Pratica del processo minorile civile e penale

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Pratica del processo minorile civile e penale
STRUTTURA TERRITORIALE DI FORMAZIONE DECENTRATA DEL DISTRETTO DI MILANO
“I MINORI NELLA FAMIGLIA IN CRISI E NON ACCOMPAGNATI. ASCOLTO ED
INTERVENTO DEL GIUDICE”
Codice corso D 15270
PALAZZO DI GIUSTIZIA DI MILANO
Milano, 15 giugno 2015
Riparto di competenza (TO e TM): i provvedimenti di
affido e di limitazione o decadenza della responsabilità
genitoriale
Monica Velletti 1
1 Monica Velletti, giudice presso la Prima Sezione Civile del Tribunale di Roma
1
Sommario:
a. La lunga evoluzione del riparto di comptenza tra TM e TO
b. Articolo 38 delle disposizioni di attuazione c.c.
c. Riparto di comptenza tra TM e TO nei procedimenti de potestate
c.1. Procedimenti per i quali opera la vis attractiva del To
c.2. Significato da attribuire alla locuzione “stesse parti”
c.3. Rapporto tra il principio della perpetuatio jurisdictionis e quello della
concentrazione delle tutele
c.4. Modalità di rimessione del procedimento de potestate dal TM al TO
c.5. Significato da attribuire alla locuzione procedimento “in corso”
d. Riparto di comptenza tra TM e TO nei procedimenti ex art. 330 c.c.
d.1. Primi interventi della Suprema Corte
2
A. La lunga evoluzione del riparto di comptenza tra TM e TO
Il tema del riparto di competenze tra Tribunale ordinario (nel prosieguo TO) e
Tribunale per il minorenni (nel prosieguo TM) rappresenta uno dei più controversi e
dibattuti, dopo l’entrata in vigore della riforma della filiazione. Nell’impianto originario
il disegno di legge, poi divenuto legge n.219/2012, doveva disciplinare i soli aspetti
sostanziali della filiazione, introducendo norme per garantire l’unicità dello stato di
figlio ed il superamento delle discriminazioni tra figli nati fuori del matrimonio e figli
nati nel matrimonio. Nel corso dei lavori parlamentari venne introdotta una norma di
carattere processuale, che modificando l’art. 38 disp. att. c.c., ha diversamente
distribuito le competenze tra TM e TO 2.
La norma di oscura formulazione, ha dato luogo a dibattiti dottrinali e a divergenti
interpretazioni; le difficoltà ermeneutiche si sono presto tradotte in divergenze
applicative originando diversi orientamenti nei tribunali di merito e finanche ad una
questione di costituzionalità sollevata proprio sul novellato art. 38 disp. att. c.c..
Il Tribunale di Firenze, Sezione I Civile, infatti, con ordinanza del 5 giugno 2014 3 ha
sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art.38, comma 1, disp. att. c.c., nella
parte in cui prevede che “Sono di competenza del tribunale per i minorenni i
provvedimenti contemplati dagli articoli, omissis, 330, omissis, 333, omissis, del codice
civile.”. La questione è stata sollevata nell’ambito di un procedimento ex art. 709 ter
c.p.c., instaurato qaundo era già pendente procedimento ex art. 330/333 c.c. dinanzi al
TM; il Collegio fiorentino lamentando la “confusione sostanziale e processuale della
norma” e “l’assoluta irrazionalità” della scelta legislativa ha chiesto l’intervento della
Consulta.
Il primo comma, dell’art. 3, della l.n.219/2012, ha riformulato l’art. 38 disp. att. c. c.,
norma tradizionalmente destinata ad individuare nel primo comma le competenze del
TM, individuando, nel secondo comma, con il criterio della residualità, i procedimenti
di competenza del TO.
TM e TO costituiscono uffici giudiziari nettamente distinti, pertanto la ripartizione dei
compiti é questione attinente la “competenza in senso tecnico”, con rilevanti
conseguenze quanto agli strumenti da attivare per risolvere le controversie concernenti
i limiti delle attribuzioni riservate all’uno o all’altro organo giurisdizionale 4.
2
Per la ricostruzione dell’iter legislativo di approvazione della l.n. 219/2012, cfr. M. VELLETTI, Commento
alla riforma del diritto della filiazione (l. 10 dicembre 2012, n.219), in Nuove leggi civ. comm., 2013, p.
596.
3
Tribunale Firenze, ord. 5 giugno 2014, in www.Questionegiustizia.it
4
Cfr. Cass., 18 novembre 1975, n.3864
3
Il riparto di competenze tra TM e TO in ordine ai provvedimenti relativi prima al solo
affidamento, e poi anche al mantenimento dei minori, ha avuto un’evoluzione lunga e
travagliata. Prima della novella i procedimenti de potestate (ex art. 330 e ss. c.c.) erano
espressamente attribuiti al giudice specializzato, mentre al TO era attribuita la
competenza per le decisioni in merito all’affidamento ed al mantenimento dei figli
assunte nell’ambito dei procedimenti di separazione e divorzio. Fino agli ani ‘80 i
possibili conflitti tra TM e TO erano limitati ai procedimenti di modifica dei
provvedimenti relativi all’affidamento dei minori, attribuiti al TM 5, dopo un intervento
delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione venne precisato che la revisione delle
condizioni di affidamento dei figli minori, a seguito di procedimenti di separazione o
divorzio (ma anche di annullamento del matrimonio), rientrava nella competenza del
TM “nei soli casi in cui come causa di quella revisione si chieda un intervento ablativo
o limitativo della potestà genitoriale sulla prole, a norma degli artt. 330 e 333 c.c.,
mentre, in ogni altro caso, sono devoluti alla competenza del tribunale ordinario” 6. Da
subito emerse la difficoltà di delimitare i confini tra i provvedimenti di affidamento e
quelli de potestate, stante il rischio che la diversa prospettazione delle parti, tesa a
qualificare il comportamento di uno dei due genitori come pregiudizievole per il figlio,
potesse portare all’attribuzione della competenza al giudice ordinario ovvero a quello
specializzato.
La convivenza tra TM e TO ha conosciuto un’ulteriore complessa evoluzione dopo
l’approvazione della legge 8 febbraio 2006, n.54, che ha modificando gli art. 155 e ss..
c.c., in quanto l’articolo 4, della l.n. 54/2006, ha espressamente previsto che tali
disposizioni venissero applicate “anche in caso di scioglimento, di cessazione degli
effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di
genitori non coniugati”. All’indomani dell’entrata in vigore della novella la Suprema
Corte è stata, più volte, chiamata a pronunciarsi su questioni attinenti la corretta
interpretazione di tali norme, che hanno creato notevoli difficoltà ermeneutiche
proprio quanto alla ripartizione di competenza tra TO e TM. La situazione che si era
creata era caratterizzata da differenze e sovrapposizioni: il TM era ritenuto
pacificamente competente (come prima della riforma) per l’adozione di provvedimenti
in materia di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, mentre di più difficile
soluzione era la questione attinente la competenza in merito all’adozione dei
provvedimenti in materia di loro mantenimento. La Suprema Corte 7 stabilì che il TM
5
Cass., 29 gennaio 1982, n.573.
Cass., S.U., 2 marzo 1983, n. 1551, pubblicata in Giur. it, 1983, p. 1416 con nota di P. VERCELLONE,
L’intervento giudiziario per l’affidamento dei figli minorenni in occasione di separazione o divorzio dei
genitori.
6
Cass., 22 marzo 2007, n. 8362 in Fam. dir., 2007, p. 447 con nota di F. TOMMASEO, Filiazione
naturale ed esercizio della potestà: la Cassazione conferma (ed amplia) la competenza del Tribunale
minorile. Tale orientamento è stato ribadito con ordinanza Cass., 20 settembre 2007, n.19406.
7
4
fosse competente in ordine all’emanazione di ogni provvedimento concernente sia
l’affidamento sia il mantenimento della prole, nata da genitori non coniugati,
valorizzando il principio della concentrazione delle tutele. Malgrado tali pronunce la
concentrazione delle tutele non è stata pienamente realizzata, poiché la mancata
abrogazione dell’art. 148 c.c., procedimento speciale di natura ingiuntiva per
determinare la misura del concorso al mantenimento dei figli da parte dei genitori (e
degli ascendenti), ha comportato come conseguenza che qualora una controversia
riguardasse unicamente diritti patrimoniali, relativi a figli nati fuori del matrimonio, la
competenza fosse del TO. Giova, altresì, evidenziare come la materia sia stata oggetto
di vaglio di legittimità costituzionale: tre questioni, dichiarate inammissibili, sono state
sottoposte al giudice delle leggi, che con le ordinanze 18 febbraio 2009, n.47; 5
febbraio 2009, n. 129; 5 marzo 2010 n. 82, ha ritenuto conforme alla Costituzione l’art.
4 della l.n. 54/2006, come interpretato dalle decisioni della Suprema Corte, sopra
richiamate, in tema di riparto delle competenze.
Il quadro normativo, alla vigilia dell’entrata in vigore della l. n.129/2012, si presentava
quindi articolato e complesso, con riferimento ai procedimenti relativi all’affidamento e
al mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio: erano attribuite alla competenza
del TO le domande ex art. 148 c.c., aventi ad oggetto controversie attinenti unicamente
a diritti patrimoniali, mentre rientravano nella competenza del TM le controversie
relative all’affidamento ed al mantenimento dei figli, come pure le controversie relative
ai soli aspetti dell’affidamento. Tale riparto di competenze non esente da
strumentalizzazioni e difficoltà applicative, è stato superato con l’attribuzione, in forza
del novellato art. 38 disp. att. c.c., di tutte le controversie di affidamento e
mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio al TO.
L’altra area interessata da ricorrenti conflitti di competenza era quella della
contemporanea pendenza di procedimenti di separazione o divorzio, instaurati dinanzi
al TO, e di procedimenti ex art. 333 c.c., proposti dinanzi al TM, allegando
comportamenti pregiudizievoli per i figli da imputare all’altro genitore. La
contemporanea pendenza di procedimenti separativi e de potestate produceva effetti
distorsivi, con rischio di contraddittorietà di giudicati, sovrapposizione di accertamenti
sul minore, che poco giovavano alla concentrazione delle tutele, alla celerità dei giudizi,
ma soprattutto alla serenità dei soggetti coinvolti in tali vicende. Su tali aspetti è più
volte intervenuta la Corte di Cassazione, che dopo numerose pronunce di diverso
orientamento, nella sentenza 10 ottobre 2008, n. 24907 8, in una fattispecie avente ad
oggetto l’affidamento di due minori ai servizi sociali pronunciato nell’ambito di un
procedimento di separazione, richiesta di valutare se tale statuizione esulasse dalle
competenze del TO, ha ritenuto privo di fondamento il motivo di censura: “in quanto
prende le mosse da una concezione angusta e formalistica non solo del più generale
riparto di competenze fra Tribunale ordinario (quale giudice della separazione o del
8
Nello stesso senso cfr. Cass., 5 ottobre 2011, n.20354
5
divorzio), e Tribunale per i minorenni, ma degli stessi confini dei provvedimenti in
concreto assumibili – in sede di separazione o di divorzio – in materia di affidamento
dei figli minori, dal Tribunale ordinario; confini che si arresterebbero sulla soglia della
alternativa secca fra i due genitori e precluderebbero del tutto, al giudice ordinario, di
assumere provvedimenti più articolati i quali, pur senza pretermettere radicalmente i
genitori, si facciano carico del contingente interesse dei minori stessi. Un tal limite non
esiste, ne’ è dato rinvenirlo in nessuna disposizione codicistica in tema di separazione,
ne’ nella legislazione in tema di divorzio (L. n. 898 del 1970, e sue successive
modificazioni), ne’ – tantomeno – in una ricostruzione sistematica del complesso di
disposizioni normative che disciplinano l’“affido” dei figli minori in sede di pronuncia
di separazione dei coniugi o di “divorzio”, ricostruzione che non può di certo condursi
ad una lettura riduttiva dell’interesse dei minori alla adozione della soluzione più
compiuta e confacente, realizzata nel rispetto del primario criterio della
“concentrazione” e dell’“organicità” dei provvedimenti.”.
In questo confuso e articolato quadro 9, contrassegnato da conflitti negativi di
competenza e da contrasti dottrinali e giurisprudenziali è stata adottata la legge
n.219/2012, che se risolve alcune delle difficoltà richiamate, non appare in grado, data
l’“ambigua” formulazione di superarne altre.
B.
Articolo 38 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile
Il primo comma, dell’art. 3, della l.n. 219/2012, ha sostituito integralmente l’art. 38 RD
30 marzo 1942, n.318, individuando le competenze del TM; alla norma il d. leg.vo 28
dicembre 2013 n. 154, ha aggiunto un periodo precisando che sono di competenza del
tribunale specializzato i procedimenti ex art. 251 c.c. (autorizzazione al riconoscimento
di figlio nato da persone tra le quali esiste un vincolo di parentela) e quelli di cui
all’art. 317 bis c.c. (rapporti con gli ascendenti).
Il testo del nuovo articolo 38 disp. att. c.c.( ), in vigore dal 1 gennaio 2013, così recita:
«Art. 38. – Sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti
contemplati dagli articoli 84, 90, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, del
codice civile. Per i procedimenti di cui all’articolo 333 resta esclusa la competenza del
tribunale per i minorenni nell’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di
separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’articolo 316 del codice civile; in tale
ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti
contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario.
Sono, altresì, di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati
dagli articoli 251 e 317-bis del codice civile.
9
Per un puntuale quadro sul riparto di competenze al momento della entrata in vigore delle l.n.219/2012,
M.C. GATTO, La tutela della prole tra giudice minorile e giudice ordinario, in Fam. dir., 2010, p. 639
6
Sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti relativi ai minori per i quali non è
espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria. Nei
procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applicano, in
quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile.
Fermo restando quanto previsto per le azioni di stato, il tribunale competente
provvede in ogni caso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, e i
provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga
diversamente. Quando il provvedimento è emesso dal tribunale per i minorenni, il
reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i minorenni.».
Il precedente testo dell’art. 38 disp. att. c.c., attribuiva al TM maggiori competenze,
riservando al tribunale specializzato i procedimenti di: ammissione al matrimonio
dell’ultrasedicenne (art. 84 c.c.); nomina di un curatore per l’assistenza nelle
convenzioni matrimoniali (art. 90 c.c.); destinazione ai figli di una quota dei beni del
fondo patrimoniale (art. 171 c.c.); costituzione di usufrutto sui beni del coniuge non
affidatario in caso di divisione della comunione (art. 194, secondo comma, c.c.);
sentenza che tiene luogo del consenso mancante in caso di riconoscimento di figlio
nato fuori del matrimonio cui si opponga l’altro genitore che abbia già effettuato il
riconoscimento (art. 250 c.c.); affidamento del figlio nato fuori del matrimonio e suo
inserimento nella famiglia del genitore coniugato (art. 252 c.c.); decisione
sull’assunzione del cognome da parte del figlio nato fuori del matrimonio (art. 262
c.c.); autorizzazione a impugnare il riconoscimento (art. 264 c.c.); dichiarazione
giudiziale di paternità e maternità nel caso di figlio minore (art. 269, primo comma,
c.c.); provvedimenti in caso di contrasto dei genitori su questioni di particolare
importanza nell’esercizio della potestà genitoriale (art. 316, c.c.) ; provvedimenti
sull’esercizio della potestà sui figli nati fuori del matrimonio (ex art. 317-bis, c.c., nel
testo ante novella del 2013); provvedimenti de potestate, modificativi e ablativi della
potestà genitoriale (artt. 330-335 c.c.); provvedimenti di autorizzazione del minore a
continuare l’esercizio dell’impresa (371, ultimo comma).
Molte di queste competenze sono ora transitate al TO, restando di competenza del TM
(limitando l’analisi alle disposizioni contenute nel codice civile 10) i provvedimenti
contemplati dagli articoli 84 c.c.(ammissione al matrimonio dell’ultrasedicenne), 90 c.c.
(nomina di un curatore per l’assistenza nelle convenzioni matrimoniali), 330-335
c.c.(provvedimenti de potestate); 371, ultimo comma, c.c. (provvedimenti di
autorizzazione del minore a continuare l’esercizio dell’impresa); oltre al procedimento
per l’autorizzazione al riconoscimento del figlio nato tra persone legate da vincoli di
parentela in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado, introdotto
10
Tra le altre competenze in materia civile del TM si richiamano le norme in materia di adozione e
affidamento contenute nella l.n. 184/1983; di riconoscimento ed esecuzione delle decisione emesse da
autorità estere in materia di affidamento dei minori e sottrazione internazionale (l.n. 64/94); di
immigrazione (art. 31 d. lgs. n.286/98).
7
dal novellato art. 251 c.c., e ai procedimenti ex novellato art. 317-bis c.c. relativo al
diritto degli ascendenti di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni.
Nell’ambito del diverso riparto di competenza l’aspetto più problematico è quello
relativo ai procedimenti de potestate.
C.
Riparto di competenza tra TM e TO nei procedimenti de potestate.
Il novellato art. 38 disp. att. c.c. 11 attribuisce la competenza per i procedimenti de
potestate al TM, essendo i provvedimenti di cui agli artt. 330 (decadenza della potestà
sui figli); 332 (reintegrazione della potestà); 333 (condotta del genitore pregiudizievole
ai figli); 334 (rimozione dall’amministrazione); 335 (riammissione nell’esercizio
dell’amministrazione) espressamente attribuiti al giudice specializzato. Ma
l’attribuzione di tali competenze al TM presenta un limite: nella seconda parte, del
primo comma, del nuovo art. 38 disp. att. c.c., è previsto che qualora siano in corso,
tra le stesse parti, giudizi di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’art. 316 c.c.,
per tutta la durata del processo la competenza, per i provvedimenti ordinariamente
attribuiti alla competenza del giudice specializzato, è attribuita al giudice ordinario.
Ratio della disposizione è la concentrazione delle tutele, principio ritenuto dalla
Suprema Corte “aspetto centrale della ragionevole durata del processo” 12. Ad una prima
lettura della norma sembra emergere che il legislatore abbia voluto concentrare le
tutele in capo al TO, stabilendo che qualora il giudice ordinario sia già stato investito
di una controversia in merito all’affidamento dei figli, come accade nel caso sia stato
proposto ricorso di separazione o divorzio, ovvero giudizio ai sensi dell’art. 316 c.c., il
Tra i numerosi commenti alla norma: A. PROTO PISANI, Note sul nuovo art. 38 disp. att. c.c. e sui
problemi che esso determina, in F. it., 2013, 126 ss.; F. TOMMASEO, La nuova Legge sulla filiazione: i
profili processuali, in Fam. e dir., 2013, p. 251; F. DANOVI, Nobili intenti e tecniche approssimative nei
nuovi procedimenti per i figli (non più) naturali, in Corr. Giur., 2013, p. 219; A. GRAZIOSI, Una buona
novella di fine legislatura: tutti i figli hanno eguali diritti, dinanzi al tribunale ordinario, in Fam. e dir.,
2013, p.267; G. DE MARZO, Novità legislative in tema di affidamento e di mantenimento dei figli nati
fuori del matrimonio: profili processuali, in F. it., 2013, c.12; V. MONTARULI, Il Nuovo riparto di
competenze tra giudice ordinario e minorile, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2013, p.218; M. VELLETTI,
Commento alla riforma del diritto della filiazione (l. 10 dicembre 2012, n.219), in Nuove leggi civ. comm.,
2013, p. 596; G. IMPAGNATIELLO, Profili processuali della nuova filiazione riflessioni a prima lettura
sulla l. 10 dicembre 2012, n.219, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 715; B. DE FILIPPIS, Nuovo riparto di
competenze tra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni, in AA VV, Modifiche al codice civile e
11
alle leggi speciali in materia di filiazione, Napoli 2014, p. 181. Si richiamano, inolte, i contenuti delle
relazioni conclusione del gruppo di lavoro tenutosi durante il corso organizzato dalla Scuola Superiore
della Magistratura, dal 23 al 25 gennaio 2013, sul tema “Pratica del processo minorile civile e penale”,
sintetizzati nelle relazioni (reperibili sul sito istituzionale della Scuola Superiore della Magistratura) delle
due coordinatrici del gruppo P. ESPOSITO e R. RUSSO.
12
Cass., 3 aprile 2007, n. 8362
8
TO sarà competente anche per pronunciare i provvedimenti funzionalmente di
competenza del TM (ex artt. 84, 90, 330, 332, 333, 334, 335, e 371 ultimo comma,
c.c.). La concentrazione delle tutele oltre ad assicurare maggiore speditezza nella
decisione, dovrebbe scongiurare il rischio di strumentalizzazioni finalizzate a distogliere
la decisione dal giudice naturale formulando domande solo apparentemente diverse ma
nella sostanza fondate sui medesimi elementi fattuali (si pensi ad allegazioni relative a
comportamenti pregiudizievoli posti a fondamento sia di richiesta di affidamento
esclusivo sia di provvedimenti de potestate). La concentrazione è valido rimedio per
evitare che il minore sia sottoposto all’ascolto, a indagini sulla sua situazione psicosociale da parte di diverse autorità giudiziarie, ma soprattutto è rimedio necessario per
scongiurare il rischio che vengano adottate decisioni di contenuto diverso con pericolo
di contraddittorietà di giudicati e intuibili difficoltà quanto alla loro esecuzione.
La novella ha sollevato sin da subito contrasti ermeneutici, in primo luogo per la
diversa disciplina dei procedimenti di cui all’articolo 333 c.c. (norma espressamente
indicata nella seconda parte del primo comma dell’art. 38 disp. att. c.c.), rispetto a
procedimenti ex art. 330 (nonché a tutti tutti gli altri disciplinati nell’ultimo periodo
del primo comma) genericamente individuati come “i provvedimenti contemplati dalle
disposizioni richiamate nel primo periodo”.
C.1 Procedimenti per i quali opera la vis attractiva del TO
In riferimento all’ambito di applicazione della norma, non sembrano sussistere dubbi in
merito alla necessità di comprendere tra i “giudizi di separazione e divorzio” anche i
giudizi in corso ex art. 710 c.p.c. (modifica dei provvedimenti relativi alla separazione),
ex art. 9 l n. 898/1970 (modifica dei provvedimenti relativi al divorzio) nonché ex art.
709-ter c.p.c. (soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempimenti e
violazioni); con riferimento a questa ultima norma non si può, infatti, dubitare che la
stessa a pieno titolo si “innesti” nell’ambito dei giudizi di separazione e divorzio. La
novella dell’art. 316 c.c. nel cui alveo sono da ricondurre i procedimenti per disciplinare
l’affidamento dei figli natai fuori dal matrimonio fa ritenere che anche in pendenza di
tali procedimenti operi la vis attractiva del giudice ordinario nel caso di contemporanea
instaurazione di procedimenti de potestate. Analoghe ragioni sistematiche impongono
di comprendere tra i procedimenti in presenza dei quali si esplica la vis attractiva del
TO, quelli di nullità o di annullamento del matrimonio, che pur se non espressamente
richiamati devono ritenersi analoghi quanto ad effetti, qualora siano proposte domande
relative all’affidamento e al mantenimento dei figli, come può desumersi dall’art. 4 della
l.n.54/2006 che tali procedimenti equipara a quelli separativi, in merito all’applicazione
della legge sull’affidamento condiviso. Anche se quella proposta sembra essere l’unica
interpretazione costituzionalmente orientata per garantire parità di trattamento in
presenza di situazioni omogenee, deve pur sempre essere segnalata la natura di norma
9
processuale dell’art. 38 disp. att. c.c., con conseguente necessità di stretta
intrepretazione.
C.2. Significato da attribuire alla locuzione “stesse parti”
Nell’interpretare la nuova disposizioni la dottrina si è divisa tra i sostenitori della vis
attractiva qualora penda un giudizio separativo e coloro che hanno operato distinzioni.
In particolare è sul requisito dell’identità delle parti, che si possono registrare le
maggiori differenze interpretative.
Nel novellato art. 38 dip. att. c.c., si legge: “Per i procedimenti di cui all’art. 333 resta
esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell’ipotesi in cui sia in corso, tra
le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’art. 316 c.c”.
L’art. 336 c.c. prevede che legittimati attivi per l’instaurazione dei procedimenti de
potestate sono: il genitore, i parenti o il pubblico ministero. Nei procedimenti di
separazione, divorzio, e in materia di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio,
parti sono i genitori mentre il pubblico ministero è interveniente necessario.
All’interno del procedimento civile diverso può essere il ruolo del PM 13, potendo il
pubblico ministero esercitare l’azione (art. 69 c.p.c.), ovvero interviniere nel
procedimento (art. 70 c.p.c.). Diversi sono i poteri attribuiti nelle due diverse ipotesi,
poiché nel caso in cui il PM sia parte, come qualora siano proposti ex art. 336 c.c.
procedimenti de potestate, avrà identico ruolo e sarà posto sullo stesso piano delle
parti private, potrà quindi, in qualità di parte formale del processo, formulare
domande, eccezioni, produrre documenti, prove, proporre impugnazioni, avendo il solo
limite del compimento degli atti di disposizione del diritto, non essendo parte
sostanziale. Quando, invece, il PM è interveniente ha la possibilità di formulare
conclusioni diverse da quelle formulate dalla parti ma la sua attività processuale può
essere esercitata nei limiti delle domande proposte dalle parti stesse e non ha potere di
impugnazione (con l’eccezione di cui art. 5, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 che in
materia divorzile, ha previsto che il PM possa proporre impugnazione avverso le
sentenze di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio
limitatamente agli interessi patrimoniali dei figli minori o legalmente incapaci).
Dunque, qualora si ritenesse che tra i procedimenti nei quali il PM sia parte e quelli
nei quali sia interventore necessario non si ravvisi il requisito delle “stesse parti”, il
13
Sul ruolo del PM nel processo civile, cfr.: V. ANDRIOLI, Diritto processuale civile, Napoli,
1979,, p. 376; C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, I, Torino, 2011, p. 457 s.; F.
MOROZZO DELLA ROCCA, Pubblico Ministero (dir. Proc. Civ.), in Enc. Dir., XXXVII,
Milano, 1988, p. 1084 s.; A. PROTO PISANI, Diritto processuale civile, Napoli, 2006, p. 314;
M. VELLANI, Pubblico Ministero nel diritto processuale civile, in Dig. Disc. Priv., sez. civ.,
XVI, Torino, 1997, p. 140 ss..
10
nuovo art. 38 disp. att. c. c., se letteralmente interpretato, potrebbe sembrare
inapplicabile, poiché essendo nei procedimenti de potestate sempre presente il
pubblico ministero come parte processuale, presente invece come interventore
necessario nei procedimenti di separazione e divorzio, la richiesta identità soggettiva
non potrebbe mai realizzarsi 14.
Applicando i principi espressi dalla Suprema Corte 15, già prima dell’entrata in vigore
della novella del 2012, la presenza del PM quale parte processuale non era stata
ritenuta elemento ostativo alla possibilità di adozione da parte del TO di provvedimenti
ex art. 333 c.c., qualora fossero in corso giudizi di separazione o di modifica delle
condizioni di separazione.
Occorre pertanto chiedersi se la riconosciuta competenza residua possa continuare a
sussistere anche dopo l’entrata in vigore della novella in esame. La questione non è
solo teorica perché ha rilevanti risvolti pratici nell’ipotesi in cui non siano i genitori a
formulare domande per l’emissione di provvedimenti de potestate. Può, infatti,
accadere che mentre sia in corso un procedimento di separazione o divorzio, al PM
minorile, siano inoltrate segnalazioni di condotte pregiudizievoli nei confronti dei figli
minori della coppia, che impongano un suo ricorso ex art. 333 c.c.; in questo caso il
PM specializzato dovrà inviare la segnalazione al suo omologo dinanzi al TO, ovvero
potrà proporre autonomo giudizio dinanzi al TM considerando che il giudizio dinanzi
al TO non pende tra le stesse parti?
Sono possibili due soluzioni: negare la concentrazione delle tutele muovendo dal
diverso ruolo attribuito al PM, se da una parte potrebbe assicurare la tutela
dell’interesse pubblico che il PM persegue al di là del comportamento delle parti (si
pensi all’ipotesi in cui trasmessi gli atti al TO i genitori parti del procedimento di
separazione e divorzio rinuncino all’azione) dall’altra significherebbe negare efficacia,
svuotare di contenuto, la novella in esame. Appare quindi preferibile privilegiare la
concentrazione delle tutele assicurando che sia un solo giudice ad adottare
provvedimenti, di contenuto sostanzialmente analogo, relativi ai minori.
Applicando tale interpretazione nel caso prospettato il PM specializzato dovrebbe
trasmettere la segnalazione ricevuta al suo “omologo” ordinario affinché si attivi (ferma
la possibilità per il PM specializzato di ricorrere all’art. 403 c.c. con l’inoltro della
segnalazione all’autorità competente). Al fine di ovviare al rischio sopra rilevato, ed
evitare che il procedimento de potestate una volta attratto nella competenza del TO,
possa essere rimesso alla “volontà” delle parti private, che potrebbero provocarne
l’estinzione (magari al solo fine di evitare l’intervento giudiziario a tutela dei minori, e
Cass., 21 febbraio 2004, n.3529, nella quale è stata ritenuta una diversità oggettiva (causa petendi e
petitum) e comunanza soggettiva soltanto parziale (limitatamente, cioè, alle due parti private) tra
un’azione per separazione personale e giudizi de potestate.
14
15
Cass., 5 ottobre 2011, n.20354.
11
l’adozione di provvedimento quali l’affidamento a terzi che ai genitori potrebbero
risultare sgraditi), sarebbe opportuno che il PM ordinario instauri, formalmente,
attraverso uno specifico atto, un subprocedimento, all’interno della procedura di
separazione e divorzio. In questo modo il PM ordinario potrebbe assumere, anche
formalmente, ex art. 336 c.p.c., la qualità di parte del procedimento de potestate che,
seppur “innestato” all’interno del procedimento di separazione o divorzio resterebbe in
tal modo sottratto alla “disponibilità” dei genitori. Inoltre, dovendo considerare il PM
parte del procedimento questi avrebbe pieni poteri di impugnazione quanto ai
provvedimenti de potestate.
Il riferimento alle “stesse parti”, fa ritenere non attratti alla competenza del TO, anche
qualora sia in corso procedimento di separazione o divorzio, i ricorsi de potestate
proposti da parenti del minore, che continuerebbero anche dopo l’entrata in vigore
della novella in esame ad essere di competenza del giudice specializzato, dato che i
parenti del minore non possono essere considerati parti del procedimento di
separazione o divorzio 16.
C.3 Rapporto tra il principio della perpetuatio jurisdictionis e quello della
concentrazione delle tutele
Appare più problematica l’applicazione del nuovo art. 38 disp. att. c.c., in caso di
procedimento de potestate sia stato instaurato dinanzi al TM, prima della proposizione
di un ricorso per separazione, divorzio o ex art. 316 c.c.. In tale ipotesi, infatti, l’art. 5
del c.p.c., che disciplina il principio della perpetuatio iurisdictionis, dovrebbe imporre la
conclusione del giudizio dinanzi al giudice specializzato, preventivamente adito.
Diversamente si permetterebbe anche ad uno solo dei genitori di mutare il giudice
naturale precostituito per legge, instaurando, magari solo per finalità strumentali,
procedimento separativo o divorzile dinanzi al TO al solo fine di sottrarre al giudice
naturale il procedimento precedentemente instaurato. La stessa ratio, che ha mosso il
legislatore del 2012 nell’inserire la disposizione in esame, e cioè la necessità di evitare
una sorta di forum shopping interno, con possibilità per i genitori di sottrarre al TO la
competenza ad emettere provvedimenti sull’affidamento dei figli, solo prospettando
condotte pregiudizievoli attraverso la proposizione di domande strumentali al TM,
dovrebbe suggerire tale interpretazione 17.
16
Cfr. Cass., 16 ottobre 2009, n. 22081.
In tal senso cfr. M. VELLETTI, Commento alla riforma della filiazione, cit.; V. MONTARULI, Il nuovo
riparto di competenze tra giudice ordinario e minorile, cit.; Relazione, a cura di P. ESPOSITO, cit., nella
17
quale si legge che “Tale impostazione interpretativa non esimerebbe comunque il TM dal provvedere in
tali casi, ad una celere definizione del procedimento con trasmissione del provvedimento emesso al TO
(ovvero al PM ordinario o a entrambi gli uffici) al fine di evitare sovrapposizioni e
contemporanea pendenza di più procedimenti.
12
In questo senso si è espressa la Suprema Corte che, chiamata a pronunciarsi su
regolamento di competenza proposto con riferimento ad un procedimento per la
decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale instaurato, nel 2011, prima della
proposizione di una domandi di divorzio, sulla base della allegazione della parte
ricorrente che il TM avrebbe perso la sua competenza a favore del TO, ha affermato la
competenza del tribunale specializzato. La decisione è di particolare interesse perché
invece di limitarsi ad affermare inapplicabile alla fattispecie la novella, in quanto il
giudizio dinanzi al tribunale specializzato era stato instaurato prima dell’entrata in
vigore del novellato art. 38 disp. att. c.c., ha previsto che “ragioni di economia
processuale e di tutela dell’interesse del minore che trovano riscontro nelle disposizioni
costituzionali (art.111 Cost.) e sopranazionali (art.8 C.E.D.U. e art. 24 Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea) impediscono un’interpretazione della disposizione
dell’art. 38 che vanifichi il percorso processuale svolto, a seguito di domanda ex art.
333 c.c., davanti al Tribunale per i minorenni anteriormente alla proposizione del
giudizio di separazione o divorzio da parte dei genitori. Così come si dimostrano
inconciliabili con una interpretazione della citata norma che renda possibile l’uso
strumentale del processo al fine di spostare la controversia” 18. Analoga decisione è stata
adottata più di recente dalla Corte di Cassazione 19 nel conflitto tra TM, previamente
adito dal PM minorile per l’emissione di provvedimenti ex art. 330 e 333 e TO, a
seguito della dichirazione di incompetenza pronunciata dal TM dopo che era stata
instaurato dinanzi al TO procedimento di seprazione, conflitto sollevato dal
Procuratore della Repubblica presso il TM che ha chiesto dichirarsi la competenza del
TM perché adito precedentemente dal PM specializzato con la domanda di decadenza
della responsabilità genitoriale rispetto alla domanda di separazione proposta dalla
parte. La Suprema Corte ha ribadito: “Ai sensi dell'art. 38 disp. att. cod. civ. come
novellato dall'art. 3 della legge 10 dicembre 2012, n. 219, il tribunale per i minorenni
resta competente a conoscere della domanda diretta ad ottenere la declaratoria di
decadenza o la limitazione della potestà dei genitori ancorché, nel corso del giudizio,
sia stata proposta, innanzi al tribunale ordinario, domanda di separazione personale dei
coniugi o di divorzio, trattandosi di interpretazione aderente al dato letterale della
norma, rispettosa del principio della "perpetuatio jurisdictionis" di cui all'art. 5 cod.
18
“La competenza a conoscere della domanda di limitazione o decadenza dalla potestà dei genitori,
introdotta prima della modifica del testo dell'art. 38 disp. att. cod. civ. disposta dall'art. 3 della legge 10
dicembre 2012, n. 219, rimane radicata presso il tribunale per i minorenni anche se nel corso del giudizio
sia stata proposta, innanzi al tribunale ordinario, domanda di separazione personale dei coniugi o di
divorzio, in ossequio al principio della "perpetuatio jurisdictionis" ed a ragioni di economia processuale
che trovano fondamento anche nelle disposizioni costituzionali (art. 111 Cost.) e sovranazionali (art. 8
C.E.D.U. e art. 24 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea).” Cass. 14 ottobre 2014, n.21633, in
Fam e dir., 2015, p.105 con nota di A. LIUZZI, Provvedimenti de potestate e vis attractiva del tribunale
ordinario: primi chiarimenti dalal Suprema Corte; e in Nuova Giur. Civ., 2015, p. 10199, con nota di L.
ANTONIOTTI, Questioni di comptenza in materia di filiazione e vis attractiva ex art. 38 disp. att. cod. civ..
19
Cass. 12 febbraio 2015, 2833.
13
proc. civ., nonché coerente con ragioni di economia processuale e di tutela
dell'interesse superiore del minore, che trovano fondamento nell'art. 111 Cost., nell'art. 8
CEDU e nell'art. 24 della Carta di Nizza”.
Appare quindi accertata la prevalenza del principio della perpetuatio jurisditionis
rispetto al principio della concentrazione delle tutele.
Per trovare una soluzione che contemperi in concreto il principio di cui all’art. 5 c.p.c.
e il principio di concentrazione delle tutele, potrebbe essere seguita una prassi già
instaurata in molti TM dopo la pronuncia dell’ordinanza della Suprema Corte del 5
ottobre 2011, n.20354, “il giudice minorile dovrebbe comunque decidere, portando
rapidamente a conclusione il processo, e possibilmente rendere chiaro nel
provvedimento che sta attuando provvedimenti con finalità di immediata protezione
del minore, lato sensu cautelari, da qualcuno anche definiti provvisori, in quanto
seppure chiudono il processo innanzi al TM, sono suscettibili di essere modificati da un
successivo provvedimento del giudice ordinario adito per la questione separativa” 20.
Non mancano autorevoli interpretazioni che in tal caso ritengono applicabile l’art. 39,
secondo comma, c.p.c., che disciplina la continenza, potendo il TM rimettere la
controversia al TO del luogo dove è pendente la separazione, il divorzio o di
affidamento dei figli nati fuori del matrimonio 21 in modo da garantire il simultaneo
processo.
C.4. Modalità di rimessione del procedimento de potestate dal TM al TO
Qualora sia già pendente un giudizio di separazione, divorzio, o ex art. 316 c.c. (ovvero
secondo quanto sopra riportato di nullità, annullamento del matrimonio) e i genitori,
ovvero il PM minorile, propongano dinanzi al TM un procedimento de potestate,
potrebbe essere ravvisata una vera e propria incompetenza funzionale del TM.
Tra tali procedimenti potrebbero ravvisarsi un rapporto di continenza, ovvero di
connessione, con la conseguenza che il TM dovrebbe sempre dichiararla con ordinanza
fissando un termine perentorio entro il quale le parti dovrebbero riassumere la causa
dinanzi al TO. La rimessione al TO verrebbe dichiarata con ordinanza suscettibile di
regolamento necessario di competenza ex art. 42 c.p.c.. In entrambi i casi, perché il
procedimento prosegua dinanzi al giudice competente sarebbe comunque necessaria la
riassunzione della parte e se è vero che nei procedimenti de potestate la presenza del
PM, quale parte del procedimento, potrebbe tutelare l’interesse pubblico dalla possibile
inerzia delle parti private, tuttavia è innegabile che ciò comporti il trascorrere del
20
Relazione, a cura di R. RUSSO, cit..
21
A. PROTO PISANI, Note sul nuovo art. 38 disp. att. c.c. e sui problemi che esso determina,
cit. .
14
tempo tra la pronuncia sulla competenze e la prosecuzione del procedimento davanti
al TO. Per questo potrebbe essere ritenuta percorribile, una diversa opzione, ritenuta
ammissibile dalla Suprema Corte 22: la semplice trasmissione officiosa degli atti da un
giudice ad un altro, da considerare non una mera prassi, “quanto piuttosto il mezzo-
principe attraverso cui la “crisi”, aperta dalla pronuncia di incompetenza, va avviata a
soluzione, indipendentemente dalla volontà e dalla diligenza di parte”, trattandosi di
materia nella quale il giudice dispone di poteri d’intervento d’ufficio.
C.5. Significato da attribuire alla locuzione procedimento “in corso”
Il novellato art. 38 disp. att. c.c., richiede perché possa ravvisarsi la competenza del TO
per i procedimenti de potestate che sia “in corso” tra le stesse parti giudizio di
separazione, divorzio ovvero ex art. 316 c.c. (oltre ai procedimenti di annullamento,
nullità del matrimonio qualora si acceda alla lettura estensiva della norma sopra
riportata). Occorre domandarsi quando un procedimento sia “in corso”; il legislatore
non ha utilizzato il termine “pendente”, questa scelta può fornire importanti elementi
per l’interpretazione della disposizione in esame. L’utilizzo della locuzione “in corso”
sembrerebbe escludere che la norma possa applicarsi quanto il procedimento di
separazione o divorzio, sia in fase di quiescenza, per esempio in caso di cancellazione
della causa dal ruolo durante il periodo della potenziale riassunzione, ovvero in caso di
sospensione o interruzione del processo. La Suprema Corte si è però espressa in senso
contrario affermando che “Risulta, pertanto, contrastante con essa un'interpretazione
che scomponga il processo in fasi o in gradi e che, conseguentemente, possa condurre
Cass., 26 febbraio 2002, n.2765 “È ammissibile la richiesta d'ufficio del regolamento di competenza,
ancorché in difetto di riassunzione nei modi e nei termini previsti dall'art. 50 cod. proc. civ., e dunque
sulla base della semplice trasmissione officiosa degli atti dall'uno (dichiaratosi incompetente) all'altro giudice (ritenuto dal primo competente per ragioni di territorio, ma che a sua volta dubiti della propria
competenza e la declini), ogniqualvolta si versi in una materia nella quale il giudice competente disponga
di poteri di intervento d'ufficio, nel senso che le norme di legge lo abilitino ad una pronuncia d'ufficio in
termini di iniziativa giudiziale del processo o di iniziativa giudiziale della pronuncia di merito, secondo il
disposto dell'art. 2907 cod. civ. (Principio espresso in relazione ad un procedimento ablativo - limitativo
della potestà genitoriale)”, edita in N. giur. civ. comm., 2003, p.369, con nota di E. CANAVESE, Figli
contesi e giudice territorialmente competente. Più recentemente Cass., 16 ottobre 2008, n. 25290, nella
quale con riferimento ai procedimenti de potestate si è affermato: “Con riguardo a tale tipo di
procedimenti, siano essi promossi di ufficio o a istanza di parte, la mera trasmissione del fascicolo
processuale da un ufficio giudiziario a un altro, con finalità dismissive della propria e attributive ad altri
della competenza giurisdizionale, legittima l'ufficio che abbia ricevuto gli atti, e che si ritenga a sua volta
incompetente, a sollevare conflitto di competenza e a chiedere il relativo regolamento di ufficio. In
definitiva, in un procedimento tutto permeato di prevalenti poteri di ufficio (quale quello iniziato ex art.
333 c.c.), la trasmissione officiosa non è tanto un fatto di prassi, di cui si tratta di saggiare la tollerabilità
in aggiunta al mezzo tipico della riassunzione a istanza di parte, quanto piuttosto il mezzo-principe
attraverso cui la "crisi", aperta dalla pronuncia di incompetenza, va avviata a soluzione,
indipendentemente dalla volontà e dalla diligenza di parte, perché così esige la finalità pubblicistica della
procedura in questione.”. In questo senso, cfr. Relazione a cura di R. RUSSO,
22
15
a ritenere la competenza del tribunale per i minorenni nelle predette fasi di quiescenza
del processo, non soltanto dovute alla pendenza dei termini per l'impugnazione ma
anche dettate dall'insorgenza di cause interruttive, provvedimenti ex art. 295 cod. proc.
civ. etc..”. 23
Qualora sia proposto appello competente a decidere, anche per le domande de
potestate, sarà il giudice di secondo grado, mentre nel caso in cui sia pendente giudizio
in Cassazione competente dovrà ritenersi il giudice che ha pronunciato la sentenza
impugnata, applicando analogicamente l’art. 373 c.p.c. 24.
Maggiori dubbi possono esservi nel caso in cui la decisione non si ancora passata in
giudicato e pendano i termini per l’impugnazione.
In una recente decisione la Corte di Cassazione ha statuito che deve comprendersi
nella nozione “durata del processo senza soluzione di continuità anche l’ipotesi in cui
“sono in corso i termini per l’impugnazione pur se il gravame non sia stato ancora
proposto” 25. L’interpretazione fatta propria dalla Suprema Corte potrebbe presentare
delle difficoltà applicative. In primo luogo, se nel corso del procedimento di
separazione o divorzio, in cui il provvedimento soggetto ad impugnazione è stato
adottato, non siano state assunte misure limitative o ablative della responsabilità
genitoriale, il PM che nel giudizio a quo ha assunto il solo ruolo di interveniente, potrà
essere ritenuto parte, ai sensi dell’art. 336 c.c., e sarà dunque legittimato a proporre
impugnazione nel caso ravvisi condotte pregiudizievoli per i figli? Inoltre, anche
qualora a tale domanda venisse data risposta positiva potrebbe ritenersi opportuno, e
dunque conforme al principio di economia processuale e di ragionevole durata del
processo, instaurare un grado di appello ovvero un giudizio di legittimità avverso una
decisione nella quale l’unico aspetto contestato riguardi le misure riguardo ai minori, e
23
Cass., ord. 26 gennaio 2015 n.1349
A simili conclusione perviene F. TOMMASEO, L’adempimento dei doveri parentali e le misure a tutela
dell’affidamento: l’art. 709-ter c.p.c., in Fam. dir., 2010, p. 1057, nell’esaminare l’analoga disposizione
contenuta nell’art. 709-ter c.p.c. che attribuisce al giudice del procedimento “in corso” la competenza ad
24
adottare i provvedimenti per risolvere le controversie tra genitori per l’esercizio della responsabilità
genitoriale nonché le misure sanzionatorie.
“L'art. 38, primo comma, disp. att. cod. civ. (come modificato dall'art. 3, comma 1, della legge 10
dicembre 2012, n. 219, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dall'1 gennaio 2013), si interpreta nel
senso che, per i procedimenti di cui agli artt. 330 e 333 cod. civ., la competenza è attribuita in via
generale al tribunale dei minorenni, ma, quando sia pendente un giudizio di separazione, di divorzio o ex
art. 316 cod. civ., e fino alla sua definitiva conclusione, in deroga a questa attribuzione, le azioni dirette
ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente
e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un'ipotesi di connessione
oggettiva e soggettiva), spettano al giudice del conflitto familiare, individuabile nel tribunale ordinario, se
sia ancora in corso il giudizio di primo grado, ovvero nella corte d'appello in composizione ordinaria, se
penda il termine per l'impugnazione o sia stato interposto appello.”. Cass. , 26 gennaio 2015, n.1349
25
16
non le altre statuizioni? Si tratta di interrogativi ancora aperti ai quali è difficile dare
una risposta univoca.
Può ritenersi che sussista competenza non esclusiva, ma concorrente del TM e del TO,
qualora siano spirati i termini per proporre impugnazione avverso il provvedimento di
separazione o divorzio adottato dal TO, e le parti intendano ricorrere al giudice per
adottare provvedimenti de potestate. In tale ipotesi la parte legittimata ad agire
potrebbe “scegliere” di proporre ricorso per la modifica delle condizioni di separazione
(ovvero ricorso ex art. 709-ter c.p.c.) adendo il TO, ovvero proporre al TM ricorso per
l’adozione di provvedimenti de potestate, con la sola precisazione che qualora il ricorso
ex art. 710 c.p.c. sia già pendente questo procedimento sicuramente attrarrà il
procedimento de potestate successivamente proposto dinanzi al TM. La soluzione
indicata non appare configgere con il principio di concentrazione delle tutele perché
permette alle parti di valutare quale sia la risposta più confacente all’interesse dei
minori, quando si sia in presenza di condotte pregiudizievoli dei genitori, e non sia
stato preventivamente instaurato (dinanzi al TO) procedimento per la modifica delle
condizioni di separazione o di divorzio, ovvero procedimento ex art. 709-ter c.p.c..
D. Riparto di comptenza tra TM e TO nei procedimenti ex art. 330 c.c.
La novella del 2012 è chiara nell’attribuire, in nome della concentrazione delle tutela e
aderendo alla posizione della Suprema Corte espressa nella più volte citata ordinanza
n.20352/2011 26, al TO la competenza nell’adottare provvedimenti ex art. 333 c.c. quando
siano in corso, tra le stessi parti, procedimenti di separazione, divorzio o ex art. 316 c.c.
(ovvero di nullità, annullamento). Analoga chiarezza non si ravvisa con riferimento agli
altri procedimenti che, ai sensi del nuovo art. 38 disp. att. c.c., rientrano nella
competenza del TM, ponendo gravi interrogativi quanto ai procedimenti ablativi della
responsabilità genitoriale proposti ex art 330 c.c..
La poca chiarezza della disposizione ha dato origine, già dalle prime applicazioni, a
profonde divergenze.
Molte corti di merito hanno sostenuto che la norma non si applicherebbe nell’ipotesi di
procedimenti di decadenza dalla responsabilità genitoriale in quanto il richiamo
contenuto nell’art. 38 disp. att. c.c. al primo periodo, non dovrebbe intendersi alla
prima parte dell’articolo ma al “periodo precedente” quello che disciplina i
procedimenti ex art. 333 c.c.; ciò garantirebbe la permanenza della competenza per la
26
Se ne riporta la massima: “La controversia relativa alla modifica delle condizioni della
separazione (e del divorzio), nel cui giudizio sia chiesto l'affidamento esclusivo dei figli minori,
appartiene all'esclusiva competenza del tribunale ordinario, anche quando la domanda, come
nella specie, sia giustificata dall'esistenza di un grave pregiudizio per i figli minori, non essendo
tale allegazione idonea a spostarne la competenza presso il tribunale dei minorenni.”.
17
dichiarazione di decadenza dalla responsabilità genitoriale al giudice specializzato
quello meglio “attrezzato” per l’esame di tali procedimenti anche per il loro frequente
collegamento con la procedura di adottabilità. Tra le decisioni di merito che hanno
sostenuto questa interpretazione si segnalano: TM di Catania, 22 maggio 2013; TM di
Brescia, 1 agosto 2013 27; TM di Palermo, 11 dicembre 2013. In questo senso le previsioni
contenute nel Protocollo del Tribunale per i Minorenni di Brescia e Tribunale ordinario
di Brescia. Tra le decisioni in materia adottate dai TO, si segnala la sentenza 4-11
dicembre 2013 del TO Milano, nella quale si legge “La novella ha ampliato le
competenze del giudice ordinario solo con riguardo alle limitazioni ex art. 333 c.c., ma
lasciando immutata l’esclusiva competenza del TM per le pronunce ex art. 330 c.c..” 28,
Secondo diversa opzione ermeneutica la norma avrebbe attribuito al TO la competenza
esclusiva per l’adozione di provvedimenti di decadenza della potestà, se adottati in
pendenza di procedimenti di separazione e divorzio, o di affidamento dei figli nati fuori
del matrimonio, e ciò in nome del pieno rispetto del principio della concentrazione
delle tutele29. Tra i provvedimenti dei tribunali di merito che hanno adottato tale
interpretazione si segnala il decreto del TM di Bari 30, nel quale il tribunale
specializzato investito di domanda proposta dal pubblico ministero minorile per
l’adozione di provvedimenti ex art 330 c.c., ha dichiarato la propria incompetenza a
favore del TO dinanzi al quale pendeva procedimento separativo, non assegnando alcun
termine per al riassunzione innanzi al TO sulla base della considerazione che il
Pubblico ministero minorile non sarebbe legittimato ad agire dinanzi al TO 31. Tra gli
In Fam. e dir., 2014, p.60, con nota di R. RUSSO, La competenza nei procedimenti de potestate dopo
la novella dell’art. 38 disp. att. c.c.: il principio della concentrazione delle tutele e i rapporti tra giudice
specializzato e giudice ordinario.
27
In Fam. e dir., 2014, p. 680, con nota di F. TOMMASEO, Provvedimenti limitativi de potestate e
competenza per attrazione del giudice ordinario.
28
In dottrina sostengono tale opzione A. PROTO PISANI, ult. op. cit.; B. DE FILIPPIS, Nuovo riparto di
competenze, cit.; F. DANOVI, I procedimenti de potestate dopo la riforma tra tribunale ordinario e
giudice minorile, cit., il quale afferma “…non si può fare a meno di considerare i principi che hanno
ispirato la proroga di competenza, e tra questi non tanto quelli di economia processuale e di
concentrazione quanto piuttosto il principio di effettività della tutela. Quest’ultimo impone che l’insieme
di statuizioni che l’autorità giudiziaria è chiamata ad assumere relativamente ad un stesso minore sia
coerente ed uniforme, e non già soggetto a inaccettabili disarticolazioni”; G. DE MARZO, ult. op. cit.;
CEA, Profili processuali della l. 219/12, in Giusto proc. civ., par. 4. Pur ritenendo che non si possa
distinguere tra procedimenti ex art. 330 e 333 c.c. sulla base del riferimento alle “stesse parti”
29
ritengono, invece, che la competenza del TM continui a sussistere e non operi la forza attrattiva del TO
qualora il procedimento de potestate sia stato proposto dal pubblico ministero minorile (cfr. supra) F.
TOMMASEO, I procedimenti de potestate e la nuova legge sulla filiazione, in Riv. dir. proc, 2013 p. 558;
G. IMPAGNATIELLO, ult. op. cit.
30
Decreto TM Bari 30 marzo 2013, in Giur. it., 2014, p.1128, con nota di B. POLISENO,
Limiti alla competenza del tribunale ordinario per i provvedimenti de potestate.
31
M. VELLETTI, Quale giudice per i ricorsi ex articolo 330 c.c., in www. Questionegiustizia.it
18
altri tribunali di merito che ritengono che la competenza in materia di procedimenti di
decadenza in caso di pendenza di procedimenti di separazione, divorzio o affidamento
dei figli nati fuori del matrimonio sia ora da attribuire al TO, si segnala il TM di Roma
che rimette ogni tipologia di procedimento al giudice ordinario qualora penda giudizio
separativo o di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio e di TM di Sassari 32.
Questa interpretazione è presente nel Protocollo redatto dal TM di Bari e dal TO di
Foggia.
Tale seconda opzione ermeneutica è stata accolta in un recentissimo decreto emesso
dal TO di Pordenone 33 che risulta il primo nel quale è stata pronunciata la decadenza
dalla responsabilità genitoriale da parte del giudice ordinario. Nella fattispecie
considerata il Collegio pordenonese investito di una istanza di modifica delle condizioni
di un divorzio, pronunciato all’estero e regolarmente trascritto in Italia, nella quale il
genitore istante aveva formulato richiesta di decadenza dalla responsabilità genitoriale
dell’altro genitore, ha affidato il minore in via esclusiva al genitore richiedente con
potere di effettuare in via esclusiva anche le scelte di maggiore rilevanza per il minore
(comprensive della scelta della residenza abituale e dell’eventuale espatrio), ed ha
pronunciato la decadenza dalla responsabilità genitoriale dell’altro genitore. Le
condotte contrarie all’interesse del minore sono state individuate nella pregressa
sottrazione del figlio ad opera del genitore dichiarato decaduto con “avventuroso
rientro della minore in Italia per via consolare” e “assoluto disinteresse del padre nella
gestione della relazione di affido” nonché nella totale mancanza di partecipazione agli
oneri di mantenimento.
Il dado è tratto.
Tuttavia, l’ambigua formulazione dell’art.38 disp. att. c.c., potrebbe lasciare aperta una
terza interpretazione: il legislatore invece di elencare nella prima parte della
disposizione, accanto all’art. 333 c.c., le altre norme che individuano la competenza del
TM è ricorso ad una formulazione molto più “complessa”, utilizzando come incipit
della frase in esame la locuzione “in tale ipotesi” quasi a voler richiamare l’intera
fattispecie descritta nella prima parte, del secondo periodo, del nuovo art. 38 disp. att.
c.c.. Interpretando letteralmente la disposizione perché operi la vis attractiva del TO
non sarebbe, pertanto, sufficiente che siano pendenti procedimenti di separazione o
divorzio, ma sarebbe necessario che il TO, dinanzi al quale siano in corso tali giudizi,
sia già stato investito di ricorsi ex art. 333 c.c.. Gli ambiti di applicazione della
disposizione sarebbero limitati alle ipotesi in cui il TO sia stato investito di ricorsi per
valutare condotte pregiudizievoli a danno dei minori. Accogliendo questa
interpretazione, la disposizione sarebbe stata introdotta per chiarire che in tal caso il
giudice ordinario, che ex art. 336 c.c. avrebbe pieni poteri d’ufficio, potrebbe
32
Ordinanza 14 gennaio 2014
33
Decreto 21 maggio 2015,
19
pronunciare anche provvedimenti di decadenza pur se investito di ricorsi ai sensi
dell’art. 333 c.c. (assicurando comunque il pieno contraddittorio sul punto qualora si
profili tale “ampliamento” della domanda). Questa interpretazione, seppur complessa
avrebbe il fine di mantenere alla competenza del giudice specializzato i ricorsi ex art.
330 c.c., autonomamente prospettati come tali, prevedendo la vis attractiva del TO solo
nelle ipotesi in cui da un iniziale ricorso ex art. 333 c.c. discenda, all’esito del giudizio
ed assicurata la pienezza del contraddittorio anche sulla nuova “domanda”, la necessità
di adottare un provvedimento di decadenza dalla responsabilità genitoriale, quale unico
rimedio per salvaguardare la tutela del minore da comportamenti pregiudizievoli. Altro
elemento testuale a favore dell’interpretazione prospettata potrebbe ravvisarsi nell’uso
del termine “provvedimento” nella parte finale del nuovo art. 38 disp. att. c.c., mentre
quando il legislatore si è riferito all’art. 333 c.c. ha utilizzato il termine “procedimento”,
quasi a sottolineare che la vis attractiva del TO si esplica solo nei casi di procedimenti
ex art. 333 c.c. (i soli da considerare come “procedimenti camerali incidentali”
analogamente a quelli disciplinati dell’art. 709-ter c.p.c.), mentre non sarebbe
ravvisabile analoga situazione nel caso di procedimenti ex art. 330 c.c., per i quali il TO
non sarebbe investito dell’intero procedimento (che rimarrebbe di competenza del TM)
ma solo del potere di emettere il provvedimento finale (nei casi tassativamente
indicati). L’esigenza di differenziare il trattamento dei ricorsi ex art. 330 e 333 c.c.,
potrebbe essere ravvisata nella stretta relazione tra i procedimenti per la decadenza
dalla potestà e i procedimenti per la dichiarazione di adottabilità (cfr. art. 9, 10, 16, 23
e 25 l.n. 184/1983 34.
Peraltro la profonda differenza tra i due procedimenti de potestate, quelli ex art. 330 e
ex art. 333 c.c., si rileva anche dalla lettura dell’ordinanza della Suprema Corte (ord.
n.20352, del 5 ottobre 2011), nella quale pur affermando la competenza del giudice
della separazione e del divorzio ad adottare provvedimenti riconducibili all’ambito di
applicazione dell’art. 333 c.c. si chiarisce che: “Per tentare di risolvere la complessa
questione, va osservato che la modifica delle condizioni di separazione (o di divorzio)
può essere chiesta dai coniugi anche nel caso di comportamento pregiudizievole del
genitore, ma pure di grave abuso che potrebbe dar luogo a pronuncia di decadenza
della potestà: è da ritenere che ci si debba rivolgere al Tribunale ordinario (salvo che si
chieda espressamente la decadenza, di esclusiva competenza del Tribunale per i
Minorenni).” La Suprema Corte sottolinea quindi la diversità “ontologica” tra i
provvedimenti ex art. 333 e 330 c.c., e se si ritiene, come in questa sede, che la novella
34
Va precisato che molte delle norme indicate richiamano genericamente gli art. “330 e seguenti
del codice civile” e dunque anche l’art. 333 c.c., ma è intuibile come la diversa ampiezza di un
provvedimento di decadenza dalla potestà, neppure astrattamente richiamato dalle norme che
disciplinano l’affidamento dei minori all’esito di un procedimento di separazione e divorzio,
nelle quali è al massimo prevista la possibilità di disporre l’affidamento etero familiare,
impongono di distinguere la decadenza dalla responsabilità genitoriale dagli altri provvedimenti
ex art. 333 c.c..
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sia intervenuta per cristallizzare quanto già affermato dalla giurisprudenza di
legittimità, di tale differenza dovrebbe tenersi conto. Peraltro, mentre nei procedimenti
ex art. 333 c.c., analogamente a quanto può accadere nell’adozione dei provvedimenti ai
sensi dell’art. 337-ter, non si interviene sulla titolarità della responsabilità genitoriale
ma sul suo esercizio, nei procedimenti ex art. 330 c.c. si interviene sulla titolarità della
responsabilità genitoriale, con rilevanti differenze.
D.Primi interventi della Suprema Corte
Dalle prime decisioni della Corte di Cassazione non sembrano giungere indicazioni
univoche rispetto al riparto di competenze tra TM e TO quanto ai procedimenti ex art.
330. c.c..
Nell’ordinanza n.21633/2014 si legge a commento del novellato art. 38 disp. att. c.c. “va
rilevato che il testo legislativo non è univoco nel limitare l’applicazione della citata
disposizione di cui all'art. 38 disp. att. c.c., primo comma, alla sola ipotesi del
procedimento di cui all'art. 333 c.c. dato che, nella disposizione in esame, lo stesso
legislatore richiama i provvedimenti contemplati negli articoli 84, 90, 330, 332, 334,
335 e 371 c.c. affermando che "in tale ipotesi per tutta la durata del processo la
competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel
primo periodo, spetta al giudice ordinario". Risponde a una interpretazione logica, oltre
che diretta a salvaguardare la coerenza testuale della norma, ritenere, come ha fatto il
P.G. nella requisitoria, che l'effetto attrattivo previsto dall'art. 38 si riferisce alla ipotesi
della proposizione di un ricorso ex art. 333 c.c. e ai casi in cui l'esame di tale ricorso
renda necessaria la pronuncia dei citati provvedimenti e specificamente della decadenza
dalla responsabilità genitoriale….va tenuto in conto il requisito della identità delle parti,
richiesto dall'art. 3 della legge n. 219 del 2012 come presupposto per l'attrazione della
competenza da parte del giudice ordinario, requisito che non ricorre nella specie”. La
decisione sembre aderire all’ultima delle soluzioni interpretative sopra richiamate
affermando che la vis attractiva opererebbe in favore dle giudice ordinario quando
penda un procedimento di separazione, divorzio o ex art. 316 c.c., nel quale sia stato
proposto ricorso ex art. 333 c.c., mentre resterebbe ferma la competenza del giudice
minorile, qualora vi sia diretta domanda ex art. 330 c.c., anche in ragione della
mancanza del requisito delle stesse parti.
Di segno opposto quanto si legge nella ordinaza n.1349/2015 nella quale si afferma la
vis attractiva del TO, in pendenza di procedimenti di seprazione, divorzio o ex art. 316
c.c., con una sola eccezione: il caso di azione proposta dal PM minorile che possa
determinare l'apertura di un procedimento volto alla dichiarazione di adottabilità o a
misure minori quali l'affido etero familiare (artt. 2 - 5 l. n. 184 del 1983). Nella
decisione dopo un’ampia e puntuale premessa quanto all’individuazione dei confini tra
la domanda di affidamento esclusivo per comportamento pregiudizievole dell’altro
genitore e la richeista di provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale
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proposta in pendenza di conflitto familiare, con presa d’atto della loro sostanziale
“indistinguibilità”, quanto al novellato art. 38 disp. att. c.c. si legge: “possono enuclearsi
alcune prescrizioni chiare:
I procedimenti ex art. 333 cod. civ., diretti ad ottenere misure limitative della
responsabilità genitoriale sono di competenza del giudice non specializzato in
pendenza del giudizio di separazione e "per tutta la durata del processo";
la pendenza per i procedimenti che s'instaurano con ricorso si determina dal deposito
dell'atto con il quale s'instaura il giudizio. Tale modello introduttivo di procedimento si
applica anche ai procedimenti riguardanti figli nati fuori del matrimonio e alle azioni
limitative o di decadenza dalla responsabilità genitoriale ex art. 38, terzo comma, disp.
att. cod. civ..
la locuzione "per tutta la durata del processo" sta ad indicare un continuum che non si
interrompe nelle fasi di quiescenza (in particolare, in pendenza dei termini per
l'impugnazione), ma esclusivamente con il passaggio in giudicato……
rimane invece controversa la competenza nelle azioni di decadenza dalla responsabilità
genitoriale (art. 330 cod. civ.) in pendenza di un giudizio relativo ad un conflitto
familiare, promosse in via esclusiva od unitamente alla richiesta, anche in via
subordinata, di provvedimenti limitativi della medesima responsabilità.”
E con riferimento a questa questione, ritenuta controversa, la Suprema Corte afferma
che chiave ermeneutica è l’attuazione del principio di concentrazione delle tutele, che
spingerebbe verso la vis attractiva del TO, ma con una diversificazione: “Da un lato,
devono evidenziarsi le situazioni di criticità segnalate (art. 9 l. n. 184 del 1983) o
rilevate dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni che
possono determinare l'apertura di un procedimento volto alla dichiarazione di
adottabilità o a misure minori quali l'affido etero familiare (artt. 2 - 5 l. n. 184 del
1983). L'accertamento di questa tipologia di situazioni può determinare l'avvio di
procedimenti limitativi od ablativi della responsabilità genitoriale, non dettati da un
conflitto genitoriale e saldamente ancorati alla competenza del giudice specializzato.
Dall'altro, all'interno delle controversie relative all'affidamento dei figli minori possono
sorgere situazioni che richiedono, a domanda di parte o d'ufficio, l'adozione di
provvedimenti incidenti sulla responsabilità genitoriale. La competenza del giudice
ordinario è limitata a questa seconda categoria di situazioni, nelle quali la
partecipazione e l'incidenza del potere d'impulso e partecipazione del pubblico
ministero è inferiore a quella rilevata nella prima ipotesi e comunque non ostativa al
radicamento della competenza presso il tribunale ordinario (la locuzione utilizzata dal
legislatore è quella impropria di "giudice ordinario"). Non si ritiene, di conseguenza,
che possa astrattamente escludersi la competenza del giudice ordinario nelle azioni
relative alla decadenza o alla limitazione della responsabilità genitoriale solo perché non
s'integra il requisito delle "stesse parti". È sufficiente che nel giudizio sull'affidamento e
nell'azione ex art. 330 e/o 333 cod. civ. siano parti i genitori non che debba escludersi
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la partecipazione del pubblico ministero anche come organo d'impulso del
procedimento anche quando tale impulso provenga dall'ufficio del p.m. presso il
tribunale per i minorenni, potendo gli uffici del p.m. porre in atto meccanismi di
raccordo e trasmissione degli atti del tutto legittimi. La questione cruciale riguarda
l'incidenza di queste azioni sul giudizio relativo all'affidamento già pendente. Il nesso è
diretto ed inequivoco: il regime dell'affidamento del figlio minore risulterà fortemente
condizionato dall'adozione di misure volte a escludere o limitare la responsabilità
genitoriale. L'applicazione del principio della concentrazione delle tutele ha, di
conseguenza, anche l'effetto di evitare la proposizione di azioni "di disturbo" volte a
paralizzare l'efficacia di statuizioni non gradite, puntando sulla mancata conoscenza
completa della situazione di conflitto genitoriale o sull'allegazione di fatti diversi. Deve,
inoltre, osservarsi come nella specie, nella predominante maggioranza dei casi, le parti
chiedano sia la misura maggiore della decadenza dalla responsabilità genitoriale che
quella minore volta alla limitazione della medesima. La proposizione delle due domande
impone il simultaneus processus presso il giudice del conflitto genitoriale, ostando alla
ratio ispiratrice della norma di modifica della competenza la scissione tra di esse e
l'attribuzione dell'una (art. 330 cod. civ.) al giudice specializzato e l'altra (art. 333 cod.
civ.) al giudice ordinario. A tale ultimo riguardo deve osservarsi che il potere officioso
del giudice con riferimento ai provvedimenti da assumere nel preminente interesse del
minori può senz'altro condurre all'adozione di una misura limitativa della
responsabilità genitoriale (art. 333 cod. civ.) anche ove sia stata richiesta soltanto la
decadenza. Tale potere-dovere, espressamente previsto come misura interinale ex art.
330 secondo comma cod. civ., può anche essere confermato nella decisione finale, così
come non può ravvisarsi mutatio libelli nell'ipotesi in cui proposta la domanda come
rivolta esclusivamente alla decadenza dalla responsabilità genitoriale, la parte richieda
nella definizione del thema decidendi anche l'adozione di misure conformative minori
della responsabilità genitoriale. L’ordinanza conclude affermando: “la ricomprensione
nella competenza del giudice ordinario dell'azione volta a richiedere un "provvedimento
limitativo od ablatorio della potestà" proposta da una delle parti del giudizio pendente
relativo alla separazione personale delle parti; la competenza del tribunale ordinario
nelle condizioni sopraindicate in tutte le ipotesi di proposizioni di domande nelle quali
si richiedono sia provvedimenti ex art. 330 che ex art. 333 cod. civ., ovvero domande
connesse soggettivamente ed oggettivamente.”
Di segno diverso l’ordinaza del 12.2.2015 n.2837 nella quale la Suprema Corte chiamata
a decidere sul ricorso per regolamento di comptenza proposto nell’ambito di un
procedimento nel quale su istanza di un genitore, presentata dinanzi al TM per la
dichiarazione di decadenza dalla “potestà” (rectius: responsabilità) genitoriale e
conseguente affidamento esclusivo dei figli, il TM aveva dichiarato la propria
incomptenza e il TO adito, parimenti si era ritenuto incompetente, proponendo ricorso
per regolamento di competenza d’ufficio stante il conflitto negativo, è stata affermata
la competenza del giudice specializzato in quanto “oggetto della domanda attrice è la
decadenza della potestà genitoriale rientrante nelle giurisdizione del TM”. La difficoltà
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di interpretare questa sintetica decisione deriva dalla narrativa della stringata
ricostruzione fattuale che sembra far emergere la contemporanea proposizione di
ricorso ex art. 330 e ricorso per l’affidamento esclusivo dei figli. Ma stante la
proposizione di domanda di affidamento, non poteva ritenersi pendente procedimento
ex art. 316 c.c., in grado di attrarre la competenza al TO?
Tutte le soluzioni proposte presentano inconvenienti e difficoltà.
Quella che attribuisce al TO la competenza in tutti i casi di 330 c.c. proposti in corso
di giudizio di separazione, divorzio o ex art. 316 c.c., potrebbe far “dilatare” i tempi del
giudizio ordinario, data la delicatezza dell’accertamento per giungere ad una pronuncia
di decadenza; attribuirebbe ad un giudice, e ad un PM, non specializzato una materia
nella quale la specializzazione è particolarmente importante; potrebbe sollevare
problemi di forma del provvedimento emesso (la pronuncia di decadenza confluirebbe
come autonoma statuizione nella sentenza? ovvero avrebbe contenuto autonomo?);
potrebbe rendere difficoltoso il successivo “monitoraggio” del provvedimento adottato e
l’eventuale raccordo con una procedura di adottabilità; criticità potrebbero presentarsi
per l’eventuale revoca del provvedimento che potrebbe essere adottata dal giudice
specializzato qualora non sia più in corso il procedimento di separazione o divorzio.
Ritenendo che la competenza per i procedimenti ex art. 330 c.c. sia sempre attribuita
al giudice specializzato, pur in pendenza di separazione ,divorzio o giudizio ex art. 316
c.c., si potrebbe realizzare una duplicazione di accertamenti sulla condizione del
minore, con possibili “conflitti” tra le decisioni delle diverse autorità giudiziarie, nonché
con il rischio di un uso distorto della norma qualora uno dei genitori insoddisfatto
della decisione pronunciata dal TO prospetti una domanda decadenza al solo fine di
distogliere la decisione dal giudice naturale.
Ogni soluzione intermedia (compresa quella presente nell’ord. N.21633/2014, ovvero
nell’ord. N. 1349/2015 che seppur diverse nelle soluzioni prospettate ritengono
entrambe che vi siano margini per riconoscere la competenza del TM nei procedimenti
ex art. 330 c.c. quando sia pendente procedimento di sperazioen divorzio o ex art. 316
c.c.) presenterebbe gli inconvenienti già indicati, oltre alle difficoltà derivanti
dell’impossibilità di individuare in via preventiva se un procedimento di decadenza
sfocerà in una futura procedura di adottabilità ovvero rimarrà nell’ambito del “conflitto
genitoriale”.
Dall’esame del secondo comma del novellato art. 38 disp. att. c.c., emergono molti
dubbi e difficoltà ermeneutiche, l’unica certezza è che la novella imporrà al PM
ordinario di assumere un ruolo maggiormente “attivo” nell’ambito dei procedimenti di
separazione e divorzio, poiché al loro interno potranno instaurarsi sub-procedimenti de
potestate nell’ambito dei quali il PM è destinato ad avere un ruolo di parte. Inoltre,
sarà necessario uno stretto collegamento tra le Procure specializzate e quelle ordinarie
per permettere un continuo scambio di informazioni; affinché la novella non si
trasformi in nuova occasione di conflitti di competenza sarà opportuno e necessario
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uno stretto collegamento tra TM e TO. Infine, sempre più urgente è una riflessione
complessiva sul ruolo del minore in questi procedimenti sulla sua qualificazione come
parte sostanziale, e dunque sulla nomina di un curatore e di un difensore che
potrebbero vedere ingresso nei procedimenti di separazione o divorzio qualora si
ritenesse che nessuna competenza residua più in capo dei TM, neppure con
riferimento ai procedimenti ex art. 330 c.c., quando siano in corso procedimenti di
seprazione , divorzio o ex art. 316 c.c..
Il variegato quadro che si sta delineando non giova alla chiarezza del diritto.
L’interprete si trova di fronte ad insormontabili difficoltà applicative che solo interventi
chiarificatori della Suprema Corte ed un aspicabile intervento legislativo potranno
dirimere.
Con la certezza che fino a quando due autorità giurisdizionali dovranno dividere la
competenza in merito ai provvediemtni da adottare nei confronti di figli minori le
tante questioni richiamte non potranno avere soluzione.
Monica Velletti
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