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IL PARTENARIATO PUBBLICO PRIVATO:
TRA PROJECT FINANCING E SOCIETA’ MISTE
A cura di ERMINIA BARBATO* e GERARDO GUZZO**
SOMMARIO: 1.
PREMESSA. 2. CARATTERI GENERALI DEL PARTENARIATO
PUBBLICO-PRIVATO. 3. PPP DI TIPO "CONTRATTUALE." 3.1. IL PROJECT
FINANCING. 3.2. IL QUADRO NORMATIVO VIGENTE. 3.3. LA CONCESSIONE DI
LAVORI PUBBLICI. 4. Il PPP "ISTITUZIONALIZZATO". 4.1. LA SOCIETA’ MISTA. 5.
CONSIDERAZIONI FINALI.
1. PREMESSA
L’intento dell’odierno lavoro è quello di consegnare al lettore una serie di elementi di comprensione
per meglio orientarlo nella complessa opera di decodificazione di un tema particolarmente articolato
come il partenariato pubblico-privato (PPP), evidenziando gli aspetti più rilevanti della disciplina
di matrice europea e della normativa adottata al riguardo dal legislatore interno.
Innanzitutto, verranno sinteticamente rappresentate ed approfondite le linee fondamentali dettate in
subiecta materia, a partire dal Libro Verde adottato dalla Commissione europea il 30 aprile 2004.1
In particolar modo, si traccerà la distinzione in esso prevista tra forme di PPP di tipo “contrattuale”
e PPP di tipo “istituzionalizzato”.
*Sono da attribuirsi ad Erminia Barbato i paragrafi 2, 3, 3.1., 3.2., 3.3. ** Sono da attribuirsi a Gerardo Guzzo i
paragrafi 1, 4, 4.1., 5.
1
Cfr. Risoluzione del Parlamento europeo sui partenariati pubblico-privati e il diritto comunitario degli appalti pubblici
e delle concessioni (2006/2043(INI)); cfr. inoltre, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al
Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. Mobilitare gli investimenti pubblici e
privati per la ripresa e i cambiamenti strutturali a lungo termine: sviluppare i partenariati pubblico-privato (COM (2009)
615.
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Nello stesso tempo, verranno analizzate le diverse tipologie di PPP esistenti nel contesto italiano,
focalizzando l’attenzione sulla concessione di lavori pubblici e sull’istituto della società mista.
Infine, sarà affrontata la disciplina del project financing, sofisticata tecnica di finanziamento, il cui
tratto caratterizzante consiste nell’utilizzo di risorse contributive private.
Com’è noto, la disciplina concernente la finanza di progetto, prevista dal Codice dei contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, è stata oggetto, anche recentemente, di una serie di
modifiche legislative orientate, da un lato, a favorirne l’utilizzazione e, da un altro, a garantire il
coinvolgimento del mercato finanziario nel suo complesso.
L’importanza dei meccanismi di collaborazione tra settore pubblico e privati, dunque, risiede nel
fatto che essi potrebbero costituire un valido ed efficace strumento per la risoluzione delle crisi
finanziarie qualora venisse effettuata una corretta razionalizzazione della disciplina favorendo, così,
l’estensione dell’utilizzo delle diverse forme di PPP.
2. CARATTERI GENERALI DEL PARTENARIATO PUBBLICO-PRIVATO
Con l’espressione “partenariato pubblico-privato” s’intende l’insieme di quei modelli di
collaborazione tra il settore pubblico e il settore privato che hanno come obiettivo finale la
realizzazione dell’interesse pubblico. Tale forma di cooperazione pubblico-privato ha origini
anglosassoni2 ma la sua prima codificazione è stata elaborata in ambito comunitario. L’impiego di
siffatta tipologia di partnership è legato, principalmente, al verificarsi delle crisi finanziarie. Infatti,
l’erogazione agli utenti di servizi e la realizzazione d’infrastrutture pubbliche mediante l’ausilio di
partners privati consentono alla pubblica amministrazione di ottenere agevolmente i finanziamenti
necessari.3
2
È opportuno segnalare che finanziamenti privati in progetti pubblici trovarono per la prima volta attuazione per effetto
delle misure adottate del governo Thatcher. Difatti,essi avevano come obiettivo da un lato quello di ridurre l’intervento
nel mercato da parte dello Stato, dall’altro quello di diminuire i controlli del governo statale sulla spesa pubblica locale.
In realtà, occorre evidenziare che tale fenomeno ha origini ancora più remote; invero si rivengono siffatte forme di
collaborazione già a partire dalla Roma Repubblicana. Inoltre, verso la metà del XVII secolo era prassi dei Governi
concedere ai privati concessioni per l’erogazione di servizi pubblici essenziali con l’intento di ridurre i costi dovuti ad
una non efficiente burocrazia statale.
3
Cons. St. Ad. Plen. N. 1/2008: “(…) la ratio dell’istituto va rinvenuta nella difficoltà dell’amministrazione di reperire
risorse necessarie ad assicurare la fornitura di un’opera o di un servizio alla collettività. In un quadro di questo tipo, il
ricorso a capitali ed energie private diventa momento quasi ineludibile nel difficile compito di garantire un’azione
amministrativa efficiente ed efficace, fortemente improntata a criteri di economicità(…)”.
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La necessità di riequilibrare l’assetto della finanza pubblica, depauperata dalle profonde crisi che
hanno colpito l’economia mondiale, ha reso necessaria l’adozione di misure di ripresa tese a frenare
il moltiplicarsi dei rischi economici. Di qui l’indispensabilità di tale strumento di cooperazione
quale utile rimedio al superamento di situazioni di stallo che investono il settore economicofinanziario mediante, da un lato, la fruizione delle capacità tecnico-professionali degli operatori
privati e, dall’altro, il riparto dei rischi gravanti su entrambi i partners, facendone ricadere, tuttavia,
il cosiddetto “rischio d’impresa” essenzialmente sui soli operatori privati.
Così facendo, vengono garantite efficienza ed efficacia all’azione amministrativa in un quadro
unitario finalizzato all’attuazione del principio del buon andamento di cui all’art. 97 Cost.
A ben vedere, occorre rilevare che alcune forme di partenariato pubblico-privato (PPP) possono dar
luogo all’alterazione del principio europeo della concorrenza, soprattutto se si tiene conto delle
tecniche adottate per la scelta del partner privato.
Documento fondamentale in materia è rappresentato dal “Libro verde relativo ai Partenariati
pubblico-privati e al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni” che è stato
adottato dalla Commissione Europea il 30 aprile 2004 (Com 2004/327).4
Pare opportuno sottolineare come il Libro Verde della Commissione non fornisca alcuna
definizione di partenariato pubblico-privato ma, da un canto, ne mostri i tratti essenziali e, da un
altro, si limiti ad eseguire una ripartizione tra la gamma dei PPP di tipo strettamente “contrattuale” e
quelli c.d. “istituzionalizzati”.
Si tratta, dunque, di una forma di collaborazione tra autorità pubbliche ed imprese private che
ricomprende le seguenti attività: il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la
manutenzione di un’infrastruttura o una fornitura di un servizio.
La Commissione Europea ha posto l’accento su una doppia finalità: 1) quella di garantire opere e
servizi pubblici, anche in situazioni di restrizione del bilancio statale, e 2) quella di assicurare
l’utilizzo di metodologie
proprie del settore privato, al fine di ottenere un miglior rapporto
qualità/prezzo senza pregiudizio per l’interesse pubblico.
La Commissione, inoltre, ha evidenziato come questa forma di cooperazione tra settore pubblico e
settore privato non sempre sia capace di fornire la migliore soluzione da adottare e che sia sempre
opportuno valutare in concreto il risultato ottenibile.
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Cfr. Decisione Eurostat dell’11 febbraio 2004 – Decisione Eurostat n.18/2004
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Il Libro Verde, inter alia, individua quattro caratteristiche del partenariato pubblico-privato.
In primo luogo, stabilisce che i PPP sono caratterizzati da una durata medio-lunga. Essa deve essere
particolarmente lunga e, nello stesso tempo, idonea a far instaurare una collaborazione tra pubblico
e privato capace di eseguire puntualmente il progetto predisposto.
In secondo luogo, è richiesto il finanziamento privato. La Commissione, tuttavia, rileva che, in
alcuni casi, possono associarsi anche finanziamenti pubblici di esiguo valore. Difatti, l’apporto
contributivo privato assume un ruolo preponderante.
In terzo luogo, deve essere realizzata una ripartizione di funzioni tra partner pubblico e privato tale
che il primo definisca gli obiettivi da perseguire ed eserciti il controllo sulle varie operazioni,
residuando in capo al partner privato il compito di occuparsi della maggior parte delle fasi
progettuali (progettazione, realizzazione, attuazione e finanziamento).
Infine, è necessaria una ben precisa ripartizione dei rischi. Essi, di regola, gravano per la maggior
parte sul partner privato nonostante quest’ultima condizione non sia necessaria per la realizzazione
dei PPP. Ciò che al riguardo assume rilevanza è l’aver effettuato una puntuale ripartizione dei
rischi.
I progetti che possono essere realizzati per mezzo delle forme di cooperazione tra pubblico e privato
in discorso possono essere così individuati:5
1) progetti dotati di una intrinseca capacità di generare reddito attraverso ricavi dautenza. Sono
iniziative in cui i ricavi commerciali prospettici consentono al settore privato un integrale recupero
dei costi di investimento. Il coinvolgimento del settore pubblico è limitato all’identificazione delle
condizioni necessarie per consentire la realizzazione del progetto;
2) progetti che richiedono una componente di contribuzione pubblica. Sono iniziative icui ricavi
commerciali da utenza sono di per sé stessi insufficienti a generare adeguati ritorni economici, ma
la cui realizzazione genera rilevanti esternalità positive in termini di benefici sociali indotti dalla
infrastruttura;
3) progetti in cui il soggetto privato fornisce direttamente servizi alla pubblica amministrazione.
Sono tutte quelle opere pubbliche – carceri, ospedali, scuole – perle quali il soggetto privato che le
realizza e gestisce trae la propria remunerazione esclusivamente (o principalmente) da pagamenti
effettuati dalla Pubblica Amministrazione.
5
Così si rinviene in Finanza di Progetto 100 domande e risposte, ed. 2009, pp. 15-16.
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Come cennato in precedenza, il Libro Verde adottato dalla Commissione Europea effettua una
distinzione tra due forme di partenariato pubblico-privato: PPP strettamente “contrattuale” e PPP
“istituzionalizzato”.
La differenza risiede nel fatto che la prima tipologia di partenariato si fondi sostanzialmente su
convenzioni stipulate tra partner pubblico e partner privato; viceversa, il secondo modello di
partenariato si caratterizza per la creazione di un organismo terzo, distinto dalle due parti.
Entrambe le tipologie di PPP presumono che la gestione dell’opera o del servizio pubblico avvenga
in cooperazione tra pubblico e privato permettendo, in fatto, di differenziarle dalle esternalizzazioni.
Il diritto europeo non prevede un regime giuridico appositamente costituito per il fenomeno dei
PPP. Tuttavia, ad esso sono applicabili i principi previsti da TFUE e, in particolare, il principio
della libera concorrenza, i principi sulla libertà di stabilimento e sulla libera prestazione di servizi
ed, inoltre, i principi di trasparenza, parità di trattamento, proporzionalità e mutuo riconoscimento.
Principi, questi ultimi, che devono orientare l’operatore pubblico nella scelta del partner privato.
Da tanto ne consegue che ai partenariati pubblico-privato si applichino i principi comunitari in
materi di appalti pubblici. Il contratto di partenariato pubblico-privato trova cittadinanza all’interno
del sistema ordinamentale italiano, invece, nell’art. 3, comma 15 ter, del d.lgs. 12 aprile 2006 n.
163 (c.d. Codice dei contratti pubblici).
Le norme successive contengono un’elencazione delle forme di PPP esistenti. Ciononostante, le
norme contenute nel T.U. degli appalti regolamentano essenzialmente le sole forme di partenariato
di tipo contrattuale. Il partenariato di tipo “istituzionalizzato” è, invece, disciplinato indirettamente
per il tramite dell’articolo 32 del d.lgs. 163/2006 che al comma 3 esclude espressamente
l’applicabilità delle norme del Codice alle società pubbliche “(…) limitatamente alla realizzazione
dell'opera pubblica o alla gestione del servizio per i quali sono state specificamente costituite, se
ricorrono le seguenti condizioni: 1) la scelta del socio privato è avvenuta nel rispetto di procedure di
evidenza pubblica; 2) il socio privato ha i requisiti di qualificazione previsti dal presente codice in
relazione alla prestazione per cui la società è stata costituita; 3) la società provvede in via diretta
alla realizzazione dell'opera o del servizio, in misura superiore al 70% del relativo importo (…)”. In
sostanza, la norma si riferisce alle società miste costituite nel rispetto delle norme comunitarie di cui
si dirà meglio infra. Parimenti, le norme del d.lgs. n. 163/2006 trovano applicazione nei confronti
delle società strumentali, vale a dire quelle chiamate a gestire servizi non destinati ad essere
collocati sul mercato in regime di concorrenza, per effetto dell’articolo 32, comma 1, lett. c).
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Aspetto, quest’ultimo, che trova il suo naturale complemento nell’articolo 30, comma 5, del d.lgs.
163/2006 a tenore del quale “(…) Restano ferme, purché conformi ai principi dell'ordinamento
comunitario le discipline specifiche che prevedono, in luogo delle concessione di servizi a terzi,
l'affidamento di servizi a soggetti che sono a loro volta amministrazioni aggiudicatrici (…)”.
Le tipologie di partenariato espressamente regolamentate dal diritto interno si specificano nelle
concessioni di lavori e servizi, nel project financing, nelle società miste e, se ricorrono determinate
condizioni, nell’affidamento al general contractor. Con l’art. 44 d.l. n. 1 del 2012 è stato introdotto
tra i contratti di partenariato anche il c.d. “contratto di disponibilità”. Quest’ultimo, in particolare,
costituisce un contratto a prestazioni corrispettive nel quale la finalità pubblica è perseguita
attraverso un’opera che resta di proprietà privata. Nello specifico, l’art. 160 ter d.lgs. 163/2006,
rubricato “contratto di disponibilità”, evidenzia al comma 2 che l’affidatario - ovvero il privato assume il rischio della costruzione e della gestione dell’opera.
L’art. 3, comma 15ter, contempla, inoltre, anche la disciplina della “locazione finanziaria”.
L’enucleazione di tale forma contrattuale appare, secondo parte della dottrina6, alquanto discutibile
atteso che tra le forme di partenariato andrebbe, al massimo, inserito il solo leasing operativo. Di
diverso avviso, invece, sembra essere l’AVCP7 che, con determinazione 22 maggio 2013 n. 48,
inquadra la locazione finanziaria come forma di partenariato pubblico-privato.
3. IL PPP DI TIPO “CONTRATTUALE”
Nell’affrontare più dettagliatamente il tema del partenariato di tipo “contrattuale”, pare opportuno
segnalare che la Commissione Europea ne aveva individuate due forme. Infatti, esso assorbe, da un
lato, il c.d. modello concessorio e, da un altro , la Private Finance Iniziative (PFI).9
Il modello di tipo concessorio risulta caratterizzato da un legame diretto tra il privato e l’utente
finale del servizio, fermo restando la presenza del controllo pubblico. In altre parole, il partner
6
Cfr. S. Fantini, Il partenariato pubblico-privato con particolare riguardo al project financing e al contratto di
disponibilità in www.giustizia-amministrativa.it
7
L’AVCP è stata recentemente soppressa dall’articolo 19 del d.l. n. 90/2014.
8
Per una lettura integrale del testo della determinazione dell’AVCP n. 4/2013 si rinvia al sito www.avcp.it
9
Agli inizi degli anni ‘90 del secolo scorso la Gran Bretagna ha adottato un modello di PFI il quale si prefiggeva di
affidare al privato, attraverso un unico contratto, tutte le seguenti fasi: progettazione, finanziamento, costruzione
gestione e manutenzione dell’opera.
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privato riscuote i propri compensi per l’attività svolta direttamente dagli utenti del servizio
pubblico.
Quest’ultimo elemento costituisce il dato differenziale rispetto alla PFI. Infatti, con la Private
Finance Iniziative è il partner pubblico a corrispondere il compenso - di regola attraverso
pagamenti periodici - al privato. Sul privato grava, invece, il rischio di realizzazione e di gestione
dell’opera pubblica. Tale particolare forma di partnership contrattuale viene per lo più adottata
nella realizzazione di opere c.d. “fredde o tiepide” (ad. es. scuole ed ospedali).
In ambito comunitario il concetto di concessione di opere pubbliche appare notevolmente più
circoscritto poiché la Direttiva 2004/18/CE10 si riferisce unicamente alla concessione di lavori
pubblici e non a quella di pubblica utilità.
L’elemento caratterizzante la concessione è indubbiamente dato dalla circostanza per la quale
l’attività di gestione dell’opera d’interesse generale viene “ammortizzata” attraverso le somme
corrisposte dagli utenti per la fruizione dell’opera stessa. Così facendo, il rischio di gestione ricade
interamente sul privato.
Delineata la cornice europea del partenariato comunitario, occorre, brevemente, tracciare le linee
essenziali dell’istituto per come regolamentato dall’ordinamento giuridico italiano. Come in
precedenza già rilevato, l’art. 3, comma 15ter, del d.lgs. n. 163/2006 include tra le forme di
partenariato “contrattuale” la concessione di lavori e di servizi, il project financing, la locazione
finanziaria, il contratto di disponibilità e l’affidamento al general contractor in presenza di specifici
presupposti.
Le ipotesi più diffuse di partenariato contrattuale, indubbiamente, sono costituite dalla concessione
e dal project financing di cui si dirà meglio infra. Vale la pena, tuttavia, ricordare brevemente in
questa sede alcune caratteristiche dell’affidamento di lavori pubblici al cosiddetto “contraente
generale”.
L’istituto dell’affidamento al “contraente generale” è disciplinato dall’art. 176 del Codice dei
contratti pubblici. Esso, per effetto del combinato disposto con l’art. 3 comma 15ter, è ricompreso
tra le forme di PPP “ove il corrispettivo per la realizzazione dell’opera sia in tutto o in parte
posticipato e collegato alla disponibilità dell’opera per il committente o per utenti terzi”. In caso
10
La Direttiva n. 2004/18/Ue è stata abrogata dalla Direttiva n. 2014/24/Ue che unitamente alle Direttive n. 2014/23/Ue
e 2014/25/Ue dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 18 aprile 2016.
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contrario, infatti, il rischio continuerebbe a gravare sulla P.A. e non potrebbe includersi tra le forme
di PPP.
In particolare, nell’ordinamento giuridico italiano l’ambito operativo della figura, di origini
anglosassoni, del general contractor ricomprende le attività destinate alla realizzazione di
infrastrutture strategiche e di insediamenti produttivi. A mente degli articoli 173 e 176 del d.lgs. n.
163/2006, l’ente aggiudicatore ha la facoltà di affidare la realizzazione delle suddette opere ad un
soggetto dotato di competenze specifiche maturate nei citati ambiti materiali, sia tecnicoprofessionali che organizzative e finanziarie.
Il contraente generale, infatti, assume una molteplicità di obbligazioni tra cui quella di progettare, di
realizzare l’infrastruttura e di attivarsi nell’esecuzione di tutte le attività ad essa connesse in cambio
del corrispettivo pagato dal soggetto aggiudicatore in tutto o in parte al termine di ultimazione dei
lavori.
Si tratta, pertanto, di un soggetto dotato di forti capacità manageriali che, ciononostante, è privato
dell’attività di gestione dell’opera che viene affidata a terzi eventualmente da lui stesso selezionati.
Sotto questo aspetto è evidente la differenza rispetto all’istituto della concessione.
Le prestazioni cui il general contractor è obbligato sono analiticamente elencate dal comma 2
dell’art. 176. Esse sono riconducibili:
a) allo sviluppo del progetto definitivo e alle attività tecnico amministrative occorrenti al
soggetto aggiudicatore per pervenire all’approvazione dello stesso da parte del CIPE, ove
detto progetto non sia stato posto a base di gara
b) all’acquisizione delle aree di sedime; la delega di cui all’articolo 6, comma 8 del decreto
del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001 n. 327, in assenza di un concessionario, può
essere accordata al contraente generale;
c) alla progettazione esecutiva;
d) all’esecuzione con qualsiasi mezzo dei lavori e alla loro direzione;
e) al prefinanziamento, in tutto o in parte, dell’opera da realizzare;
f) ove richiesto, all’individuazione delle modalità gestionali dell’opera e di selezione dei
soggetti gestori;
g) all’indicazione, al soggetto aggiudicatore, del piano degli affidamenti, delle espropriazioni,
delle forniture di materiale e di tutti gli altri elementi utili a prevenire le infiltrazioni della
criminalità, secondo le forme stabilite tra quest’ultimo e gli organi competenti in materia”.
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La griglia normativa richiamata mostra abbastanza nitidamente che sul contraente generale grava
l’onere di anticipazione del finanziamento, in tutto o in parte, dell’opera da realizzare. Infatti, il
bando deve predeterminare il valore della quota dell’opera realizzata dal contraente generale con
anticipazione di risorse proprie nonché i tempi e i modi di pagamento del prezzo (art. 176 comma
12). L’oggetto del contratto, in altre parole, si sostanzia in un’obbligazione di risultato con annesso
onere di prefinanziamento dell’opera.
Ulteriore aspetto che in questa sede merita essere ricordato è la facoltà riconosciuta al general
contractor di provvedere alla realizzazione dei lavori, alternativamente, id est o in via diretta o
attraverso sub-affidamento totale a soggetti terzi che dovranno, di conseguenza, possedere gli stessi
requisiti di qualificazione richiesti per il contraente generale. In tal caso, trova applicazione
l’articolo 118 “(…) fermo restando che in sede di offerte egli ha il compito di individuare le
imprese esecutrici in una quota non inferiore al 30% dei lavori da eseguire mediante subaffidamento (…).”
L’aggiudicazione avviene secondo le regole dell’evidenza pubblica e, nello specifico, mediante
procedura ristretta, come previsto dall’articolo 177. Salvo quanto disposto dal Capo IV, i rapporti
tra contraente generale e soggetti terzi sono rapporti di diritto privato, disciplinati, pertanto, dal
codice civile.
È evidente che, l’utilizzazione dell’istituto de quo potrebbe garantire alla P.A., al termine di
ultimazione dei lavori, l’ottenimento di un’opera completa e “pronta all’uso”.
Ovviamente, l’affidamento a contraente generale è unitario e avviene secondo le regole
dell’evidenza pubblica .
3.1. IL PROJECT FINANCING
Il project financing integra una tecnica di finanziamento caratterizzata dall’apporto contributivo
privato.
Tecnica molto diffusa nei Paesi anglosassoni, si è sviluppata intorno agli anni ’20 del secolo scorso
nel Nord America laddove le banche assumevano il rischio finanziario riguardante progetti per la
realizzazione di infrastrutture petrolifere. Essa è espressione del PPP di tipo “contrattuale” e
costituisce una sorta di completamento della concessione di opere pubbliche. La disciplina è
correntemente prevista dagli artt. 153 ss. d.lgs. 163/2006.
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L’adozione di tale tecnica di finanziamento è indissolubilmente legata alla natura dell’opera che si
vuole finanziare; generalmente, si tratta di opere pubbliche che hanno la capacità di autofinanziarsi
e, pertanto, risultano in qualche modo “appetibili” per i finanziatori privati i quali, per questo
motivo, prima di concedere il finanziamento, analizzano il progetto da realizzare.
La logica d’impresa che spinge il privato consiste nel poter trarre dalla gestione dell’opera un
profitto calibrato sui rischi sostenuti: ecco perché è necessario che l’opera di interesse pubblico o di
pubblica utilità sia in grado di generare flussi di cassa.
In primo luogo, l’impiego di un siffatto strumento finanziario permette di garantire la realizzazione
di opere di particolare interesse pubblico, riducendo l’aggravio dei costi sul bilancio pubblico e
facendo assumere il rischio finanziario ai soggetti privati. In secondo luogo, il privato è
maggiormente favorito poiché un eventuale fallimento del progetto non è potrà mai ricadere
completamente sul proprio bilancio.
Com’è ovvio, la fase gestionale riveste una spiccata centralità giacché solo una gestione efficiente
ed efficace permetterebbe di creare flussi di cassa idonei a compensare il capitale di rischio
impiegato.
Un’operazione di project financing può essere suddivisa in tre fasi:

Progettazione e costruzione (in questa fase le risorse finanziarie vengono garantite dagli
istituti finanziatori a favore del progetto);

Start-up (si verifica se il progetto è idoneo a generare flussi di cassa attraverso la
sottoposizione a test di verifica);

Gestione operativa (il progetto comincia a generare flussi di cassa).11
È evidente che la finanziabilità dell’operazione ovvero il carattere self-liquidating del progetto
costituiscono fattore imprescindibile per l’operazione stessa e, per tali circostanze, giova
preliminarmente accertarne in concreto la redditività. È consentita, così, da un lato, la copertura dei
costi sostenuti per la realizzazione e, dall’altro, il rimborso del capitale di rischio investito. Ecco
perché nell’implementazione del progetto assume un ruolo preponderante la predisposizione del
piano economico-finanziario. Inoltre, la capacità della società di progetto di emettere obbligazioni
(project bond) permette di moltiplicare le fonti di finanziamento: la società ottiene in tale maniera
immediatamente liquidità e un maggiore coinvolgimento del mercato dei finanziatori privati.
11
L’istituto, di origine anglosassone, è stato introdotto per la prima volta con la legge delega 21 dicembre 2001 n. 443
(c.d. Legge Obiettivo) e con il successivo decreto attuativo del 20 agosto 2002 n. 190. La disciplina è stata, poi, trasfusa
nell’art. 176 d.lgs. 163/2006.
10
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Le opere che possono essere oggetto di project financing possono essere così distinte:

Opere calde. Si tratta di quelle infrastrutture pubbliche che hanno un’elevata capacità di
generare ricavi così da coprire i costi sostenuti per la realizzazione del progetto;

Opere tiepide. Rientrano in questa categoria le opere pubbliche che producono un
quantitativo di flussi di cassa inidoneo a compensare l’intero investimento e richiedono una
percentuale di contribuzione pubblica;

Opere fredde. Vi appartengono quelle opere che possono essere utilizzate direttamente dalla
pubblica amministrazione che in cambio remunera il privato.
In dottrina è molto discussa la natura giuridica del project financing12. L’orientamento
maggioritario13ritiene sussistere al riguardo la fattispecie del collegamento negoziale piuttosto che
considerare l’intera procedura come un contratto tipico; in realtà, in essa si sommano profili
progettuali e contrattuali nel senso che vengono a crearsi vari rapporti contrattuali attorno
all’operazione di finanziamento.
La struttura tipica utilizzata in Italia di project financing è quella dei BOT (build, operate and
transfert): la società di progetto costruisce e gestisce l’infrastruttura fino al recupero completo
dell’investimento iniziale dopo di ché trasferisce l’opera all’amministrazione aggiudicatrice.
Dagli artt. 152, comma 3, e 156, comma 1, è possibile derivare la particolare flessibilità del project
financing che può essere utilizzato sia per finanziare opere che servizi pubblici14.
La ratio dell’istituto è quella non di finanziare il settore privato per la realizzazione di opere
d’interesse pubblico o di pubblica utilità bensì quella di sostenere finanziariamente un progetto che
ha se stesso la capacità di recuperare l’investimento effettuato.
Nonostante gli indubbi effetti benefici dell’istituto in parola sulle casse pubbliche, si registrano, a
tutt’oggi, diffuse difficoltà che ne impediscono il definitivo decollo. Nel dettaglio, ciò che
impedisce un ampio utilizzo di tale meccanismo di finanziamento sono, da un lato, la complessità
del procedimento di aggiudicazione e di allocazione dei rischi e, dall’altro, gli elevati costi associati
a competenze non sempre adeguate nell’ambito della P.A.
12
Per una esaustiva analisi cfr. A. SAPORITO, Il project financing e le opere pubbliche in
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13
G. RABITTI, Il project finance e il collegamento contrattuale, inContr. Impr., 1996; contra C. PAGLIETTI, Profili
civilistici del project financing, in Nuova giur. civ. comm., 2003.
14
Cfr. art. 278 d.p.r. 207/2010 (c.d. regolamento di esecuzione contratti pubblici).
11
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3.2. LA NORMATIVA VIGENTE: CENNI
L’art. 3, comma 15ter, del Codice degli appalti pubblici inserisce tra le forme di PPP “l’affidamento
di lavori mediante finanza di progetto”.
La primigenia codificazione della materia risale alla legge quadro n. 109/1994, meglio conosciuta
come “legge Merloni”, poi novellata per effetto della legge n. 215/1995 (c.d. Merloni-bis). Tuttavia,
sarà la legge n. 415 del 1998 (la legge cd. “Merloni-ter”) a collocare la finanza di progetto
all’interno della legge quadro n. 109/1994 attraverso l’inserimento degli articoli dal 37bis al
37nonies. In seguito, la materia sarà ancora novellata dalla legge n. 166/2002 (c.d. Merloniquater)15che riconoscerà al promotore il diritto di prelazione. Tale diritto, però, verrà
successivamente espunto dal nostro ordinamento con per effetto del d.lgs. n. 113/2007, in quanto
contrastante con i principi comunitari tutt’oggi previsti dal TFUE ed attinenti alla libera
concorrenza, alla parità di trattamento e al divieto di discriminazioni16. La ratio dell’espunzione
risiede nel fatto che il diritto di prelazione farebbe assumere al promotore un’indebita posizione di
vantaggio rispetto agli altri concorrenti.
Certamente più significativa e profonda sono state le novità apportate alla disciplina del project
financing dal d.lgs. n. 152/2008 che non solo ha abrogato gli artt. 154 e 155 ma ha anche riscritto
completamente l’art. 153 d.lgs. 163/2006 inserendo ben tre opzioni procedimentali.
La previgente disciplina prevedeva un unico procedimento ad iniziativa di parte distinto in tre fasi.17
Nello specifico, in un primo momento, era selezionata la migliore proposta; poi si procedeva al
raffronto tra l’offerta e i due competitors; infine, veniva avviata la procedura negoziata.
In sostanza, la fase di presentazione e valutazione comparativa delle proposte ed il momento
dell’evidenza pubblica erano palesemente distinte.
L’odierna disciplina, invece, si compone di tre modelli procedimentali.
Il primo è quello è interamente costruito sulla gara unica (gara monofase) che, ai sensi del comma 1
dell’art. 153, riguarda lavori pubblici o lavori di pubblica utilità inseriti nella programmazione
15
La legge comunitaria 2004, come rimedio alla procedura d’infrazione sfociata poi in una assoluzione per l’Italia, ha
modificato l’art. 37bis l. 109/1994 prevedendo un’adeguata pubblicità per quanto concerne il diritto di prelazione del
promotore.
16
Cfr. C. Giust. Ce, sez.II, 21 febbraio 2008, in C-412-04 Commissione Ce c. Repubblica Italiana.
17
Prescrizione contenuta nell’art. 37bis legge 109/1994 c.d. legge quadro in materia di lavori pubblici.
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triennale e nell’elenco annuale di cui all’art. 128 del Codice degli appalti, nonché negli strumenti di
programmazione formalmente approvati dall’amministrazione aggiudicatrice in base alla normativa
vigente. L’opera viene affidata per il tramite di una concessione e tutta la progettazione costituisce
onere in capo al concessionario18. Pare opportuno segnalare che l’Adunanza Plenaria del Consiglio
di Stato, con la sentenza n. 1 del 15 aprile 2010, ha sostenuto l’autonomia tra la fase
d’individuazione del promotore e quella successiva di gara per l’affidamento della concessione.
Siffatto modulo procedimentale prevede un bando per ogni singola opera pubblica senza prelazione
e - in seguito al d.l. 22 giugno 2012 n. 83 - l’indizione della gara sulla base di uno studio di
fattibilità predisposto dall’Amministrazione e l’impiego del criterio di aggiudicazione dell’offerta
economicamente più vantaggiosa. A base della gara, pertanto, viene posto lo studio di fattibilità e
non il progetto preliminare diversamente da come accade per l’affidamento della concessione di
opere pubbliche. Lo studio di fattibilità può essere predisposto dall’amministrazione aggiudicatrice
oppure adottato ai sensi del comma 19.
In questa procedura a gara unica il bando richiede ulteriori requisiti rispetto a quello previsto per la
concessione di lavori pubblici.
Il comma 3 dell’art. 153 specifica che l’amministrazione aggiudicatrice può chiedere al promoter di
apportare modifiche al progetto e, solo in seguito ad accettazione ed eventuale adeguamento del
PEF, la concessione viene aggiudicata. Inoltre, se le modifiche proposte non sono accolte, la P.A. si
rivolge ai successivi partecipanti in graduatoria. La concessione è affidata con l’approvazione del
progetto preliminare. Il bando di gara deve anche contenere il disciplinare di gara ex comma 7.
Il comma 8 dell’art. 153 circoscrive la partecipazione alla procedura a coloro che, oltre ai requisiti
generali dell’art. 38, possiedono anche i requisiti previsti dal regolamento del concessionario anche
associando o consorziando altri soggetti. Le offerte contengono un progetto preliminare, una bozza
di convenzione, il PEF, e l’asseverazione di un istituto di credito, di una società di servizi o di una
società di revisione.
Il secondo modello viene, invece, previsto dal comma 15. Tale modello prevede il bando con diritto
di prelazione (reintrodotto rispetto al precedente decreto correttivo) e la doppia gara (gara bifasica).
Al termine della procedura di gara, il promotore non ottiene automaticamente l’aggiudicazione ma
solamente il diritto di prelazione qualora egli decida di adeguare la propria offerta a quella
18
Ad. Plen. 28 gen. 2012 n. 1 ha specificato che l’atto di scelta del promotore (con il quale quest’ultimo assume una
vera ed effettiva posizione di vantaggio) è immediatamente ed autonomamente lesivo, e, pertanto, immediatamente
impugnabile da parte degli interessati.
13
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economicamente più vantaggiosa. In questo caso, l’affidamento della concessione è integralmente
in capo al privato.
Rispetto al primo modulo procedurale la gara appare alquanto libera da formalità.19
Ebbene, tale modello prevede la previa pubblicazione del progetto preliminare; poi una nuova gara
fondata sul progetto preliminare approvato e le offerte del promotore valutate con il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Se vi sono diverse offerte economicamente più vantaggiose rispetto al promotore, questi ha
quarantacinque giorni di tempo per adeguare la propria offerta a quella del miglior offerente e, così
facendo, si aggiudica il contratto con obbligo a suo carico di rimborso delle spese di partecipazione
alla gara al miglior offerente. In caso contrario, il miglior offerente diventerà aggiudicatario con
rimborso delle spese al promotore.
Infine, il terzo modello è previsto dal comma 16 dell’art. 153. È il modello ad iniziativa privata che
trova applicazione nel caso di inerzia serbata dalla Pubblica Amministrazione. In altri termini, se la
P.A. non procede alla pubblicazione di bandi di gara, l’iniziativa viene assunta dai privati. Sono i
privati a presentare le proposte entro e non oltre quattro mesi qualora la P.A., pur essendo tenuta a
pubblicare i bandi entro sei mesi dall’approvazione dell’elenco annuale di cui al comma 1, non lo
abbia fatto.
Entro sessanta giorni dalla scadenza del suddetto termine, la P.A. aggiudicatrice pubblica un avviso
contenente i criteri di valutazione delle proposte. Entro novanta giorni da detta pubblicazione
possono essere presentate proposte nuove o rielaborate. In seguito, le proposte sono esaminate entro
sei mesi dal termine precedente.
Se la P.A. ritiene che le proposte siano di pubblico interesse, successivamente si addiviene ad una
doppia gara; viceversa, se sono necessarie modifiche al progetto preliminare la P.A. procede al
dialogo competitivo20.
A ben vedere, appare netta la differenza tra le procedure ad iniziativa della P.A. e quelle ad
iniziativa privata. Infatti, secondo quanto previsto dal comma 16, la valutazione delle proposte
compiuta dall’amministrazione ha ad oggetto il pubblico interesse; per converso, negli altri due
19
Cons. St., sez. V, n. 3319 del 28 maggio 2009.
Qualora i presupposti per procedere al dialogo competitivo non siano esistenti, la dottrina considera come non
presentata alcuna proposta di pubblico interesse e, pertanto, sostiene l’interrompersi della procedura. Sul punto v. G.
GUZZO, Appalti Pubblici, Milano,Giuffrè editore, 2013 p. 70-71.
20
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schemi procedurali il “pubblico interesse” viene definito a priori dalla amministrazione
aggiudicatrice ed è su quello che i privati devono calibrare la propria iniziativa.
È appena il caso di sottolineare che il d.l. 13 maggio 2011 n. 70, convertito nella legge n. 106/2011,
ha novellato il comma 19 prevedendo una sorta di quarto modello che si caratterizza nella sua
dinamica procedimentale per la forte somiglianza al modello vigente prima della novella del 2008.
Più nel dettaglio, una approvato il progetto preliminare, esso viene posto a base di gara per
l’affidamento della concessione. Al proponente, denominato “promotore”, viene riconosciuto il
diritto di prelazione.
L’adozione di quest’ultimo modello risponde alle critiche mosse in passato da certa dottrina21 che
aveva sostenuto che il vincolo di programmazione triennale avrebbe avuto non solo la finalità di
evitare la realizzazione di opere superflue per il soddisfacimento dell’interesse pubblico ma anche
avrebbe finito per costituire un vincolo allo stesso utilizzo del project financing.
Di particolare importanza, poi, è l’art. 156 del d.lgs. n. 163/2006 che disciplina la società di
progetto (SPV cioè Special Purpose Vehicle) il cui scopo è quello di raccogliere il finanziamento e
destinarlo alla realizzazione dell’opera. Aspetto di non poco momento è che la SVP surrogherà
l’aggiudicatario dell’appalto nel rapporto di concessione divenendo parte a titolo originario. In
questo modo, è possibile separare i flussi di cassa ottenuti dalla gestione del progetto dagli altri
ricavi di diverse attività principali dei promotori, garantendo quella separazione patrimoniale e
giuridica tra il progetto (per mezzo della società di progetto) e i promotori richiesta dal Legislatore.
L’art. 157 del Codice degli appalti pubblici si occupa, invece, delle obbligazioni emesse dalla
società di progetto. Si tratta di obbligazioni nominative o al portatore emesse anche in deroga ai
limiti di cui agli articoli 2412 e 2483 c.c.22, purché destinati alla sottoscrizione ad opera di
investitori qualificati ( c.d. project bond).
21
F. GRECO., La natura giuridica delle procedure di project financing dopo il terzo decreto correttivo al codice degli
appaltiin www.giustizia-amministrativa.it; E. MELE, in AA.VV., La disciplina dei contratti pubblici, a cura di G. Baldi
e R. Tomei, Milano, 2007.
22
L’art. 2412 c.c., rubricato Limiti all’emissione, stabilisce: “(…) La società può emettere obbligazioni al portatore o
nominative per somma complessivamente non eccedente il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle
riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio approvato. I sindaci attestano il rispetto del suddetto limite.
Il limite di cui al primo comma può essere superato se le obbligazioni emesse in eccedenza sono destinate alla
sottoscrizione da parte di investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali. In caso
di successiva circolazione delle obbligazioni, chi le trasferisce risponde della solvenza della società nei confronti degli
acquirenti che non siano investitori professionali.
15
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Gli articoli 158 e 159, invece, riguardano gli aspetti patologici della vicenda negoziale. Entrambi
investono l’aspetto risolutivo ma, mentre l’articolo 158 ha una portata generale, l’articolo 159
concerne l’ipotesi di risoluzione del rapporto concessorio per inadempimento del concessionario.
La necessità di garantire una maggiore accessibilità al mercato dei capitali attraverso un più fruibile
utilizzo di project bonds ha reso indispensabili alcune modifiche alla griglia normativa di
riferimento. In particolare, l’art. 13 del d.l. n. 133 del 12 settembre 2014,23 recante “Misure urgenti
Non è soggetta al limite di cui al primo comma, e non rientra nel calcolo al fine del medesimo, l'emissione di
obbligazioni garantite da ipoteca di primo grado su immobili di proprietà della società, sino a due terzi del valore degli
immobili medesimi.
Al computo del limite di cui al primo comma concorrono gli importi relativi a garanzie comunque prestate dalla società
per obbligazioni emesse da altre società, anche estere.
I commi primo e secondo non si applicano alle emissioni di obbligazioni destinate ad essere quotate in mercati
regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione ovvero di obbligazioni che danno il diritto di acquisire ovvero
di sottoscrivere azioni.
Quando ricorrono particolari ragioni che interessano l'economia nazionale, la società può essere autorizzata con
provvedimento dell'autorità governativa, ad emettere obbligazioni per somma superiore a quanto previsto nel presente
articolo, con l'osservanza dei limiti, delle modalità e delle cautele stabilite nel provvedimento stesso.
Restano salve le disposizioni di leggi speciali relative a particolari categorie di società e alle riserve di attività (…).”
Inoltre, l’art. 2483 c.c., rubricato Emissione di titoli di debito prevede che“(…) Se l'atto costitutivo lo prevede, la
società può emettere titoli di debito. In tal caso l'atto costitutivo attribuisce la relativa competenza ai soci o agli
amministratori determinando gli eventuali limiti, le modalità e le maggioranze necessarie per la decisione.
I titoli emessi ai sensi del precedente comma possono essere sottoscritti soltanto da investitori professionali soggetti a
vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali. In caso di successiva circolazione dei titoli di debito, chi li
trasferisce risponde della solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali
ovvero soci della società medesima.
La decisione di emissione dei titoli prevede le condizioni del prestito e le modalità del rimborso ed è iscritta a cura
degli amministratori presso il registro delle imprese. Può altresì prevedere che, previo consenso della maggioranza dei
possessori dei titoli, la società possa modificare tali condizioni e modalità.
Restano salve le disposizioni di leggi speciali relative a particolari categorie di società e alle riserve di attività (…)”.
23
L’art. 13 d. l. n. 133 del 12 settembre 2014, in G.U. n. 212 del 12 settembre 2014, rubricato “Misure a favore dei
project bond”, così dispone: 1. Al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 157: 1) al comma 1, le parole "del regolamento di attuazione" sono sostituite dalle seguenti:
"dell'articolo 100"; dopo le parole: "decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58" sono inserite le seguenti: "fermo
restando che sono da intendersi inclusi in ogni caso tra i suddetti investitori qualificati altresi' le società ed altri
soggetti giuridici controllati da investitori qualificati ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile"; le parole: "sono
nominativi" sono sostituite dalle seguenti: "possono essere dematerializzati"; le parole "non si applicano gli articoli
2413 e da 2414-bis a 2420 del codice civile" sono sostituite dalle seguenti: "non si applicano gli articoli 2413, 2414bis, commi 1 e 2, e da 2415 a 2420 del codice civile"; 2) al comma 2, le parole: "I titoli e la relativa documentazione di
offerta devono" sono sostituite dalle seguenti: "La documentazione di offerta deve"; 3) al comma 3, dopo le parole:
"avvio della gestione dell'infrastruttura da parte del concessionario" sono inserite le seguenti: "ovvero fino alla
scadenza delle obbligazioni e dei titoli medesimi";4) dopo il comma 4 sono aggiunti i seguenti: "4-bis Le garanzie,
reali e personali e di qualunque altra natura incluse le cessioni di credito a scopo di garanzia che assistono le
obbligazioni e i titoli di debito possono essere costituite in favore dei sottoscrittori o anche di un loro rappresentante
che sarà legittimato a esercitare in nome e per conto dei sottoscrittori tutti i diritti, sostanziali e processuali, relativi
alle garanzie medesime.
4-ter Le disposizioni di cui al presente articolo non pregiudicano quanto previsto all'articolo
176, comma 12, del presente decreto in relazione alla facoltà del contraente generale di emettere obbligazioni secondo
quanto ivi stabilito"; b) all'articolo 159: 1) al comma 1 dopo le parole: "gli enti finanziatori" sono inserite le seguenti:
"ivi inclusi i titolari di obbligazioni e titoli similari emessi dal concessionario" 2) al comma 2-bis le parole: "di
16
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per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la
semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività
produttive,” ha inciso alcune parti dell’art. 157 del d.lgs. n. 163/2006 inserendo due nuovi commi:
il 4bis ed il 4ter. Inoltre, la novella del 2014 ha modificato gli articoli 159, commi 1 e 2bis, 160
comma 1, 160ter, comma 6 secondo periodo, l’art. 2414bis del codice civile ed, infine, alcune
modifiche hanno riguardato anche il d.l. 83/2012, convertito nella legge del 7 agosto 2012, n. 134.
Le novità legislative emerse dal decreto legge c.d. “Sblocca Italia”, da un lato, appaiono orientate a
favorire l’equiparazione tra la definizione d’investitore qualificato e quella prevista dalla normativa
fiscale, mercé le modifiche apportate al c.d. decreto sviluppo 83/2012, estendendo la suddetta
qualifica anche a società o a soggetti giuridici controllati dagli stessi investitori qualificati. In questo
senso va interpretato l’inciso introdotto al comma 1 dell’art. 157 che, appunto, stabilisce “che sono
da intendersi inclusi in ogni caso tra i suddetti investitori qualificati altresì le società ed altri
soggetti giuridici controllati da investitori qualificati ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile”;
da un altro lato, gli aggiustamenti legislativi introdotti dal d.l. n. 133/2014 puntano ad ampliare la
fruibilità di siffatti titoli obbligazionari nel mercato dei capitali attraverso l’eliminazione dei project
bonds aventi forma nominativa obbligatoria.24
Inoltre, sempre nell’ottica di favorire gli investitori nel mercato dei capitali, vengono snellite le
procedure di costituzione e di trasferimento delle garanzie prestate a favore degli obbligazionisti,
come è possibile ed agevolmente ricavare dal nuovo comma 4bis dell’art. 157 il quale prevede che
le garanzie “che assistono le obbligazioni o i titoli di debito possono essere costituite in favore dei
progetto costituite per" sono eliminate e sono sostituite con le parole "titolari di"; c) All'articolo 160, comma 1, dopo le
parole: "che finanziano" sono inserite le seguenti: "o rifinanziano, a qualsiasi titolo, anche tramite la sottoscrizione di
obbligazioni e titoli similari,"; dopo le parole "beni mobili" sono inserite le seguenti: ", ivi inclusi i crediti,". d)
All'articolo 160-ter, comma 6, al secondo periodo, dopo le parole "Il contratto individua, anche a salvaguardia degli
enti finanziatori" sono inserite le seguenti: "e dei titolari di titoli emessi ai sensi dell'articolo 157 del presente decreto".
2. All'articolo 2414-bis del codice civile e' aggiunto, in fine, il seguente comma: "Le garanzie, reali e personali e di
qualunque altra natura e le cessioni di credito in garanzia, che assistono i titoli obbligazionari possono essere
costituite in favore dei sottoscrittori delle obbligazioni o anche di un loro rappresentante che sara' legittimato a
esercitare in nome e per conto dei sottoscrittori tutti i diritti, sostanziali e processuali, relativi alle garanzie
medesime.". 3. All'articolo 1 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7
agosto 2012, n. 134, sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 3 e' sostituito dal seguente: "3. Le garanzie
di qualunque tipo, da chiunque e in qualsiasi momento prestate in relazione alle emissioni di obbligazioni e titoli di
debito da parte delle società di cui all'articolo 157 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonche' le relative
eventuali surroghe, sostituzioni, postergazioni, frazionamenti e cancellazioni anche parziali, ivi comprese le cessioni di
credito stipulate in relazione a tali emissioni, nonche' i trasferimenti di garanzie anche conseguenti alla cessione delle
predette obbligazioni e titoli di debito, sono soggetti alle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa di cui
rispettivamente al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 e al decreto legislativo 31 ottobre
1990, n. 347.". b) il comma 4 e' abrogato.
24
Cfr. Comunicato del Consiglio dei Ministri n. 27 del 29 agosto 2014 in www.governo.it
17
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sottoscrittori o anche di un loro rappresentante che sarà legittimato a esercitare in nome e per
conto dei sottoscrittori tutti i diritti, sostanziali e processuali, relativi alle garanzie medesime”. In
tal modo, le predette garanzie vengono estese perfino ai crediti del concessionario e possono,
pertanto, ricoprire qualsiasi forma di finanziamento. Infine, giova sottolineare che il novellato
ultimo comma dell’art. 157 chiarisce, senza mezzi termini, che restano salve le disposizioni al
riguardo applicate all’emissione di obbligazioni da parte del contraente generale.
Da ultimo, va ricordato che l’art. 19 del d.l. 69/2013, convertito nella l. 9 agosto 2013 n. 98, ha
introdotto il comma 21bis all’art. 153 al fine di assicurare la “bancalità”. In questo modo viene
garantita, quindi, anche per le operazioni in finanza di progetto il coinvolgimento degli istituti di
credito. L’intervento legislativo risponde, inoltre, all’esigenza che connota lo stesso DNA proprio
della disciplina del project financing. In altri termini, s’intende finanziare, attraverso l’ausilio degli
istituti bancari, progetti bisognosi d’ingenti investimenti economici al fine di far fronte alle carenze
di capitale sofferte dal bilancio pubblico.
L’importante ruolo ricoperto dagli istituti finanziari emerge, ulteriormente, dalla possibilità per gli
stessi di impedire la risoluzione del rapporto concessorio designando una società che subentri nella
concessione al posto del concessionario25.
Il rinvio operato dal comma 21bis dell’art. 153 all’articolo 144, commi 3bis 3ter e3quater,
permette, in altre parole, di assicurare, anche nelle operazioni in finanza di progetto, il segnalato
coinvolgimento degli istituti bancari nelle scelte concernenti la realizzazione delle opere pubbliche
assicurando, così, concrete aspettative di finanziamento26.
3.3.LA CONCESSIONE DI LAVORI PUBBLICI
Altra ipotesi di partenariato pubblico privato contrattuale, certamente di maggiore diffusione, è la
concessione. L’istituto in parola è stato da ultimo interessato da alcune modifiche legislative
introdotte dal c.d. “Decreto del fare”, il d.l. n. 69/2013, convertito, con modificazioni, nella legge 9
agosto 2013 n. 98.
25
Cfr. art. 159 d.lgs. 163/2006.
ROMITELLI G., Appalti pubblici: cosa cambia dopo il decreto del fare; in Il Sole 24 Ore del 26 agosto 2013.
26
18
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In generale, la normativa nazionale fa riferimento all’istituto della concessione all’interno del
Codice dei contratti pubblici (il più volte citato d.lgs. 163/2006), fornendo una duplice definizione.
Invero, l’art. 3, comma 11, nella formulazione derivata dalla l. n. 214/2011, stabilisce che la
concessione di lavori pubblici consiste in un contratto a titolo oneroso, stipulato per iscritto, avente
ad oggetto l’esecuzione, ovvero la progettazione esecutiva e l’esecuzione, ovvero la progettazione
definitiva, la progettazione esecutiva e l’esecuzione di lavori pubblici o di pubblica utilità, e di
lavori ad essi strutturalmente e direttamente collegati, nonché la loro gestione funzionale ed
economica, con le stesse caratteristiche di un appalto di lavori pubblici ad eccezione del fatto che il
corrispettivo consista unicamente nel diritto di gestire l’opera o in tale diritto accompagnato da un
prezzo. In aggiunta, l’art. 3, comma 12, definisce la c.d. “ concessione di servizi” caratterizzandola
e differenziandola rispetto all’appalto pubblico di servizi sulla base del corrispettivo che coincide,
nel caso di specie, con il diritto di gestione del servizio così come specificato dal comma 2 dell’art.
30.
Il discrimen tra il contratto di concessione di lavori o di servizi e l’appalto di opere o servizi risiede
proprio nelle modalità di versamento del corrispettivo e nella diversità dei soggetti tenuti a
corrispondere lo stesso. Già il Libro Verde della Commissione europea si preoccupava di
sottolinearne espressamente le diversità. In seguito, nell’ordinamento interno l’AVCP, oggi ANAC,
con la determinazione n. 2 dell’11 marzo 2010, aveva evidenziato la differenzia tra concessione e
appalto pubblico. La diversità, nella ricostruzione compiuta dall’AVCP, risiederebbe nella diversa
ripartizione dei rischi; infatti, nel caso della concessione, graverebbe sul privato, oltre al rischio
imprenditoriale, presente anche nel contratto di appalto, anche il rischio di gestione dell’opera o del
servizio.27
Le norme che regolamentano la concessione di lavori pubblici sono quelle contenute negli artt. 142
seg. del d.lgs. 163/2006.
27
Nello specifico, Determinazione n. 2/2010 AVCP: “Caratteristica peculiare dell’istituto concessorio è l’assunzione
da parte del concessionario del rischio connesso alla gestione dei servizi cui è strumentale l’intervento realizzato, in
relazione alla tendenziale capacità dell’opera di autofinanziarsi, ossia di generare un flusso di cassa derivante dalla
gestione che consenta di remunerare l’investimento effettuato.
Nella concessione di lavori pubblici l’imprenditore, di regola, progetta ed esegue l’opera ed attraverso la gestione e lo
sfruttamento economico dell’opera stessa ottiene in cambio i proventi a titolo di corrispettivo per la costruzione,
eventualmente accompagnato da un prezzo.”….. “In assenza di alea correlata alla gestione, non si configura la
concessione bensì l’appalto, nel quale vi è unicamente il rischio imprenditoriale derivante dalla errata valutazione dei
costi di costruzione rispetto al corrispettivo che si percepirà a seguito dell’esecuzione dell’opera. Nella concessione, al
rischio proprio dell’appalto, si aggiunge il rischio di mercato dei servizi cui è strumentale l’opera realizzata e/o il c.d.
rischio di disponibilità”.
19
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Nello specifico, come cennato, l’impianto generale contenuto nelle norme innanzi segnalate, ha
subito degli “aggiustamenti” per mano del c.d. “Decreto del fare”, convertito nella legge n. 98/2013,
che hanno riguardato gli artt. 143 e 144 e che possono riassumersi, essenzialmente, negli aspetti di
seguito elencati:
-
le dichiarazioni del soggetto concedente;
-
i presupposti per ottenere la revisione del piano economico-finanziario (PEF);
-
la previsione di una consultazione preliminare con gli operatori economici;
-
il coinvolgimento degli istituti finanziari già all’atto di avvio delle procedure di gara;
-
la possibilità di prevedere clausole di risoluzione del contratto di concessione per mancato
reperimento dei finanziamenti privati.
Tali novità sono state introdotte al fine di superare le difficoltà esistenti nella realizzazione dei PPP,
causate soprattutto dall’incapacità di pervenire alla conclusione del finanziamento desiderato.
Viene, così, favorita la “bancalità” ed il closing finanziario.
Più in particolare, gli elementi fondanti della novella del 2013, riguardo l’articolo 143, possono così
sintetizzarsi:
a) il comma 5 dell’art. 143 (concernente la cessione, a titolo di prezzo, al concessionario in
proprietà o in diritto di godimento di beni immobili) viene modificato per effetto di
integrazioni: “all’atto della consegna dei lavori il soggetto concedente dichiara di disporre
di tutte le autorizzazioni, licenze, abilitazioni, nulla osta, permessi o altri atti di consenso
comunque denominati previsti dalla normativa vigente e che detti atti siano legittimi, validi
ed efficaci”;
b) viene emendato il comma 8 del suddetto articolo ampliando le ipotesi di revisione del piano
economico-finanziario e prevedendo la necessaria previa verifica dal parte del CIPE, sentito
il NARS (Nucleo di consulenza per l’attuazione delle linee guida per la regolazione dei
servizi di pubblica utilità);
c) è stato inserito un nuovo comma 8bis il quale prevede che la convenzione definisce i
presupposti e le condizioni del PEF e che le variazioni non imputabili al concessionario,
determinanti una modifica del piano, ne comportano la revisione;
d) è stata prevista una ulteriore definizione di PEF legata ad indicatori di redditività, di capacità
di rimborso del debito, nonché la procedura di verifica e la cadenza temporale degli
adempimenti connessi.
20
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L’articolo 144, invece, concerne le procedure di affidamento delle concessioni di lavori pubblici.
L’affidamento può avvenire sia con procedura aperta sia ristretta purché il criterio utilizzato per la
scelta dell’offerente sia quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Il comma 3bis è stato integrato, per effetto del d.l. n. 69/2013 convertito con modifiche nella legge
n. 98/2013, mediante l’introduzione nella procedura ristretta di una consultazione preliminare con
gli operatori economici. Ciò avviene al fine di verificare le criticità di progetto sotto il profilo della
finanziabilità con possibilità di aggiornamento dei termini di presentazione delle offerte. Peraltro, le
modifiche escludono dalla consultazione preliminare l’importo delle misure di defiscalizzazione cui
all’art. 18 l.183/2011 (legge stabilità 2012) e all’art. 33 del d.l. 179/2012, nonché eventuali
contributi pubblici.
Di particolare rilevanza è il comma 3ter a norma del quale il bando di gara può prevedere che
l’offerta sia corredata dalla sottoscrizione della manifestazione d’interesse dell’istituto finanziatore
a reperire finanziamenti per la realizzazione dell’opera, anche in considerazione dei contenuti dello
schema di contratto e del piano economico-finanziario.
Viene, dunque, confermato il ruolo dell’istituto finanziatore in termini di “terzo soggetto” con cui la
P.A. è chiamata a dialogare.28
Il successivo comma 3quater prevede la possibilità da parte della P.A. di introdurre clausole di
risoluzione in caso di mancata sottoscrizione del contratto di finanziamento. Ciò sarebbe, inoltre,
possibile anche in mancanza di sottoscrizione o del collocamento di obbligazioni di progetto di cui
all’art. 157, entro un congruo termine, non superiore a ventiquattro mesi dalla data di approvazione
del progetto definitivo.
Va precisato che il concessionario può comunque utilizzare ulteriori e diverse forme di
contribuzione.
La risoluzione non comporta il rimborso delle spese sostenute da parte del concessionario.
Infine, nel caso di finanziamento parziale del progetto, e comunque per uno stralcio tecnicamente ed
economicamente funzionale, il bando di gara può prevedere che il contratto di concessione rimanga
valido limitatamente alla parte che regola la realizzazione o la gestione del medesimo stralcio
funzionale.
28
In particolare si vedano gli artt. 143 comma 7 e 153 comma 9 d.lgs. 163/2006.
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4. IL PPP “ISTITUZIONALIZZATO”
Il partenariato pubblico-privato “istituzionalizzato” è una forma di cooperazione che evolve verso la
costituzione di un organismo distinto di natura terza. Tale operazione può avvenire mediante
creazione ex novo di un ente dotato di personalità giuridica oppure per effetto del passaggio di
un’impresa pubblica al privato, fermo restando il controllo pubblico sulla gestione e sulle decisioni
strategiche.
In altri termini, il partenariato pubblico-privato genera, quale ipotesi principe, dei moduli societari a
capitale misto, vale a dire in parte pubblico ed in parte privato. La scelta del partner privato avviene
secondo le regole dell’evidenza pubblica fissate dalla disciplina comunitaria.
La comunicazione interpretativa della Commissione (C-2007/6661), a suo tempo, ha chiarito che a
livello comunitario non esiste una normativa specifica sulla costituzione di un PPP istituzionalizzato
che, dunque, viene regolato dai principi generali del diritto europeo in materia di appalti pubblici e
concessioni. Il testo comunitario evocato, una volta affermata l’applicabilità dei principi comunitari
previsti in materia di appalti, tra i quali trasparenza, mutuo riconoscimento e proporzionalità,
evidenzia i momenti salienti della procedura costitutiva di un PPPI. Nello specifico, essa è
teleologicamente orientata sia verso la costituzione di una nuova impresa, il cui capitale è detenuto
congiuntamente dal partner pubblico e dal partner privato, che verso la partecipazione del partner
privato ad una preesistente impresa pubblica. Nondimeno importante è apparsa la possibilità che la
procedura di aggiudicazione al partner privato avvenga mediante dialogo competitivo.
Ovviamente, nel caso in cui la selezione del socio privato non rientri nel perimetro di applicazione
delle direttive sugli appalti pubblici e concessioni, troveranno sempre e comunque applicazione i
principi sanciti dai Trattati europei.
4.1. LA SOCIETA’ MISTA
La società mista integra un organismo unitario a partecipazione pubblica e privata utilizzato
frequentemente come modello di gestione dei servizi pubblici locali. Esso, in particolare, viene
soprattutto costituito per la gestione di servizi pubblici di rilevanza economica e per attività
strumentali in luogo dell’affidamento in house ed in alternativa alle esternalizzazioni. Ciò non
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esclude, come osservato in innumerevoli pronunce giurisprudenziali nazionali ed europee29, che tale
figura organizzativa venga impiegata anche in ambiti estranei ai servizi pubblici locali ma
comunque funzionali all’esercizio dell’azione amministrativa.
L’istituto della società mista è, dunque, collocabile all’interno del fenomeno del partenariato
pubblico-privato. Nello specifico, l’art. 3, comma 15ter, del d.lgs. n. 163/2006 espressamente
inserisce il meccanismo regolatorio della società mista tra i contratti de quibus.
Il paradigma normativo nazionale, prima dell’esito referendario dell’11 e 12 giugno 2011, conferiva
un’importanza centrale all’articolo art. 113 comma 5 lett. b) del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267
(T.U.E.L.)30. Oggi, per effetto degli stravolgimenti legislativi intervenuti nell’ultimo triennio 20112014, è possibile rinvenire un ulteriore significativo dato di diritto positivo nell’art. 1, comma 2, del
Codice dei contratti pubblici che prevede espressamente che “(…) nei casi in cui le norme vigenti
consentono la costituzione di società miste per la realizzazione e/o la gestione di un’opera pubblica
o di un servizio, la scelta del socio privato avviene con le procedure dell’evidenzia pubblica (…)31.
L’inquadramento
dell’istituto
nelle
forme
di
partenariato
pubblico-privato
di
tipo
“istituzionalizzato” è avvenuto a seguito della pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di
Stato n. 1/2008 la quale ha riconosciuto l’applicabilità dei principi contenuti nei Trattati europei alle
società miste32.
Tuttavia, all’epoca della pronuncia dell’Adunanza Plenaria, la Corte di Giustizia non aveva ancora
preso una chiara posizione sull’ammissibilità dell’affidamento diretto a società miste. Infatti, essa si
era pronunciata, incidenter tantum, l’11 gennaio 2005 nella causa C-26/03, Stadh Halle sostenendo
29
Ex multis, Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza del 20 aprile 012, n. 2348; Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza
del 16 marzo 2009, n. 1555; Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza dell’8 luglio 2008, n.4603; CGCE, sentenza del 15
ottobre 2009, C-196/2008.
30
In esso è confluito l’art. 22 l. 142/1990.
31
Il comma 5 dell’articolo 113 bis del d.lgs. 267/2000, così recitava: “5. L'erogazione del servizio avviene secondo le
discipline di settore e nel rispetto della normativa dell'Unione europea, con conferimento della titolarità del servizio:
(…)b) a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l'espletamento di
gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in
materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o
circolari specifiche; (…)”.Tale comma risulta abrogato per effetto del combinato disposto dell’art. 23bis d.l. 25 giugno
2008 n. 112 conv. L. 6 agosto 2008 n. 133 e dall’art. 12 d.p.r. 168/2010. L’art. 23bis d.l. 25 giugno 2008 n. 112 è stato
abrogato con referendum abrogativo in seguito al d.p.r. 18/7/2011 n. 113. L’art. 4 d.l. 13.8.2011 n. 138 riprende gran
parte del contenuto dell’art. 23 bis. La Corte Cost. 199/2012 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo tale articolo
perché contrastante con il recedente referendum.
32
Sul tema si rinvia a G. GUZZO, “Società miste e affidamenti in house nella più recente evoluzione legislativa e
giurisprudenziale”; Giuffrè Editore (2009); pag. 61-64.
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che deroghe ai principi comunitari (concorrenza e parità di trattamento tra le imprese) sarebbero
state permesse solamente per il modello dell’in house providing.
Al riguardo, è opportuno evidenziare i diversi tentativi, sia della dottrina sia della giurisprudenza
nazionale,33 tesi a rendere compatibile tale istituto con la normativa comunitaria e, in particolar
modo, con il principio della concorrenza.
La questione, infine, è stata rimessa nel 2007 all’Adunanza Plenaria.34 Il giudice a quo, in
quell’occasione, riepilogò i tre indirizzi elaborati dalla giurisprudenza comunitaria del tempo. Un
primo orientamento marcava l’inequivocabile distinzione tra affidamento diretto e affidamento
mediante gara; un secondo indirizzo accreditava la tesi dell’affidamento diretto a società miste
senza alcuna procedura di evidenza pubblica; infine, una terza posizione intermedia, riprendendo il
parere del Consiglio di Stato, Sezione II, n. 456/2007, ammetteva il ricorso alla società mista solo
nell’ipotesi in cui, senza costituire di per sé affidamento diretto, rappresentasse una modalità
organizzativa con cui la P.A. avrebbe potuto controllare l’affidamento in parola al “socio operativo”
della compagine societaria, motivando adeguatamente la scelta. Le società miste venivano, così,
incluse nelle forme di partenariato “istituzionalizzato” e da ciò ne veniva fatta discendere la
necessità di rispettare il principio comunitario della libera concorrenza.
L’Adunanza Plenaria, recepì quest’ultimo indirizzo di natura intermedia, peraltro in linea anche con
la giurisprudenza della CGE, ed, inoltre, aggiunse che: “(…) allo stato
e in mancanza di
indicazioni precise da parte della normativa e della giurisprudenza comunitaria , non sia
elaborabile una soluzione univoca o un modello definitivo. Si corre il rischio di dar luogo a
interpretazioni preater legem, che potrebbero non trovare l’avallo della Corte di Giustizia (…)”35.
La Corte di Giustizia, con la sentenza
Acoset Spa del 15 ottobre 2009, C-196/08, ha
successivamente confermato l’orientamento del Consiglio di Stato espresso nel parere della Sezione
II, n. 456/2007.
In particolare, i giudici lussemburghesi hanno osservato che l’affidamento diretto in genere è
inammissibile con specifico riferimento alle società miste. L’elusione dei principi dell’evidenza
33
In particolare, Cons. St., sez. V, 3672/2005 ha considerato la società mista come concessione esercitata sotto forma di
società. Di contrario avviso la Sezione Siciliana del Consiglio di Stato (C.G.A. Sicilia 589/06 ) che riteneva sussistente
la violazione delle regole della concorrenza. Cfr. G. GUZZO, “Società miste e affidamenti in house nella più recente
evoluzione legislativa e giurisprudenziale”; Giuffrè Editore (2009); op. cit.
34
Cons. St., sez. V, 5587/2007.
35
Per un approfondimento sul tema si rinvia a G. GUZZO, “Società miste e affidamenti in house”; Giuffrè Editore
(2009); op. cit.
24
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pubblica è possibile solo se l’affidamento è interno alla P.A. mentre è da escludersi nel caso in cui il
servizio venga totalmente esternalizzato. Ciò che connota le società miste, dunque, è una sorta di
esternalizzazione parziale nella quale l’affidamento si realizza all’atto di scelta del partner privato
atteso che ne vengono determinati compiti, funzioni, durata e meccanismi di liquidazione della
quota in caso di mancata nuova aggiudicazione all’esito della nuova gara indetta dopo la cessazione
del rapporto.36
L’affidamento diretto di un servizio pubblico a società con capitale misto, pertanto, consegue
direttamente alla scelta del partner privato, che deve avvenire sempre con gara, e che, pertanto, non
sarà un mero “socio finanziario” ma un vero e proprio “socio operativo” o “industriale”.
In seguito, l’art. 4, comma 8, del d.l. n. 95 /2012, convertito con modifiche nella legge n. 135/2012,
ha cristallizzato il divieto di affidamento diretto del servizio a beneficio delle società in house
chiamate a gestire i SPL di rilevanza economica omettendo, tuttavia, qualsiasi riferimento alle
società miste37 per la cui costituzione continuano ad applicarsi i principi comunitari dell’evidenza
pubblica nella scelta del partner privato come, del resto, anticipato dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 24/201138.
5. CONSIDERAZIONI FINALI
Gli argomenti affrontati svelano le potenzialità degli strumenti di cooperazione pubblico-privato
trattati non solo nell’ambito della realizzazione di opere pubbliche ma anche in tema di erogazione
di servizi per la collettività.
36
F. BELLOMO, Nuovo sistema di diritto amministrativo Vol. II, Bari, Diritto e Scienza, pp.1061 ss.
Testualmente, la disposizione statuisce: “A decorrere dal 1° gennaio 2014 l’affidamento diretto può avvenire solo a
favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla
giurisprudenza comunitaria per la gestione in house e a condizione che il valore economico del servizio o dei beni
oggetto dell’affidamento sia complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro annui. Sono fatti salvi gli affidamenti in
essere fino alla scadenza naturale e comunque fino al 31 dicembre 2014” (La Corte costituzionale, con sentenza n. 229
del 2013, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 8 nella parte in cui si applica alle Regioni ad autonomia
ordinaria).
38
Infatti, scrivono i supremi Giudici: “(…) Nel caso in esame, all’abrogazione dell’art. 23-bis, da un lato, non
conseguirebbe alcuna reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo (reviviscenza, del resto, costantemente esclusa
in simili ipotesi sia dalla giurisprudenza di questa Corte − sentenze n. 31 del 2000 e n. 40 del 1997 –, sia da quella della
Corte di cassazione e del Consiglio di Stato); dall’altro, conseguirebbe l’applicazione immediata nell’ordinamento
italiano della normativa comunitaria (come si è visto, meno restrittiva rispetto a quella oggetto di referendum)
relativa alle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento della gestione di
servizi pubblici di rilevanza economica (…)”.
37
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Al riguardo, è opportuno segnalare la presenza di recenti interventi legislativi che sembrano
proiettati ad evidenziare la centralità assunta nel nostro ordinamento dall’istituto del partenariato
pubblico-privato.
Nello specifico, va segnalata la Direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di
concessioni per la quale è fissato come termine di recepimento il 18 aprile 2016.
Da tale articolato normativo si desume l’importante ruolo che i PPP hanno assunto nel Public
Procurement Network.
Il testo di legge in parola prevede, tra l’altro, l’unificazione della disciplina delle concessioni di
lavori e di quella di servizi e la permanenza del rischio operativo in capo al concessionario privato
nonché l’estensione delle disposizioni previste per gli appalti in tema di procedure di ricorso.
Il contesto legislativo italiano, a sua volta, si caratterizza per il tentativo organico del Governo
contenuto nel documento denominato “Destinazione Italia”39, il cui obiettivo consiste nel
coinvolgere gli investimenti esteri e nell’incrementare la competitività delle imprese italiane. In
particolare, la “Misura n. 36”, al fine di favorire l’estensione dell’utilizzo dei PPP, prevede di
coinvolgere i capitali privati nella realizzazione di opere complesse riguardanti settori strategici (ad
es. autostrade, ferrovie); la “Misura n. 37”, inoltre, dichiara l’obiettivo di sviluppare i PPP
nell’ambito delle piccole e medie infrastrutture al fine di superare i limiti della finanza pubblica
attraverso la creazione di una disciplina speciale dei PPP al di fuori del Codice dei contratti
pubblici.
Non meno importante risulta essere il Comunicato del Consiglio dei Ministri n. 27 del 29 agosto
2014 il cui scopo è quello di favorire l’aumento degli investimenti privati e il maggior utilizzo di
project bond e dal quale emerge che il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge
delega per il recepimento delle Direttive n. 2014/23/Ue, n. 2014/24/Ue e n. 2014/25/Ue che
dovrebbero dare la stura ad un unico Codice dei Contratti e delle Concessioni Pubbliche.
In conclusione, il quadro legislativo appena delineato sembra valorizzare appieno l’utilizzo del
partenariato pubblico-privato, favorendone la razionalizzazione delle forme e garantendone una
sempre maggiore appetibilità.
39
Si tratta di un documento programmatico varato dal Governo lo scorso 19 settembre 2013 che definisce un complesso
di misure finalizzate a favorire in modo organico e strutturale l’attrazione degli investimenti esteri e a promuovere la
competitività delle imprese italiane, che verranno introdotte progressivamente nell’ordinamento secondo una tempistica
che costituirà l’agenda del Governo.
26
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