Pratica del processo minorile civile e penale
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Pratica del processo minorile civile e penale
STRUTTURA TERRITORIALE DI FORMAZIONE DECENTRATA DEL DISTRETTO DI MILANO “I MINORI NELLA FAMIGLIA IN CRISI E NON ACCOMPAGNATI. ASCOLTO ED INTERVENTO DEL GIUDICE” Codice corso D 15270 PALAZZO DI GIUSTIZIA DI MILANO Milano, 15 giugno 2015 Riparto di competenza (TO e TM): i provvedimenti di affido e di limitazione o decadenza della responsabilità genitoriale Monica Velletti 1 1 Monica Velletti, giudice presso la Prima Sezione Civile del Tribunale di Roma 1 Sommario: a. La lunga evoluzione del riparto di comptenza tra TM e TO b. Articolo 38 delle disposizioni di attuazione c.c. c. Riparto di comptenza tra TM e TO nei procedimenti de potestate c.1. Procedimenti per i quali opera la vis attractiva del To c.2. Significato da attribuire alla locuzione “stesse parti” c.3. Rapporto tra il principio della perpetuatio jurisdictionis e quello della concentrazione delle tutele c.4. Modalità di rimessione del procedimento de potestate dal TM al TO c.5. Significato da attribuire alla locuzione procedimento “in corso” d. Riparto di comptenza tra TM e TO nei procedimenti ex art. 330 c.c. d.1. Primi interventi della Suprema Corte 2 A. La lunga evoluzione del riparto di comptenza tra TM e TO Il tema del riparto di competenze tra Tribunale ordinario (nel prosieguo TO) e Tribunale per il minorenni (nel prosieguo TM) rappresenta uno dei più controversi e dibattuti, dopo l’entrata in vigore della riforma della filiazione. Nell’impianto originario il disegno di legge, poi divenuto legge n.219/2012, doveva disciplinare i soli aspetti sostanziali della filiazione, introducendo norme per garantire l’unicità dello stato di figlio ed il superamento delle discriminazioni tra figli nati fuori del matrimonio e figli nati nel matrimonio. Nel corso dei lavori parlamentari venne introdotta una norma di carattere processuale, che modificando l’art. 38 disp. att. c.c., ha diversamente distribuito le competenze tra TM e TO 2. La norma di oscura formulazione, ha dato luogo a dibattiti dottrinali e a divergenti interpretazioni; le difficoltà ermeneutiche si sono presto tradotte in divergenze applicative originando diversi orientamenti nei tribunali di merito e finanche ad una questione di costituzionalità sollevata proprio sul novellato art. 38 disp. att. c.c.. Il Tribunale di Firenze, Sezione I Civile, infatti, con ordinanza del 5 giugno 2014 3 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art.38, comma 1, disp. att. c.c., nella parte in cui prevede che “Sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli, omissis, 330, omissis, 333, omissis, del codice civile.”. La questione è stata sollevata nell’ambito di un procedimento ex art. 709 ter c.p.c., instaurato qaundo era già pendente procedimento ex art. 330/333 c.c. dinanzi al TM; il Collegio fiorentino lamentando la “confusione sostanziale e processuale della norma” e “l’assoluta irrazionalità” della scelta legislativa ha chiesto l’intervento della Consulta. Il primo comma, dell’art. 3, della l.n.219/2012, ha riformulato l’art. 38 disp. att. c. c., norma tradizionalmente destinata ad individuare nel primo comma le competenze del TM, individuando, nel secondo comma, con il criterio della residualità, i procedimenti di competenza del TO. TM e TO costituiscono uffici giudiziari nettamente distinti, pertanto la ripartizione dei compiti é questione attinente la “competenza in senso tecnico”, con rilevanti conseguenze quanto agli strumenti da attivare per risolvere le controversie concernenti i limiti delle attribuzioni riservate all’uno o all’altro organo giurisdizionale 4. 2 Per la ricostruzione dell’iter legislativo di approvazione della l.n. 219/2012, cfr. M. VELLETTI, Commento alla riforma del diritto della filiazione (l. 10 dicembre 2012, n.219), in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 596. 3 Tribunale Firenze, ord. 5 giugno 2014, in www.Questionegiustizia.it 4 Cfr. Cass., 18 novembre 1975, n.3864 3 Il riparto di competenze tra TM e TO in ordine ai provvedimenti relativi prima al solo affidamento, e poi anche al mantenimento dei minori, ha avuto un’evoluzione lunga e travagliata. Prima della novella i procedimenti de potestate (ex art. 330 e ss. c.c.) erano espressamente attribuiti al giudice specializzato, mentre al TO era attribuita la competenza per le decisioni in merito all’affidamento ed al mantenimento dei figli assunte nell’ambito dei procedimenti di separazione e divorzio. Fino agli ani ‘80 i possibili conflitti tra TM e TO erano limitati ai procedimenti di modifica dei provvedimenti relativi all’affidamento dei minori, attribuiti al TM 5, dopo un intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione venne precisato che la revisione delle condizioni di affidamento dei figli minori, a seguito di procedimenti di separazione o divorzio (ma anche di annullamento del matrimonio), rientrava nella competenza del TM “nei soli casi in cui come causa di quella revisione si chieda un intervento ablativo o limitativo della potestà genitoriale sulla prole, a norma degli artt. 330 e 333 c.c., mentre, in ogni altro caso, sono devoluti alla competenza del tribunale ordinario” 6. Da subito emerse la difficoltà di delimitare i confini tra i provvedimenti di affidamento e quelli de potestate, stante il rischio che la diversa prospettazione delle parti, tesa a qualificare il comportamento di uno dei due genitori come pregiudizievole per il figlio, potesse portare all’attribuzione della competenza al giudice ordinario ovvero a quello specializzato. La convivenza tra TM e TO ha conosciuto un’ulteriore complessa evoluzione dopo l’approvazione della legge 8 febbraio 2006, n.54, che ha modificando gli art. 155 e ss.. c.c., in quanto l’articolo 4, della l.n. 54/2006, ha espressamente previsto che tali disposizioni venissero applicate “anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”. All’indomani dell’entrata in vigore della novella la Suprema Corte è stata, più volte, chiamata a pronunciarsi su questioni attinenti la corretta interpretazione di tali norme, che hanno creato notevoli difficoltà ermeneutiche proprio quanto alla ripartizione di competenza tra TO e TM. La situazione che si era creata era caratterizzata da differenze e sovrapposizioni: il TM era ritenuto pacificamente competente (come prima della riforma) per l’adozione di provvedimenti in materia di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, mentre di più difficile soluzione era la questione attinente la competenza in merito all’adozione dei provvedimenti in materia di loro mantenimento. La Suprema Corte 7 stabilì che il TM 5 Cass., 29 gennaio 1982, n.573. Cass., S.U., 2 marzo 1983, n. 1551, pubblicata in Giur. it, 1983, p. 1416 con nota di P. VERCELLONE, L’intervento giudiziario per l’affidamento dei figli minorenni in occasione di separazione o divorzio dei genitori. 6 Cass., 22 marzo 2007, n. 8362 in Fam. dir., 2007, p. 447 con nota di F. TOMMASEO, Filiazione naturale ed esercizio della potestà: la Cassazione conferma (ed amplia) la competenza del Tribunale minorile. Tale orientamento è stato ribadito con ordinanza Cass., 20 settembre 2007, n.19406. 7 4 fosse competente in ordine all’emanazione di ogni provvedimento concernente sia l’affidamento sia il mantenimento della prole, nata da genitori non coniugati, valorizzando il principio della concentrazione delle tutele. Malgrado tali pronunce la concentrazione delle tutele non è stata pienamente realizzata, poiché la mancata abrogazione dell’art. 148 c.c., procedimento speciale di natura ingiuntiva per determinare la misura del concorso al mantenimento dei figli da parte dei genitori (e degli ascendenti), ha comportato come conseguenza che qualora una controversia riguardasse unicamente diritti patrimoniali, relativi a figli nati fuori del matrimonio, la competenza fosse del TO. Giova, altresì, evidenziare come la materia sia stata oggetto di vaglio di legittimità costituzionale: tre questioni, dichiarate inammissibili, sono state sottoposte al giudice delle leggi, che con le ordinanze 18 febbraio 2009, n.47; 5 febbraio 2009, n. 129; 5 marzo 2010 n. 82, ha ritenuto conforme alla Costituzione l’art. 4 della l.n. 54/2006, come interpretato dalle decisioni della Suprema Corte, sopra richiamate, in tema di riparto delle competenze. Il quadro normativo, alla vigilia dell’entrata in vigore della l. n.129/2012, si presentava quindi articolato e complesso, con riferimento ai procedimenti relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio: erano attribuite alla competenza del TO le domande ex art. 148 c.c., aventi ad oggetto controversie attinenti unicamente a diritti patrimoniali, mentre rientravano nella competenza del TM le controversie relative all’affidamento ed al mantenimento dei figli, come pure le controversie relative ai soli aspetti dell’affidamento. Tale riparto di competenze non esente da strumentalizzazioni e difficoltà applicative, è stato superato con l’attribuzione, in forza del novellato art. 38 disp. att. c.c., di tutte le controversie di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio al TO. L’altra area interessata da ricorrenti conflitti di competenza era quella della contemporanea pendenza di procedimenti di separazione o divorzio, instaurati dinanzi al TO, e di procedimenti ex art. 333 c.c., proposti dinanzi al TM, allegando comportamenti pregiudizievoli per i figli da imputare all’altro genitore. La contemporanea pendenza di procedimenti separativi e de potestate produceva effetti distorsivi, con rischio di contraddittorietà di giudicati, sovrapposizione di accertamenti sul minore, che poco giovavano alla concentrazione delle tutele, alla celerità dei giudizi, ma soprattutto alla serenità dei soggetti coinvolti in tali vicende. Su tali aspetti è più volte intervenuta la Corte di Cassazione, che dopo numerose pronunce di diverso orientamento, nella sentenza 10 ottobre 2008, n. 24907 8, in una fattispecie avente ad oggetto l’affidamento di due minori ai servizi sociali pronunciato nell’ambito di un procedimento di separazione, richiesta di valutare se tale statuizione esulasse dalle competenze del TO, ha ritenuto privo di fondamento il motivo di censura: “in quanto prende le mosse da una concezione angusta e formalistica non solo del più generale riparto di competenze fra Tribunale ordinario (quale giudice della separazione o del 8 Nello stesso senso cfr. Cass., 5 ottobre 2011, n.20354 5 divorzio), e Tribunale per i minorenni, ma degli stessi confini dei provvedimenti in concreto assumibili – in sede di separazione o di divorzio – in materia di affidamento dei figli minori, dal Tribunale ordinario; confini che si arresterebbero sulla soglia della alternativa secca fra i due genitori e precluderebbero del tutto, al giudice ordinario, di assumere provvedimenti più articolati i quali, pur senza pretermettere radicalmente i genitori, si facciano carico del contingente interesse dei minori stessi. Un tal limite non esiste, ne’ è dato rinvenirlo in nessuna disposizione codicistica in tema di separazione, ne’ nella legislazione in tema di divorzio (L. n. 898 del 1970, e sue successive modificazioni), ne’ – tantomeno – in una ricostruzione sistematica del complesso di disposizioni normative che disciplinano l’“affido” dei figli minori in sede di pronuncia di separazione dei coniugi o di “divorzio”, ricostruzione che non può di certo condursi ad una lettura riduttiva dell’interesse dei minori alla adozione della soluzione più compiuta e confacente, realizzata nel rispetto del primario criterio della “concentrazione” e dell’“organicità” dei provvedimenti.”. In questo confuso e articolato quadro 9, contrassegnato da conflitti negativi di competenza e da contrasti dottrinali e giurisprudenziali è stata adottata la legge n.219/2012, che se risolve alcune delle difficoltà richiamate, non appare in grado, data l’“ambigua” formulazione di superarne altre. B. Articolo 38 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile Il primo comma, dell’art. 3, della l.n. 219/2012, ha sostituito integralmente l’art. 38 RD 30 marzo 1942, n.318, individuando le competenze del TM; alla norma il d. leg.vo 28 dicembre 2013 n. 154, ha aggiunto un periodo precisando che sono di competenza del tribunale specializzato i procedimenti ex art. 251 c.c. (autorizzazione al riconoscimento di figlio nato da persone tra le quali esiste un vincolo di parentela) e quelli di cui all’art. 317 bis c.c. (rapporti con gli ascendenti). Il testo del nuovo articolo 38 disp. att. c.c.( ), in vigore dal 1 gennaio 2013, così recita: «Art. 38. – Sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 84, 90, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, del codice civile. Per i procedimenti di cui all’articolo 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’articolo 316 del codice civile; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario. Sono, altresì, di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 251 e 317-bis del codice civile. 9 Per un puntuale quadro sul riparto di competenze al momento della entrata in vigore delle l.n.219/2012, M.C. GATTO, La tutela della prole tra giudice minorile e giudice ordinario, in Fam. dir., 2010, p. 639 6 Sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti relativi ai minori per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria. Nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Fermo restando quanto previsto per le azioni di stato, il tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, e i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente. Quando il provvedimento è emesso dal tribunale per i minorenni, il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i minorenni.». Il precedente testo dell’art. 38 disp. att. c.c., attribuiva al TM maggiori competenze, riservando al tribunale specializzato i procedimenti di: ammissione al matrimonio dell’ultrasedicenne (art. 84 c.c.); nomina di un curatore per l’assistenza nelle convenzioni matrimoniali (art. 90 c.c.); destinazione ai figli di una quota dei beni del fondo patrimoniale (art. 171 c.c.); costituzione di usufrutto sui beni del coniuge non affidatario in caso di divisione della comunione (art. 194, secondo comma, c.c.); sentenza che tiene luogo del consenso mancante in caso di riconoscimento di figlio nato fuori del matrimonio cui si opponga l’altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento (art. 250 c.c.); affidamento del figlio nato fuori del matrimonio e suo inserimento nella famiglia del genitore coniugato (art. 252 c.c.); decisione sull’assunzione del cognome da parte del figlio nato fuori del matrimonio (art. 262 c.c.); autorizzazione a impugnare il riconoscimento (art. 264 c.c.); dichiarazione giudiziale di paternità e maternità nel caso di figlio minore (art. 269, primo comma, c.c.); provvedimenti in caso di contrasto dei genitori su questioni di particolare importanza nell’esercizio della potestà genitoriale (art. 316, c.c.) ; provvedimenti sull’esercizio della potestà sui figli nati fuori del matrimonio (ex art. 317-bis, c.c., nel testo ante novella del 2013); provvedimenti de potestate, modificativi e ablativi della potestà genitoriale (artt. 330-335 c.c.); provvedimenti di autorizzazione del minore a continuare l’esercizio dell’impresa (371, ultimo comma). Molte di queste competenze sono ora transitate al TO, restando di competenza del TM (limitando l’analisi alle disposizioni contenute nel codice civile 10) i provvedimenti contemplati dagli articoli 84 c.c.(ammissione al matrimonio dell’ultrasedicenne), 90 c.c. (nomina di un curatore per l’assistenza nelle convenzioni matrimoniali), 330-335 c.c.(provvedimenti de potestate); 371, ultimo comma, c.c. (provvedimenti di autorizzazione del minore a continuare l’esercizio dell’impresa); oltre al procedimento per l’autorizzazione al riconoscimento del figlio nato tra persone legate da vincoli di parentela in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado, introdotto 10 Tra le altre competenze in materia civile del TM si richiamano le norme in materia di adozione e affidamento contenute nella l.n. 184/1983; di riconoscimento ed esecuzione delle decisione emesse da autorità estere in materia di affidamento dei minori e sottrazione internazionale (l.n. 64/94); di immigrazione (art. 31 d. lgs. n.286/98). 7 dal novellato art. 251 c.c., e ai procedimenti ex novellato art. 317-bis c.c. relativo al diritto degli ascendenti di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni. Nell’ambito del diverso riparto di competenza l’aspetto più problematico è quello relativo ai procedimenti de potestate. C. Riparto di competenza tra TM e TO nei procedimenti de potestate. Il novellato art. 38 disp. att. c.c. 11 attribuisce la competenza per i procedimenti de potestate al TM, essendo i provvedimenti di cui agli artt. 330 (decadenza della potestà sui figli); 332 (reintegrazione della potestà); 333 (condotta del genitore pregiudizievole ai figli); 334 (rimozione dall’amministrazione); 335 (riammissione nell’esercizio dell’amministrazione) espressamente attribuiti al giudice specializzato. Ma l’attribuzione di tali competenze al TM presenta un limite: nella seconda parte, del primo comma, del nuovo art. 38 disp. att. c.c., è previsto che qualora siano in corso, tra le stesse parti, giudizi di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’art. 316 c.c., per tutta la durata del processo la competenza, per i provvedimenti ordinariamente attribuiti alla competenza del giudice specializzato, è attribuita al giudice ordinario. Ratio della disposizione è la concentrazione delle tutele, principio ritenuto dalla Suprema Corte “aspetto centrale della ragionevole durata del processo” 12. Ad una prima lettura della norma sembra emergere che il legislatore abbia voluto concentrare le tutele in capo al TO, stabilendo che qualora il giudice ordinario sia già stato investito di una controversia in merito all’affidamento dei figli, come accade nel caso sia stato proposto ricorso di separazione o divorzio, ovvero giudizio ai sensi dell’art. 316 c.c., il Tra i numerosi commenti alla norma: A. PROTO PISANI, Note sul nuovo art. 38 disp. att. c.c. e sui problemi che esso determina, in F. it., 2013, 126 ss.; F. TOMMASEO, La nuova Legge sulla filiazione: i profili processuali, in Fam. e dir., 2013, p. 251; F. DANOVI, Nobili intenti e tecniche approssimative nei nuovi procedimenti per i figli (non più) naturali, in Corr. Giur., 2013, p. 219; A. GRAZIOSI, Una buona novella di fine legislatura: tutti i figli hanno eguali diritti, dinanzi al tribunale ordinario, in Fam. e dir., 2013, p.267; G. DE MARZO, Novità legislative in tema di affidamento e di mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio: profili processuali, in F. it., 2013, c.12; V. MONTARULI, Il Nuovo riparto di competenze tra giudice ordinario e minorile, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2013, p.218; M. VELLETTI, Commento alla riforma del diritto della filiazione (l. 10 dicembre 2012, n.219), in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 596; G. IMPAGNATIELLO, Profili processuali della nuova filiazione riflessioni a prima lettura sulla l. 10 dicembre 2012, n.219, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 715; B. DE FILIPPIS, Nuovo riparto di competenze tra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni, in AA VV, Modifiche al codice civile e 11 alle leggi speciali in materia di filiazione, Napoli 2014, p. 181. Si richiamano, inolte, i contenuti delle relazioni conclusione del gruppo di lavoro tenutosi durante il corso organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura, dal 23 al 25 gennaio 2013, sul tema “Pratica del processo minorile civile e penale”, sintetizzati nelle relazioni (reperibili sul sito istituzionale della Scuola Superiore della Magistratura) delle due coordinatrici del gruppo P. ESPOSITO e R. RUSSO. 12 Cass., 3 aprile 2007, n. 8362 8 TO sarà competente anche per pronunciare i provvedimenti funzionalmente di competenza del TM (ex artt. 84, 90, 330, 332, 333, 334, 335, e 371 ultimo comma, c.c.). La concentrazione delle tutele oltre ad assicurare maggiore speditezza nella decisione, dovrebbe scongiurare il rischio di strumentalizzazioni finalizzate a distogliere la decisione dal giudice naturale formulando domande solo apparentemente diverse ma nella sostanza fondate sui medesimi elementi fattuali (si pensi ad allegazioni relative a comportamenti pregiudizievoli posti a fondamento sia di richiesta di affidamento esclusivo sia di provvedimenti de potestate). La concentrazione è valido rimedio per evitare che il minore sia sottoposto all’ascolto, a indagini sulla sua situazione psicosociale da parte di diverse autorità giudiziarie, ma soprattutto è rimedio necessario per scongiurare il rischio che vengano adottate decisioni di contenuto diverso con pericolo di contraddittorietà di giudicati e intuibili difficoltà quanto alla loro esecuzione. La novella ha sollevato sin da subito contrasti ermeneutici, in primo luogo per la diversa disciplina dei procedimenti di cui all’articolo 333 c.c. (norma espressamente indicata nella seconda parte del primo comma dell’art. 38 disp. att. c.c.), rispetto a procedimenti ex art. 330 (nonché a tutti tutti gli altri disciplinati nell’ultimo periodo del primo comma) genericamente individuati come “i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo”. C.1 Procedimenti per i quali opera la vis attractiva del TO In riferimento all’ambito di applicazione della norma, non sembrano sussistere dubbi in merito alla necessità di comprendere tra i “giudizi di separazione e divorzio” anche i giudizi in corso ex art. 710 c.p.c. (modifica dei provvedimenti relativi alla separazione), ex art. 9 l n. 898/1970 (modifica dei provvedimenti relativi al divorzio) nonché ex art. 709-ter c.p.c. (soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempimenti e violazioni); con riferimento a questa ultima norma non si può, infatti, dubitare che la stessa a pieno titolo si “innesti” nell’ambito dei giudizi di separazione e divorzio. La novella dell’art. 316 c.c. nel cui alveo sono da ricondurre i procedimenti per disciplinare l’affidamento dei figli natai fuori dal matrimonio fa ritenere che anche in pendenza di tali procedimenti operi la vis attractiva del giudice ordinario nel caso di contemporanea instaurazione di procedimenti de potestate. Analoghe ragioni sistematiche impongono di comprendere tra i procedimenti in presenza dei quali si esplica la vis attractiva del TO, quelli di nullità o di annullamento del matrimonio, che pur se non espressamente richiamati devono ritenersi analoghi quanto ad effetti, qualora siano proposte domande relative all’affidamento e al mantenimento dei figli, come può desumersi dall’art. 4 della l.n.54/2006 che tali procedimenti equipara a quelli separativi, in merito all’applicazione della legge sull’affidamento condiviso. Anche se quella proposta sembra essere l’unica interpretazione costituzionalmente orientata per garantire parità di trattamento in presenza di situazioni omogenee, deve pur sempre essere segnalata la natura di norma 9 processuale dell’art. 38 disp. att. c.c., con conseguente necessità di stretta intrepretazione. C.2. Significato da attribuire alla locuzione “stesse parti” Nell’interpretare la nuova disposizioni la dottrina si è divisa tra i sostenitori della vis attractiva qualora penda un giudizio separativo e coloro che hanno operato distinzioni. In particolare è sul requisito dell’identità delle parti, che si possono registrare le maggiori differenze interpretative. Nel novellato art. 38 dip. att. c.c., si legge: “Per i procedimenti di cui all’art. 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’art. 316 c.c”. L’art. 336 c.c. prevede che legittimati attivi per l’instaurazione dei procedimenti de potestate sono: il genitore, i parenti o il pubblico ministero. Nei procedimenti di separazione, divorzio, e in materia di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, parti sono i genitori mentre il pubblico ministero è interveniente necessario. All’interno del procedimento civile diverso può essere il ruolo del PM 13, potendo il pubblico ministero esercitare l’azione (art. 69 c.p.c.), ovvero interviniere nel procedimento (art. 70 c.p.c.). Diversi sono i poteri attribuiti nelle due diverse ipotesi, poiché nel caso in cui il PM sia parte, come qualora siano proposti ex art. 336 c.c. procedimenti de potestate, avrà identico ruolo e sarà posto sullo stesso piano delle parti private, potrà quindi, in qualità di parte formale del processo, formulare domande, eccezioni, produrre documenti, prove, proporre impugnazioni, avendo il solo limite del compimento degli atti di disposizione del diritto, non essendo parte sostanziale. Quando, invece, il PM è interveniente ha la possibilità di formulare conclusioni diverse da quelle formulate dalla parti ma la sua attività processuale può essere esercitata nei limiti delle domande proposte dalle parti stesse e non ha potere di impugnazione (con l’eccezione di cui art. 5, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 che in materia divorzile, ha previsto che il PM possa proporre impugnazione avverso le sentenze di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio limitatamente agli interessi patrimoniali dei figli minori o legalmente incapaci). Dunque, qualora si ritenesse che tra i procedimenti nei quali il PM sia parte e quelli nei quali sia interventore necessario non si ravvisi il requisito delle “stesse parti”, il 13 Sul ruolo del PM nel processo civile, cfr.: V. ANDRIOLI, Diritto processuale civile, Napoli, 1979,, p. 376; C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, I, Torino, 2011, p. 457 s.; F. MOROZZO DELLA ROCCA, Pubblico Ministero (dir. Proc. Civ.), in Enc. Dir., XXXVII, Milano, 1988, p. 1084 s.; A. PROTO PISANI, Diritto processuale civile, Napoli, 2006, p. 314; M. VELLANI, Pubblico Ministero nel diritto processuale civile, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., XVI, Torino, 1997, p. 140 ss.. 10 nuovo art. 38 disp. att. c. c., se letteralmente interpretato, potrebbe sembrare inapplicabile, poiché essendo nei procedimenti de potestate sempre presente il pubblico ministero come parte processuale, presente invece come interventore necessario nei procedimenti di separazione e divorzio, la richiesta identità soggettiva non potrebbe mai realizzarsi 14. Applicando i principi espressi dalla Suprema Corte 15, già prima dell’entrata in vigore della novella del 2012, la presenza del PM quale parte processuale non era stata ritenuta elemento ostativo alla possibilità di adozione da parte del TO di provvedimenti ex art. 333 c.c., qualora fossero in corso giudizi di separazione o di modifica delle condizioni di separazione. Occorre pertanto chiedersi se la riconosciuta competenza residua possa continuare a sussistere anche dopo l’entrata in vigore della novella in esame. La questione non è solo teorica perché ha rilevanti risvolti pratici nell’ipotesi in cui non siano i genitori a formulare domande per l’emissione di provvedimenti de potestate. Può, infatti, accadere che mentre sia in corso un procedimento di separazione o divorzio, al PM minorile, siano inoltrate segnalazioni di condotte pregiudizievoli nei confronti dei figli minori della coppia, che impongano un suo ricorso ex art. 333 c.c.; in questo caso il PM specializzato dovrà inviare la segnalazione al suo omologo dinanzi al TO, ovvero potrà proporre autonomo giudizio dinanzi al TM considerando che il giudizio dinanzi al TO non pende tra le stesse parti? Sono possibili due soluzioni: negare la concentrazione delle tutele muovendo dal diverso ruolo attribuito al PM, se da una parte potrebbe assicurare la tutela dell’interesse pubblico che il PM persegue al di là del comportamento delle parti (si pensi all’ipotesi in cui trasmessi gli atti al TO i genitori parti del procedimento di separazione e divorzio rinuncino all’azione) dall’altra significherebbe negare efficacia, svuotare di contenuto, la novella in esame. Appare quindi preferibile privilegiare la concentrazione delle tutele assicurando che sia un solo giudice ad adottare provvedimenti, di contenuto sostanzialmente analogo, relativi ai minori. Applicando tale interpretazione nel caso prospettato il PM specializzato dovrebbe trasmettere la segnalazione ricevuta al suo “omologo” ordinario affinché si attivi (ferma la possibilità per il PM specializzato di ricorrere all’art. 403 c.c. con l’inoltro della segnalazione all’autorità competente). Al fine di ovviare al rischio sopra rilevato, ed evitare che il procedimento de potestate una volta attratto nella competenza del TO, possa essere rimesso alla “volontà” delle parti private, che potrebbero provocarne l’estinzione (magari al solo fine di evitare l’intervento giudiziario a tutela dei minori, e Cass., 21 febbraio 2004, n.3529, nella quale è stata ritenuta una diversità oggettiva (causa petendi e petitum) e comunanza soggettiva soltanto parziale (limitatamente, cioè, alle due parti private) tra un’azione per separazione personale e giudizi de potestate. 14 15 Cass., 5 ottobre 2011, n.20354. 11 l’adozione di provvedimento quali l’affidamento a terzi che ai genitori potrebbero risultare sgraditi), sarebbe opportuno che il PM ordinario instauri, formalmente, attraverso uno specifico atto, un subprocedimento, all’interno della procedura di separazione e divorzio. In questo modo il PM ordinario potrebbe assumere, anche formalmente, ex art. 336 c.p.c., la qualità di parte del procedimento de potestate che, seppur “innestato” all’interno del procedimento di separazione o divorzio resterebbe in tal modo sottratto alla “disponibilità” dei genitori. Inoltre, dovendo considerare il PM parte del procedimento questi avrebbe pieni poteri di impugnazione quanto ai provvedimenti de potestate. Il riferimento alle “stesse parti”, fa ritenere non attratti alla competenza del TO, anche qualora sia in corso procedimento di separazione o divorzio, i ricorsi de potestate proposti da parenti del minore, che continuerebbero anche dopo l’entrata in vigore della novella in esame ad essere di competenza del giudice specializzato, dato che i parenti del minore non possono essere considerati parti del procedimento di separazione o divorzio 16. C.3 Rapporto tra il principio della perpetuatio jurisdictionis e quello della concentrazione delle tutele Appare più problematica l’applicazione del nuovo art. 38 disp. att. c.c., in caso di procedimento de potestate sia stato instaurato dinanzi al TM, prima della proposizione di un ricorso per separazione, divorzio o ex art. 316 c.c.. In tale ipotesi, infatti, l’art. 5 del c.p.c., che disciplina il principio della perpetuatio iurisdictionis, dovrebbe imporre la conclusione del giudizio dinanzi al giudice specializzato, preventivamente adito. Diversamente si permetterebbe anche ad uno solo dei genitori di mutare il giudice naturale precostituito per legge, instaurando, magari solo per finalità strumentali, procedimento separativo o divorzile dinanzi al TO al solo fine di sottrarre al giudice naturale il procedimento precedentemente instaurato. La stessa ratio, che ha mosso il legislatore del 2012 nell’inserire la disposizione in esame, e cioè la necessità di evitare una sorta di forum shopping interno, con possibilità per i genitori di sottrarre al TO la competenza ad emettere provvedimenti sull’affidamento dei figli, solo prospettando condotte pregiudizievoli attraverso la proposizione di domande strumentali al TM, dovrebbe suggerire tale interpretazione 17. 16 Cfr. Cass., 16 ottobre 2009, n. 22081. In tal senso cfr. M. VELLETTI, Commento alla riforma della filiazione, cit.; V. MONTARULI, Il nuovo riparto di competenze tra giudice ordinario e minorile, cit.; Relazione, a cura di P. ESPOSITO, cit., nella 17 quale si legge che “Tale impostazione interpretativa non esimerebbe comunque il TM dal provvedere in tali casi, ad una celere definizione del procedimento con trasmissione del provvedimento emesso al TO (ovvero al PM ordinario o a entrambi gli uffici) al fine di evitare sovrapposizioni e contemporanea pendenza di più procedimenti. 12 In questo senso si è espressa la Suprema Corte che, chiamata a pronunciarsi su regolamento di competenza proposto con riferimento ad un procedimento per la decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale instaurato, nel 2011, prima della proposizione di una domandi di divorzio, sulla base della allegazione della parte ricorrente che il TM avrebbe perso la sua competenza a favore del TO, ha affermato la competenza del tribunale specializzato. La decisione è di particolare interesse perché invece di limitarsi ad affermare inapplicabile alla fattispecie la novella, in quanto il giudizio dinanzi al tribunale specializzato era stato instaurato prima dell’entrata in vigore del novellato art. 38 disp. att. c.c., ha previsto che “ragioni di economia processuale e di tutela dell’interesse del minore che trovano riscontro nelle disposizioni costituzionali (art.111 Cost.) e sopranazionali (art.8 C.E.D.U. e art. 24 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) impediscono un’interpretazione della disposizione dell’art. 38 che vanifichi il percorso processuale svolto, a seguito di domanda ex art. 333 c.c., davanti al Tribunale per i minorenni anteriormente alla proposizione del giudizio di separazione o divorzio da parte dei genitori. Così come si dimostrano inconciliabili con una interpretazione della citata norma che renda possibile l’uso strumentale del processo al fine di spostare la controversia” 18. Analoga decisione è stata adottata più di recente dalla Corte di Cassazione 19 nel conflitto tra TM, previamente adito dal PM minorile per l’emissione di provvedimenti ex art. 330 e 333 e TO, a seguito della dichirazione di incompetenza pronunciata dal TM dopo che era stata instaurato dinanzi al TO procedimento di seprazione, conflitto sollevato dal Procuratore della Repubblica presso il TM che ha chiesto dichirarsi la competenza del TM perché adito precedentemente dal PM specializzato con la domanda di decadenza della responsabilità genitoriale rispetto alla domanda di separazione proposta dalla parte. La Suprema Corte ha ribadito: “Ai sensi dell'art. 38 disp. att. cod. civ. come novellato dall'art. 3 della legge 10 dicembre 2012, n. 219, il tribunale per i minorenni resta competente a conoscere della domanda diretta ad ottenere la declaratoria di decadenza o la limitazione della potestà dei genitori ancorché, nel corso del giudizio, sia stata proposta, innanzi al tribunale ordinario, domanda di separazione personale dei coniugi o di divorzio, trattandosi di interpretazione aderente al dato letterale della norma, rispettosa del principio della "perpetuatio jurisdictionis" di cui all'art. 5 cod. 18 “La competenza a conoscere della domanda di limitazione o decadenza dalla potestà dei genitori, introdotta prima della modifica del testo dell'art. 38 disp. att. cod. civ. disposta dall'art. 3 della legge 10 dicembre 2012, n. 219, rimane radicata presso il tribunale per i minorenni anche se nel corso del giudizio sia stata proposta, innanzi al tribunale ordinario, domanda di separazione personale dei coniugi o di divorzio, in ossequio al principio della "perpetuatio jurisdictionis" ed a ragioni di economia processuale che trovano fondamento anche nelle disposizioni costituzionali (art. 111 Cost.) e sovranazionali (art. 8 C.E.D.U. e art. 24 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea).” Cass. 14 ottobre 2014, n.21633, in Fam e dir., 2015, p.105 con nota di A. LIUZZI, Provvedimenti de potestate e vis attractiva del tribunale ordinario: primi chiarimenti dalal Suprema Corte; e in Nuova Giur. Civ., 2015, p. 10199, con nota di L. ANTONIOTTI, Questioni di comptenza in materia di filiazione e vis attractiva ex art. 38 disp. att. cod. civ.. 19 Cass. 12 febbraio 2015, 2833. 13 proc. civ., nonché coerente con ragioni di economia processuale e di tutela dell'interesse superiore del minore, che trovano fondamento nell'art. 111 Cost., nell'art. 8 CEDU e nell'art. 24 della Carta di Nizza”. Appare quindi accertata la prevalenza del principio della perpetuatio jurisditionis rispetto al principio della concentrazione delle tutele. Per trovare una soluzione che contemperi in concreto il principio di cui all’art. 5 c.p.c. e il principio di concentrazione delle tutele, potrebbe essere seguita una prassi già instaurata in molti TM dopo la pronuncia dell’ordinanza della Suprema Corte del 5 ottobre 2011, n.20354, “il giudice minorile dovrebbe comunque decidere, portando rapidamente a conclusione il processo, e possibilmente rendere chiaro nel provvedimento che sta attuando provvedimenti con finalità di immediata protezione del minore, lato sensu cautelari, da qualcuno anche definiti provvisori, in quanto seppure chiudono il processo innanzi al TM, sono suscettibili di essere modificati da un successivo provvedimento del giudice ordinario adito per la questione separativa” 20. Non mancano autorevoli interpretazioni che in tal caso ritengono applicabile l’art. 39, secondo comma, c.p.c., che disciplina la continenza, potendo il TM rimettere la controversia al TO del luogo dove è pendente la separazione, il divorzio o di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio 21 in modo da garantire il simultaneo processo. C.4. Modalità di rimessione del procedimento de potestate dal TM al TO Qualora sia già pendente un giudizio di separazione, divorzio, o ex art. 316 c.c. (ovvero secondo quanto sopra riportato di nullità, annullamento del matrimonio) e i genitori, ovvero il PM minorile, propongano dinanzi al TM un procedimento de potestate, potrebbe essere ravvisata una vera e propria incompetenza funzionale del TM. Tra tali procedimenti potrebbero ravvisarsi un rapporto di continenza, ovvero di connessione, con la conseguenza che il TM dovrebbe sempre dichiararla con ordinanza fissando un termine perentorio entro il quale le parti dovrebbero riassumere la causa dinanzi al TO. La rimessione al TO verrebbe dichiarata con ordinanza suscettibile di regolamento necessario di competenza ex art. 42 c.p.c.. In entrambi i casi, perché il procedimento prosegua dinanzi al giudice competente sarebbe comunque necessaria la riassunzione della parte e se è vero che nei procedimenti de potestate la presenza del PM, quale parte del procedimento, potrebbe tutelare l’interesse pubblico dalla possibile inerzia delle parti private, tuttavia è innegabile che ciò comporti il trascorrere del 20 Relazione, a cura di R. RUSSO, cit.. 21 A. PROTO PISANI, Note sul nuovo art. 38 disp. att. c.c. e sui problemi che esso determina, cit. . 14 tempo tra la pronuncia sulla competenze e la prosecuzione del procedimento davanti al TO. Per questo potrebbe essere ritenuta percorribile, una diversa opzione, ritenuta ammissibile dalla Suprema Corte 22: la semplice trasmissione officiosa degli atti da un giudice ad un altro, da considerare non una mera prassi, “quanto piuttosto il mezzo- principe attraverso cui la “crisi”, aperta dalla pronuncia di incompetenza, va avviata a soluzione, indipendentemente dalla volontà e dalla diligenza di parte”, trattandosi di materia nella quale il giudice dispone di poteri d’intervento d’ufficio. C.5. Significato da attribuire alla locuzione procedimento “in corso” Il novellato art. 38 disp. att. c.c., richiede perché possa ravvisarsi la competenza del TO per i procedimenti de potestate che sia “in corso” tra le stesse parti giudizio di separazione, divorzio ovvero ex art. 316 c.c. (oltre ai procedimenti di annullamento, nullità del matrimonio qualora si acceda alla lettura estensiva della norma sopra riportata). Occorre domandarsi quando un procedimento sia “in corso”; il legislatore non ha utilizzato il termine “pendente”, questa scelta può fornire importanti elementi per l’interpretazione della disposizione in esame. L’utilizzo della locuzione “in corso” sembrerebbe escludere che la norma possa applicarsi quanto il procedimento di separazione o divorzio, sia in fase di quiescenza, per esempio in caso di cancellazione della causa dal ruolo durante il periodo della potenziale riassunzione, ovvero in caso di sospensione o interruzione del processo. La Suprema Corte si è però espressa in senso contrario affermando che “Risulta, pertanto, contrastante con essa un'interpretazione che scomponga il processo in fasi o in gradi e che, conseguentemente, possa condurre Cass., 26 febbraio 2002, n.2765 “È ammissibile la richiesta d'ufficio del regolamento di competenza, ancorché in difetto di riassunzione nei modi e nei termini previsti dall'art. 50 cod. proc. civ., e dunque sulla base della semplice trasmissione officiosa degli atti dall'uno (dichiaratosi incompetente) all'altro giudice (ritenuto dal primo competente per ragioni di territorio, ma che a sua volta dubiti della propria competenza e la declini), ogniqualvolta si versi in una materia nella quale il giudice competente disponga di poteri di intervento d'ufficio, nel senso che le norme di legge lo abilitino ad una pronuncia d'ufficio in termini di iniziativa giudiziale del processo o di iniziativa giudiziale della pronuncia di merito, secondo il disposto dell'art. 2907 cod. civ. (Principio espresso in relazione ad un procedimento ablativo - limitativo della potestà genitoriale)”, edita in N. giur. civ. comm., 2003, p.369, con nota di E. CANAVESE, Figli contesi e giudice territorialmente competente. Più recentemente Cass., 16 ottobre 2008, n. 25290, nella quale con riferimento ai procedimenti de potestate si è affermato: “Con riguardo a tale tipo di procedimenti, siano essi promossi di ufficio o a istanza di parte, la mera trasmissione del fascicolo processuale da un ufficio giudiziario a un altro, con finalità dismissive della propria e attributive ad altri della competenza giurisdizionale, legittima l'ufficio che abbia ricevuto gli atti, e che si ritenga a sua volta incompetente, a sollevare conflitto di competenza e a chiedere il relativo regolamento di ufficio. In definitiva, in un procedimento tutto permeato di prevalenti poteri di ufficio (quale quello iniziato ex art. 333 c.c.), la trasmissione officiosa non è tanto un fatto di prassi, di cui si tratta di saggiare la tollerabilità in aggiunta al mezzo tipico della riassunzione a istanza di parte, quanto piuttosto il mezzo-principe attraverso cui la "crisi", aperta dalla pronuncia di incompetenza, va avviata a soluzione, indipendentemente dalla volontà e dalla diligenza di parte, perché così esige la finalità pubblicistica della procedura in questione.”. In questo senso, cfr. Relazione a cura di R. RUSSO, 22 15 a ritenere la competenza del tribunale per i minorenni nelle predette fasi di quiescenza del processo, non soltanto dovute alla pendenza dei termini per l'impugnazione ma anche dettate dall'insorgenza di cause interruttive, provvedimenti ex art. 295 cod. proc. civ. etc..”. 23 Qualora sia proposto appello competente a decidere, anche per le domande de potestate, sarà il giudice di secondo grado, mentre nel caso in cui sia pendente giudizio in Cassazione competente dovrà ritenersi il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, applicando analogicamente l’art. 373 c.p.c. 24. Maggiori dubbi possono esservi nel caso in cui la decisione non si ancora passata in giudicato e pendano i termini per l’impugnazione. In una recente decisione la Corte di Cassazione ha statuito che deve comprendersi nella nozione “durata del processo senza soluzione di continuità anche l’ipotesi in cui “sono in corso i termini per l’impugnazione pur se il gravame non sia stato ancora proposto” 25. L’interpretazione fatta propria dalla Suprema Corte potrebbe presentare delle difficoltà applicative. In primo luogo, se nel corso del procedimento di separazione o divorzio, in cui il provvedimento soggetto ad impugnazione è stato adottato, non siano state assunte misure limitative o ablative della responsabilità genitoriale, il PM che nel giudizio a quo ha assunto il solo ruolo di interveniente, potrà essere ritenuto parte, ai sensi dell’art. 336 c.c., e sarà dunque legittimato a proporre impugnazione nel caso ravvisi condotte pregiudizievoli per i figli? Inoltre, anche qualora a tale domanda venisse data risposta positiva potrebbe ritenersi opportuno, e dunque conforme al principio di economia processuale e di ragionevole durata del processo, instaurare un grado di appello ovvero un giudizio di legittimità avverso una decisione nella quale l’unico aspetto contestato riguardi le misure riguardo ai minori, e 23 Cass., ord. 26 gennaio 2015 n.1349 A simili conclusione perviene F. TOMMASEO, L’adempimento dei doveri parentali e le misure a tutela dell’affidamento: l’art. 709-ter c.p.c., in Fam. dir., 2010, p. 1057, nell’esaminare l’analoga disposizione contenuta nell’art. 709-ter c.p.c. che attribuisce al giudice del procedimento “in corso” la competenza ad 24 adottare i provvedimenti per risolvere le controversie tra genitori per l’esercizio della responsabilità genitoriale nonché le misure sanzionatorie. “L'art. 38, primo comma, disp. att. cod. civ. (come modificato dall'art. 3, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dall'1 gennaio 2013), si interpreta nel senso che, per i procedimenti di cui agli artt. 330 e 333 cod. civ., la competenza è attribuita in via generale al tribunale dei minorenni, ma, quando sia pendente un giudizio di separazione, di divorzio o ex art. 316 cod. civ., e fino alla sua definitiva conclusione, in deroga a questa attribuzione, le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un'ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva), spettano al giudice del conflitto familiare, individuabile nel tribunale ordinario, se sia ancora in corso il giudizio di primo grado, ovvero nella corte d'appello in composizione ordinaria, se penda il termine per l'impugnazione o sia stato interposto appello.”. Cass. , 26 gennaio 2015, n.1349 25 16 non le altre statuizioni? Si tratta di interrogativi ancora aperti ai quali è difficile dare una risposta univoca. Può ritenersi che sussista competenza non esclusiva, ma concorrente del TM e del TO, qualora siano spirati i termini per proporre impugnazione avverso il provvedimento di separazione o divorzio adottato dal TO, e le parti intendano ricorrere al giudice per adottare provvedimenti de potestate. In tale ipotesi la parte legittimata ad agire potrebbe “scegliere” di proporre ricorso per la modifica delle condizioni di separazione (ovvero ricorso ex art. 709-ter c.p.c.) adendo il TO, ovvero proporre al TM ricorso per l’adozione di provvedimenti de potestate, con la sola precisazione che qualora il ricorso ex art. 710 c.p.c. sia già pendente questo procedimento sicuramente attrarrà il procedimento de potestate successivamente proposto dinanzi al TM. La soluzione indicata non appare configgere con il principio di concentrazione delle tutele perché permette alle parti di valutare quale sia la risposta più confacente all’interesse dei minori, quando si sia in presenza di condotte pregiudizievoli dei genitori, e non sia stato preventivamente instaurato (dinanzi al TO) procedimento per la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, ovvero procedimento ex art. 709-ter c.p.c.. D. Riparto di comptenza tra TM e TO nei procedimenti ex art. 330 c.c. La novella del 2012 è chiara nell’attribuire, in nome della concentrazione delle tutela e aderendo alla posizione della Suprema Corte espressa nella più volte citata ordinanza n.20352/2011 26, al TO la competenza nell’adottare provvedimenti ex art. 333 c.c. quando siano in corso, tra le stessi parti, procedimenti di separazione, divorzio o ex art. 316 c.c. (ovvero di nullità, annullamento). Analoga chiarezza non si ravvisa con riferimento agli altri procedimenti che, ai sensi del nuovo art. 38 disp. att. c.c., rientrano nella competenza del TM, ponendo gravi interrogativi quanto ai procedimenti ablativi della responsabilità genitoriale proposti ex art 330 c.c.. La poca chiarezza della disposizione ha dato origine, già dalle prime applicazioni, a profonde divergenze. Molte corti di merito hanno sostenuto che la norma non si applicherebbe nell’ipotesi di procedimenti di decadenza dalla responsabilità genitoriale in quanto il richiamo contenuto nell’art. 38 disp. att. c.c. al primo periodo, non dovrebbe intendersi alla prima parte dell’articolo ma al “periodo precedente” quello che disciplina i procedimenti ex art. 333 c.c.; ciò garantirebbe la permanenza della competenza per la 26 Se ne riporta la massima: “La controversia relativa alla modifica delle condizioni della separazione (e del divorzio), nel cui giudizio sia chiesto l'affidamento esclusivo dei figli minori, appartiene all'esclusiva competenza del tribunale ordinario, anche quando la domanda, come nella specie, sia giustificata dall'esistenza di un grave pregiudizio per i figli minori, non essendo tale allegazione idonea a spostarne la competenza presso il tribunale dei minorenni.”. 17 dichiarazione di decadenza dalla responsabilità genitoriale al giudice specializzato quello meglio “attrezzato” per l’esame di tali procedimenti anche per il loro frequente collegamento con la procedura di adottabilità. Tra le decisioni di merito che hanno sostenuto questa interpretazione si segnalano: TM di Catania, 22 maggio 2013; TM di Brescia, 1 agosto 2013 27; TM di Palermo, 11 dicembre 2013. In questo senso le previsioni contenute nel Protocollo del Tribunale per i Minorenni di Brescia e Tribunale ordinario di Brescia. Tra le decisioni in materia adottate dai TO, si segnala la sentenza 4-11 dicembre 2013 del TO Milano, nella quale si legge “La novella ha ampliato le competenze del giudice ordinario solo con riguardo alle limitazioni ex art. 333 c.c., ma lasciando immutata l’esclusiva competenza del TM per le pronunce ex art. 330 c.c..” 28, Secondo diversa opzione ermeneutica la norma avrebbe attribuito al TO la competenza esclusiva per l’adozione di provvedimenti di decadenza della potestà, se adottati in pendenza di procedimenti di separazione e divorzio, o di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, e ciò in nome del pieno rispetto del principio della concentrazione delle tutele29. Tra i provvedimenti dei tribunali di merito che hanno adottato tale interpretazione si segnala il decreto del TM di Bari 30, nel quale il tribunale specializzato investito di domanda proposta dal pubblico ministero minorile per l’adozione di provvedimenti ex art 330 c.c., ha dichiarato la propria incompetenza a favore del TO dinanzi al quale pendeva procedimento separativo, non assegnando alcun termine per al riassunzione innanzi al TO sulla base della considerazione che il Pubblico ministero minorile non sarebbe legittimato ad agire dinanzi al TO 31. Tra gli In Fam. e dir., 2014, p.60, con nota di R. RUSSO, La competenza nei procedimenti de potestate dopo la novella dell’art. 38 disp. att. c.c.: il principio della concentrazione delle tutele e i rapporti tra giudice specializzato e giudice ordinario. 27 In Fam. e dir., 2014, p. 680, con nota di F. TOMMASEO, Provvedimenti limitativi de potestate e competenza per attrazione del giudice ordinario. 28 In dottrina sostengono tale opzione A. PROTO PISANI, ult. op. cit.; B. DE FILIPPIS, Nuovo riparto di competenze, cit.; F. DANOVI, I procedimenti de potestate dopo la riforma tra tribunale ordinario e giudice minorile, cit., il quale afferma “…non si può fare a meno di considerare i principi che hanno ispirato la proroga di competenza, e tra questi non tanto quelli di economia processuale e di concentrazione quanto piuttosto il principio di effettività della tutela. Quest’ultimo impone che l’insieme di statuizioni che l’autorità giudiziaria è chiamata ad assumere relativamente ad un stesso minore sia coerente ed uniforme, e non già soggetto a inaccettabili disarticolazioni”; G. DE MARZO, ult. op. cit.; CEA, Profili processuali della l. 219/12, in Giusto proc. civ., par. 4. Pur ritenendo che non si possa distinguere tra procedimenti ex art. 330 e 333 c.c. sulla base del riferimento alle “stesse parti” 29 ritengono, invece, che la competenza del TM continui a sussistere e non operi la forza attrattiva del TO qualora il procedimento de potestate sia stato proposto dal pubblico ministero minorile (cfr. supra) F. TOMMASEO, I procedimenti de potestate e la nuova legge sulla filiazione, in Riv. dir. proc, 2013 p. 558; G. IMPAGNATIELLO, ult. op. cit. 30 Decreto TM Bari 30 marzo 2013, in Giur. it., 2014, p.1128, con nota di B. POLISENO, Limiti alla competenza del tribunale ordinario per i provvedimenti de potestate. 31 M. VELLETTI, Quale giudice per i ricorsi ex articolo 330 c.c., in www. Questionegiustizia.it 18 altri tribunali di merito che ritengono che la competenza in materia di procedimenti di decadenza in caso di pendenza di procedimenti di separazione, divorzio o affidamento dei figli nati fuori del matrimonio sia ora da attribuire al TO, si segnala il TM di Roma che rimette ogni tipologia di procedimento al giudice ordinario qualora penda giudizio separativo o di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio e di TM di Sassari 32. Questa interpretazione è presente nel Protocollo redatto dal TM di Bari e dal TO di Foggia. Tale seconda opzione ermeneutica è stata accolta in un recentissimo decreto emesso dal TO di Pordenone 33 che risulta il primo nel quale è stata pronunciata la decadenza dalla responsabilità genitoriale da parte del giudice ordinario. Nella fattispecie considerata il Collegio pordenonese investito di una istanza di modifica delle condizioni di un divorzio, pronunciato all’estero e regolarmente trascritto in Italia, nella quale il genitore istante aveva formulato richiesta di decadenza dalla responsabilità genitoriale dell’altro genitore, ha affidato il minore in via esclusiva al genitore richiedente con potere di effettuare in via esclusiva anche le scelte di maggiore rilevanza per il minore (comprensive della scelta della residenza abituale e dell’eventuale espatrio), ed ha pronunciato la decadenza dalla responsabilità genitoriale dell’altro genitore. Le condotte contrarie all’interesse del minore sono state individuate nella pregressa sottrazione del figlio ad opera del genitore dichiarato decaduto con “avventuroso rientro della minore in Italia per via consolare” e “assoluto disinteresse del padre nella gestione della relazione di affido” nonché nella totale mancanza di partecipazione agli oneri di mantenimento. Il dado è tratto. Tuttavia, l’ambigua formulazione dell’art.38 disp. att. c.c., potrebbe lasciare aperta una terza interpretazione: il legislatore invece di elencare nella prima parte della disposizione, accanto all’art. 333 c.c., le altre norme che individuano la competenza del TM è ricorso ad una formulazione molto più “complessa”, utilizzando come incipit della frase in esame la locuzione “in tale ipotesi” quasi a voler richiamare l’intera fattispecie descritta nella prima parte, del secondo periodo, del nuovo art. 38 disp. att. c.c.. Interpretando letteralmente la disposizione perché operi la vis attractiva del TO non sarebbe, pertanto, sufficiente che siano pendenti procedimenti di separazione o divorzio, ma sarebbe necessario che il TO, dinanzi al quale siano in corso tali giudizi, sia già stato investito di ricorsi ex art. 333 c.c.. Gli ambiti di applicazione della disposizione sarebbero limitati alle ipotesi in cui il TO sia stato investito di ricorsi per valutare condotte pregiudizievoli a danno dei minori. Accogliendo questa interpretazione, la disposizione sarebbe stata introdotta per chiarire che in tal caso il giudice ordinario, che ex art. 336 c.c. avrebbe pieni poteri d’ufficio, potrebbe 32 Ordinanza 14 gennaio 2014 33 Decreto 21 maggio 2015, 19 pronunciare anche provvedimenti di decadenza pur se investito di ricorsi ai sensi dell’art. 333 c.c. (assicurando comunque il pieno contraddittorio sul punto qualora si profili tale “ampliamento” della domanda). Questa interpretazione, seppur complessa avrebbe il fine di mantenere alla competenza del giudice specializzato i ricorsi ex art. 330 c.c., autonomamente prospettati come tali, prevedendo la vis attractiva del TO solo nelle ipotesi in cui da un iniziale ricorso ex art. 333 c.c. discenda, all’esito del giudizio ed assicurata la pienezza del contraddittorio anche sulla nuova “domanda”, la necessità di adottare un provvedimento di decadenza dalla responsabilità genitoriale, quale unico rimedio per salvaguardare la tutela del minore da comportamenti pregiudizievoli. Altro elemento testuale a favore dell’interpretazione prospettata potrebbe ravvisarsi nell’uso del termine “provvedimento” nella parte finale del nuovo art. 38 disp. att. c.c., mentre quando il legislatore si è riferito all’art. 333 c.c. ha utilizzato il termine “procedimento”, quasi a sottolineare che la vis attractiva del TO si esplica solo nei casi di procedimenti ex art. 333 c.c. (i soli da considerare come “procedimenti camerali incidentali” analogamente a quelli disciplinati dell’art. 709-ter c.p.c.), mentre non sarebbe ravvisabile analoga situazione nel caso di procedimenti ex art. 330 c.c., per i quali il TO non sarebbe investito dell’intero procedimento (che rimarrebbe di competenza del TM) ma solo del potere di emettere il provvedimento finale (nei casi tassativamente indicati). L’esigenza di differenziare il trattamento dei ricorsi ex art. 330 e 333 c.c., potrebbe essere ravvisata nella stretta relazione tra i procedimenti per la decadenza dalla potestà e i procedimenti per la dichiarazione di adottabilità (cfr. art. 9, 10, 16, 23 e 25 l.n. 184/1983 34. Peraltro la profonda differenza tra i due procedimenti de potestate, quelli ex art. 330 e ex art. 333 c.c., si rileva anche dalla lettura dell’ordinanza della Suprema Corte (ord. n.20352, del 5 ottobre 2011), nella quale pur affermando la competenza del giudice della separazione e del divorzio ad adottare provvedimenti riconducibili all’ambito di applicazione dell’art. 333 c.c. si chiarisce che: “Per tentare di risolvere la complessa questione, va osservato che la modifica delle condizioni di separazione (o di divorzio) può essere chiesta dai coniugi anche nel caso di comportamento pregiudizievole del genitore, ma pure di grave abuso che potrebbe dar luogo a pronuncia di decadenza della potestà: è da ritenere che ci si debba rivolgere al Tribunale ordinario (salvo che si chieda espressamente la decadenza, di esclusiva competenza del Tribunale per i Minorenni).” La Suprema Corte sottolinea quindi la diversità “ontologica” tra i provvedimenti ex art. 333 e 330 c.c., e se si ritiene, come in questa sede, che la novella 34 Va precisato che molte delle norme indicate richiamano genericamente gli art. “330 e seguenti del codice civile” e dunque anche l’art. 333 c.c., ma è intuibile come la diversa ampiezza di un provvedimento di decadenza dalla potestà, neppure astrattamente richiamato dalle norme che disciplinano l’affidamento dei minori all’esito di un procedimento di separazione e divorzio, nelle quali è al massimo prevista la possibilità di disporre l’affidamento etero familiare, impongono di distinguere la decadenza dalla responsabilità genitoriale dagli altri provvedimenti ex art. 333 c.c.. 20 sia intervenuta per cristallizzare quanto già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, di tale differenza dovrebbe tenersi conto. Peraltro, mentre nei procedimenti ex art. 333 c.c., analogamente a quanto può accadere nell’adozione dei provvedimenti ai sensi dell’art. 337-ter, non si interviene sulla titolarità della responsabilità genitoriale ma sul suo esercizio, nei procedimenti ex art. 330 c.c. si interviene sulla titolarità della responsabilità genitoriale, con rilevanti differenze. D.Primi interventi della Suprema Corte Dalle prime decisioni della Corte di Cassazione non sembrano giungere indicazioni univoche rispetto al riparto di competenze tra TM e TO quanto ai procedimenti ex art. 330. c.c.. Nell’ordinanza n.21633/2014 si legge a commento del novellato art. 38 disp. att. c.c. “va rilevato che il testo legislativo non è univoco nel limitare l’applicazione della citata disposizione di cui all'art. 38 disp. att. c.c., primo comma, alla sola ipotesi del procedimento di cui all'art. 333 c.c. dato che, nella disposizione in esame, lo stesso legislatore richiama i provvedimenti contemplati negli articoli 84, 90, 330, 332, 334, 335 e 371 c.c. affermando che "in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario". Risponde a una interpretazione logica, oltre che diretta a salvaguardare la coerenza testuale della norma, ritenere, come ha fatto il P.G. nella requisitoria, che l'effetto attrattivo previsto dall'art. 38 si riferisce alla ipotesi della proposizione di un ricorso ex art. 333 c.c. e ai casi in cui l'esame di tale ricorso renda necessaria la pronuncia dei citati provvedimenti e specificamente della decadenza dalla responsabilità genitoriale….va tenuto in conto il requisito della identità delle parti, richiesto dall'art. 3 della legge n. 219 del 2012 come presupposto per l'attrazione della competenza da parte del giudice ordinario, requisito che non ricorre nella specie”. La decisione sembre aderire all’ultima delle soluzioni interpretative sopra richiamate affermando che la vis attractiva opererebbe in favore dle giudice ordinario quando penda un procedimento di separazione, divorzio o ex art. 316 c.c., nel quale sia stato proposto ricorso ex art. 333 c.c., mentre resterebbe ferma la competenza del giudice minorile, qualora vi sia diretta domanda ex art. 330 c.c., anche in ragione della mancanza del requisito delle stesse parti. Di segno opposto quanto si legge nella ordinaza n.1349/2015 nella quale si afferma la vis attractiva del TO, in pendenza di procedimenti di seprazione, divorzio o ex art. 316 c.c., con una sola eccezione: il caso di azione proposta dal PM minorile che possa determinare l'apertura di un procedimento volto alla dichiarazione di adottabilità o a misure minori quali l'affido etero familiare (artt. 2 - 5 l. n. 184 del 1983). Nella decisione dopo un’ampia e puntuale premessa quanto all’individuazione dei confini tra la domanda di affidamento esclusivo per comportamento pregiudizievole dell’altro genitore e la richeista di provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale 21 proposta in pendenza di conflitto familiare, con presa d’atto della loro sostanziale “indistinguibilità”, quanto al novellato art. 38 disp. att. c.c. si legge: “possono enuclearsi alcune prescrizioni chiare: I procedimenti ex art. 333 cod. civ., diretti ad ottenere misure limitative della responsabilità genitoriale sono di competenza del giudice non specializzato in pendenza del giudizio di separazione e "per tutta la durata del processo"; la pendenza per i procedimenti che s'instaurano con ricorso si determina dal deposito dell'atto con il quale s'instaura il giudizio. Tale modello introduttivo di procedimento si applica anche ai procedimenti riguardanti figli nati fuori del matrimonio e alle azioni limitative o di decadenza dalla responsabilità genitoriale ex art. 38, terzo comma, disp. att. cod. civ.. la locuzione "per tutta la durata del processo" sta ad indicare un continuum che non si interrompe nelle fasi di quiescenza (in particolare, in pendenza dei termini per l'impugnazione), ma esclusivamente con il passaggio in giudicato…… rimane invece controversa la competenza nelle azioni di decadenza dalla responsabilità genitoriale (art. 330 cod. civ.) in pendenza di un giudizio relativo ad un conflitto familiare, promosse in via esclusiva od unitamente alla richiesta, anche in via subordinata, di provvedimenti limitativi della medesima responsabilità.” E con riferimento a questa questione, ritenuta controversa, la Suprema Corte afferma che chiave ermeneutica è l’attuazione del principio di concentrazione delle tutele, che spingerebbe verso la vis attractiva del TO, ma con una diversificazione: “Da un lato, devono evidenziarsi le situazioni di criticità segnalate (art. 9 l. n. 184 del 1983) o rilevate dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni che possono determinare l'apertura di un procedimento volto alla dichiarazione di adottabilità o a misure minori quali l'affido etero familiare (artt. 2 - 5 l. n. 184 del 1983). L'accertamento di questa tipologia di situazioni può determinare l'avvio di procedimenti limitativi od ablativi della responsabilità genitoriale, non dettati da un conflitto genitoriale e saldamente ancorati alla competenza del giudice specializzato. Dall'altro, all'interno delle controversie relative all'affidamento dei figli minori possono sorgere situazioni che richiedono, a domanda di parte o d'ufficio, l'adozione di provvedimenti incidenti sulla responsabilità genitoriale. La competenza del giudice ordinario è limitata a questa seconda categoria di situazioni, nelle quali la partecipazione e l'incidenza del potere d'impulso e partecipazione del pubblico ministero è inferiore a quella rilevata nella prima ipotesi e comunque non ostativa al radicamento della competenza presso il tribunale ordinario (la locuzione utilizzata dal legislatore è quella impropria di "giudice ordinario"). Non si ritiene, di conseguenza, che possa astrattamente escludersi la competenza del giudice ordinario nelle azioni relative alla decadenza o alla limitazione della responsabilità genitoriale solo perché non s'integra il requisito delle "stesse parti". È sufficiente che nel giudizio sull'affidamento e nell'azione ex art. 330 e/o 333 cod. civ. siano parti i genitori non che debba escludersi 22 la partecipazione del pubblico ministero anche come organo d'impulso del procedimento anche quando tale impulso provenga dall'ufficio del p.m. presso il tribunale per i minorenni, potendo gli uffici del p.m. porre in atto meccanismi di raccordo e trasmissione degli atti del tutto legittimi. La questione cruciale riguarda l'incidenza di queste azioni sul giudizio relativo all'affidamento già pendente. Il nesso è diretto ed inequivoco: il regime dell'affidamento del figlio minore risulterà fortemente condizionato dall'adozione di misure volte a escludere o limitare la responsabilità genitoriale. L'applicazione del principio della concentrazione delle tutele ha, di conseguenza, anche l'effetto di evitare la proposizione di azioni "di disturbo" volte a paralizzare l'efficacia di statuizioni non gradite, puntando sulla mancata conoscenza completa della situazione di conflitto genitoriale o sull'allegazione di fatti diversi. Deve, inoltre, osservarsi come nella specie, nella predominante maggioranza dei casi, le parti chiedano sia la misura maggiore della decadenza dalla responsabilità genitoriale che quella minore volta alla limitazione della medesima. La proposizione delle due domande impone il simultaneus processus presso il giudice del conflitto genitoriale, ostando alla ratio ispiratrice della norma di modifica della competenza la scissione tra di esse e l'attribuzione dell'una (art. 330 cod. civ.) al giudice specializzato e l'altra (art. 333 cod. civ.) al giudice ordinario. A tale ultimo riguardo deve osservarsi che il potere officioso del giudice con riferimento ai provvedimenti da assumere nel preminente interesse del minori può senz'altro condurre all'adozione di una misura limitativa della responsabilità genitoriale (art. 333 cod. civ.) anche ove sia stata richiesta soltanto la decadenza. Tale potere-dovere, espressamente previsto come misura interinale ex art. 330 secondo comma cod. civ., può anche essere confermato nella decisione finale, così come non può ravvisarsi mutatio libelli nell'ipotesi in cui proposta la domanda come rivolta esclusivamente alla decadenza dalla responsabilità genitoriale, la parte richieda nella definizione del thema decidendi anche l'adozione di misure conformative minori della responsabilità genitoriale. L’ordinanza conclude affermando: “la ricomprensione nella competenza del giudice ordinario dell'azione volta a richiedere un "provvedimento limitativo od ablatorio della potestà" proposta da una delle parti del giudizio pendente relativo alla separazione personale delle parti; la competenza del tribunale ordinario nelle condizioni sopraindicate in tutte le ipotesi di proposizioni di domande nelle quali si richiedono sia provvedimenti ex art. 330 che ex art. 333 cod. civ., ovvero domande connesse soggettivamente ed oggettivamente.” Di segno diverso l’ordinaza del 12.2.2015 n.2837 nella quale la Suprema Corte chiamata a decidere sul ricorso per regolamento di comptenza proposto nell’ambito di un procedimento nel quale su istanza di un genitore, presentata dinanzi al TM per la dichiarazione di decadenza dalla “potestà” (rectius: responsabilità) genitoriale e conseguente affidamento esclusivo dei figli, il TM aveva dichiarato la propria incomptenza e il TO adito, parimenti si era ritenuto incompetente, proponendo ricorso per regolamento di competenza d’ufficio stante il conflitto negativo, è stata affermata la competenza del giudice specializzato in quanto “oggetto della domanda attrice è la decadenza della potestà genitoriale rientrante nelle giurisdizione del TM”. La difficoltà 23 di interpretare questa sintetica decisione deriva dalla narrativa della stringata ricostruzione fattuale che sembra far emergere la contemporanea proposizione di ricorso ex art. 330 e ricorso per l’affidamento esclusivo dei figli. Ma stante la proposizione di domanda di affidamento, non poteva ritenersi pendente procedimento ex art. 316 c.c., in grado di attrarre la competenza al TO? Tutte le soluzioni proposte presentano inconvenienti e difficoltà. Quella che attribuisce al TO la competenza in tutti i casi di 330 c.c. proposti in corso di giudizio di separazione, divorzio o ex art. 316 c.c., potrebbe far “dilatare” i tempi del giudizio ordinario, data la delicatezza dell’accertamento per giungere ad una pronuncia di decadenza; attribuirebbe ad un giudice, e ad un PM, non specializzato una materia nella quale la specializzazione è particolarmente importante; potrebbe sollevare problemi di forma del provvedimento emesso (la pronuncia di decadenza confluirebbe come autonoma statuizione nella sentenza? ovvero avrebbe contenuto autonomo?); potrebbe rendere difficoltoso il successivo “monitoraggio” del provvedimento adottato e l’eventuale raccordo con una procedura di adottabilità; criticità potrebbero presentarsi per l’eventuale revoca del provvedimento che potrebbe essere adottata dal giudice specializzato qualora non sia più in corso il procedimento di separazione o divorzio. Ritenendo che la competenza per i procedimenti ex art. 330 c.c. sia sempre attribuita al giudice specializzato, pur in pendenza di separazione ,divorzio o giudizio ex art. 316 c.c., si potrebbe realizzare una duplicazione di accertamenti sulla condizione del minore, con possibili “conflitti” tra le decisioni delle diverse autorità giudiziarie, nonché con il rischio di un uso distorto della norma qualora uno dei genitori insoddisfatto della decisione pronunciata dal TO prospetti una domanda decadenza al solo fine di distogliere la decisione dal giudice naturale. Ogni soluzione intermedia (compresa quella presente nell’ord. N.21633/2014, ovvero nell’ord. N. 1349/2015 che seppur diverse nelle soluzioni prospettate ritengono entrambe che vi siano margini per riconoscere la competenza del TM nei procedimenti ex art. 330 c.c. quando sia pendente procedimento di sperazioen divorzio o ex art. 316 c.c.) presenterebbe gli inconvenienti già indicati, oltre alle difficoltà derivanti dell’impossibilità di individuare in via preventiva se un procedimento di decadenza sfocerà in una futura procedura di adottabilità ovvero rimarrà nell’ambito del “conflitto genitoriale”. Dall’esame del secondo comma del novellato art. 38 disp. att. c.c., emergono molti dubbi e difficoltà ermeneutiche, l’unica certezza è che la novella imporrà al PM ordinario di assumere un ruolo maggiormente “attivo” nell’ambito dei procedimenti di separazione e divorzio, poiché al loro interno potranno instaurarsi sub-procedimenti de potestate nell’ambito dei quali il PM è destinato ad avere un ruolo di parte. Inoltre, sarà necessario uno stretto collegamento tra le Procure specializzate e quelle ordinarie per permettere un continuo scambio di informazioni; affinché la novella non si trasformi in nuova occasione di conflitti di competenza sarà opportuno e necessario 24 uno stretto collegamento tra TM e TO. Infine, sempre più urgente è una riflessione complessiva sul ruolo del minore in questi procedimenti sulla sua qualificazione come parte sostanziale, e dunque sulla nomina di un curatore e di un difensore che potrebbero vedere ingresso nei procedimenti di separazione o divorzio qualora si ritenesse che nessuna competenza residua più in capo dei TM, neppure con riferimento ai procedimenti ex art. 330 c.c., quando siano in corso procedimenti di seprazione , divorzio o ex art. 316 c.c.. Il variegato quadro che si sta delineando non giova alla chiarezza del diritto. L’interprete si trova di fronte ad insormontabili difficoltà applicative che solo interventi chiarificatori della Suprema Corte ed un aspicabile intervento legislativo potranno dirimere. Con la certezza che fino a quando due autorità giurisdizionali dovranno dividere la competenza in merito ai provvediemtni da adottare nei confronti di figli minori le tante questioni richiamte non potranno avere soluzione. Monica Velletti 25