Gabbiano Capobianco e il barile di aringhe affumicate

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Gabbiano Capobianco e il barile di aringhe affumicate
Gabbiano Capobianco
e il barile
di aringhe affumicate
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I RACCONTI DEL BOSCO DELLE VENTI QUERCE - FIABA DI MAURO NERI - ILLUSTRAZIONI DI FULBER
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Gabbiano Capobianco e il barile
di aringhe affumicate
Un giorno successero due cose strane, al
Villaggio degli Spaventapasseri: lo spauracchio Mangiatorte perse il barile di
aringhe affumicate a cui teneva molto, e
sette giorni dopo capitò dal cielo un
povero gabbiano affamato!
All’inizio nessuno capì che i due avvenimenti erano legati tra di loro, anche
perché…
– Cloferre tribacca… glom back! – …il
gabbiano, poverino, parlava una lingua
che nessuno conosceva. Nessuno, tranne…
– Poliglosso! Poliglosso corri, ché c’è
lavoro per te! – urlò lo scoiattolo
Gellindo Ghiandedoro quando capì che
non c’era verso di tradurre quelle parole
strane.
E venne Poliglosso, uno spaventapasseri molto elegante, vestito con un
maglioncino verde Irlanda e un paio di
pantaloni corti alla tirolese. Era uno
spauracchio che sapeva le lingue,
Poliglosso, ma soprattutto conosceva
tutti, ma proprio tutti i linguaggi degli
uccelli: insomma, parlava l’aquilese e il
condoresco, il falchese e il passerottesco,
se la cavava anche col rondiniano e proprio in quelle settimane stava studiando
il pappagallesco!
– Lo vedi questo gabbiano? – gli chiese Gellindo. – È atterrato questa mattina
nella piazza del Villaggio e vuole dirci
qualcosa, poverino, ma nessuno di noi sa
parlare il gabbianese…
– Cloferre tribacca… glom back! –
ripeté allora il gabbiano.
– Dice che s’è perso, – tradusse
Poliglosso, – dice che ha lasciato il suo
mare inseguendo una scia d’odore di
aringhe affumicate che l’ha portato fin
qui!
E tutti si girarono a guardare fisso
negli occhi il povero Mangiatorte, che…
– È vero, ho perso il mio barilotto di
aringhe, ma non l’ho fatto apposta… Non
mi ricordo più dove l’ho messo dall’ultima
aringa che ho mangiato… Mmmm, ed era
d’un buono, quel pesciolino salato!
– Spotesella barimbinata glom back
corimbo! – disse allora il gabbiano.
– Dice che il suo nome è Spotesella,
che da noi vorrebbe dire Capobianco –
continuò allora Poliglosso. – Capobianco
dice che va matto per le aringhe affumicate, che quando ne sente il profumino
anche da lontano perde la testa e non si
trattiene più… Si scusa, ma se potessimo
trovargli anche una sola di quelle aringhe
deliziose, lui toglierebbe il disturbo e
proverebbe a ritrovare la strada per il suo
mare…
Tutti allora si girarono una seconda
volta a guardare Mangiatorte, che si fece
piccolo piccolo…
– È inutile che mi guardiate in quel
modo: io non so dove s’è cacciato il mio
barile!
– Ascolta, Poliglosso – disse allora
Gellindo rivolto allo spauracchio traduttore, – puoi chiedere a gabbiano
Capobianco se sente ancora la puzza di
quelle aringhe affumicate?
Lo spaventapasseri tradusse e il gabbiano rispose:
– Guam so! (Come no!).
– Ed è un odore forte?
– Criccaferra malusia (Come se fosse
qui, ai miei piedi!).
– Potresti seguire quell’odore finché
trovi il barile delle aringhe?
– Guardusca vorompio malanna click!
(Hai avuto un’idea geniale, scoiattolino.
Andiamo!).
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Gabbiano Capobianco e il barile
di aringhe affumicate
Fu così che il gabbiano si mise sulle
tracce del barile di aringhe affumicate. La
scia d’odore dapprima lo portò alla casetta di Mangiatorte, che venne rovesciata
come un calzino. Al termine della ricerca
Capobianco si lasciò alle spalle una
montagnola di formaggi, salami, filoni di
pane, frutta d’ogni tipo, mortadelle e
barattoli di carne in scatola, ma di aringhe non c’era nemmeno l’ombra!
– Porbidio valumpa stock quick! (Eppure io quell’odore buonissimo di aringhe
lo sento forte e vicino!).
Si passò allora a far visita agli orticelli e
ai campi degli altri spaventapasseri: nulla
anche lì, le aringhe erano svanite nell’aria,
lasciando solo quella scia d’odore salato e
pungente.
– Porbidio valumpa stick quock! (Eppure io quell’odore delizioso continuo a
sentirlo sempre più forte e vicinissimo!)
– Facciamo così, caro Capobianco –
esclamò Gellindo Ghiandedoro prendendo un fazzolettone dalla tasca del maestro Abbecedario. – Ti bendiamo gli occhi,
poi Poliglosso ti prenderà per un’ala e tu
seguirai quell’odore solo con il naso,
d’accordo?
– Balimba costumio… Caroffa bisesta!
(Proviamo anche questa… Cosa non si fa,
per poter mangiare un’aringa!).
Il gabbiano venne bendato, Poliglosso
lo prese per l’ala destra e la caccia al
barile di aringhe riprese. Capobianco
raggiunse la chiesetta di Dindondolo, ma
si guardò bene dall’entrarci; andò diritto
e sicuro in direzione della casa di
Lingualunga, si fermò davanti al
cancelletto dell’orto di Tisana la Dolce e
imboccò senza indugio il sentierino che
sale al Bosco delle Venti Querce.
Tutti gli spaventapasseri del Villaggio
abbandonarono all’istante le loro occupazioni e saltellarono in fila indiana su
per la stradina che conduceva al Bosco.
Quando giunsero nel prato davanti alla
grande quercia in cui abitava Gellindo…
– Porbidio decanto quock queck! (Qui
l’odore di aringa è fortissimo, più forte
più che mai…).
– Vorresti dire che il barile di aringhe
di Mangiatorte è nascosto a casa mia? –
esclamò allora Gellindo Ghiandedoro,
arrossendo di vergogna.
– Cormano pellundio costone veribio!
(Sembrerebbe proprio così… dovrebbe
essere nel magazzino numero quattro!).
– Quello delle mie ghiande d’oro?! –
strillò lo scoiattolo, sempre più incredulo
e sbalordito.
– Adesso mi ricordo! – esclamò allora
Mangiatorte dandosi una manata sulla
fronte. – Era stata Casoletta a dirmi che
le aringhe, per me, erano preziose come le
ghiande d’oro per Gellindo. Hai usato
proprio queste parole, vero Casoletta? E
allora io… per paura che qualcuno me le
potesse rubare… una notte le ho nascoste nella tua cassaforte, Gellindo: le ho
messe nel magazzino numero quattro
della tua quercia e poi… poi me ne sono
dimenticato!
– Vado subito a controllare – disse lo
scoiattolo, che entrò nel suo magazzino e
di lì a poco ne uscì tappandosi il naso con
le zampette e reggendo in mano… il barile
delle aringhe di Mangiatorte!
Avvenne, allora, che Mangiatorte si
scusò con Gellindo Ghiandedoro, che
Casoletta chiese scusa a Mangiatorte per
quel che gli aveva detto e che
Capobianco afferrò un’aringa dal barile
e… SGNAMMM!… se la mangiò in un baleno!
Poi un’aringa gliela regalò personal-
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Gabbiano Capobianco e il barile
di aringhe affumicate
mente Casoletta, una terza gliela allungò
Poliglosso, una quarta venne da Gellindo
Ghiandedoro e una quinta infine gliela
offrì Mangiatorte in persona.
Col pancino gonfio e satollo, il gabbiano si alzò in volo, annusò l’aria e…
– Glabindo vetrusco parona! Blabick!
Blabock… a presto! (Ho trovato l’odore
del mio mare, adesso vado… Ciao amici!
Arrivederci… a presto!).
– Ehi, ma stai imparando la nostra
lingua! – urlò felice Poliglosso. – Torna
appena puoi, Capobianco, così ti insegneremo molte altre parole… Ciaoooo!
Volò alto nel cielo, il gabbiano, poi virò
verso oriente, saltò con un balzo sulla
corrente d’aria più forte e si diresse
veloce e sicuro nella direzione del sole del
mattino. Quando fu solo un punticino
nero nell’immensità del cielo, gli spaventapasseri del Villaggio tornarono ognuno
alla propria occupazione e…
– Mi raccomando, Mangiatorte – disse
allora Gellindo Ghiandedoro, – prènditi
quel barile di aringhe e fallo sparire
all’istante! Non voglio più sentirne nemmeno l’odore, va bene?
C’è da dire che anche Mangiatorte fu
d’accordo e da quel giorno, tra le leccornie di cui andava matto, sostituì le aringhe affumicate con il formaggio…
puzzone!
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