"Le contraddizioni della primavera tunisina".

Transcript

"Le contraddizioni della primavera tunisina".
Indice:
Introduzione....................................................................................................2
La rivoluzione dei gelsomini. …...........................................................................6
1.1. Uno sguardo al passato. La Tunisia di Bourguiba e di Ben Ali...............................................6
1.2. Cause sociali e politiche. L’esplosione della rivolta nel dicembre 2010...............................10
1.3. Con gli occhi dell’ “Occidente”. Breve accenno all’atteggiamento politico e mediatico........16
1.4. Le prime elezioni e l’inizio del processo di transizione........................................................20
Parte I – Case Study: Il ruolo delle donne nella rivoluzione..........................27
2.1. L'immagine della donna, dentro e oltre i confini dell'immaginario........................................28
2.2. La battaglia per i diritti della donna in Tunisia.......................................................................34
2.3. La transizione: nuove contraddizioni, nuove sfide................................................................44
2.4. Social Forum: nuovi orizzonti e prospettive. Focus sulle associazioni partecipanti.............50
Allegato: Le donne in Tunisia, garanti del futuro della democrazia. Interviste e contributi..........57
Parte II – Case Study: Movimenti artistici underground e resistenza............63
3.1. Nascita e diffusione della cultura hiphop, dall'America al Mar Mediterraneo.......................64
3.2. Musica, creatività e resistenza in Tunisia.............................................................................71
3.3. Ricombinazione dei confini sociali: graffiti-writing e arte di strada.......................................89
Allegato: Murales e graffiti realizzati tra il 2011 e il 2012. Fotografie..........................................95
Conclusioni.........................................................................................................98
Allegati..............................................................................................................101
Bibliografia........................................................................................................114
1
Introduzione:
Questo elaborato si propone come obiettivo lo svolgimento di un'analisi della
situazione politica attuale in Tunisia, approfondita attraverso il punto di vista
della società civile. Una scelta di questo tipo nasce dall'intenzione di restituire
protagonismo al popolo tunisino, ovvero a coloro che sono stati i diretti attori
delle rivolte, portando alla caduta del regime di Zine El-Abidine Ben Ali. Queste
donne e questi uomini sono stati poi spesso dimenticati dalle analisi sociopolitiche concernenti la fase di transizione, il cui oggetto, molte volte, è la mera
comprensione dei processi elettorali e di composizione del nuovo governo.
Esperienza fondamentale alla base di questa ricerca è stato un viaggio in
Tunisia della durata di un mese e in particolare la mia partecipazione al
Maghreb Social Forum (svoltosi a Monastir nel luglio 2012), il quale mi ha
permesso di incontrare e conoscere molte persone, ognuna a suo modo
speciale. Ho potuto così ascoltare numerose testimonianze, che mi hanno
aiutato a comporre il giusto mosaico e a farmi un'idea complessiva dei
mutamenti che stanno attraversando la Tunisia, nella consapevolezza che
questo elaborato non è che un piccolo tassello di una indagine che meriterebbe
un lavoro ben più ampio e approfondito. La stesura dell'elaborato, dunque, è
stata svolta nel tentativo di rappresentare al meglio non solo le sfide e
prospettive, ma anche e soprattutto le contraddizioni e le criticità di un processo
rivoluzionario e di transizione ancora pienamente in atto e di cui si fatica a
immaginare l'esito.
In particolare, ho scelto di concentrarmi sul punto di vista della società civile
sviluppandolo la mia ricerca attraverso due case study. Il primo riguarda il ruolo
svolto dalle donne all'interno della società tunisina, il secondo concerne
l'importanza della diffusione della cultura hiphop e delle arti urbane tra le
giovani generazioni. Ne analizzo, infatti, gli sviluppi in rapporto al contesto
politico durante il regime di Ben Ali e il processo di transizione, poiché ritengo
che entrambe siano questioni strettamente connesse ai rapporti di forza e di
potere nella società tunisina e all'articolazione delle sue strutture. Partendo
dall'assunto che la concezione dell'identità sia un carattere fondante, insito
2
nell'essere umano e necessario a costruire il senso di sicurezza e ordine, ho
analizzato
come
la
diffusione
del
terrore
e
della
paura
attraverso
rappresentazioni mistificate di “categorie” o “identità” costruite ad hoc, abbia
permesso di giustificare politiche di chiusura, discriminazione e controllo. La
ricerca dimostra, in seguito, come tanto l'attivismo delle donne, quanto l'uso la
musica rap e dei graffiti come mezzo di espressione, si siano rivelate strategie
creative e originali che hanno ridefinito i rapporti di forza con il potere,
sottraendosi al regime di governabilità imposto dalle strategie di controllo.
L'elemento attorno al quale si sviluppa la mia ricerca è la capacità delle
donne e degli artisti di strada -praticata in modi differenti- di riuscire a dar vita
all'ibridazione delle identità e alla loro ricombinazione, reinventando soggettività
nuove che sfuggono a ogni categorizzazione, facendo della molteplicità e delle
differenze la propria arma. In questo senso, nel corso di tutto l'elaborato ho
provato ad approfondire i processi sociali che attraversano la fase della
transizione politica tunisina. Ho cercato di descrivere la molteplicità e la
complessità della storia e della composizione sociale, della Tunisia, un paese
che da secoli ospita e accoglie in sé molte soggettività differenti per tradizioni,
cultura, lingua o religione. La mia ricerca si è svolta perciò nell'intenzione di non
fermarmi alle prime apparenze e di non riporre in alcuni episodi circoscritti più
attenzione di quanta essa meritino. Ho cercato di lasciare da parte
generalizzazioni o enfatizzazioni che poco rappresentano in realtà la
complessità sociale tunisina, provando invece ad approfondire, elaborare e
dare ad ogni cosa il suo giusto peso. La mia indagine si è sviluppata attraverso
l'individuazione, l'analisi e la rielaborazioni di fonti molto differenti: ho utilizzato
interviste, video-documentari e video amatoriali pubblicati in rete da giovani
tunisini, testi di canzoni, articoli sui blog e immagini.
Ho tradotto da diverse lingue, poiché mi sono lasciata catturare dalla
curiosità, ma spesso mi sono riscontrata con la quasi totale inesistenza di fonti
italiane appropriate. Perciò, mi sono servita della rete e ho conosciuto i pensieri
e le analisi di blogger, giornalisti e scrittori indipendenti, artisti o semplici ragazzi
che altrimenti mai avrei potuto incontrare. Ho cercato di avere un atteggiamento
3
critico che mi permettesse di andare oltre gli articoli di giornale che ci giungono
qui in Italia, spesso poco approfonditi e, alcune volte, mossi da pregiudizi o
rappresentazioni orientalistiche.
L'elaborato si compone dunque di un primo capitolo di introduzione storica,
passaggio necessario alla contestualizzazione degli argomenti di ricerca, e si
suddivide poi in due sezioni, nelle quali vengono affrontati i case study.
Il capitolo introduttivo prende in esame la storia della Tunisia a partire dagli
anni successivi all'indipendenza e presenta le riforme e le politiche più
significative messe in atto a partire dal 1957 fino agli anni '90, per comprendere
ciò che esse hanno determinato all'interno della società civile tunisina. Ho
cercato inoltre di mettere in evidenza le differenze e le analogie del governo di
Bourguiba, considerato “illuminato”, con il successivo governo di Ben Ali,
autocratico e repressivo. Ho riportare i pensieri e le sensazioni dei tunisini,
attraverso l'uso di testimonianze e interviste, lasciando spazio anche a opinioni
divergenti, poiché senza di esse ritengo difficile comprendere le contraddizioni e
le sfide che la fase di transizione pone, presentando le quali concludo il primo
capitolo.
Segue la prima parte, nella quale la ricerca si focalizza sul primo case study:
il ruolo delle donne come agente sociale nel paese Tunisino. Viene esposta
inizialmente una rapida presentazione della storia dei differenti movimenti
femminili e femministi nel nord Africa e in Tunisia, tramite la quale cerco anche
di analizzare il modo in cui le questioni di genere e la difesa delle donne
abbiano svolto una parte fondamentale nella contrapposizione culturale tra
Oriente ed Occidente e nella lotta all'Islam. Presento in seguito i diversi aspetti
caratterizzanti le politiche sui diritti umani e sui diritti delle donne attuate da Ben
Ali, ripercorrendo gli effetti sociali prodotti da esse negli ultimi vent'anni, fino a
mettere in luce le contraddizioni riguardanti la questione femminile che
attraversano la fase attuale di transizione. Per riportare un quadro concreto
della diffusione e dell'impatto che ha l'attivismo politico e sociale svolto dalle
donne, ho concluso questa parte presentando le attività e la natura delle
principali associazioni femministe tunisine. Ho scelto inoltre di inserire a
4
conclusione del capitolo un allegato in cui raccolgo contributi, interviste e
dichiarazioni tramite le quali cerco di rappresentare al meglio il tema della
laicità e della religione, ovvero uno dei dibattiti principali di cui la Tunisia è
protagonista.
Nella seconda parte viene infine affrontato il secondo case study, nel quale
viene analizzato il fenomeno della diffusione della protesta attraverso le canzoni
rap e i graffiti, in quanto elemento di ridefinizione dei confini sociali all’interno
delle città. A partire da un breve excursus sulla nascita della cultura hiphop negli
Stati Uniti e della musica rai nel Maghreb, il lavoro si concentra sulle
caratteristiche
del
contesto
sociale
in
cui
esse
si
sono
sviluppate,
confrontandole con il contesto sociale tunisino alle soglie del nuovo millennio.
Mi sono avvalsa dell'uso dei testi delle canzoni rap e della testimonianza diretta
dei ragazzi, per analizzarne al meglio i messaggi trasmessi e gli effetti
comunicativi e sociali da essi scaturiti e individuare le ragioni che ne hanno
favorito la tanto rapida diffusione e che, fin da subito, ne hanno fatto
un'importante strumento di protesta nelle mani di una intera generazione di
giovani, esasperata dalle proprie condizioni di vita. La ricerca termina con un
allegato contenente una selezione di fotografie di graffiti e murales realizzati in
Tunisia a partire dal gennaio 2011, in parte scattate da me, in parte raccolte in
rete.
5
Cap. 1 - La rivoluzione dei gelsomini
1.1 - Uno sguardo al passato: La Tunisia di Bourguiba e di Ben Ali
La situazione politica in Tunisia è, dal dicembre 2010, sotto gli occhi di tutto il
mondo. Capi di governo, mass media, studiosi e scrittori, ma anche movimenti
sociali e collettivi, giovani e migranti guardano con interesse ai molteplici e
veloci cambiamenti che si stanno determinando in questo paese. Alle sfide e
prospettive, ma anche alle contraddizioni e criticità di un processo rivoluzionario
e di transizione ancora pienamente in atto e di cui si fatica a immaginare l'esito.
Questo capitolo vuole essere un breve approfondimento sugli eventi e le
condizioni sociali e politiche che hanno preceduto la rivoluzione del 14 gennaio
2011 e che tutt'ora stanno accompagnando la fase di transizione. Per questo
credo che sia necessario cominciare con un breve excursus rispetto alle
politiche attuate dai primi due governi indipendenti tunisini, quello di Bourguiba
e quello di Ben Ali, onde comprendere al meglio le cause e le condizioni che
hanno portato a dei cambiamenti tanto significativi come quelli che sta vivendo
il paese tunisino negli ultimi due anni. Mi sembra dunque importante prendere
in esame la storia della Tunisia a partire dagli anni successivi all'indipendenza e
provare a mettere in luce le riforme e le politiche più importanti messe in atto a
partire dal 1957 fino agli anni '90 e comprendere ciò che queste hanno
determinato all'interno della società civile tunisina.
1.1.1. - Le riforme di Bourguiba
Dal 1881 la Tunisia diventa un protettorato francese e, a seguito di un'abile
politica di opposizione e negoziazione con la Francia, ottiene l'indipendenza nel
1956. L’avvocato Habib Bourguiba, guida del primo storico partito tunisino, il
Partito Liberal Costituzionale (Neo-Destour), diventa il leader indiscusso della
nuova nazione restandone al comando dal 1957 al 1987. Bourguiba attua una
serie di riforme sociali molto innovative: ad esempio, con il codice dello statuto
personale (CSP) del 1957 sancisce la parità tra l' uomo e la donna, abolisce il
doppio regime giuridico cancellando quello islamico e inserisce a pieno titolo le
6
donne nel mondo del lavoro. La Tunisia assimila così la laicità e la cultura
amministrativa francese e beneficia di una legislazione favorevole, con il
suffragio universale e riforme sull'istruzione e sulla sanità rivolta in particolare
alle donne; nei primi anni '60 partono le campagne di pianificazione familiare;
poi arriva il divorzio e il diritto all'aborto, prima che in Italia. Una politica,
dunque, di apertura e riforme all'avanguardia, di cui si inizia ad avvertire il
declino già negli ultimi anni '70. Nel 1978 e 1984, infatti, il malcontento del
popolo sfocia nelle rivolte per il pane, sanguinosamente represse da
Bourguiba1. La crisi degli anni '80 infierisce alla Tunisia un duro colpo che
provoca a breve la svolta verso un binomio di autoritarismo e liberalizzazione
incontrollata a seguito dell'economia mondiale, due capi saldi della politica
nell'era di Ben Ali.
1.1.2. - Il “Golpe medico”: Ben Ali prende il potere.
Nell'autunno 1987, dopo trent'anni di governo a Partito Unico, Habib
Bourguiba viene deposto in virtù di quello che è stato definito un “golpe
medico”. Con l'appoggio del Sismi italiano e dei servizi segreti francesi e
algerini, l' ex-presidente viene rinchiuso a scontare la sua malattia nel palazzo
“dorato” di Monastir, mentre il generale Zine El-Abidin Ben Ali -prima Segretario
Generale del Partito e poi Primo Ministro- subentra al potere sfruttando alcune
perizie mediche che decretano lo stato di malattia dell' ex-Presidente e la sua
impossibilità a governare.
Nei primi tempi della sua presidenza Ben Ali concede diverse occasioni di
partecipazione democratica, aprendo all'opposizione, e riconosce persino il
partito islamista moderato (Movimento della tendenza islamica, guidato da
Rachid Ghannouci e di ispirazione salafita). Attua inoltre una riforma
costituzionale che abolisce la presidenza a vita, predispone la liberalizzazione
di migliaia di prigionieri politici e il riconoscimento di nuovi partiti. Sembrano
dunque trovare un seguito, le promesse liberali e democratiche enunciate nel
primo discorso del neo-presidente: “L’epoca in cui viviamo non può soffrire né
1
M.Campanini, Storia del Medio-Oriente; 2010; F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande
Màghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, 2010
7
di presidenza a vita né di successione automatica alla testa dello stato dal
quale il popolo si trova escluso. Il nostro popolo è degno di una vita politica
evoluta e istituzionalizzata, fondata realmente sul multipartitismo e la pluralità
delle organizzazioni di massa”.2 Parole che, lette oggi, fanno quasi sorridere.
Questa iniziale apertura, conduce Ghannouci
a prendere pubblicamente
posizioni moderate e a sostegno della democrazia parlamentare. Nel 1988,
Ghannouci ribattezza il MTI Hizb al-Nahda, “partito del risorgimento” , con
l’intento di partecipare alle successive elezioni politiche. E' a questo punto che
Ben 'Ali, timoroso di una vittoria dei partiti religiosi, fa marcia indietro, negando
al Movimento di Tendenza Islamica la legalizzazione e inasprendo lo scontro
con l’opposizione islamista: la volontà più volte espressa di avviare una
stagione di riforme e di confronto democratico viene presto smentita.
Per comprendere i mutamenti che si producono sotto questo nuovo governo,
bisogna considerare un'operazione politica importante, non esente da
contraddizioni.
L'immagine della Tunisia “laica”, infatti, subisce da subito una netta svolta:
per fronteggiare la diffusione dell'integralismo religioso, Ben Ali mette in campo
di fatto un'opera di riabilitazione dell' Islam, modificando profondamente il volto
del paese. Anche l'immagine che mostra pubblicamente di se stesso è quella
del buon musulmano praticante, probabilmente in un tentativo di conquistare il
consenso del popolo, mancandogli il grande carisma del suo predecessore.
Mentre si inasprisce la lotta contro il Movimento di Tendenza Islamica, l'appello
alla preghiera torna a scandire i momenti delle giornate, il mese di ramadan
torna ad acquistare importanza centrale secondo la tradizione. Viene riaperta
l'università teologica Zeitouna (chiusa da Bourguiba) e viene intrapresa la
costruzione di numerose moschee. Citando M. Campanini: “Da questo punto di
vista, la Tunisia può essere considerata esemplare di come il pugno di ferro di
due capi di stato (prima Bourguiba e poi Ben Ali) abbia bloccato lo sviluppo
istituzionale di un islamismo moderato”3.
2
3
Archivio di Wikipedia.fr, Discours du Ben Ali, 7 novembre 1987
M. Campanini, Storia del Medio-Oriente, 2010, pag 203
8
1.2.3. - Il cambiamento di rotta, verso uno stato autoritario e corrotto.
Parallelamente, dunque, già dopo le elezioni del 1989, Ben Alì intraprende
una dura campagna contro gli esponenti del Movimento di Tendenza Islamica.
Durante gli anni '90 le occasioni di “apertura” diminuiscono progressivamente,
fino a scomparire. Il Partito di Ghannouci viene messo fuori legge e la società
civile cade “ostaggio” di dinamiche di esclusione che cercano di restringere gli
spazi di partecipazione in favore solamente del RCD, il partito di governo.
Aumentano le pratiche di persecuzione e repressione: torture, arresti illegali e
sparizioni forzate portano progressivamente alla limitazione dello Stato di diritto
in Tunisia. Un nuovo e più serrato regime autoritario, instaurato in nome della
battaglia al pericolo islamico, si affaccia così sullo scenario politico della
Tunisia. Ben Ali resta alla guida del governo fino a gennaio 2011, a colpi di
elezioni-farsa in cui, secondo le false spoglie dello sbandierato pluralismo
partitico e alla democrazia, il suo partito non ottiene mai meno del 90%.
Dobbiamo inoltre considerare che l' 11 settembre 2001 segna una data
importante anche per la storia tunisina. Ben Ali coglie infatti il pretesto per
trasformare il paese in un baluardo occidentale della lotta al terrorismo islamico,
legittimando in questo modo nuove leggi per garantire di fatto l'impunità totale
dei corpi di polizia e imporre grandi restrizioni sulla libertà di stampa e di
espressione. Vengono istituiti altresì i comitati locali di partito, col compito di
effettuare una stretta sorveglianza sulla società civile: la limitazione dello spazio
politico e il sacrificio delle libertà individuali vengono presentate come il prezzo
da pagare per sconfiggere l’estremismo islamico.
Si instaura così un regime di ferrea censura e di paura verso chiunque sia
considerato un oppositore o una minaccia per la sicurezza nazionale. Una
censura e un controllo sociale senza regole, fondati sulla cultura del sospetto
reciproco, della delazione e della corruzione istituzionalizzata, talmente feroce e
subdola da far sentire tutti a rischio. Come racconta la scrittrice Ilaria
Guidantoni: “Un collega ha scoperto rientrando nel proprio paese dopo tre anni
di essere un dissidente. Risultato? Passaporto ritirato. Una vita a rischio per un
giornalista Rai con doppio passaporto (per fortuna la dittatura sarebbe caduta
di li a pochi giorni). Le ragioni? Semplice. Un uomo che non torna nel proprio
9
paese per tre anni, saltando anche un turno elettorale e' evidentemente un
oppositore”4. Pressioni, minacce, ostruzionismo, angherie fino alla tortura per
semplici cittadini, oppositori e politici dissidenti; emarginazione per gli
intellettuali. Seminare la paura e' un'arma sufficientemente forte a mantenere
l'ordine e l'impero economico “di famiglia”.
Ci possono aiutare a comprendere il clima e il sentimento diffuso di terrore le
affermazioni di due ragazzi intervistati nel documentario “Plus jamais peur” del
regista tunisino Mourad Ben Cheikh: “Ben Ali was stronger than Hitler. He
managed to spread doubt even among friends. My best friend, with whom I
share almost everything, when he criticized the regime, I stayed silent because
I was suspicious of him. I was afraid he could denounce me. Besides, 'till when
we have to gather? 'Till he left!” ; aggiunge il secondo: “Now we are afraid of
everyone who wants to take power”.
All'alba della rivoluzione tunisina, nel dicembre 2010, lo scenario del paese è
quello di una dittatura di fatto, sostenuta da corruzione e clientelismo, e di una
popolazione che accusa sempre di più il peso della dura crisi economica.
1.2 - Cause sociali e politiche. Il gesto disperato di Mohamed Bouazizi e
l’esplosione della rivolta nel dicembre 2010
1.2.1. - Economia e situazione sociale: l'alta istruzione della società
civile si scontra con le scarse prospettive di occupazione.
La Tunisia ha registrato negli ultimi decenni un aumento demografico
esponenziale. Gli investimenti di Habib Bourghiba sul sistema sanitario a fine
anni '80 (quando il presidente viene deposto con il golpe “medico”) avevano
portato all'innalzamento delle prospettive medie di vita e alla diminuzione della
mortalità infantile. Tra le più importanti riforme socio-economiche del primo
governo tunisino c'è stato un grosso investimento sull'istruzione, con
l'abolizione della scuola coranica in favore di un sistema educativo pubblico e
gratuito, arabizzando il modello occidentale (francese). Questo ha fatto sì che
4
Ilaria Guidantoni, I giorni del Gelsomino, 2011
10
un' alta percentuale di persone si laurea o frequenti l'università. Alle soglie del
2010, il tasso di alfabetizzazione è dunque elevatissimo: oltre il 97% frequenta
la scuola primaria e il 78/% la scuola secondaria, con una maggioranza di
donne5. Maggiore istruzione è sintomo di maggiore benessere economico: ma i
mercati locali, incentrati su un modello di sviluppo che porta ad una grande
domanda di lavori a bassa qualificazione, non possono assorbire la forza
lavorativa giovane e sempre più qualificata.
Il tasso di disoccupazione negli ultimi anni diventa tra i più alti del mondo
arabo (la media nazionale si aggira sul 14% con punte del 30% per i giovani
laureati)6. Non avendo a disposizione materie prime come gas e petrolio che
possano in qualche modo sopperire alla crisi dei mercati e non potendo
diversificare le proprie fonti di guadagno in maniera repentina, nel paese dilaga
in poco tempo un diffuso sentimento di frustrazione. La crescente domanda di
lavoro dei giovani (estremamente scolarizzati), che costituiscono la gran parte
della popolazione, e la crisi economica che investe il mondo nel 2008,
riducendo nettamente le entrate, sono un ulteriore fattore di pressione che ha
portato all' esplosione delle rivolte nell'inverno 2010. E' necessario inoltre
aggiungere che l'economia Tunisina è da sempre fortemente dipendente dal
mercato estero (oltre l'80% delle esportazioni sono rivolte all'UE).
Il PIL annuo tunisino dagli anni '90 cresceva al ritmo del 5 % (un Pil doppio
rispetto a Marocco ed Egitto e superiore anche a quello dell'Algeria che pur
gode di vaste risorse naturali) e la crescita economica aumentava, soprattutto
grazie ai contatti privilegiati del regime di Ben Ali con l'Italia e la Francia, in
particolare riguardo alle forniture di combustibile e materiale energetico 7. Ma il
reddito pro-capite non seguiva gli stessi ritmi, poichè di questa crescita se ne
avvantaggiava principalmente una ristrettissima parte della popolazione, ovvero
i "clan" (tribali o meno) ed élites legati al governo in carica. Il clan Trabelsi-Ben
Ali in 20 anni si è costruito uno smisurato impero economico, mentre al popolo
sono arrivate solo le briciole degli immensi capitali spostati dal mercato
dell'energia (consentendo comunque, inizialmente, un relativo benessere
5
6
7
Y. Brondino, Il Nord Africa brucia, all'ombra dell'Europa, 2011
Mehdi Tekaya, A 70 chilometri dall’Italia. Tunisia 2011: la Rivolta del Gelsomino, 2011;
http://data.worldbank.org/country/tunisia?display=map
11
economico al popolo).
Se prendiamo in esame alcuni rapporti dell’Ambasciata americana resi
pubblici da Wikileaks 8, leggiamo che la famiglia allargata del Presidente era
composta da un centinaio di persone che avevano preso possesso di una
buona parte dell’economia tunisina. Il patrimonio personale di Ben Alì e della
seconda moglie Leila Trabelsi si aggirava sui cinque miliardi di euro, depositati
in conti bancari esteri o in immobili; tutti fondi derivati in gran parte da
appropriazioni indebite. La corruzione si estendeva anche ai membri del RCD e
ai corpi di polizia, il tutto incluso in un sistema fatto di favoritismi e speculazioni.
Molti, soprattutto inizialmente, hanno definito le proteste esplose dopo il
gesto di Bouazizi “moti per il pane”. Sicuramente la condizione economica ha
gravato molto; nell'autunno 2008 la crisi finanziaria ha infatti coinvolto tutto il
mondo, compresi i paesi della sponda sud del Mediterraneo, ma alla causa
economica si sommano altri diversi e importanti fattori.
1.2.2. - Verso la rivoluzione: dissenso ed esasperazione della società
civile.
Il 17 dicembre 2010 si accende la rivolta con il gesto tragico di un giovane
venditore ambulante di ortofrutticoli, Mohamed Bouazizi, a cui per l'ennesima
volta le forze di polizia avevano confiscato il carretto di frutta. Il ragazzo si dà
fuoco per l'esasperazione di non avere scampo, né futuro di fronte a un sistema
politico corrotto, gestito da un clan che ai suoi cittadini -o meglio sudditi- ruba
ogni centesimo distribuendo solo povertà e paura.
Da Sidi Bouzid, paese di Bouazizi, la rivolta si espande rapidamente
coinvolgendo
ogni
città:
cresce
l'indignazione
e
soprattutto
esplode
l'esasperazione per troppi anni di regime e per una vita misera, di fronte a un
futuro inesistente.
Quello che sembra come un risveglio della società civile tunisina, assopita da
una democrazia di facciata e dalle politiche di stretto controllo sociale, in realtà,
è l'esplosione di un dissenso già forte da anni e di cui l'episodio più importante
è rappresentato dalle rivolte a Gasfa, nel sito minerario di estrazione di fosfato,
8
https://tunileaks.appspot.com/
12
in cui la direzione regionale dell'Ugtt (Unione generale tunisina del lavoro) era
diventata il centro di un'oligarchia che si limitava a distribuire fra gli amici e i
parenti diretti le briciole della rendita del fosfato.
Nel gennaio 2008, a seguito di alcune redistribuzioni truccate dei proventi
economici, i giovani disoccupati decidono di occupare la sede regionale dell'
Ugtt a Redeyef. A loro si uniscono molti altri e il movimento si estende
rapidamente. Operai, disoccupati, studenti e abitanti moltiplicano gli scioperi, le
azioni, gli incontri. In una situazione di grande povertà e di inflazione, tutti
protestano contro la corruzione di un sistema locale nepotistico e contro una
politica ingiusta dell'occupazione.
Questo movimento, subito represso nel sangue dal governo, non è che
l'inizio di una grande denuncia della corruzione e del clientelismo che
pervadono il sistema politico, economico e sociale tunisino, la quale sarà il
preludio alle rivolte del dicembre 2010 e gennaio 2011. In poco tempo la
resistenza si organizza ad opera soprattutto di intellettuali e liberi professionisti
militanti nelle associazioni civili, rimaste in vita nonostante gli ostacoli del
regime, in continuo contatto con organizzazioni internazionali per la difesa dei
diritti umani e civili.
1.2.3. - ‫ ثورة الكرامة‬- La rivoluzione della dignità:
Fine gennaio 2011. Da ormai più di un mese l’attenzione del mondo è rivolta
alla sponda nordafricana del Mar Mediterraneo. La Tunisia brucia, il Maghreb
brucia; e poco dopo anche l’Egitto. E’ cominciata a Sidi Bouzid, dal gesto
disperato di un ragazzo senza futuro e senza presente, e ora la rivolta si
estende a macchia d’olio, a una velocità inarrestabile.
Con il 2011 comincia un anno di rivolte per la dignità e la libertà, ma, cosa
forse più importante, iniziano a mostrarsi sempre più evidenti le falle del
sistema neoliberista - che già stenta a tenersi in piedi - affossato dalla crisi
economica e finanziaria. Sono rivolte giovani, di una generazione senza futuro,
13
sfruttata e schiacciata da crisi economica, corruzione e autoritarismi; sono
rivolte veloci, in grado di organizzare contemporaneamente proteste e
manifestazioni in decine di città non solo in tutto il paese, ma in tutto il mondo.
Soprattutto sono rivolte intelligenti e parlano un linguaggio nuovo: sanno
coordinarsi, riprodursi e moltiplicarsi attraverso social-network e nuovi mezzi di
comunicazione e capaci di far girare in poche ore immagini, video, slogan in
ogni angolo del mondo. In poche parole, sono rivolte nuove, che sfidano oltre
ogni possibilità i regimi e la loro repressione, la censura, le frontiere.
La blogger e cyberattivista Lina Ben Mhenni dice: “In Tunisia non ci piace
chiamarla Rivoluzione dei gelsomini, ma parliamo di Rivoluzione della dignità” 9.
Non è solo una rivolta per il pane, infatti, ma per la libertà. L'esasperazione
portata da 20 anni di dittatura, la paura, la delazione, le scarse prospettive di un
futuro e di una vita degna, in un paese in cui vive una altissima percentuale di
giovani sotto i 35 anni, sono tra i fattori determinanti che hanno portato alla
cacciata di Zine El-Abidine Ben Ali (o meglio, Zine El Haribin Ben Ali, “il fuggito”
con il soprannome coniato con un gioco di parole dopo il 14 gennaio 2011).
Per quasi un mese, dal 17 dicembre 2010, ogni giorno, in tutta la Tunisia
miglia di persone manifestano fronteggiando la dura repressione armata ad
opera del governo che provoca decine di morti e feriti. Presto i cittadini si autoorganizzano in gruppi e comitati di auto-difesa. Nelle piazze si sente scandire
forte lo slogan: “vivremo a pane e acqua, ma senza Ben Ali”. Il 13 gennaio, con
il suo ultimo discorso “Ana fhemtkoum, vi capisco”10 , Ben Ali si rivolge al popolo
in un ultimo tentativo di riconciliazione.
“Mi rivolgo a voi oggi e mi rivolgo a voi tutti, in Tunisia e fuori dalla Tunisia, mi
rivolgo a voi nella lingua di tutti i tunisini e le tunisine”
Un discorso intriso di retorica e pathos di un’impresa volta alla persuasione
del popolo in rivolta e al recupero del consenso, parlando in tunisino e non in
arabo, per cercare intimità e complicità: promette l'attuazione di politiche di
libertà e diritti, l'eliminazione della censura e l'interruzione della repressione
9
Lina Ben Mhenni, A Tunisian Girl, 2011
10 Discorso e analisi tratto dal blog: www.kaoutherrabhi9.blogspot.it
14
armata e dell'uso di armi da fuoco nelle piazze. Alle promesse, affianca minacce
verso coloro che, dall'interno del suo stesso governo, lo avrebbero “mal
consigliato” e costretto con l'inganno ad agire in modo violento nella gestione
dell'ordine pubblico.
“Ed io vi ho capiti, sì, vi ho capiti, ho capito tutti, il disoccupato, il bisognoso,
il politico e colui che rivendica più libertà. Vi ho capiti, vi ho capiti tutti [...]
Per quanto riguarda le rivendicazioni politiche, vi ho detto che vi ho capiti, e
ho deciso” [...]
“La situazione richiede un cambiamento profondo, un cambiamento profondo
e integrale. La distruzione non fa parte della tradizione del tunisino, del tunisino
civilizzato, del tunisino tollerante. La mano nella mano per il nostro paese, la
mano nella mano per la sicurezza di tutti i nostri figli” […]
“La Tunisia è per noi tutti, preserviamola tutti; il suo futuro è nelle nostre
mani, assicuriamocelo tutti. Ciascuno di noi sia responsabile per restaurare
ordine e sicurezza, per guarire le ferite e per inaugurare una nuova tappa che
favorisca un futuro migliore”
Le piazze non si placano e la sera stessa ci sarà un ennesimo spargimento
di sangue ad opera dei Corpi di Polizia, strumento diretto della repressione e
sempre fedeli al regime. Cresce l'indignazione per un discorso che suona ai
tunisini tanto come una beffa, quanto come un mero tentativo di salvare il
proprio impero (moglie e figli già sull'aereo pronti alla fuga con numerosi lingotti
d'oro).
Il giorno seguente, 14 gennaio 2011, Rachid Anmar, Capo di Stato maggiore
dell'esercito, sostenuto da numerosi militari, rifiuta di eseguire l'ordine di
sparare sui manifestanti. Quella sera il Presidente fugge e viene destituito.
Italia, Malta e Francia rifiutano di accoglierlo; Ben Ali trova rifugio in Arabia
Saudita, da dove prova a comandare un operazione di saccheggi e
devastazioni ad opera della polizia e dei suoi sostenitori per creare il caos e,
forse, pilotare una reazione di contro-rivoluzione. Dice Hamma Hammami,
leader dell'opposizione perseguitato e arrestato dal governo di Ben Ali: "Tout le
monde est presque sûr que ces fauteurs de troubles sont essentiellement
15
d'anciens cadres de la sécurité proches de Zine El-Abidine Ben Ali, Ils sèment
la terreur pour que les Tunisiens cessent leur lutte pour un changement
démocratique. Ils circulent dans des voitures de locations et sont armés.". Nelle
città i tunisini si organizzano attraverso i Comitati di difesa e auto-protezione,
con il prezioso aiuto dell'esercito, per controllare gli accessi ai quartieri ed
evitare ulteriori saccheggi, mantenendo un controllo vigile anche nelle ore di
coprifuoco.
Inizia così lentamente il lungo e travagliato processo di transizione, verso un
nuovo governo e un nuovo Paese.
1.3 - Con gli occhi dell’ “Occidente”. Breve accenno all’atteggiamento
politico e mediatico
1.3.1. - I rapporti tra gli UE, USA e gli stati nordafricani: la questione
democratica
“Presidente, le chiedo scusa ma, anche lei avrà delle questioni interne da
affrontare, ogni tanto verrò a scuola da lei per sapere come riesce a superarle,
visti i suoi quasi trent'anni di permanenza alla guida del suo paese”
(l'ex Primo Ministro italiano Silvio Berlusconi all'ex-presidente tunisino Zin ElAbidine Ben Ali, durante un incontro bilaterale alla soglia delle rivolte in Tunisia)
Gli stati occidentali, l'Unione Europea in primis, per motivi di vicinanza
geografica e interessi geopolitici hanno da sempre sostenuto queste dittature,
per avere una serie di vantaggi, attraverso vari pretesti. Il primo sono le risorse
energetiche e le materie prime, quindi la lotta all'immigrazione; e poi l' 11
settembre e il terrorismo. E' evidente: la democrazia nel mondo arabo
spaventa. Come ha scritto un giornalista algerino, parafrasando Marx: “un
fantasma si aggira per l'Europa, la democrazia nel mondo arabo.”
Qui, mi sembra importante fare un inciso, riprendendo le analisi svolte da
16
diversi studiosi nel testo: “Oltre la democratizzazione (II). Elezioni, politica e
potere nel Grande Medio Oriente”11.
Con la fine della guerra fredda è terminata anche la dicotomia tra liberismo e
comunismo, con l'affermarsi del sistema liberista a livello globale. Negli anni
abili politiche interne ed estere, guidate a livello mondiale in particolare
dall'amministrazione Bush, hanno costruito il consenso sulla propaganda
morale e la lotta al terrorismo, legittimano persino sanguinose guerre con
l'obiettivo di “esportare la democrazia”. Il discorso qui sarebbe molto lungo, ma
vorrei soltanto sottolineare come a partire dagli anni '90 e 2000, in particolare
dopo l'11 settembre 2001, la scelta dell'opzione politica viene spostata da un
livello politico-ideologico (in breve comunismo contro neoliberismo), su un livello
etico-morale che contrappone l'autoritarismo alla democrazia liberale (posta
come l'unica democrazia realizzabile), rendendo la “scelta” inevitabile e
soprattutto non lasciando spazio all'esistenza di altre vie. Concepire la
democrazia nel mondo arabo ci costringerebbe a fronteggiare probabilmente la
sperimentazione e la possibilità di dar vita a modelli politici e organizzativi
differenti dal binomio autoritarismo-democrazia liberale; di più: svelerebbe,
forse, le falle evidenti del sistema di democrazia liberale.
Se nel mondo arabo ci fosse un sistema reale democrazia (per lo meno
come in Europa dove andiamo a votare e le elezioni sono altamente libere) è
chiaro che il peso dei paesi arabi sull'ago della bilancia cambierebbe molto e il
loro peso salirebbe di parecchio. Le potenze occidentali, rafforzando negli anni
il discorso intorno alla dicotomia inevitabile tra autoritarismi e democrazie
liberali, hanno potuto compiacersi delle transizioni post-coloniali nei paesi
nordafricani, appoggiando in realtà democrazie di facciata che, come accade in
Tunisia e in Egitto da oltre 30 anni, alternano ad aperture democratiche e
concessioni in termini di libertà e diritti, retrocessioni autoritarie 12.
Ben Ali, Mubarak, Bouteflika sono tutti rais insediati attraverso finti processi
elettorali; a esprimersi non sono stati i popoli, ma le superpotenze occidentali,
spesso per tornaconto economici. Stranamente i risultati delle elezioni hanno
11 A. Teti, O. Cappelli, G. Gervasio
12 Sui rapporti tra l'ex-premier Italiano Berlusconi e Ben Ali: http://italian.irib.ir/analisi/articoli/item/88195-lavecchia-amicizia-fra-ben-al%C3%AC-e-berlusconi
17
raggiunto molto spesso percentuali oltre l’80-90%. E' stata trovata una strada
che potesse garantire ai governi europei, agli USA e ai dittatori eletti, anche
dopo la fine del colonialismo, il controllo di risorse e di aree politicamente
centrali.
1.3.2. - Atteggiamento politico e mediatico nei giorni delle rivolte
Quando scoppia la rivolta in Tunisia, l’argomento non sembra destare
particolare interesse. La notizia di Mohamed Bouazizi e delle rivolte a Sidi
Bouzid e Kasserine occupano solo un piccolo spazio nelle pagine di cronaca
estera. Un silenzio dovuto in parte alla poca attenzione agli eventi di cronaca
oltre mare (seppur gravi) e in parte, forse, dovuto alla consapevolezza del fatto
che la Tunisia, e rapidamente non solo questo paese, avrebbe affrontato un
periodo di grandi rivolte che avrebbero minato e destabilizzazione il potere in
carica da oltre 20 anni con il bene placito delle potenze europee, Francia e Italia
in particolare.
Il 23 dicembre 2010, pochi giorni dopo il gesto drammatico di Mohamed
Bouazizi e l'inizio delle rivolte, l' ANSA lancia un'agenzia: ''Sono legato da
un'amicizia vera con tutti i leader dei Paesi nordafricani, con Mubarak e la sua
famiglia, con Bouteflika, con Gheddafi e Ben Ali'', per i quali ''sono di stimolo al
loro cammino verso la democrazia'', ma ''ci sono anche gli interessi italiani''. Lo
ha detto il premier Silvio Berlusconi nella conferenza stampa di fine anno.
Sempre in quei giorni, Michèle Alliot-Marie, ministro degli Affari Esteri francese
(e proprietaria di una villa a Tabarka, cittadina turistica sulla costa nord della
Tunisia) dichiara, riferendosi alla crisi politica tunisina, durante un confronto
parlamentare: “Proponiamo che il know-how che il mondo intero riconosce alle
nostre forze di sicurezza permetta di regolare questa situazione securitaria. E'
la ragione per la quale proponiamo effettivamente, nel quadro della
cooperazione, di agire perchè il diritto di manifestare possa essere esercitato in
una situazione di sicurezza tutelata”.13
13 Video: www.dailymotion.com/video/xgix06_alliot-marie-propose-d-aider-la-tunisie-dans-larepression_news#from=embed
18
In pochi giorni l'atteggiamento mediatico cambia. La rivolta tunisina inizia a
occupare le prime notizie nella maggior parte dei media “occidentali”. Su tutti i
più diffusi quotidiani online si può trovare la cronaca minuto per minuto delle
proteste – eludendo la censura del regime, si potrebbe dire. Si legge un
sostegno, più o meno evidente, alle migliaia di persone che in Tunisia (poi in
Egitto e in tanti altri paesi) stanno sfidando il regime, spesso anche a costo
della vita. Presto, i governi dei paesi Europei si rendono conto che la crisi
politica tunisina avrebbe portato a dei cambiamenti profondi e scelgono quindi
di gestire la transizione modificando le loro relazioni con Zine El-Abidine Ben
Ali. La Tunisia, infatti, come altri paesi del Nord Africa, aveva assunto negli anni
un ruolo centrale nelle politiche di gestione immigrazione e di controllo delle
frontiere, oltre che -come già accennato- nell'esportazione di risorse e materie
prime in favore dei paesi europei. Si rende quindi necessario affiancare la
transizione verso un nuovo governo in modo da poter mantenere i privilegi
politici ed economici sanciti in passato con numerosi patti bilaterali 14.
Poche ore dopo la caduta del governo di Ben Ali, il governo statunitense, il
governo francese e infine anche quello italiano, prendono le distanze dai loro
alleati di lunga data nordafricani.
Il 14 gennaio 2011, le parole di Obama fanno il giro del mondo: “I condemn
and deplore the use of violence against citizens peacefully voicing their opinion
in Tunisia, and I applaud the courage and dignity of the Tunisian people.”15.
Nicolas Sarkozy, afferma: “Solo il dialogo può portare a una soluzione
democratica e duratura della crisi corrente”
E mentre l' Italia rifiuta l'accoglienza all'ex presidente tunisino, come unica
voce “fuori dal coro”, Stefania Craxi, l'allora sottosegretario agli Esteri, afferma:
“Ben Alì è stato eletto presidente della Repubblica in Tunisia, se n’è andato in
seguito a una sollevazione popolare, ma non è reo di nessun reato, l’Italia
avrebbe dovuto accoglierlo”16.
C'è un altro fattore che, forse, ha contribuito a determinare il repentino
14 F. Cassano, Necessità del Mediterraneo; A. Persichetti, L’esportazione della democrazia nei paesi del
Medio Oriente e del Mediterraneo; P. Matvejevic, Quale Mediterraneo, quale Europa?, in in AAVV, L'
alternativa mediterranea, 2010
15 Tratto da BBC online
16 Fonte online: http://viveretunisia.blogspot.it/2011/01/dichiarazioni-di-stefania-craxi.html
19
cambio di politica estera: in particolare la Francia, ma anche l'Italia, conta
migliaia e migliaia di cittadini di origine maghrebina, giovani di seconda o terza
generazione che, seppur in modo diverso, vivono in un altro paese lo stesso
senso di frustrazione, rabbia ed emarginazione che ha fatto esplodere la rivolta
in Tunisia. Bisogna ricordare infatti, che proprio l'autunno del 2010 è stato per
molti paesi Europei l'autunno più caldo degli ultimi anni: migliaia di giovani
precari hanno conquistato le piazze e occupato scuole e università per mesi,
contro le politiche di austerity che già si intravedevano in risposta alla crisi, sotto
forma di tagli al welfare e all'istruzione pubblica. Movimenti che sono stati
particolarmente forti e partecipati soprattutto in Inghilterra e in Francia.
Ad ogni modo, quando, il 14 gennaio 2011, Ben Ali fugge lasciando il paese
e la carica di presidente, in pochi minuti la notizia fa il giro del Mediterraneo e in
modo quasi comico si diffonde il timore che il dittatore voglia rifugiarsi dai suoi
sostenitori europei. Le agenzie lanciano diverse notizie indicando le ipotetiche
destinazioni della famiglia fuggiasca. Francia, Italia e Malta sono costrette a
smentire al più presto l'ipotesi di accogliere Ben Ali nei propri paesi e avvertono
che non concederanno al suo aereo di atterrare. Come scrive LeMonde: “un
avion en provenance de Tunisie s'était posé au Bourget vers 19 h 30,
transportant une fille et une petite-fille de M. Ben Ali accompagnées d'une
gouvernante. Un second avion arrivant à vide a été invité à ne pas atterrir sur le
sol national. Un troisième avion serait en route pour Paris. Au plus haut niveau
de l'Etat français, on indique ne pas souhaiter la venue de Ben Ali en France”.
1.4. - Le prime elezioni e l’inizio del processo di transizione.
1.4.1. - Dal Governo di Unità Nazionale all' Assemblea Nazionale
Costituente.
La sera del 14 gennaio 2011, poche ore dopo la fuga dell'ex-presidente Ben
Ali, viene costituito un Governo di Unità Nazionale, guidato da Mohamed
Ghannouci. Una presidenza che avrà vita breve: Ghannouci viene infatti
accusato di collusione col vecchio regime. “Nous ne reconnaîtrons pas le
20
gouvernement d'union nationale” afferma Hamma Hammami, attivista del
Partito Comunista Tunisino, “Ce sera la continuité du régime de Ben Ali sans
Ben Ali, avec simplement un décor démocratique plus large."
Le proteste proseguono e il 27 febbraio 2011 a seguito di una protesta
terminata con la morte di 5 persone, Ghannouci si dimette. Prende il suo posto
Essebsi, legato all'amministrazione di Bourguiba, e vengono annunciate le
prime elezioni per il mese di luglio (poi rimandate al 23 ottobre 2011).
Alle elezioni del 23 ottobre 2011, le prime libere dopo oltre vent’anni, EnNahda ottiene la maggioranza dei voti guadagnandosi 89 seggi in Parlamento.
Il partito di Marzouki, Partito della Repubblica, arriva secondo con 29 seggi. Il
nuovo parlamento si assumerà l’oneroso incarico di completare la transizione
seguita alla caduta del regime di Ben Ali e scrivere la nuova Costituzione
nazionale, prima di indire nuove elezioni presidenziali e parlamentari. Segue poi
la formazione di un governo di coalizione con le forze laiche (Ettakol e il Cpr,
Partito del congresso per la Repubblica), all’opposizione il Partito Democratico
del popolo (formazione di centro–sinistra) e, con un peso via via più
determinante il partito laico, borghese, bourghibista Nidaa Tunes, un nuovo
partito nato su iniziativa dell'ex- presidente Beji Caid El-Sebsi.
Importante è anche il terzo polo che si sta affacciando sulla scena politica
tunisina. I comunisti, sconfitti nettamente nelle elezioni dell'ottobre 2011, si
stanno adoperando per legare insieme le varie sinistre nazionaliste e i militanti
non legati all'islamismo. Tredici , tra partiti e gruppi, si sono federati nel Fronte
Popolare, capeggiato dal leader dei comunisti Hamma Hammami. L'eventuale
alleanza elettorale tra Nidaa Tunes e la sinistra del Fronte Popolare potrebbe
mettere in dubbio la maggioranza di En-Nahda nelle prossime elezioni.
Per comprendere le contraddizioni e le sfide del processo di transizione, è
necessario prendere in esame un fenomeno molto importante in Tunisia: la
questione religiosa. In seguito alla vittoria schiacciante del partito di En-Nahda
si è aperto un dibattito politico che contrappone laicismo e religione islamica.
Non si può negare, infatti, l'aumento del sostegno all'Islam nella sfera
pubblica, molto evidente in particolare a Tunisi ma anche in tante città più
21
piccole e “periferiche”(basti pensare anche solo banalmente all'aumento
dell'uso del velo da parte delle donne o alla frequentazione delle moschee). Le
ragioni di questo mutamento stanno probabilmente in una complessità di cause
sociali e storiche che non è mio compito qui analizzare, ma vorrei solo
sottolineare che a mio parere la questione è incentrata rispetto a quale ruolo
viene conferito alla religione, poiché la Tunisia non è mai stato un paese
totalmente laico (a differenza di come provano a sostenere alcune analisi
semplicistiche) e la religione ha sempre mantenuto un ruolo, più o meno
centrale. Si tratterebbe dunque di riuscire a interpretare veramente questo
cambiamento. Infatti, moltissimi tunisini sono rimasti fedeli all'Islam anche
durante i governi di Bourguiba e Ben Ali, ma lo hanno fatto per lo più relegando
la religione alla sfera privata, personale, senza farne, dunque, necessariamente
un atto pubblico; e ad ogni modo, dobbiamo tenere presente che,
parallelamente, è cresciuto anche un movimento dalle forti rivendicazioni laiche,
in gran parte di composizione femminile e altamente vigile rispetto alle proposte
del governo in chiave islamica. In questo contesto si inserisce l'ambigua
relazione politica tra il partito di En-Nahda (ispirata e legata al movimento dei
Fratelli Musulmani) e gruppi salafiti17, giocata su un delicato equilibrio di
negoziazioni e concessioni. Per citare un episodio, in merito all’Articolo 1 della
nuova Costituzione, En-Nahda aveva respinto le posizioni di Jabha al Islah (che
più volte aveva richiesto di essere riconosciuto come partito) sull’inserimento
della repugnancy clause che eleva il diritto islamico tra le fonti dell’ordinamento,
talvolta conferendogli supremazia. In cambio della rinuncia a questa proposta,
Jabha al Islah ha ottenuto il riconoscimento dello status di partito, sebbene
continui a propendere per la modifica della legge sullo statuto personale 18.
Oppure se pensiamo allo scorso settembre, in occasione dei disordini e degli
scontri avvenuti successivamente allo scandalo del video considerato blasfemo,
17 Il salafismo si ispira a una scuola di pensiero sunnita: il termine indica l’insieme delle pratiche
dell’islamismo conservatore, tendenti al letteralismo nell’interpretazione delle fonti del diritto islamico.
Il termine si riferisce alle pratiche di vita quotidiana dei musulmani di prima generazione (i salaf
salihina o “pii buoni”), modello di un’esistenza utopica. Esistono però molti movimenti che si rifanno al
salafismo e che lo interpretano in maniere molto diverse tra loro. In Tunisia i riferimenti spirituali per il
movimento salafita sono Abu ‘Ayyad e al-Khatib al-Idrissi.
18 Fonte: saggio “L'ascesa del salafismo in Egitto e Tunisia: sfide per una transizione democratica” di
Pietro Longo, Pietro Longo, dottorando all'Università degli Studi di Napoli “L'Orientale”
22
da più fronti si sono sollevate polemiche per l’atteggiamento assunto da
Ennahda, in bilico tra la condanna per la violenza, e accondiscendenza verso i
gruppi salafiti come Jabah al Islah, Hizb al Tahrir e Ansar al Shari‘a).
Molti individuano nella connivenza tra il partito al governo e salafiti come una
strategia per far fronte al bisogno che En-Nahda ha di questi gruppi per
accreditarsi come forza moderata. Forse proprio questa ambiguità di politica è
una delle ragioni che ha provocato ben presto un aumento della sfiducia da
parte della società civile nei confronti della coalizione al potere.
1.4.2. - En-Nahda perde consenso. L'omicidio di Choukri Belaid e la
nuova crisi di governo. Quali prospettive?
Febbraio 2013, due anni e pochi giorni dopo la cosiddetta Rivoluzione dei
Gelsomini.
Le strade di tutte le grandi città tunisine sono invase da migliaia e migliaia di
persone; il coro che scalzò il dittatore Ben Ali, riecheggia ancora forte:
! ‫الشعب يريد اسقاط النظام‬
L'assassinio recente di Choukri Belaid, uno tra i più importanti leader
dell'opposizione al governo di En-Nahda, ha scoperchiato il vaso di Pandora di
un paese che pur vittorioso nell' aver messo fine a vent'anni di governo di Ben
Ali, soffre tuttora il lungo travaglio di una transizione in cui i tunisini credono
sempre meno. Chokri Belaid, avvocato di 48 anni ed esponente di spicco di uno
dei partiti di sinistra che nell’agosto scorso aveva dato vita al Fronte Popolare
(Al Jabha Chaâbia), è stato ucciso sotto casa con tre colpi di pistola. L’evento
ha provocato uno choc profondo nel paese, storicamente non abituato a vivere
in un clima di estrema violenza politica, anche se va riconosciuto che in questi
ultimi mesi la tensione sociale e lo scontro politico sono sensibilmente
aumentati. In poche ore si riempiono le piazze di tutte le città al grido di “EnNahda dègage!” (En-Nahda è subito indicato dall'opposizione come il mandante
di questo omicidio politico), e l'Ugtt conferma per venerdì 8 uno sciopero, di
23
fatto già convocato spontaneamente dalle decine di migliaia di persone nelle
strade. Nella sola capitale, al corteo funebre per i funerali tenutosi venerdì 8
febbraio hanno partecipato, secondo dati del ministero degli interni, un milione e
mezzo di persone. Ma oltre al numero, di per sé impressionante, il fatto da
ricordare è che per la prima volta nella storia della Tunisia, e forse del mondo
arabo, alla sepoltura all’interno del cimitero hanno partecipato anche le donne,
infrangendo così un grande tabù della religione musulmana. 19
Ben Ali (soprannominato sarcasticamente “Ben a vie” Ben a vita) e il clan
Trabelsi sono stati “deposti” da ormai due anni, parte delle loro sconfinate
ricchezze sono state confiscate, ma la condizione sociale ed economica del
paese non sembra cambiata. Tuttora la Tunisia è governata da una coalizione
guidata dal partito di En-Nahda, eletta il 23 ottobre 2011 con il mandato di un
anno. Passa il 23 ottobre 2012, entrambi gli obiettivi sono stati rimandati
numerose volte, non senza suscitare polemica, ma di fatto siamo al quarto
mese di governo “illegittimo”. E di elezioni nessuna traccia.
Il regista Mourad Ben Cheikh, afferma in una intervista rilasciata il 07
febbraio 2013: “La Tunisia, oggi, ha visto fiorire diverse volte delle azioni di
salafiti armati, con tutte le armi che sono arrivate dalla Libia, che con la forza e
la prepotenza vogliono cambiare gli equilibri interni della situazione politica. Il
tunisino rifiuta questo, e il governo in carica (En-Nahda, ndr) non si rende
ancora conto o finge di non voler riconoscere il fatto che questa esperienza è
finita, ed è finita molto negativamente. Oggi ancora ci sono manifestazioni un
po' ovunque, la gente sa che la pressione sul governo deve continuare e gli
equilibri espressi con il voto del 23 ottobre 2011 oggi non esistono più. Il paese
è ormai diverso. Bisogna riconoscerlo e prendere delle decisioni che
permettono di venir fuori da questa situazione eccezionale.”
E' evidente che gli avvenimenti di inizio febbraio 2013 rivelano un clima di
grande instabilità politica e sociale: da una parte i movimenti non hanno mai
smesso di farsi sentire, per esempio a Gasfa dove non sono mai terminate le
rivolte e le rivendicazioni sociali per una vita e una condizione lavorativa
19 Fonte: http://www.uninomade.org/tunisia-dal-dolore-una-nuova-speranza/
24
migliore; dall'altra le istituzioni paventano una profonda crisi. Il Primo Ministro
Jebali, segretario di En-Nahda annuncia un governo tecnico, mentre il suo
partito rifiuta e cerca di tamponare la perdita di consenso di un governo che
forse non ha mai potuto contare sulla fiducia dei Tunisini.
Per la Tunisia, come a suo modo per l'Egitto, questo è un momento storico di
cruciale importanza. Non per le istituzioni, i governi o i cosiddetti “grandi”
uomini, ma per la società civile. Le elezioni che hanno portato in carica
En-Nahda sono state le prime vere elezioni per il popolo tunisino, a cui si è
arrivati nel corso di un processo rivoluzionario che molti considerano ancora in
atto e attraverso il quale la società civile tunisina ha preso coscienza del fatto
che si possa determinare un cambiamento dal basso, nelle piazze, attraverso la
cooperazione, la rivolta e il dissenso. Mai più paura. E ciò che sta accadendo
proprio in questi giorni a seguito dell'omicidio di Choukri Belaid sembra
confermarlo: se un governo è illegittimo, è un dovere destituirlo. E pare proprio
che questo destino toccherà anche a En-Nahda, ma staremo a vedere. Quello
che preme focalizzare è la presa di consapevolezza e coscienza politica
individuale e collettiva, che ha soppiantato la paura imposta da 50 anni di
dittatura di fatto e, soprattutto, ha sottolineato l'importanza della partecipazione
di ciascun individuo alla politica del paese. Nella dittatura c’è paura di tutto, ma
non c’è la responsabilità della scelta. Citando ancora Ilaria Guidantoni: “E con
la crisi economica qualcuno addirittura rimpiange il tempo in cui aveva un
lavoro sicuro. E di questi una buona parte vota per il partito religioso, perché
non ha altri parametri. Non è abituato a scegliere, quindi cerca in qualche modo
una guida forte. Nelle università, poi, la rivolta per contrastare il tentativo di
rendere religioso il mondo della scuola è stata fatta dagli insegnanti, non dagli
studenti. Questi giovani sono più conservatori dei loro genitori, perché in questi
anni sono stati come anestetizzati dalla dittatura.” 20
Il progredire della società civile, in particolare grazie all'istruzione e alla
qualificazione elevata, determina una maggior partecipazione politica. La
diffusione dei mezzi di comunicazione di massa come i giornali o internet
20 Ilaria Guidantoni, Tunisi, taxi di sola andata, 2011
25
favoriscono lo sviluppo di correnti di opposizione ai regimi e la formazione di
un'opinione pubblica e la circolazione di idee e testi che gli apparati di censura
faticano sempre più a controllare.
Sembra
possibile
enunciare
una
via
islamica
alla
democrazia?
Probabilmente questa è una delle sfide più grandi che dovrà fronteggiare il
pensiero riformista islamico. Il problema dei diritti, in particolare della questione
femminile, appare piuttosto delicato. La rilettura della shari'a e del Corano in
chiave moderna sembra imporsi come inevitabile.
Risulta allora fondamentale comprendere l'importanza sociale e politica di
una rilettura dei testi sacri dell'Islam, ad opera di donne intellettuali e attiviste,
che hanno contribuito alla nascita di correnti femministe islamiche e laiche nel
mondo arabo.
26
Parte I
Case study: Il ruolo delle donne nella rivoluzione
27
La “Primavera Araba” ha ricevuto una grande attenzione dai media di tutto il
mondo, ma uno dei suoi elementi più importanti è stato ampiamente trascurato:
il ruolo fondamentale delle donne nelle proteste. Le donne infatti, sono state (e
in molti casi rimangono) in prima linea, protagoniste delle lotte e delle battaglie
per la libertà e la dignità che da oltre due anni stanno scuotendo la sponda sud
del Mar Mediterraneo.
In questo capitolo, mi propongo di analizzare il ruolo delle donne come
agente sociale nel paese tunisino, partendo da una rapida contestualizzazione
e presentazione della storia dei differenti movimenti femministi nel nord Africa e
in Tunisia, provando a mettere in luce le contraddizioni riguardanti la questione
femminile che attraversano la fase attuale di transizione, raccogliendo contributi
e interviste, in particolare di semplici donne o attiviste che si sono messe in
gioco in prima persona nel processo rivoluzionario e, poi, di transizione.
2.1. L'immagine della donna , dentro e oltre i confini dell'immaginario.
2.1.1. Le politiche orientaliste e la rappresentazione della donna.
La condizione delle donne nel bacino del Mar mediterraneo, è al centro di un
ampio dibattito sui diritti umani all'interno del quale si giocano interconnessioni
e conflitti a livello globale e locale. Le donne sono uno dei nodi centrali del
sistema morale e simbolico attraverso cui le società si auto-rappresentano e se
questo è vero da sempre, ancor di più lo diventa se pensiamo al Mediterraneo
come epicentro di uno scontro di civiltà che si è costruito negli anni attraverso
abili politiche e pratiche di rappresentazione delle “due parti”, quasi sempre
innalzando le donne a vessillo di una battaglia che aveva (ed ha) tutt'altri
obiettivi. Così, la questione di genere e la difesa delle donne hanno svolto un
valore centrale nella contrapposizione culturale tra Oriente ed Occidente e nella
lotta all'Islam. In nome della donna si gioca la conquista del consenso per
giustificare le guerre “umanitarie”, per combattere il terrorismo e le
28
organizzazioni militanti islamiche e per “esportare la democrazia”.
Basti pensare alle immagini che hanno fatto il giro del mondo, a seguito dello
scoppio della guerra al terrorismo, nel 2001 in Afghanistan e nel 2003 in Iraq:
donne che diventano il simbolo e la rappresentazione stessa della guerra:
donne velate di nero davanti a case distrutte, accostate alle soldatesse in
divisa, simbolo di autodeterminazione, di emancipazione, libertà e democrazia.
Meno di un anno dopo l'invasione dell'Afghanistan, dichiarava infatti G. W.
Bush21: “La bandiera americana sventola di nuovo sulla nostra ambasciata a
Kabul. L'ultima volta che ci siamo riuniti in questa sala le madri e le figlie
dell'Afghanistan erano prigioniere nelle proprie case, con il divieto di lavorare o
andare a scuola. Oggi le donne sono libere, e fanno parte del governo”.
Le prime immagini dell'ingresso delle truppe americane a Kabul, ritraevano
donne felici e senza il burqa, e ancora, pochi mesi dopo altre immagini delle
donne in fila per votare dopo la caduta del regime di Saddam Hussein,
diventano il simbolo della democrazia.
Questo stesso processo di mistificazione di un discorso pubblico che non
trova riscontro nella pratica e nella politica reale è stato adottato anche a livello
locale, nei paesi stessi che si sono posti a baluardo della lotta al terrorismo
islamico, come nella Tunisia di Ben Ali, in cui il discorso pubblico sulle donne è
stato decisivo nella conquista del consenso e del sostegno da parte della
comunità internazionale a favore della celata dittatura.
Nel luglio 1988 Le Monde Diplomatic pubblica un articolo di O. Lamloum e L.
Toscane intitolato “Les femmes, alibi du pouvoir tunisien” che, in aperta critica
all'atteggiamento internazionale di appoggio al governo di Zine El-Abidine Ben
Ali, metteva in luce le contraddizioni di una politica divisa tra la volontà a parole
di sostenere le donne e difendere i loro diritti e le loro libertà e una pratica fatta
di persecuzioni, repressione e intimidazioni, proprio in nome delle donne e della
lotta all'estremismo islamico, ma che, paradossalmente, sulle donne stesse si
scagliava.
21 Comunicato stampa della Casa Bianca, 29 gennaio 2002
29
“Mentre l'Algeria è consumata da una guerra civile e il Marocco affronta una
difficile transizione, la Tunisia appare come una oasi di stabilità. Ma, nonostante
le apparenze, Zine El-Abidine Ben Ali è il responsabile della sistematica
repressione degli islamisti. I discorsi sulle donne e sulla loro emancipazione e
misure riformiste che portano avanti l'opera di Habib Bourguiba, sono il
tentativo di restituire, all'estero, una immagine di modernità e democrazia, ma
nascondono l'altra faccia della medaglia22”
Questi discorsi volti a rappresentare l'immagine della donna come unica e
statica, non solo nascondono “l'altra faccia della medaglia” di una dittatura de
facto, ma nascondono una realtà ricca e molteplice in cui le donne non sono
simbologia, ma soggettività attiva, produttiva e creativa. Allo stesso modo, viene
celato il fatto che nei paesi arabo-islamici, per quanto ci siano importanti basi
storiche e culturali comuni, non c'è uniformità nelle leggi e nelle tradizioni, e non
c'è uniformità nel ruolo sociale svolto dalle donne nei diversi paesi di cui sono
cittadine. Una lunga storia di lotte per i diritti e l'emancipazione, che passano
attraverso molteplici pratiche, immaginari e obiettivi politici e che sono opera di
moltissime donne che hanno scelto di autodeterminare i propri percorsi di vita
individualmente o collettivamente, viene coperta in favore di una simbologia e di
una rappresentazione della donna “da liberare”, arrogando ad altri il diritto e il
dovere di farlo in nome della democrazia e dell'universalismo dei diritti, privando
così le donne stesse della propria intelligenza e del proprio agire.
2.1.2. Dividi et impera. Le strategie di costruzione identità e controllo
delle persone.
L'immagine dell'Islam è stata negli anni costruita grazie all'elaborazione di
una sua rappresentazione in quanto “alterità”, il cui emblema negativo è
l'immagine della donna “oppressa”, consolidando così allo stesso tempo l'autorappresentazione del “noi”, del mondo occidentale marcatamente separato da
un solido confine astratto. Atteggiamenti di questo tipo sono strettamente politici
22 O. Lamloum e L. Toscane, Discours modernisateur pour régime répressif. Les femmes, alibi du
pouvoir tunisien, 1998
30
e hanno a che fare con le strategie di controllo che il potere mette in atto.
La concezione dell'identità è un carattere fondante dell'uomo: l'imperialismo
e l'orientalismo23 determinano bisogni e necessità urgenti nelle persone, in
modo funzionale al potere. La diffusione del terrore e della paura, attraverso
rappresentazioni mistificate di “categorie” costruite a tavolino permettono così di
giustificare politiche di chiusura, discriminazione e controllo, dando luogo a
“politiche della verità” che regolano ciò che deve essere considerato vero o
falso, che decidono quali discorsi accogliere e quali ripudiare.
Come scrive Foucault24 la strategia principale del potere “è rivolta
all’immediata vita quotidiana che categorizza l’individuo, che lo segna della sua
individualità, lo fissa alla sua identità, gli impone una legge di verità che egli
deve riconoscere e che altri devono riconoscere in lui”.
La questione dei diritti della donna è strettamente legata ai rapporti di forza e
di potere presenti nella società e all'articolazione delle sue strutture: rendere le
persone soggetti ben definiti, legati a una identità precisa, unica e statica, è
dunque per Foucault un modo per assoggettarle ad un regime di governabilità.
Vengono messe in atto “pratiche di divisione” che creano il soggetto attraverso
l'atto di separarlo da una serie di altri. Il potere è esercitato da ogni forza della
società e passa dai corpi: il potere viene dal basso, le relazioni che lo
costituiscono sono multiple ed eterogenee. Ciò che si chiama potere è
un’integrazione, un coordinamento ed una finalizzazione dei rapporti fra una
molteplicità di forze.
La rappresentazione della donna è centrale nell'attuazione dei rapporti di
potere. Esaltando l'unicità della soggettività femminile e idealizzandola, viene
messa in azione un' attenta opera di frammentazione della molteplicità infinita,e
in continuo cambiamento e ridefinizione di tutti i soggetti inclusi in questa
categorizzazione. Allo stesso modo, il controllo del potere opera imponendo
limiti, doveri e libertà al corpo della donna.
23 Edward Said, Orientalismo, 1978
24 Michel Foucault, Potere e strategie, 1994, pag. 108
31
2.1.3. Le donne nelle rivoluzioni arabe.
Le donne di tutte le provenienze e fedi svolgono un ruolo chiave nel processo
rivoluzionario in Tunisia, ma anche in Egitto, Yemen, Bahrein, Siria.
Al centro del conflitto tra sostenitori e oppositori del laicismo, del rispetto
delle credenze religiose e dei diritti linguistici, culturali e nazionali, le donne
sono allo stesso tempo attrici e oggetto delle battaglie per quanto riguarda il
loro status giuridico, il posto nei partiti e negli organi elettorali, la politica sociale
e l'occupazione. Ma che cosa significa la solidarietà tra donne e femministe per
i paesi arabo-islamici e per tutto il resto del mondo?
In Tunisia, fin dall'inizio della “Primavera Araba” le donne hanno ricoperto un
ruolo fondamentale durante le manifestazioni, marciando su Avenue Bourguiba
a Tunisi con i loro mariti e i loro figli al seguito. Durante le proteste egiziane, la
manifestazione di milioni di cittadini in piazza Tahrir, il 25 gennaio (quando è
stato cacciato il Presidente Hosni Mubarak), è stata convocata da una grintosa
giovane donna, che ha postato un video su facebook, chiamando tutti a
scendere nelle strade. In Yemen, file di donne velate sono scese in piazza a
Sanaa e Taiz, mentre i Siria le donne hanno effettuato blocchi stradali,
fronteggiando le armi da fuoco dei corpi militari, per ottenere il rilascio dei loro
mariti e figli detenuti nelle prigioni siriane.
Nel coraggio di queste azioni, ma anche nella memoria storica, si annida
però la preoccupazione che, sulla strada verso nuovi assetti di democrazie
parlamentari, i diritti delle donne vengano lasciati da parte in favore di una
partecipazione esclusivamente (o quasi) maschile, sia con l'opzione del
patriarcato liberale, sia con quella del fondamentalismo religioso. Nella memoria
collettiva, infatti, è ancora fresco il ricordo di come durante la rivoluzione
Algerina per l'indipendenza dalla Francia tra il 1954 e il 1962, le donne fossero
estremamente coinvolte e avessero giocato un ruolo chiave nella resistenza al
governo coloniale; ma una volta ottenuta l'indipendenza, le donne protagoniste
di questa lotta combattuta fianco a fianco con gli uomini, sono state relegate ai
margini della politica.
In Tunisia le immagini delle proteste che nel 2010-2011 per mesi hanno
32
scosso il paese ritraevano centinaia di donne in prima fila, laiche e musulmane,
a lottare insieme, per la conquista di diritti e dignità. Le stesse che, tuttora,
combattono unite contro le proposte di modifica della costituzione tunisina
proposta da En-Nahda e per la conquista di nuovi diritti e di un nuovo status
sociale. Se pensiamo alla Tunisia come un paese, un territorio, storicamente
meticcio nel quale si sono susseguite e ibridate varie culture (prima quella
berbera, poi quella araba, fenicia e romana, per citare le più importanti) e molti
culti (tuttora in Tunisia convivono musulmani, cristiani, ebrei, atei), e se
pensiamo all'eredità intrinseca profondamente laica che l'era di Bourguiba ha
lasciato, nel bene e nel male, possiamo forse non stupirci. Possiamo anzi
comprendere la potenza e la radicalità che, in un paese in cui oltre il 51% della
popolazione è di sesso femminile, da simili percorsi può scaturire, dando vita,
forse, a un importante cortocircuito che trae la sua forza da un continuo
processo di riappropriazione dell'identità, di rimescolamento e immeticciamento,
che elude le “frontiere” della frammentazione con un approccio olistico al
mondo e all'esperienza che, nel rispetto delle differenze culturali e ideologiche.
Un approccio che mette a valore le differenze stesse, rendendole oggetto di
analisi, ricreando e reinventando nuove soggettività.
A partire da una breve presentazione dei percorsi di lotta per i diritti di genere
nel mondo arabo-islamico e in Tunisia, credo sia dunque utile provare a
indagare le sfide e le contraddizioni che si pongono nel contesto attuale che
attraversa il paese tunisino, che si trova ad affrontare una grave crisi economica
contemporaneamente alla scommessa della transizione post-rivoluzionaria.
33
2.2. La battaglia per i diritti della donna in Tunisia.
2.2.1. Storia della donna dal vestito di piume 25, ovvero, breve storia del
femminismo arabo-islamico
Nel mondo arabo-islamico il femminismo registra oltre un secolo di storia.
Diverse tendenze e specificità nazionali hanno caratterizzato un movimento
femminile che si è trasformato nel tempo e che, dopo stagioni differenti, oggi
vede convivere più anime a testimonianza della grande vitalità e centralità
dell'attivismo di genere. La storia delle battaglie delle donne nel mondo araboislamico ha infatti radici profonde, ma in Occidente è pressoché sconosciuta e,
anche nei paesi in cui si è sviluppata, fatica a essere considerata come parte
integrante della costruzione delle identità nazionali e dei processi di sviluppo.
Eppure i movimenti femminili mobilitatisi in nome dei diritti, della liberà e
dell'emancipazione
hanno
una
lunga
tradizione:
in
passato
hanno
accompagnato attivamente le lotte per l'indipendenza e l'affermazione degli
Stati nazionali, e oggi, in paesi come la Tunisia e l' Egitto, sono le donne a
25 “La storia ha inizio a Baghdad, allora capitale dell'impero musulmano, da dove Hassan, un giovane
attraente ma fallito, che ha sperperato la sua eredità in vino e allegre compagnie, salpa verso isole remote
in cerca di fortuna. Una notte, mentre è intento a scrutare il mare dall'alto dei una terrazza, è attratto dai
movimenti aggraziati di un grande uccello che è venuto a posarsi sulla spiaggia. All'improvviso l'uccello si
spoglia del suo piumaggio, che si rivela essere un vestito di piume, e ne esce una bella donna nuda che
corre a tuffarsi nelle onde. […]
Pazzo d'amore, Hassan ruba a quella bellezza al bagno il suo vestito di piume, e lo seppellisce in un
luogo segreto. Privata delle ali, la donna è ora in suo potere. Hassan la sposa, la copre di seta e pietre
preziose, e quando lei gli dà due figli, allenta le sue vigili premure e si convince che la donna non penserà
mai più a volare via. Comincia a fare dei lunghi viaggi per accrescere le sue ricchezze, ed è sorpreso
quando un giorno, al suo ritorno, scopre che lei non ha mai smesso di cercare il suo vestito di piume e,
una volta trovatolo, non ha esitato a prendere il volo. “Stringendosi i figli al petto, si avvolse nell'abito di
piume e divenne uccello, per volere di Allah al quale appartengono potenza e maestà. Poi avanzò con
grazia ondeggiando e danzò e si pavoneggiò e agitò le ali...”
Spiegò le ali, e prima di intraprendere il pericoloso viaggio di ritorno assieme ai suoi figli, sorvolando
fiumi profondi e oceani in tempesta fino alla nativa isola di Wak Wak, la donna lasciò un messaggio per
Hassan: poteva raggiungerla là, se ne avesse avuto il coraggio. Nessuno sapeva allora, e ancor meno
oggi, dove collocare questa misteriosa Wak Wak, emblema di esotismo e di remota alterità. [...] Tratto da
F. Mernissi, L'harem e l'Occidente, 2010
34
svolgere un ruolo centrale nel determinare le sfide e gli orizzonti della
transizione e della costituzione di nuovi paesi.
Alla base della molteplice composizione dei movimenti femminili e femministi
che connettono moltissime donne arabe e/o musulmane in tutto il mondo, vi è
l'idea che i percorsi che portano all'emancipazione femminile non debbano
necessariamente svilupparsi adottando il modello universalista dell'ideologia
femminista occidentale, ma che possano invece realizzarsi attraverso
l'accettazione e la reinterpretazione critica della propria tradizione culturale e
degli stessi testi sacri come gli Hadith e il Corano. Queste intellettuali, per
quanto percorrano strade e analisi molto diverse e spesso in contrasto tra loro,
hanno dunque il merito di essere riuscite a rompere l'epistemologia femminista
universalista,
avvicinandosi
agli
studi
post-coloniali.
A
partire
dalla
riappropriazione della propria soggettività, hanno rielaborato e reinventato
l'identità stessa attraverso cui le donne musulmane sono rappresentate,
mettendo in discussione l'approccio orientalista. Come spiega Renata
Pepicielli26, gli studi post-coloniali hanno evidenziato che nei paesi araboislamici non c'è uniformità nelle leggi o nelle tradizioni: è dunque necessario
respingere la rappresentazione di donna musulmana tout court, enfatizzando la
pluralità delle appartenenze, delle soggettività, dei contesti e delle analisi che
da essi scaturiscono.
Vorrei brevemente soffermarmi sulle analisi di una figura di spicco tra le
intellettuali maghrebine: Fatema Mernissi, sociologa, scrittrice e femminista. In
particolare nei suoi libri, si è dedicata a svolgere una accurata analisi delle
ragioni per cui gli uomini arabi e musulmani hanno elaborato strategie e
meccanismi di controllo sulle donne arabe. L'analisi, a mio parere più
interessante, che Fatema Mernissi mette a fuoco riguarda la paura e la
soggezione occulta che gli uomini arabi proverebbero nei confronti delle donne.
Spiega infatti che, a differenza di quanto avviene nel mondo occidentale, gli
uomini musulmani considerano le donne come portatrici di un potere
dirompente, associando alla bellezza fisica il fascino dell’intelligenza e della
cultura. Come elabora in “L'harem e l'Occidente”, un esempio calzante in
26 R. Pepicelli, Femminismo Islamico, 2010
35
proposito sarebbe la figura di Shahrazad: una donna che grazie alla sua astuzia
non salva solo se stessa, ma tutto regno, compiendo dunque un’azione politica.
Citando le parole della Mernissi: “Nella società musulmana, dove le leggi
istituzionalizzano l’ineguaglianza, dando agli uomini il diritto alla poligamia e a
chiudere le mogli in un harem, costringendole a velarsi quando ne escono, i
maschi fantasticano di donne potenti e incontrollabili 27”. Nel mondo musulmano,
c’è una forte consapevolezza della forza della donna e proprio perché la si
teme, va rinchiusa nell’harem o controllata e al suo corpo vanno imposte
limitazioni. Servono barriere fisiche che definiscano lo Spazio di competenza
dei due sessi e che impediscano l’accesso della donna alla dimensione
pubblica. Sia l’harem che il velo assolvono a questa funzione. “La ragione
principale per cui gli uomini tenevano le donne sotto chiave, era impedire loro di
farsi troppo sveglie” perché, come lascia intuire tramite un racconto che riporta
nel suo libro, una volta che una donna ritrova le sue ali, diventa impossibile
assoggettarla.
2.2.2. Tunisia tra il “femminismo maschile” di Stato e i movimenti
femminili e femministi.
In Tunisia si inizia a parlare di miglioramento dello status delle donne come
condizione necessaria alla modernizzazione del paese negli anni '30, grazie a
un movimento riformista guidato da Tahar Haddad e Ben Achour. Proprio a
partire dalle file di questo gruppo, si sviluppano primi tentativi di organizzare le
donne della classe borghese urbana che prendono la forma di azioni caritatevoli
verso donne più povere. Ma ben presto questo movimento si impegna su un
fronte più grande: la battaglia contro la colonizzazione francese, col partito
Destour in prima fila. Schiacciate da un conflitto che le vede da una parte autoidentificarsi identificarsi in quanto “colonizzate” e dall'altra in quanto
“subordinate”, le donne scelgono di mettere da parte le proprie rivendicazioni di
genere, in favore della lotta al colonialismo. Svolgono infatti un ruolo centrale,
nella speranza che l'indipendenza porti benefici tanto agli uomini quanto alle
donne.
27 F. Mernissi, L'Harem e l'Occidente, 2010
36
Nel 1956, alla soglia dell'indipendenza, viene fondata l'Union Nationale des
Femmes Tunisiennes (UNFT) come appendice del partito Neo-Destur, di cui
Bourguiba è leader. L'obiettivo esplicito di questa organizzazione è di
promuovere lo status culturale, sociale, economico e politico delle donne
tunisine. L' UNFT diventa responsabile della comunicazione, del supporto e
dell'implementazione delle politiche e delle iniziative attuate dal governo, per
esempio promuovendo campagne di alfabetizzazione ed educazione e
diffondendo tra le donne la consapevolezza dei nuovi cambiamenti apportati
grazie al Codice di Statuto Personale, appena approvato. Già nei primi anni
dopo l'indipendenza, l'Unione Nazionale delle Donne Tunisine conta circa
14.000 membri; oltre 38.000 dopo 1969.
Possiamo affermare con certezza, dunque, che a partire dalla conquista
dell'indipendenza dalla Francia, in Tunisia si verificano profondi cambiamenti
che trasformano le strutture sociali e familiari, così come la relazione tra uomo e
donna. Come già sottolineato precedentemente, infatti, il Codice di Statuto
personale garantisce per la prima volta alle donne tunisine diritti di cui non
godevano nemmeno le loro sorelle cittadine dei paesi colonizzatori europei e,
paradossalmente, all'inizio sono i molti casi proprio gli uomini a far arrivare alle
donne un modello femminile emancipato.
Racconta Lilia Zaouali28, antropologa tunisina29: “All'epoca, in effetti, solo gli
uomini andavano al cinema, e quindi sono stati loro a portare in casa le
immagini e i modelli visti sullo schermo. Quando i miei genitori si sono sposati,
mia mamma portava il velo, quello di seta bianca di Tunisi. Ecco, la prima volta
che mio padre l'ha invitata al cinema le ha detto 'Togliti quell'affare!', mia madre
rispose 'No, ma come! Mi vergogno... non sono mai uscita senza' e lui 'Se vuoi
venire con me al cinema devi togliertelo'. E lei l'ha tolto”.
Nonostante questo, però, la resistenza al cambiamento rimane molto forte e
radicata nella società: Bourguiba, padre fondatore della “nuova” Tunisia
indipendente, seppure abbia adottato subito politiche all'avanguardia rispetto
28 Lilia Zaouali, antropologa e ricercatrice alla Sorbonne, autrice de “L'Islam a tavola dal medioevo a
oggi”, Laterza, 2004. Ha insegnato Antropologia del mondo islamico all'Università Paris-VII e tiene
seminari presso l'Università del Piemonte Orientale. Collabora a diversi quotidiani e periodici italiani.
29 Intervista di Barbara Bertoncin, “Aveva i capelli lunghi e neri”, maggio 2006
37
alla quasi totalità dei paesi mediterranei, è riuscito però allo stesso tempo a
contenere l'impatto di quegli stessi cambiamenti, mantenendo lo status di
privilegio maschile all'interno della struttura tradizionale patriarcale dello stato e
delle famiglie. La mentalità è cambiata poco, probabilmente perchè a ogni
cambiamento corrisponde sempre una perdita di potere. All'evoluzione
dell'immaginario non è corrisposta un'evoluzione reale nello status della donna.
Intorno agli anni '80, i movimenti femminili emergono nella sfera pubblica
tunisina, ricevendo una forte e positiva spinta dalle lotte globali femministe che
a cavallo degli anni '60 e '70 avevano fatto irruzione in tutto il mondo,
destrutturando l'oscurantismo religioso e i tabù tradizionali, ma soprattutto
conquistando diritti concreti.
Verso la fine degli anni '70, infatti, pur mantenendosi lontano dai luoghi
tradizionali della politica, le donne iniziano a investire negli spazi della cultura e
valorizzare esperienze come i gruppi di riflessione. Cominciano a prendere
parola pubblicamente in un modo nuovo, “diverso”, che non è più una semplice
apologia della liberazione delle donne, ma focalizza le discussioni intorno a
dubbi, paure e critiche su questioni specifiche, per esempio contro l'obbligo di
avere il consenso del padre o del marito per lasciare il paese (1978). La data
spartiacque è il 1979, quando durante il Festival di Tabarka, nel nord del paese,
le femministe prendono parola pubblicamente, iniziando a svelare l'oppressione
e l'illusione. E' proprio a partire da quella data che si decide di iniziare a
celebrare l' 8 marzo, festa internazionale della donna. Tra il 1980 e il 1985 i
dibattiti e le riflessioni delle donne attiviste si indirizzano su questioni “scomode”
relative allo status giuridico e religioso delle donne, al tema della sessualità e
della contraccezione, alla libertà di stampa e ai diritti delle donne e alla
relazione tra le donne e il potere e sul futuro del femminismo nel Maghreb 30.
Ilhem Marzouki, attivista per i diritti umani, afferma la necessità di
emanciparsi a partire da se stesse, di organizzare di associazioni femminili che
promuovano il dibattito e prendano coscienza della realtà per realizzare una
crescita civile consapevole nella società. Più tardi, in riferimento a quegli anni,
in un suo saggio scritto nel 1993, sottolinea come sia stata proprio la mancanza
30 Sana Ben Achour, Féminisme d’Etat: figure ou défiguration du féminisme?, 2001
38
di libertà nelle società arabe ad ostacolare la crescita di un movimento
sociale31.
L'emersione di questo nuovo movimento in Tunisia sembra il risultato, da una
parte, della consapevolezza rispetto alla condizione sociale ed economica in cui
esse vivevano, private di una reale possibilità di autonomia dall'uomo, e
dall'altra la reazione alle incoerenze e alle contraddizioni delle politiche
pubbliche, allo status di inferiorità in famiglia e nella scala sociale a cui erano
relegate e all'esclusione di fatto dalla sfera politica e dai ruoli decisionali. Infatti,
nella Tunisia post-coloniale le strategie adottate in conformità al bisogno
crescente di industrializzazione del paese consistevano nella modernizzazione
delle fabbriche e degli strumenti di produzione, senza modificare le relazioni di
produzione né le relazioni di genere all'interno della struttura patriarcale della
famiglia. Lo status delle donne viene così situato in un contesto di relazioni
contraddittorie tra
una ideologia modernista e progressista e una ideologia
sessista e patriarcale. La costituzione di organizzazioni femministe autonome,
ha rappresentato dunque la rottura con il già esistente femminismo maschile
rappresentato dalle autorità del paese.
Le riforme riguardanti la condizione della donna continuano, in maniera
differente, anche sotto la presidenza di Ben Ali: così in apparenza, l'impegno
dello Stato nello sviluppo di politiche favorevoli per le donne rimane, agli occhi
della comunità internazionale, una caratteristica permanente della Tunisia. Ma il
“femminismo di stato” era soprattutto un “femminismo maschile”, poiché di fatto
non aveva mai avuto l'obiettivo di trasformare il ruolo tradizionale della donna,
ma semplicemente di renderla più efficiente all'interno della struttura patriarcale.
La mancanza di un netto cambiamento all'interno delle mura di casa, in
favore del mantenimento de facto dei ruoli tradizionali delle relazioni tra uomo e
donna, non erano l'unico fattore che metteva un freno alla reale conquista per le
donne di uno status migliore all'interno della società tunisina. Come accennavo
precedentemente, infatti, la situazione reale che migliaia di donne tunisine
vivevano ordinariamente non era neanche lontanamente vicina alle immagini
propagandate del governo, poichè molto spesso diritti e libertà lasciavano il
31 Ilhem Marzouki, Le mouvement des femmes en Tunisie au XXème siècle, 1993.
39
posto a persecuzioni, molestie e intimidazioni.
2.2.3. La condizione femminile sotto il governo di Ben Ali. Le due facce
della stessa medaglia
All'alba della deposizione del presidente Bourguiba, il nuovo capo di stato
tunisino annuncia la propria intenzione a rispettare i diritti delle donne acquisiti
tramite il Codice dello Statuto Personale promulgato nel 1957.
Due anni più tardi viene legalizzata l'Associazione delle Donne Democratiche
Tunisine (AFDT), e nel 1993 il governo applica una serie di ulteriori riforme
relative alla condizione sociale femminile. Per esempio, viene sancito il diritto di
una donna a prendersi cura del figlio in caso di morte o di incapacità del padre
e viene abolito il dovere d'obbedienza verso il marito, introducendo il reciproco
obbligo degli sposi al rispetto e alla consultazione. Viene inoltre creato un fondo
economico per aiutare le donne divorziate e i loro figli in stato di necessità a
causa dell'irresponsabilità dell'ex-marito. Viene rafforzato il diritto della donna a
lavorare e viene legalmente abolita la discriminazione salariale nel settore
agricolo. Le donne ottengono il diritto di trasmettere la propria nazionalità a un
figlio nato all'estero da padre non-tunisino e, tramite la riforma del codice
penale, viene eliminata l'attenuante relativa ai cosiddetti “delitti d'onore” nel
caso di omicidio di una moglie adultera per mano di un uomo.
Nonostante queste riforme rappresentino un ulteriore progresso formale
verso l'uguaglianza di genere, gli uomini rimangono inchiodati alle tradizioni e i
costumi che confinano la donna al suo ruolo di moglie e madre remissiva: in
molti vengono ancora richieste le doti e il padre rimane l'unico capofamiglia e
l'eredità resta governata dalla legge islamica che ne garantisce due terzi
all'uomo e un terzo alla donna. La situazione di una donna sola con un figlio
illegittimo rimane semplicemente ignorata dalla legge. Come sottolinea, inoltre,
Sana Ben Achour durante un suo intervento sul femminismo 32, all'interno del
Patto Nazionale del 1988 si intravede l'ambiguità delle politiche portate avanti
da Ben Ali: “ces réformes qui visent à libérer la femme et à l’émanciper sont
32 Sana Ben Achour, “Féminisme d’Etat: figure ou défiguration du féminisme?”, 2001
40
conformes à une aspiration fort ancienne dans notre pays se fondant sur une
règle solide de l’ijtihad et sur les objectifs de la chariâ et constituent une preuve
de la vitalité de l’Islam et de son ouverture aux exigences de l’époque et de
l’évolution”. Ambiguità che d'altronde era già evidente nelle leggi promulgate da
Bourguiba per esempio nell'articolo 1 della Costituzione Tunisina che recita: “La
Tunisia è uno Stato libero, indipendente, sovrano, la cui religione è l'Islam e la
cui lingua è l'arabo. Il suo ordinamento è quello repubblicano" oppure nel divieto
per la donna musulmana di sposare un partner non musulmano 33.
Nell'analisi di Olfa Lamloum e Luiza Toscane 34 l'alto livello di attenzione di
Ben Ali riguardo alla questione femminile, mentre contemporaneamente
costruiva e rafforzava un impianto di repressione e controllo, si può spiegare in
parte con la scarsa legittimità storica che il presidente godeva rispetto al suo
predecessore: a 30 anni dalla promulgazione del Codice dello Statuto
Personale, che aveva segnato le vite di un intera generazione, difficilmente
avrebbe infatti potuto fare altro se non confermare una linea politica di quel tipo.
D'altra parte, evidenziano O. Lamloum e L. Toscane, dobbiamo tener conto che
nelle elezioni legislative del 1989 la lista indipendente, sostenuta dal Movimento
di Tendenza Islamica (che allora non era riconosciuto) aveva ottenuto il 14% dei
voti. Comincia dunque un'abile politica volta a organizzare il consenso non solo
locale, ma anche internazionale contro l'Islam, identificato dal governo come
unica forza in grado di destabilizzare il potere indiscusso del partito unico RCD.
La bandiera di questa campagna nazionale diventano strumentalmente i diritti
umani e i diritti della donna, e in loro nome, il “nemico della democrazia” (gli
islamisti) devono essere debellati dallo scenario politico. I diritti della donna,
sono dunque un astuto alibi.
Negli stessi anni delle misure in favore delle donne vengono attuate le
restrizioni in termini di libertà e aumentano controllo sociale e censura, così
come il limite di libertà di espressione. In un lungo rapporto del 1997 sulla
33 Si veda l'art. 5 della legge n. 1 del 1964, in base al quale i promessi sposi devono essere liberi dagli
impedimenti fissati dalla shari‘a.
34 O. Lamloum e L. Toscane, Discours modernisateur pour régime répressif. Les femmes, alibi du
pouvoir tunisien, 1998
41
situazione dei diritti umani in Tunisia 35, in cui vengono riportati numerosi casi di
lesioni dei diritti dell'individuo e di torture o persecuzioni, Amnesty International
scrive che la Tunisia si trova intrappolata in una discrasia “between the
discourse of the Tunisian authorities, who continue to reiterate their
commitment to respecting human rights, and a reality where the most
fundamental rights are violated daily". Nello stesso report, Amnesty International
descrive una situazione in cui migliaia di donne si troverebbero nella condizione
di avere paura o vergogna di testimoniare gli abusi, le intimidazioni e le torture
subite poiché considerate dal governo “islamiche” o possibili fonti di
informazioni in quanto vicine a persone “islamiche” oppure perchè attive in a
ONG e associazioni per i diritti umani. Molte vengono intimidite, imprigionate o
esiliate, semplicemente perchè mogli di attivisti musulmani fuggiti all'estero o
perchè
religiose
praticanti.
Come
raccontano
molte
testimonianze,
le
persecuzioni e le umiliazioni nei confronti delle donne si susseguono numerose
negli anni: c'è chi viene arrestata con la scusa che uscire dal paese sia un
comportamento sospetto, c'è chi riceve l'obbligo di presentarsi alla stazione di
polizia diverse volte al giorno, c'è chi viene costretta agli arresti domiciliari... e
tutto questo provoca quasi sempre anche la perdita del lavoro. Il rapporto di
Amnesty International presentato a Londra nel 1997, inoltre, riporta la diffusione
di torture e abusi sessuali che in Tunisia negli anni '90 diventa una pratica
ordinaria.
In un rapporto della Fèdèration Internationale des Droits de l'Homme
(FIDH)36, rivolto alla commissione ONU contro la tortura scritto nel 1998 si
legge:
“La torture est pratiquée depuis de longues années en Tunisie ; depuis 1990
elle a été renforcée. Elle a d'abord visé les opposants présumés ou avérés,
membres ou sympathisants de formations politiques non reconnues (En
Nahdha, Parti Communiste des Ouvriers de Tunisie et son organisation de
35 Amnesty International, Amnesty International Report 1997 - Tunisia, 1 January 1997 http://www.unhcr.org/refworld/docid/3ae6aa0170.html
36 Rapporto periodico della Tunisia, al Comitato ONU contro la tortura (21° sessione, novembre 1998),
realizzato dalla FIDH in collaborazione con la Lega tunisina per la difesa dei diritti umani e il Comitato
per il rispetto delle libertà e dei diritti umani in Tunisia.
42
jeunesse, l'Union de la Jeunesse Communiste...) ou de formations dissoutes
(Union Générale Tunisienne des Étudiants...) ou légales (Union Générale des
Étudiants de Tunisie, Mouvement des Démocrates Socialistes...). […]
La torture s'est étendue aux proches de ces militants et sympathisants, puis
à de simples citoyens, à des médecins, des journalistes, des étudiants, des
universitaires ou certains émigrés interpellés à leur retour. L'objectif de la
torture était l'obtention d'informations relatives aux ressortissants tunisiens
vivant à l'étranger, voire une simple mesure de rétorsion contre des personnes
ayant accepté de rendre service à un compatriote. […]
La torture est pratiquée par des agents de l'Etat, fonctionnaires du ministère
de l'Intérieur, de la garde nationale, de la police, et par des individus agissant à
leur instigation. […] Les femmes sont étranglées avec des foulards et subissent
les attouchements des policiers. Les sévices sexuels sont monnaie courante à
l'encontre des hommes et des femmes […]
In particolare il rapporto cita i casi di Jamila Saadani, arrestata nel settembre
1991, e di Widad Lagha, nel 1992, torturata e filmata mentre subiva molestie
sessuali in quanto moglie di Ali Larayedh, portavoce e attivista del Movimento di
Tendenza Islamica: i primi casi resi pubblici a livello internazionale delle
vessazioni ad opera del regime repressivo e persecutorio del Governo di Ben
Ali.
Un altro caso famoso di intimidazioni e violenza sulle donne da parte della
dittatura è quello di Radhia Nasraoui, avvocato e attivista per i diritti umani,
moglie di Hamma Hammami, leader del partito Comunista Tunisino. Nonostante
sia una donna profondamente laica, è stata il primo avvocato tunisino a
difendere in tribunale le donne vittima di violenze da parte del regime e, in
particolare, coloro che avevano subito torture con l'accusa di appoggiare gli
Islamisti o far parte di essi, rifiutando di farsi cooptare nella feroce lotta
governativa all'Islam e denunciando inoltre pubblicamente queste vessazioni. E'
proprio a causa del suo impegno politico che nel 1998 subisce il saccheggio del
suo ufficio, che viene devastato dagli uomini di Ben Ali. Successivamente riceve
43
più volte nuove intimidazioni e subisce anche due sabotaggi all'impianto dei
freni della sua automobile 37. R. Nasraoui, però non si lascia scoraggiare e
continua il suo attivismo: nel 2002 è tra le fondatrici dell'Associazione per la
Lotta contro la Tortura in Tunisia (ALTT), ai tempi non ufficialmente riconosciuta
dal governo tunisino, ed è membro attivo della Lega Tunisina per i Diritti Umani
(LDTH), dell'Association Tunisienne des Femmes Démocrates (ATFD) e di
Amnesty International Tunisia.
2.3. La transizione: nuove contraddizioni, nuove sfide.
2.3.1. Le donne negli ultimi anni del regime.
Durante le proteste che dal 2008 si sono moltiplicate fino a portare alla
cacciata di Ben Ali e della famiglia Trabelsi, le donne hanno ricoperto una
posizione centrale, non solo partecipando attivamente alle manifestazioni e alle
iniziative, ma facendosi portavoce di quei movimenti, prendendo parola
pubblicamente, organizzandosi e svolgendo un importante funzione di
controinformazione tramite blog e social-network, eludendo così la censura di
regime e raccontando al mondo i giorni della Rivoluzione dei Gelsomini.
Un comunicato scritto da Sana Ben Achour, per l'Associationes Tunisienne
des Femmes Democrates38, diffuso il 13 agosto 2010 in occasione della
celebrazione della promulgazione del CSP nel 1956, ripercorre molto
precisamente le tappe salienti delle battaglie per l'uguaglianza di genere
sviluppatosi negli anni, disegnando una mappa dell'importante impegno politico
delle associazioni femminili ed evidenziando il fermento e la grande attività che
ancora oggi attraversa tutto il paese e che ha reso molte donne protagoniste di
numerose lotte, tra cui quelle delle lavoratrici e dei lavoratori del bacino
37 Episodi raccontati da R. Nasraoui, in un intervista per il documentario di Mourad Ben Cheikh, Plus
jamais peur, 2011.
38 Sana Ben Achour, ATFD, Citoyennes par dessus tout, 13 agosto 2010
44
minerario di Redeyef.
Un passo importante per il consolidamento delle iniziative e dell'impegno
politico delle donne attiviste, è stata la fondazione a Tunisi dell' Université
Féministe Ilhem Marzouki, nel 2009: un progetto osteggiato dal Governo, che
ha rappresentato inizialmente una grande sfida, ma solo un anno più tardi
riescono a iniziare i primi corsi di formazione all'università. Secondo lo spirito
del progetto, infatti, l'Université Féministe vuole essere un luogo di incontro e
scambio, attraverso cui mettere a valore le risorse creative di tutti i partecipanti
e che trova le sue basi nel campo del pensiero femminista e dell'attivismo per i
diritti delle donne e l'uguaglianza di genere. Un progetto tuttora in corso, che
raccoglie maggiori partecipazioni di anno in anno.
Attualmente le donne tunisine, continuano a giocare un ruolo centrale nella
fase di transizione e costituzione del Tunisia dopo la rivoluzione.
Rappresentano infatti più del 51% della popolazione tunisina, hanno un tasso
di istruzione relativamente alto (71%), sono più di un quinto dei salariati del
paese e nella partecipazione ai 18 sindacati locali raggiungono oltre il 43% su
mezzo milione di membri. La maggior parte delle donne lavora nell'educazione,
nell'industria tessile, nella sanità e nel settore dei servizi e del turismo,
svolgendo un ruolo centrale nella crescita economica del paese.
La società tunisina è in rapida trasformazione e le donne sono un agente
importante di questo mutamento.
A partire dalla rivoluzione del 14 gennaio 2011, sembra che la Tunisia stia
vivendo un momento di apertura in cui si moltiplicano associazioni,
organizzazioni e gruppi politici, e tra questi quelli femminili e femministi che
durante i governi precedenti avevano subito restrizioni e quasi mai erano stati
legalizzati. Il ruolo fondamentale svolto da anni dalle associazioni in lotta per i
diritti della donna all'interno della società tunisina ha ricevuto un importante
riconoscimento nell'aprile 2011, con la promulgazione di una legge che
prevedeva l'obbligo di presentare liste paritarie con uguale numero di candidati
maschi e femmine per tutti i partiti in lista per le prime vere elezioni tunisine.
45
Una svolta importante che permette di far parte del nuovo governo
provvisorio a molte donne, all'interno di tutti i partiti votati, tra cui En-Nahda
stesso. Tra di loro, Souad Abderrahim che, presentandosi pubblicamente senza
velo e i modi di una “donna in carriera”, si pone come l'immagine progressista
del partito islamico moderato, ma è la prima a dichiarare: “Siamo nel 2011, non
possiamo tornare indietro. La donna tunisina è libera. Ma alla libertà ci vogliono
dei limiti. E sono quelli imposti dal Corano. Noi siamo contrari ai matrimoni
misti, alla libertà sessuale, alle unioni omosessuali e all'uguaglianza nelle
eredità: secondo il Corano la donna non può ereditare i beni dei genitori defunti
nella stessa proporzione dell'uomo. Noi siamo musulmani, e condividiamo
questo precetto39” e che “le donne single sono una disgrazia non dovrebbero
esistere40”, mettendo a nudo quello che, da parte di En-Nahda, sembra un
tentativo forse di tenere insieme diverse anime e raccogliere il sostegno di
molte delle variegate componenti sociali tunisine.
Ad ogni modo, quando il 24 ottobre 2011 in Tunisia si svolgono le elezioni
per scegliere il governo provvisorio che avrebbe guidato il paese verso una
nuova costituzione e soprattutto, verso elezioni vere e proprie, il risultato coglie
molti di sorpresa. Il partito di En-Nahda vince le elezioni con il 44% dei voti ed
entrando
nella
coalizione
di
governo
come
parte
maggioritaria.
Le
interpretazioni di questa vittoria sono molte: c'è chi parla di controrivoluzione e
del significativo passo indietro che potrebbe significare l'avvento al potere degli
islamisti (talvolta evocando la guerra civile che ha scosso la vicina Algeria negli
anni '90 proprio in seguito alla vittoria elettorale del Fronte di Salvezza Islamico)
e chi resta fiducioso nei confronti del processo politico e di
cambiamento
sociale che si è messo in moto con la rivoluzione. C'è chi semplicemente dice
“stiamo a vedere”. Ma il fatto che abbia vinto En-Nahda, non significa che i laici
abbiano fallito: “La Tunisia è sempre stata un mosaico di fedi e inclinazioni”,
afferma l'antropologa Lilia Zaouali41.
39 Intervista di I. Soave su “L'inchiesta”, La "Rinascita" tunisina e i diritti delle donne: sarà una
primavera?, 24 ottobre 2012
40 Tunisia Live, Ennahda Spokeswoman Souad Abderrahim: Single Mothers Are a Disgrace to Tunisia, 9
novembre 2011
41 I. Guidantoni, Chiacchiere datteri e thè. Tunisi, viaggio in una società che cambia, 2013
46
2.3.2. Uno sguardo nella transizione.
Senza dubbio, vi sono molte ambiguità e diversità che attualmente
attraversano la società civile tunisina, ma sono contraddizioni che hanno una
lunga storia: Bourguiba stesso, mentre si faceva riprendere dalle telecamere
nell'atto di togliere il velo a una fila di donne (azione che ha segnato la storia del
paese), affermava che la Tunisia è un paese musulmano. Tra le vicende che più
hanno creato dibattito c'è la proposta di modifica dell'art. 26 della costituzione
che, promulgato nel 1956, sancisce:
“Lo Stato garantisce i diritti delle donne e le sue conquiste in ogni campo. E'
vietato emanare leggi che possano comprometterlo in alcun modo. Lo Stato
deve lottare contro ogni forma di discriminazione o di violenza fisica o
psicologica nei confronti delle donne”. Se infatti, a due giorni dalle elezioni, il 22
ottobre 2011 Rachid Ghannouci aveva dichiarato “noi siamo per la parità dei
diritti per gli uomini e per le donne. Siamo contro l'imposizione del velo in nome
dell'Islam e siamo contro la messa al bando di esso in nome della laicità
moderna”, alcuni mesi dopo, a inizio agosto 2012 (pochi giorni prima della festa
nazionale tunisina della donna), è lo stesso Ghannouci ad annunciare la
modifica dell'articolo secondo la seguente proposta:
“Lo Stato protegge i diritti delle donne e la loro acquisizione, in virtù del
principio di complementarità con l'uomo, della famiglia e come partner
dell'uomo per lo sviluppo del Paese. Lo Stato deve garantire le pari opportunità
delle donne in tutte le sue responsabilità. Lo Stato garantisce la lotta contro la
violenza nei confronti delle donne”.
In opposizione a questa proposta, sono state organizzate numerose
manifestazioni che hanno visto migliaia di donne di differenti confessioni e
uomini, lottare fianco a fianco per difendere la propria libertà. Un altro questione
che ha fatto discutere molto è stato lo scontro all'Università di Lingue di Tunisi
La Manouba42 che ha coinvolto professori e studenti laici e un gruppo di
studenti salafiti che, parallelamente alla propria candidatura nelle elezioni
42 Heikel Ben Mustapha, A la Manouba (Tunisie), 12 mille étudiants entre les mains des salafistes, 22
dicembre 2011
47
universitarie, ha iniziato a rivendicare il diritto delle donne di indossare in niqab
in università, classi separate per maschi e femmine e un'aula interna alla facoltà
adibita alla preghiera. Questa situazione ha portato a diversi scontri, spesso
sfociati nella violenza43, e alla sospensione delle lezioni per molti giorni 44.
Infine, tra le tante contraddizioni, c'è la questione del velo. È infatti
innegabile, che in seguito alla caduta del regime di Ben Ali moltissime ragazze
abbiano iniziato a coprirsi il capo, secondo i precetti dell'Islam. In riferimento a
questo, in un saggio sulle condizioni delle donne nel mondo arabo Francesca
Corrao45 analizza come questa sia il risultato di un insieme di diverse ragioni.
Per alcune donne la scelta è frutto di una religiosità ritrovata, per alcune si tratta
di poter indossare il velo in pubblico senza subire le molestie e intimidazioni che
durante il governo di Ben Ali erano all'ordine del giorno e si tratta dunque di un
atto politico oltre che liberatorio. Per altre, più semplicemente, è forse il
tentativo di trovare e affermare una propria identità ed esprimerla, cosa che
negli anni del regime era vietato, ricercandola all'interno della cultura islamica.
Non credo che si possa prevedere con certezza come si evolveranno le
cose, poiché il processo è ancora in corso. La situazione è fluida e di difficile
interpretazione, ma io penso che, nonostante ci siano diversi elementi
contraddittori, la voce e la voglia di cambiamento espressa da migliaia di
persone durante la rivoluzione non sia assopita e che ci sia tuttora grande
43 Video di Freereporter Channel: http://www.youtube.com/watch?v=GN6sSJ0bS7w&feature=player_embedded
44 Nel novembre 2011, un gruppo di studenti inizia a rivendicare il diritto di indossare il niqab all'interno
dell'università, durante le lezioni e gli esami, di avere all'interno della facoltà una stanza adibita alla
preghiera. Il preside Habib Kagdaghil, risponde a queste richieste negativamente, sostenuto dal corpo
docenti e dalla maggior parte degli studenti, e impedisce l'ingresso in università a due studentesse
che si presentano indossando il niqab. L'episodio non scatena solo un ampio dibattito, ma numerose
iniziative in sostegno delle due studentesse e per la legittimazione dell'uso del niqab, che ha
determinato l'acuirsi delle tensioni tra gli studenti, in alcuni casi sfociate in scontri. In particolare il fatto
che ha scatenato l'indignazione di molti tunisini è stato l'episodio in cui un piccolo gruppo di studenti
salafiti, salendo sul tetto dell'università, ha tolto la bandiera tunisina per issare quella salafita e
aggredito una ragazza che ha cercato di bloccarli. Per diversi giorni le lezioni in università vengono
sospese dal consiglio dei docenti, a causa di un sciopero indetto dal gruppo di studenti
ultraconservatori: il gruppo istituisce un sit-in permanente all'ingresso dell'università, rivendicando
inoltre l'istituzione di classi separate per maschi e femmine e l'obbligo di insegnamento da parte di
sole docenti donne nelle classi femminili. La tensione resta molto alta e porta persino al suicidio di uno
studente simpatizzante del gruppo salafita a cui il padre aveva impedito di partecipare alle proteste.
Nei mesi successivi continuano l'opposizione tra gli studenti, e il preside (che ora rischia 15 giorni di
prigione per l'accusa di aggressione nei confronti delle due ragazze che avevano fatto irruzione nel
suo ufficio indossando il niqab) viene costretto infatti a lavorare nella sua auto per diversi mesi, poiché
gli viene impedito l'accesso agli edifici della facoltà.
45 F. M. Corrao, La condizione delle donne nel mondo arabo, 2011, p. 48
48
fermento e attivismo. Quello che infatti si può ascoltare nelle parole di molte
persone è che, nel bene o nel male, grazie a 30 anni di femminismo di stato il
laicismo è un elemento ormai intrinseco nella maggior parte dei tunisini e che
sono in molti a essere consapevoli del fatto che la Tunisia è un paese
multiculturale e che queste differenze vadano riconosciute e rispettate. Forse
saranno proprio le rivendicazioni e le azioni messe in atto dai diversi -ma unitigruppi di donne attivi, a sottolineare l'importanza di valorizzare queste diversità.
Nel 2003, Rabéa Naciri, professoressa all'Università di Rabat e attivista nei
movimenti femminili marocchini scriveva: “Molte femministe reclamano la
specificità e la diversità a cui appartengono le donne del Maghreb, che si
trovano a essere portatrici di diverse identità – araba, berbera, musulmana,
magrebine. Infatti la loro consapevolezza dell'uso fatto dagli islamisti del
concetto di specificità per isolare le donne, le spinge a enfatizzare il fatto che
questa specificità maghrebina non è connessa alla questione dell'identità, ma
piuttosto al contesto politico in cui agiscono le femministe, ovvero l'assenza di
democrazia, un alto livello di analfabetismo...”.
La solidarietà delle donne sembra essere dunque un elemento centrale, per
raggiungere davvero un progresso e un miglioramento.
La costituzione della Coalition pour les femmes de Tunisie 46, riconosciuta
ufficialmente il 4 settembre 2012, attiva per la difesa e la promozione dei diritti
umani e per garantire l'uguaglianza di genere e la cittadinanza mi sembra un
passo decisivo mosso in questo senso. Questa coalizione, che tuttora sta
ingrossando le sue fila, include attualmente 15 associazioni: Association ATIDE,
Association pour la Citoyenneté & la Démocratie Participative, Association
Action & Développement Solidaire, Association Doustourna, Association Egalité
& Parité, Association Femmes & Citoyenneté (Le Kef), Association Femmes &
Dignité, Association Femmes Montrez vos Muscles, Association Kolna Tounes,
Association Mouatna & Tawassol, Association Nawarni, Association Tounes
Amenaty, Association Tunisienne des Femmes Progressistes (Nabeul),
Association Wamdha pour la Culture et la Communication, Forum des Femmes
46 Documento “Statuto costitutivo e obiettivi della Coalizione” disponibile sul sito web: www.e-joussour.net
49
Tunisiennes.
Un segno importante del fermento che, in contraddizione a coloro che
parlano di controrivoluzione e di stallo politico della società tunisina, si pone
l'obiettivo non solo di preservare e difendere i diritti della donna acquisiti già nel
1957 con in Codice dello Statuto Personale, ma di unire le proprie forze nello
scopo di promuovere nuovi e più avanzati diritti, unica condizione attraverso cui
trasformare in realtà i valori di Libertà, Uguaglianza, dignità e giustizia sociale
della Rivoluzione del 14 gennaio. Come si legge sullo statuto costitutivo della
Coalizione: “en ce moment de l’histoire où une nouvelle constitution est en
cours de rédaction, les femmes de Tunisie aspirent à consolider leurs acquis
pour construire une société juste qui élève le statut de la Tunisienne et du
Tunisien au rang de citoyens à part entière”
2.4. Social Forum: nuovi orizzonti e prospettive. Focus sulle
associazioni partecipanti.
2.4.1 Another Tunisia is possible, in another Maghreb and in another
World
Dal 12 al 17 luglio 2012, si svolge a Monastir il Maghreb Social Forum.
Svolta in Tunisia, è la seconda edizione di un'esperienza che ha una lunga
gestazione ed è stata costruita attraverso un lungo e condiviso lavoro di
preparazione, ad opera di numerosi movimenti di lotta attivi nei paesi nord
africani. Il percorso del Maghreb Social Forum 47 prende vita infatti nel 2005,
durante lo svolgimento del quinto Forum Social Mondiale tenutosi a Porto
Alegre, a cui partecipa un gran numero di attivisti da Marocco e Tunisia. Inizia
così una importante esperienza che si struttura attraverso dibattiti e meeting tra
i movimenti sociali dei paesi aderenti (Marocco, Tunisia, Algeria, Mauritania) e
incontri di preparazioni del primo vero e proprio Maghreb Social Forum, che si
47 Documento: “Chart Magh du Peuple” consultabile all'indirizzo web: http://www.fsmaghreb.org/node/13
50
tiene a Jedida, in Marocco, nel 2008 48. A questo appuntamento, partecipano
centinaia di attivisti e militanti di sindacati, associazioni per i diritti umani,
associazioni di donne, contadini, giornalisti, associazioni per lo sviluppo,
associazioni di migranti, associazioni di tutela ambientale, associazioni dei
consumatori, giovani laureati, disoccupati,
artisti ed altri. Fin da subito, il
Maghreb Social Forum si struttura come strumento
e luogo di incontro e
convergenza delle lotte dei movimenti di resistenza, senza la pretesa di essere
totalmente rappresentativo di tutte le esperienze sociali esistenti in quei paesi.
L'obiettivo che si pongono gli organizzatori è quello di contribuire, attraverso il
confronto e il dibattito democratico, alla costruzione di alternative al sistema di
esclusione dei movimenti e delle associazioni dalla vita politica e alle strategie
di controllo dei governi, per formulare proposte concrete volte a un'azione
efficace per la conquista di diritti umani per tutte le persone, nella loro diversità.
Un percorso mirato dunque a costruire una strada verso un Maghreb di pace e
democrazia condivisa.
Tuttavia, la prima esperienza non è priva di problemi, come sottolineano i
partecipanti stessi in un rapporto successivo al primo Forum. Rispetto alle
criticità riscontrate riguardo alla situazione tunisina, viene spiegato infatti che se
da un lato la partecipazione agli incontri di preparazione tenutisi nel maggio
2006 sia stata un grande successo (oltre 1000 partecipanti), dall'altro ci sono
grandi problemi legati alle politiche operate dal governo. Tra le oltre 8000
associazioni esistenti in Tunisia, di fatto pochissime sono quelle che godono di
una reale autonomia e che riescono a svolgere iniziative e attività. Molte infatti
devono affrontare le umiliazioni e i vincoli posti dal Governo, che non concede
né fondi di sostegno né il riconoscimento giuridico, ma attua invece strategie di
repressione dei diritti umani e limitazione della libertà di espressione.
Il Maghreb Social Forum di Monastir del luglio 2012 rappresenta la seconda
tappa di questa esperienza, nonché la prima edizione successiva alla primavera
araba. Viene infatti chiamato sulle parole d'ordine “Another Tunisia is possible.
In another World and in another Maghreb” e, rievocando un immaginario
48 Documento: Storia del Maghreb Social Forum consultabile all'indirizzo web:
http://www.fsmaghreb.org/node/12
51
esplicitamente altermondialista, si rivolge a tutti i movimenti sociali globali:
dall'esperienza dei giovani di piazza Tahrir agli indignados spagnoli e ai
movimenti che in quell'anno avevano scosso non solo l' Europa, ma tutto il
mondo. Nel testo di invito alla partecipazione 49, si legge: “At the end of 2010
and the beginning of 2011, Tunisian people, quickly joined by Egyptians, have
launched a global wave of protests, insurrections, revolutions, indignation and
occupations, which spread all over the world. From Maghreb to the MiddleEast, this wave has initiated a deep political upheaval. In Europe, it is a source
of inspiration for all those who struggle against austerity. In the United States of
America, it questions the power of financial institutions, of banks and of the
weight of debt (be it households’ or students’ debt). In Chile, Quebec or Mexico,
it takes the shape of mass mobilizations for the free access to education. In
Senegal, it has definitely planted the claim for a real democracy, which would
put an end to corruption, prevarication and nepotism.”
Centinaia di attivisti provenienti da ogni angolo del pianeta convergono a
Monastir, dando vita così a uno spazio di scambio e confronto di esperienze
molto diverse: diventa un momento importante di riflessione e analisi sulla
rivoluzione tunisina e di organizzazione e acquisizione di consapevolezza da
parte delle associazioni tunisine stesse. Tra le sessioni a cui viene dato maggior
risalto, c'è quella sui movimenti femminili maghrebini intitolato “Women
movement: dignity, equality and citizenship”, a cui prendono parte circa 300
persone. Sono programmati gli interventi di una decina di donne attiviste in
Tunisia, Marocco e Algeria, che raccontano la condizione in cui migliaia di
donne sono costrette a vivere. Espongono le loro esperienza di lotta e attivismo
e denunciano le vessazioni del sistema economico che riduce le donne a una
condizione di sfruttamento, insistendo sulla necessità di entrare a far parte dei
sindacati. Sottolineano la forza sociale che rappresentano i movimenti femmini:
al meeting in Marocco, svolto pochi anni prima, le donne rappresentavano oltre
l'80% dei partecipanti! Quando, infine, espongono in tono forte e determinato le
loro rivendicazioni, tra cui al primo posto il diritto all'aborto e il diritto alla
riproduzione, più volte vengono interrotte dalla platea che applaude, scandendo
49 Documento “Another Tunisia is possible” consultabile all'indirizzo web: http://www.fsmaghreb.org/en/node/171
52
a gran voce slogan solidali.
In questa occasione, il Maghreb Social Forum si trasforma anche in un
momento di preparazione verso la costruzione del World Social Forum 2013, il
primo che si svole in un paese arabo.
Proprio nei giorni in cui scrivo, hanno inizio gli incontri e le discussioni del
WSF a Tunisi, e ritengo che sia un'occasione importantissima poichè sarà un
ulteriore passo in un percorso di organizzazione e presa di coscienza per I
movimenti sociali tunisini. Penso, infatti, che questo momento politico di
transizione richieda proprio la strutturazione e l'organizzazione delle numerose
associazioni che in Tunisia sono attive da anni. Potrà forse essere un luogo
utile di discussione e confronto che costituirà un passo importante per il futuro
di questo paese. Per questo credo che la scelta di far aprire l'evento dai
movimenti di lotta femminili sia un segnale degno di considerazione: una
decisione che pone in primo piano la battaglia per l'uguaglianza di genere e per
I diritti delle donne, come prima condizione per costruire realmente un “altro
mondo possibile”. E' Fathia Hizem, dell'Association Tunisienne des Femmes
Démocrates ad aprire questo primo incontro, parlando dell'importanza che
rappresenta lo svolgimento del WSF a Tunisi. La rivoluzione del 14 gennaio,
risultato di continue lotte intraprese contro la corruzione e la dittatura a cui
generazioni di donne tunisine hanno partecipato con coraggio e forza, è stata
un passo molto importante, ma non sufficiente. Non ci si può fermare adesso e
il Forum Sociale Mondiale è un enorme sostegno alle forze democratiche e a
tutta la popolazione tunisina che è in cerca di libertà e democrazia. Una
consapevolezza che si percepisce chiaramente nelle parole di Saida Garrach,
avvocato, che prende parola subito dopo Fathia 50: “Avec tous les défis et
menaces que représentent la situation que nous vivons pour les droits des
femmes en Tunisie et dans le monde arabo-musulman, au vu de la fragilité des
acquis des femmes, puisqu’elles sont toujours la cible d’attaques politiques,
l’objet de représentations rétrogrades, cette Assemblée fait passer un message
fort : toutes les femmes sont solidaires avec les femmes tunisiennes et sont
50 Articolo tratto dal sito web www.nawaat.org, “Ouverture du FSM : Les femmes en lutte à l’honneur”, 27
marzo 2013
53
solidaires des luttes des femmes partout dans le monde. Nous sommes toutes
là pour continuer les luttes que ce soit pour l’égalité, la justice sociale, pour la
citoyenneté, la démocratie, contre la violence, contre l’exclusion, contre la
marginalisation… dans le but de construire un monde meilleur.”
2.4.2. Focus sulle associazioni femminili partecipanti
Per concludere, vorrei presentare brevemente alcune associazioni e gruppi
femminili che partecipano al Forum, poichè mi sembra uno specchio di quanto
le donne rappresentino una parte consistente della complessità e molteplicità di
esperienze che mantengono vivo il fermento e l'attivismo in Tunisia, battendosi
per I diritti e l'uguaglianza, nella speranza di cambiare davvero il paese.
Association Atide51: Organizzazione non governativa tunisina creata il 24
marzo 2011 per l'integrità e la democrazia e per la promozione e i valori
democratici tra cui in particolare, il diritto di voto. I suoi obiettivi sono la
sensibilizzazione, l'informazione e la formazione riguardo ai differenti aspetti del
processo elettorale e alle possibilità di partecipazione. In particolare
l'associazione organizza attività di educazione civica ed elettorale in scuole
superiori ed università.
Association tunisienne pour la citoyenneté active ATCActive 52: Associazione
costituita in seguito alla rivoluzione del 14 fennaio per iniziativa di un gruppo di
cittadine e cittadini impegnati politicamente. L'obiettivo è quello di contribuire
allo sviluppo della coscienza politica e del senso civico tra i giovani, stimolando
una maggiore partecipazione alla vita politica e pubblica, nella consapevolezza
del
ruolo
importante
che
la
società
civile
svolge
nel
processo
di
democratizzazione. E' una associazione di volontariato.
Action et Développement Solidaire (ADS) 53: E' un'associazione costituita
all'indomani della rivoluzione, di cui vuole promuovere valori e obiettivi, con
l'ambizione di dare voce alla società civile e e promuovere i principi di
51 Sito web: www.atide.org
52 Sito web: www.atcactive.org
53 Sito web: www.ads.org.tn
54
solidarietà,
partecipazione
attiva,
responsabilizzazione
e
diffusione
dell'informazione. Si ispira a un punto di vista secondo cui la Tunisia è una
nazione indipendente e solidale che riconosce e rispetta le diversità culturali e
sociali, che promuove l'uguaglianza di genere e rifiuta ogni forma di
discriminazione. L' ADS è impegnata affinché il popolo tunisino sia un popolo
sovrano, capace di costruire uno stato giusto e forte che promuova i diritti
fondamentali dell'uomo.
Doustourna54: E' una rete sociale, nata il 26 dicembre 2011 il cui interesse si
rivolge alle questioni pubbliche nella loro dimensione politica, democratica,
sociale e culturale. L' obiettivo della rete è di promuovere una società
democratica, pluralista, libero ed egualitaria, in cui vengano garantiti la libertà e
i diritti universali, nel rifiuto delle discriminazioni sulla base di sesso, religione,
razza, colore, lingua o condizione sociale. La rete si ispira a un concetto di
piena parità tra uomo e donna e a un modello di sviluppo equilibrato, basato
sulla sostenibilità, per preservare le risorse naturali e fornire alle diverse regioni
eque possibilità.
Association Egalité & Parité55: nasce il 21 febbraio 2011, dall'iniziativa
virtuale di un gruppo di persone. L'obiettivo è diffondere in Tunisia i principi
democratici di parità e uguaglianza, lottando in particolare per una maggiore
presenza della donna negli organi decisionali, politici, sociali, economici e
culturali.
L'associazione
agisce
per
la
totale
eliminazione
e
delle
discriminazione, per l'eguaglianza di diritti tra uomo e donna senza alcune
riserve o differenza tra la teoria e la pratica. L'associazione sostiene e favorisce
l'adesione della Tunisia a tutte le convenzioni internazionali in favore dei diritti
umani, e chiede l'eliminazione delle riserve della Tunisia sulla convenzione
CEDAW.
Association Femmes Montrez vos Muscles 56: L'associazione si impegna nella
creazione di impiego nel campo dell'artigianato tunisino e nella sua promozioni.
I suoi obiettivi sono: la creazione di progetti rivolti alle donne artigiane abitanti
54 Sito web: www.doustourna.org
55 Sito web: www.facebook.com/EgaliteParite/
56 Sito web: www.facebook.com/Femmes.Montrez.Vos.Muscles
55
nelle regioni più povere della Tunisia, il sostegno a una produzione artigianale
al 100% tunisina, il miglioramento dello status giuridico delle donne artigiane in
Tunisia e la formazione delle donne rivolta alla possibilità di elaborare
autonomamente dei progetti.
Association Femme et Citoyenneté El Kef 57: La filosofia di questa
associazione sono la tolleranza e l'umanesimo. Il motto del gruppo è: “Il
progresso delle donne non si misura sulla loro nudità né sul loro pudore, ma
sulla loro condizione” e gli obiettivi sono la lotta contro la discriminazione e la
precarizzazione delle donne e la promozione dei valori della cittadinanza.
Association tunisienne de la santé de la reproduction 58: associazione di
volontariato senza scopo di lucro nata nell' aprile 1968, impegnata nel campo
della sanità sessuale e nella riproduzione e rivolta ai bisogni delle donne, degli
uomini, dei giovani e dei gruppi svantaggiati, in particolare tramite un'azione
educativa e informativa.
Association Tunisienne des femmes Democrates 59: è un movimento
autonomo di donne tunisino, costituita in associazione e riconosciuta
legalmente il 6 agosto 1989. E' un'associazione femminista che si basa sui
principi di autonomia, pluralità e solidarietà, che si batte per l'uguaglianza di
genere, la democrazia, la laicità e la giustizia sociale e si impegna a combattere
l'oppressione patriarcale e a conquistare la cittadinanza delle donne.
L'associazione fa parte della Federazione internazionale dei Diritti dell'Uomo
(FIDH).
Arab Women's Network (Roa'a)60: rete femminista araba indipendente che
promuove il fatto che i diritti delle donne siano parte dei diritti umani, senza
separazione tra la questione femminile e le questioni economiche, sociali e
politiche. E' impegnata nella promozione del rispetto di ogni forma di pluralismo
intellettuale, politico e sociale per tutte le donne arabe.
57
58
59
60
Sito web: www.facebook.com/AssociationFemmeEtCitoyennetejmytAlmratWalmwatnt
Sito web: www.atsr-jeunes.org.tn
Sito web: www.femmesdemocrates.org/
Sito web: www.arabwomennetwork.org/
56
Allegato: Le donne in Tunisia, garanti del futuro della democrazia.
Interviste e contributi.
In questa ultima parte ho scelto di mettere insieme diversi contributi da me
raccolti in varie forme, in parte intervistando amici e attivisti conosciuti in Tunisia
o incontrati scrivendo questo elaborato, in parte selezionando e traducendo
inchieste, interviste e dichiarazioni pubblicate in diversi angoli del mondo,
consapevole che questo non sarà che un piccolo pezzetto di un mosaico molto
più grande, che rappresenta un processo politico e sociale in continuo
mutamento. Il mio intento è infatti quello di provare a rispecchiare realmente i
pensieri della società civile tunisina, facendo parlare ragazzi e ragazze,
studenti, donne e attivisti, di diversa estrazione sociale, dando voci alle infinite
soggettività e identità che vivono e compongono la Tunisia.
SadiQa Kèskès61: “Nelle elezioni la partita non è stata giocata da pari a pari
perchè la maggior parte dell'impegno laico si è disperso in mille rivoli tra partiti e
liste indipendenti. […] Al momento l'alternativa è radicale: o si è laici o no. […]
La posizione sociale della donna, come anche dell'uomo, è cambiata dopo la
caduta del regime di Ben Ali. Con l'impennata dell'integralismo ho visto dei
cambiamenti nel modo di vestirsi delle donne e ho notato che molti uomini sono
tornati a farsi crescere la barba. Questi cambiamenti hanno subito
un'accelerazione nei primi mesi dopo la rivoluzione, dopodichè c'è stata una
stabilizzazione, quasi una regressione di certa ostentazione di comportamenti
filo-religiosi o comunque tradizionalisti. Soprattutto mi sembra che non sia stata
messa in discussione la libertà degli uni verso gli altri. Sulle spiagge, ad
esempio, accanto a donne in bikini si vedono sempre più donne velate,
addirittura con il velo integrale. […] Ma se è vero che vediamo un passaggio
umano maggiormente contrassegnato da tendenze religiose, la società nel suo
insieme e in particolare l'universo femminile si stanno evolvendo”
61 SadiQa Kèskès, artista e attivista, fondatrice del movimento “Femmez, montrez vos muscles”,
intervistata da I. Guidantoni, Chiacchiere datteri e thè, 2013
57
Shadi, studente di biologia all'università di Monastir 62:
‫زيادة عدد النساء المحجبات أمر واضح و لكن ذلك يعد طبيعيا بما أن بن علي كان يمنع الحجاب‬
‫على كل النساء و بعد الثورة كان للمرأة الحرية في اختيارها لهندامها و ل أظن أن الحجاب يمثل مشكلة‬
‫ أفكر في امكانية استغلل الحكومة الحالية للدين من أجل بسط‬.‫اذ يجب احترامه و احترام من ترتديه‬
‫ هيمنتها على الحكم‬.
Lilia Zaouali63: “Avevamo un femminismo di Stato, con il presidente padre
della nazione e protettore delle donne: era una strategia per guadagnarsi
l'amore del popolo. Ora la propaganda dei salafiti può funzionare nelle fasce più
fragili. Ho partecipato a due eventi in quartieri popolari, spiegando l'uguaglianza
a scuola a bambini che non avevano nemmeno le scarpe. I piccoli erano
entusiasti quando spiegavo che una bambina può diventare comandante di
marina. Poi hanno fatto una gara di disegno, e nei loro ritratti di donne, nessuna
aveva il velo. Tutte le mamme di questi bambini sono velate, eppure, a quanto
pare, il velo per loro non fa parte della personalità” ma poi aggiunge: “Vedo il
velo come una frontiera, è una porta chiusa al dialogo sincero, perchè chi lo
mette sulla testa lo mette anche dentro la testa. […] Comunque, qui in Tunisia
conviviamo con il velo da molti anni, non è una cosa nuova. Ben Ali non è
riuscito a sradicarlo, bastava andare nelle spiagge popolari per notare che tutte
le donne facevano il bagno con il costume islamico.”
Imen Ben Mohamed, deputata di EN-Nahda 64: “imporre il velo è grave, anche
perchè non ha senso indossarlo, se non in armonia con un comportamento
orientato all'umiltà. […] Negli anni '90 la religione veniva praticata quasi di
nascosto. Se per due volte di seguito nelle case la polizia vedeva la luce
accendersi nell'ora della preghiera della notte e del mattino, poteva sottoporti a
interrogatorio. Non è un caso che oggi ci sia un rigurgito religioso a volte
eccessivo, che non credo però si possa bilanciare con un comportamento
altrettanto estremo, uguale e contrario. Il dialogo ci salverà.”
62 Intervistato nel luglio 2012
63 Intervista del Corriere della Sera, agosto 2012
64 intervistata da I. Guidantoni, Chiacchiere datteri e thè, 2013
58
Nadia El Fani65: “Le monde laïc n’a pas pour opposant le monde religieux.
Parmi les pro-laïcs en Tunisie, il y a aussi des gens pratiquants qui pensent que
la laïcité serait le meilleur garant des libertés de chacun et a fortiori de ceux qui
pratiquent la religion. malheureusement, les islamistes, grâce à l’argent des
pétrodollars, essayent de capturer cette révolution et d’imposer un futur
islamiste à la Tunisie. Mais je pense que les Tunisiens sont profondément
attachés à des pratiques laïques. Maintenant, on essaie de leur faire croire que
la laïcité, c’est l’athéisme, mais l’athéisme imposé à tous. C’est à nous,
démocrates, de leur faire comprendre qu’au contraire, la laïcité c’est ce qui
protège les croyances de tout le monde. […] Ramadan 2010, sous Ben Ali.
C’est la dictature de Ben Ali qui a instauré le fait de se cacher, de cacher les
gens qui déjeunent, de couvrir les devantures des cafés, des cafétérias et qui a
imposé qu’on ne vende pas d’alcool dans des restaurants à des Tunisiens...
Sous Habib Bourguiba, on ne vivait pas comme ça.”
Waida66: “Ho visto tutto e vissuto tutto della rivoluzione, nelle strade e
dappertutto: sono contenta e nello stesso tempo ho paura che ci rubino questa
libertà che hanno conquistato i giovani. Ho paura che torniamo nella stessa
situazione in cui abbiamo vissuto 23 anni. La dittatura l abbiamo vissuto nelle
strade, nelle scuole negli uffici dappertutto. La gente qui non parlano dicevano
'non devi parlare perchè vai in galera' e io dicevo ma perchè non parlano? Oggi
i nostri figli hanno preso la libertà e io spero che la sappiano gestire”
Radhia Nasraoui67: ci sono molte cose che fanno pensare che i diritti delle
donne conquistati in passato siano minacciati. Si verificano tuttora molte
violenze, fisiche e verbali nei confronti della donna: molte ragazze sono
obbligate a mettere il velo per seguire le tradizioni e i costumi religiosi; le donne
non possono scegliere come essere liberamente, come dovrebbe essere, sono
minacciate: ci sono persone in strada, estremisti religiosi, che si comportano
con le donne in modo minaccioso intimando loro di seguire le regole dell'islam.
In questo momento credo che sia assolutamente necessario che le donne
65 Nadia El Fani, regista e attivista franco-tunisina, realizzatrice del documentario “Laïcité, Inch'Allah!”,
intervista del 4 ottobre 2011
66 Anziana donna velata, intervistata durante un corteo. Tratto dal documentario “La rivoluzione che
cammina”, di E. Fornarelli e A. Monaldi, 2011
67 Intervista a Radhia Nasraoui, febbraio 2013 - http://vimeo.com/60757559
59
siano tutte solidali e unite per combattere questo tentativo di modificare le loro
conquiste passate e soprattutto debbano combattere per raggiungere davvero
una totale uguaglianza e io confido nelle donne tunisine, che sono forti e
combattenti e che hanno provato a più riprese che non sono disposte ad
accettare concessioni su questo piano.”
Ilaria Guidantoni68: “Bourguiba con il codice dello statuto personale del 1957
ha sancito la parità uomo donna, curando in particolare istruzione e salute delle
donne, con campagne di pianificazione familiare e inserendole a pieno titolo nel
mondo del lavoro. Non tutto era risolto pero' e Ben 'Ali non ha mosso nessun
passo avanti. Le cosiddette tre riserve - la legittima sull'eredità (i due terzi al
figlio maschio salvo esplicite dichiarazioni del padre); la patria potestà condivisa
e la partecipazione alla vita pubblica (in parte risolta nelle ultime elezioni
almeno con la proposta del partito religioso EnnahDa con l'alternanza nelle liste
tra uomo e donne). Purtroppo sotto Ben 'Ali ha trionfato il bieco consumismo
maschilista improntato alla peggior cultura europea e statunitense. La sua
laicizzazione forzata, la sua lotta contro il velo, non e' certo un sintomo - a mio
modesto avviso - di evoluzione ma di ottusità che tra l'altro ha minato in parte la
diffusione di un Islam moderato. Il ruolo delle donne nella rivoluzione è stato il
richiamo alla concretezza e la prova di una spinta alla ribellione trasversale
socialmente e culturalmente. Le donne delle piazze erano le signore della porta
accanto, magari mai scese in campo prima di allora. Anzi, le più colte e
impegnate hanno talora orientato forzatamente la protesta in termini politicizzati
e non sempre utili, purtroppo sono state anche strumentalizzate, a cominciare
dagli uomini. Ma in Tunisia esiste un movimento transculturale che attraversa
tutta la società multiculturale del Paese e che gode di un gruppo di intellettuali
notevoli, dalla scrittrice Lilia Zaouali, alla designer Sadika KèsKès, alla giovane
blogueur Lina Ben Mhenni, fino all'avvocato dei diritti umani Radhia NaSraoui e
alla docente e ex presidente dell'Association des femmes democrates
tunisiennes Sanaa Ben Achour, solo per citare le mie conoscenze più dirette.
68 Ilaria Guidantoni, scrittrice e autrice di “Chiacchiere datteri e thè”, intervista realizzata nel gennaio
2013
60
Mounira69: “Prima della rivoluzione mi sentivo più libera. Nel modo di vestire
in particolare. Adesso capita che qualcuno per strada mi dica 'copriti!'. Non si
sta mai in pace in questo paese, prima vessati dalla polizia, ora dai cosiddetti
religiosi. Ma sono rassicurata per ragioni di realismo. Oltre il 50% della
popolazione è donna e le tunisine sono mediamente consapevoli e per niente
arrendevoli. La gente è disorientata dal cambiamento , ragione per la quale il
doppio
discorso
di
En-Nahda
funziona,
cogliendo
esigenze
diverse,
rassicurando ora gli uni, ora gli altri”
Raya, studentessa dell' università di Tunisi che indossa il foulard 70: “Il fatto di
essere una donna velata in Tunisia prima del 14 gennaio era proprio un incubo,
era difficile trovare lavoro, era difficile studiare per potersi laureare e trovare
lavoro, era difficile camminare per strada: portando addosso il velo ogni
poliziotto ti può fermare, ti porta in caserma e ti fa firmare una dichiarazione che
non l'avresti più portato (il velo). Va beh, prima ti fa un'indagine, “da quando fai
la
preghiera?
Da
quando
lo
porti?
Perchè
lo
porti?
Fai
parte
di
un'organizzazione estremista o no?” Quella era la tipica domanda”.
Sonia71: “A voi europei il regime di Ben Ali vi sembrava emancipato mentre
ora vedete il velo come una regressione. Io , ad esempio, porto il velo sulla
testa, non nella testa. Il Corano è chiaro su questo punto: il velo non può essere
imposto né tolto con la forza. Purtroppo mischiare la religione con la politica è
un rischio per la religione stessa.”
Donna operaia di una fabbrica tessile di Tunisi 72: Venerdì scorso abbiamo
fatto uno sciopero di un'ora, perchè non ci avevano pagato il salario. Poi
abbiamo occupato la fabbrica perchè ad alcuni lavoratori hanno aumentato lo
stipendio di 60 centesimi all'ora, mentre a noi donne no. Allora siamo andate da
lui per parlargli, ci hanno detto tante bugie in tutto questo tempo, quindi
abbiamo deciso di iniziare lo sciopero. Alcune di noi lavorano senza contratto
da oltre 7 anni, così siamo andate in tribunale, ma loro hanno fatto tutto il
69 Intervistata da I. Guidantoni in “Chiacchiere datteri e thè”, 2013
70 Intervistata nel febbraio 2011, per il documentario realizzato dal collettivo Optikamultietnica, di Roma:
“Women of the kasbah", 2012
71 Intervistata da I. Guidantoni in “Chiacchiere datteri e thè”, 2013
72 Intervistata nel febbraio 2011, per il documentario realizzato dal collettivo Optikamultietnica, di Roma:
“Women of the kasbah", 2012
61
contrario della sentenza: hanno licenziato anche il personale che aveva il
contratto in regola e hanno aumentato solo il numero degli uomini della
sicurezza. Non abbiamo alcuna tutela per gli incidenti sul lavoro. Nessun diritto
è sancito, soprattutto durante il turno di notte: non possiamo andare in bagno
durante l'orario di lavoro, se ci facciamo male non accettano il certificato del
medico e non ti pagano la giornata, anche se ti sei fatta male sul lavoro.
Nabila Zayati73: “Una delle conquiste del popolo tunisino, non è grazie al
governo di ben ali ma al governo di bourguiba che aveva liberato la donna
tunisina e che poi anche durante gli ultimi anni abbiamo vissuto la
partecipazione della donna soprattutto in politica ma anche in ruoli di decisione
e potere, come la direttrice. E poi la rivoluzione: la rivoluzione è stata
soprattutto grazie alla donna perchè se non ci fosse stata la donna che
appoggiava il marito che appoggiava il figlio, appoggiava il fratello, anche
quando non appoggiava la rivoluzione in modo diretto era lei che preparava i
panini, preparava il sacco e sosteneva, e poi l'abbiamo visto, sono le donne con
le bandiere, che sono uscite nelle strade perchè chiedevano i loro diritti. Il
problema che sta succedendo in questo momento è se ci sarà il rischio del
movimento integralista. Per esempio abbiamo parlato delle donne velate, fino a
questo momento non è chiaro se c'è un rischio: prima c'era un problema con le
donne velate, non si poteva mettere il velo nelle foto, la donna velata faceva
fatica a lavorare, non veniva accettata in ufficio, adesso invece c'è questa
tolleranza ma non sappiamo se dietro a questa tolleranza c'è una
strumentalizzazione per altri motivi o no. E lo sapremo forse con le prossime
elezioni.”
73 Giornalista italo-tunisina di Ansamed, maggio 2011
62
Parte II
Case Study: Movimenti artistici underground e resistenza
63
Nel capitolo precedente ho affermato che una tra le principali strategie
attuate dal potere è la costruzione delle identità e il controllo su di esse
attraverso politiche di separazione e divisione. Considerando questo processo,
trovo interessante investigare il ruolo svolto in Tunisia dai movimenti artistici
underground e dalle contro-culture a cui numerosi ragazzi e ragazze di tutto il
paese si sono avvicinati. Sebbene non sia un fenomeno che nasce prettamente
sull'onda delle proteste nell'inverno 2010-2010, è innegabile che l'utilizzo
dell'arte sotto diverse forme sia stato una delle armi politiche più importanti
messe in campo dai giovani durante la rivoluzione. Cercherò infatti di analizzare
la diffusione della protesta attraverso le canzoni dei rapper e i graffiti degli artisti
di strada, per comprenderne la funzione svolta in quanto elementi di
ridefinizione dei confini sociali all’interno delle città.
In particolare, questo
capitolo ha l'obiettivo di indagare il fenomeno della nascita e affermazione della
musica rap e dei graffiti, provando a focalizzare sulle ragioni che ne hanno
favorito la tanto rapida diffusione e che, fin da subito, ne hanno fatto
un'importante strumento di protesta nelle mani di una intera generazione di
giovani, esasperata dalle proprie condizioni di vita. Dopo un breve excursus
sulla nascita della cultura hiphop negli Stati Uniti, concentrandomi sulle
caratteristiche del contesto sociale in cui essa si è sviluppata e confrontandole
con il contesto sociale tunisino alle soglie del nuovo millennio, mi avvarrò
dell'uso dei testi delle canzoni rap e delle immagini dei graffiti tunisini, per
analizzarne al meglio i messaggi trasmessi e gli effetti comunicativi e sociali da
essi scaturiti.
3.1. Nascita e diffusione della cultura hiphop, dall'America al
Mar Mediterraneo
3.1.1. Breve storia della cultura hiphop negli Stati Uniti.
L'hiphop è un movimento culturale che nasce verso la fine degli anni '70 nei
quartieri popolari delle metropoli degli Stati Uniti, popolati in prevalenza dai
64
giovani afroamericani e latini. Muove i suoi primi passi grazie al giovane Afrika
Bambaataa e a dj Kool Herc, che danno vita a questa cultura organizzando le
prime feste. L'obiettivo è quello di porre fine alle guerre tra bande di giovani che
stavano lacerando i quartieri popolari, poiché i giovani sfogavano la propria
rabbia attraverso guerre intestine che nascondevano però la frustrazione
causata da un diffuso malcontento sociale. Rapidamente, questo fenomeno si
sviluppa e la creatività dei ragazzi da vita a quelle che sono tuttora considerate
le quattro discipline della cultura hiphop: rapping, djing, breakdance e graffitiwriting. Questa cultura in brevissimo tempo conquista migliaia di giovani e
diventa ben presto la colonna sonora del movimento delle Black Panters grazie
ai Public Enemy, uno dei gruppi più politicamente impegnati che ha segnato la
storia dell'hiphop.
Negli anni '80 la potenza esplosiva di questo movimento contro-culturale
arriva in Europa, in particolare in Francia dove viene subito accolta dai giovani
delle banlieues, giovani di seconda o terza generazione che attraverso il rap
iniziano a parlare della loro condizione sociale. Per spiegare il “successo” e il
potenziale di questo fenomeno, la professoressa universitaria francese Judith
Revel racconta un episodio significativo sulla vita dei giovani dei quartieri
popolari parigini, ma che potrebbe facilmente riferirsi alla condizione vissuta da
moltissimi ragazzi in tutto il mondo.
“Faccio fare alla classe il commento scritto di un testo di Sartre. Sartre dice:
'Non abbiamo accesso a qualcosa che potremmo definire “natura umana”. Ma
possiamo parlare di un'universalità delle condizioni della vita umana, dentro la
quale ognuno è libero di determinarsi come vuole'. Un ragazzo che avevamo
sospeso per violenza e insulti nei confronti di una compagna di classe, mi
consegna un'analisi molto rigorosa in cui conclude: 'La tesi di Sartre è
assolutamente discutibile: non esiste universalità nelle condizioni della vita
umana né libertà a determinarsi rispetto ad essa. Alcuni vivono. Altri invece
sopravvivono. Non credo sia giusto pensare che è la stessa cosa'. 74”
74 Episodio narrato dalla Professoressa J. Revel durante una lezione svolta presso la sede del corso di
laurea di Mediazione Linguistica e Culturale, dell'Università di Studi di Milano, 22 aprile 2009
65
La musica rap è sempre stata uno strumento per parlare di questioni sociali,
una musica impegnata che nasce dai bassifondi dei quartieri popolari di New
York, nel Bronx, dove i ragazzi non avevano altro che le proprie voci per
cantare, il proprio corpo per ballare e le proprie mani per dipingere, restituendo
una vitalità ricca di colore al grigiore dei quartieri. La cultura hiphop è un mezzo
di espressone molto potente, poiché spesso è l'unico strumento che i giovani
hanno a disposizione per esprimere i propri pensieri, proprio perché è "povero"
ed eclettico e quindi sempre accessibile.
Nonostante l'hiphop sia stato ormai commercializzato dalla grande industria
della musica, esso continua a mantenersi l'elemento di ribellione e resistenza a
un certo tipo di società: la maggior parte dei testi, soprattutto quelli più
underground, raccontano uno scenario che a molte persone rimarrebbe
nascosto. Parlano della realtà così com'è, attraverso un linguaggio diretto e
accessibile da chiunque, dando un segnale forte di resistenza, di affermazione
di se stessi e della propria identità75.
3.1.2. L'impegno sociale artistico nel Maghreb, attraverso la musica raï.
Circa un decennio dopo l' indipendenza in Algeria, inizia a svilupparsi un
fenomeno culturale nuovo: la musica raï. Nasce ad Oran, la seconda città del
paese per numero di abitanti, una città cosmopolita situata ad Ovest, che
raccoglie in sé elementi della tradizione e della cultura arabo-islamica,
dell'eredità andalusa, francese, italiana, ebraica e maltese. I precursori della
musica raï sono alcuni cantanti di origine ebraica che negli anni '30, durante il
periodo coloniale, si esibiscono nei bar e nei locali di cabaret, dando vita a
concerti in cui si sperimentava l'uso di strumenti tipici della musica tradizionale
araba, con strumenti come il pianoforte e la tromba, provenienti dall'Europa o
dall'America. Questi spettacoli si svolgono di fronte a un pubblico in prevalenza
appartenente a strati sociali poveri, di lavoratori e contadini e le tematiche
affrontate sono i problemi sociali derivati dal colonialismo, come le condizioni
75 Marco Borroni, Rime di sfida: rap e poesia nelle voci di strada, 2004
66
sanitarie, le minacce e gli arresti da parte della gendarmeria francese, la
povertà e la miseria.
Proprio perché molte delle caratteristiche della musica raï traggono origine
dalla resistenza alla dominazione coloniale, essa viene definita un genere
musicale socialmente impegnato e di resistenza politica 76. Alle tematiche sociali,
spesso i cantanti affiancano tematiche relative alla sfera del piacere, come
l'amore o il vino, per compensare le condizioni di disagio in cui molti vivevano.
Questo nuovo genere musicale, si pone dunque fin da subito come uno
strumento diretto di espressione e socializzazione del proprio punto di vista su
questioni riguardanti la propria vita e la società: il nome raï, infatti, deriva dalla
radice verbale trilittera che in arabo significa “vedere”. Questa musica crea un
netto distacco con la tradizione, non solo perché ne ibrida e modernizza ritmi e
sonorità, ma pure in quanto rompe i tabù condivisi socialmente affrontando
tematiche considerate peccaminose, haram come l'amore fisico e l'uso di
bevande alcoliche (il quale, seppure fosse ampiamente diffuso, era socialmente
disapprovato per ragioni culturali e religiose). Inoltre, i cantanti raï assumono
dal principio l'appellativo “Cheb” (giovane), in evidente contrasto ai cantanti
della musica popolare tradizionale, che si facevano invece chiamare “Sheikh”
(vecchio).
Alla fine degli anni '70, il fenomeno esplode e si diffonde anche negli altri
paesi del Maghreb, dal Marocco alla Tunisia, fino all'Egitto e poi all'Europa, tra
gli immigrati arabi che vivevano in Francia e Spagna, in particolare grazie alla
voce dell'ormai celebre Cheb Khaled, Hadj Brahim Khaled, le cui canzoni hanno
fatto conoscere la musica raï a livello mondiale. Pochi anni dopo, verso la metà
degli anni '80, questo genere musicale è talmente popolare che i mezzi di
informazione e intrattenimento arabi non possono più ignorarlo e sono costretti
a inserire le canzoni raï nei palinsesti delle radio. Con l'evoluzione e
l'affermazione di questo genere musicale, si ampliano anche i temi trattati nelle
strofe: si canta di di passioni carnali, dei divieti imposti dalla società, come i
rapporti prematrimoniali o extraconiugali, si rompe la barriera dei tabù, che
vengono rovesciati e socializzati. Questioni politiche o critiche al potere restano
76 Robin Wright, Rock the Casbah: Rage and Rebellion Across the Islamic World, 2011
67
però implicite allusioni, probabilmente a causa del fatto che in quegli anni erano
al governo regimi autoritari. Spesso gli artisti raï vengono ostacolati tramite
l'annullamento dei loro concerti o la censura delle produzioni, riuscendo così a
contenere l'evoluzione di un fenomeno che aveva conquistato una intera
generazione di giovani, alla ricerca di una cultura alternativa, che però la
società di fatto non è riuscita totalmente a proporre.
Molti hanno paragonato il ruolo svolto dalla musica raï in Algeria e nel nord
Africa a quello svolto dal rock'n'roll in America ed Europa, sostenendo che
anche il genere raï fosse tanto radicale e diffuso da poter produrre un
importante cambiamento nei costumi e nelle abitudini di una generazione di
giovani arabi ed apportare trasformazioni politiche e sociali. La musica raï,
anche una volta acquistata popolarità in tutto il Maghreb e a livello mondiale,
non riesce però a evolversi in un movimento capace di innescare mutamenti
sociali significativi (come era accaduto nel caso della beat-generation), ma
resta, più semplicemente, una musica divertente in grado di aprire spazi di
evasione dalla condizione sociale, senza metterne in discussione le relazioni e
la struttura.
3.1.3. La diffusione della cultura hiphop nel mondo arabo: dall'Algeria
alla Tunisia.
Tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90, la musica rap raggiunge la
sponda sud del Mar Mediterraneo. Proprio l'Algeria, ricca delle sperimentazioni
artistiche e musicali che si erano evolute grazie al fenomeno della musica raï, è
il primo paese nord africano in cui si è sviluppa la cultura hiphop tra i giovani,
che vedono subito nel rap un potente mezzo di espressione per parlare dei
problemi sociali e politici che negli anni '90 stavano lacerando il paese. Il
fascino di una controcultura che aveva in pochi anni conquistato i giovani delle
metropoli di tutto l'Occidente, ottiene lo stesso effetto anche tra i giovani arabi,
che rapidamente riadattano i ritmi, le rime e i passi di breakdance di questa
cultura con la tradizione musicale algerina, viene ricombinata in particolare con
la musica raï, accogliendone e rielaborandone i messaggi sociali. Inoltre molti
68
ritmi e sonorità suonati nelle canzoni raï vengono selezionati, campionati 77 e
risuonati dando vita a uno stile musicale del tutto originale.
Infatti, una delle caratteristiche più dirompenti dell'hiphop, che ne ha favorito
la grande diffusione e vitalità, è che nasce come una cultura ibrida ed eclettica,
che riesce a raccogliere in sé elementi di tradizioni musicali e culturali anche
molto diversi tra loro, armonizzandoli. Non stupisce quindi il fatto che in pochi
mesi, riesca a “contagiare” centinaia e centinaia di giovani. Come diversi
studiosi di cultural-studies affermano, si potrebbe parlare di “glocalizzazione”
della musica hiphop, intendendo un fenomeno sociale, in cui elementi globali e
locali non si trovano in contrasto ma si ricombinano, influenzandosi
reciprocamente e dando vita a una sintesi innovativa e creativa.
Dall'Algeria, questa cultura si diffonde velocemente in Marocco, Tunisia,
Egitto, fino a raggiungere poi anche la Palestina, il Libano e la Siria. Nonostante
ormai in America ed Europa il fenomeno della commercializzazione dell'hiphop
abbia prevalentemente cancellato (o messo in secondo piano) le radici della
musica rap in quanto musica di protesta ed espressione dei problemi sociali, nei
paesi arabi questa caratteristica rimane invece centrale: il rap è veicolo di
messaggi politici che rispecchiano la condizione di una generazione intera. In
questi paesi, i giovani rapper parlano della realtà che vivono quotidianamente,
delle ingiustizie sociali e politiche, raccontano la guerra e la povertà causata dai
governi al potere nei propri paesi. Il fatto che sia un fenomeno “underground”
che non pretende un riconoscimento istituzionale, ma anzi si sviluppa, evolve e
diffonde nelle strade, fa si che questo nuovo strumento di espressione riesca a
superare la censura imposta dai governi.
Crea coesione e unione tra i rapper, che nelle strade si esercitano in gruppo,
dando vita a luoghi e momenti di incontro e socialità e favorendo attraverso un
clima divertente la confidenza e la disinibizione riguardo ad argomenti che in
altra situazione susciterebbero timore o vergogna. I giovani, “improvvisando” i
loro versi, cantano la povertà e la disoccupazione, la mancanza di una casa o la
77 Tecnica di elaborazione del suono utilizzata dai djs o “beat-makers” (compositori del ritmo) per
produrre le basi musicali hiphop.
69
scarsa istruzione: trasformano il loro divertimento in atto politico, di
socializzazione e denuncia di una condizione di vita esasperante. Se pensiamo
all'altissima percentuali di giovani sotto i 30 anni presenti in tutta l'area del
Maghreb, tra cui molti sono laureati ma disoccupati e costretti a lavori umili per
sopravvivere, possiamo facilmente comprendere come questa nuova controcultura si sia diffusa tanto rapidamente.
Touat M’Hand, rapper algerino appartenente al gruppo “Le Micro Brise le
Silence”, il microfono spezza il silenzio 78, spiega così l'impegno sociale che ha
subito caratterizzato i giovani rapper in Algeria: “The great Algerian writer Tahar
Djaout, who was murdered in 1993 during the civil war, once said: 'If you are
silent, you die; if you speak, you die too: so speak and die!' This sentence
became our guiding principle: to tell it like it is, to break the silence and to call
injustice by its name - despite the bombs, the terror, and the danger to your
own life”79.
C'è un altro elemento: come ho già sottolineato, la cultura hiphop è
profondamente eclettica ed essendo nata come mezzo di espressione non
solamente sociale, ma anche personale, è anche profondamente eccentrica. Le
persone che praticano una delle sue discipline, o che semplicemente prendono
parte ai momenti di incontro e festa sono spinti in un certo senso a ostentare la
propria identità attraverso la creatività, non solo indossando indumenti colorati e
appariscenti, ma soprattutto ricercando la propria originalità nelle parole, nelle
rime, nei contenuti. Si potrebbe dunque affermare che, da un lato ,è una cultura
trasversale e accessibile a chiunque, anche alle persone meno istruite,
dall'altro lato pretende e favorisce una continua crescita personale a livello
culturale. Pone infatti agli mcs (maestri di cerimonia, i rapper) una continua
sfida, di rielaborazione ed evoluzione, premiando la creatività e l'originalità e
dunque esigendo una continua ricerca, un continuo studio e approfondimento
non solo su un piano musicale (per mixare ritmi e suoni sempre nuovi per le
proprie canzoni) ma soprattutto su un piano culturale, proprio perché il primo
78 Uno dei primi gruppi hiphop formatisi nella zona del Maghreb.
79 Tratto dall'articolo di Arian Fariborz pubblicato sulla rivista Fikrun wa Fann, Soundtrack of the
Revolution Pop Music as Rebellion and Social Protest, 2011
70
obiettivo del rap è veicolare un messaggio. La stessa parola “rap” con cui si
indicano le canzoni, è un riadattamento di “represent”, ovvero: rappresentare
se stessi, la propria vita o la società attraverso le parole. E' un genere musicale
che favorisce dunque la crescita individuale culturale. Di fatto costringe i giovani
rapper, per evolvere le proprie competenze, a un continuo confronto con gli altri
e con i testi delle loro canzoni che, essendo le citazioni (musicali, letterarie,
artistiche, politiche...) uno dei principali elementi che costituiscono una canzone
hiphop, necessitano spesso la ricerca e l'approfondimento per comprenderne
appieno il significato. In particolare in un contesto come quello dell'Algeria e
della Tunisia in tempi di dittatura, uno tale stimolo al confronto e alla
sperimentazione ha un effetto potenzialmente molto forte: di fatto l'hiphop è un
percorso di acquisizione di consapevolezza sociale80.
La musica hiphop si diffonde in Algeria e nel Maghreb in modo tanto rapido e
dirompente, che in breve riesce a prendere il posto della musica raï. E' proprio
negli anni '90, durante la guerra civile che dilania l'Algeria, che il rap diventa la
voce dei giovani delle metropoli di Algeri, Oran e Annaba, ed in questo modo
l'hiphop che irrompe tra le generazioni di ragazzi nei paesi arabi, ha una
connotazione fin da subito fortemente politica e impegnata.
L'hiphop tunisino, nasce e si sviluppa sull'onda della più matura esperienza
in Algeria, grazie alla quale un innovativo e creativo modo di comunicare si era
diffuso in tutto il mondo arabo.
3.2. Musica, creatività e resistenza in Tunisia
3.2.1. Le parole sono pietre81: il rap sfida la censura di Ben Ali.
Negli ultimi 15 anni, la cultura hiphop si è diffusa anche nel mondo arabo, in
particolare nei paesi del Maghreb, grazie allo stretto contatto con la vicina
gioventù europea, ma si è diffusa in tutta l'Africa, tanto che in Burkina Faso, a
80 U.Net, Louder than a bomb, 2011
81 Cit. dall'opera di Carlo Levi, Le parole sono pietre. Tre giornate in Sicilia, Mondadori, 1986
71
Ouagadougou, da ormai dieci anni si svolge ogni autunno il Festival Waga 82,
che raccoglie numerosi gli artisti e i cantanti rap africani.
Mentre, per paura di repressioni, gli artisti underground egiziani non hanno
mai articolato le loro proteste contro il regime di Mubarak fino all'inizio della
rivoluzione, nei paesi del Maghreb le cose si sono sviluppate diversamente.
Come in Algeria, in Tunisia una generazione di giovani, musicisti politicamente
impegnati è stata in grado di affermarsi, utilizzando in particolare il rap e il
potere del microfono per denunciare le ingiustizie sociali, la corruzione e il
nepotismo dei governi e delle élite politiche dei loro paesi.
Anche in Tunisia, infatti, il rap nasce nei bassifondi delle periferie e fin da
subito raccoglie all'interno delle canzoni, l'espressione
e la denuncia dei
problemi sociali e politici del paese, conquistando moltissimo seguito e
catalizzando, così, il malcontento sociale. Questo fenomeno nasce da un
ambiente urbano periferico, dove la periferia non riguarda sullo la distanza
fisica, ma è metafora di un disagio generazionale e di un'esasperazione delle
condizioni di vita; nasce nella marginalità di una fascia di cittadini spesso
invisibili, i giovani, ed esprime la frustrazione, la rabbia e la rivalsa sociale
rispetto alla corruzione e alla cleptocrazia (come spesso viene indicato il
sistema di potere tunisino, nelle canzoni rap) dell'élite dirigente.
Questa cultura si sviluppa dunque, anche nel nord Africa, nello stesso
contesto e con lo stesso spirito da cui è nata: quello dei ghetti e delle periferie in
cui vivevano giovani emarginati, cresciuti con le rime di James Brown che
cantava Say it loud: I'm black and I'm proud! e con i film di Spike Lee.
Attraverso la continua ricerca di un proprio stile personale, nelle rime così come
nel "look", l'hiphop ha dato a mcs, breaker, writer la possibilità di
autodeterminare la propria identità, di uscire dall'invisibilità sociale delle
periferie e diventare soggetti: di poter dire finalmente "io esisto". È proprio in
questa stessa accezione che i giovani tunisini accolgono con entusiasmo la
cultura hiphop, poiché è stata fin da subito un espediente inventato con
straordinaria creatività dai giovani stessi, per riappropriarsi della propria identità,
82 Festival panafricano e internazionale delle culture urbane
72
reinventarsi e tirarsi fuori dalle condizioni di povertà, per riappropriarsi dello
spazio metropolitano. Il fatto che sia una musica "povera" e che quindi non
necessiti di nessuno strumento particolare per essere realizzata, ne ha favorito
enormemente la diffusione, rendendola è accessibile a tutti. Inoltre essendo una
musica eclettica, che prende spunto da ogni tipo di produzione precedente, di
qualsiasi altro genere musicale, ha una capacità di comunicazione talmente
diretta da essere esplosiva: permette con naturalezza di veicolare messaggi
molto chiari, all'interno dei testi e attraverso le sonorità. Essenziale rimane il
fatto che l'hiphop non è solo una musica, ma una cultura, ed è un elemento di
aggregazione sociale per molti gruppi di giovani che grazie a questo trovano un
modo di affermarsi e sentirsi parte di una società altrimenti quasi del tutto
esclusiva, in cui i giovani fanno parte della fascia degli invisibili 83.
La diffusione della musica rap nel contesto delle rivolte esprime, dunque, una
presa di coscienza da parte di un ampia parte della società emarginata. In
Tunisia non si diffonde solo tra i giovani, seppure essi ne rimangono il cuore:
nei bar, sui taxi, nei negozi e nei piccoli stereo alle bancarelle dei suq nella
medina, si ascoltano le canzoni rap, ed è raro non sentire accompagnare
queste canzoni da commenti benevoli che sottolineano il coraggio di questi
ragazzi “che hanno il coraggio di dire le cose come stanno”. La musica rap, in
Tunisia, rompe un importante tabù: quello del silenzio e del timore a esprimersi
anche con i propri amici, talmente radicato all'interno della società tunisina dopo
oltre vent'anni di censura e dittatura, che aveva diffuso un senso generale di
inibizione vera e propria; per paura della delazione, prima ancora della censura
del regime, in molti casi, operava la censura “di se stessi”. Racconta Waida84:
“La dittatura l'abbiamo vissuto nelle strade, nelle scuole negli uffici dappertutto.
La gente qui non parla, dicevano 'non devi parlare perché vai in galera' e io
dicevo ma perché non parlano?”. E in riferimento alla censura rivolta alle
produzioni letterarie e artistiche: Monsieur Lofti, proprietario della libreria Mille
Feuilles, rinomata per essere sempre riuscita in qualche modo a opporre
83 Giuseppe Pipitone, Bigger than hiphop. Storie della nuova resistenza afroamericana, 2006
84 Anziana donna velata, intervistata durante un corteo. Tratto dal documentario La rivoluzione che
cammina, di E. Fornarelli e A. Monaldi, 2011
73
resistenza alle minacce e alla censura del regime spiega 85: “Abbiamo sempre
avuto problemi. Un impiegato del Ministero dell'Interno passava una volta al
mese a filmare la vetrina. Alle presentazioni di libri c'erano sempre poliziotti
fuori e dentro. Spesso dei libri non proibiti al momento della stampa venivano
poi censurati dalla polizia. La censura è sempre stata molto severa con tutto ciò
che parla.”
3.2.2.
Internet,
strumento
creativo
di
supporto
alla
diffusione
dell'hiphop
Per comprendere la grande diffusione della musica hiphop dobbiamo tener
conto che internet ha giocato un ruolo molto importante. Il potere della rete si
situa infatti nella sua reattività, nella sua spontaneità e nella capacità di legare
le persone l'una all'altra. Quando qualcuno pubblica un'informazione su
internet, essa arriva immediatamente ovunque, e altri internauti possono
intervenire subito dopo aiutando chi ha postato l'informazione, chi lotta contro
un'ingiustizia, chi esprime un pensiero. Per fare un esempio semplice, le basi
musicali hiphop si possono produrre anche tramite un semplice computer,
campionando e mescolando i suoni e i ritmi di diverse canzoni, per poi
pubblicarla su internet e diffonderla sui social network in pochi secondi. La rete
è uno strumento molto importante di condivisione, socializzazione e incontro
che negli ultimi anni in Tunisia è in rapida e continua diffusione, probabilmente
anche grazie all'alto livello di alfabetizzazione tra i giovani e gli adulti, che ne
facilita l'utilizzo attivo86, e in parte grazie al fatto che l'accesso e l'utilizzo di blog
e social network è gratuito per tutti e questo permette di non aver bisogno di
sostegno economico per caricare e condividere le proprie produzioni su siti
utilizzati a livello globale con YouTube.
Prendiamo in considerazione alcuni dati relativi all'utilizzo recente di internet
in Tunisia: nel dicembre 2009, oltre 3,5 milioni di tunisini (su una popolazione
85 I. Guidantoni, Tunisi: taxi di sola andata, 2011
86 Con utilizzo attivo della rete intendo non solo la capacità di trovare e consultare le fonti, ma
di interagire con la rete stessa, pubblicando e modificando informazioni e materiale
multimediale
74
totale di circa 10,5 milioni di persone), nonostante la stretta censura, avevano
l'accesso a internet: i tweets totali che hanno raccontato la rivoluzione
(compresi quelli che utilizzano l'hashtag #Tunisia), sono stati più di 196.000,
mentre sono stati 103.000 i tweets contenti l'hashtag #sidibouzid. L'apice del
“traffico” in rete è stato registrato alle ore 21,56 di venerdì 14 gennaio 2011, il
giorno della fuga del dittatore Ben Ali, con una media di 28 tweets al secondo87.
Risulta evidente che la rete è uno strumento di lotta che in Tunisia si rivela
senza precedenti: permette di passare attraverso le maglie della dittatura, di
rompere tutte le barriere come i divieti, le frontiere, e la paura stessa. Sotto la
dittatura l'informazione era ridotta al minimo, alimentata strategicamente con il
sospetto del vicino. La paura della delazione era diventata negli anni un perfetto
deterrente che insinuava e consolidava una potente forma di autocontrollo
individuale .
La rete, al contrario, ha consentito di proiettarsi in modo virtuale, restando
protetti dall'anonimato e permettendo di pubblicare i video con le proprie
canzoni, ovvero i propri messaggi, vedendo in tempi eccezionalmente rapidi un
allargamento del sostegno. Inoltre nonostante il governo operasse spesso
tramite il blocco e la chiusura di alcuni siti “social”, era molto difficile impedire gli
scambi e i contatti in rete o la pubblicazione di materiali multimediali. Ogni
persona può, paradossalmente, disporre di numerosi account su un qualsiasi
social network, utilizzando diversi pseudonimi (nel caso dei rapper, chiamati
“aka”88): un video può essere caricato in rete un numero infinito di volte e blog si
può creare in pochi minuti.
Nonostante infatti la censura operasse in modo feroce e mirato, chiudendo i
blog di controinformazione, bloccando gli account degli attivisti o, come è
accaduto alla blogger Lina Ben Mhenni89, entrando nelle case dei ragazzi per
rubare i computer e i file in essi contenuti, i giovani si prendono gioco del
regime, ormai consapevoli della potenza inarrestabile che dalla rete stessa può
scaturire. “Ammar 404”, il segnale di errore che compariva quando qualcuno
87 Dati ricavati da un'inchiesta prodotta attraverso il progetto R.A.M. Retour Aux Media
88 Abbreviazione di “Also Known As”, utilizzata dai rappers in tutto il mondo.
89 Blogger tunisina, autrice di A tunisian girl, 2011
75
tentava di accedere a un sito oscurato, diventa un personaggio virtuale di satira
che, armato di enormi forbici, deride la censura.
Questa strategia creativa dell’utilizzo partigiano dei social network ribalta i
rapporti di potere sull’informazione e permette di ricombinare le identità ed
evadere il controllo politico governativo.
Hamadi Kalutcha, blogger arrestato nei giorni della rivoluzione, spiega che
nella rivoluzione tunisina internet ha svolto un ruolo importante, sia dal punto di
vista dell'informazione che dell'organizzazione. “Se un giorno riuscissero
nuovamente a intercettare la rete o facebook, i tunisini saprebbero cosa fare
con il sistema proxy, che è una cosa che non tutti sanno, ma è un modo di
aggirare la censura90.” dice il giovane blogger, raccontando come i giovani
tunisini siano riusciti a condividere le proprie competenze e diffondere tra tutti la
capacità di difendersi dalla censura, grazie alle postazioni dei media-center
create nella varie città durante e dopo la rivoluzione, “Abbiamo l'interesse che
la Tunisia diventi una terra dove internet è libero e gratuito e che sempre più
gente lo possa utilizzare, perché internet è un'alternativa libera e democratica:
molti paesi arabi hanno seguito l'esempio della Tunisia”.
Essendo la Tunisia un paese internazionalmente considerato “democratico”,
il governo non poteva permettersi di oscurare siti importanti come Facebook e
Twitter per troppo tempo. Inoltre, oltre a supportare la diffusione delle
produzioni, internet ha svolto anche un ruolo importante di tutela nei confronti
dei rapper, denunciando le minacce, la censura e gli arresti che subivano, e
attivando immediatamente campagne di solidarietà. Internet ha svolto un ruolo
importante di supporto alla diffusione della musica hiphop e dei messaggi in
essa veicolati, permettendo che canzoni prodotte in diversi angoli del paese
riuscissero a raggiungere i giovani di ogni zona e alimentando un'importante
presa di coscienza ed elaborazione individuale e collettiva del contesto sociale
e politico in cui si la Tunisia si trovava da ormai vent'anni.
90 Intervista tratta dal video-documentario Rap the Casbah, prodotto dal collettivo romano
Optikamultietnica, febbraio 2011.
76
3.2.3. La colonna sonora della rivoluzione: “Enti Es-Saut”91
L'hiphop ha contribuito molto alla rivoluzione in Tunisia: un movimento già
ampiamente esistente in molte città, ma che esce davvero allo scoperto poco
prima dell'inizio delle rivolte, contribuendo a rompere la barriera della paura
insita nei giovani tunisini, chiamando alla rivolta e aiutando così a riempire le
piazze delle proteste. Prima del 14 gennaio 2011 fare musica rap in Tunisia era
molto difficile, in quanto vietata dal regime, e alcune persone sono state
arrestate per questo. Le prime voci dissidenti che hanno sfidato la censura e
sono riusciti a diffondere le loro strofe di protesta sono stati il rapper Philosoph,
Ouled Bled e Dragonbalti e più tardi El General, Psyco M e il gruppo Harmada
Bizerta.
Una caratteristica importante che ha facilitato la rapida diffusione delle
canzoni degli artisti hiphop tunisini è l'uso un linguaggio diretto, semplice e
accessibile a chiunque. Come i cantanti rai della vicina Algeria, nelle loro
canzoni spesso i rapper utilizzano il francese per favorire la trasmissione dei
messaggi espressi nelle loro strofe, raggiungendo anche i giovani di seconda,
terza o quarta generazione che vivono in Francia o in altri paesi europei, e che
non sono in grado di comprendere completamente il derja, dialetto locale. Un
esempio di questo linguaggio ibrido utilizzato nel rap dai giovani si può notare
facilmente nelle strofe della canzone For my people, del gruppo Armada
Bizerta92:
“je suis un jeune ne5dem serveur fi 9ahwa ingénieur
blech aktaf chay mateswa
weld flén chad balsti chadit blasét 8iri wél insen lebsit fi btala y9asi
je suis un jeune 5rejt men rabtiya 7abbit ntoub w nridh léklamét
wel 3inin 5aletni mridh
For my people j’raconte la vérité ,
7el wethnik mli7 c’est la street réalité
For my people 7el 3inik mli7 hadha masir e société” 93
91 Titolo di una canzone del gruppo Armada Bizerta: “La voce sei tu”.
92 Testo tratto dal sito web: www.thereverbnation.com
93 Traduzione: “Sono un giovane, faccio il cameriere in una caffetteria, ingegnere | il figlio di uno mi ha
77
La poliglossia, il code-mixing e il code-switching diventano uno strumento di
espansione e inclusione e le canzoni hiphop riescono a trasmettere il proprio
messaggio a tutte le componenti della società tunisina, giovani e adulti, in ogni
angolo del paese, valorizzando allo stesso tempo le diversità presenti nella
nazione. Inoltre, esprime forse il tentativo di varcare attraverso il linguaggio, una
frontiera considerata praticamente invalicabile, quella del Mediterraneo,
veicolando i propri messaggi anche ai giovani migranti residenti in Europa. In
queste righe si nota una delle caratteristiche principali dello slang giovanile nei
paesi del Maghreb: le parole vengono trascritte utilizzando i numeri per
rappresentare lettere arabe che nell'alfabeto latino non hanno un carattere
direttamente corrispondente. Questo modo di trascrivere il dialetto viene
utilizzato non solo per scrivere in modo più veloce, come nel caso delle chat,
ma nasce per favorire la trasmissione del messaggio anche a coloro che non
conoscono l'alfabeto arabo. In particolare dunque, l'uso di questo strano e
creativo alfabeto alfanumerico si sviluppa e si consolida come strategia
comunicativa per superare le barriere linguistiche che spesso caratterizzano i
ragazzi arabi che vivono nei paesi europei, che seppure in famiglia parlano
quasi sempre nel dialetto del loro paese di provenienza, molto spesso non
conoscono l'alfabeto arabo. In rete, la maggior parte dei testi delle canzoni
hiphop, si trova scritta infatti con questo alfabeto.
Sono i rapper stessi a spiegare la propria consapevolezza del potere della
musica e delle rime da loro create: sanno che il loro messaggio raggiunge i
giovani della loro stessa generazione, dentro e fuori dalla Tunisia, e aiuterà il
processo di creazione di una nuova società. Per questo cantano con il sorriso
anche canzoni in cui rappresentano la brutalità della polizia, la repressione del
governo o gli ostacoli legati all'immigrazione verso l'Europa, come nella
canzone intitolata Mamnoua94 (vietato).
Poche settimane prima del tragico gesto di Mohamed Bouazizi, inizia a
preso il posto, mentre io ho preso il posto di un altro, e l'uomo ordinario nella disoccupazione soffre |
Sono un giovane, sono uscito da una situazione e vorrei smettere | E gli occhi mi hanno reso malato |
Per il mio popolo racconto la verità | Apri bene i tuoi orecchi, è la realtà della strada | Per il mio popolo
apri bene gli occhi, è il destino della società”
94 Canzone scritta e cantata dal gruppo hiphop Armada Bizerta
78
diffondersi in Tunisia la canzone Rais LeBled del giovane rapper El General,
Hamada Ben Amour. Questa canzone in pochi giorni fa il giro del paese e
diventa la colonna sonora della rivoluzione, trasmettendo ai giovani tunisini una
potente ondata di entusiasmo e ribellione. In questa canzone, il ventiduenne
artista proveniente da Sfax (città portuale nella costa centrale della Tunisia)
critica duramente la corruzione e l'arricchimento personale del clan familiare
Trabelsi, in contrasto alla evidente povertà del paese. Le sue rime sono
esplicitamente rivolte al presidente, in nome di tutto il popolo tunisino: il rapper
sfida Ben Ali a scendere per le strade e a vedere la realtà dei giovani
disoccupati dopo anni di sacrifici e di studio, in un paese divorato dalla
corruzione e dalla gestione mafiosa e clientelare del potere.
Il suo video, infatti, si apre con Ben Ali che chiede a un bambino in classe:
“perché sei preoccupato? Vuoi dirmi qualcosa? Non aver paura” e continua con
le seguenti parole:
“Presidente, oggi parlo con te
nel nome mio e nel nome di tutto il popolo,
un popolo che vive nel dolore ancora nel 2011!
C’è ancora gente che muore di fame!
Vogliono lavorare, vogliono sopravvivere,
ma nessuno ascolta la loro voce!
Scendi in strada e guarda!
La gente sta impazzendo e i poliziotti diventano mostri,
ormai sanno usare solo i manganelli,
tac tac,
non gliene importa,
tanto non c’è nessuno pronto a dire no!
La legge e la costituzione
sono solo sulla carta.
Ogni giorno sento di processi
contro la povera gente,
anche quando tutti sanno che quella è una brava persona!
79
E vedo serpenti ovunque pronti a mordere le nostre ragazze
Accetteresti che tua figlia fosse morsa?
Lo so, certe parole fanno piangere gli occhi...
Ma tu sei un padre e un padre non permetterebbe
che tutto questo accada ai suoi figli!
Il mio è il messaggio di uno dei tuoi figli,
uno che prova a parlare con te.
Parlo con dolore,
viviamo come cani!
Metà della popolazione vive nell’umiliazione
e beve l’oppressione.
Presidente, il tuo popolo sta morendo!
Guarda quello che sta accadendo!
La gente non ha più un posto dove abitare!
Parlo nel nome di tutto il popolo,
c’è gente che mangia dalla spazzatura!
Guarda quello che sta accadendo nel paese!
Presidente hai detto che era il tempo di parlare senza paura.
Ok, io ho parlato
anche se so che adesso mi aspettano guai!
Vedo l’ingiustizia ovunque,
ecco perché ho deciso di raccontare tutto!
Per quanti tempo ancora i tunisini
dovranno vivere sotto la paura?!
Dov’è la libertà di espressione?
Solo sulla carta!
Presidente guarda!
Oggi il paese è diventato un deserto diviso in due.
Ci sono ladri dappertutto,
tutti li vedono ma nessuno può dire niente!
Rubano i soldi delle infrastrutture,
e tu sai bene di chi parlo!
80
Figli di un cane!
Si sono mangiati i soldi del povero popolo
e adesso non vogliono lasciare la poltrona!
Signor presidente,
se il nostro popolo vivesse in modo dignitoso,
non avrei ragioni per dire queste cose.
E invece sono sempre gli stessi problemi,
le stesse sofferenze”.95
É un testo molto esplicito che parla di corruzione, discriminazione e
vessazioni, il lessico utilizzato è molto forte e diretto. Descrive una condizione
di miseria tale da paragonare la vita di un uomo a quella di un cane (‫ كلب‬in
arabo), “viviamo come dei cani!”; parla di serpenti “ovunque pronti a mordere le
nostre ragazze”, usando il termine dialettale ‫ حناش‬, con cui i giovani chiamano i
poliziotti, denunciando in questo modo le molestie spesso subite dalle donne
tunisine ad opera delle forze dell'ordine; attacca gli uomini della classe politica
dirigente perché “si sono mangiati i soldi del povero”, e denuncia l'ipocrisia delle
politiche paternalistiche del governo, chiamando Ben Ali “padre” e sottolineando
“Ma un padre non permetterebbe che tutto questo accada ai suoi figli!”. E' nel
testo stesso della canzone, che si intravede anche la consapevolezza di
Hamada di esprimere una denuncia forte e importante, che in pochi hanno
osato fare prima: “Presidente hai detto che era il tempo di parlare senza paura.
Ok, io ho parlato anche se so che adesso mi aspettano guai!”. Ma
l'esasperazione è tale, che il rapper non si ferma di fronte al rischio in cui
incorre.
La canzone viene pubblicata su YouTube il 7 novembre 2010 (giorno del
trentatreesimo anniversario della presa del potere di Ben Ali) . L'attivismo sui
social-network come FaceBook, YouTube e Twitter, infatti, aiutano rapidamente
la diffusione dei versi di El General che in breve raggiungono una grande
popolarità tra i giovani tunisini, perché quella canzone rispecchia la situazione
95 Traduzione tratta dal sito web: www.cantiere.org ; per il testo originale in arabo si veda il sito web:
www.revolutionaryarabraptheindex.blogspot.it
81
in cui in migliaia si identificano, tanto che le autorità percepiscono questo
giovane ragazzo come una minaccia.
Verso la fine di dicembre, nei giorni immediatamente successivi al suicidio di
Mohamed Bouazizi e alle rivolte di Sidi Bouzid e Kassrine, El General pubblica
su YouTube altre due canzoni, Tunes Bledna (La Tunisia è il nostro paese) e
Tahya Tounes (viva la Tunisia), che parlano di ribellione, e della necessità di
sottrarre la Tunisia dalle mani del clan corrotto, soffiando così sul focolare della
rivolta.
“La Tunisia è il nostro paese, con la politica o con il sangue, la Tunisia è il
nostro paese, e i suoi uomini non si arrendono mai, la Tunisia è il nostro paese,
mano nella mano, tutta la gente, la Tunisia è il nostro paese, oggi non abbiamo
ancora trovato pace”96
Il 6 gennaio 2011, la polizia arresta Hamada Ben Amour per interrogarlo e
per soffocarne la voce. Racconta in seguito il rapper97: “Io ho solo parlato di
quello che stava accadendo in Tunisia e l'ho fatto cantando nelle mie strofe una
lettera al presidente. Per questo sono stato arrestato e portato in prigione. Mi
hanno interrogato per tre giorni... non mi hanno torturato perché c'è erano già
abbastanza martiri. Sapevano che noi rapper siamo i portavoce della gioventù
tunisina”.
Tra i gruppi musicali tunisini più rinomati per il loro impegno sociale e politico,
si trovano gli Armada Bizerta: collettivo hiphop di cui fanno parte Laka'y, Diable
Rouge, BlakoM, Django e Gala'y. Come tanti rapper in Tunisia, anche loro sono
attivi da diversi anni nella zona di Bizerta (a nord del paese) ma, sotto il
governo di Ben Ali, hanno incontrato non pochi ostacoli a causa della censura e
del controllo del regime.
Poiché la loro musica è prodotta con l'intento di
esprimere libertà e messaggi contro il potere, nel 2010 la polizia ha fatto
irruzione nel loro studio a Bizerta e ha torturato Laka'y; poi sono stati messi
96 Traduzione di una strofa della canzone Tunes bledna, tratta dal blog Fortress Europe
97 Intervista rilasciata il 23 aprile 2011 al centro sociale Cantiere di Milano, durante un dibattito sulle
rivolte arabe.
82
sotto controllo i loro telefoni e venivano seguiti ovunque andassero: “facciamo
una musica che rompe con il sistema, che da fastidio al regime. Non volevano
sentire queste cose e hanno voluto intimorirci”, racconta Laka'y. Nonostante gli
ostacoli, gli Armada Bizerta sono riusciti a dar vita a Sound of Freedom,
un'etichetta indipendente attraverso la quale producono e diffondono le proprie
canzoni: nel 2009 realizzano e rendono pubblico attraverso internet Music of
revolution, uno dei loro primi progetti musicali. Nelle canzoni raccolte con
questo progetto, cantano dei problemi politici causati dalla dittatura di Ben Ali e
della miseria in cui sono costretti a vivere migliaia di cittadini tunisini;
raccontano la storia del giovane Abdelsalem, che come Bouazizi si è suicidato a
causa della povertà e delle ingiustizie sociali, ma non ha fatto notizia poiché
non ne ha voluto fare un messaggio politico pubblico e dunque nessuno
conosce la sua storia.
Gala'y spiega con queste parole la scelta di raccontare la storia di
Abdelsalam attraverso una canzone: “Non ha fatto notizia, e quindi sono in
pochi a conoscere questa storia. Lui non ha pensato di darsi fuoco per
esprimere la sua idea. Io non credo ci sia bisogno di replicare il suo gesto per
affermare le proprie idee, ma... è la Tunisia, è la storia della Tunisia. In un film 98
un uomo cadendo dal ventitreesimo piano dice: fino a qui tutto bene, fino a qui
tutto bene. Ma l'importanza non è la caduta: è l'atterraggio”.
Nel pieno della rivoluzione, mentre in strada si sentono sparare i lacrimogeni,
il gruppo registra un'altra delle canzoni che diventa la colonna sonora delle
proteste, Touche pas à ma Tunisie, in cui si rivolgono a tutti i loro coetanei,
sottolineando l'urgenza di far cadere il governo. La musica prodotta da questo
gruppo di ragazzi mostra che l'interesse politico delle giovani tunisini, non si è
fermato al 14 gennaio 2011, ma continua nella consapevolezza di quanto sia
importante prendere parte attivamente al processo di transizione e non lasciare
che la Tunisia passi da un vecchio regime a uno nuovo. Una delle ultime
canzoni prodotte dal gruppo, I say no!, per esempio, prende ispirazione dalle
più recenti proteste contro l'intervento del Qatar nell'economia e nella politica
98 Mathieu Kassovitz, La Haine, 1995 - ndr
83
tunisina e contro il supporto ai partiti religiosi da parte dei paesi del Golfo.
Oltre alla forte connotazione politica sviluppata nei testi delle canzoni, la
capacità di mescolare e rielaborare con estrema creatività suoni e ritmi molto
diversi tra loro è sicuramente uno degli elementi più importanti che rendono
così attraenti e interessanti le produzioni musicali degli Armada Bizerta. Con
grande originalità, riescono infatti ad armonizzare i suoni di artisti così diversi
come Muddy Waters, Curtis Mayfield, Oum Kalthoum, Nina Simone, Lawrence
Hilton Jacobs e Dj Premier, dando vita ad esperimenti musicali radicalmente
innovativi nel mondo arabo. Facendo così, questi artisti sono riusciti non solo a
influenzare politicamente e culturalmente i cittadini tunisini, ma hanno anche
aperto nuovi percorsi e prospettive per sviluppare, a livello internazionale, la
produzione di un vocabolario culturale globale e comune 99, in particolare tramite
la partecipazione al progetto It will be wonderful, di cui scriverò in seguito.
Mos Anif, in arte “Mossa”, proviene invece da La Goulette, una banlieue a
nord di Tunisi. Lui è tra i ragazzi che hanno conosciuto la musica hiphop nei
giorni della rivolte e che è stato influenzato dal mix esplosivo dei suoi ritmi e
delle sue rime. Ha subito deciso di provare a scrivere alcune strofe connotate
politicamente, per esprimere i suoi pensieri e trasmetterli ad altri ragazzi come
lui. In una intervista svolta per il documentario Rap The Casbah, nel febbraio
2011, Mossa spiega infatti che il rap è stato importante per la rivoluzione perché
è sempre stato un messaggio di verità e “dire la verità in Tunisia è già qualcosa,
poiché significava andare in prigione 100”. Continua l'intervista raccontando che,
secondo lui, la rivoluzione ha sorpreso tante persone perché ha svelato la forza
politicamente sconosciuta dei giovani “è stato uno shock, lo shock dei giovani”
dice. I ragazzi si sono mossi subito in tutti i campi, non solo con il rap, ma nel
cinema, nel teatro, allo stadio, nelle strade: sono riusciti a diffondere
velocemente la consapevolezza che attraverso qualunque attività si può riuscire
a trasmettere un messaggio.
Dopo la rivoluzione, ha continuato a cantare e a raccontare in questo modo
99 AAVV, The new hybridity of arab musical intifada, 2012
100 Intervista tratta dal video-documentario realizzato dal collettivo romano Optikamultietnica: Rap the
casbah, 2011.
84
la situazione in Tunisia, provando a trasmettere un messaggio di amore per il
proprio paese e per gli ideali di molte persone che si sono sacrificate per
cacciare Ben Ali: cerca di mantenere vivi i valori di dignità e libertà da cui sono
scaturite le proteste, nella speranza che essi siano le fondamenta del nuovo
paese tunisino. In uno delle sue ultime strofe denuncia l'interesse attuale di
molti politici, volto solo alla conquista di potere, scrive infatti: “Bravi a tutti gli
uomini veri, avete vinto e ora i vostri nomi sono nella lista nera, ormai in tanti
vogliono cambiarsi di abito e cavalcare la rivoluzione, ma io sono qui e mi
occupo di loro, di loro io parlo, della mentalità individualista ed egoista, questa
è una mentalità da pazzi: ieri erano qui ed erano contro di me e anche contro di
te, ora che le fila del loro sistema si sono allentate vogliono approfittare della
situazione.101”
Non si può però negare che anche in Tunisia siano sempre esistite anche
personalità legate al lato commerciale della cultura hiphop: ne è un esempio il
rapper Dragonbalti, conosciuto anche come Balti. Tra i fondatori della cultura
hiphop in Tunisia, Balti gode da anni di un grande seguito tra i giovani arabi: le
sue canzoni più popolari hanno superato le 300mila visite su YouTube e ha
persino condiviso il palco con uno degli idoli del rap internazionale, Method
Man, cantando davanti a un pubblico di oltre 50mila persone. La sua fama è
stata favorita in particolare dall'appoggio del governo di Ben Ali che, avendo
individuato Balti come una potenziale fonte di rendita economica e di sostegno
nel mantenimento del consenso, lo ha supportato usandolo come sponsor per
le sue campagne e organizzandone i concerti. Nel 2005 infatti, in seguito alla
pubblicazione da parte del rapper Férid El Extranjero di una canzone dal titolo
3bed Fi Terkina che critica apertamente il sistema di polizia del regime e
divenuta in poche settimane una hit, il governo aveva fatto arrestare diversi
rapper con lo scopo di interrogarli e, possibilmente, cooptarli. Balti ha accettato
divenendo famoso: proprio per questo ora
riceve molte critiche dal mondo
musicale e artistico tunisino, poiché, in cambio di un po' di fama e di reddito, ha
cambiato i contenuti delle proprie canzoni, supportando il governo. In ogni caso,
101 Testo tratto dal sito web: www.reverbnation.com
85
al di là del ruolo che ha scelto di svolgere in quanto sponsor del RCD, resta
innegabile che Dragonbalti sia uno dei precursori della musica hiphop in Tunisia
e che ne abbia di molto favorito la diffusione, contribuendo forse, anche alla
diffusione del rap impegnato, poiché come tutti, anche Balti aveva mosso i suoi
primi passi da rapper cantando di disoccupazione, povertà, immigrazione e
problemi sociali.
3.2.4. Share the spring: It will be wonderful!
Nell'estate 2011, a pochi mesi dalla rivoluzione in Tunisia e in Egitto e nel
pieno delle rivolte che coinvolgono altri paesi in Medio Oriente, alcuni musicisti
arabi e internazionali si riuniscono e decidono di dar vita a una produzione
totalmente innovativa e originale. Dalla collaborazione di artisti mai incontratisi
prima, provenienti da diversi paesi e con differenti background musicali, nasce
così il progetto musicale It will be wonderful (sarà meraviglioso). Nel luglio
2011, infatti, per celebrare la creatività e l'innovazione delle giovani generazioni
protagonisti della primavera araba, si incontrano durante un meeting di alcuni
giorni svolto in Tunisia, artisti di diversi generi musicali come hiphop, jazz, rock,
heavy-metal, blues, folk, musica classica e musica tradizionale. Per l'occasione,
partecipano artisti dall'Egitto, dalla Palestina, dalla Tunisia, dall'Italia e dagli
Stati Uniti.
Le menti di questa geniale sperimentazione sono l'autore di Rock The
Casbah, Mark Levine, e il poliedrico artista marocchino Reda Zine, ora
residente a Bologna, fondatore del più importante festival di musical
underground di Casablanca102; l'evento si è inoltre svolto con il supporto e la
collaborazione della piattaforma tunisina Nawaat103 e di Aljazeera Network.104
Durante queste giornate i musicisti sono stati incoraggiare a mettere insieme
le proprie esperienze e a mescolare i diversi ritmi e suoni di generi musicali così
diversi, per creare con originalità una produzione musicale che fosse
rappresentativa della generazione che ha dato vita alle rivoluzioni arabe e dei
102 Festival annuale “L’Boulevard des Jeunes Musiciens”
103 Sito web: www.nawaat.org
104 Sito web: www.aljazeera.net
86
loro ideali. Due tracce musicali originali sono state create e suonate: Mamnou'
(Proibito) e Thawra mustamirra (Rivoluzione continua). Altri artisti hanno
aggiunto le proprie voci e i propri suoni, e il risultato e` oggi disponibile online
per essere condiviso e remixato liberamente sotto licenza Creative Commons.
L' esperimento del meeting culmina con un concerto intitolato Share the Spring,
ospitato nel palazzo Nejma Ezzahra e con un appello rivolto alla collaborazione
di altri artisti, anche ai più giovani, in cui i promotori del progetto It will be
wonderful invitano i ragazzi a riprendere queste due canzoni, rielaborarle,
modificarle, stravolgerle reinventandole e condividendo poi le nuove produzioni
elaborate. Scrivono nell'appello: “Vogliamo incoraggiare gli artisti di tutto il
mondo a prendere questa musica e a costruirci sopra. Ci piacerebbe ascoltare i
vostri remix e, a nostra volta, costruirci sopra ancora altre cose. Vogliamo
incoraggiare la collaborazione produttiva fra artisti, la condivisione e lo scambio
fra le culture. Crediamo che l'innovazione venga fuori lavorando insieme e
scambiando idee con gli altri. Aspettiamo con impazienza i vostri remix...e sarà
meraviglioso!”
E' un progetto molto interessante non solamente perché ha reso possibile
l'incontro e la collaborazione tra artisti che altrimenti mai si sarebbero
conosciuti, ma perché riesce a costruire un percorso che va oltre il semplice
obiettivo di produrre canzoni, poiché permette ad altri di accedere liberamente
al materiale musicale prodotto e rielaborarlo. Favorisce la condivisione e la
diffusione delle produzioni ma soprattutto, in un certo senso, stimola la
cooperazione continua in modo innovativo e stimolante, grazie all'utilizzo della
rete internet, riesce a superare gli ostacoli posti dai visti, dai costi economici,
dalla distanza e dalle diverse opportunità che ogni persona ha di viaggiare.
Dopo la rivoluzione, con il governo di Ben Ali sono caduti anche gli organi di
censura e in tutto il paese si verifica un'ondata di entusiasmo che si sviluppa sia
nel campo del giornalismo e dell'informazione, sia nel campo artistico-musicale:
i giovani che si avvicinano alla cultura hiphop sono moltissimi. Essendo entrati
in contatto con le canzoni rap grazie alla rivoluzione, la maggior parte di questi
giovani sceglie di portare avanti l'unione dell'hiphop con il messaggio
87
socialmente impegnato, ma sono molti anche quelli che scelgono un percorso
più commerciale e si dedicano a sviluppare nei propri testi o nei propri freestyle
(improvvisazioni) tematiche più leggere come l'amore, il denaro o l'esaltazione
delle proprie abilità artistiche. In alcuni casi, continua anche l'intimidazione nei
confronti degli artisti hiphop, come testimonia il caso molto recente di un
ragazzo e una ragazza,Mohamed Belgueyed and Sabrine Klibi, condannati a
sei mesi di prigione perchè avevano partecipato alla realizzazione del video
della canzone Boulicia kelb del rapper El Weld 15, che con toni molto forti
racconta le ingiustizie eseguite dalla polizia tuttora, a due anni dalla rivoluzione:
secondo il Ministero dell'Interno il video contiene "espressioni immorali" ed è
"offensivo e minaccioso" nei confronti degli agenti delle forze di sicurezza. 105
Nonostante le sfide economiche e politiche della transizione, la produzione
culturale esplosa durante la rivoluzione non si è arrestata e l'elaborazione e
diffusione di opere artistiche continua con particolare fermento soprattutto per
quanto riguarda la musica rap, i graffiti e i fumetti, un genere letterario che in
Tunisia è sbocciato solo negli ultimi due anni. Anche il campo musicale, però, e
in particolare quello della cultura hiphop, vive le contraddizioni che attraversano
attualmente tutta la società tunisina nella fase di transizione. E se il gruppo
Armada Bizerta continua a sostenere una vera e propria attuazione della
rivoluzione invocando l'ottenimento dei diritti e della dignità, sostenendo un
punto di vista laico e in cui sia il popolo stesso ad avere il potere decisionale,
altri rapper, come El General, si sono impegnati a supportare le campagne di
diffusione del messaggio religioso dell'Islam e, in alcuni casi, di partiti politici
come En-Nahda. Ma, poiché il rap è un fenomeno sociale ibrido e molteplice,
che unisce giovani con background culturali, sociali e religiosi molto differenti,
non è cosa strana che molti dei giovani con le loro canzoni hanno sostenuto
insieme la rivoluzione dei gelsomini, attualmente abbiano intrapreso differenti
percorsi.
105 Informazione tratta dal sito web: www.reverbnation.com, uno dei portali di riferimento relativi alla
musica hiphop tunisina.
88
3.3. Ricombinazione dei confini sociali: graffiti writing e arte di strada
La cultura hiphop è eclettica, si ispira a molte culture, tradizioni e generi, non
ha radici perché è frutto di mescolanza ed è in continua trasformazione ed
evoluzione. Questa sua natura favorisce la diffusione e il radicamento tra
ragazzi provenienti da contesti culturali e sociali molto eterogenei, soprattutto in
un paese come la Tunisia, in cui convivono armoniosamente tradizioni e culture
molto diverse tra loro. Per questo motivo nei quartieri poveri, dove c'è un alto
tasso di abbandono scolastico, ma anche di disoccupazione, i ragazzi hanno
trovato nell'hiphop gran parte dell'intrattenimento delle loro giornate. Oltre a
sapersi cimentare in una delle cinque discipline, infatti, elemento fondante della
cultura hiphop è quello della propria reinvenzione e ostentazione della propria
identità: ognuno sceglie la propria, a partire dal nome, in modo totalmente
slegato a convenzioni o confini sociali. 106 Così come la musica,
l'arte del
graffiti-writing diventa un elemento di ridefinizione del soggetto stesso come
parte della società, rielaborando e reinventando al tempo stesso una
soggettività più ampia (quella generazionale) esaltandone le sue caratteristiche
ibride e meticce.
Come i ragazzi che abitavano nel Bronx degli anni Settanta, la maggior parte
dei giovani tunisini si sente costretta ad affrontare un elevato isolamento sociale
fatto di disoccupazione, fragilità economica, servizi sociali scarsissimi. Anche in
Tunisia, con il movimento hiphop, nasce un'arte urbana che si evolve per le
strade, su muri visibili a tutti, prima maledettamente grigi e poi "tutto d'un tratto"
incredibilmente colorati e vivi. Un'arte urbana globale nella forma di linguaggio
comune ad ogni periferia di ogni metropoli, sotto ogni cavalcavia o sottopasso,
su ogni treno in corsa, una metropolitana, dentro ogni deposito e perimetro.
Forma, linguaggio e stile locale e globale: immagine, creatività, colori, disegni
che esprimono messaggi e provocano emozioni e reazioni, in tutti coloro che
attraversando una strada si imbattono nelle lettere di un graffito. Un graffito si
può realizzare ovunque: su un muro oppure su un grande edificio, sulla
banchina di un autobus, in stazione e o sul treno stesso.
Infatti, i writer non scelgono come “tela” per le loro opere semplicemente i
106 Giuseppe Pipitone, Louder than a Bomb, 2011
89
luoghi pubblici, ma vanno alla ricerca di spazi in movimento, come i treni o i
pullman, perché in questo modo sarà il loro messaggio e il loro colore a fare un
viaggio che per per svariate ragioni i writer non possono affrontare: l'arte dei
graffiti è una strategia creativa e comunicativa che con originalità permette di
superare le frontiere imposte dal tempo, dalla distanza o dal denaro
107
.
Attraverso questa nuova l'arte urbana, i giovani artisti trovano il loro modo di
esprimere molteplici stili e messaggi e riescono a trasformare la superficie
neutra e anonima della città, restituendole una “personalità”
108
.
In contesti in cui ai cittadini nulla appartiene, la strada diventa il luogo stesso
a partire dal quale si produce e reclama lo spazio pubblico, attraverso l'arte
come strumento di produzione sociale e politica dello spazio urbano. La sua
riconfigurazione si identifica con coloro che sono ai margini della società 109.
Così gli artisti di strada riescono a iscrivere sui muri pubblici la memoria
passata e il ricordo di coloro che hanno combattuto e perso la vita per la
rivoluzione. Questa forma d'arte è riuscita a trasformare lo spazio pubblico in
ciò che in un saggio del 2009 intitolato Life as politics: how ordinary people
change the Middle East, A. Bayal chiama “strada politica” intendendo la
sensibilità collettiva, i sentimenti comuni e il pensiero di persone normali: “the
Arab Street art should be seen in terms of such expression of collective
sentiments in the Arab public sphere”110
La protesta, così, si diffonde velocemente anche attraverso i murales e i
graffiti: i muri si riempiono di messaggi e colori firmati dai writers, giovani di cui
nessuno conosce l'identità, che sfidano la censura armati di spray e pennelli.
Accanto agli omaggi verso coloro che hanno combattuto per la rivoluzione,
come Mohamed Bouazizi, altro soggetto delle produzioni degli artisti di strada
sono le questioni politiche più attuali. Tra i più attivi in Tunisia troviamo il gruppo
di artisti Ahl al-kahf, che producono le loro opere con diverse tecniche come la
pittura, il collage o gli stencil, e il giovane El Seed 111 invece, ha inventato con
originalità una nuova tecnica artistica da lui stesso battezzata “Calligraffiti”,
107 AAVV, Urban Vision, 2006
108 U.Net, Renegades of Funk, 2011
109 Henri Ledebvre, La produzione dello spazio, 1991
110 A. Bayal, Life as Politics: How ordinary people change the Middle East, 2009
111 Tratto dal sito web: www.elseed-art.com
90
armonizzando le tecniche di calligrafia araba con le tecniche per realizzare i
graffiti e coniugando murales e poesia. Uno dei messaggi principali che esprime
nelle sue opere è la speranza positiva nel futuro post-rivoluzionario del paese.
Un altro artista di strada ormai affermato e conosciuto in tutto il paese è
Sk-one, che nei giorni della rivoluzione ha colorati i muri di tutta la capitale
diffondendo messaggi legati agli ideali di dignità, libertà e rivolta contro la
corruzione e la dittatura. Nei mesi immediatamente successivi alla rivoluzione si
è unito ad altri graffiti-writer e per dar vita a un progetto il cui obiettivo era quello
di trasformare le case e i muri devastati dalle pallottole sparate dalla polizia
durante gli scontri in messaggi positivi per la nazione, facendo dell'arte la loro
unica arma.
Afferma infatti il ragazzo in una intervista rilasciata alla testata giornalistica di
Al-Arabiya112: “We come here to fight against dictatorship but we don’t use arms
and ammunition. Everyone has their own way of fighting tyranny. Our art is our
weapon. We don't use bullets. Anything could be more efficient than weapon.
There is a power in the graffiti which gathers and unites the people, because art
is the most important thing. The common vision and the artistic performance is
the most important factor at the end. This is the most important thing.”
Nonostante sia nata come fenomeno contro-culturale e underground, l'arte di
strada è riuscita a contribuire molto alla rivoluzione, svolgendo un ruolo
importante nella costruzione e nella diffusione di un immaginario comune
politico e sociale e mostrando la possibilità di una emancipazione oltre le
costrizioni e le barriere politiche imposte dal governo. Attraverso il rifiuto dello
status quo e la rielaborazione dell'identità come strumento di dignità individuale,
hanno diffuso un'importante coscienza politica tra i giovani, facendo della
condizione di marginalità una potenziale forza espressiva e di ricombinazione di
una soggettività consapevole della propria responsabilità nel cambiamento
socio-politico.
Ne è una dimostrazione l'impegno del collettivo di artisti Zwewla, attivi da
diversi anni, già prima della rivoluzione e noti in Tunisia per il loro impegno
112 Al-Arabiya, Tunisian artists use graffiti to fight religious extremism, 7 settembre 2012
91
politico sviluppato attraverso l'arte di strada e attraverso iniziative sociali nelle
scuole e nei quartieri popolari. Due di loro, Chahine Berriche, 22 anni,
studentessa di Arti Multimediali e
Oussama Bouagila, 25 anni, sono stati
arrestati il giorno 3 novembre 2012 per aver disegnato dei graffiti nella città di
Gabes, nel sud est della Tunisia. Hanno infatti dipinto a grandi lettere sui muri
dell'università due messaggi di forte critica alle politiche attuate dal governo di
transizione, scrivendo: “Il popolo vuole diritti per i poveri” e “In Tunisia, i poveri
sono morti-viventi”. I due giovani fanno parte del gruppo di artisti-attivisti di
strada chiamato “Zwewla”, “i poveri”, in dialetto tunisino, e sono conosciuti per il
loro impegno sociale attraverso i graffiti in cui richiamano l'attenzione su
problemi di emarginazione sociale ed economica in Tunisia 113. Sono ora
accusati di aver violato il coprifuoco, di aver imbrattato una proprietà e di aver
scritto messaggi contro la sicurezza e l'ordine nazionale e rischiano una pena
fino a cinque anni di reclusione. I giovani artisti del gruppo Zwewla hanno scelto
la zona di Gabes perché è una regione che sta vivendo un grande
impoverimento e marginalizzazione: anche con il governo di transizione, gli
abitanti della regione stanno soffrendo una terribile situazione economica e
vivono delle condizioni di vita molto dure, esattamente le stesse di due anni fa,
quando è scoppiata la rivoluzione. La decisione di usare i graffiti come
strumento di espressione e di protesta è stata presa proprio perché l'arte di
strada è direttamente accessibile a tutti i cittadini. Spiega Oussama 114: “Nous
avons fait ce mouvement de graffiti parce que personne ne parle de nous, de
nos problèmes de chômage, de pauvreté et de marginalisation. Nous avons
donc décidé de parler par nous-mêmes. Pourquoi le graffiti? Parce que le
graffiti est plus accessible au tunisien qui n’a pas Facebook par exemple”.
Chaine, invece, si rivolge a tutti i tunisini, affermando che questi arresti sono
solo uno dei molti esempi che rendono evidente come il governo attualmente in
carica stia portando avanti le stesse politiche di repressione e censura,
mettendo in discussione la libertà di espressione conquistata in Tunisia con la
rivoluzione: “Le problème, ce n’est pas la police qui a essayé de nous arrêter
113 Eric Davis, Tunisia Graffiti Rebels, dicembre 2012
114 Henda Hendoud, Zwewla, le graffiti se révolte, febbraio 2013
92
ou qui nous a confisqué notre matériel. Le vrai problème, c’est la loi qui
s’applique pour les uns et pas pour les autres. Et la loi en elle-même ne
garantie par la liberté d’expression et continuer de réprimer avec les mêmes
méthodes des anciens dictateurs, les activistes et militants 115”.
Il caso degli Zwewla è circolato rapidamente in rete e molte persone e
associazioni della società civile hanno espresso il loro appoggio agli artisti,
lanciando una campagna chiamata
“le graffiti n'est pas un crime / ‫ الڤرافيتي موش جريمة‬: Free Zwewla" che si è
diffusa non solo su web ma anche attraverso l'organizzazione di manifestazioni
e iniziative artistiche in loro solidarietà in molte città tunisine, a cui hanno
partecipato centinaia di ragazzi.
Queste proteste vanno oltre la sola espressione di sostegno ai due ragazzi
incriminati: criticano duramente il governo attuale e mettono in guardia dal
rischio di perdere nuovamente la libertà di parola e di espressione, e tornare
nell'oscurità della censura e del controllo. Sulla pagina facebook della
campagna “le graffiti n'est pas un crime”, campeggia una frase molto
significativa e provocatoria, attraverso la quale sono state indette le
manifestazioni per la libertà di espressione e la caduta dei capi di accusa nei
confronti degli Zwezla: “Le 23 Janvier 1846, la Tunisie a aboli l'esclavagisme,
arrachant comme dab une position avant-gardiste pour les Droits Humains (1er
pays arabo-musulman et 2ème au monde à le faire); le 23 Janvier 2012, le
groupe Zwewla passe devant le tribunal pour avoir décoré la ville de gabès par
leurs jolis graffitis, pour crime presque d'état.116”
A due anni dalla rivoluzione, il fermento culturale e politico in Tunisia non
sembra affatto diminuito, ma, anzi, la grande attività dei giovani in numerosi
campi culturali, artistici e sociali sembra dimostrare il contrario: la generazione
che è stata protagonista delle rivolte, riuscendo a far cadere il governo della
dittatura si mostra pienamente consapevole della propria responsabilità in
115 Henda Hendoud, Zwewla, le graffiti se révolte, febbraio 2013
116 Tratto dal sito web: www.facebook.com/graffiti-is-not-a-crime
93
questa fase di transizione, restando vigili e attivi e portando avanti i valori per
cui in tanti si sono sacrificati, fino al pieno raggiungimento di essi.
Nonostante i carichi pendenti e il rischio di venire imprigionato, è il giovane
Oussama stesso a dichiarare: “Faccio appello alla solidarietà di tutte le
associazioni e organizzazioni che difendono i diritti umani e la libertà di
espressione: la nostra lotta non è ancora finita. Dobbiamo restare uniti e
continuare a lottare per una Tunisia migliore e per una vita migliore nel nostro
paese, affinché anche i poveri e i miserabili possano vivere con dignità 117”
117 Henda Hendoud: Zwewla, le graffiti se révolte, febbraio 2013
94
Allegato: murales e graffiti realizzati tra il 2011 e il 2012
Tunisi, 2011
La Goulette, 2011
La Marsa, gennaio 2011
El-Seed, calligraffito, periferia di Tunisi, 2012
95
Tunisi, gennaio 2011
Tunisi, 2011
Laboratorio artistico organizzato dal
gruppo Zwewla in un quartiere popolare di
Tunisi, 2011
El-Seed, calligraffito, 2012
Tunisi, gennaio 2011
Sidi Bou Said, luglio 2011
96
Tunisi, 2011
Gabes, dicembre 2012
El-Kef, luglio 2012
El-Kef, luglio 2012
Medina di Tunisi, luglio 2012
Cartagine, 2012
97
Conclusioni:
L'obiettivo di questo elaborato è quello di analizzare un periodo della storia
tunisina dal punto di vista della società civile, in modo da ridare voce ai veri
protagonisti del processo di rivoluzione e di transizione, tuttora in atto.
Il risultato di questo lavoro è infatti quello di riuscire a restituire, attraverso
molteplici occhi e punti di vista, uno sguardo più approfondito dei fenomeni
sociali, culturali e artistici che dalla rivoluzione si sono sviluppati e che
mantengono vivo il fermento politico. Rappresentando il percorso di evoluzione
e crescita delle organizzazioni femminili e femministe, dalle lotte per
l'indipendenza fino ai giorni nostri, ho voluto mettere in risalto il modo in cui
esse hanno determinato la maturazione di una coscienza politica collettiva nel
paese; inquadrando il fenomeno della diffusione dell'arte urbana, ho descritto le
modalità attraverso le quali la musica e l'arte di strada abbiano potuto eludere la
censura e il controllo del regime, esprimendo ideali e messaggi che sono stati
trasmessi a tutta la società. Il mio intento è stato quello di provare a
rispecchiare realmente le opinioni e i pensieri della società civile tunisina, dando
voci
alle
differenti
soggettività
che
vivono
e
trasformano
il
paese
quotidianamente. Per questo, ho scelto di mettere insieme diversi contributi da
me raccolti in parte intervistando amici e attivisti conosciuti in Tunisia o
incontrati scrivendo questo elaborato, in parte selezionando e traducendo
inchieste, interviste e video pubblicati in diversi angoli del mondo, ben sapendo
che questo indagine non può che essere una rappresentazione parziale di un
processo politico e sociale in continuo mutamento.
Quando sono partita per la Tunisia, nel luglio 2012, non avevo idea di quello
che avrei incontrato. Avevo letto molto, soprattutto riguardo alla rivoluzione e
poi alla transizione, al primo governo caduto dopo pochi giorni, alle elezioni
rimandate, alla vittoria di En-Nahda e alle proteste che, seppure ridimensionate,
non si erano mai concluse. Già da mesi in Europa, in tanti parlavano di controrivoluzione poiché, a detta di qualcuno, gli islamisti ultraconservatori stavano
prendendo il potere. Tanti altri dicevano semplicemente “Rien n'a changé", forse
disillusi o arresi alle tante difficoltà che un processo di transizione porta
98
necessariamente con sé. Al mio arrivo, devo ammettere che inizialmente mi
sono lasciata influenzare molto da episodi sporadici che si sono verificati a
Tunisi: in particolare, durante una delle prime notti di Ramadan, sono state rotte
le vetrine di uno dei moltissimi ristoranti che rimaneva aperto durante il digiuno
e, pochi giorni dopo, mi sono imbattuta in una macchina di militanti religiosi che
invitava gli abitanti del paesino di Sidi Bou Said a denunciare le coppie
conviventi non sposate che li abitavano.
Ma durante questo viaggio ho fatto esperienza diretta della molteplicità e
delle diversità che compongono la società tunisina, comprendendone la
complessità e, soprattutto, comprendendo che non possono essere sufficienti
poche impressioni (siano esse negative o positive) per giudicare e
rappresentare le sfide e le contraddizioni con le quali si sta attualmente
confrontando la società tunisina. La Tunisia è un paese storicamente meticcio
nel quale si sono susseguite e armonizzate varie tradizioni (berbera, araba,
fenicia e romana...) e molti culti (tuttora convivono musulmani, cristiani, ebrei,
atei), e se pensiamo all'eredità intrinseca profondamente laica che l'era di
Bourguiba ha lasciato, possiamo renderci conto della complessità sociale di cui
questo paese si compone. Sarebbe infatti miope pensare che la condizione di
vita delle persone sia la stessa, in città grandi e popolate come la capitale e in
città ai confini del deserto. Senza dubbio la crisi economica attanaglia ancora
moltissimi abitanti e dal governo in carica, in questo senso, è stato fatto
sicuramente troppo poco. Allo stesso modo, se è vero che sono aumentate le
donne che indossano il velo, questo non rappresenta necessariamente un
aumento delle fedeli musulmane: durante i vent'anni di dittatura sotto il potere di
Ben Ali, in molti casi le donne avevano smesso di indossarlo per paura di subire
minacce e vessazioni. Quasi tutti sono infatti d'accordo che questo incremento
sia il riflesso di una maggiore libertà e non certo della diffusione del salafismo!
Si è detto quanto sia difficile valutare eventi in pieno svolgimento, la cui
portata al momento non è prevedibile; tuttavia quel che è certo è che il rapporto
tra governanti e governati sia irreversibilmente cambiato. La soggezione, la
paura, l'autocensura che hanno mortificato le ultime generazioni sono state
99
messe da parte, in favore di un nuovo e coraggioso desiderio di protagonismo,
sia nella pratica sia nella possibilità di esprimere le proprie idee. I giovani, forti
delle loro capacità e conoscenze, sono scesi in piazza per invocare pace,
giustizia e libertà, superando con creatività e originalità gli ostacoli della
censura del potere e dei media. Ho scelto di analizzare gli attuali rivolgimenti
all'interno della società tunisina attraverso due casi specifici, poiché, lungi
dall'essere eccezionali e imprevedibili, essi hanno radici profonde nella storia di
questo paese. Entrambi sono fenomeni sociali di cui poco si è studiato e che
non hanno una grande eco in Italia o in Europa, ma che rappresentano il
fermento e la vivacità dei movimenti sociali artistici e politici, forti di una lunga
storia. A dimostrazione di ciò, si può prendere in considerazione il Forum
Sociale Mondiale svoltosi a Tunisi nell'ultima settimana di marzo (di cui scrivo
nello specifico nella Parte I), a cui hanno partecipato migliaia di giovani
provenienti da tutta la Tunisia e che, tra le tematiche principali, ha affrontato la
questione di genere e la questione dell'arte in quanto terreno sociale e politico.
Questo elaborato, perciò, non è stato scritto con la pretesa di dare soluzioni
rispetto alla situazione politica né di indovinare gli esiti di un processo tuttora in
corso, ma è stato scritto nell'intento di dare voce a fenomeni sociali che ritengo
importanti nel processo di trasformazione del paese, consapevole che non è
che un piccolo inizio di un approfondimento molto più ampio che essi
meriterebbero.
100
Allegato finale. Interviste.
Mourad Ben Cheikh, regista, 8 febbraio 2013
Choukri Belaid era un democratico vero, una personalità storica dell'area politica. È di
sinistra e anche essendo di sinistra, lui è avvocato, ha difeso nella sua carriera tutti: ha difeso i
salafiti, gli islamici, quelli di sinistra. Ha difeso tutti. Per cui era una persona convinta dei valori
dell'uomo e dei diritti umani. Per cui questa persona che è stata uccisa non una qualsiasi
persona di sinistra. Tra l'altro la sinistra ha tantissime figure di questo tipo, che hanno difeso, nel
decennio terribile del regime di ben ali hanno difeso davanti ai tribunali gli islamisti, quando
neanche gli islamisti spesso osavano difendere i loro amici. È stato ucciso anche probabilmente
per questo perché una persona che sa dialogare, che sa parlare benissimo in pubblico, è una
persona che sta riscontrando di nuovo un rapporto forte con la popolazione in Tunisia.
Ma in questo tutta l opposizione in Tunisia sta riscontrando un dialogo diverso con la
popolazione tunisina. Bisogna rimettere quest'uccisione nel suo arco temporale. La settimana
scorsa per la prima volta un sondaggio di opinioni dava Nidaa Tunes e il gruppo di partiti vicino
a lui prima di En-Nahda: En-Nahda ha perso il primato in Tunisia. En-Nahda non ha realizzato il
programma promesso alle elezioni: insieme alla Troika sta rovinando l'economia, sta rovinando
il turismo, la pace sociale, stanno attaccando il sindacato che è un organizzazione
fondamentale in Tunisia sia per gli equilibri sociali ed economici ma anche per gli equilibri
politici. En-Nahda ha aperto tanti fronti nello stesso momento e non ha saputo gestirne
nessuno. Questo governo è in un momenti in cui ha toccato il fondo. Bisogna constatarlo. E la
reazione è stata questa. Non direttamente da parte dei partiti, magari, o di En-Nahda in
particolare, magari non direttamente da parte di chi governa. Ma chi governa da mesi lascia
correre tute le violenze che noi abbiamo visto per mesi svilupparsi: la violenza verbale, la
violenza fisica e oggi l'uccisione. È per questo che non sappiamo veramente chi ha ucciso
Belaid ma sappiamo benissimo che che questo governo e questi tre partiti al potere hanno una
responsabilità morale chiarissima nella situazione a cui siamo arrivati, perché non hanno
fermato la violenza quando era all'inizio: hanno lasciato correre. Ghannouci che è alla testa di
En-Nahda, parlando dei salafiti ha addirittura detto: “questi mi ricordano la nostra gioventù”.
Questi non arrivano da Marte, questi sono di qui: lasciano prevedere o vedere lo sviluppo di una
nuova cultura. Questo tipo di intervento li ha incoraggiati ad andare avanti: gli ha lasciato spazio
per poter, passo dopo passo, aumentare sempre di più il grado di violenza.
Bisogna riconoscere un fatto: ieri il popolo tunisino ha dimostrato una grande coscienza
politica, perché senza essere chiamato da nessuno per manifestare, le strade si sono riempite a
Tunisi, ma dal nord al sud della Tunisia, in quasi tutte le grandi città. La gente è uscita per le
strade, ha manifestato e ha dimostrato il proprio rifiuto della violenza. È dal 1952 che in Tunisia,
sul suolo tunisino non c'è una eliminazione fisica di un uomo politico. L'ultimo era Farhat
101
Hachad, ucciso peraltro dai francesi. Oggi questo tabù è infranto. Noi non siamo violenti, non
abbiamo mai usato l'eliminazione fisica come arma politica: neanche Ben Ali negli anni più bui è
ricorso a questo tipo di eliminazione. Per cui i tunisini sono scesi nelle strade e hanno gridato il
loro rifiuto di questo sistema. Contemporaneamente, 25 partiti di opposizione, il cui arco va
dall'estrema sinistra fino al centro destra (dando una semplificazione, perché le aree sono
difficilmente paragonabili alla politica in Italia o in Europa) si sono uniti su una posizione unica.
Hanno fatto alcune richieste chiarissime e sono tutti d'accordo: questo governo deve finire; ci
deve essere un governo di esperti; bisogna fissare al più presto delle date per le prossime
elezioni e ovviamente di fare un funerale di stato domani, venerdì, per Choukri Belaid. Di fronte
abbiamo un primo ministro in carica che ha colto l'eccezionalità del momento, ha accettato di
finire questo governo e presiedere un governo di esperti: esperti che se accettano questo
incarico non possono candidarsi alle prossime elezioni. Ma i partiti della Troika e prima di tutto
En-Nahda hanno rifiutato questa situazione logica alla situazione eccezionale in cui versa il
paese. E siamo in questa situazione di blocco totale perché En-Nahda non riconosce la presa di
posizione del suo segretario generale, perché il primo ministro è anche il segretario generale di
En-Nahda. E questa è la situazione oggi. Ci vorrà ancora molto dialogo ma temo anche molta
violenza, perchè si arrivi, per realismo anche, a riconoscere che questa esperienza della Troika
è finita. Che il paese è in una situazione terribile dal punto di vista economico. La Tunisia oggi
ha visto fiorire diverse volte delle azioni di salafiti, armati con tutte le armi che sono arrivate
dalla libia e che con la forza, con la prepotenza vogliono cambiare gli equilibri interni della
società tunisina. Il tunisino rifiuta questo e questo governo non si rende conto che la sua
esperienza è finita ed è finita molto negativamente. Oggi ancora ci sono manifestazioni un po'
ovunque. La gente sa che la pressione sul governo deve continuare e gli equilibri espressi dai
voti del 23 ottobre 2011 oggi, in questo paese, non esistono più. Il paese è ormai diverso da
quello che è stato fotografato il 23 ottobre, bisogna riconoscerlo e prendere le decisioni che
permettono di venir fuori da questa situazione eccezionale.
Fatiha Hizem, dell'Association Tunisienne des Femmes Démocrates, marzo 2013
La Tunisie est considérée comme un «exemple» pour le statut des femmes, de leurs droits
et de leur liberté. Vous êtes d'accord? Pourquoi?
La Tunisie a connu une avancée sérieuse en matière des droits des femmes en
comparaison avec les autres pays de la région arabe, principalement parce que le Code du
statut Personnel (CSP) a très tôt après l’indépendance( 1956) aboli la polygamie, et le
gouvernement de l’indépendance beaucoup fait pour la démocratisation de l’enseignement, il a
également permis aux filles d’être scolarisées. Le mariage est librement consenti par les
femmes, l’âge minimum du mariage des filles est fixé à 18 ans (sauf cas spécial), l’adoption des
enfants est permise par la loi…Les femmes sont alors assez présentes dans l’espace public,
elles sont fonctionnaires ( plus ou moins cinquante pour cent des secteurs du paramédical, des
102
écoles secondaires et primaires, presque à 50% en tant qu’universitaires..), ouvrières( elles
sont très employées dans les secteurs du textile et de l’agro alimentaire), paysannes( plus de
60% des produits agricoles passent à travers les mains des femmes), étudiantes (quan elle
arrivent à l’université, et elles ne sont pas loin des 40% des étudiants, elles réussissent mieux
que les jeunes gens, car elles sont convaincues que les liberté passe aussi à travers l’obtention
de leur diplômes..), …
Dans quelles conditions peut-on parler de féminisme tunisien?
Le féminisme tunisien en tant que mouvement autonome a eu des balbutiements dans les
années quarante, déjà à ce moment mes femmes célébraient la journée internationale de la
femme, mais ceci ne dura pas longtemps au lendemain de l’indépendance car il ne devait y
avoir qu’une seule voix : celle du parti au pouvoir, qu’un seul féminisme, celui de l’Etat qui a
promulgué le CSP, qui fut réellement positif, mais ne consacrait pas l’égalité entre les sexes. Le
mouvement féministes a eu un regain d’abord dans le principal syndicat du pays où il y a eu
mise en place d’une commission de la femme travailleuse en 1977/1978. Un peu plus tard, il y a
eu création dans un club culturel de la capitale « Club d’étude de la condition de la femme » qui
a travaillé pendant plusieurs années et réunissait l’élite féminine du pays. A l’instar de ce club,
d’autres ont vu le jour un peu partout dans le pays dans les maisons de jeunes et les maisons
de culture. En 1989, les militantes du club de Tunis qui s’activait à Tahar Haddad (qui est un
auteur tunisien du début du 20 ème siecle, qui a écrit sur la condition des femmes et celle de la
classe ouvrière) ont décidé de déposer une demande au ministère de l’intérieur pour mettre au
monde deux associations : l’ATFD pour le lobbying en vue d’améliorer les droits des femmes
pour l’égalité et l’AFTURD, qui est une association de recherches qui servirait à formuler les
revendications féministes. Ces deux associations ont continué à travailler de pair pour
l’amélioration des droits des femmes. Une campagne a été mené pour la mise place d’une loi
contre le harcèlement sexuel. Cette loi est arrivée, mais elle ne répondait pas à nos attentes,
car sa formulation empêche les femmes de déposer une plainte contre le harceleur. Nous avons
mené une campagne avec des associations arabes dans le cadre de la coalition pour la levée
des réserves contre la CEDAW, qui a été ratifié par le gouvernement tunisien avec des
réserves, celles concernant le statut des femmes dans l’espace privé( la responsabilité n’est
pas partagée dans la famille, le choix du nom et du domicile conjugal sont du droit du mari et
non de la femme, la passation de la nationalité de la femme à l’enfant quand elle est marié à un
étranger [ la réserve a été levée à la fin de l’année 2010], l’impossibilité qu’une tunisienne de se
marier avec un non musulman, . le travail de l’ATFD a été axé sur la levée des réserves et
depuis 1993, nous avons mis en place « un centre d’écoute et d’orientation des femmes
victimes de violences » dans lequel nous recevons des femmes pour leur offrir une prise en
charge psychologique, une orientation juridique, et souvent –quand elles sont très pauvres- une
prise en charge juridique. Depuis le 14 janvier 2011, nous avons focalisé un moment notre
action sur la participation politique des femmes, grâce à notre lutte et à la solidarité avec les
103
démocrates associatifs et politiques, nous avons pu mettre en place une loi électorale avec
parité et alternance ; mais nous ne sommes pas pour autant gagnante, puisque la majorité des
femmes de l’Assemblée nationale constituante (ANC) sont des femmes qui ne défendent en
rien les droits des femmes, et se contentent d’être des femmes nahdhauois au service d’un parti
qui défend la discrimination à l’égard des femmes.
Comme le laïcité de l'État a été combiné avec la société tunisienne? Beaucoup parlent de la
«laïcité forcée" …
Il faut dire que le gouvernement tunisien n’a jamais été laïc. Il y a eu volonté de séparation
entre le politique et le religieux, mais cette séparation a surtout touché les institutions et non les
lois ; car paradoxalement le CSP lui-même qui a donné des libertés aux femmes et surtout le
droit de ne pas être deuxième ou troisième épouse, n’a jamais rompu avec la religion, et quant
à la question de l’héritage, la discrimination à l’égard des femmes prend ses racines dans la
religion. Donc pour conclure, Bourguiba le premier président de la république tunisienne n’a
jamais rompu avec la religion, et n’était pas laïc, il a tout simplement aboli la polygamie en se
basant justement sur un verset du coran qui di ten s’adressant aux hommes: «vous pouvez
vous marier avec deux, trois ou quatre femmes, à condition d’être juste avec elles; et vous ne
pourrez l’être..» C’est justement en se basant sur ça qu’il a pu abolir la polygamie, d’autant plus
qu’une lecture sommaire de notre histoire sociale vous informera que les tunisiens n’ont jamais
été foncièrement polygames, et ne recourent à la polygamie que rarement (maladie de
l’épouse, infertilité du couple…) Nous n’avons jamais vécu dans un pays laïc et nous le
sommes encore moins, d’autant plus que le draft de la constitution dit dans l’article 148: «l’islam
est religion d’état». Chose que nous ne pouvons accepter, et contre laquelle tous les
démocrates confondus, hommes et femmes luttent.
Quelle était l'importance du rôle des femmes pendant la révolution?
Les femmes ont été très présentes dans les rues et dans toutes les structures qui ont été
mises en place après la révolution. Elles ont même eu un rôle précurseur au cour de la révolte
du bassin minier qui a eu lieu deux ans avant la révolution, et pendant lequel les femmes ont dû
un moment prendre la direction du mouvement au moment où la répression de l’ancien
dictateur a touché tous les militants du bassin minier et ils étaient tous emprisonnés ou ils
avaient pris la fuite. Les femmes à ce moment là ont pris la direction du mouvement pour
continuer la lutte, mouvement qui a été soutenu par nous bien sûr et par les quelques
associations autonomes que comptait notre Tunisie. C’est aussi un mouvement qui a bénéficié
d’un soutien international important que nous ne pouvons nier. Nous avons, comme je l’ai dis
plutôt mener plusieurs actions pour une meilleure participation des femmes à la chose publique,
et au cours des élections, nous devons signaler que les femmes inscrites aux élections ont
dépassé le nombre de citoyens hommes inscrits dans deux régions différentes. Elles ont
également été assez présentes au cours des élections (50% des candidats) mais seulement 7%
des femmes étaient tête de listes, c’est pourquoi il n’y a pas aujourd’hui 50% de femmes à
104
l’ANC. Nous savions d’emblée que le nombre des femmes qui parviendraient à l’ANC serait
forcément réduit, et pour ce nous avions organisé des actions de lobbying auprès des partis
pour que 50% des listes soient présidées par des femmes…la lutte était dure et n’a pas porté
beaucoup de fruits. Seulement, aujourd’hui, avec un peu plus d’une trentaine d’associations de
femmes, dont certaines sont féministes, la lutte des femmes est au cœur du mouvement social
au quotidien. Les femmes ne peuvent accepter autre chose que la consécration de l’égalité
dans la constitution. Des manifestations de plus 80 000 manifestants ont traversé les rues de
plusieurs villes de la Tunisie un certain 13 ouat 2012 (57èmè anniversaire de la promulgation du
CSP) pour protester contre l’idée de faire les femmes « complémentaires des hommes » selon
l’article 28 du premier brouillon de la constitution. Cet article fut retiré, mais l’égalité n’est pas
encore écrite de façon claire et la discrimination n’est pas proscrite dans ce draft qui ne prévoit
pas la nécessité de mettre en place une loi intégrale contre les violences faites aux femmes,
surtout quand on sait que selon une enquête faite par un organisme de l’état : l’Office National
de la famille et du Planning (ONFP), 47.6% des femmes tunisiennes ont subi au moins une
forme de violence. Dans ce cas, on ne peux prétendre que la violence est un fait divers, c’est
plutôt un fléau social auquel l’Etat doit faire face en mettant une loi, et en mettant une stratégie
de lutte contre les violences faites aux femmes à tous les niveaux (santé, culture, médias,
éducation, ONG…)
En Tunisie, il ya de nombreuses organisations féminines, y compris le vôtre, qui est parmi
les plus importants. Quelle est l'expérience de votre travail? Vous êtes en relation avec les
associations d'autres pays?
J’ajouterai juste le fait que nous travaillons avec des ONG dans le cadre de coalition
régionale telle que le Collectif Maghreb égalité 95 ( CME95) qui réunit des associations du
Maghreb, la coalition arabe pour la levée des réserves, l’ANND, les réseaux Aicha et Selma
dans la régions arabe aussi pour la lutte contre les violences, nous sommes partenaires avec la
FIDH, et avons plusieurs partenariats avec des associations de le rive nord de la méditerranée.
Quels sont les objectifs que vous cherchez à atteindre pendant le FSM?
Notre participation au FSM est surtout pour l’échange et la solidarité internationale. Nous
avons été l’une des rares associations a avoir tenté de mettre en place une dynamique
tunisienne du FSM du temps de la dictature de Ben Ali, et nous pensons qu’il est important pour
nous aujourd’hui que le FSM se soit tenu en Tunisie, car c’est d’une certaine façon un soutien
sans équivoque aux démocrates et altermondialistes du pays. . Nous sommes arrivées au cours
de la dynamique à la nécessité de mettre en place un réseau international pour soutenir les
revendications des femmes tunisiennes pour leurs droits. Nous espérons que l’idée trouve une
réelle concrétisation car nous avons vraiment besoin.
Pouvez vous parler moi du projet de "Université féministe Ilhem Marzouki?
L’Université féministe lhme Marzouki (UFIM) est une université non diplômante ; elle vise la
105
diffusion de l’esprit du féminisme auprès des jeunes filles et des jeunes gens et aussi auprès
des activistes de la société civile, car nous pensons que plus les droits des femmes sont portés
par les actifs de la société civile, plus nos chances de succès s’améliorent. Nous pensons aussi
qu’à travers l’UFIM, nous devrons pouvoir toucher toutes les catégories sociales qui seraient
amenées un jour ou l’autre à être en contact avec les femmes victimes de violence (médecins,
paramédicaux, policiers et surtout policières, assistantes sociales, enseignants..). A l’université,
nous formons deux groupes de jeunes (plus ou moins 40 personnes ) en deux groupes qui dont
chacun d’eux travaille un week end sur deux (samedi après midi et dimanche matin) où ils
reçoivent une formation sur diverses questions de droits humains et spécialement sur les droits
des femmes. Cette formation s’étend sur 8 à 10 semaines et sera clôturées par un projet dont
les étudiant(e)s choisiront le format.
Dans ce moment de l'histoire et de la politique, quel est le rôle de les femmes comme un
agent social, pour créer un nouveau Tunisie, dans le cadre du gouvernement et / ou de
l'opposition et / ou de mouvements?
Peut être que ce n’est pas trop dire que la « révolution prochaine sera féministe ou ne le
sera pas », et ce dans la mesure où les voix des femmes ne seraient plus instrumentalisées, ni
par la dictature déchue ou ni par celle en train de grandir au pouvoir ; quand les partis politiques
sauraient prendre en charge les revendications des femmes en la considérant réellement en
tant que citoyenne de plein droits, qla question de l’égalité serait défendue réellement par les
forces politiques, que les femmes soient dans des postes de décision des partis, c’est
seulement à ce moment que les femmes seraient libérées en tant que citoye,nes et auraient la
chance de jouer le rôle qui leur est dévolu dans la société.
Beaucoup parlent également du contre-révolution, en regardant le travail d'Ennahda et la
«menace intégriste». Vous êtes d'accord? Change quelque chose? Si oui, quoi? Que pensezvous du débat actuel sur la nouvelle constitution?
Malheureusement, cette force contre révolutionnaire qui a pris le pouvoir, n’est pas devenu
brusquement contre révolutionnaire. Notre expérience de citoyens des pays arabo musulmans
nous a appris à ne pas faire confiance aux islamistes. Et je tiens à faire la différence entre
musulmans et islamistes qui pour nous sont ceux qui instrumentalisent la religion à des fins
politiques. Les islamistes, même quand ils font l’effort de vouloir défendre les droits des
femmes, les libertés et la démocratie, ils ne peuvent faire ça, encore moins quand ils sont au
pouvoir. Très vite, ils ont montré qu’ils sont contre la justice sociale, contre les droits des
femmes, et contre les droits humains fondamentaux en général. Par contre, ils ne sont pas
contre les choix économiques libéraux de l’ancien régime, et ils sont en train de reconduire sur
le plan économique, le programme économique de Ben Ali, ils ne gènent pazs de répréprimer et
au plus fort, pas loin de ce que Ben Ali avait fait contre les populations qui s’étaient soulevées
pour revendiquer leurs droits. ( répression des manifestants du 9 avril 2012, répression des
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manifestants de Siliana pour le fait que le gouvernement nahdha continue à exclure cette région
des projets de développement, répression dans des quartiers populaires de Tunis, à M’dhilla
une ville du bassin minier…) et j’en passe beaucoup d’autres actes du même genre.
Ilaria Guidantoni, scrittrice, 4 gennaio 2013:
Puoi farci una fotografia della Tunisia “in transizione”? Cosa risponderesti a chi dice che la
Tunisia oggi è un paese libero?
Contraddizione, delusione e attesa. Il tema delle contraddizioni e' tipico dei momenti di
fermento e di assestamento. Il rischio che vedo e' un esacerbarsi del muro contro muro che non
consentirà l'uscita dal guado e allontanerebbe dal processo di democratizzazione. In tal senso il
ritorno al tradizionalismo religioso, da una parte; l'inasprirsi del laicismo e delle spinte
femministe, dall'altra non aiutano. La delusione sta prevalendo sull'entusiasmo e le spinte
rivoluzionarie in particolare per la crisi economica che non accenna ad attenuarsi, complice
anche la situazione internazionale. Non resta che l'attesa: forse la cosiddetta rivoluzione
tunisina e' stata troppo rapida e indolore - so che sembra crudele da dire - e ha alimentato
l'illusione del tutto e subito. Un processo di transizione e' lungo, tortuoso e pieno di insidie. Su
tutto domina l'incertezza di qualsiasi previsione. Libero dal padre-padrone? Si. Libero dal
'bisogno', dall'autorità interiorizzata? No. Libero in termini di espressione. Direi di si, malgrado
pressioni, forti contrasti tentativi di censura ma la gente può parlare e assumersi la stessa
possibilità del rischio. Prima del 14 gennaio 2011 tutto questo sarebbe stato semplicemente
inconcepibile, come affermo nell'introduzione di "Chiacchiere, datteri e the'. Tunisi, Viaggio in
una società che cambia".
In Europa si parla della Tunisia e dell'Egitto come le uniche rivoluzioni arabe riuscite. Sei
d'accordo?
Si e forse direi che ad oggi la Tunisia mi pare l'unica rivolta (sono prudente sui termini, visto
che "‫ " ثورة‬ha questo significato e in arabo non c'è l'equivalente di rivoluzione). Riuscita e' molto
ottimista e ancora non e' detto. In Egitto per come stanno andando le cose non mi sento di dire
che siamo in presenza di un nuovo corso.
La Tunisia è presa ad “esempio” per quanto riguarda la condizione delle donne, i loro diritti e
la loro libertà. Ti trovi d'accordo?
Sono assolutamente d'accordo. E' un unicum, non solo nel mondo arabo. Naturalmente le
abitudini e i costumi in zone rurali, soprattutto nel sud e in fasce della popolazione non
alfabetizzata adeguatamente, lasciano a desiderare ma questo e' un fatto che vale per molti
paesi, soprattutto del Mediterraneo. La Tunisia ha assimilato la laicità e la cultura amministrativa
francese e ha beneficiato dall'Indipendenza con Habib Bourguiba di una legislazione favorevole,
dal suffragio universale all'istruzione e alla sanità rivolta con particolare alle donne; nei primi
anni '60 partono le campagne di pianificazione familiare; poi arriva il divorzio e l'aborto, prima
che in Italia.
107
In quali termini possiamo parlare di femminismo tunisino?
Esiste un movimento transculturale che attraversa tutta la società multiculturale del Paese e
che gode di un gruppo di intellettuali notevoli, dalla scrittrice Lilia Zaouali, alla designer Sadika
KèsKès, alla giovane blogueur Lina Ben Mhenni, fino all'avvocato dei diritti umani Radhia
NaSraoui e alla docente e ex presidente dell'Association des femmes democrates tunisiennes
Sanaa Ben Achour, solo per citare le mie conoscenze più dirette. Quello che noto, invece,
registrandolo come un cambiamento della società che la transizione sta evidenziando, e' che le
giovani generazioni sono più conservatrici delle vecchie e l'Università docet in tal senso. Anche
il rinato movimento e spinta culturale in tal senso e' raramente opera delle più giovani.
Quali sono i punti più importanti delle politiche attuate dal governo Bourghiba e quali dal
governo Ben Ali, rispetto ai diritti delle donne?
Come ho accennato Bourguiba con il codice dello statuto personale del 1957 ha sancito la
parità uomo donna, curando in particolare istruzione e salute delle donne, con campagne di
pianificazione familiare e inserendole a pieno titolo nel mondo del lavoro. Non tutto era risolto
pero' e Ben 'Ali non ha mosso nessun passo avanti. Le cosiddette tre riserve - la legittima
sull'eredita (i due terzi al figlio maschio salvo esplicite dichiarazioni del padre); la patria potestà
condivisa e la partecipazione alla vita pubblica (in parte risolta nelle ultime elezioni almeno con
la proposta del partito religioso EnnahDa con l'alternanza nelle liste tra uomo e donne).
Purtroppo sotto Ben 'Ali ha trionfato il bieco consumismo maschilista improntato alla peggior
cultura europea e statunitense. La sua laicizzazione forzata, la sua lotta contro il velo, non e'
certo un sintomo - a mio modesto avviso - di evoluzione ma di ottusità che tra l'altro ha minato
in parte la diffusione di un Islam moderato.
Quanto è stato importante il ruolo delle donne durante la rivoluzione?
E' stato il richiamo alla concretezza e la prova di una spinta alla ribellione trasversale
socialmente e culturalmente. Le donne delle piazze erano le signore della porta accanto, magari
mai scese in campo prima di allora. Anzi, le più colte e impegnate hanno talora orientato
forzatamente la protesta in termini politicizzati e non sempre utili. Purtroppo sono state anche
strumentalizzate, a cominciare dagli uomini.
Quali sono i punti forti e i punti deboli del governo di EnnahDa? Quali quelli dei movimenti di
opposizione?
Parto dai movimenti di opposizione dove purtroppo manca totalmente l'organizzazione e
questo e' un limite della società tunisina in generale anche in termini culturali, la carenza alla
spinta collettiva, forse con l'unica eccezione dei movimenti femminili. Inoltre non ci sono leader
e un paese non si governa con un collettivo. Inoltre l'opposizione si sta dividendo sempre di più.
EnnahDa e' al contrario molto organizzata e ha almeno provato a promuovere il dialogo in
Parlamento cercando di non chiudere le porte a nessuna rappresentanza. Purtroppo il partito
sconta l'inesperienza al governo e l'assenza di un reale programma economico.
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Cosa pensi del dibattito in corso sulla nuova costituzione?
Siamo ancora ad una fase molto arretrata purtroppo che sta condizionando la data delle
elezioni e quindi l'andamento del Paese. Mi sembra che l'articolo 1 sia salvaguardato. Tutto si
giocherà sull'interpretazione al di la di quanto scritto. La Chaaryah sarà una delle fonti del diritto
ma in quale misura e come sara' tenuta in considerazione resta un'incognita. Il metodo di
discussione mi sembra valido. Sui contenuti occorrerebbe avere una conoscenza diretta e
approfondita. Quello che giunge qui come eco e' emotivamente condizionato, strumentalizzato
e molto approssimativo. Basti pensare all'ipotesi della complementari eta della donna rispetto
all'uomo. Era solo una proposta, del partito religioso Hibz al-tahrir, ostacolata da EnnahDa che
sui nostri quotidiani e' arrivata come gia' fosse legge, promossa dal partito al Governo.
Alcuni dicono “rien n'a changé”. Tu cosa rispondi?
Nulla sara' più come prima. Il corso della storia e' irreversibile. La restaurazione e' sempre
un termine improprio. I tunisini hanno dimostrato per la prima volta in tutta la loro storia di
sapersi ribellare. Oggi sono più convinti che se le cose non andranno nel verso giusto,
torneranno in piazza più duri che mai. Quello che deve ancora cambiare e' l'atteggiamento, la
mentalità' ma si sa l'autocensura ci mette più tempo a morire della censura.
In che modo operava la censura negli anni di Ben Ali? E' stata davvero cacciata insieme alla
dittatura?
Senza regole, fondata sulla cultura del sospetto reciproco; sulla corruzione istituzionalizzata
e il sospetto tenendo sempre in mente l'inaspettato. Un collega ha scoperto rientrando nel
proprio paese dopo tre anni di essere un dissidente. Risultato? Passaporto ritirato. Una vita a
rischio per un giornalista Rai con doppio passaporto (per fortuna la dittatura sarebbe caduta di li
a pochi giorni). Le ragioni? Semplice. Un uomo che non torna nel proprio paese per tre anni,
saltando anche un turno elettorale e' evidentemente un oppositore. Pressioni, minacce,
ostruzionismo, angherie fino alla tortura per semplici cittadini, oppositori e politici dissidenti;
emarginazione per gli intellettuali. Seminare la paura e' un'arma sufficientemente forte. La
censura stampa direi che e' stata abolita e la Tunisia e' il primo paese arabo ufficialmente libero.
L'autocensura e altre forme di vessazioni come lo spoil system resistono, qui forse più che
altrove ma sono ben note anche a noi.
Il rap e la cultura hiphop hanno svolto un ruolo importante nella società tunisina?
Certamente e solo con la rivoluzione. La satira era stata sepolta mentre non era mai arrivato il
fumetto d'autore impegnato o satirico. La scorsa primavera a Cartagine c'e' stato il primo
Salone della satira. Anche nelle arti plastiche e' stata un'esplosione di creatività e carica vitale.
Certamente il rap e' il fenomeno nuovo ed emergente insieme alla canzone impegnata di Amel
Mathlouti ad esempio o della poesia civile come quella di Hoda Zekri. Per il rap a parte el
General, nome d'arte di Ben Amor che abbiamo sentito ovunque, da citare ad esempio il gruppo
degli Armada Bizerte.
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Francesco Carlo “Kento”, rapper, 15 gennaio 2013
Chiaramente la rivalsa sociale non è l'unico aspetto del rap, che ha in sé già dalle origini
anche un elemento più spensierato legato alla festa ed al divertimento. Poi anche il concetto di
rivalsa sociale si può intendere in due modi: il primo è collettivo e dà vita ad un certo rap
"politico" (basti pensare ai Public Enemy), ed il secondo è legato alla rivalsa individuale e quindi
potrebbe spiegare anche determinate ostentazioni di beni materiali, denaro e così via. Dire che
il rap (così come anche, in altri contesti, ad esempio il punk o il reggae) è la musica della rivolta
è corretto ma è sicuramente limitativo: si tratta di un genere ormai molto popolare e diffuso, al
punto che rispecchia - nel bene e nel male - i valori e le contraddizioni di una società
globalizzata. Dal mio punto di vista, questo aumenta ulteriormente la responsabilità di chi ha un
microfono in mano, che ha la possibilità di scegliere una enorme pluralità di strade su cui
condurre il proprio ascoltatore.
Penso che, nel 2013, il rapper incarni pienamente la categoria gramsciana dell'intellettuale
organico all'interno della nostra società. Ovviamente non mi riferisco solo al rapper popolare e
noto al grande pubblico, ma anche al "ragazzo che fa rap all'interno di una comitiva". La cosa
importante è che ognuno di loro capisca di avere quest'arma tra le mani e si alleni ad usarla nel
modo più preciso ed efficace. I più giovani (ma non solo loro) sono chiaramente affascinati ed
influenzati anche dall'immagine, dai video, dalla "confezione". Non c'è niente di male a voler
presentare al meglio il proprio lavoro, ma sia chi fa musica che chi ascolta deve saper
riconoscere le "scatole vuote", le belle confezioni che non hanno dentro nulla. La storia dice che
praticamente tutti i movimenti culturali di massa nascono e si evolvono nell'underground prima
di esplodere, quindi il ruolo del rapper non è da sottovalutare nemmeno in una prospettiva più
ampia, e cioè quella della dialettica sociale ed economica che è di attualità molto drammatica.
Manca solo una presa di coscienza diffusa di quanto questo tipo di cultura sia già oggi in grado
di influenzare i consumi, le opinioni e le azioni della gente e di quanto più ancora possa
diventarlo in futuro. Più di 60 anni fa, Carlo Levi diceva giustamente che le parole sono pietre. Io
dico che queste pietre possono (e probabilmente dovrebbero) essere usate prima per
distruggere e poi per ricostruire qualcosa di diverso e di più evoluto. Nel rap di oggi leggo molto
(giusto) antagonismo e ribellione nei confronti di una società sbagliata, ma forse poca
ambizione progettuale su quello che si potrebbe fare, su chi potremmo essere. Il fatto che il rap
fosse la colonna sonora della rivoluzione in Tunisia, Non è stata una notizia che mi ha sorpreso,
mi ha ricordato di quando "Contessa" di Pietrangeli è diventata la colonna sonora della rivolta
studentesca in Italia o quando James Brown cantava: "Say it loud: I'm black and I'm proud"
sempre nel 1968. Personalmente alcuni dei momenti più belli arrivano quando vengo a sapere
che le mie canzoni accompagnano le manifestazioni di lotta, non è solo una soddisfazione
personale ma significa che come autore sono riuscito ad esprimere quello che la gente davvero
pensa in quel momento storico. La potenza dell'hiphop, secondo me, sta nella gente che
ascolta e nei ragazzi che iniziano adesso a scrivere. Sta nel linguaggio semplice e
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‫‪nell'accessibilità degli strumenti per farlo (fondamentalmente basta un computer e un microfono‬‬
‫‪per fare un disco rap...). E' un genere "povero" e democratico. Dà occasione di esprimere la‬‬
‫‪propria creatività ed il proprio genio a ragazzi che altrimenti - in alcuni casi - non ne avrebbero‬‬
‫‪altre occasioni o non saprebbero nemmeno di essere in grado di produrre arte e musica.‬‬
‫‪Shady Rahby, studente universitario a Monastir, 25 luglio 2012‬‬
‫هل يمكنك أن تتحدث قليل عن الثورة؟ ما هو أهم شيء بالنسبة إليك؟‬
‫بالنسبة لي الثورة كانت انقلبا على ما قامت به حكومة بن علي من ظلم و قهر و استبداد طيلة سنين ‪ ،‬قد أتت‬
‫بعد جملة من التراكمات و الهم في الثورة هو أن تتواصل حتى تحقيق أهدافها‬
‫ما هو السباب الرئيسية للثورة؟ أحببتها أو ل ؟‬
‫من أسباب الثورة غياب الكرامة و الحرية و صعوبة العيش و العمل و السترزاق كما أنها كانت جراء القمع‬
‫البوليسي و الرأسمالية المتوحشة التي ساندته‬
‫ما الذي لم يعجبك في حكومة بن علي؟‬
‫حكومة بن علي كانت شكليا مجرد حكومة زائفة تحكمها عائلة واحدة عبارة عن مافيا تسرق أموال الشعب و‬
‫تسكت الفواه المحتجة‬
‫ماذا تفكر عن الحكومة الحالية و ماذا تريدها أن تفعل؟‬
‫الحكومة الحالية لم تظهر حسن نية ازاء ما يتعلق بمصلحة الوطن بل انها بالعكس تنتهج نهج الحكومة المخلوعة‬
‫و تبين جشعها للسلطة ‪ .‬ما نريده هو أن تتراجع هاته الحكومة عن أفعالها الساذجة و أن تفكر جديا في تصحيح‬
‫المسار الديمقراطي‬
‫ما هو النظام السياسي الذي تريد أن تونس يكون؟ ما هي طرق مرجعك من أجل‬
‫حكومة جيدة ة لماذا؟‬
‫نريد نظاما مدنيا في تونس يفصل بين الدين و السياسة ‪ ،‬لنهما كالماء و الزيت ل يصح اختلطهما ‪ ،‬و ذلك‬
‫لتجنب مزيد العبث بعقول أبناء شعبنا و استغللهم لمصالح سياسية‬
‫تاريخ تونس هو علماني لكن للحكومة النتقالية طابعها إسلمي‪ .‬ماذا تفكر؟‬
‫أفكر في امكانية استغلل الحكومة الحالية للدين من أجل بسط هيمنتها على الحكم‬
‫زيادة عدد النساء بالحجاب؟ صحيح أو ل؟ ماذا تفكر؟‬
‫زيادة عدد النساء المحجبات أمر واضح و لكن ذلك يعد طبيعيا بما أن بن علي كان يمنع الحجاب على كل‬
‫‪111‬‬
‫النساء و بعد الثورة كان للمرأة الحرية في اختيارها لهندامها و ل أظن أن الحجاب يمثل مشكلة اذ يجب احترامه‬
‫و احترام من ترتديه‬
‫ما هي الحرية بالنسبة إليك؟ و ما تتقص في نونس؟ ماهي الحرية ؟‬
‫سؤال فلسفي معقد اجابته ل تقتصر على بضعة أسطر لكنها باختصار كسر لمعظم القيود التي لطالما كبلت‬
‫النسانية و حددت أهواءهم‬
‫ماذا تعرف عن الزمة القتصادية العالمية؟ ة ما هي النتيجة في تونس؟‬
‫الزمة القتصادية العالمية تسببت فيها النظمة الرأسمالية المريكو‪-‬صهيونية و التي طالما سيرت العالم‬
‫فأصبح بذلك ركودها مرادفا لركود كل السوق العالمية و لم تتأثر تونس كثيرا بالزمة بما أن القتصاد في‬
‫تونس بطبيعة حاله يعيش أزمة منذ نشأته‬
‫‪Bilal, studente universitario a El-kef, 28 luglio 2012‬‬
‫ما هو السباب الرئيسية للثورة؟ أحببتها أو ل ؟‬
‫السباب للثورة هو أن المواطن لم يستحمل أظلم الذي يراه كل يوم من الستبداد و فك الحقوق والحريات‬
‫و عدم تعبير عن أراؤهم الشخصية‬
‫ما الذي لم يعجبك في حكومة بن علي؟‬
‫الذي لم يعجبني في حكومة المخلوع أنه ل يفهم أراء الناس ولم يعطيهم حقوقهم كاملة و سرقة فلوس‬
‫مواطن و إستعمال العذاب معهم أنا أفسر بي هذه طريقة لنني من بيني الناس الذي تم تعذيبهم‬
‫ماذا تفكر عن الحكومة الحالية و ماذا تريدها أن تفعل؟‬
‫الحكومة هذي ل بدا أن تقوم بدراسة كاملة عن الناس المحتاجين لنى الثورة أتى بيها البطال و الفقير ‪....‬‬
‫يلزم تدخل بين مجتمع أو تعرف ناس شني بي تحب بضبط أو‬
‫تعطيهم حاجات إلي يطلبها في حدود معقولة‬
‫ما هو النظام السياسي الذي تريد أن تونس يكون؟ ما هي طرق مرجعك من أجل‬
‫حكومة جيدة ة لماذا؟‬
‫نظام عادل بينا كل دين و إحترام كل ديانات و في خصوص مرجعي أنا ل أوجد السياسة كثيرا لكن أنا عندي‬
‫إضافة صغيرة هي أنا الحكم تكون له صبغة سياسة عادلة بين جميع شرائح المجتمع و أن يكون هناك إتفاقية‬
‫بين جميع الديانات و عدم مسي بي صبغتها‬
‫‪112‬‬
‫تاريخ تونس هو علماني لكن للحكومة النتقالية طابعها إسلمي‪ .‬ماذا تفكر؟‬
‫ليس هناك مشكلة في أن تكون دولة إسلمية أو علمانية المفيد تحقيق مطالب مطالب الثورة المجيدة هذا رأي‬
‫زيادة عدد النساء بالحجاب؟ صحيح أو ل؟ ماذا تفكر؟‬
‫نعم لكن هناك عدد مينا النساء التدين بل حجاب هو ديكور و ليس من أجلي دينهم و ليس كلهم و أنا‬
‫أستغرب عندما أرى نساء متحجبات ليس لصلة بل لغرض أخر‬
‫ما هي الحرية بالنسبة إليك؟ و ما تتقص في نونس؟‬
‫الحرية بنسبة لي هي أن ما أريده تلقائي أن أطبقه في حدود معقولة و ما ينقصه في تونس هو أن الحرية جديدة‬
‫علينا و ليس الن أن نفهمها إل بل ممارسة‬
‫ماذا تعرف عن الزمة القتصادية العالمية؟ ة ما هي النتيجة في تونس؟‬
‫حقيقتا ل أعرف الكثير و معلومات محدودة ل تفيد بأي شين‬
‫هل تظن أنه يوجد هدف للمغرب العربي كله و لمنطقة البحر البيض المتوسط أيضا‪ ,‬أكثر من حدود‬
‫الوطن‪ ,‬من أجل الستيلء على الحقوق النسان؟‬
‫نعم لي أن كل عقلية لرؤساء العرب لهم نفس التفكير لهم نفس الحكم بل عذاب والعقلية المتجمدة‬
‫ماذا تغير بعد الثورة؟‬
‫نعم هو على أبسط المثال أني أجيب على كل السئلة بكل حرية و تلقائية و هذا لم يكون في حكم النظام‬
‫البائد‬
‫‪113‬‬
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