Commissione delle Politiche dell`Unione Europea 17 giugn

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Commissione delle Politiche dell`Unione Europea 17 giugn
Audizione Ministro per le Politiche Europee, Andrea Ronchi
Senato – Commissione delle Politiche dell’Unione Europea
17 giugno 2008
Grazie, signor Presidente, colleghe e colleghi
Nella presentazione delle linee-guida e delle linee programmatiche di questo
dicastero mi atterrò ad illustrare quei punti della delega, a me conferita dal
Presidente del Consiglio, che ritengo di maggiore importanza.
Prima consentitemi, però, di fare alcune riflessioni sugli avvenimenti degli
ultimi giorni: il voto con cui l’Irlanda ha respinto la ratifica del Trattato di
Lisbona rappresenta al tempo stesso un paradosso e una lezione. Il paradosso
sta in un semplice dato numerico.
Con questo referendum, circa 862mila persone - tanti sono coloro che si sono
espressi per il “no” – su un totale di circa 3 milioni di aventi diritto al voto,
rischiano di bloccare un processo che interessa una popolazione europea
stimata in circa 497 milioni di persone e distribuita in 27 Stati membri. La
volontà di una esigua minoranza rischia, insomma, di pregiudicare le
aspettative di un’ampia maggioranza impegnata nella ratifica del Trattato.
E’ altrettanto vero, però, che laddove le popolazioni hanno avuto la possibilità
di esprimersi direttamente, spesso il verdetto popolare è stato negativo. Ed è
proprio da questa lezione e da questo scollamento fra società civile e istituzioni
europee che dobbiamo ripartire.
Il problema si è manifestato in modo radicale nei Paesi del Nord Europa, ma la
“sfiducia” e le paure del mondo contemporaneo
non sembrano trovare una
risposta nell’Unione Europea. Peraltro, i dati dell’euro barometro indicano
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maggioranze costanti (nazionali) per la permanenza del proprio Paese
nell’Unione Europea.
Se da una parte la classe politica comprende agevolmente il processo e
l’architettura dell’integrazione europea, dall’altra il corpo elettorale sembra
lontano ed assente se non ostile.
In Irlanda, i cittadini hanno votato contro un Trattato che godeva del consenso
quasi totale dei partiti politici. E’ mancata una politica forte di comunicazione ai
cittadini dei vantaggi dell’Unione Europea. A differenza della campagna di
sostegno del “no”, sostenuta da messaggi concreti ed esempi pratici, i
messaggi positivi sui vantaggi del Trattato per il Paese sono stati generici e
poco percepibili dai cittadini.
E’ necessario aprire una riflessione profonda su come risolvere questi difetti di
comunicazione sui benefici dell’Europa.
Le prossime elezioni per il Parlamento europeo rappresentano una scadenza
concreta e vicina per questa riflessione.
Gentili colleghi e colleghe, il processo di integrazione europea è un processo
lento che dura da cinquant’ anni e nasce da un’utopia post-bellica. Quell’utopia
ci ha portato a raggiungere grandi obiettivi come la libera circolazione di
persone, servizi, merci e capitali in 27 Paesi dell’Unione, una forte integrazione
economica, l’introduzione dell’euro. Gli Stati membri hanno trasferito alle
istituzioni europee larghe fette di quelle che una volta erano competenze
nazionali. Una su tutte: la possibilità di battere moneta. Ora il processo deve
continuare.
Sappiamo tutti che l’Unione europea presenta una dimensione politica ancora
insufficiente. Allo stesso modo siamo tutti convinti che il Trattato di Lisbona,
pur non essendo la migliore delle soluzioni possibili, rappresenta comunque un
passo nella giusta direzione.
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Per questo, prima di archiviarlo è necessario compiere una serie di attente
valutazioni. La bocciatura irlandese ci mette di fronte ad un bivio. Se da una
parte rischia di far franare l’Europa su stessa, dall’altra ci offre la possibilità di
cambiare passo e tornare a lavorare per promuovere un vero rilancio delle
istituzioni europee. Quello che si presenta come un problema può, insomma,
trasformarsi in un’opportunità e in una nuova, grande sfida.
Un punto deve essere chiaro: il processo di integrazione non può e non deve
fermarsi perché con il voto irlandese non è stata sconfitta l’Europa, ma soltanto
una certa idea fredda e burocratica dell’Europa. E’ pertanto doveroso ripartire e
ricercare un nuovo modello di governance continentale, interrogandosi sulle
ragioni dell’ impopolarità che l’Unione sembra scontare.
Di fronte a questa impasse non esistono scorciatoie possibili. Come ha detto il
Presidente della Repubblica Napolitano “non si può neppure immaginare di
ripartire da zero”. Per questo l’Italia è decisa a proseguire nella ratifica
parlamentare del Trattato.
Quel che è certo, però, è che l’Europa dei formalismi, l’Europa che misura la
lunghezza dei baccelli o stabilisce le dimensioni delle gabbie delle galline, o
l’angolo di curvature delle zucchine, è un’Europa distante dalla gente. Quella
che è stata sconfitta è l’Europa della burocrazia, un’Europa che ha comunicato
la sensazione di non avere una tradizione condivisa, di non avere valori da
difendere, di avere smarrito la sua missione. La stessa Europa che impedì a
Gianfranco Fini, durante i lavori della Convenzione, di inserire un semplice
richiamo ai valori della tradizione giudaico-cristiana.
Il realismo, unito all’Utopia, ha permesso all’Europa di vivere il periodo di pace
più lungo della sua millenaria storia. Si tratta di un patrimonio comune, non
solo da difendere, ma anche da rinnovare di continuo. L’Unione europea deve
essere sensibile alle esigenze ed alla volontà dei popoli e dei cittadini europei.
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Di recente i leader del continente hanno dimostrato di sapersi rimettere in
gioco. Lo hanno fatto su un problema delicato come la Riforma del Patto di
Stabilità e crescita. Tutti lamentavano, a livello comunitario, come il vecchio
patto fosse estremamente “rigido”. Ci fu addirittura chi arrivò a definirlo
“stupido”: e poco importa che a chiamarlo così fosse stato il presidente della
Commissione dell’epoca.
Quel Patto era un freno allo sviluppo europeo. Malgrado ciò, quando Silvio
Berlusconi propose la sua riforma, da parte di diverse capitali europee
arrivarono segnali contrari. Con il tempo, e con una buona dose di realismo, il
Patto di Stabilità e di Crescita venne riformato e plasmato sull’andamento
congiunturale. Un atto di concretezza europea unico.
Lo stesso sta avvenendo su un problema complesso come l’immigrazione, tema
su cui la linea della fermezza adottata dall’Italia, improntata sull’esercizio della
legalità e della solidarietà, sta prevalendo in tutta l’Europa a 27.
E’ questo il giusto approccio da cui ripartire. Bisogna riprendere il cammino
individuando i problemi che incidono davvero sulla vita dei cittadini europei.
L’Unione deve mettere da parte le eccessive rigidità. Ma soprattutto deve
tornare ad avere un’anima, deve avere il coraggio di diffondere idee-guida. E
l’Italia deve fare la sua parte. Per questo il nostro governo chiederà di avviare
subito una riflessione profonda sui valori e sul futuro dell’Unione, allo scopo di
riavvicinare i cittadini alle istituzioni.
Io credo che per il futuro non debba rappresentare un’eresia tornare a
perseguire l'ipotesi di una procedura di nomina del Presidente del Consiglio
europeo o della Commissione che passi attraverso un sistema di elezione
diretta da parte dei cittadini. Come pretendere, altrimenti, di parlare davvero
con una sola voce europea nel mondo, tanto più in materie delicate come la
politica estera e di difesa comune?
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Soltanto la via democratica, in prospettiva, può chiarire l’identità dell’Europa.
Ed è questa la bussola che guiderà l’azione del governo oltre che il mio
personale impegno.
Fase ascendente e Trattato di Lisbona
Tornando all’attività del mio dicastero, tra gli obiettivi prioritari che come
ministro
intendo
perseguire
vi
è
l’esigenza
di
rafforzare
l’azione
di
coordinamento interno al fine di definire una strategia negoziale in grado di
assicurare
la
difesa
dei
nostri
interessi
nazionali.
Ciò
richiederà
il
coinvolgimento non solo delle amministrazioni centrali e locali, ma anche dei
rappresentanti del mondo produttivo che chiede a gran voce di essere
ascoltato.
La definizione di una posizione comune si rende necessaria ed indispensabile
affinché l’Italia possa presentarsi
a Bruxelles con una sola voce, con una
strategia unica capace di massimizzare le nostre chances di successo.
Tale azione di coordinamento deve essere attuata in maniera sistematica, in
ciò favoriti anche dalla coesione delle forze che compongono l’attuale
maggioranza.
La costituzione del Comitato Interministeriale per gli Affari Comunitari Europei
(CIACE), incaricato di definire la posizione italiana in sede europea è un giusto
passo in questa direzione.
Il Comitato interministeriale è assistito dal Comitato tecnico permanente,
composto dai rappresentanti di ciascuna Amministrazione. Ai vari livelli sono
stati associati ai lavori le Regioni, le parti sociali e le organizzazioni di
categoria.
Nei suoi primi due anni di vita, l’attività del CIACE si è indirizzata verso quei
temi che presentavano al tempo stesso carattere prioritario nell’agenda
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europea
ed
una
natura
trasversale
rispetto
alle
competenze
delle
Amministrazioni nazionali. Il Coordinamento ha riguardato settori importanti
per la crescita e il benessere del nostro Paese, come energia e cambiamenti
climatici, ricerca, innovazione e proprietà intellettuale, immigrazione nonché
altre tematiche più specifiche per le quali è stato necessario un puntuale
intervento per concordare la posizione italiana.
Siamo alla vigilia di importanti scadenze. La Presidenza francese ha già
indicato di voler dare priorità ai temi dell’immigrazione, dell’energia e dei
cambiamenti climatici e delle questioni istituzionali.
Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, dovremo intensificare la nostra
azione
di
coordinamento
sul
tema
dell’immigrazione
di
cittadini
comunitari. Dovremo, inoltre, continuare a seguire il dossier
interno
dell’energia
e
quelli
che
compongono
il
pacchetto
extra
del mercato
energia
e
cambiamenti climatici nonché quello, connesso, della riduzione delle emissioni
di Co2 per le automobili.
Dovremo, inoltre, dedicare massima attenzione a temi concreti e specifici quali
la creazione e regolamentazione del brevetto comunitario nonché alla
competitività dell’industria europea della difesa.
Infine sarà necessario proseguire con maggiore intensità la riflessione sulla
revisione delle prospettive finanziarie 2013-2020.
Un esempio di buon funzionamento della nostra attività di coordinamento è
rappresentato dall’attuazione della Strategia di Lisbona per la crescita e
l’occupazione. In qualità di coordinatore nazionale per la Strategia di Lisbona,
incarico conferitomi dal Presidente del Consiglio con delega di funzioni,
cercherò di favorire l’impegno e l’azione sinergica tra le molte Amministrazioni
coinvolte nell’attuazione degli obiettivi definiti dalla Strategia stessa in termini
di competitività del nostro sistema produttivo e di crescita dell’occupazione.
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Siamo di fronte ad importanti appuntamenti: scade infatti il primo ciclo di
programmazione 2005-2008 ed inizia quello nuovo 2008-2011. Dovremo
quindi presentare ad ottobre il nuovo programma triennale unitamente al
Rapporto annuale sull’attuazione. A tale scopo sono già iniziate le attività di
coordinamento con le varie Amministrazioni in vista della visita della
Delegazione della Commissione in programma per metà luglio.
La strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione è un importante
strumento di coordinamento delle politiche economiche. Le raccomandazioni
rivolte dall’UE all’Italia toccano le aree nelle quali è più urgente agire:
liberalizzazioni,
sistema
formativo,
infrastrutture,
ricerca,
divari
di
occupazione. Su tutte queste aree vi è assoluta coincidenza tra le indicazioni
europee e l’impegno del Governo. Funzionale al coordinamento, infine è un
insieme di strumenti di valutazione delle riforme, che è in via di definizione, e
sul quale l’Italia - per una volta - ha un ruolo di guida.
In questa complessa attività, è evidente quanto importante e necessario sia il
coinvolgimento e l’appoggio del Parlamento. Come ben noto, si va rafforzando
la partecipazione dei parlamenti nazionali nei processi decisionali per la
formazione della legislazione europea. La nostra legislazione relativa alla legge
"Norme
generali
sulla
partecipazione
dell’Italia
al
processo
normativo
dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari
(legge 11/2005) si colloca in tale direzione, già prevedendo l’istituto della
riserva parlamentare e i meccanismi tecnici che possano facilitare tale
partecipazione:
mi
riferisco,
in
particolare
alla
trasmissione
degli
atti
comunitari e dell’Unione Europea. In merito alla quale è stato recentemente
stipulato un Accordo Interistituzionale tra il Dipartimento ed il Parlamento per
una diramazione più qualificata ed efficace dei progetti di atti comunitari.
Fase discendente
Per garantire continuità all’azione di recepimento del diritto europeo da parte
dell’Italia, il Governo ha già iniziato il riesame del disegno di legge comunitaria
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2008, per ripresentarlo al più presto alle Camere. Le amministrazioni stanno
valutando l’opportunità di integrarlo con quelle proposte a cui si è dovuto
rinunciare per consentire l’approvazione della legge comunitaria 2007, mentre
alcune di queste - quelle relative alla chiusura di procedure di infrazione – sono
state approvate con la legge di conversione del decreto-legge n. 59/08 (legge
6 giugno 2008, n. 101).
Con la legge comunitaria 2008, sarà conferita, tra l’altro, la delega al Governo
per il recepimento della direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato
interno, di cui dirò più avanti; al riguardo, dovranno anche essere predisposti
specifici criteri di delega, utili per l’elaborazione di una normativa di
recepimento che coniughi l’esigenza di uniformità della regolamentazione con
le competenze regionali.
Prosegue il recepimento delle direttive europee, in attuazione delle deleghe già
conferite al Governo con le leggi comunitarie 2006 e 2007.
Anche il recepimento delle direttive comunitarie in via amministrativa, da parte
delle singole amministrazioni, prosegue a buoni ritmi; questa attività è
rilevante ai fini del conseguimento dell’obiettivo fissato dalla Commissione
europea per il 2009, con riferimento al deficit di trasposizione delle direttive
comunitarie relative al mercato interno, c.d. scoreboard, che dovrà scendere
fino all’ 1%.
Il Governo ha iniziato una riflessione sulle azioni da intraprendere per garantire
alla legge comunitaria annuale tempi più brevi e certi di approvazione. In
quest’ottica, auspico che il Parlamento voglia considerare l’opportunità di
rivedere i regolamenti nella parte che disciplina l’esame congiunto del ddl e
della relazione annuale sulla partecipazione dell’Italia all’Unione Europea.
Potrebbe essere considerata la possibilità di riservare alla legge comunitaria
apposita sessione parlamentare, al pari di quanto già avviene per la legge
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finanziaria.
Al
contempo,
il
Governo
intende
valutare
nuove
soluzioni
sistematiche intese al rapido ed efficiente adeguamento dell’ordinamento
interno a quello comunitario. Tra le ipotesi da approfondire non può escludersi
quella di una modifica della Costituzione intesa a prevedere, come già avviene
in altri Paesi, una sorta di “delega permanente” al Governo che riguardi almeno
il recepimento delle direttive che lasciano solo uno spazio molto ridotto alla
discrezionalità degli stati membri nell’attuazione. In questo caso, la nuova
previsione costituzionale dovrebbe confermare il passaggio del provvedimento
predisposto dal Governo alle competenti commissioni parlamentari, al cui
parere dovrà ovviamente essere riconosciuta maggiore vincolatività.
Direttiva Servizi (scheda di approfondimento allegato 1)
Il recepimento della direttiva “Servizi”
rappresenta la sintesi di politiche
che il programma del nuovo Governo ritiene fondamentali per la crescita e
il rilancio della nostra economia. Si tratta, nel settore dei servizi, di
ottenere una più radicale liberalizzazione, con un’attenzione, tuttavia, alla
qualità dei servizi e alla tutela degli utenti. Ma anche di spingere per una
modernizzazione
e
una
completa
digitalizzazione
della
pubblica
amministrazione. E, inoltre, di avviare una semplificazione delle procedure
non astratta, ma attenta ai risultati che si intendono ottenere.
Il mercato interno dei servizi genera il 70 per cento del Prodotto Interno
Lordo, il 68 per cento dell’occupazione ed il 96 per cento dei nuovi posti di
lavoro, ma è interessato soltanto dal 20 per cento degli scambi intracomunitari.
Il regime vincolistico in vigore nella maggior parte degli Stati membri è
considerato il principale ostacolo alla libera circolazione dei servizi. La
Commissione europea rileva, infatti, l’eccessiva gravosità delle procedure
amministrative,
l’incertezza
giuridica
delle
norme
e
delle
pratiche
burocratiche, e la mancanza di fiducia reciproca tra gli Stati membri.
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La direttiva servizi è, pertanto, uno dei tasselli per la crescita economica,
occupazionale e per lo sviluppo della competitività. Il complesso degli
adempimenti previsti dalla direttiva costituisce un insieme ragionato di
strumenti per mezzo dei quali l’Unione europea vuole rendere il sistema dei
servizi meno frammentato e più competitivo.
L’obiettivo europeo è quindi un’opportunità importante per il nostro Paese,
che dobbiamo saper cogliere con un recepimento corretto e coordinato con
i diversi soggetti istituzionali, le parti produttive e le parti sociali. In questa
prospettiva
intendiamo
coinvolgere
organizzazioni
professionali
principalmente
regionale,
attivamente
nell’esame
nonché
della
le
Regioni
normativa
nell’elaborazione
dei
e
le
vigente,
criteri
di
recepimento, così da realizzare in ogni fase del recepimento il principio
della leale collaborazione ed il rispetto delle competenze costituzionali di
ogni livello decisionale.
Infrazioni (scheda di approfondimento allegato 2)
Tra le priorità del mio mandato un posto cruciale è naturalmente riservato alla
gestione del precontenzioso e contenzioso comunitari.
Su questo fronte la situazione è nettamente migliorata rispetto agli anni
passati. Il numero delle procedure d’infrazione, aperte nei confronti dell’Italia
per violazioni della normativa comunitaria, è in effetti notevolmente diminuito.
Con le ultime decisioni prese dalla Commissione lo scorso 5 giugno, del resto,
quel numero si è attestato a livelli fino a poco tempo fa impensabili: siamo
infatti scesi a 181 procedure. Questa cifra è destinata a scendere a 150, grazie
alla recente conversione in legge, da parte di questo Parlamento, del decretolegge 8 aprile 2008, n. 59, il cosiddetto “salva-infrazioni”.
E’ d’altra parte vero che, nonostante il notevole miglioramento, rimaniamo in
testa alla classifica negativa dei paesi con il più alto numero di procedure
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aperte. Va quindi intensificato l’impegno profuso dal mio Ministero in questo
settore. Proprio per questo ho voluto confermare la Struttura di missione
appositamente creata. E’ anzi mia intenzione rafforzarne ulteriormente l’azione
in vista di nuovi e più ambiziosi traguardi.
Non si tratta del resto di migliorare solo una classifica per il momento ancora
negativa,
ma
anche
di
far
fronte
nel
migliore
dei
modi
all’indubbia
accelerazione impressa dalla Commissione e dalla Corte di giustizia delle
Comunità europee nella trattazione dei casi di inadempimento al diritto
comunitario. Soprattutto nella procedura che segue ad una prima sentenza di
condanna della Corte, la cosiddetta procedura 228 dall’articolo del Trattato che
la prevede, la Commissione ha ormai imposto cadenze temporali suscettibili di
portare nel giro di un anno, se non di pochi mesi, ad un nuovo processo in
Corte, e quindi, in caso di nuova condanna, anche a pesanti sanzioni pecuniarie
nei confronti dello Stato 1.
Naturalmente, per far fronte a tale accelerazione delle procedure d’infrazione è
necessario un impegno comune e convinto di tutte le amministrazioni nazionali
e locali interessate.
Quando poi, la soluzione di una procedura richiede un intervento legislativo, va
da sé che c’è bisogno anche del contributo delle Camere. Lo strumento della
Legge comunitaria non si è dimostrato uno strumento sufficiente a portare a
rapida soluzione le procedure d’infrazione; e probabilmente anche una
velocizzazione dei suoi tempi di approvazione non risolverebbe questo
problema. Questo spiega perché sarà probabilmente necessario anche in
questa legislatura fare talvolta ricorso, come del resto previsto dall’art.10 della
legge 11 del 2005, o a disegni di legge ad hoc, sui quali chiedere al Parlamento
la trattazione d’urgenza, o addirittura, laddove indispensabile, a decreti legge
del tipo del recente “salva-infrazioni”.
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Le cifre delle sanzioni indicate dalla Commissione per l’Italia sono, per ogni sentenza di condanna,
di minimo 10 milioni di euro per la somma forfettaria e fino a 700.000 euro al giorno per la
penalità di mora.
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Presenza italiana nelle istituzioni europee (scheda di approfondimento
allegato 3)
Contare di più in Europa significa soprattutto esserci. In un’Unione allargata a
27 Stati membri non basta più professare e praticare l’europeismo ed essere
annoverati tra i Padri fondatori. Le Istituzioni dell’Unione allargata devono
quindi comprendere una presenza adeguata di funzionari di nazionalità italiana,
in
qualità, quantità, livello e opportuna distribuzione settoriale
fra le varie
politiche, affinché le realtà e le istanze del nostro Paese possano meglio essere
recepite e valorizzate sin dalla fase ascendente della concezione delle politiche
europee, nonché nell’istruzione dei singoli dossier di maggiore interesse per il
nostro Paese.
Questo Governo intende dunque intensificare l’azione di monitoraggio e
sostegno alla presenza italiana nelle Istituzioni europee, anche in vista delle
prossime, importanti scadenze ovvero il previsto ampio esercizio di mobilità
nell’ambito della Commissione europea ed il rinnovo del Parlamento Europeo e
della Commissione europea nel 2009 con le evidenti ricadute su svariate
posizioni amministrative.
Come Ministro per le Politiche Europee, intendo creare frequenti occasioni per
un
contatto mio personale con i funzionari apicali a Bruxelles, nonché con i
giovani più promettenti e che seguono politiche di specifico interesse italiano.
Intendo conoscerli, ascoltarli, e presentare le nostre iniziative,
specificità e
punti di vista.
Mi impegno, inoltre, a seguire attivamente anche la presenza di Esperti
Nazionali Distaccati (END) presso le Istituzioni europee, ben cosciente
dell’investimento che essi rappresentano per l’ammodernamento e la migliore
efficienza ed incisività dell’ Amministrazione italiana, in linea con il programma
di questo Governo.
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Nello stesso modo, saremo attenti ad una partecipazione italiana ai livelli
decisionali adeguati anche presso le Agenzie europee, che producono ricadute
importanti sulla normativa comunitaria, ma anche direttamente sull’industria
nazionale; per far questo, intendo stimolare il coordinamento con i diversi
Ministeri “tecnici” competenti per identificare per tempo le candidature
specialistiche da proporre e sostenere.
Infine, nella politica del governo è, inoltre, centrale la formazione europea,
linguistica e professionale, della pubblica amministrazione.
La formazione all’Europa dei dipendenti e dei dirigenti pubblici rappresenta,
infatti, uno dei fattori chiave poiché molti dei processi di Governo si sviluppano
sempre più su direttrici di fonte europea.
La formazione europea deve riguardare anche il sistema scolastico e
universitario. In questa direzione, il Dipartimento per le politiche comunitarie,
dopo aver varato nel corso del 2007, un accordo di formazione e ricerca con il
Ministero
della
Pubblica
Istruzione,
intitolato
“La
dimensione
europea
dell’educazione”, proseguirà e intensificherà tale attività di collaborazione.
Ci impegniamo a riferire regolarmente al Parlamento italiano sull’avanzamento
del nostro lavoro anche in questo settore.
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