Francesco Joao Scavarda The Opposite of the Opposite Opposite of
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Francesco Joao Scavarda The Opposite of the Opposite Opposite of
Francesco Joao Scavarda The Opposite of the Opposite Opposite of the Opposite 14 aprile – 12 maggio Opening: 13 aprile, 6:30 pm In un’intervista andata recentemente in onda su Rai 2 nel corso della trasmissione “Quelli che… il calcio”, Marina Abramović dice a Victoria Cabello che nella sua arte “il coltello é il coltello, il sangue è il sangue”. Illuminati da cotanto Metodo scriveremo che nell’arte di Francesco Joao Scavarda (1987, Milano) la pittura è la pittura, il cemento è il cemento. Scavarda cresce tra lo stato brasiliano del Parà, ai piedi della Foresta Amazzonica, e la costa lombarda del Lago Maggiore. Gli scenari evocati da quei due luoghi coesistono nell’anima dell’artista senza tuttavia generare conflitti o attriti e favorendo piuttosto lo sviluppo di una visione serenamente olistica, generalista, globalizzata. Per noi l’arte di Scavarda nasce nell’Impero e nell’Impero trova la sua raison d’être. E scriviamo ciò perché in fin dei conti non si verifica alcun clash quando si ascolta Francisco “Chico” Buarque lungo l’Autostrada dei Laghi o si balla una produzione Basic Channel in un club di San Paolo. Su ogni volo a lunga percorrenza che si rispetti è possibile guardare un cartone animato di Walt Disney o di Matt Groening. E sebbene in passato l’appropriazione del fumetto e di altri linguaggi figurativi popolari da parte dell’arte “alta” abbia suscitato tanto scalpore, nell’era della globalizzazione la continua migrazione delle figure da un momento all’altro della produzione visiva è argomento da happy hour: se scrivessimo che l’attuale collezione maschile di Prada tradisce un riferimento all’arte di John Wesley, di cui la Fondazione Prada ospitò una mostra retrospettiva nel 2009, o addirittura che la Sig.ra Prada conosca l’arte di Alistair Frost, gran parte di voi lettori prenderebbe queste affermazioni con le pinze, concludendo piuttosto che semplicemente le camicie hawaiane a volte tornano di moda. Similmente potremmo scrivere che l’arte di Scavarda persegue la tradizione della Pop Art, soprattutto nella sua versione europea – l’arte di Thomas Bayrle, di Peter Roehr, di Sir Eduardo Paolozzi, dove le icone divengono funzionali alla costruzione di immagini più complesse… Ma anche quest’affermazione andrebbe (giustamente) presa con le pinze. Perché qui l’interesse non è formulare un commento su ciò che è ordinario, popolare, banale, quanto piuttosto gongolarsi nell’immaginario visuale universale. Fondamentalmente è come voler bere birra Heineken perché è la birra più bevuta al mondo. Nel ciclo di gouache su tela di cui questa sera presentiamo tre esempi, Scavarda si interroga sui linguaggi figurativi ricorrenti nelle immagini prodotte dal “primo” mondo. La prospettiva area, teorizzata in occidente da Leonardo da Vinci, ma ricorrente anche nella tradizionale pittura di paesaggio orientale, è la tecnica di rappresentazione che da il la alla serie. “Adunque tu, pittore – scriveva da Vinci – quando fai le montagne, fa’ che di colle in colle sempre le bassezze sieno più chiare che le altezze, e quanto vòi fare più lontana l’una dall’altra, fa’ le bassezze più chiare; e quanto più si leverà in alto, più mostrerà la verità della forma e del colore.” (Manoscritto A, 1492 circa) Scavarda lascia che i punti di vista si moltiplichino: i piani scivolano l’uno sull’altro, le prospettive si distorcono, l’imitazione della realtà è perseguita con la consapevolezza che niente è più reale del luogo comune. In Au hasard Balthazar, Robert Bresson racconta la travagliata storia d’amore tra Jacques e Marie dal punto di vista di un asino: attraverso gli occhi di Balthazar, occhi che non conoscono la cultura, le azioni umane sono astratte in dinamiche biunivoche e regolate dagli impulsi più terreni. Come nella pellicola di Bresson, nell’arte di Joao Scavarda l’esperienza personale è sempre generalizzata nell’esperienza collettiva, la cui rappresentazione inevitabilmente comporta il ricorso a un cliché figurativo. Di fronte al magma delle immagini globalizzate, Scavarda respinge l’interpretazione intellettualistica, e anzi quel magma preferisce sfidarlo a dadi. No more dispersion. Ripartiamo da zero. Scale, rotate, skew, distort, warp (oppure: Surf it / scroll it / pose it / click it / cross it / crack it / twitch / update it.)