che fornisce la cornice all’interno della quale il professionista si muove, cosa che, in misura minore, vale anche per un lavoratore autonomo, che però è più “libero” da vincoli che, del resto, possono essere visti anche come strumenti di protezione. Il nostro lavoro, essendo molto legato alle risorse che ci vengono messe a disposizione è, forse, più di altri che utilizzano “solo” lo strumento della propria professionalità, soggetto a grandi oscillazioni e a una diversità di fisionomia che fa sì che possa “incarnarsi” in modo molto diverso nelle diverse realtà; tenendo conto dei limiti e delle risorse dell’organizzazione, chiedersi come esercitare la propria autonomia: identificare gli spazi di pensiero ed azione e scegliere come agirli; rispettare le linee guida e le indicazioni dell’ente per i progetti da attuare in base al piano socio-assistenziale presente. Rendere conto del proprio operato. Partecipare all’organizzazione del lavoro, proporre idee o iniziative nuove ma anche evidenziare problemi o punti critici presenti; avere un ruolo preciso all'interno dell'organizzazione, la quale ha un proprio mandato istituzionale. In base ai due mandati, istituzionale e professionale, il professionista deve svolgere il proprio operato; il professionista si deve rapportare con colleghi, superiori, amministratori che spesso faticano a riconoscere e capire il nostro ruolo. La professione viene spesso sminuita; dover avere conferma della propria professionalità da soggetti che non possiedono competenze per poter effettuare valutazioni in tal senso; avere la consapevolezza di appartenere ad un ente o cooperativa. Questo comporta l’obbligo di osservare le regole o direttive che il proprio Ente pone in essere. La libertà di azione è quindi limitata alla struttura dell’ Ente all’interno del quale si lavora, sempre nel rispetto dei propri principi professionali. Quando quindi queste due entità sono contrastanti, è necessario chiedersi fino a che punto si può essere professionisti; In un ente comunale essere professionista dovrebbe implicare: 1) il coinvolgimento dell’operatore nella raccolta sistematica dei dati sui bisogni espressi dal singolo e dalla comunità e rilevati nel lavoro quotidiano; 2) la lettura e decodifica di tali bisogni e la conoscenza delle risorse del territorio, 3) la proposta all’ente di organizzazione di servizi o interventi in relazione ai bisogni suindicati; 37 - - - - Lavorare come dipendente comporta sicuramente delle responsabilità diverse, in quanto l’assistente sociale è rappresentato dall’Ente in cui lavora. Inoltre spesso l’essere parte di una organizzazione offre sicuramente una maggiore stabilità, in una realtà lavorativa attualmente molto difficile. Comunque io penso che lavorare come dipendente ci dia la possibilità di “iniziare”, di accumulare esperienze, ci consente di raggiungere il livello di preparazione necessaria ad affrontare un eventuale futuro ingresso nel modo della libera professione; sapersi adattare ai contesti diversi in cui ci troviamo a lavorare; il professionista potrebbe usufruire di maggiore elasticità operativa rispetto al dipendente pubblico oppure il contrario (budget limitato); richiede la capacità di giocare la propria appartenenza professionale comunicando temi e strumenti specifici alle altre figure professionali, accettando il confronto, lo scambio e perseguendo in modo continuo la crescita personale e professionale. Facilitatore di una visione d’insieme dei bisogni sociosanitari, si sperimenta in nuovi ruoli e funzioni, misurandosi anche nell’interazione gerarchica, cogliendo l’opportunità di arricchirsi professionalmente nelle diverse situazioni organizzative; svolgere con competenza, responsabilità ed eticità il lavoro adempiendo ai compiti dell' ente di appartenenza nel pieno; rispetto dei cittadini; la qualità del suo operato non scaturirà solamente in base alla sua capacità tecnica, ma anche e più ancora per la posizione ch’esso ricopre sarà determinante la levatura morale che lo caratterizza e la capacità di creare meccanismi di fiducia, dovrà essere in grado di perseguire con semplicità gli obiettivi preposti dall’ente in cui lavora; doversi interfacciare con tutti gli attori interessati: gli amministratori che valutano le spese, i funzionari che valutano i costi e gli operatori che valutano il raggiungimento degli obiettivi. 38 Allegato 4) Le scritture inerenti la terza sollecitazione “ A tuo parere ci sono, e se si quali, fattori che indeboliscono ( impediscono, riducono, contrastano) /rafforzano l’espressione della tua professionalità nel servizio e/o Ente per il quale lavori? 1 RAFFORZANO INDEBOLISCONO Rafforza la professionalità la centratura sulla competenza relazionale e la capacità di stare in una relazione di aiuto che ponga l’altro nella posizione di protagonista., la svalutazione di queste dimensione rende deboli e poco potenti. 2 3 4 5 6 Lavorare in un’organizzazione significa dover negoziare continuamente tra la rigidità organizzativa (regole, funzioni, competenze, risorse) e i processi sociali dei quali si è interpreti e sui quali si interviene per prevenire o rimuovere gli stati di bisogno. L’autonomia di scelta e di pensiero, la formazione continua, il riconoscimento del lavoro effettuato, un carico di lavoro proporzionato al tempo a disposizione sono tutti elementi indispensabili per un agire professionale e certamente proficuo; possibilità di confronto, supervisione e di “spazi di pensiero” con un’altra collega (siamo due a.s. nel ns servizio) e con consulenti esterni con cui collaboriamo; il ns servizio sociale ha una storia ben consolidata e riconosciuta sul territorio di lavoro di rete e comunità. riconoscimento dell’attività di servizio e del ruolo esercitato; autonomia decisionale nella scelta delle modalità di intervento Lavorare all’interno di un Ufficio di Piano mi ha consentito di avere comunque contatti con l’utenza (anche se dell’Ambito) per i vari buoni e voucher erogati, ma anche di acquisire competenze amministrative e di coordinamento di tavoli e gruppi di lavoro. La mia professionalità sicuramente ha giovato di questa duplice veste. 7 carico di lavoro elevato e molto tempo dedicato ad atti amministrativi (determine, rendicontazioni, conteggi, bilancio etc…) che spesso “minano” lo stato d’animo e l’attenzione dovuti all’accoglienza; scarsa conoscenza (e spesso anche considerazione) del ruolo dell’a.s. da parte di altre professionalità e istituzioni limitatezza delle risorse economiche, umane e strumentali Il rischio è che non sempre sia chiaro il ruolo dell’Assistente Sociale all’interno di un Ufficio di Piano, ma forse bisognerebbe prima chiarire il concetto di Ambito e di programmazione zonale. ci si trova sempre più “sul fronte” a dover affrontare situazioni di gravi e crescenti fragilità, di ogni tipo, potendo però contare su sempre meno risorse disponibili. La dimensione organizzativa incide pesantemente sui limiti e sulle opportunità di esercizio della propria professione. L’eccessivo carico di lavoro non permette all’operatore di mettere in atto azioni ed interventi rispondenti ai reali bisogni rilevati perché sempre più si è chiamati a rispondere e “tamponare” le situazioni di urgenze/emergenza. Le linee d’intervento imposte da un’Amministrazione se tengono conto solo di alcuni aspetti (ad es. quello economico) possono inficiare il lavoro dell’A.S. e impedire l’attuazione di alcuni interventi. 8 9 per contro la mancanza o la limitazione di quanto sopra impedisce, riduce e contrasta la professionalità. il coinvolgimento dell’A.S. nella programmazione delle modalità d’intervento, nell’impostazione di un servizio, nella realizzazione di un progetto; la richiesta di un parere tecnico per affrontare una problematica. La presenza all’interno di un servizio di più assistenti sociali aiuta l’espressione della professionalità. Esistono sicuramente “buone prassi consolidate” 39 che spesso evidenziano l’attività sociale, occorre un riconoscimento maggiore della professionalità 10 Viceversa la mia professionalità si esprime al meglio ogni volta che incontra la disponibilità dei colleghi, dei superiori, dei politici, delle persone che anche questi ultimi sanno coinvolgere; essenzialmente ogni volta che c’è collaborazione e si percepisce un obiettivo comune. Fare parte di una società/coop. può aumentare la professionalità perché, come già indicato nella risposta n.2, si può effettuare un confronto continuo con il gruppo di lavoro, cercare un dialogo con i superiori ed essere sostenuti nel proporre iniziative o modifiche alle committenze. Purtroppo non sempre questo avviene. 11 Nella realtà dove lavoro credo che, finora, ci sia stato il massimo della possibilità di espressione della mia professionalità, legato al fatto che il ruolo può essere giocato in autonomia, all’interno di una cornice chiara di riferimento, con l’utilizzo di un gran numero di risorse, senza la pressione diretta di ingerenze di varia natura, con la possibilità di un confronto con i colleghi e di formazioni di buon livello. Fattori rinforzanti : _ l'aver raggiunto, nell'operatività quotidiana, l'integrazione tra sanitario e sociale, così nel massimo rispetto delle varie competenze si lavora davvero bene insieme con vantaggi per noi operatori e per l'utenza; _ lavorare in servizi che erogano prestazioni perché è gratificante poter rispondere ai bisogni dell'utenza. 12 13 Nella realtà in cui opero attualmente ciò che ostacola maggiormente la mia professionalità è il delicato rapporto tra tecnici e politici. Questi ultimi spesso sono convinti di avere le medesime capacità del professionista stesso, magari solo per il fatto che fino a dieci anni fa la mia professione non era così diffusa sul territorio. Capita, ad esempio, che amministratori impartiscano ordini per cui una azione tecnica di debba fermare (per poi magari continuare esattamente come io avevo iniziato), perché il sindaco o l’assessore decidono di voler agire al mio posto, oppure perché si avanzano delle richieste/proposte di tipo economico. Tante volte il problema non è solo la carenza di risorse o la disponibilità a volerle utilizzare, bensì che il politico accetti di fidarsi del professionista, quindi “di non avere nessuna competenza in quel campo”, e percorra una strada indicata da un altro diverso da lui o dalla giunta. Certamente un limite grande che riduce l’espressione di professionalità è il delegare al professionista mansioni altre rispetto a quelle che sarebbe chiamato a svolgere per definizione. Se si fosse liberi professionisti ci si potrebbe rifiutare di rispondere a quelle richieste e, se tutti lo facessero, nessuno continuerebbe a richiederle. Invece così si dà un’immagine distorta della professione all’utenza, si impedisce di avere l’attenzione allo specifico professionale e, facilmente, succede che gli enti spendano cifre elevate per compiti che potrebbero spettare ad altri ed essere retribuiti in modo inferiore (es. un assistente sociale costretto a svolgere un lavoro prettamente impiegatizio). Nell’ultimo periodo la crisi economica, o meglio le scelte politiche conseguenti ad essa, hanno portato ad un cambiamento profondo che ha messo in crisi il modello consolidato. Siamo ancora in fase di transizione, ma per ora la scarsità di risorse ha indebolito il ruolo e lo ha reso più fragile. Un fattore che indebolisce è secondo me l'impossibilita' di contrattare e la scarsa incisività sulla Programmazione politica/sociale/economica che fatta al vertice della piramide (regione) a cascata si ripercuote nei servizi di base, al Distretto ASL non resta altro che raggiungere gli obiettivi prefissati e magari non sempre condivisi: di conseguenza io operatore, senza metterci troppa creatività devo fare la mia parte perché vengano raggiunti i risultati programmati. In generale Ritengo che l'Ente dia legittimità all'operato e, in un certo senso, tuteli il professionista rispetto all'attività che svolge per le funzioni istituzionali. Ritengo inoltre di massima che il mio Ente - ASL Vallecamonica Sebino - abbia tutto sommato rispettato l'autonomia professionale delle AASS nell'attività quotidiana svolta. Nella mia attività lavorati specifica e per il mio Ente , che ritengo sia abbastanza particolare per l'ambiente e capi, - la figura dell'AASS è sempre stata molto sottovalutata e vissuta con timore rispetto alla sue possibilità e competenze rispetto anche 40 all'assunzione di ruoli direttivi, organizzativi e di coordinamento. Questo ha comportato conflitti e necessità di difendere il ruolo e le competenze, spesso gestiti ed affrontati di singoli AASS nei propri servizi.. Il riconoscimento del Gruppo Professionale nel 2003 ha aiutato in quanto ha permesso di ufficializzare alcune posizioni, non lasciando solo il singolo AASS. 14 Fattori che rinforzano: lavoro in equipe con l’educatrice e la psicologa, lavoro con i mediatori culturali, supervisione (attualmente non attiva). 15 Rinforza l’esercizio della professione di assistente sociale chiedersi che tipo di professionisti vorremmo essere. 16 favoriscono però una maggiore tutela Impediscono lo scarso riconoscimento del ruolo dell’AS oltre che la mancanza di conoscenze sull'operatività , la scarsità di risorse economiche a disposizione ed il difficoltoso rapporto tra tecnico e politico con amministrazioni in continuo cambiamento La mia professionalità viene indebolita dalla riduzione degli spazi di autonomia che l'attuale organizzazione del Dipartimento comporta. 18 Il fatto di lavorare presso un ente locale, ente che ha la titolarità del caso nel lavoro con l'utenza, è un punto di forza del lavoro. Grande punto di forza del lavoro all'interno dell'ente locale è la partecipazione all'ufficio di piano. Fattore che invece indebolisce il mio ruolo è legato al fatto di non essere assunta direttamente dall'ente. Altro punto di debolezza lo trovo nel rapporto con le figure politiche, che spesso creano interferenze con le situazioni in carico per la non conoscenza del ruolo dell'assistente sociale. 19 La possibilità di formazione continua la rinforza 20 Rinforzano:condividere la conoscenza ed il sapere, attivare flussi di stimoli e moltiplicarli; interagire con altri professionisti, servizi e con la propria comunità professionale (confronti con altre aa.ss., formazione, supervisione); essere riconosciuto come soggetto dotato di strumenti professionali consoni in grado di esplorare il possibile e di progettare al fine di fronteggiare con consapevolezza, responsabilità e “creatività” le “sfide sociali”. La poca considerazione della nostra figura indebolisce l'espressione della professionalità. Indeboliscono: dover, per ogni tipo di intervento, di progetto da attuare o in alcune situazioni per la gestione del caso stesso, attendere parere vincolante da assessori, funzionari o dirigenti in particolare se non appartenenti alla propria comunità professionale; solitudine professionale. 21 lavoro di rete tra professionisti nel rispetto dei diversi ruoli; supervisione o formazione mirata all'operatività; costruzione di sinergie ed alleanze con terzo settore, figure risorsa della comunità, reti di vicinato ecc. momenti di incontro sul territorio con la comunità per far conoscer maggiormente la nostra professionalità; l'accoglienza ed il ricevimento del pubblico quando si riesce a garantirla di qualità nonostante le 17 Fattori che indeboliscono: Eccessivo carico di lavoro che impedisce di seguire adeguatamente le situazioni e i progetti in atto. Carenza di personale. Poca chiarezza da parte dei responsabili sulle linee progettuali da seguire per le situazioni con problemi economici e abitativi ( a chi e quali servizi erogare, per quanto tempo, quali criteri applicare per i contributi economici ecc…) Rapportarsi con il potere politico che spesso cambia e muta le scelte dei progetti nei servizi. una scarsa considerazione del ruolo dell'assistente sociale spesso non solo dai cittadini per i loro pregiudizi, cosa più comprensibile, (a.s. = quella che porta via i bambini; as. viene a lavare il nonno ecc.) ma sempre più frequente da parte delle altre istituzioni che si permettono di individuare interventi propri della ns. professione (es. scuola che segnala situazioni e propone già come intervenire -adm ecc.- o contesta approfondimenti ed analisi della situazione come perdite di tempo chiedendo a domandarisposta immediata; avvocati che richiedono presenza as. agli sfratti come se fossimo un organo di polizia...); 41 condizioni lavorative. 22 23 Per primo punto credo essenziale la comunicazione con l’ente o con l’amministrazione comunale. L’assistente sociale lavora per il Comune e non contro, è quindi necessario rendere partecipe e collaborare affinché le risorse non vengano sprecate inutilmente. La collaborazione porta inoltre a lavorare con soggetti terzi, come possono essere gli uffici del Comune o operatori dei vari servizi. il fatto che siamo tre colleghe ed è possibile condividere pensieri ed opinioni in lavoro d’equipe la possibilità di aggiornarsi continuamente logica diffusa delegante che attribuisce al servizio sociale la soluzione dei problemi come se le persone e la comunità non fossero parte in causa; frammentazione di progetti, proposte, soggetti e difficoltà di svolgere un ruolo di regia o di costruzione di senso condivisa. la scelta da parte dell’Amministrazione di un responsabile non assistente sociale e non laureato, nonostante la presenza in servizio di tre assistenti sociali; l’opinione, ancora molto diffusa, che per fare l’assistente sociale, sia sufficiente il buon senso ed il buon animo; la carenza di personale amministrativo Non avere un ufficio da sola; Non poter delegare maggiormente funzioni più amministrative/burocratiche che fanno perdere tempo; L’urgenza, la fretta e altri fattori che rendono difficile l’applicazione delle attività descritte nella prima risposta.. Spesso può succedere che quando si lavora come dipendente presso un qualsiasi Ente, sia difficile esprimersi professionalmente sempre al meglio e soprattutto come noi lo desideriamo. Infatti ad esempio può capitare che quello che per noi rappresenta l’intervento più giusto da attuare, a causa di dinamiche interne non ci sia consentito farlo; invece in altre situazioni capita di essere costretti ad agire come non avremmo mai fatto. Sicuramente potevo fare meglio, ma non è semplice ragionare su questi temi in completa solitudine. 24 Lavorare con una collega; Avere un responsabile che gestisce l’ufficio con un metodo molto consultivo e partecipativo 25 Tuttavia nel mio caso in particolare, penso che lavorare in un struttura che accoglie diverse tipologie di utenze (disabili, anziani e malati terminali) possa aiutarmi ad ampliare la conoscenza di mondi diversi e quindi acquisire contemporaneamente esperienza in diversi ambiti lavorativi del servizio sociale. 26 -la possibilità di confronto con le colleghe e la possibilità di lavorare all'interno di un gruppo dove si possa condividere la quotidianità del nostro operare. -Un percorso su se stessi e la propria personalità, per affrontare al meglio la complessità delle problematiche con cui ci troviamo ad operare. -La formazione continua e permanente. -La supervisione professionale riconosciuta. 27 Sono presenti entrambi. Fattori che rinforzano la professionalità credo possano venire all’esterno del semplice “Ente di appartenenza”, quindi valorizzando le forme associate, l’Ufficio di Piano, le Aziende Territoriali, i gruppi tecnici di lavoro e di auto mutuo aiuto. Rispetto ai primi risulta particolarmente complesso lavorare in contesti di Enti con limitate risorse economiche: rimane invariata la lettura del bisogno da parte del professionista nei confronti dell’utenza, ma ne consegue, a fronte di una carenza di risorse a cui attingere, che si modificano i progetti sui casi e la funzione preventiva del disagio sociale si indebolisce. 28 I fattori che invece la rinforzano sono: la supervisione, la partecipazione a corsi di formazione, l’aggiornamento continuo e anche il vedere l’utenza maggiormente serena e, per quanto possibile più soddisfatta. I fattori che indeboliscono contrastano o riducono la mia professionalità sono alcune figure politiche, che, a volte, impediscono la nostra partecipazione ai corsi per il fatto che altrimenti l’ufficio resta scoperto! 29 Nel servizio dove lavoro vengo lasciata libera di organizzarmi come meglio ritengo ed il sostegno Ciò che reputo pesante è il carico burocratico amministrativo che, pur condividendo la necessità di 42 dei miei superiori è, comunque, gratificante. E' necessario condividere le scelte operative ed organizzative ed accettare eventuali modifiche imposte. 30 Fattori rinforzanti: alta considerazione dell'attività di raccordo che viene fatta con gli altri enti, buona capacità di confronto - collaborazione con professionisti di altre discipline, "creatività" che si può sfoggiare soprattutto rispetto ai progetti innovativi. 31 rendere tracciabile il proprio operato,sta diventando eccessivo Fattori che indeboliscono: budget sempre più ridotti, aumento della burocrazia, eccessiva attenzione per alcune norme (vedi legge sulla privacy) che a volte diventa pretesto per non fare. Un aspetto che appartiene un po' a tutte le grosse organizzazioni che riduce un po' l'espressione della mia professionalità è la macchina organizzativa ( i passaggi decisionali, i pareri contrastanti, i tempi....- vedi su progettazioni a medio-lungo termine) nonché, a volte, la difficoltà " a farti riconoscere" in quanto professionista all'interno della tua équipe di lavoro- il tema dell'integrazione professionale. 32 Ciò che rafforza la professione è: -la possibilità di confronto con le colleghe e la possibilità di lavorare all'interno di un gruppo dove si possa condividere la quotidianità del nostro operare. -Un percorso su se stessi e la propria personalità, per affrontare al meglio la complessità delle problematiche con cui ci troviamo ad operare. -La formazione continua e permanente. -La supervisione professionale riconosciuta. I fattori che indeboliscono la professione sono: -lo scarso riconoscimento economico, -il percorso universitario che non vede un'unica facoltà per la nostra professione e quindi indebolisce l'identità, -la burocratizzazione del nostro ruolo all'interno di enti e servizi, -la scarsa base teorica su cui si basa la professione e la mancanza di ricerca nella nostra materia, -il pensiero spesso condiviso che la nostra non sia una professione ma una missione e per questo non possiamo mai dire di no, non possiamo mai delegare e quindi veniamo definite le “TUTTOLOGHE dell'aiuto”, come se fare l'assistente sociale fosse sinonimo di volontariato. 33 La formazione continua può essere una risorsa positiva per risolvere il problema del rapporto/collaborazione con le altre professioni, ma per essere tale dovrebbe avere lo stesso riconoscimento anche da parte degli enti di appartenenza. 34 Ritengo di avere rafforzato la mia professionalità con la possibilità offerta di assumere responsabilità organizzative e di coordinamento nel servizio, nonché di svolgere attività in integrazione con altri servizi e dipartimenti, nella sperimentazione di modalità congiunte di definizione e raggiungimento degli obiettivi di salute. La partecipazione a programmi comunitari ed a tavoli integrati con altre realtà territoriali, in funzione della valorizzazione e dello sviluppo di risorse locali, penso mi abbia consentito di acquisire una diversa prospettiva professionale realizzando il mio ruolo in forma maggiormente promozionale. Non sempre il rapporto con le amministrazioni rispecchia i principi del servizio sociale; A volte la nostra figura professionale non viene adeguatamente riconosciuta all’interno dell’ente e ancor meno lo è la nostra formazione continua. L’operato soprattutto negli ultimi anni è condizionato da scelte amministrative e politiche ed economiche che ne limitano l’autonomia. Da non sottovalutare è la diversificazione che è presente su territorio italiano degli inquadramenti contrattuali che necessariamente creano differenze di diritti, riconoscimenti economici sia all’interno della professione che in rapporto ad altre ad esse equiparate. Contrasta invece la piena espressione di capacità professionali, la difficoltà di trovare un corrispondente riconoscimento formale ed economico conseguente a dinamiche aziendali di gestione delle risorse umane ed ai limiti di inquadramento contrattuale. 43 35 36 la rinforzano la capacità di proporre progetti/soluzioni/alternative; La flessibilità ha d’altro canto anche un punto di forza: offre nuovi stimoli, riduce il rischio di fossilizzarsi su posizioni talvolta poco gratificanti sia in termini professionali che personali. Il servizio sociale è sempre più un “distributore di contributi”, sempre meno un luogo di pensiero, progettazione, prevenzione, sostegno alla persona che non sia di tipo economico. Siamo di fronte a un cambiamento storico importante sia in termini di riorganizzazione di servizi che dei bisogni dell’utenza. Questo cambiamento storico, ci obbliga a fermarci, a ripensare i servizi e le modalità con le quali abbiamo operato nell’ultimo decennio: ciò credo possa trasformarsi in una grande opportunità per migliorare. Il confronto con i colleghi e la possibilità di evitare l’isolamento. La formazione continua come impegno eticoprofessionale. 37 38 39 riconoscimento dell’attività di servizio e del ruolo esercitato autonomia decisionale nella scelta delle modalità di intervento il confronto con le colleghe, la possibilità di supervisione sui casi 40 41 Il rinforzo principale viene dall’esperienza e dal suo riconoscimento da parte dell’Ente. 42 Personalmente sono contenta di far parte di un’equipe di un Servizio Pubblico che rispetta il mio ruolo professionale sia in termini di richiesta di appropriate consulenze che di pareri e/o interventi sui quali mi lascia ampia possibilità di scelta e campo libero (ove possibile) e che mi “accompagna”, senza sottrarsi a responsabilità, nelle situazioni più complesse e delicate. . Un aspetto, invece, che ritengo positivo 43 questi spazi di autonomia sono sempre più ridotti La richiesta da parte dell’ente di appartenenza di una figura flessibile, che si adatta in relazione alle necessità dettate dal momento storico, legislativo, interne al servizio (maternità, riduzioni di orario per esigenze personali…), spesso incide negativamente su una crescita professionale. Le competenze richieste a un’assistente sociale sono molteplici : si acquisisce un patrimonio di conoscenze in un settore specifico dopo anni di lavoro e non sempre questo viene adeguatamente riconosciuto. Ciò accade quando ad esempio ci si deve occupare dopo una maternità (nella migliore delle ipotesi) di un settore /area completamente diversa da quella per la quale si è lavorato per anni a discapito della specializzazione. L’assistente sociale rischia di diventare un professionista competente su materie/aree diverse senza la possibilità di approfondire, diventare “bravi”, specializzarsi appunto. Cambiamento per il quale il servizio sociale non è ancora pronto poiché non supportato da una seria progettazione socio-politica. I fattori che indeboliscono l’espressione della professionalità nel servizio sono la continua diminuzione delle risorse e l’aumento esponenziale delle richieste. Sempre più si pone attenzione al tema della valutazione per stanziare fondi in modo ragionevole e raggiungere gli obiettivi desiderati. La professionalità è rinforzata dalla capacità di programmare e valutare. Progettare significa trasformare intuizioni o ipotesi in pensieri ordinati, lineari e comunicabili limitatezza delle risorse economiche, umane e strumentali le poche risorse a dispostone per far fronte ai bisogni delle persone, la reputazione che nel tempo ci siamo costruite, il lavorare avendo poco tempo da dedicare alla riflessione Il principale fattore che indebolisce la mia professionalità all’interno dell’Ente in cui lavoro è la difficoltà di considerare l’assistente sociale (e la maggior parte delle altre figure impiegate) come professionista dotato di una propria autonomia. Spesso, infatti, l’assistente sociale, mi pare sia identificato esclusivamente con i servizi sociali, intesi come l’insieme dei servizi e delle prestazioni che possono essere erogati verso i soggetti in difficoltà, oppure come risolutore di problemi. Ad oggi sto ancora cercando i vantaggi. Per ciò che mi riguarda non percepisco fattori indebolenti diretti, se non la frammentata identità di gruppo professionale. Nella mia esperienza professionale, credo che sia elemento 44 all’interno di questo Ente è il fatto che vi sia da parte dei responsabili la disponibilità all’ascolto e alla valutazione delle proposte da me suggerite. 44 il lavoro all'interno di una equipe multidisciplinare la creatività intesa come capacità di lettura e di attenzione ai cambiamenti sociali e di individuazione delle risorse che l'ambiente può offrire l'attenzione alla normativa costantemente in evoluzione la disponibilità alla flessibilità. di debolezza l’essere l’unica Assistente Sociale di questo Ente, in un contesto lavorativo caratterizzato dalla presenza di amministrativi. Questo determina una scarsa conoscenza dello specifico professionale dell’Assistente Sociale e del suo ruolo. Contemporaneamente limita la ricchezza che scaturisce dal confronto con un collega relativamente alle situazioni di maggiore complessità In un servizio specialistico come il Ser.T, all'interno di una equipe multidisciplinare, la posizione contrattuale della assistente sociale (comparto) inferiore ad altre professioni (dirigenza) rende debole il potere decisionale rispetto ad altre figure. Per lo stesso motivo l' AS, all'interno dell'ente , può assai difficilmente ricoprire un ruolo di coordinamento e/o respnsabilità. i pochi strumenti teorico-scientifici specifici, che per formazione l' AS possiede, di supporto all'intervento operativo, riducono la possibilità di trasformare l'operato in teoria. Parole chiave rintracciate nelle scritture relative alla terza sollecitazione Parole ricorrenti ELEMENTI RAFFORZANTI RICONOSCIMENTO FORMAZIONE CONFRONTO N.ro volte 8 8 7 COMPRESENZA DI PIU' AA.SS. CONDIVISIONE SUPERVISIONE COINVOLGIMENTO AUTONOMIA COLLABORAZIONE PARTECIPAZIONE UFFICIO DI PIANO RISORSE FLESSIBILITA' COMPETENZA RELAZIONALE PROTAGONISTA CARICO DI LAVORO BUONE PRASSI 7 6 5 5 4 4 4 2 2 2 1 1 1 1 CHIARA CORNICE INTEGRAZIONE 1 1 GRATIFICAZIONE TUTELA TITOLARIETA' DEL CASO CONOSCENZA DEL RUOLO DA PARTE DELLA COMUNITA' RESPONSABILITA' CAPACITA' DI PROGETTARE 1 1 1 Parole ricorrenti ELEMENTI INDEBOLENTI LIMITATEZZA RISORSE RAPPORTO TECNICO POLITICO CARICO DI LAVORO AMMINISTRAZIONE LINEE INTERVENTO DIRETTIVE SCARSA AUTONOMIA CARICO AMMINISTRATIVO RIGIDITA' ORGANIZZATIVA SCARSA CONSIDERAZIONE RICONOSCIMENTO RUOLO CONSIDERAZIONE SOTTOVALUTAZIONE MANSIONI NON PROPRIE RUOLO NON RICONOSCIUTO RESPONSABILITA' RICONOSCIMENTO ECONOMICO SCARSA FLESSIBILITA' POCA CAPACITA' DI PROGETTARE SCARSA CONOSCENZA IDENTITA' GRUPPO PROFESSIONALE LEGAME TEORIA/PRATICA N.ro volte 8 6 4 4 4 4 3 2 2 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 45