Cover MRM (2)3-09.eps

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Cover MRM (2)3-09.eps
4 number 3
Associazione Scientifica Interdisciplinare
per lo Studio delle Malattie Respiratorie
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Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB MILANO
®
Bayram M, Ozkan G, Oztekin E, Bakan ND, Acikmese B, Bes S, Gur A, Camsari G
Role of serum and pleural fluid NT-proBNP levels in identifying
pleural effusion due to heart failure
Ruolo dei livelli di NT-proBNP nel siero e nel liquido pleurico
per identificare i versamenti pleurici indotti da insufficienza cardiaca
Dal Negro RW, Barian R, Cadinu R, Turco P
La qualità percepita nei pazienti con insufficienza
respiratoria grave in ossigenoterapia domiciliare a lungo termine
(OTLT) e monitoraggio remoto telemetrico
Perceived quality in patients with severe respiratory failure
on home LTOT with telemonitoring
Lusuardi M, Lucioni C, De Benedetto F, Mazzi S, Sanguinetti CM, Donner CF
Stratificazione di gravità e rischio di ricovero per riacutizzazione
di BPCO: i dati clinici dello studio ICE
(Italian Costs for Exacerbations)
Severity stratification and hospitalization risk in COPD
exacerbations: clinical data from the ICE
(Italian Costs for Exacerbations) study
Multidisciplinary Focus on:
HIV and the lung
anno 4 - n. 3 - Reg.Trib. Novara n.120 dell’11/11/2005
ISSN 1828-695X
Multidisciplinary Respiratory Medicine
vol. 4 n.3/june 2009:165-240
volume
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MULTIDISCIPLINARY RESPIRATORY MEDICINE
OFFICIAL SCIENTIFIC JOURNAL OF AIMAR
An Italian scientific journal of AIMAR dedicated to the advancement of knowledge in all
fields of respiratory medicine.
MRM publishes - in Italian and English - original articles, new methodological
approaches, reviews, points of view, editorials, states of the art, position papers and
congress proceedings.
Editors
Fernando De Benedetto, Chieti
Claudio F. Donner, Borgomanero (NO)
Claudio M. Sanguinetti, Roma
Associazione Scientifica Interdisciplinare
per lo Studio delle Malattie Respiratorie
Multidisciplinary
Respiratory
Medicine
Managing Editor
Gianfranco Sevieri, Viareggio (LU)
Editorial Office Manager
Stefano Nardini, Vittorio Veneto (TV)
Editorial Board
Coordinator: Mario Polverino, Cava de’ Tirreni (SA)
Sabina Antoniu, Iasi, Romania
Alberto Braghiroli, Veruno (NO)
Mauro Carone, Cassano Murge (BA)
Lucio Casali, Terni
Mario Cazzola, Roma
Stefano Centanni, Milano
George Cremona, Milano
Roberto Dal Negro, Bussolengo (VR)
Filippo De Marinis, Roma
Francesco Ioli, Veruno (NO)
Giovanni Paolo Ligia, Cagliari
Rasmi Magadle, Baka El-Garbia, Israel
Riccardo Pela, Ascoli Piceno
Luca Richeldi, Modena
Roberto Torchio, Torino
AIMAR Scientific Committee
Coordinator: Luigi Allegra (MI)
Allergology and Environmental Medicine: Emanuele Errigo† (PV)
Cardiac Surgery: Mario Viganò (PV)
Cardiology: Nazzareno Galié (BO), Alessandro Palmarini (MI)
Endocrinology: Aldo Pinchera (PI)
Epidemiology: Fernando Romano (CH)
Formation and Quality: Maurizio Capelli (BO), Piera Poletti (PD)
Gastroenterology: Gabriele Bianchi Porro (MI), Lucio Capurso (RM)
General Medicine: Claudio Cricelli (FI)
Geriatrics: Emanuele Tupputi (BA), Stefano M. Zuccaro (RM)
Imaging: Alessandro Carriero (NO), Francesco Schiavon (BL)
Immunology: Giuseppe Montrucchio (TO)
Infectivology: Ercole Concia (VR)
Intensive Care: Marco Ranieri (TO)
Internal Medicine: Roberto Corinaldesi (BO)
Microbiology: Giancarlo Schito (GE)
Neurology: Luigi Ferini Strambi (MI)
Occupational Medicine: Plinio Carta (CA), Giacomo Muzi (PG)
Oncology: Filippo De Marinis (RM), Cesare Gridelli (AV)
Otolaryngology: Michele De Benedetto (LE), Desiderio Passali (SI)
Pediatrics: Angelo Barbato (PD), Fernando M. De Benedictis (AN)
Pharmacology: Ilario Viano (VC)
Pneumology: Francesco Blasi (MI), Lucio Casali (TR), Mario Cazzola (RM), Giuseppe U. Di
Maria (CT), Giuseppe Girbino (ME), Carlo Grassi (MI), Dario Olivieri (PR), Pier Luigi
Paggiaro (PI), Paolo Palange (RM), Riccardo Pela (AP), Mario Polverino (Cava de’ Tirreni, SA).
Relationships with Patients’ Organizations: Mariadelaide Franchi (RM)
Thoracic Surgery: Francesco Sartori (PD)
Editorial Office
Novamedia s.r.l.
Via Monsignor Cavigioli 10, 28021 Borgomanero (NO)
Tel +39 0322 846549 – Fax +39 0322 843222
Lilia Giannini
[email protected]
Elisa Rossi
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Editorial Supervision
Rosemary Allpress, Alberto Braghiroli
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Marketing & Advertising
Gaudenzio Nidasio
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In memoria del Professore Emanuele Errigo
Il giorno 30 Aprile è morto, in Pavia, dove si era trasferito da Roma, il Prof.
Emanuele Errigo.
Nato a Genova il 9 marzo 1929, ha conseguito la laurea in Medicina e
Chirurgia presso l'Università di Roma nel 1952 con il massimo dei voti e la
lode. Ha iniziato la propria carriera universitaria nell’Istituto di Clinica
Medica dell’Università di Roma allora diretto dal Prof. Giovanni Di
Guglielmo, frequentando come Medico interno il “Reparto Allergia”, diretto
dal Prof. Umberto Serafini ed iniziando l’attività di ricerca scientifica. Dopo
che il Prof. Serafini si è trasferito a Firenze, è passato, in qualità di Assistente
e poi di Aiuto, nell’Istituto di Semeiotica Medica, e successivamente in quello di Patologia Speciale Medica, sotto la Direzione del Prof. Michele Bufano.
Nel 1958 ha conseguito la specializzazione in Malattie dell’apparato
Respiratorio, con il massimo dei voti e la lode. Nel 1960 ha conseguito la
Libera Docenza in Semeiotica medica. Da allora ha svolto un’intensa attività didattica, tenendo in ogni anno accademico molte lezioni nel corso di Laurea in Medicina e Chirurgia e nelle Scuole di Specializzazione in Medicina
Interna, Farmacologia e Igiene.
Quando il Prof. Serafini è stato chiamato a Roma alla Direzione della Cattedra di Patologia Medica, si è trasferito
presso questa Cattedra e, successivamente, presso la Cattedra di Clinica Medica.
Nei vari Istituti ha svolto un’intensa attività clinica nelle corsie, dapprima come Assistente e poi come Capo
Reparto, dirigendo anche l’Ambulatorio ed il Laboratorio di Allergologia e Immunologia Clinica.
Nel 1980 ha vinto la prima tornata dei concorsi per Professore Associato ed è stato chiamato dalla Facoltà quale
‘Professore Associato di Allergologia e Immunologia Clinica presso l’Università “La Sapienza” di Roma’. In tale
veste ha svolto un’intensa attività didattica, nel Corso di Laurea e soprattutto nella Scuola di Specializzazione in
Allergologia e Immunologia Clinica, fino al 1 novembre 2001, quando è stato posto fuori ruolo per raggiunti limiti d’età.
L’attività scientifica è iniziata con vari studi sperimentali sulla “tolleranza immunitaria” in diverse specie animali,
a cui hanno fatto seguito numerosi studi clinici riguardanti gli “effetti della corticotropina ipofisaria e dei glicocorticoidi”.
La sua produzione scientifica si è concretata in oltre 400 pubblicazioni, su vari argomenti di allergologia ed immunologia clinica, pneumologia e medicina interna. Molti studi clinici e sperimentali sono stati rivolti agli effetti indesiderati di vari farmaci, a vari aspetti patogenetici delle reazioni allergiche e sono stati anche esaminati alcuni
aspetti clinici delle malattie autoimmuni.
La maggior parte degli studi è stata condotta nel campo delle malattie allergiche. Per quanto riguarda l’asma bronchiale, sono stati esaminati molti aspetti di quest’affezione: studi epidemiologici sulla prevalenza dell’asma bronchiale in Italia, il ruolo dell’inquinamento atmosferico sulla prevalenza dell’asma ed il ruolo degli acari e dei pollini nella sensibilizzazione di tipo allergico. Ha inoltre studiato le variazioni circadiane della broncostruzione ed
il ruolo delle prostaglandine nell’iperreattività bronchiale e nell’asma da analgesici. Ha partecipato a trial terapeutici con nuovi farmaci ed ha dedicato particolare attenzione ai glicocorticoidi; nonché ad errori di omissione e di
commissione nel trattamento dell’asma e alle cause di morte per asma bronchiale.
Ha dedicato molti studi alla pollinosi: (epidemiologia, agrobiologia e terapia). In particolare, i suoi studi hanno fornito la prima dimostrazione che la pollinosi da Parietaria, largamente diffusa in Italia come in altri Paesi mediterranei, è nel nostro Paese principalmente dovuta ai pollini di Parietaria judaica e non, come si riteneva in precedenza, ai pollini di Parietaria officinalis, pianta che non si ritrova nelle regioni centro-meridionali ed insulari italiane.
Altri studi hanno riguardato lo shock anafilattico, la sindrome orticaria/angioedema, le reazioni avverse da alimenti (con speciale riguardo alle reazioni pseudo-allergiche da additivi alimentari), le reazioni allergiche e pseudoallergiche da farmaci, le reazioni da ipersensibilità a veleni di imenotteri (con particolare riguardo alla diagnostica ed al trattamento).
Inoltre, molti studi sono stati dedicati all’immunoterapia specifica delle allergopatie, alle reazioni pseudo-allergiche (PAR), non immunologicamente mediate, da farmaci (antiflogistici non steroidei, mezzi di contrasto, anestetici, eccetera), da alimenti e da additivi alimentari. Più recentemente, molti studi sono stati rivolti alle metodiche
diagnostiche in vitro, in particolare ai nuovi sistemi automatizzati per la ricerca di IgE specifiche.
Altri studi su argomenti vari hanno riguardato l’AIDS (casistica clinica, con risultati di trattamento con estratti timici), la proteinosi alveolare polmonare, la cefalea di Horton, l’artropatia nel morbo di Basedow.
L’attività editoriale è stata prestigiosa: nel 1990 ha pubblicato il Manuale pratico di Allergologia, che ha avuto larghissima diffusione (ne sono state edite 300.000 copie). È stato poi unico autore del trattato Malattie allergiche,
giunto nel 1999 alla terza edizione, in due volumi (I volume: Etiopatogenesi e clinica, II volume: Diagnostica, prevenzione e terapia).
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Ha collaborato, su invito, a numerosi trattati di Medicina Interna (diretti dai Proff. Serafini, Bufano, Teodori, eccetera) ed alla redazione di numerose voci dell’Enciclopedia Medica Italiana.
Ha collaborato sin dal primo numero, cioè dal 1954, alla redazione della rivista Folia allergologica (poi divenuta
Folia allergologica et immunologica clinica e Giornale Italiano di Allergologia e Immunologia Clinica), di cui è
stato Redattore-Capo e poi Direttore (1990-1992). È stato anche Redattore, dal 1956 al 1990, della rivista di
Medicina Interna Il Progresso medico.
È stato invitato a svolgere Relazioni, oltre che in tutti i Congressi nazionali della Società Italiana di Allergologia e
Immunologia Clinica ed in numerosissimi Convegni svoltisi in Italia, tra cui quello della Società Italiana di
Medicina Interna, in molti Congressi internazionali (Parigi, Londra, Berlino, Washington, Denver, Rio de Janeiro,
Buenos Aires, Caracas, Tokyo, Osaka, eccetera).
Per quanto riguarda la sua attività nelle Società scientifiche, è stato socio fin dalla fondazione della Società Italiana
di Allergologia e Immunologia Clinica (SIAIC), di cui è stato per un decennio Segretario (1977-1987) e successivamente Vice-Presidente (1987-1989).
È stato il Coordinatore della Commissione della Società per l’immunoterapia specifica delle allergopatie respiratorie, che ha poi elaborato tre “Position Statement” sull’argomento, e membro delle Commissioni per la diagnostica
allergologica e per gli aspetti medico-legali in allergologia.
Ha elaborato una bozza del nuovo Statuto della SIAIC, approvata poi all’unanimità dall’Assemblea dei Soci, con
le nuove norme per l’elezione del Consiglio Direttivo e con l’istituzione delle Sezioni regionali ed interregionali
della Società.
È stato eletto Presidente della Società Italiana di Allergologia e Immunologia Clinica per il biennio 1990-1991.
È stato membro di molte Società scientifiche, internazionali (European Academy of Allergology and Clinical
Immunology, International Association of Allergology and Clinical Immunology, International Society of Internal
Medicine) e nazionali (Società Italiana di Medicina Interna, Società Italiana di Medicina Respiratoria, Società
Italiana di Aerobiologia, eccetera). È stato membro dei Comitati per l’immunoterapia specifica e per i test diagnostici dell’European Academy of Allergology and Clinical Immunology ed inoltre è stato membro del Comitato
Scientifico di AIMAR.
Ha anche fatto parte della Commissione del Ministero della Sanità per la prevenzione e la terapia delle malattie
allergiche.
La sua attività organizzativa si è espressa nella collaborazione all’organizzazione di tutti i Congressi della Società
Italiana di Allergologia e Immunologia Clinica dal 1954 al 1991, dapprima come Segretario, poi come Segretario
Generale e come Presidente del Congresso. Ha anche organizzato, come Segretario o Segretario Generale, vari
Congressi internazionali, come quelli dell’Accademia Europea di Allergologia e Immunologia Clinica (Firenze,
1956; Roma, 1975; Roma, 1980), dell’Associazione Internazionale di Allergologia (Firenze, 1970), della Società
Internazionale di Igiene e Medicina Preventiva (Roma, 1968) e della Società Internazionale di Medicina Interna
(Roma, 1978).
Emanuele Errigo è stato e sarà altissimo esempio di correttezza professionale e di amore per lo studio e per la didattica.
A noi tutti che lo abbiamo conosciuto piace identificarlo come l’uomo giusto, dall’animo buono, che ha saputo
conquistare grande stima ed affetti e che rivivrà sempre nei nostri ricordi.
Renato Corsico
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EMERGENZA TERREMOTO IN ABRUZZO
Cari Colleghi,
riceviamo dal Dott. Francesco de Blasio, Regent del Capitolo Italiano dell'ACCP, la seguente comunicazione che
AIMAR condivide e supporta totalmente. Riportiamo inoltre il messaggio ai membri italiani dell'ERS da parte del
Presidente ERS Jorrit Gerritsen, a testimonianza della vicinanza e del sostegno da parte dei Colleghi europei alle
famiglie e ai paesi colpiti dal sisma di questi giorni. In questo drammatico frangente è nostro auspicio l'essere il più
vicini possibile, con la nostra testimonianza ed il nostro tangibile supporto, a tutta la popolazione dell'Abruzzo.
Claudio F. Donner
Presidente AIMAR
Carissimi,
in questo delicato momento il Consiglio Direttivo dell'ACCP Capitolo Italiano ha deciso di invitare la sua membership ad un gesto di concreta solidarietà, partecipando volontariamente con un contributo economico da devolvere
interamente in favore della Croce Rossa Italiana, che si sta fattivamente adoperando nelle opere di soccorso in
favore delle popolazioni così duramente colpite dal recente sisma. Conseguentemente, abbiamo divulgato ai nostri
soci le coordinate bancarie della nostra Società e ci adopereremo nella raccolta e successivo invio della somma
finale alla CRI.
Vi chiedo ufficialmente di consentire alla nostra Segreteria Nazionale di poter divulgare il medesimo appello a tutta
la Vostra membership, mettendo a disposizione anche dei Vostri soci la nostra collaborazione nel raccogliere i contributi che vorranno essere destinati per questa causa. Se, come spero, la Vostra Società Scientifica volesse aderire
a questa iniziativa, Vi prego di adoperarVi a far contattare la nostra Segreteria Nazionale onde poter celermente
disporre analoga newsletter. Con molti ringraziamenti,
Dott. Francesco de Blasio
Regent ACCP Capitolo Italiano
Segreteria Nazionale ACCP Italia
Dott. Stefano Picciolo mail: [email protected]
sito web www.chest.it
DATI BANCARI PER LA RACCOLTA DI FONDI PER LE POPOLAZIONI DELL'ABRUZZO:
Banca Cariparma, Agenzia Napoli 7
Piazza Amedeo 8, 80121 Napoli
Conto Corrente N. 56733192
ABI 06230, CAB 03549
IBAN - IT19O0623003549000056733192
Causale: PRO TERREMOTO ABRUZZO
Dear Colleague,
We are deeply touched by the news about the earthquake with so many casualties in the area of l' Aquila in Italy
and are closely following the news reports. We fully realize the devastating consequences endured by the population. Please do know that the whole ERS as society, the officers, together with the staff of the ERS Offices, are with
you in thought and feel deeply for you. Would you please let us know if there is some way for us to extend our support to you.
We hope you will find comfort in knowing that your colleagues at the ERS are empathizing with you and your
countrymen.
With my best wishes,
Jorrit Gerritsen
ERS President
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INDICE / INDEX
Editorial / Editoriale
Early bronchial alterations in COPD and their long term consequences
Alterazioni bronchiali precoci nella BPCO e loro conseguenze a lungo termine 172
Lucio Casali, Valentina Malafoglia, Ermanno Puxeddu
Articoli Originali / Original Articles
Role of serum and pleural fluid NT-proBNP levels in identifying pleural
effusion due to heart failure
Ruolo dei livelli di NT-proBNP nel siero e nel liquido pleurico per identificare
i versamenti pleurici indotti da insufficienza cardiaca
175
Mehmet Bayram, Gulcihan Ozkan, Erkan Oztekin, Nur Dilek Bakan, Baris Acikmese,
Senem Bes, Aygun Gur, Gungor Camsari
La qualità percepita nei pazienti con insufficienza respiratoria grave
in ossigenoterapia domiciliare a lungo termine (OTLT) e monitoraggio
remoto telemetrico
Perceived quality in patients with severe respiratory failure on home LTOT
with telemonitoring
182
Roberto W. Dal Negro, Roberta Barian, Rita Cadinu, Paola Turco
Rassegne / Reviews
È possibile migliorare la prognosi dei pazienti con BPCO?
Una storia di infiammazione, corticosteroidi, broncodilatatori e altro
Improving the prognosis in COPD: is it possible?
A story of inflammation, corticosteroids, bronchodilators and more
187
Claudio M. Sanguinetti, Claudio F. Donner
Stratificazione di gravità e rischio di ricovero per riacutizzazione
di BPCO: i dati clinici dello studio ICE (Italian Costs for Exacerbations)
Severity stratification and hospitalization risk in COPD exacerbations:
clinical data from the ICE (Italian Costs for Exacerbations) study
197
Mirco Lusuardi, Carlo Lucioni, Fernando De Benedetto, Silvio Mazzi, Claudio M. Sanguinetti,
Claudio F. Donner
Lymphangioleiomyomatosis: a rare disease
Linfangioleiomiomatosi: una patologia rara
203
Mario Schiavina, Paola Contini, Aldo Guerrieri, Francesco Tavalazzi, Andrea Fabiani
Edema polmonare in corso di nuoto ed immersione: una patologia
emergente?
Pulmonary edema in swimming and diving: a new disease?
208
Giuseppe Fiorenzano, Maurizio Schiavon
Multidisciplinary Focus on: HIV and the lung
edited by / a cura di Sabina Antoniu
AIDS e polmone
AIDS and the lung
214
Michela Conti, Angelo Cazzadori, Ercole Concia
MRM
169
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HIV and lung mycoses
HIV e micosi polmonari
217
Stefania Cocchi, Roberto Esposito
HIV and tuberculosis: dilemmas and challenges
HIV e tubercolosi: dilemmi e sfide
221
Giovanni B. Migliori, Rosella Centis, Anna Scardigli, Lucica Ditiu, Alberto Matteelli
HIV-related lung cancer in the age of HAART
Il tumore polmonare associato ad HIV nell’epoca della terapia
antiretrovirale ad elevata efficacia (HAART)
225
May Stancliffe, Tom Powles, Mark Bower
RUBRICHE
Interdisciplinary Pages
Spotlight on Respiratory Endoscopy
Completion of ERS/AIMAR Joint Fellowship: a short report
Breve resoconto di un’esperienza di ERS/AIMAR Joint Fellowship
229
Michela Bezzi
230
AIMAR Newsletter
CFC Pages / Angolo del CFC
Primary coronary artery disease prevention in the era
of plaque imaging
La prevenzione primaria della malattia coronarica nell’era dell’imaging
della placca
232
Cesare Rusconi
L'Angolo della Cultura (non solo Medicina...)
Triplice follia
235
Triple folly
Francesco Iodice
238
Meeting Calendar
Avviso importante ai Soci
Si rammenta a tutti i Soci che, come più volte comunicato negli
scorsi numeri di MRM, la rivista non sarà più inviata senza
la regolarizzazione dell'iscrizione ad AIMAR.
Le modalità di pagamento della quota societaria per l'anno 2009
sono riportate nella pagina a fianco.
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Certificazione ISO 9001-2000
N. IT-37575
Associazione Scientifica
Interdisciplinare per lo Studio
delle Malattie Respiratorie
Modulo di Iscrizione
da inviare alla segreteria
* campi obbligatori
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Specialità:* _____________________________________________________________________
Ente: ___________________________________________________________________________
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Città:* _____________________________________ CAP:* ___________ Provincia:* ______
Regione:* __________________________________ Stato:* ____________________________
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La quota per l’anno 2009 è:
t 50.00 per pneumologi
t 20.00 per non pneumologi
Modalità di pagamento - barrare l’opzione desiderata:
contanti
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Banca ___________________________________________
Carta di credito:
intestata a: _____________________________________________________________________
numero carta: ___________________________________________
scadenza: _____ / _____
codice di sicurezza (cw2) (il codice è riportato sul retro della carta): ____________________________
Il codice di sicurezza (cw2) a tre cifre è riportato sul retro, in corsivo,
immediatamente sopra il riquadro dela firma. Far riferimento alle
illustrazioni a lato a seconda del tipo di carta posseduta.
Bonifico Bancario
Banca d'appoggio: Banca Intesa San Paolo - Filiale di Borgomanero (NO)
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Le ricordiamo che collegandosi al sito www.aimarnet.it, potrà accedere a tutti i servizi offerti ai Soci di AIMAR.
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Fax +39 0322 869737
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Editorial / Editoriale
Early bronchial alterations in COPD and their
long term consequences
Alterazioni bronchiali precoci nella BPCO
e loro conseguenze a lungo termine
Lucio Casali, Valentina Malafoglia, Ermanno Puxeddu
Università degli Studi di Perugia, Dipartimento di Medicina Interna, Sezione Malattie dell’Apparato Respiratorio,
Perugia
Chronic obstructive pulmonary disease (COPD) is a
disease state characterized by poorly reversible airflow limitation that is usually progressive and associated with an abnormal inflammatory response of
the lungs to noxious particles of gases, particularly
cigarette smoke [1].
Today COPD is no longer seen as a disease involving exclusively the lungs, and the attention is now
focused on its systemic effects and associated comorbidities. These aspects characterize the natural
history of the disease and play a pivotal role in the
clinical course of patients affected by COPD.
Potentially, an effective prevention and treatment of
these conditions might represent the major breakthrough in the approach to COPD patients in the
coming future [2].
Metabolic syndrome with particular regard to type
2 diabetes, cardiovascular disease, osteoporosis
and muscle dysfunction are the principal comorbidities associated to COPD. All these conditions
share a common ground that is represented by a
state of systemic inflammation [3] with increase of
circulating cytokines (e.g. TNF-α and IL-6) and
acute-phase reactants (e.g. CRP).
As the origin of systemic inflammation and related
comorbidities in COPD patients remains unclear,
two different views are currently proposed. Firstly,
systemic inflammation might be caused by
‘spillover’ of inflammatory mediators from the initially affected organ - the lungs - into the systemic
circulation, resulting in an involvement of other organ systems [2]. Secondly, systemic inflammation
in COPD might represent the underlying condition
+ Lucio Casali
S.C. Malattie Apparato Respiratorio, Ospedale S. Maria
Via T. di Joannuccio 1, 05100 Terni, Italia
email: [email protected]
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2009; 4(3): 172-174
172 MRM
rather than the consequence of the disease. This
view proposes COPD as part, along with insulin resistance, dyslipidemia and endothelial dysfunction,
of a complex inflammatory syndrome that recognizes cigarette smoke and other aspects, e.g. weight
control, diet and exercise, as main risk factors.
Recently, Fabbri and Rabe [4] suggested adding the
term ‘chronic systemic inflammatory syndrome’ to
the definition of COPD to reflect the complexity of
the problem.
Besides these considerations, what appears clear is
that exposure to cigarette smoke, in the subset of
subjects that develop COPD, causes early pathological alterations of the peripheral airways represented by inflammatory cell infiltrate in the wall, consisting predominantly of mononuclear cells and
clusters of macrophage in the respiratory bronchioli
[5]. Further, with the progression of the disease
there is an increase of macrophages and T lymphocytes in the airway wall and of neutrophils in the lumen [6-8]. It is reasonable to think that these modifications, that take place well before the presentation of any clinical manifestation of disease, lead to
an early alteration of the airway morphology with
important functional consequences. In fact, on one
hand they are accountable for the development of
airflow limitation; on the other hand they cause alteration of the distribution of ventilation, with unbalance of the ventilation perfusion relationship.
In the early stages of the disease the magnitude of
these phenomena might be mild enough not to
cause, under normal conditions, evident pathophysiological or clinical manifestations, but they
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cumulation of extravascular albumin [17].
At an extrapulmonary level, the activation of HIF-1
has been linked to chronic inflammation and reduced adiponectin levels in white adipose tissue,
that contribute to the pathogenesis of insulin resistance, which links obesity to many complications
such as type 2 diabetes and cardiovascular disease
[18]. In obese patients the activation of HIF-1 is
thought to take place in the adipose tissue mostly
due to the presence of local chronic hypoxia secondary to inadequate vascularization of the hypertrophic tissue. The notion of a role of hypoxemia in
the pathogenesis of insulin resistance in obesity is
supported by evidence that affected subjects are
more susceptible to insulin resistance in a hypoxic
environment, such as high altitude [19-22].
Muscle dysfunction is another important feature of
the systemic manifestations of COPD. One of the
potential mechanisms that has been proposed as a
cause of muscle dysfunction is exercise induced oxidative stress. Oxidative stress takes place when
highly reactive oxygen species (ROS) overwhelm
the antioxidant defences causing cell damage and
tissue wasting [23]. Several studies on healthy subjects and on subjects affected by COPD suggest that
hypoxemia is an important factor in the development and worsening of muscle oxidative stress.
Martinelli and co-workers [24] reported a threefold
increase in basal levels of lipofuscin, a pigment
marker of cumulative oxidative stress, in the vastus
lateralis of climbers after a high altitude expedition
(over 5000 m) for 8 weeks. More recently, Lundby
and colleagues [25] reported an increase in resting
muscle oxidative DNA damage in seven healthy
subjects after 2 weeks at 4100 m. In COPD, chronic hypoxemia is associated with poor tolerance of
peripheral muscle exercise [26]. The literature on
environmental hypoxia suggests that chronic hypoxemia in COPD could contribute to peripheral
muscle oxidative stress under resting conditions
and after exercise [24,25]. Furthermore, muscle oxidative stress might represent the cause of the enhanced systemic immunological response to exercise documented in patients with COPD [27] and
therefore could represent an additional source for
the production of inflammatory mediators in those
patients.
In conclusion, despite the wealth of evidence supporting the role of extrapulmonary organs in the
pathogenesis of the systemic manifestations that
characterize the natural history of COPD, we believe it important to stress the notion that COPD is
a preventable disease that affects primarily the airways and that the high incidence of comorbidities
and complications can be explained, at least in
part, by the complex functional alterations that
characterize the disease from its early stages, which
mainly consists in persistent hypoxia at the level of
peripheral organs.
L Casali, V Malafoglia, E Puxeddu
Editorial - Editoriale
could cause important functional abnormalities under particular conditions, such as transient hypoxemia during exercise. In this context, it is a matter
of fact that COPD can lead to periods of hypoxemia
and consequently to periods of change of pressure
in the right ventricle, accounting for the ventricular
septum wall stress that is associated with the progress
of heart dysfunction in affected subjects [9]. From the
pathophysiological point of view, this cardiological
complication of hypoxemia in COPD is a consequence of the well known hypoxic pulmonary vasoconstriction phenomenon that was described for the
first time more than 60 years ago [10].
Recently, clinical studies on obstructive sleep apnea syndrome (OSAS), a highly prevalent disease
that is often underdiagnosed and in many cases
overlaps with COPD, have yielded interesting findings. It has been shown that in subjects affected by
OSAS, which is characterized by periods of oxyhemoglobin desaturation during sleep, even transient hypoxemia can trigger the development of systemic complications, in particular cardiovascular
disease, with a mechanism that goes beyond the
Van Euler Liljestrand reflex. There is increasing evidence, indeed, that transient hypoxemia leads to an
activation of inflammatory pathways. This promotes
activation of various inflammatory cells, particularly
lymphocytes and monocytes, with the downstream
consequence of expression of pro-inflammatory cytokines, chemokines and adhesion molecules that
may contribute to endothelial dysfunction [11].
Furthermore, the notion that hypoxia might be related to systemic inflammation in COPD has been already proposed [12]. Studies in vitro have revealed
that hypoxia results in enhanced cytokine production by macrophages and that the systemic hypoxemia observed in COPD patients may contribute to
the activation of the TNF system. Indeed, significant
inverse correlation between PaO2 and circulating
TNF-α and sTNF-R levels in patients with COPD
were reported [13]. Similarly, a significant relationship was found between the reduced oxygen delivery and the TNF-α levels in the peripheral circulation, stressing the role of tissue hypoxia [14].
In this context, hypoxia inducible factor (HIF)-1α, a
transcriptonal factor activated at the cellular level
by hypoxia, plays a central and general role [12].
HIF-1 activates the expression of a number of target
genes coding for proteins involved in angiogenensis, energy metabolism, erythropoiesis, cell proliferation and inflammation [15]. The activation of
HIF-1α in the lung, that interestingly is regulated by
the inspired oxygen concentration, plays a major
role in pulmonary vascular remodeling [16].
Furthermore, recently it has been demonstrated that
periods of even moderate hypoxia result, probably
through the activation of the HIF-1α pathway, in
mild lung injury characterized by the accumulation
of macrophages, modest neutrophil influx, and ac-
MRM
173
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Original Article / Articolo Originale
Role of serum and pleural fluid NT-proBNP
levels in identifying pleural effusion due to
heart failure
Ruolo dei livelli di NT-proBNP nel siero e nel liquido
pleurico per identificare i versamenti pleurici indotti da
insufficienza cardiaca
Mehmet Bayram1, Gulcihan Ozkan1, Erkan Oztekin2, Nur Dilek Bakan1, Baris Acikmese1, Senem Bes1,
Aygun Gur1, Gungor Camsari1
1
Yedikule Teaching Hospital for Chest Diseases and Thoracic Surgery, Chest Diseases Department, Istanbul, Turkey
Sisli Etfal Teaching Hospital, Cardiology Department, Istanbul, Turkey
2
ABSTRACT
Background & Aim: To evaluate the value of serum and pleural fluid (PF) N-terminal pro-B-type natriuretic peptide (NTproBNP) measurement as a diagnostic tool in identifying
pleural effusions due to heart failure.
Materials & Methods: Simultaneous PF and serum samples
were collected. Levels of PF and serum NT-proBNP and other
biochemical parameters were measured. All study participants underwent echocardiography. Receiver operating characteristics (ROC) curve analysis was generated to determine
cut-off levels for PF and serum NT-proBNP to discriminate
pleural effusion due to heart failure from other causes.
Results: One-hundred and sixty-two consecutive patients
with pleural effusion were enrolled in the study. Diagnostic or
therapeutic thoracentesis was performed in all patients and
133 patients were eligible for the study. Fifty-one patients
(38%) had effusions due to heart failure, 3 patients (2%) had
transudative effusions due to other causes, 79 patients (60%)
had exudative causes. A close correlation (R2: 0.91) was found
between serum and PF NT-proBNP levels. Cut-off levels of
1040 ng/L for serum and 925 ng/L for PF NT-proBNP had sensitivities of both 94%, specificities of 98% and 95%, and
accuracies of 96% and 95%, respectively. Nineteen patients
with pleural effusions were misclassified by Light’s criteria.
Among these patients, serum-PF albumin gradient and
serum-PF protein gradient measurements corrected 14 and
13 patients respectively. Both serum and PF NT-proBNP correctly classified all these 19 patients.
Conclusions: Both serum and PF NT-proBNP measurement
have high diagnostic accuracy in differentiating pleural effusions due to heart failure from other causes. Both measurements might be valuable additional diagnostic tools in diagnosing pleural effusion due to heart failure.
Keywords: Heart failure, natriuretic peptides, pleural effusion.
RIASSUNTO
Razionale e scopo: Valutare la validità della misurazione nel
siero e nel liquido pleurico del peptide natriuretico di tipo
pro-B N-terminale (NT-proBNP) come mezzo diagnostico nell’identificazione dei versamenti pleurici causati da insufficienza cardiaca.
Materiali e Metodi: Sono stati raccolti simultaneamente campioni serici e di liquido pleurico. I livelli serici e pleurici di NTproBNP sono stati valutati assieme ad altri parametri biochimici. Tutti coloro che hanno partecipato allo studio sono stati sottoposti ad ecocardiografia. È stata effettuata un’analisi
della curva ROC per determinare i livelli di cut-off di NTproBNP serico e pleurico in grado di discriminare i versamenti pleurici causati da insufficienza cardiaca da quelli ad altra
eziologia.
Risultati: Sono stati arruolati 162 pazienti consecutivi con
versamento pleurico. In tutti i pazienti è stata effettuata una
toracentesi diagnostica o terapeutica e 133 pazienti sono risultati adatti allo studio. 51 pazienti (38%) avevano un versamento secondario a insufficienza cardiaca, 3 pazienti (2%)
avevano un trasudato dovuto ad altre cause, 79 pazienti
(60%) presentavano un essudato. È stata riscontrata una
+ Mehmet Bayram
Yedikule Teaching Hospital for Chest Diseases and Thoracic Surgery, Chest Diseases Department,
Aydinli yolu Firin sk. No. 24/5 Pendik, Istanbul, Turkey
email: [email protected]
Data di arrivo del testo: 02/02/2009 – Accettato dopo revisione 21/04/2009
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stretta correlazione (R2 = 0,91) tra livelli serici e pleurici di
NT-proBNP. Livelli di cut-off di NT-proBNP a 1040 ng/L per il
siero e 925 ng/L per il liquido pleurico hanno mostrato entrambi una sensibilità del 94%, specificità del 98% e 95%, ed
accuratezza del 96% e 95%, rispettivamente. 19 pazienti con
versamento pleurico sono risultati non correttamente classificati utilizzando i criteri di Light. Tra questi pazienti i gradienti tra siero e liquido pleurico di albumina e proteine hanno
permesso di correggere la classificazione rispettivamente in
14 e 13 pazienti. Tutti i 19 pazienti sono stati correttamente
classificati sia con il NT-proBNP serico che pleurico.
Conclusioni: Il dosaggio del NT-proBNP sia serico che pleurico
ha un’elevata accuratezza diagnostica nel differenziare i versamenti pleurici indotti da insufficienza cardiaca da quelli ad
altra eziologia. Entrambe le misure possono rappresentare un
mezzo diagnostico addizionale per la diagnosi di versamento
pleurico causato da insufficienza cardiaca.
Parole chiave: Insufficienza cardiaca, peptide natriuretico, versamento pleurico.
INTRODUCTION
Discrimination of pleural effusions due to heart failure is made using as a guide Light’s criteria in the
presence of clinical findings. These criteria have
very high sensitivity to detect exudative effusions
[1-2]. On the other hand it is well known that some
patients, in particular when receiving diuretic treatment, can be misclassified as exudates [3-5].
Detecting exudative effusions in these patients may
lead to futile invasive and expensive diagnostic procedures. Besides, thoracentesis may cause not only
discomfort but also complications. Therefore a strategy to detect pleural effusion due to heart failure
avoiding unnecessary thoracentesis and/or further
diagnostic procedures seems to be ideal and cost
effective.
B type natriuretic peptide (BNP) is a peptide secreted in response to an increased stretching of the
heart ventricle wall. The precursor molecule
proBNP is cleaved to form inactive NT-proBNP and
active BNP. NT-proBNP is a sensitive marker in detecting cardiac dysfunction and has wide use in the
diagnosis of acute or chronic, diastolic or systolic,
left ventricle dysfunction [6-9].
There are studies focused on the role of NT-proBNP
measurements in diagnosis of pleural effusion related to heart failure since 2004. Until recently, 5
studies with NT-proBNP and one study with BNP
have been carried out to explore the effectiveness of
these peptides to discriminate pleural effusions due
to heart failure from other causes [10-15].
Retrospective design [10], selected patients [11] detection only in pleural effusion [10] or only in
serum [12] are the limitations of some of the studies. It is clear that more studies are needed to define
optimal cut-off levels and descriptive properties of
these peptides and to compare this method with
other diagnostic procedures.
The present study was designed to verify the diagnostic value of NT-proBNP measured in serum and
in PF to identify pleural effusions due to heart failure, to compare its diagnostic value with Light’s cri-
176 MRM
teria, and with serum-PF protein gradient (SPPG)
and serum-PF albumin gradient (SPAG), and to evaluate the correlation between serum and PF NTproBNP levels in a large group of patients.
MATERIALS & METHODS
Consecutive patients with pleural effusion were
prospectively evaluated from December 2006 to
August 2007. The following measurements were
performed in PF and serum samples: NT-proBNP,
glucose, protein, albumin, lactate dehydrogenase
(LDH), creatinine, cholesterol, cell count, differential cell count, bacterial culture, acid-fast bacilli
smear and culture, and cytology. Only the evaluation of the first thoracentesis was considered.
Sampling of serum and PF were done simultaneously. The following biochemical parameters were estimated and calculated by Light’s criteria [1]:
PF/serum protein ratio, PF/serum LDH ratio, PF
LDH concentration; according to Light’s criteria
PF/serum protein ratio higher than 0.5 or PF/LDH
ratio higher than 0.6 or PF LDH concentration higher than 2/3 of upper limit indicate effusions as exudates. Additionally, if an exudative effusion is detected due to heart failure, albumin gradient (serum
albumin concentration minus pleural effusion albumin concentration) and protein gradient (serum total protein concentration minus pleural effusion total protein concentration) should be calculated. If
SPAG is higher than 1.2 g/dl and if SPPG is higher
than 3.1 g/dl the effusion is considered as transudate. In this study, the investigators were blinded to
NT-proBNP results until after the last patient’s diagnostic procedures had been completed.
Echocardiography was performed in all patients in
order to assess the presence of left ventricular dysfunction or severe valvular disease. The physician
who performed the echocardiography was blinded
to patients’ clinical and biochemical parameters.
Further studies, including pleural biopsy, were done
by discretion of the primary physician. Patients
were excluded from the study if: i) pus or blood was
aspirated by thoracentesis; ii) two or more diseases
causing pleural effusion were detected; iii) definite
diagnosis could not be made despite further investigations. All participants provided informed consent, and the study protocol was approved by the
Regional Ethics Committee.
Laboratory measurements
Venous blood was taken from an antecubital vein
from all patients and placed in tubes filled with ethylenediaminetetraacetic acid after a 15-min rest in
supine position. LDH and albumin were measured
on SYNCHRON LX® 20 analyzer using Konelab
kits. Total protein concentration was estimated using the biuret method, LDH level was measured using a kinetic ultraviolet optimized standard method;
the upper normal limit is defined as 450 IU/L.
Albumin concentration was determined by bromcresol green method. NT-proBNP was measured by
electrochemiluminescence immunoassay using an
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Diagnostic criteria
The final clinical diagnosis was based on the results
of all diagnostic studies and the decision of whether
pleural effusion was transudate or exudate was
blinded to measurements of NT-proBNP and based
on Light’s criteria. Effusions were considered malignant if malignant cells were detected at cytological
examination or in a biopsy specimen or if primary
malignancy was proven with exclusion of any other causes associated with pleural effusion. A pleural
effusion was considered to be parapneumonic
when clinical findings and pulmonary infiltrate in
the absence of malignancy or diseases causing transudates were detected. Tuberculous pleurisy was diagnosed with a positive culture finding for
Mycobacterium tuberculosis in PF, pleural biopsy,
or sputum, and/or the presence of caseous granulomas in pleural biopsy and/or high levels of adenosine deaminase in PF. Pleural effusion was considered as due to pulmonary emboli when there was a
strong clinical suspicion and a high-probability
ventilation perfusion scintigraphy and/or pulmonary angiography. Heart failure was diagnosed
by history, cardiomegaly and pulmonary venous
congestion on chest X-ray, peripheral edema, response to diuretic treatment and proven with
echocardiography. Nephrotic syndrome was diagnosed when the patient had proteinuria, edema,
and hypoalbuminemia. Effusions were considered
secondary to liver cirrhosis when there was clinical
or laboratory evidence of hepatic damage in the absence of heart failure or malignancy.
Statistical analysis
Medians of data obtained by biochemical analysis
were compared using the Mann-Whitney U test.
Qualitative variables were compared by Fisher’s exact test. Correlation of PF and serum NT-proBNP
levels were tested by Spearman’s coefficient rank of
correlation test. The sensitivity, specificity, positive
predictive value (PPV), negative predictive value
(NPV) accuracy and positive likelihood ratio (+LR)
were calculated using Bayes’ theorem. Receiver operating characteristics (ROC) curves were generated
to detect discriminative properties of various cut-off
levels of PF and serum NT-proBNP. All tests were
two-tailed, and a p-value of < 0.05 was considered
significant. Analyses were performed with a statistical software package (SPSS version 15.0; Chicago,
USA).
RESULTS
PF and serum samples were collected from 162
consecutive patients presenting with pleural effusion. Of these, 29 patients were excluded for the
following reasons: 11 patients due to no definitive
diagnosis despite further investigations; 7 patients
with exudative effusions and coexisting heart failure
(3 with lung cancer, 1 with postmyocardial injury
syndrome, 1 with parapneumonic effusion, 1 with
tuberculous pleurisy, 1 with pleural effusion due to
hemodialysis); 7 patients with empyema; 4 patients
due to missing laboratory results. Data of the remaining 133 patients were evaluated.
Final diagnoses of the study population are presented in Table I.
Clinical characteristics are summarized in Table II.
As expected, older age, bilateral effusions, and lower left ventricle ejection fraction (EF) on echocardiography were associated with heart failure. Twentytwo (43.1%) patients in the cardiac effusion group
were on diuretic therapy. Echocardiography findings of patients with heart failure were as follows;
27 had (52.9%) left ventricle systolic dysfunction
(EF median level: 35%), 16 (31.4%) had valvular
disease (grade II or III), 4 (7.8%) had left ventricle
diastolic dysfunction. Median levels of serum and
PF NT-proBNP of patients with cardiac effusion
were significantly higher (p < 0.001). Two patients
with transudative effusion had normal echocardiography findings despite presence of clinical findings
of heart failure (cardiomegaly on chest x-ray, peripheral edema, venous stasis and S3 gallop rhythm
on physical examination, and resolution of effusion
with diuretics). Their serum NT-proBNP levels were
4973 ng/L and 4687 ng/L; pleural fluid NT-proBNP
levels were 2517 ng/L and 6663 ng/L.
Serum and PF NT-proBNP levels of the 3 patients
with transudative but non-cardiac effusions were 88
M Bayram, G Ozkan, E Oztekin, ND Bakan, B Acikmese, S Bes, A Gur, G Camsari
NT-proBNP and cardiac pleural effusions – NT-proBNP e versamento pleurico a genesi cardiaca
Elecsys 2010 analyzer (Roche Diagnostics,
Mannheim, Germany). According to the manufacturer, this test has an intra-assay and coefficient of
variation of 0.8 – 3% and a detection range of 5 –
35,000 ng/L.
TABLE I: DIAGNOSES OF THE STUDY POPULATION
Type of pleural effusion
n
%
Transudative
Heart failure
Liver cirrhosis
Nephrotic syndrome
Exudative
Malignancy
Tuberculosis
Parapneumonic
Pulmonary embolism
Other*
54
51
2
1
79
31
31
10
4
3
40
38
1
1
60
24
24
7
3
2
MRM
177
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TABLE II: CLINICAL CHARACTERISTICS OF PATIENTS
Characteristics
N
Age
Male/female
Bilateral effusions (%)
Left ventricle ejection fraction
Serum NT-proBNP (ng/L)
PF NT-proBNP (ng/L)
Heart failure
Other Effusions
p
51
71 (62-76)
35/16
27 (52.9)
43 (32-60)
4687 (2006-11974)
4468 (1802-11489)
82
49 (29-65)
55/27
6 (7.3)
64 (60-68)
119 (66-230)
187 (77-407)
< 0.001
0.85
< 0.001
< 0.001
< 0.001
< 0.001
Data are presented as median (interquartile range).
Definition of abbreviations: NT-proBNP, N-terminal proB-type natriuretic peptide; PF, pleural fluid.
ng/L, 139 ng/L, 573 ng/L and 92 ng/L, 148 ng/L, 573
ng/L, respectively. Serum and PF NT-proBNP median levels of the study population final diagnoses are
shown as box-plots in Figure 1. A close correlation
was found between serum and PF NT-proBNP levels (R2: 0.91, Figure 2). Measurement of NT-proBNP
levels in serum and PF had high diagnostic accuracy, as shown by ROC curve analysis (area under the
curve 0.98 for serum and 0.97 for PF, Figure 3).
Sensitivities, specificities, positive and negative predictive values and accuracies for various cut-off levels of serum and PF NT-proBNP as determined by
ROC curve analysis are shown in Table III.
Diagnostic values of Light’s criteria in the study
population are summarized in Table IV. Light’s criteria misclassified 19 (35.3%) cardiac effusions as
exudates. Ten of the 19 patients were receiving diuretics. Serum and PF albumin and protein gradients corrected 14 and 13 of the 19 effusions as transudates, respectively, whereas serum and PF NTproBNP levels correctly classified all of them as cardiac effusions.
DISCUSSION
Pleural effusion due to heart failure is usually diagnosed by revealing transudate effusion and interpreting the clinical findings. Light’s criteria are considered the standard method to discriminate exudative effusions from transudates, although it is well
known that in some patients with heart failure who
are receiving diuretics, LDH and protein concentrations are increased in PF and this causes a misclassification of transudates as exudates [3-5].
Parameters have been improved to overcome this
problem. Serum-PF protein and albumin gradients
are accepted as a cost-effective method to minimize
this confusing effect of diuretic treatment. On the
other hand, the single use of SPPG or SPAG can by
itself lead to an overdiagnosis of transudative effusions [4].
Among the natriuretic family, BNP is released from
the heart ventricles in response to an increase in
pressure. Thus, for a long time it has been widely
used in cardiovascular diseases as a marker to detect cardiac dyspnea, and asymptomatic left ventricular dysfunction in high risk population, to mon-
178 MRM
itor the efficiency of treatment of heart failure, and
to estimate the prognosis of heart failure and coronary artery disease.
Porcel et al. first noticed that NT-proBNP measurement in PF has high diagnostic value in discriminating the pleural effusions due to heart failure from
other causes in 2004 [10]. They examined PF of 117
patients in a retrospective study. Median level of PF
NT-proBNP was 6931 ng/L for heart failure and 292
ng/L for other causes. They reported that AUC of
ROC was 0.97 when they chose 1500 ng/L as the
optimal cut-off level [10]. Tomscanyi et al. subsequently reported that levels of PF NT-proBNP between 599 ng/L and 1457 ng/L had a sensitivity and
specificity of 100% to discriminate the effusions
due to heart failure from the exudative ones [11].
Similarly, Gegenhuber et al. [12] investigated BNP
in PF and concluded that it has a high diagnostic
value to discriminate the cardiac effusions from the
others (ROC AUC: 0.97). Kolditz et al. [13] investigated PF and serum NT-proBNP levels in 93 patients to evaluate its diagnostic accuracy in serum
and PF. Median levels of serum and PF were 10791
ng/L and 10427 ng/L for cardiac effusion and 989
ng/L and 947 ng/L for non-cardiac effusions, respectively. ROC AUC was 0.97 for both PF and
serum NT-proBNP measurement. They proposed
4000 ng/L as optimal cut-off level for both PF and
serum NT-proBNP to discriminate effusions due to
heart failure from exudates [13].
The high sensitivity, specificity and accuracy of
serum and PF NT-proBNP found in the present
study is consistent with previous studies. Optimal
cut-off levels were found to be comparable with
1500 ng/L which is proposed for PF NT-proBNP by
Porcel et al. [14]. High specificity and sensitivity
values in a wide cut-off range were observed as detailed in Table III. This result is similar to that in
Tomcsányi et al.'s study [11]. Unlike the previous
and present studies, Kolditz et al. [13] proposed a
much higher cut-off level (4000 ng/L) for PF and
serum NT-proBNP. They performed echocardiography in patients with suspected pleural effusion due
to heart failure and reported high median age (67
years), high bilateral effusion rates (22%) and heart
failure history rates (40%) in the non-cardiac group.
These findings made us suspect the presence of co-
MRM 03-2009_def:Layout 1 24/06/09 11:26 Pagina 179
Serum NT-proBNP
Pleural fluid NT-proBNP
30.000
25.000
NT-proBNP ng/L
20.000
15.000
10.000
5.000
0
Heart Failure
Other
Transudatives
Malignity
Tuberculosis Parapneumonic Pulmonary
Effusion
Emboli
Other
Exudatives
Diagnosis
existing heart failure in non-cardiac patients in the
study of Kolditz et al. [13]. In the present study
echocardiography was performed in all patients, in-
cluding the 7 patients with non-cardiac effusion
who also had co-existing heart failure and were excluded from the study. On the other hand, unlike
M Bayram, G Ozkan, E Oztekin, ND Bakan, B Acikmese, S Bes, A Gur, G Camsari
NT-proBNP and cardiac pleural effusions – NT-proBNP e versamento pleurico a genesi cardiaca
FIGURE 1: BOX-PLOTS SHOW MEDIAN AND QUARTILES OF SERUM AND PLEURAL FLUID NT-proBNP ACCORDING TO THE
DEFINITIVE DIAGNOSIS
FIGURE 2: CORRELATION OF SERUM AND PLEURAL EFFUSION LEVEL OF NT-proBNP. SPEARMAN’S COEFFICIENT OF RANK
CORRELATION IS 0.91 (P < 0.001). BOTH AXES HAVE A LOGARITHMIC SCALE.
100000,00
Serum NT-proBNP
10000,00
1000,00
100,00
10,00
10,00
100,00
1000,00
10000,00
100000,00
pleural fluid NT-proBNP
MRM
179
FIGURE 3: RECEIVER OPERATING CHARACTERISTICS (ROC) CURVE OF NT-proBNP LEVELS IN SERUM AND PLEURAL FLUID FOR
DIFFERENTIATING BETWEEN CARDIAC AND NON-CARDIAC PLEURAL EFFUSIONS (AREA UNDER THE CURVE 0.98 FOR SERUM
AND 0.97 FOR PF)
ROC Curve
Serum NT-proBNP
pleural fluid NT-proBNP
1,0
0,8
Sensitivity
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2009; 4(3): 175-181
MRM 03-2009_def:Layout 1 24/06/09 11:26 Pagina 180
0,6
0,4
0,2
0,0
0,0
0,2
0,4
0,6
0,8
1,0
1 - Specificity
the previous investigations, the median age of patients with exudative effusion was comparably low.
This was attributed to the 31 patients with tuberculous pleurisy. But it did not alter the optimal cut-off
values.
Another important finding was the high correlation
between PF and serum NT-proBNP levels, that
therefore have equivalent diagnostic values. These
results are almost the same as those obtained by
Tomcsányi et al. [11], Kolditz et al. [13], and Han et
al. [15].
Serum NT-proBNP measurement may be a choice
to exclude or identify the heart failure in patients
with comorbid disease in whom we were unable to
take PF for NT-proBNP or other biochemical markers.
Porcel et al. [14] reported that 10 of the 35 effusions
due to heart failure were misclassified as exudate
according to Light’s criteria, while PF NT-proBNP
measurements classified these patients correctly.
Kolditz et al. [13] noticed that both serum and PF
NT-proBNP levels of 9 patients with effusions due
to heart failure, who were misclassified by Light’s
criteria, were above the cut-off levels. In another
study of Porcel et al. [14], 8 of 40 patients with
pleural effusion due to heart failure were misclassified by Light’s criteria. Six of those 8 patients could
be classified correctly by albumin gradient, serum
and PF NT-proBNP.
Therefore they concluded that serum and PF NTproBNP measurement are not superior to albumin
TABLE III: DIAGNOSTIC INFORMATION OF SERUM AND PF NT-proBNP FOR VARIOUS CUT-OFF LEVELS IN THE DIAGNOSIS OF
CARDIAC EFFUSION
Cut-off level
(ng/L)
Sensitivity %
(95% CI)
Specificity %
(95% CI)
Accuracy %
(95% CI)
NPV %
(95% CI)
PPV %
(95% CI)
+ LR
(95% CI)
Serum
614
1040*
1503
94 (86-97)
94 (88-96)
84 (78-86)
91 (87–94)
98 (94–99)
99 (95–99)
93 (87–95)
96 (91–98)
93 (88–94)
96 (91–98)
96 (92–98)
91 (87–92)
87 (81–91)
96 (90–99)
98 (90–99)
11 (6–16)
38 (14–117)
67 (15–381)
Pleural fluid
642
925*
1457
96 (89-99)
94 (87-97)
84 (77-87)
87 (81–88)
95 (88–99)
98 (93–99)
89 (84–91)
95 (90–97)
92 (87–94)
97 (92–99)
96 (92–98)
96 (86–99)
80 (74–82)
92 (86–96)
91 (87–92)
6 (4–7)
19 (9–34)
34 (11–120)
*Optimal cut-off level
Definition of abbreviations: CI, confidence interval; NPV, negative predictive value; PPV, positive predictive value; +LR, likelihood ratio.
180 MRM
MRM 03-2009_def:Layout 1 24/06/09 11:26 Pagina 181
Sensitivity % (95% CI)
Specificity % (95% CI)
Accuracy % (95% CI)
97 (94–99)
95 (90–97)
94 (85–97)
95 (89–98)
64 (54–62)
82 (74–86)
64 (57–65)
68 (60–73)
85 (79–87)
90 (84–93)
80 (72–85)
85 (78–88)
Light’s criteria
PF/serum total protein ratio
PF/serum LDH ratio
PF LDH level > 2/3 of normal upper limit of serum LDH level
Definition of abbreviations: CI, confidence interval; LDH, lactate dehydrogenase; PF, pleural fluid.
gradient. In a recently published study Han et al.
[15] noticed that ten cases of 28 misclassified as exudative effusion due to heart failure showed serumeffusion protein gradient less than 3.1 g/dL.
Of the 28 misclassified, 26 exhibited PF NT-proBNP
level higher than the cut off level. In the present
study serum and NT-proBNP measurements correctly detected heart failure in all 19 patients who
were misclassified by Light’s criteria, whereas albumin gradient misclassified 5 and protein gradient
misclassified 6 of them as exudate. It is obvious that
measuring albumin gradient costs less than NTproBNP assay.
In the present study NT-proBNP measurements
seem to have higher diagnostic accuracy than protein and albumin gradients.
Nevertheless these findings should be confirmed
with further studies focused on this issue in a larger
group of patients.
CONCLUSION
The present study demonstrated that serum and PF
NT-proBNP levels are highly correlated and measurements of these parameters effectively discriminate pleural effusions due to heart failure from other causes. Serum NT-proBNP measurement may be
a choice to exclude or identify the heart failure in
patients in whom thoracentesis cannot be performed. When Light’s criteria reveal an exudative
effusion in patients who have suspicion of heart failure, serum or PF NT-proBNP measurements may be
a useful additional diagnostic tool.
To definitively establish the usefulness and cost-effectiveness of NT-proBNP in comparison with the
SPAG and SSPG methods, further studies in large
populations are needed.
CONFLICT OF INTEREST STATEMENT: None of the authors has
any conflict of interest to declare in relation to the subject
matter of this manuscript.
M Bayram, G Ozkan, E Oztekin, ND Bakan, B Acikmese, S Bes, A Gur, G Camsari
NT-proBNP and cardiac pleural effusions – NT-proBNP e versamento pleurico a genesi cardiaca
TABLE IV: DIAGNOSTIC VALUES OF LIGHT’S CRITERIA IN THE PRESENT STUDY
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MRM
181
MRM 03-2009_def:Layout 1 24/06/09 11:26 Pagina 182
Articolo Originale / Original Article
La qualità percepita nei pazienti con
insufficienza respiratoria grave in
ossigenoterapia domiciliare a lungo termine
(OTLT) e monitoraggio remoto telemetrico
Perceived quality in patients with severe respiratory
failure on home LTOT with telemonitoring
Roberto W. Dal Negro1,2, Roberta Barian1, Rita Cadinu1, Paola Turco2
1
2
UOC di Pneumologia, ULSS22 Regione Veneto, Ospedale Orlandi, Bussolengo (VR)
CESFAR - Centro Studi Nazionale di Farmaco-Economia e Farmaco-Epidemiologia Respiratoria, Bussolengo,
Verona
RIASSUNTO
La valutazione della qualità dei servizi erogati rappresenta un
punto cruciale nel management a lungo termine delle patologie croniche, specie di quelle respiratorie.
Lo scopo del presente studio è stato quello di valutare da questo punto di vista le percezioni e l’accettazione dei pazienti
con BPCO grave e molto grave ammessi al programma gestionale dell’ossigenoterapia domiciliare a lungo termine (OTLT)
nell’ultimo decennio, unitamente a quelle dei loro caregivers:
ciò anche al fine di consentire un miglioramento continuo del
protocollo di intervento terapeutico a loro favore.
Il 92% dei pazienti ha sottolineato l’elevato valore sanitario
del modello di gestione adottato; la loro consapevolezza sul
valore della OTLT domiciliare è risultata nettamente aumentata rispetto ad un decennio prima (64 vs 46% fra i pazienti e
57 vs 39% dei caregiver, rispettivamente); i pazienti (con conferma dei loro caregiver) hanno anche confermato l’assunzione dell’ossigeno per una durata di almeno 17 ore al giorno.
Le aspettative dei pazienti in tema di disabilità e qualità di
vita correlate alla loro malattia è risultata migliorare nettamente durante il decennio di OTLT domiciliare (20% vs 39%
nel caso dei pazienti; 19% vs 42% nel caso dei caregiver,
rispettivamente). Inoltre, i pazienti ammessi a questo tipo di
gestione e che hanno avuto modo di sperimentarlo per anni,
hanno enfatizzato il fatto che personalmente lo consiglierebbero fortemente a tutti coloro che, nelle medesime condizioni, ne potrebbero beneficiare.
I dati del presente studio confermano l’alto valore sanitario
della OTLT domiciliare con gestione telemetrica dei parame-
tri vitali e di alcuni parametri funzionali. I dati hanno anche
dimostrato che le aspettative dei pazienti (e dei loro caregiver) possono modificarsi dinamicamente e positivamente
anche in termini di disabilità percepita a seguito di questo
particolare modello gestionale.
Parole chiave: BPCO grave, home care, qualità percepita, telemedicina.
ABSTRACT
The assessment of quality of health services represents a crucial point in the long-term management of chronic patients
at home, particularly those suffering from respiratory diseases. The aim of the present paper was to investigate the
perceptions of patients with severe and very severe COPD admitted to home-managed long-term oxygen treatment
(LTOT) in the last decade, and of their caregivers.
Their acceptance of the telemetric LTOT protocol was investigated together with their conceptions about COPD and related disability, and their suggestions in order to improve the
interventional protocol continuously.
The value of home LTOT management with telemonitoring
was perceived as high by 92% of patients; their awareness
about the role of oxygen in their disease resulted higher than
ten years ago (64% vs 46% in the case of patients, and 57%
vs 39% in the case of caregivers); both patients and caregivers confirmed their use of oxygen for a duration of more
than 17 hours daily.
The patients’ perspective in terms of disability and quality of
+ Roberto W. Dal Negro
UOC di Pneumologia, ULSS22 Regione Veneto, Ospedale Orlandi
Via Ospedale 2, 37012 Bussolengo (VR), Italia
email: [email protected]
Data di arrivo del testo: 22/12/08 – Accettato per la pubblicazione: 20/2/09
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2009; 4(3): 182-186
182 MRM
MRM 03-2009_def:Layout 1 24/06/09 11:26 Pagina 183
Keywords: Home care, patients’ perspective, quality of care,
severe COPD, telemedicine.
INTRODUZIONE
L’innalzamento qualitativo dei Servizi Sanitari è fattore cruciale sul quale agire per poter fornire risposte sempre più appropriate alla domanda crescente
di salute dei pazienti, mentre la domiciliarizzazione dei pazienti cronici viene sempre più vista come
opzione di grande interesse in ottica comunitaria
allo scopo di unire vantaggi clinici a vantaggi gestionali e socio-economici.
L’impiego delle tecnologie telematiche finalizzate
alla gestione remota di alcune patologie croniche,
e di quelle respiratorie in particolare, ha rivoluzionato i processi di monitoraggio e gestione terapeutica negli ultimi anni, abbattendo costi, visite non
programmate, ospedalizzazioni e riducendo al contempo molti disagi per i pazienti e le loro famiglie.
Un sistema di telemedicina per la gestione dell’ossigenoterapia domiciliare a lungo termine (OTLT) è
attivo da oltre venti anni presso l’U.O.C.di
Pneumologia dell’ASL 22 della Regione Veneto [1].
Tale sistema di monitoraggio e gestione remota del
paziente respiratorio grave (il primo ingegnerizzato,
installato e reso effettivamente operativo in Italia
nel 1986) consente di rilevare e gestire a distanza
(di solito al proprio domicilio) mediante dispositivi
multiparametrici i soggetti con grave insufficienza
respiratoria cronica, ammessi al programma di
Ricovero Domiciliare specialistico secondo la normativa regionale vigente [2].
Nonostante siano stati periodicamente documentati i
vantaggi ottenibili con tale programma assistenziale
in termini di outcome clinici ed economici [3-8], gli
aspetti correlati alla percezione e all’approccio psicologico del paziente in OTLT controllato mediante telemonitoraggio domiciliare rappresentano tuttavia un
punto cruciale e non ancora indagato di questo particolare programma di Salute: è infatti fondamentale
che i pazienti e i loro caregiver siano attivamente
coinvolti e consapevoli nella gestione, ed è quindi altrettanto importante conoscere il loro punto di vista e
le loro percezioni sul servizio erogato.
Il presente studio è stato finalizzato allo scopo di rispondere all’esigenza di misurare gli elementi percettivi che contraddistinguono i soggetti ammessi al
programma gestionale di OTLT con monitoraggio
telemetrico ed i loro caregiver.
OBIETTIVI
Indagare il punto di vista soggettivo sulla malattia e
la gestione dell’ossigeno sia da parte dei pazienti
che di coloro che se ne prendono cura a domicilio
(di solito i familiari), al fine di valutare l’accettazione del presente modello assistenziale, di migliorarlo e poter confrontare l’evoluzione dei convincimenti attuali con quelli ottenuti mediante un’indagine analoga condotta circa un decennio fa.
MATERIALI E METODI
Tutti i soggetti dello studio (103 pazienti; 58% di
sesso maschile e 101 caregiver) hanno ricevuto
un’intervista personalizzata condotta da uno psicologo esperto sulla base di una lista predefinita di 10
domande specificamente orientate ad indagare il
dominio delle percezioni dei pazienti e dei loro caregiver e finalizzate a raccogliere una valutazione
oggettiva del servizio erogato, oltre alle aspettative
nei confronti del servizio stesso e della propria disabilità.
RISULTATI
Il 92% dei pazienti ha confermato esplicitamente
l’elevato valore del presente modello per la teleassistenza domiciliare. Inoltre, la consapevolezza attuale del ruolo terapeutico dell’ossigeno è risultata
assai maggiore rispetto a quanto fatto registrare nel
decennio precedente (rispettivamente, per quanto
riguarda i pazienti: 64% vs 46%, e per quanto riguarda i caregiver: 57% vs 39%). Non a caso, sia a
detta del paziente che del caregiver, la durata media dell’assunzione giornaliera di ossigeno è risultata superiore alle 17 ore.
Il telemonitoraggio continuo domiciliare è risultato
inoltre ben accettato dalla grande maggioranza di
entrambe le tipologie di intervistati, i quali hanno
chiaramente precisato che tale sistema di gestione
non risulta “per niente” o “minimamente” invasivo
nei confronti della libertà e delle comuni attività
quotidiane dei singoli pazienti e della loro famiglia.
Il vantaggio che i soggetti respiratori cronici gestiti
a domicilio in OTLT telemetrica hanno percepito è
stato quantificato secondo una scala analogica (0 =
nessun vantaggio; 10 = massimo vantaggio), il cui
andamento distributivo dei valori registrati è riportato nella Figura 1. Come è facile evincere dalla Figura
1, la grande maggioranza dei soggetti ha attribuito al
sistema un elevato valore medico-sanitario.
Tale importante convinzione risulta comunque enfatizzata anche dalla percezione dimostrata, sia da
parte dei pazienti che dei caregiver, del ruolo terapeutico dell’ossigeno, risultato significativamente
più elevato in entrambi i casi rispetto a quanto fatto registrare dieci anni fa (Figura 2). Inoltre, il 74%
dei pazienti ha affermato che consiglierebbe l’entrata nell’attuale sistema di gestione domiciliare
della OTLT ad eventuali soggetti che si trovassero
RW Dal Negro, R Barian, R Cadinu, P Turco
Qualità percepita dell’OTLT con telemetria nella BPCO grave – Perceived quality of LTOT with telemonitoring in severe COPD
life due the original illness was dramatically ameliorated with
home telemonitoring (20% vs 39% in the case of patients;
19% vs 42% in the case of caregivers). Furthermore, patients
admitted to the protocol and who experienced the practical
results of this management confirmed that they would advise
the same to other patients in the same conditions.
The present data confirm the high value of home managed
LTOT with telemonitoring for very severe COPD and that the
patients’ perspective can change positively and dynamically
in terms of their perceived disability by means of this interventional protocol.
MRM
183
FIGURA 1: PERCEZIONE DEL VALORE DEL MODELLO TELEMETRICO PER LA GESTIONE DELLA OTLT
35
30
25
20
n. soggettti
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2009; 4(3): 182-186
MRM 03-2009_def:Layout 1 24/06/09 11:26 Pagina 184
15
10
5
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
punteggio espresso
nelle loro stesse condizioni respiratorie originali.
Anche la percezione della disabilità è risultata condizionare assai meno che in passato la vita quotidiana dei soggetti coinvolti nel sistema per la gestione remota della OTLT domiciliare (pazienti 20%
vs 39%; caregiver 19% vs 42%): i dati relativi attuali confrontati con i precedenti sono riportati nella
Figura 3.
Inoltre, sia sulla base delle loro personali affermazioni, che sulla base di quanto riferito dai rispettivi
caregiver, i pazienti attuali sono risultati meno socialmente isolati, e quindi più partecipi, all’ambiente che li circonda: si muovono autonomamen-
te di più che in passato in casa e fuori ed esitano
meno a mostrarsi a conoscenti e amici come portatori di handicap e/o di protesi a scopo terapeutico
(cannule dell’ossigeno, borsello spallabile, ecc.). A
questo proposito, attualmente l’81% dei soggetti
esce di casa (49% regolarmene) contro il solo 58%
di circa un decennio fa.
È da segnalare come dato assolutamente rilevante
il fatto che, mentre all’epoca dell’ammissione al
programma di gestione domiciliare della OTLT tutti
i pazienti (e i cargiver) affermano di accontentarsi
di ottenere una parziale riduzione dei sintomi (prevalentemente della dispnea) grazie alla gestione te-
FIGURA 2: RUOLO TERAPEUTICO DELL’OSSIGENO
Caregiver
Pazienti
100%
100%
80%
80%
64%
60%
60%
46%
57%
46%
39%
40%
40%
26%
30%
20%
20%
7%
14%
10%
0%
0%
Si
2006
184 MRM
32%
28%
No
2000
Si
Non so
2006
No
2000
Non so
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Caregiver
Pazienti
100%
100%
80%
80%
60%
60%
46%
40%
40%
40%
39%
40%
35%
32%
28%
28%
20%
20%
39%
32%
19%
20%
0%
0%
Saltuariamente
2006
Regolarmente
Saltuariamente
Mai
2006
2000
lemetrica della OTLT e solo l’1% ambiva alla guarigione, dopo circa 3 anni di programma gestionale
telemetrico oltre il 17% degli stessi pazienti ha dichiarato invece di ambire alla guarigione completa
Regolarmente
Mai
2000
della malattia, indicando in tal modo un chiaro innalzamento del livello di aspettativa di vita e di
qualità della vita a seguito del protocollo terapeutico prolungato cui erano stati ammessi (Figura 4).
FIGURA 4: VARIAZIONI DELLE ASPETTATIVE DEL PAZIENTE PRIMA E DOPO 3 ANNI DI OTLT TELEMETRICA
Aspettative all’immissione alla OTLT
17%
0%
1%
Riduzione dei sintomi
Guarigione completa
Miglioramento della QoL
Riduzione dei farmaci
RW Dal Negro, R Barian, R Cadinu, P Turco
Qualità percepita dell’OTLT con telemetria nella BPCO grave – Perceived quality of LTOT with telemonitoring in severe COPD
FIGURA 3: PERCEZIONE DI DISABILITÀ: QUANTE VOLTE AL GIORNO ESCE DI CASA?
Aspettative attuali
5%
82%
41%
37%
Riduzione dei sintomi
Guarigione completa recover
Miglioramento della QoL
17%
Riduzione dei farmaci
MRM
185
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2009; 4(3): 182-186
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Quest’ultimo dato apre un’interessante finestra interpretativa sul concetto di “non modificabilità”
della situazione clinico-percettiva del paziente respiratorio cronico anche grave o molto grave, il
quale, a differenza di quanto si riteneva fino ad un
recente passato, manifesta invece una significativa
dinamicità delle proprie percezioni di salute e della propria aspettativa di vita.
CONCLUSIONI
I dati del presente studio confermano la maggior
consapevolezza attuale del paziente riguardo alla
patologia cronico-invalidante che lo affligge, oltre a
quella dei suoi familiari, che nella quasi totalità dei
casi del nostro modello operativo rappresentano
pressoché l’unica categoria di caregiver disponibile.
A ciò va aggiunto il concetto che l’aspettativa di vita di tale genere di pazienti è positivamente modificabile in base alle azioni terapeutiche coordinate
messe in atto nei loro confronti, senza interferire
pesantemente nella loro personalità e nell’organizzazione familiare
Infine, misurare periodicamente gli elementi percettivi relativi alla cura dei pazienti in ossigenoterapia domiciliare a lungo termine mediante protocollo gestionale telemetrico si rivela essenziale per:
• confermare la validità del modello assistenziale;
• sviluppare l’idea dell’ossigeno come terapia primaria in queste circostanze;
• orientare il paziente alla cura della malattia primitiva, oltre che al controllo dei sintomi;
• verificare l’affidabilità del caregiver;
• migliorare e monitorare il livello di qualità di vita
e di aspettativa di vita del paziente respiratorio
cronico grave;
• sottolineare il concetto di normalizzazione della
condizione dell’utilizzatore.
DICHIARAZIONE DI CONFLITTO DI INTERESSI: Gli autori non
hanno relazioni finanziarie con un’entità commerciale che
abbia interesse nell’oggetto di questo articolo.
Bibliografia
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Rassegna / Review
È possibile migliorare la prognosi dei pazienti
con BPCO?
Una storia di infiammazione, corticosteroidi,
broncodilatatori e altro
Improving the prognosis in COPD: is it possible?
A story of inflammation, corticosteroids, bronchodilators and more
Claudio M. Sanguinetti1, Claudio F. Donner2
1
2
UOC di Pneumologia, AO San Filippo Neri, Roma
Mondo Medico, Centro diagnostico, terapeutico e riabilitativo multidisciplinare, Borgomanero (NO)
RIASSUNTO
La broncopneumopatia cronica ostruttiva è una malattia respiratoria prevenibile e trattabile, che diviene nel tempo altamente invalidante se non vengono adottati un adeguato stile di vita e corretti interventi terapeutici. La storia naturale di questa
malattia è infatti caratterizzata da un declino progressivo della funzione polmonare che, nelle fasi terminali, sfocia nell'insufficienza respiratoria. La BPCO è sostanziata da una infiammazione polmonare, che aumenta durante le riacutizzazioni e
che si estende anche a livello sistemico determinando temibili
complicanze a carico di vari organi e apparati, fra cui quelli cardiovascolare, muscolare e osseo, che favoriscono l'incidenza di
mortalità.
Lo scopo principale della terapia della BPCO è di migliorare lo
stato di salute e la qualità di vita dei pazienti, di ridurre l'incidenza delle riacutizzazioni e aumentarne l'aspettativa di vita.
Per perseguire lo scopo di incidere sulla prognosi dei pazienti
affetti da BPCO la malattia dovrebbe essere individuata al suo
apparire, o addirittura ancor più precocemente, e qualificata
nella sua entità, allo scopo di recuperare il più possibile la
performance respiratoria e adottare ogni intervento atto ad arrestare la progressione del danno. Tuttavia la realtà dei fatti, al
momento, non sembra affatto corrispondere a questi criteri, se è
vero che la malattia è ampiamente sottostimata e spesso curata in modo inadeguato, o non curata affatto finché non assuma
aspetti tali da rendere inevitabile l'intervento terapeutico, che a
quel punto può spesso sortire effetti meramente palliativi.
Relativamente all'obiettivo della modifica della prognosi, gli interventi che ad oggi dispongono delle maggiori evidenze sono
essenzialmente la cessazione dell'abitudine tabagica e, limitatamente ai pazienti con quadro clinico ormai compromesso e
caratterizzato da insufficienza respiratoria cronica, la somministrazione continuativa di ossigeno.
Recentemente sono stati pubblicati studi clinici importanti per
numerosità di pazienti e durata dell'osservazione, che hanno
valutato l'impatto della terapia farmacologica con salmeterolo/fluticasone sia su obiettivi ambiziosi direttamente correlati
con la prognosi (mortalità e riduzione del declino del FEV1) sia
sui principali parametri clinici (stato di salute, qualità di vita,
riacutizzazioni).
I risultati di questi studi sembrano concordare sul fatto che la
terapia farmacologica può incidere sulla prognosi dei soggetti
affetti da BPCO, oltre che sulla sintomatologia.
Parole chiave: BPCO, broncodilatatori long-acting, corticosteroidi inalatori, infiammazione respiratoria e sistemica, prognosi, riacutizzazioni.
ABSTRACT
Chronic obstructive pulmonary disease (COPD) is a preventable and treatable disease, that becomes progressively highly
disabling if an adequate life style and correct therapeutic
approach are not implemented. The disease history is characterized by a progressive decline in lung function that leads, in
the terminal stages, to respiratory failure. COPD starts with an
inflammatory process in the lungs, that increases during exacerbations and spreads also at systemic level causing significant
consequences in various body sites, including the cardiovascular, skeletal muscle and bone systems, the impairment of which
induces an increase in mortality.
The main objective of COPD treatment is to improve patients’
health status and quality of life, reduce the exacerbation rate,
and increase life expectancy. To achieve an impact on the prognosis of COPD patients, the disease needs to be identified
when it first presents, or even earlier still, and its severity
+ Claudio M. Sanguinetti
UOC di Pneumologia, AO San Filippo Neri
Via Martinotti 20, 00135 Roma, Italia
email: [email protected]
Data di arrivo del testo: 15/01/2009 - Accettato per la pubblicazione: 25/02/2009
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MRM
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assessed, so that lung function can be recovered as far as possible and every measure undertaken to halt the disease progression. However, at present these criteria do not seem to be
borne out by the reality, given that the disease is reported to
be widely underestimated and often inadequately treated or
not treated at all until it has reached such proportions that the
therapeutic intervention is inevitable, at which point the effect
of treatment is often only symptoms relief.
Concerning the target of modifying prognosis, the interventions with the most evidence-based support today are essentially
smoking cessation and, for the most severe patients affected by
chronic respiratory failure, continuous oxygen therapy.
Recently major clinical studies have been published based on
large patient samples and long-term observation, that evaluated
the impact of pharmacological therapy with salmeterol/fluticasone both on the ambitious goals directly linked to prognosis (mortality and reduction in FEV1 decline) and on the main
clinical parameters (health status, quality of life, exacerbations). The results of these studies seem to agree on the fact
that pharmacological therapy can have an influence on the
prognosis of patients affected by COPD, in addition to its effect
on symptoms.
Keywords: Acute exacerbations, COPD, inhaled corticosteroids,
long-acting bronchodilators, prognosis, respiratory and systemic inflammation.
La broncopneumopatia cronica ostruttiva è una
malattia prevenibile e trattabile, caratterizzata da
limitazione del flusso nelle vie aeree non completamente reversibile e progressiva, supportata da
un'anormale reazione infiammatoria ad agenti
nocivi respirati, in particolare fumo di sigarette, e
associata a importanti complicazioni di altri organi
e apparati [1]. La malattia si presenta con caratteristiche di cronicità e spesso diviene nel tempo altamente invalidante, specie se non viene adottato un
adeguato stile di vita, o non sono utilizzati farmaci
e altri interventi terapeutici laddove essi siano
necessari.
La storia naturale della malattia è costellata da
numerosi episodi di riacutizzazione (acute exacerbations of chronic obstructive pulmonary disease,
AECOPD) che riconoscono per lo più un'origine
infettiva e sono più frequenti nei pazienti in cui
maggiore è l'alterazione anatomo-funzionale respiratoria [2], rappresentando anche un rischio
aggiuntivo in termini di morbilità e mortalità [3].
Le basi infiammatorie della BPCO
Alla base della BPCO vi è una flogosi polmonare
che inizia a livello delle piccole vie aeree e ne provoca la progressiva ostruzione [5]; di fatto, probabilmente in risposta ad una cronica colonizzazione
microbica, le vie aeree dei pazienti con BPCO presentano un aumento di cellule infiammatorie e
immunitarie [6,7] che correla anche con il decadimento del valore di volume espiratorio forzato in
un secondo (FEV1) [8]. Alcune di queste cellule, in
particolare macrofagi, neutrofili ed eosinofili, sono
responsabili della produzione di specie reattive dell'ossigeno (ROS) [9], enzimi proteolitici [10] e altri
composti biologici [11] che provocano una marcata alterazione anatomo-funzionale respiratoria. I
188 MRM
polmoni dei fumatori con BPCO hanno un maggior
contenuto di neutrofili altamente attivati rispetto ai
fumatori senza segni di BPCO [12] e tali cellule
hanno un ruolo critico nella infiammazione polmonare, migrando in sede polmonare in risposta a
molecole di adesione, citochine epiteliali e altri stimoli, e aumentando la loro capacità di “burst”
respiratorio [13].
Il concetto della esistenza nei pazienti con BPCO di
una infiammazione anche a livello sistemico è
ormai ben consolidato, ma rimangono oggetto di
discussione i rapporti causali tra i due processi
infiammatori. Al riguardo è stata attribuita una
potenziale responsabilità patogenetica al fumo di
sigaretta, che si è dimostrato in grado di determinare effetti dannosi sia respiratori che sistemici
[14,15]. Ma l'ipotesi più suggestiva è che la flogosi
sistemica derivi da una estensione all'intero organismo dell'infiammazione polmonare per mezzo
della circolazione sistemica (“spill-over”), mentre
appare meno probabile, anche perché non supportata da alcuna chiara evidenza, quella che sostiene
la flogosi sistemica come primum movens di alterazioni a carico di vari organi e apparati fra cui quello broncopolmonare [4].
Particolare attenzione ha negli ultimi tempi ricevuto la la proteina C reattiva (PCR), una proteina della
fase acuta sintetizzata principalmente dagli epatociti in risposta a stimoli infiammatori e di altro
genere, i cui valori sierici sono aumentati anche nei
pazienti con BPCO non riacutizzata, indipendentemente dall’abitudine al fumo o dalla presenza di
cardiopatia ischemica manifesta clinicamente già a
riposo o diagnosticata sotto sforzo [16].
La PCR nei BPCO stabili è apparsa anche correlare
con alcune variabili prognostiche, come il livello di
PaO2, la distanza percorsa durante il test del cammino per 6 minuti [17], il valore di FEV1 e anche
con l'alterazione della forza dei muscoli scheletrici
e del metabolismo energetico [18,19]; è inoltre
risultata fortemente implicata nella patogenesi
dell’ ipertensione vascolare polmonare [20].
Una conseguenza di tutto questo movimento
infiammatorio è che nei pazienti affetti da BPCO si
possono riscontrare numerose alterazioni extrapolmonari a carico di vari organi e apparati, che
riguardano in particolare lo stato nutrizionale, la
funzionalità dei muscoli scheletrici, la massa del
tessuto osseo, il sistema cardiovascolare e diversi
altri. La perdita di peso corporeo, largamente attribuibile ad una diminuzione della massa magra, è
stata frequentemente descritta nella BPCO, specie
nelle forme di maggiore gravità associate a insufficienza respiratoria cronica [21,22], ed ha un valore
prognostico negativo [23-25] (Figura 1).
A parte le conseguenze dirette della stessa BPCO,
dell'ipossia e del fumo di sigaretta sul sistema cardiovascolare, l'infiammazione sistemica è in grado
di favorire l'insorgenza di una malattia cardiaca
cronica (CHD), in quanto alcuni marker infiammatori come la PCR e il fibrinogeno sono associati con
danno vascolare [26] e l'attivazione di processi
immunitari e infiammatori rappresenta la base per
MRM 03-2009_def:Layout 1 24/06/09 11:26 Pagina 189
Sostanze inquinanti
derivanti da
fumo di sigaretta
Pancreas
Muscolo
Diabete tipo II
da sindrome metabolica
Astenia
muscolare/cachessia
TNF-α - IL-6
Infiammazione locale
e sistemica
?
Polmone
+ve
Eventi
cardiovascolari
Fegato
PCR
CM Sanguinetti, CF Donner
Migliorare la prognosi della BPCO - Improving the COPD prognosis
FIGURA 1: RUOLO DELL'INFIAMMAZIONE NELLA BPCO E NELLE DIVERSE COMORBILITÀ
PCR
L'infiammazione sembra giocare un ruolo centrale nella patogenesi della BPCO e di altre condizioni che sono sempre più riconosciute come
malattie infiammatorie sistemiche. Parte del processo infiammatorio cronico, i polimorfismi recettoriali di TNF-α sono correlati alla maggiore
gravità della malattia, possibilmente a causa degli aumentati effetti di TNF-α. Anche i livelli della PCR possono essere aumentati a causa
direttamente di TNF-α ed altre citochine. Livelli elevati di PCR e fibrinogeno possono essere fondamentali nella patogenesi delle malattie
cardiovascolari. Il rilascio delle ROS in conseguenza della BPCO può favorire lo sviluppo delle patologie cardiovascolari, del diabete
e dell'osteoporosi.
Legenda: BPCO, broncopneumopatia cronica ostruttiva; PCR, proteina C reattiva; TNF-α, fattore di necrosi tumorale alfa; ROS, specie reattive
dell'ossigeno; IL, interleuchina; ?, sconosciuto; +ve, positivo.
Tratto da [25] mod.
alterazioni cardiovascolari [27]. Prova ne è che è
stata dimostrata una stretta associazione fra aumento dei marker sierici di infiammazione e rischio di
CHD [28], e inoltre nello scompenso cardiaco cronico sono stati evidenziati un'alterazione muscolare scheletrica simile a quella dei pazienti con
BPCO [29], un'attivazione neuroumorale [30] e
un’attivazione simpatica cardiaca [31], specie in
quelli con insufficienza respiratoria cronica [32].
Quindi l'infiammazione sistemica può avere una
profonda influenza negativa sul sistema cardiovascolare [33] e questo spiega anche perché sia stata
trovata una stretta correlazione tra gravità della
BPCO e mortalità cardiovascolare, indipendentemente dall'abitudine al fumo [34,35].
Strategie per migliorare lo stato di salute e
aumentare l'aspettativa di vita
È noto che i soggetti affetti da BPCO che persistono
nell’abitudine al fumo hanno un'accelerata perdita
di funzione respiratoria rispetto a quelli sani non
fumatori ed anche agli ex-fumatori.
Relativamente all'obiettivo della modifica della
prognosi, l'intervento che ad oggi dispone delle
maggiori evidenze è certamente la cessazione dell'abitudine tabagica.
Esistono evidenze di una maggiore aspettativa di
vita in sottogruppi di pazienti caratterizzati da un
quadro clinico particolarmente compromesso grazie alla somministrazione continuativa di ossigeno
a bassi flussi (in pazienti con insufficienza respiratoria ipossiemica stabile, con o senza segni di compromissione cardiaca) ed alla riduzione chirurgica
del volume polmonare (in pazienti selezionati
con grave enfisema prevalente nei lobi polmonari
superiori).
Allo scopo di incidere sulla prognosi della BPCO,
l'obiettivo prioritario dovrebbe essere quello di
MRM
189
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individuare la malattia al suo apparire, o addirittura ancor più precocemente, e di qualificarla nella
sua entità, con l'obiettivo di recuperare il più possibile la performance respiratoria e adottare ogni
intervento atto ad arrestare la progressione del
danno. Tuttavia la realtà dei fatti, al momento, non
sembra affatto corrispondere a questi criteri, se è
vero che la malattia è ampiamente sottostimata e
spesso curata in modo inadeguato, o non curata
affatto finché non assuma aspetti tali da rendere
inevitabile l'intervento terapeutico, che a quel
punto può spesso sortire effetti meramente palliativi. In questo contesto assume valore fondamentale
quell'esame diagnostico molto semplice ed eseguibile ambulatoriamente che è la spirometria, pochissimo o quasi mai utilizzato nella pratica della medicina generale, nonostante che le linee guida diffuse
ampiamente in tutto il mondo e a tutti i livelli basino la classificazione di gravità anche e soprattutto
sui valori spirometrici [1,36].
Si può discutere se tali classificazioni siano del tutto
soddisfacenti, e probabilmente non lo sono anche
alla luce di recenti studi [37] in cui si è dimostrata
la necessità di un'analisi multiparametrica per una
più completa e corretta caratterizzazione dei
pazienti con BPCO, ma comunque la valutazione
della funzione respiratoria rimane la base fondamentale per la diagnosi di questa malattia e deve
essere senz'altro incentivata ed effettuata su tutti i
pazienti a rischio.
La cessazione del fumo rallenta la perdita di funzione respiratoria, migliorando la storia naturale della
BPCO [38], ma una volta che la malattia sia affiorata alla soglia clinica, i sintomi sono persistenti e
sempre più disturbanti, le riacutizzazioni sempre
più frequenti, fino al rapido progredire verso l'exitus, per cui è necessario intervenire con un programma di trattamento articolato, comprendente sia
presidi farmacologici che interventi riabilitativi [39].
Per quanto riguarda la terapia farmacologica, pur
sembrando paradossale che un’alterazione caratterizzata da limitazione cronica del flusso aereo prevalentemente dovuta ad ostruzione bronchiale scarsamente o non reversibile, possa avvantaggiarsi
della somministrazione di broncodilatatori, in
realtà vi sono ampie dimostrazioni dell'utilità di
questi farmaci per migliorare la sintomatologia e la
qualità della vita, probabilmente perché provocano
riduzione della iperinflazione polmonare e migliorano la meccanica respiratoria [40].
Sono state comunque pubblicate numerose evidenze che i broncodilatatori a lunga durata di azione,
sia simpaticomimetici (LABA) che anticolinergici
[41-45], possono determinare anche un moderato
incremento del FEV1 e, soprattutto, sono efficaci nel
migliorare la qualità della vita dei pazienti e nel
ridurre l'incidenza delle riacutizzazioni della
BPCO.
Le nuove evidenze cliniche hanno inoltre dimostrato che il ICS trova il suo ruolo di impiego quando
associato al LABA. Numerosi studi [46-48] hanno
valutato in pazienti con BPCO l'effetto nel lungo
termine di combinazioni preformate di ICS e LABA
(Tabella I).
Nello studio TORCH [49], nel quale 6.112 pazienti affetti da BPCO sono stati trattati per 3 anni con
l'associazione salmeterolo/fluticasone propionato
(SFC), o con i singoli farmaci, oppure ancora con
placebo, il gruppo dei soggetti che avevano assunto la combinazione SFC mostrava un’incidenza di
mortalità inferiore a quella determinata dal placebo
e dai farmaci attivi assunti da soli.
Questo effetto positivo di SFC sulla sopravvivenza
dei pazienti con BPCO si traduceva in una riduzione del rischio di mortalità del 17,5% (p = 0,052).
Sebbene non significativa dal punto di vista strettamente statistico (forse anche a causa dell'elevato
tasso di abbandono del braccio placebo) l'entità
della riduzione della mortalità osservata nel braccio
in trattamento con SFC assume un indubbio rilievo
da un punto di vista clinico, soprattutto se valutata
nel contesto di una patologia multifattoriale come
la BPCO.
Lo studio TORCH dimostrava altresì un effetto significativo della combinazione SFC, sia verso placebo
che verso i singoli farmaci in monoterapia, sui principali parametri clinici direttamente correlati con lo
stato di salute del paziente BPCO.
In particolare, con la combinazione SFC si è osservato un miglioramento della funzione respiratoria,
una riduzione delle riacutizzazioni ed un miglioramento della qualità di vita per tutti i 3 anni di dura-
TABELLA I: PRINCIPALI RISULTATI EMERSI DAGLI STUDI DI INALAZIONE NEL LUNGO TERMINE DELLA COMBINAZIONE
PREFORMATA CORTICOSTEROIDI (ICS) / BRONCODILATATORI A LUNGA DURATA DI AZIONE (LABA) NELLA BPCO
- Rischio relativo di riacutizzazioni ridotto del 30% (RR = 0,70; IC 95%: 0,62/0,78; RR = 0,90; IC 95%: 0,80/1,02 verso iCS da soli).
- Miglioramento della qualità di vita (differenza media del punteggio del SGRQ) (Δ medio: -2,4; IC 95%: -3,4/-1,4).
- Incremento del valore di FEV1: 101 mL/anno rispetto al placebo (IC 95%: 76/126), 50 mL/anno rispetto ai soli iCS (IC 95%: 26/74)
e 34 mL/anno rispetto ai soli LABA (IC 95%: 11/57).
- Tendenza alla riduzione della mortalità (RR = 0,52; IC 95%: 0,20/1,34).
- Studio INSPIRE [50] riduzione della mortalità con SFC vs. T (HR: 0,48; IC 95%: 0,27/0,85; p = 0,012).
Legenda: FEV1, volume espiratorio forzato in 1 secondo; HR, hazard ratio; IC 95%, intervallo di confidenza al 95%; RR, rischio relativo;
SFC, combinazione preformata di salmeterolo e fluticasone propionato; SGRQ, St George’s Respiratory Questionnaire; T, tiotropio.
Tratto da [38] mod.
190 MRM
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è stato lo studio INSPIRE (Investigating New
Standards for Prophylaxis in Reducing Exacerbations;
Ricerca di nuovi standard per la profilassi e la riduzione delle riacutizzazioni) [50].
Lo Studio INSPIRE è stato disegnato come studio
multicentrico, randomizzato, in doppio cieco e con
doppio controllo con placebo, per verificare, in un
periodo di tempo di due anni, l'effetto della combinazione SFC in confronto a tiotropio, sulla percentuale di riacutizzazioni moderate o gravi (identificate in base alla necessità di utilizzo dell’assistenza
FIGURA 2: RISULTATI DELLO STUDIO TORCH PER QUANTO CONCERNE: A) FEV1 E B) STATO DI SALUTE
100
Cambiamento medio aggiustato di FEV1 (ml)
A
50
0
Terapia di
combinazione
-50
CM Sanguinetti, CF Donner
Migliorare la prognosi della BPCO - Improving the COPD prognosis
ta dello studio (Figura 2).
In una analisi post-hoc dei pazienti dello studio
TORCH [49], Celli e coll. hanno valutato l'impatto
sul declino del FEV1 dei trattamenti attivi rispetto al
placebo. Questa analisi ha dimostrato per la prima
volta che il trattamento farmacologico è stato in
grado di rallentare il declino del FEV1, e che con la
combinazione SFC si otteneva il maggior impatto su
questo parametro.
Un’ulteriore evidenza a supporto del razionale
di impiego dell'associazione ICS+LABA in BPCO
Fluticasone
Salmeterolo
-100
Placebo
-150
0
6
12
18
24
30
39
Mesi
1524
1521
1534
1533
B
3
Cambiamento medio aggiustato
nel punteggio totale del SGRQ (unità)
N. di pazienti
Placebo
Salmeterolo
Fluticasone
Terapia di combinazione
1248
1317
1346
1375
1128
1218
1230
1281
1049
1127
1157
1180
979 906
1054 1012
1078 1006
1139 1073
819
934
908
975
2
Placebo
1
Salmeterolo
0
Fluticasone
-1
Terapia di
combinazione
-2
-3
-4
-5
0
6
12
18
24
30
39
675
723
751
773
635
701
686
731
569
634
629
681
Mesi
N. di pazienti
Placebo
Salmeterolo
Fluticasone
Terapia di combinazione
1149
1148
1155
1133
854
906
942
941
781
844
848
873
726
807
807
814
Legenda: FEV1, volume espiratorio forzato ad 1 secondo; SGRQ, St George's Respiratory Questionnaire.
Tratto da [49] mod.
MRM
191
sanitaria). Altri obiettivi considerati nello Studio
INSPIRE erano la variazione della funzione respiratoria (miglioramento di FEV1) e dello stato di salute
quale espresso dal punteggio del questionario del St.
George, l'incidenza di eventi avversi e la percentuale di interruzione dello studio. Il tasso di mortalità
registrato nel periodo era un indicatore di efficacia e
di sicurezza. Ambedue i trattamenti sono stati
egualmente efficaci nel ridurre l'incidenza delle
riacutizzazioni moderate o gravi totali, con una differenza statisticamente significativa a favore di tio-
tropio per le riacutizzazioni che richiedevano l'uso
di antibiotici e a favore di SFC per quelle che richiedevano l'uso di corticosteroidi orali. L'incremento
nel tempo della funzionalità respiratoria era sovrapponibile nei due gruppi, e ciò conferma l'efficacia
paragonabile in questo specifico ambito di due
broncodilatatori con diverso meccanismo d'azione.
Nel gruppo che usava la combinazione SFC si rendeva invece evidente una maggiore permanenza in
trattamento ed un più spiccato miglioramento dello
stato di salute rispetto a tiotropio (Figura 3).
FIGURA 3: RISULTATI DELLO STUDIO INSPIRE PER QUANTO CONCERNE: A) L'ADERENZA MEDIANA AL TRATTAMENTO E B) LO
STATO DI SALUTE, MISURATO CON IL QUESTIONARIO SGRQ, NEI DUE GRUPPI TRATTATI CON SFC E CON TIOTROPIO NEL
CORSO DELLO STUDIO (2 ANNI)
44
A
40
36
Probabilità di interruzione (%)
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MRM 03-2009_def:Layout 1 24/06/09 11:26 Pagina 192
32
28
24
20
16
Tiotropio
12
SFC 50/500
8
4
0
0
Numero
685
di soggetti 665
13
26
39
52 65
78
91
Tempo fino all'interruzione (settimane)
560
547
531
501
510
474
494
450
476
434
456
415
104
445
397
160 SFC 50/500
140 Tiotropio
Tempo trascorso fino all'interruzione del trattamento nei gruppi trattati
con SFC e con tiotropio.
55
Punteggio totale del SGRQ (unità)
B
50
45
Tiotropio
40
SFC 50/500
0
-2
Numero
di soggetti
650
665
10
22
34 46
58 70
Tempo (settimane)
565
569
498
458
82
94
453
415
106
431 SFC 50/500
389 Tiotropio
Punteggio totale del SGRQ nel corso di 2 anni nei gruppi trattati con SFC
e con tiotropio
Legenda: SFC, salmeterolo + fluticasone propionato; SGRQ, St George's Respiratory Questionnaire.
Tratto da [50] mod.
192 MRM
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mortalità cardiovascolare. Ne è ulteriore prova il
fatto che nello Studio INSPIRE la differenza nel
tasso di mortalità tra gruppo SFC e tiotropio era più
elevata nei pazienti BPCO che all'inizio dello studio soffrivano di comorbidità cardiovascolare (incidenza di mortalità del 3% nel gruppo SFC e del 6%
in quello tiotropio).
In effetti il tiotropio, che pure ha dato risultati
senz'altro positivi anche in pazienti di grado moderato (46% della popolazione) di efficacia sul controllo della sintomatologia clinica, sulla funzione
respiratoria, sulla qualità di vita, sulla riduzione di
incidenza delle riacutizzazioni e delle riacutizzazioni che portano ad una ospedalizzazione ed un
effetto positivo sulla riduzione del rischio di mortalità [43,51,55], non ha dimostrato a tutt'oggi un
impatto significativo, come peraltro tutti gli altri farmaci disponibili in questo ambito, sulla prognosi
dei pazienti affetti da BPCO, né in termini di rallentamento del declino del FEV1 rispetto a placebo né
in termini di aspettativa di vita [55, studio UPLIFT].
I dati dello studio TORCH [49] possono confermare
che l'associazione SFC, insieme all'efficacia sui
parametri clinici, ha sostanzialmente (ai limiti della
significatività statistica) raggiunto anche l'obiettivo
di influire sulla storia naturale della malattia nei
pazienti con BPCO moderata-grave (FEV1 < 60%
del teorico), sia in termini di riduzione della mortalità per tutte le cause sia in termini di rallentamento del declino del FEV1 (Figura 4).
Quello che infine possiamo al momento affermare
con certezza è sintetizzabile nei seguenti punti:
- la scelta dei parametri di valutazione dell'effetto
della terapia (outcome) è molto importante e
deve andare oltre la semplice misurazione della
sola funzione respiratoria, prendendo in considerazione anche parametri forse meno obiettivi,
ma maggiormente incentrati sul paziente;
- i corticosteroidi per via inalatoria e i broncodilatatori long-acting hanno un ruolo molto importante nel trattamento della BPCO, perché sono
in grado di migliorare le condizioni di salute, la
funzione respiratoria e la qualità di vita dei
pazienti, specie quando questi farmaci siano utilizzati in combinazione;
- Il trattamento cronico combinato SFC in pazienti con BPCO di media-elevata gravità (FEV1
< 60% del teorico) può rallentare la progressione naturale della patologia migliorando la prognosi e la qualità di vita.
CM Sanguinetti, CF Donner
Migliorare la prognosi della BPCO - Improving the COPD prognosis
Non vi era un maggior numero di complicanze
infettive delle basse vie aeree conseguenti alla riacutizzazione nei pazienti trattati con SFC e quindi è
difficile spiegare la maggiore necessità di antibiotici in questo gruppo, ove peraltro si evidenziava
anche una significativa maggiore incidenza di polmoniti diagnosticate su base clinica (senza necessaria conferma radiografica).
Nel gruppo tiotropio invece, la maggiore necessità
di corticosteroidi orali per raggiungere la stabilizzazione clinica dopo la riacutizzazione può essere
stata causata dal fatto che il tiotropio non ha una
dimostrata azione antinfiammatoria e quindi, verosimilmente nei casi più gravi, che sono poi la maggioranza di quelli arruolati in questo studio, per
accelerare la stabilizzazione dell'episodio acuto
deve essere associato lo steroide per os alla terapia
broncodilatatrice.
I pazienti affetti da BPCO, rispetto a soggetti normali, si caratterizzano già in condizioni di stabilità per
la presenza di una infiammazione sistemica (incremento di marker infiammatori quali la PCR) [52]
che aumenta ulteriormente durante le riacutizzazioni [53]. Inoltre essi sono ad aumentato rischio di
complicanze cardiovascolari, che rappresentano la
causa più frequente di mortalità in questi pazienti
[54].
In questo contesto si inserisce quello che appare il
dato forse più importante, in senso prospettico,
dello studio INSPIRE, anche se considerato a priori
una variabile secondaria di efficacia e sicurezza.
Durante i due anni dello studio la mortalità per tutte
le cause è risultata significativamente minore nel
gruppo SFC rispetto a quello tiotropio, in quanto il
rapporto della percentuale di rischio SFC vs tiotropio era di 0,48, corrispondente ad una diminuzione del rischio di mortalità del 52% nel gruppo in
SFC rispetto al gruppo tiotropio.
Come riconosciuto dagli stessi autori, lo studio non
era stato preventivamente strutturato per controllare tale variabile, ma il dato è comunque di indubbio rilievo, anche perché le dimensioni e il disegno
dell'indagine sono tali da conferire credito ai risultati ottenuti.
Probabilmente dobbiamo supporre che nei pazienti con BPCO di una certa gravità il trattamento steroideo inalatorio abbia il potenziale per diminuire
la flogosi a livello polmonare, diminuendo quindi
l'incidenza delle riacutizzazioni, e di conseguenza
anche a livello sistemico, con minore rischio di
MRM
193
FIGURA 4: RISULTATI DEL TRATTAMENTO CON SFC SUL RISCHIO DI MORTALITÀ PER TUTTE LE CAUSE EMERSE DAI DUE STUDI:
A) INSPIRE E B) TORCH
A
8
7
Probabilità di decesso (%)
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2009; 4(3): 187-196
MRM 03-2009_def:Layout 1 24/06/09 11:26 Pagina 194
6
5
4
3
2
Tiotropio
1
SFC 50/500
0
0
Numero
di soggetti 658
a rischio
665
13
26
39
52
65
78
91
104
445
398
160 SFC 50/500
141 Tiotropio
Tempo fino al decesso (settimane)
560
548
531
502
510
474
494 477
451 435
456
416
Mortalità nello studio INSPIRE: tempo trascorso fino al decesso durante
il trattamento nei due gruppi trattati con SFC vs. con tiotropio
Tratto da [50] mod.
B
18
Placebo
Salmeterolo
Fluticasone
Combinazione SFC
Probabilità di decesso (%)
16
14
12
10
8
6
4
HR, 0,825
(95% IC, 0,681 - 1,002)
P = 0,052 (log-rank test)
2
0
0
6
12
18
24
30
39
1399
1417
1409
1426
1361
1368
1363
1393
1293
1316
1288
1339
Mesi
N. di pazienti
Placebo
Salmeterolo
Fluticasone
Combinazione SFC
1524
1521
1534
1533
1500
1502
1512
1514
1464
1481
1487
1487
1428
1451
1450
1456
Mortalità nello studio TORCH per tutte le cause durante il corso dello studio nei 4 gruppi
Tratto da [49] mod.
Legenda: IC, intervallo di confidenza; HR, hazard ratio; SFC, salmeterolo + fluticasone propionato.
DICHIARAZIONE DI CONFLITTO DI INTERESSI: Gli autori non hanno relazioni finanziarie con un’entità commerciale che abbia
interesse nell’oggetto di questo articolo.
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Rassegna / Review
Stratificazione di gravità e rischio di ricovero
per riacutizzazione di BPCO: i dati clinici dello
studio ICE (Italian Costs for Exacerbations)
Severity stratification and hospitalization risk
in COPD exacerbations: clinical data from the ICE
(Italian Costs for Exacerbations) study
Mirco Lusuardi1, Carlo Lucioni2, Fernando De Benedetto3, Silvio Mazzi2, Claudio M. Sanguinetti4,
Claudio F. Donner5
1
UOC di Riabilitazione Respiratoria, AUSL di Reggio Emilia, Ospedale S. Sebastiano, Correggio (RE)
Wolters Kluwer Health/ADIS International, Milano
3
UOC di Pneumologia, PO Clinicizzato SS. Annunziata, Chieti
4
UOC di Pneumologia, AO San Filippo Neri, Roma
5
Mondo Medico, Centro diagnostico, terapeutico e riabilitativo multidisciplinare, Borgomanero (NO)
2
RIASSUNTO
Nell’ambito dello studio ICE (Italian Costs for Exacerbations in
COPD) multicentrico e prospettico di farmacoeconomia sui costi delle riacutizzazioni di BPCO in Italia, si è voluto determinare al follow up quali fattori considerati per l’analisi dei costi
siano in grado di predire il rischio di nuove riacutizzazioni e
nuovi ricoveri ospedalieri.
Su una coorte di 570 pazienti idonei per l’analisi dei dati, età
70,6 ± 9,5 (media ± DS) anni, 69,2% maschi, la distribuzione di
gravità secondo gli attuali criteri GOLD era: 36,4% moderata,
31,3% grave, 32,3% molto grave. Al follow up 282 pazienti presentarono almeno un episodio di riacutizzazione bronchitica,
con necessità di ricovero in ospedale nel 42% dei casi. Non è
stata trovata alcuna associazione significativa tra l’incidenza di
riacutizzazioni e lo stadio di gravità GOLD, o le comorbidità, o i
trattamenti, con la parziale eccezione della ossigenoterapia a
lungo termine (OLT).
Al contrario, lo stadio funzionale di gravità influenzava in modo altamente significativo l’incidenza di ricoveri in ospedale
con rischio relativo (RR) di 2,6 (Intervallo di Confidenza al 95%,
IC: 1,8-3,8) e 2,0 (IC: 1,3-2,8) nello stadio molto grave rispetto
agli stadi moderato e grave rispettivamente, e 1,3 (IC: 0,85-2,1)
per lo stadio grave nei confronti di quello moderato. Anche i trattamenti associati con condizioni di BPCO più gravi (corticosteroidi per via generale, teofillinici orali, OLT) presentavano un’associazione significativa con il numero di ricoveri ospedalieri.
I dati clinici dello studio ICE ci permettono pertanto di concludere che la stratificazione di gravità dei pazienti BPCO per classi funzionali secondo GOLD e in base alla necessità di ossigenoterapia a lungo termine fornisce importanti indici predittivi
di ricovero ospedaliero per riacutizzazione.
Parole chiave: Broncopneumopatia cronica ostruttiva, fattori di
rischio, riacutizzazioni, ricovero in ospedale, stratificazione di gravità.
ABSTRACT
In the context of the prospective, multicentre, pharmacoeconomic ICE (Italian Costs for Exacerbations in COPD) study, a
secondary aim was to evaluate at follow up which clinical factors among those considered for the cost-analysis might predict at follow up the risk of a new exacerbation and re-admission to hospital.
Among 570 patients eligible for data processing, age 70.6 ± 9.5
(mean ± SD) years, males 69.2%, the severity stratification
according to the present GOLD classification was as follows:
moderate 36.4%; severe 31.3%; very severe 32.3%. 282
patients experienced at least one exacerbation at follow up,
42% of exacerbations requiring hospitalisation. No significant
association was seen between exacerbations and GOLD stage
or comorbidities or treatments, except long-term oxygen ther-
+ Mirco Lusuardi
UOC di Riabilitazione Respiratoria, Ospedale S. Sebastiano
Via Mandriolo 11, 42015 Correggio (RE), Italia
email: [email protected]
Data di arrivo del testo: 29/01/2009 - Accettato per la pubblicazione: 13/03/2009
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198 MRM
apy (LTOT). Conversely, COPD functional severity influenced
hospitalizations very significantly, with relative risk 2.6 (95%
Confidence Interval, CI, 1.8-3.8) and 2.0 (CI, 1.3-2.8) (GOLD
very severe versus moderate and severe, respectively), and 1.3
(CI, 0.85-2.1) (GOLD severe versus moderate). Hospitalizations
were also significantly associated with treatments denoting
more severe condition (oral corticosteroids, oral theophylline,
and LTOT).
In conclusion, clinical data from the ICE study confirm severity
stratification of COPD patients according to GOLD respiratory
function classes and the need for LTOT as important predictors
of hospitalization for an exacerbation.
Keywords: COPD, exacerbations, hospitalization, risk factors,
severity stratification.
La storia naturale della broncopneumopatia cronica
ostruttiva (BPCO) è caratterizzata da ricorrenti fasi
di riacutizzazione; nei pazienti con grado di compromissione da moderato a molto grave il rischio di
ricovero in ospedale è significativo, con importanti
costi individuali e sociali [1]. Dati della letteratura
nazionale ed internazionale evidenziano che circa
il 3% dei pazienti BPCO visti dal Medico di
Medicina Generale per una riacutizzazione richiedono il ricovero e sono perciò i casi a maggior
assorbimento di risorse nell’ambito della spesa
generale per BPCO [2,3].
Lo studio multicentrico nazionale ICE (Italian Costs
for Exacerbations in COPD) organizzato da AIMAR
[4,5] ha consentito di evidenziare su un’ampia casistica le modalità di trattamento delle riacutizzazioni di BPCO ricoverate e i relativi costi. La fase prospettica dello studio ICE in particolare arruolò un
totale di 635 pazienti di età media 71 anni (69%
maschi). La percentuale di distribuzione dei pazienti con BPCO secondo le tre classi di gravità GOLD
(2a: moderata; 2b: moderatamente grave; 3: grave)
era approssimativamente simile. Due soli DRG
coprivano più del 93% dei ricoveri: lo 088 (Malattia
polmonare cronica ostruttiva) e lo 087 (Edema polmonare e insufficienza respiratoria). Ogni paziente
sperimenta mediamente all’anno più di una riacutizzazione [1,4] oltre alla riacutizzazione causa di
ricovero che ha portato all’arruolamento nello studio. Le riacutizzazioni richiesero il ricovero in
ospedale nel 42% dei casi. La durata-tipo di un
ricovero si componeva di 11,5 giorni di degenza in
reparto e di 0,2 in terapia intensiva. I costi diretti
sanitari, diretta emanazione delle modalità di
gestione, rappresentavano il 97,4% ed erano costituiti per il 77% dal costo dei ricoveri. La seconda
componente (9,6%) era data dal costo dei farmaci,
di cui circa tre quarti destinato agli antibiotici
(84,4%). Degli esami diagnostici, quello di maggior
rilievo in termini di costo era l’emogasanalisi arteriosa (37,9%).
Lo studio prospettico ICE ha consentito di formulare almeno quattro considerazioni fondamentali:
1. la BPCO (nei pazienti con almeno una riacutizzazione che abbia richiesto ricovero) è una
malattia con un costo sociale elevato, soprattutto
in termini sanitari;
2. la gravità della malattia cresce in funzione del
fumo e i costi sanitari crescono in funzione della
gravità (con un fattore di moltiplicazione pari a
2,6 se si passa dalla classe GOLD 2a alla classe
3, raddoppiando in presenza di insufficienza
respiratoria). Un provvedimento terapeutico basilare dovrebbe dunque essere rivolto alla cessazione del fumo;
3. la maggior parte dei costi è costituita da quelli
ospedalieri; è dunque necessario puntare su una
strategia di riduzione delle riacutizzazioni (che
nel 42% dei casi che hanno subito un ricovero in
ospedale comportano nuovo ricovero), attraverso
il miglioramento della diagnostica e delle terapie;
4. tra i costi extra-ospedalieri notevole è il costo
dell’ossigenoterapia a lungo termine, dovuto
soprattutto al fatto che in Italia l’uso del concentratore è molto limitato.
Uno degli aspetti collaterali dello studio ICE era
rappresentato dall’opportunità di valutare quali tra i
fattori clinici considerati per le analisi sui costi
potessero nel contempo essere utilizzati anche
come indicatori utili al follow up per determinare il
rischio di nuovi episodi di riacutizzazione e nuovi
ricoveri ospedalieri [6].
METODI
Ricordiamo brevemente alcuni aspetti metodologici, per la cui consultazione dettagliata si rimanda ai
lavori originali [4-6].
Hanno partecipato allo studio le Unità
Pneumologiche di 25 centri ospedalieri distribuiti
abbastanza omogeneamente su tutto il territorio
nazionale (vedi Ringraziamenti). Ogni centro doveva arruolare nell’ultimo trimestre del 2002 i primi
30 pazienti consecutivi di età oltre i 40 anni ricoverati per riacutizzazione di BPCO, a prescindere da
precedenti ricoveri in ospedale.
La definizione condivisa di riacutizzazione faceva
riferimento a un aumento della dispnea e dell’espettorazione, associata o meno a variazioni del
grado di purulenza.
Era assolutamente richiesta la conferma spirometrica della diagnosi di BPCO con rapporto tra volume
espiratorio forzato in un secondo e capacità vitale
(FEV1/VC) ≤ 0,7 dopo broncodilatatore e la stratificazione funzionale di gravità secondo le linee
guida GOLD [1].
Sono stati arruolati, previo consenso informato,
solamente i pazienti con stadio di gravità da moderato a grave (da 2a a 3 secondo la classificazione
GOLD del periodo di arruolamento) corrispondente agli attuali stadi GOLD da moderato a molto
grave (2 → 4), in quanto i pazienti di grado lieve
non presentano generalmente indicazione al ricovero per riacutizzazione di BPCO.
Durante il ricovero sono stati raccolti i dati demografici e clinico-funzionali, con particolare riferimento alle comorbidità, in base ai quali la casistica
è stata suddivisa per l’analisi statistica in quattro
gruppi principali, secondo i dati di frequenza emersi nei primi lavori dello studio ICE [4,5]: patologie
MRM 03-2009_def:Layout 1 24/06/09 11:27 Pagina 199
tici (p = 0,42). Analogo risultato è emerso dopo
analisi per stadio GOLD di gravità [6]. Al contrario,
la presenza di ossigenoterapia a lungo termine si
associava ad un rischio di riacutizzazione (59%
versus 43%) significativamente più elevato (p =
0,0002), in particolare nello stadio più avanzato (62
versus 47%) [6].
Ricoveri in ospedale. Sono stati ricoverati 124/282
pazienti (44%) con almeno un episodio di riacutizzazione durante i 6 mesi di follow up. La probabilità di ricovero per un episodio di riacutizzazione
era associata in modo altamente significativo allo
stadio di gravità (Figura 1).
Le comorbilità non sembravano invece avere un
impatto significativo sui ricoveri (p = 0,5).
La durata media della degenza di 11,7 giorni
(mediana 10 giorni) non era influenzata dallo stadio
di gravità GOLD (p = 0,35) o dalla presenza di
comorbilità (p = 0,74) [6].
Il rischio di ricovero ospedaliero per riacutizzazione di BPCO durante i 6 mesi di follow up risultava
significativamente associato allo stadio di gravità
GOLD (p < 0,0001) (Figura 2) con un rischio relativo (RR) di 2,6 (Intervallo di Confidenza al 95%, IC:
1,8-3,8) e 2,0 (IC: 1,3-2,8) nello stadio molto grave
in confronto agli stadi moderato e grave rispettivamente, e 1,3 (IC: 0,8-2,1) per lo stadio grave in confronto a quello moderato [6].
Alcuni trattamenti solitamente associati agli stadi
più avanzati della BPCO hanno evidenziato un’associazione significativa con un più elevato rischio
di ricovero per riacutizzazione, in particolare: cicli
regolari di corticosteroidi orali (42% versus 20%, p
= 0,0003); teofillinici orali (39% versus 18%, p =
0,00001) ed ossigenoterapia a lungo termine (32%
versus 15%, p = 0,00001). Al contrario i comuni
trattamenti inalatori non sembrano avere influenzato la probabilità di ospedalizzazione (25 versus
20%, p = 0,19) [6].
RISULTATI
Su 635 pazienti arruolati è stato possibile completare il follow up di 6 mesi con le tre interviste programmate solo per 570, età 70,6 ± 9,5 anni (media
± DS), 69% maschi. Tra i pazienti persi al follow up
si registrava una mortalità a 6 mesi del 6,8% (43
pazienti).
Riacutizzazioni. 282 erano i pazienti con almeno
un episodio di riacutizzazione al follow up (49%
della casistica). Un’apparente relazione tra lo stadio
di gravità e il numero di riacutizzazioni non ha
però raggiunto il livello convenzionale di significatività statistica (p = 0,07) (Tabella I).
Per quanto riguarda le comorbilità, il 53,5% dei
pazienti presentava una concomitante patologia
cardiovascolare, il 6% diabete mellito, il 6% altre
comorbilità e il rimanente 34,2% nessuna malattia
concomitante. Anche in questo caso non si è trovata una significativa associazione tra comorbilità e
incidenza delle riacutizzazioni (p = 0,29), nonostante una maggiore presenza di pazienti con associate BPCO e malattie cardiovascolari tra i soggetti
con oltre 2 riacutizzazioni.
Nessuna significatività statistica è stata trovata tra
rischio di riacutizzazione e diversi tipi di trattamento: cicli regolari di corticosteroidi orali (p = 0,49),
corticosteroidi inalatori+β2-agonisti long-acting (p
= 0,2), teofillinici orali (p = 0,11), o cicli di antibio-
M Lusuardi, C Lucioni, F De Benedetto, S Mazzi, CM Sanguinetti, CF Donner
Gravità della BPCO e rischio di ricovero nello studio ICE - COPD severity and hospitalization risk in ICE study
cardiovascolari (es. ipertensione, cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco), diabete mellito, altre
comorbilità (es. malattie gastro-intestinali e malattie
osteo-articolari), nessuna comorbidità.
Dopo la dimissione i pazienti sono stati inseriti in
un programma di follow up della durata di 6 mesi
(primo semestre 2003), con intervista telefonica
ogni due mesi attraverso cui lo sperimentatore registrava i nuovi episodi di riacutizzazione bronchitica, i ricoveri ospedalieri per riacutizzazione e i trattamenti effettuati, con particolare riferimento ai
cicli di corticosteroidi per via generale, agli antibiotici, alle terapie inalatorie, ai teofillinici e alla ossigenoterapia a lungo termine.
Per le elaborazioni statistiche si rimanda al lavoro
originale [6].
DISCUSSIONE
I dati clinici dello studio ICE si prestano a una serie
di commenti.
La prevalenza dei casi arruolati nello studio ICE
(BPCO da moderata a molto grave secondo GOLD)
TABELLA I: NUMERO DI PAZIENTI STRATIFICATI SECONDO I CRITERI GOLD DI GRAVITÀ E NUMERO DI RIACUTIZZAZIONI AL
FOLLOW UP
Stadio GOLD
Numero di riacutizzazioni
Moderato
Grave
Molto grave
Totale
0
124
94
70
288
1
72
53
61
186
2
25
23
30
78
>2
5
4
9
18
226
174
170
570
Totale
p = 0,07 per correlazione tra numero di riacutizzazioni e stadio GOLD.
Tratto da [6] mod.
MRM
199
FIGURA 1: DISTRIBUZIONE PERCENTUALE DEI PAZIENTI
BPCO CON ALMENO UN EPISODIO DI RIACUTIZZAZIONE
IN RAPPORTO ALLA NECESSITÀ O MENO DI
OSPEDALIZZAZIONE (NUMERO E %) SECONDO LO STADIO
DI GRAVITÀ GOLD (NUMERO CASI). P = 0,0003 PER
LA PROBABILITÀ DI RICOVERO IN RAPPORTO ALLO STADIO
DI GRAVITÀ
FIGURA 2: RISCHIO DI OSPEDALIZZAZIONE PER
RIACUTIZZAZIONE DI BPCO IN RAPPORTO ALLO STADIO
DI GRAVITÀ GOLD
100
BPCO Moderata
BPCO Grave
BPCO Molto grave
80
100
BPCO Moderata
BPCO Grave
BPCO Molto grave
60
%
80
40
60
%
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20
40
0
Rischio % di ospedalizzazione
20
Tratto da [6] mod.
0
Riacutizzati
ospedalizzati
(124/44%)
Riacutizzati
non ospedalizzati
(158/56%)
Tratto da [6] mod.
è di circa il 7% di tutti i pazienti BPCO e circa lo
0,5% della popolazione generale nei paesi occidentali, ma essi rappresentano la parte dei soggetti
con BPCO a maggior rischio di riacutizzazione e
ricovero ospedaliero e quindi a più elevato impegno di risorse [3,5-7].
L’elaborazione dei dati ICE ha cercato tra le altre
cose di fare emergere quali fattori significativi per
l’analisi farmaco-economica (stadio di gravità,
comorbidità e trattamenti) possano darci informazioni utili anche dal punto di vista della gestione
clinica a medio-lungo raggio, in termini di rischio
di nuove riacutizzazioni, nuovi ricoveri e durata
della degenza. È infatti facilmente comprensibile
l’importanza di avere a disposizione pochi ma solidi indicatori che ci aiutino a migliorare l’appropriatezza clinica e l’efficienza degli interventi sanitari a
medio-lungo termine su una fascia di popolazione
globalmente ampia (se consideriamo tutti i pazienti con BPCO), ma in cui l’uso delle risorse dovrebbe essere ben calibrato in rapporto allo stadio di
gravità.
Stadio di gravità: la relazione tra lo stadio di gravità
e l’incidenza di riacutizzazioni si è solamente avvicinata ai limiti di significatività. Al contrario, il
rischio di ricovero per riacutizzazione di BPCO si
correlava in modo altamente significativo con la
stratificazione di gravità secondo GOLD [6].
Ricordiamo che la stadiazione GOLD di gravità si
basa soprattutto su criteri funzionali (spirometria)
[1], ma anche sulla presenza di cuore polmonare e
insufficienza respiratoria cronica negli stadi più
200 MRM
avanzati, nella nostra casistica equivalente alla presenza o meno di ossigenoterapia a lungo termine,
considerando che nella serie ICE tutti i pazienti con
insufficienza respiratoria cronica erano in trattamento con ossigenoterapia a lungo termine.
Recenti pubblicazioni scientifiche hanno dimostrato che gli indicatori di outcome più attendibili sono
gli score multifattoriali, come il BODE (Body mass
index, airways Obstruction, Dyspnea, Exercise
performance), e in effetti il BODE predice in modo
significativo il rischio di ricovero ospedaliero [8].
In una situazione ideale quindi tutti i pazienti
BPCO ricoverati dovrebbero essere stratificati
secondo la gravità utilizzando degli score compositi. Se però facciamo una fotografia degli attuali
standard di gestione verso quelli raccomandati
dalle linee guida internazionali, ci rendiamo conto
di come sia problematico nella pratica clinica quotidiana anche ospedaliera gestire al meglio i
pazienti con BPCO, a prescindere da un’analisi
delle cause. I risultati preliminari dello studio multicentrico nazionale SOS BPCO (Studio
Osservazionale per la Stratificazione della BPCO)
hanno evidenziato su di una coorte di 938 pazienti BPCO ricoverati che solo il 60% aveva una documentazione spirometrica e solo il 10% aveva eseguito un test del cammino, considerando solo i due
dati strumentali inclusi nel BODE [9]. È quindi
imperativo migliorare gli standard di gestione della
BPCO iniziando dall’acquisizione generalizzata del
dato spirometrico che comunque rappresenta un
criterio diagnostico sine qua non [1]. Secondo i
nostri dati la stratificazione spirometrica di gravità,
ispirata alle linee guida GOLD, si presenta come un
forte predittore di ricovero ospedaliero, sicuramente uno degli eventi critici maggiori nella storia naturale della BPCO e di per sé ulteriore fattore predit-
MRM 03-2009_def:Layout 1 24/06/09 11:27 Pagina 201
- la stratificazione di gravità è fondamentale per
una corretta ed equa gestione dei pazienti con
BPCO; tutti i lavori pubblicati fanno in effetti sempre riferimento a classi di gravità ben definite [1];
è quindi assolutamente necessario migliorare gli
attuali standard di gestione e far sì che a tutti i
pazienti con sospetta BPCO sia offerta una corretta valutazione funzionale respiratoria;
- la stratificazione di gravità secondo GOLD utilizzata nello studio ICE, con particolare riferimento
alla spirometria, si è confermata come un semplice e solido indicatore prognostico di ricovero
ospedaliero [1,6,15], uno dei principali outcome
dal punto di vista sia clinico sia socio-economico;
- le terapie croniche associate a condizioni di gravità più avanzata (in particolare l’ossigenoterapia
a lungo termine ed i corticosteroidi per via generale) sono ulteriori indicatori per valutare il rischio
di ricovero [6].
DICHIARAZIONE DI CONFLITTO DI INTERESSI: Gli autori non
hanno relazioni finanziarie con un’entità commerciale che
abbia interesse nell’oggetto di questo articolo.
RINGRAZIAMENTI
Lo studio ICE è un progetto multicentrico di AIMAR
(Associazione Scientifica Interdisciplinare per lo Studio delle
Malattie Respiratorie) finanziato con un contributo incondizionato di Pfizer, Roma e Boehringer-Ingelheim, Milano, Italia.
Un particolare ringraziamento va alle seguenti istituzioni
ospedaliere le cui divisioni di Pneumologia hanno partecipato
allo studio: Az. Osp. San Luigi, Orbassano (TO); Spedali Civili,
Brescia; Az. Osp. della Provincia di Lodi, Lodi; A.O. San Carlo
Borromeo, Milano; Ospedale L. Sacco, Milano; P.O. S. Marta
“Ospedale Maggiore di Crema”, Crema; Ospedale Santa Maria
degli Angeli, Pordenone; Ospedale Civile di Treviso, ULSS n. 9,
Treviso; Ospedale Civile di Piacenza, Piacenza; Arcispedale "S.
Anna", Ferrara; Ospedale di Cisanello, Pisa; Ospedale Mazzoni,
ASL 13, Ascoli Piceno; Ospedale Regina Apostolorum, Albano
Laziale (Roma); A.C.O. S. Filippo Neri, Roma; P.O. S. Camillo De
Lellis, Chieti; Centro Medico Italo-Australiano, Cava de' Tirreni
(SA); Casa di Cura Clinic Center S.p.A., Napoli; Az. Osp. OO. RR.
S. Giovanni di Dio, Salerno; Ospedale D’Avanzo, Foggia;
Ospedale "A. Galateo", ASL LE/1, Lecce; Az. Osp. Pugliese Ciacco,
Catanzaro; Ospedale "Mariano Santo", Cosenza; Ospedale
Tommaselli, Catania; Ospedale R. Binaghi, USL 8, Cagliari;
Università degli Studi di Sassari, Sassari.
M Lusuardi, C Lucioni, F De Benedetto, S Mazzi, CM Sanguinetti, CF Donner
Gravità della BPCO e rischio di ricovero nello studio ICE - COPD severity and hospitalization risk in ICE study
tivo di sopravvivenza, recidiva di riacutizzazione e
ri-ospedalizzazione [1,6]. Gli score compositi sono
un punto di arrivo in un’ottica di ottimale gestione
personalizzata del paziente BPCO (analogamente a
tutte le condizioni di cronicità), ma nell’attuale
contesto di risorse un punto di consolidamento
essenziale resta la necessità di offrire a tutti i
pazienti con sospetta BPCO un semplice esame spirometrico, problema che non è solamente italiano
bensì riguarda anche altri Paesi occidentali con
sistema sanitario avanzato [10-12].
La durata della degenza non veniva influenzata
dallo stadio di gravità, probabilmente perché nel
giustificare i giorni di degenza entrano in gioco
importanti fattori extra-clinici di tipo organizzativo
che nel nostro studio non erano presi in considerazione, trattandosi di multicentrica che coinvolgeva
istituti con sistemi organizzativi non omogenei [6].
Comorbidità: nonostante abbiano un ruolo importante nel giustificare gli indici di mortalità dei
pazienti BPCO [13], nel nostro lavoro non risultavano influenzare in modo significativo il rischio di
nuove riacutizzazioni e riospedalizzazioni. Va però
riconosciuto un problema metodologico nel rilevare le comorbidità, poichè quando fu pianificato lo
studio ICE non si pensò di utilizzare degli score
pesati di comorbidità, come il Charlson Index [14],
in quanto poco conosciuti in ambito respiratorio.
Trattamenti: solo l’ossigenoterapia a lungo termine,
verosimilmente in quanto consistente spia di una
condizione di particolare gravità, ha dimostrato di
influenzare l’incidenza di nuove riacutizzazioni.
Tutte le altre terapie prese singolarmente non riflettono necessariamente un particolare stadio di gravità, con la parziale eccezione dei cicli ricorrenti di
corticosteroidi per via generale e dei teofillinici
orali che generalmente vengono considerati di
secondo impiego e quindi si utilizzano prevalentemente nei pazienti in cui le tradizionali terapie inalatorie non sono più sufficienti a garantire un adeguato controllo sintomatologico. In effetti, ossigenoterapia a lungo termine, corticosteroidi per via
generale e teofillinici orali si associavano in modo
significativo a un aumentato rischio di ricovero.
Da questa rassegna sui dati clinici dello studio ICE
[6] in rapporto anche alla letteratura più recente
sulla BPCO possiamo concludere che:
Bibliografia
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Prevention of COPD, Global Initiative for Chronic
Obstructive Lung Disease (GOLD).
http://www.goldcopd.org.
2. Allegra L, De Palma M, Donner CF, Fogliani V, Grassi C,
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di broncopneumopatia cronica ostruttiva in Italia: evidenze
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MRM
201
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MRM 03-2009_def:Layout 1 24/06/09 11:27 Pagina 203
Review / Rassegna
Lymphangioleiomyomatosis: a rare disease
Linfangioleiomiomatosi: una patologia rara
Mario Schiavina, Paola Contini, Aldo Guerrieri, Francesco Tavalazzi, Andrea Fabiani
Pneumology Unit, S. Orsola-Malpighi General Hospital, Bologna, Italy
ABSTRACT
Pulmonary lymphangioleiomyomatosis (LAM) is a rare interstitial disease of uncertain etiology that occurs almost exclusively in women, most often in childbearing age. This disease is
sometimes associated with tuberous sclerosis complex, TSCLAM, or, more rarely, micronodular pneumocyte hyperplasia, a
circumscribed proliferation of type 2 pneumocytes. LAM is
characterized by proliferation in the bronchioli, pulmonary
veins and lymphatic vessels of cysts lined by atypical smooth
muscle cells that show reactivity to the HMB-45 monoclonal
antibody. Progressive occlusion of these structures most often
leads to serious clinical manifestations including worsening
dyspnea, often accompanied by cough, chest pain, hemoptysis,
pneumothorax or chylothorax. The main treatment option is
suppression of sexual hormones by various manipulation
strategies. However, optimal treatment for LAM patients is still
debated, although an effect of hormonal manipulation has
been recently reported: these clinical findings also seem to be
supported by in vitro data showing that LAM pathogenesis is at
least in part directly related to an estrogen-driven mechanism.
Keywords: Angiomyolipomas, HMB-45, hormonal manipulation,
lymphangioleiomyomatosis, oophorectomy, tuberous sclerosis.
RIASSUNTO
La linfangioleiomiomatosi polmonare (LAM) è una rara malattia interstiziale ad eziologia sconosciuta che colpisce quasi
esclusivamente donne, prevalentemente in età riproduttiva.
Questa patologia può essere associata al complesso Sclerosi
Tuberosa (TSC) o all’Iperplasia Pneumocitica Micronodulare
(MNPH), una proliferazione circoscritta di pneumociti di II tipo.
La LAM è caratterizzata dalla proliferazione nei bronchioli, nelle
vene polmonari e nei vasi linfatici di cisti delimitate da cellule
muscolari liscie che mostrano reattività all’anticorpo monoclonale HMB-45. La progressiva ostruzione di queste strutture
molto spesso causa manifestazioni cliniche severe: dispnea,
tosse, dolore toracico, emottisi, pneumotorace e chilotorace. La
principale opzione terapeutica è la soppressione ormonale
estrogenica attraverso diverse strategie. Il trattamento ottimale per i pazienti affetti da LAM è, tuttavia, ancora oggetto di
studio e discussione sebbene vi siano dati recenti che dimostrano l’efficacia della manipolazione ormonale; questi risultati clinici sono supportati anche da dati in vitro che mostrano
come la patogenesi della LAM sia almeno in parte direttamente correlata ad un meccanismo estrogeno-dipendente.
Parole chiave: Angiomiolipoma, HMB-45, linfangioleiomiomatosi, manipolazione ormonale, ovariectomia, sclerosi tuberosa.
INTRODUCTION
Pulmonary lymphangioleiomyomatosis (LAM) is a
rare interstitial disease of uncertain etiology that
occurs almost exclusively in women, most often in
childbearing age. This disease is sometimes associated with tuberous sclerosis complex (TSC), TSCLAM, or, more rarely, micronodular pneumocyte
hyperplasia (MNPH), a circumscribed proliferation
of type 2 pneumocytes. LAM is characterized by
proliferation in the bronchioli, pulmonary veins and
lymphatic vessels of cysts lined by atypical smooth
muscle cells that show reactivity to the Human
Melanoma Black (HMB)-45 monoclonal antibody
[1,2]. Progressive occlusion of these structures most
often leads to serious clinical manifestations including worsening dyspnea, often accompanied by
cough, chest pain, hemoptysis, pneumothorax or
chylothorax. The main treatment option is suppression of sexual hormones by various manipulation
strategies.
However, optimal treatment for LAM patients is still
debated, although an effect of hormonal manipulation has been recently reported [3]: these clinical
findings also seem to be supported by in vitro data
showing that LAM pathogenesis is at least in part
directly related to an estrogen-driven mechanism
[4].
Prevalence of LAM
LAM occurs sporadically in patients with no evidence of genetic disease and in about one third of
women with tuberous sclerosis complex (TSC) [5-
+ Mario Schiavina
UO Pneumologia e Terapia Intensiva Respiratoria, PAD 15, Centro di riferimento regionale per le Malattie rare polmonari,
Policlinico Ospedaliero-Universitario S. Orsola-Malpighi
Via Massarenti, 9, 40138 Bologna, Italia
email: [email protected]
Data di arrivo del testo: 15/01/2009 - Accettato per la pubblicazione: 16/03/2009
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7], an autosomal dominant syndrome characterized
by hamartoma-like tumor growths in various
organs, cerebral calcifications, seizures, and mental
retardation that occurs in 1 of 5,800 live births [8].
Sporadic LAM is a relatively uncommon disease
with a prevalence that has been estimated at 2.6 per
1 million women [9].
Our group of patients represents one of the largest
series with sporadic LAM ever reported in Italy (60
patients at time of writing). We described the first
case of definite diagnosis of LAM in a karyotypically normal man without TSC (or MNPH) [10].
Diagnosis of LAM
The diagnosis of LAM should be considered in a
woman of any age who presents with recurrent
pneumothorax, chylous pleural effusions, and/or
ascites, or an unexplained decrease in exercise tolerance. The single most important diagnostic test is
a CT scan of the thorax, with high resolution views
to facilitate visualization of the cysts (Figure 1). If
cysts are seen on the CT scan, if there is a history of
pneumothorax or chylothorax, and if pulmonary
function tests show airflow obstruction and
impaired diffusion capacity, there is no need to perform a lung biopsy. In patients with TSC, the identification of lung cysts on the CT scan strongly suggests the diagnosis of LAM. The coexistence of
angiomyolipomas (AMLs) and lung cysts is also virtually diagnostic of LAM.
The presence of lung cysts on a CT scan with no
evidence of TSC, AMLs, or chylothorax is not diagnostic of LAM. Other uncommon diseases presenting with lung cysts, such as Birt-Hogg-Dubé syndrome, Langerhans cell histiocytosis, and Sjögren’s
syndrome, should be considered. Under these circumstances, a lung biopsy is recommended [11].
Special immunofluorescent stains for smooth muscle α-actin, vimentin, desmin, and HMB45 should
be performed to establish a diagnosis. As this
requires an adequate size biopsy specimen, transbronchial lung biopsy, in all probability, will not
establish the diagnosis of LAM. Like the radiological
pattern, the histological one is also characteristic in
LAM, so that surgical lung biopsy and histological
studies, integrated with immunohistochemistry, are
necessary to confirm the diagnosis (Figure 2). The use
of immunohistochemical staining with HMB45, a
monoclonal antibody derived from melanoma
hybridomas that stains LAM cells as well as
melanocytic lesions, has improved the usefulness of
transbronchial biopsy in the diagnosis of LAM [3].
Although most AMLs occur in the absence of LAM,
the accidental finding of a kidney mass by abdominal sonogram or CT scan suggesting the presence of
an AML mandates a CT scan of the lungs to look for
lung cysts [11].
Extrapulmonary LAM can be observed in 3 major
locations: the posterior mediastinum, the upper
retroperitoneal areas close to the abdominal aorta,
and the pelvic cavity. These predominant locations
of LAM are related to the anatomic distribution of
lymphatic vessels; the morphologic and immuno-
FIGURE 1: HIGH RESOLUTION AXIAL CT IMAGE OF THE
CHEST OF A PATIENT WITH LAM. NOTE DIFFUSE
INVOLVEMENT OF THE LUNG PARENCHYMA, WITH
NUMEROUS THIN-WALLED CYSTS
histochemical heterogeneity of LAM cells in extrapulmonary LAM is similar to that in pulmonary
LAM [12].
Matsui and collegues [12] described the lesions of
lymphangioleiomyomatosis in patients with masses
occurring in the mediastinum, in the retroperitoneum and in the pelvis; sometimes the diagnosis
of pulmonary LAM was established after that of
extrapulmonary LAM.
Treatment
As soon as the diagnosis is established, therapy
should be initiated, because of the progressive
nature of this disease. The predilection of LAM for
fertile women and the exacerbations of the disease
during pregnancies and treatment with exogenous
estrogens have led to the assumption that hormonal
factors play an important role in the pathogenesis of
the disease. Optimal treatment for LAM patients is
FIGURE 2: MORPHOLOGICAL PICTURE TYPICAL OF LAM
MRM 03-2009_def:Layout 1 24/06/09 11:27 Pagina 205
sirolimus monotherapy, despite a high rate of
adverse events, is associated with a reduction in
angiomyolipoma volume of nearly 50%; in patients
with LAM, improvements in airflow and gas trapping have been documented. Furthermore, the
renal and pulmonary benefits of the treatment with
sirolimus tended to reverse after the drug was withdrawn, though the improvements were persistent in
some patients [31,32].
Natural history
The natural history of the disease has been dramatically changed by hormonal treatment. Up to the
‘80s the survival rate was 20% at 10 years from the
time of the onset; in more recent studies the survival
has risen to 79% at 10 years and 71% at 15 years
[33].
In our group of patients the survival is 97% at 5
years, 90% at 10 years and 71% at 25 years.
Survival at 8.5 years, used as an endpoint in previous series [13,14], was 97% when analysed with
the Kaplan-Meier method, and 95% when considering the actual number of patients with a determined outcome at 8.5 years. Our survival rate is
higher than that reported by Taylor et al. [13], who
found that 78% of patients were still alive 8.5 years
after onset of disease. The probability of survival at
8.5 years was lower (38%) in the series by Kitaichi
et al. [14].
M Schiavina, P Contini, A Guerrieri, F Tavalazzi, A Fabiani
Lymphangioleiomyomatosis – Linfangioleiomiomatosi
still debated, although results as our own show the
efficacy of the treatment plan chosen by us [3].
We suggest sex hormonal manipulation as a therapeutic approach: discontinuation of preparations
containing estrogens, avoiding pregnancy, eradication of estrogenic activity and induction of
menopause. There are numerous reports of patients
being treated with oophorectomy [13-16], progesterone [14,15], tamoxifen or other antiestrogen
agents [13,14,17], luteinizing hormone releasing
hormone agonists [18-20], or radioablation of the
ovaries. In many reports, various combinations of
these treatments have been tried, with variable
response. The choice between the different
approaches is largely dictated by the specific experience of the different authors.
More recently, patients with end-stage lung disease
related to LAM have been treated with lung transplantation [21-23]; some reports document LAM
recurrence after single-lung transplantation [24-26],
raising the possibility of some type of circulating
mitogen in the pathogenesis of the disease.
In our Centre patients have always been treated
with hormonal therapy, following different protocols. In all cases the aim of the treatment is the suppression of estrogenic activity, through either the
inhibition of its production, or release, or through
antagonist activity. At present we use oophorectomy or gonadotropin releasing hormones (GnRH)
agonists (triptoreline) to treat patients with LAM.
The use of tamoxifen as antiestrogenic therapy was
first described in 1982 [27] and since then it has
been used, with varying results, in different studies.
In some cases it led to a worsening of the symptoms
[28]. The weak partial estrogen-agonist activity that
tamoxifen is known to have might have caused the
stimulation of estrogen receptors in those cases.
Moreover, in some models tamoxifen acts as an
estrogen antagonist, but may not produce the
expected results because it is acting on atypical
receptors of LAM muscular tissue. Because of these
contradicting data tamoxifen is now not recommended in the treatment of LAM.
Medroxyprogesterone acetate is used because of its
effect as an estrogen antagonist; however, a higher
incidence of meningiomas in patients treated with
this drug compared to the general population has
been recently reported [29], and this observation
has raised some concern about the use of this medication. A case of symptomatic meningioma requiring surgical excision also occurred in one of our
patients [30]. For this reason, during the last few
months we have subjected all our patients treated
with medroxyprogesterone to a brain CT scan.
As an alternative to medroxyprogesterone it is possible to use letrozole, a pharmacological inhibitor
of the enzyme aromatase, in order to inhibit the
estrogenic activity in LAM patients.
Lung transplant should not be regarded as the first
choice treatment of LAM, but as the extreme measure only in patients at end-stage disease.
A recent report on patients with the tuberous sclerosis complex or sporadic LAM showed that
CONCLUSIONS
LAM is a rare but invalidating disease which mainly affects young women and which leads to respiratory failure and death in the absence of an appropriate treatment.
The presence of LAM should always be suspected
in all women who present dyspnea and/or pneumothorax, as well as a radiologic pattern of interstitial lung disease associated to hyperinflation; the
occasional finding of extrapulmonary manifestations, such as kidney angiomyolipomas and
abdominal chilous effusion in young women
should also suggest the diagnosis of LAM.
The importance of obtaining an early diagnosis is
dictated by the need to start the appropriate treatment as soon as possible. In fact the timely administration of estrogen suppression allows a dramatic
improvement in the prognosis of these patients, as
our data collected over a period of more than 20
years indicate, leading to high survival rates even at
15 years from onset [3].
In 1973 Silverstein et al. [34] reported that terminal
respiratory failure and death in LAM patients
occurred within 5 years from the clinical onset. In
1975 Corrin et al. [35] reported that most patients
died within 10 years from the onset. Both studies
appeared before hormonal treatment was introduced. In 1995, the Kyoto Congress report [14]
showed a significant increase in the survival rate
compared to those earlier studies. Significantly, in
the latter study, 40 out of 46 patients were treated
with hormonal therapy.
MRM
205
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2009; 4(3): 203-207
MRM 03-2009_def:Layout 1 24/06/09 11:27 Pagina 206
206 MRM
We too can consolidate the view that hormonal
therapy can actually change the natural history of
the disease.
CONFLICT OF INTEREST STATEMENT: None of the authors has
any conflict of interest to declare in relation to the subject of
this manuscript.
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Rassegna / Review
Edema polmonare in corso di nuoto ed
immersione: una patologia emergente?
Pulmonary edema in swimming and diving: a new
disease?
Giuseppe Fiorenzano1, Maurizio Schiavon2
1
Fisiopatologia Respiratoria, Centro Regionale Ad Alta Specializzazione, ASL SA1, Cava de’ Tirreni (SA)
UO Medicina dello Sport e Attività Motoria, Dipartimento Socio Sanitario ai Colli, ULSS 16, Padova
2
RIASSUNTO
L’edema polmonare è stato descritto in corso di nuoto e di
immersione, in apnea e con autorespiratore. Il meccanismo
patogenetico implicato è probabilmente la “stress failure” dei
capillari polmonari. L’articolo esamina gli aspetti fisiopatologici e clinici di questa patologia poco frequente, indicando i settori che richiedono ulteriori studi.
Parole chiave: Edema polmonare, immersione con autorespiratore, immersione in apnea, nuoto.
ABSTRACT
Pulmonary edema has been described during swimming,
breath-hold diving and scuba diving. The underlying pathogenetic mechanism is probably “stress failure” of the pulmonary capillaries. This article reviews the pathophysiologic
and clinical aspects of this uncommon disease, indicating the
areas that need further study .
Keywords: Breath-hold diving, pulmonary edema, scuba diving,
swimming.
Negli ultimi anni si è sviluppato un interesse dei
ricercatori per un’entità misconosciuta in passato:
l’edema polmonare che si sviluppa durante le attività acquatiche. Esso infatti è stato segnalato in
varie situazioni: nuoto di superficie di lunga durata
[1], immersione in apnea [2], immersione con auto
respiratore [3]. Lo scopo del presente articolo è di
passare in rassegna la letteratura riguardante questa
patologia poco frequente e poco studiata, indicando quelle che potranno essere le linee di sviluppo
per la ricerca. Sebbene non esistano dati sperimen-
tali al riguardo, l’opinione condivisa dalla maggior
parte degli Autori [1-3] è che il meccanismo patogenetico sia quello della cosiddetta “stress failure”
dei capillari polmonari, descritta da West e collaboratori [4-6], ed implicata in varie patologie (Tabella I).
Infatti la barriera alveolo-capillare è una struttura
che deve far fonte a due esigenze contrapposte:
deve essere la più sottile possibile per consentire al
meglio gli scambi gassosi e nello stesso tempo
molto resistente per sopportare le notevoli sollecitazioni pressorie alle quali è sottoposta. La Figura 1
illustra le due forze principali che possono provocare uno stress della barriera alveolo-capillare: la
prima (1) è la differenza tra l’interno e l’esterno del
capillare, la seconda (2) è la tensione che dipende
dal livello di inflazione del polmone.
L’edema polmonare da alta quota (HAPE) è una
delle patologie nelle quali la stress failure dei capillari polmonari sembra svolgere un ruolo importante [7-10]. Si tratta di un edema polmonare non cardiogeno che insorge in soggetti che raggiungono in
TABELLA I: STRESS FAILURE: CONDIZIONI ASSOCIATE
•Sforzo strenuo in atleti
•Emorragie alveolari dei cavalli da corsa
•Edema da alta quota (HAPE)
•Edema polmonare neurogeno
•Sindrome di Goodpasture
•Barotrauma da ventilazione
•Insufficienza ventricolare sinistra
+ Giuseppe Fiorenzano
Fisiopatologia Respiratoria, Cava de’ Tirreni (SA)
Via M. Della Corte 5, 84013 Cava de' Tirreni (SA), Italia
email: [email protected]
Data di arrivo del testo: 29/10/2008 – Accettato per la pubblicazione: 5/12/2008
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Endotelio
ECM
Epitelio
Definizione delle abbreviazioni: ECM, matrice extracellulare;
P, pressione.
Tratto da [6] (mod.).
breve tempo altitudini superiori ai 2000 – 2500 m.
I soggetti suscettibili presentano una spiccata vasocostrizione ipossica, con conseguente ipertensione
polmonare. Secondo la teoria di Hultgren [11], la
vasocostrizione ipossica si distribuirebbe in modo
disomogeneo nell’albero vascolare polmonare (ed
esistono evidenze sperimentali a suffragare tale ipotesi), determinando un eccesso di perfusione
(“overperfusion”) nelle zone non vasocostrette, che
andrebbero così incontro ad un danno della barriera alveolo-capillare, con passaggio negli alveoli
anche di proteine ed eritrociti (Figura 2) [7-11].
Nei soggetti che rimangono esposti all’ipossia in
alta quota la mortalità è molto elevata, mentre una
FIGURA 2: MICROFOTOGRAFIA DELLA BARRIERA
ALVEOLO-CAPILLARE IN CORSO DI EDEMA POLMONARE
DA ALTA QUOTA
Definizione delle abbreviazioni: ALV, alveolo; CAP, capillare.
Tratto da [6].
tempestiva evacuazione a bassa quota porta ad una
completa risoluzione del quadro nella maggior
parte dei casi [7-9]. Tale andamento clinico è compatibile con il modello sperimentale di West, nel
quale si dimostra una rapida regressione del danno
della barriera alveolo-capillare in seguito alla riduzione della pressione capillare [12].
Ma in che modo è possibile applicare il modello
della “overperfusion” all’edema polmonare in
corso di nuoto ed immersione? Bisogna prendere in
considerazione alcuni aspetti fisiologici dell’immersione [13-15]: la semplice immersione in acqua
a temperatura neutra rispetto a quella corporea, con
la testa fuori dell’acqua determina significative
variazioni a carico dell’apparato respiratorio e cardiocircolatorio (Figura 3).
Infatti l’immersione con le suddette modalità provoca una riduzione del volume di riserva espiratoria
di circa il 69%, del volume residuo di circa il 16%
e della capacità vitale di circa il 9% [13-15].
Queste variazioni sono dovute, oltre che agli effetti
diretti della pressione su addome e torace (risalita
del diaframma, compressione toracica), alle variazioni emodinamiche. La compressione dei distretti
venosi della parte inferiore del corpo determina
una centralizzazione della circolazione (blood
shift), con spostamento dai distretti periferici a livello intratoracico di circa 700 mL di sangue [13-15],
con un incremento della portata cardiaca di almeno il 30%. Tali effetti sono accentuati dalla vasocostrizione in caso di bassa temperatura dell’acqua.
Inoltre nelle condizioni descritte si ha un aumento
del carico che i muscoli respiratori devono sopportare per espandere il torace di circa 20 cm H2O. In
un soggetto che nuoti in posizione orizzontale,
come nello snorkeling, tale pressione è stimata
essere inferiore ai 10 cm H2O, ma il carico è
aumentato in proporzione alla lunghezza dello
snorkel, per l’aumento dello spazio morto [13-15].
L’aumento delle pressioni esercitate dai muscoli
respiratori può essere un altro fattore implicato
nella patogenesi dell’edema polmonare in corso di
nuoto ed immersione. Infatti lo sforzo inspiratorio
contro vie aeree occluse o con resistenze aumentate può causare un edema polmonare che è definito
a pressione negativa o post-ostruttivo [16-20].
L’aumento della pressione transmurale a livello dei
capillari polmonari, causato dalle forti oscillazioni
pressorie generate dai muscoli respiratori, provocherebbero un danno a carico della barriera alveolo-capillare. Alcuni Autori ritengono che l’edema
polmonare post-ostruttivo sia un edema su base
emodinamica, con integrità della barriera alveolocapillare, sulla base del riscontro di basse concentrazioni di proteine nel liquido di lavaggio broncoalveolare [20]. In realtà, in molti dei casi descritti nelle più svariate circostanze (Tabella II) sono stati
documentati episodi di emottisi e/o emorragie
alveolari, prova evidente di un danno della barriera
alveolo-capillare, che probabilmente può essere
soggetta a lesioni di entità variabile da caso a caso.
La casistica più numerosa di edema polmonare
durante nuoto è quella descritta da Adir e coll. [1],
G Fiorenzano, M Schiavon
Edema polmonare e attività acquatiche - Pulmonary edema and water sports
FIGURA 1. FORZE CHE POSSONO PROVOCARE UNO STRESS
DELLA BARRIERA ALVEOLO-CAPILLARE
MRM
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FIGURA 3. MODELLO DELLA “OVERPERFUSION”
Aria
Aria
1 ATM
Acqua
Pressione
(ATM)
0
1,00
10
1,01
20
1,02
30
1,03
40
1,04
50
1,05
60
1,06
70
1,07
80
1,08
90
1,09
100
1,10
Tratto da [13] mod.
che hanno riscontrato 70 casi di SIPE (SwimmingInduced Pulmonary Edema) in giovani (18 – 19
anni) non fumatori che partecipavano ad un programma di intenso allenamento al nuoto di lunga
durata (da 2,4 a 3,6 Km). La temperatura dell’acqua
era di circa 20° C, i partecipanti erano tutti in
buone condizioni fisiche e sottoposti a visite preliminari. La diagnosi di SIPE veniva posta in seguito
al riscontro di dispnea intensa e tosse durante o
dopo il nuoto, con segni fisici compatibili con
edema polmonare. La sintomatologia lamentata era
la dispnea in tutti i soggetti, la tosse in 67 su 70, con
espettorazione nel 90% dei soggetti. In 39 soggetti
(55,7%) l’espettorato era roseo o era presente emottisi. Tutti presentavano una desaturazione ossiemoglobinica rispetto al valore pre-nuoto (88,4% di
media contro 98%). Va detto che i 70 casi rappresentavano l’1,8% di tutte le sedute di allenamento
TABELLA II: CAUSE DI EDEMA POLMONARE A PRESSIONE
NEGATIVA O POST-OSTRUTTIVO
• Laringospasmo
210 MRM
1 ATM
Profondità
(cm)
• Artroscopia temporomandibolare
• Strangolamento
• Intubazione difficile
• Epiglottidite
• Ematoma
• Aspirazione di corpo estraneo
• Tumore alte vie aeree
• Ipotiroidismo
• Chirurgia orofaringea
• Secrezioni tracheali
• Angina di Ludwig
• Singhiozzo
• Obesità
• Croup
• Acromegalia
• Gozzo tiroideo
• Apnee ostruttive nel sonno
• Tumore mediastinico
• Mordere tubo tracheale
o maschera laringea
effettuate nell’arco di 3 anni e che in 16 casi l’episodio si era ripetuto e distanza di tempo. I radiogrammi del torace effettuati da 12 a 18 ore dopo
erano risultati normali in tutti i casi. Tale riscontro
va però riconsiderato alla luce di un recente studio
relativo all’edema polmonare in corso di immersione con autorespiratore (Scuba diving) [21], che ha
evidenziato una scarsa sensibilità della radiografia
del torace, negativa in 4 casi su 19, rispetto alla
tomografia computerizzata (TC) che documentava
reperti patologici in tutti i casi.
Decisamente più frequenti sembrano essere i casi
di edema polmonare in corso di immersione in
apnea: infatti, durante una competizione internazionale 12 su 19 partecipanti allo studio presentavano segni clinici di edema polmonare [2]; in uno
studio italiano condotto su 212 apneisti, il 26% ha
riferito dispnea, tosse, emottisi, o altri sintomi e
segni riferibili ad edema polmonare [22]. Prediletto
e coll. [23] hanno riscontrato un incremento della
capacità di diffusione (DLCO) dopo immersione in
apnea rispetto ai valori precedenti. In questo caso
l’aumento della DLCO è espressione di un aumento
della componente ematica polmonare e/o emorragia alveolare. Un dato analogo è stato riportato da
Lindholm e coll. [24] in soggetti che per allenamento praticavano immersione in piscina a bassa
profondità (2 – 3 m), dopo aver espirato fino a volume residuo per simulare una discesa ad elevata
profondità. Tutti i soggetti hanno presentato mediamente una riduzione dei volumi polmonari (FEV1,
FVC) ed un aumento della DLCO. In due casi è stata
dimostrata la presenza di sangue proveniente dalle
vie aeree.
È opportuno a questo punto riassumere alcuni
aspetti fisiologici dell’immersione in apnea: durante l’immersione il polmone è sottoposto a variazioni che seguono la legge di Boyle (P · V = K), in base
MRM 03-2009_def:Layout 1 24/06/09 11:27 Pagina 211
alla TC del torace un pneumomediastino, del tutto
asintomatico [28]. Inoltre va ricordato che dai dati
sperimentali di West e coll. [5-6] l’aumento del
volume polmonare è uno dei fattori che possono
favorire la stress failure dei capillari polmonari. La
Figura 4 evidenzia come l’incremento del volume
polmonare aumenti il danno della parete, sia dal
versante endoteliale, sia dal versante epiteliale [6].
L’immersione con autorespiratore (Scuba diving)
pone problematiche fisiopatologiche del tutto
diverse [3,13,14,21,30-32]. L’entità del blood shift
è di entità minore rispetto all’immersione in apnea,
in quanto l’autorespiratore è in grado di compensare la pressione esercitata sul torace, ma rimane
comunque l’effetto dell’aumentato ritorno venoso
dagli arti e dall’addome, eventualmente accentuato
dalla vasocostrizione in caso di bassa temperatura
dell’acqua. Per quanto riguarda il lavoro della respirazione ed il carico dei muscoli respiratori, sono
aumentati per vari motivi (Tabella III)
[3,13,14,21,30-32].
L’edema polmonare da “Scuba diving” è senz’altro
una patologia piuttosto rara: infatti dalla prima
descrizione [33] sono state pubblicate casistiche di
pochi casi (complessivamente poco più di 30)
(Tabella IV), includenti a volte casi insorti durante
nuoto [33-34].
Va detto però che si tratta di una patologia decisamente grave, in quanto sono descritti casi fatali
[21,31]. Inoltre, essa pone seri problemi di diagnosi differenziale con le altre cause di incidenti da
immersione, in primo luogo il barotrauma e la
malattia da decompressione [21,31,32]. Un dato
interessante che emerge dagli studi più recenti
[21,31] è la scarsa sensibilità della radiografia del
torace, a volte negativa, rispetto alla TAC, che
mostra pressoché in tutti i casi la presenza dell’edema polmonare. Inoltre, solo per questo tipo di
edema, è stata riscontrata una maggior frequenza
G Fiorenzano, M Schiavon
Edema polmonare e attività acquatiche - Pulmonary edema and water sports
FIGURA 4: VOLUME POLMONARE E “STRESS FAILURE”
DEI CAPILLARI
Volumi polmonari
Basso
Alto
12
Numero di rotture/mm di strato cellulare
alla quale pressione e volume sono inversamente
proporzionali [13-15]. Poiché la pressione aumenta di circa 1 atmosfera ogni 10 metri di profondità,
il volume polmonare si riduce in modo proporzionale. In base a questi presupposti teorici, la massima profondità raggiungibile da un apneista dovrebbe essere esattamente calcolabile in base al rapporto tra la sua Capacità Polmonare Totale (CPT) ed il
suo volume residuo (VR). Pertanto, nonostante i
notevoli volumi polmonari di cui in genere dispongono questi atleti, difficilmente potrebbero essere
raggiunte profondità superiori ai 50 metri, mentre
in effetti gli attuali record di immersione in apnea
hanno superato i 160 metri. Una delle ragioni principali di tale fenomeno è l’importanza delle variazioni emodinamiche che si verificano in queste
condizioni.
Infatti il fenomeno del blood shift, che è già presente con la semplice immersione in acqua con la testa
al di fuori, è sempre più importante quanto più
aumenta la profondità raggiunta e quindi la pressione che si esercita sul corpo [13-15]. Inoltre vanno
aggiunte le variazioni determinate da quella che
una volta veniva definita “diving reflex” e che oggi
più correttamente è definita “diving response”. Si
tratta di una risposta fisiologica tipica dei mammiferi marini (foche, balene), che si basa su di una
notevole vasocostrizione periferica, accompagnata
da bradicardia, aumento della pressione diastolica,
ed altri adattamenti tesi a preservare il flusso sanguigno diretto al cuore ed al cervello [13-15]. Gli
esseri umani presentano un meccanismo analogo,
anche se di minore entità, attivato dall’immersione
del volto in acqua (specie se a bassa temperatura) e
dall’apnea. Recenti studi ecocardiografici hanno
dimostrato in corso di immersione in apnea una
riduzione delle dimensioni dell’atrio sinistro ed un
pattern diastolico del ventricolo sinistro analogo a
quello delle patologie cardiache restrittive/costrittive, confermando che tali meccanismi sono implicati nell’aumento del contenuto sanguigno intratoracico [25-26]. Anche nel caso dell’immersione in
apnea la contrazione del diaframma, con conseguenti variazioni della pressione transpolmonare,
può contribuire al danno della barriera alveolocapillare [27]. Inoltre, gli apneisti usano ricorrere a
metodi in grado di espandere i volumi polmonari
oltre i limiti fisiologici: molti impiegano il metodo
della respirazione glosso-faringea per inalare ulteriori quantitativi di aria dopo aver raggiunto la
capacità polmonare totale (CPT) e per espellere
ulteriore aria dai polmoni dopo aver espirato a
volume residuo [28]. In uno studio effettuato su
quattro soggetti che praticavano tale tipo di metodica, la respirazione glosso-faringea espiratoria (GE)
era in grado di ridurre ulteriormente il volume toracico di 0,09 – 0,44 L oltre il volume residuo, mentre quella inspiratoria (GI) era in grado di incrementare la CPT di 0,13 – 2,84 L [28].
Queste manovre determinano notevoli oscillazioni
della pressione intratoracica [29], con il rischio di
provocare un danno polmonare. Infatti, in uno dei
quattro soggetti del lavoro citato è stato riscontrato
10
8
6
4
2
0
Endotelio
Epitelio
Tratto da [6] mod.
MRM
211
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2009; 4(3): 208-213
MRM 03-2009_def:Layout 1 24/06/09 11:27 Pagina 212
TABELLA III: APPARATO RESPIRATORIO ED IMMERSIONE CON
AUTORESPIRATORE
• Aumento della densità dell’aria
• Aumento delle resistenze e dello spazio morto
• Aumento della pressione idrostatica
• Alterazioni della meccanica respiratoria
• Necessità di elevate pressioni negative e positive per inspirare
ed espirare
nei soggetti di età superiore ai 40 anni rispetto a
quelli di età inferiore. In una casistica [3] su 8 soggetti colpiti 4 erano asmatici. Questo pone il dubbio che un aumento delle resistenze in – espiratorie
abbia contribuito in questi casi ad aumentare le
oscillazioni pressorie intratoraciche, favorendo la
comparsa dell’edema.
La bassa temperatura dell’acqua, riportata in varie
casistiche, sembra essere un fattore favorente,
accentuando il blood shift verso la cavità toracica.
Un lavoro recente [21] sembra mettere in discussione la rarità di tale patologia: infatti in uno studio
dedicato in una regione piuttosto circoscritta (la
Bretagna), sono stati riscontrati 19 casi di edema
polmonare da immersione in 5 anni; nel periodo di
studio tale patologia è risultata essere la prima
causa di incidenti respiratori in corso di immersione con autorespiratore.
In conclusione, l’edema polmonare in corso di
nuoto ed immersione sembra essere un esempio di
edema polmonare non cardiogeno nel quale sono
implicati fenomeni del tipo che West ha definito
stress failure dei capillari polmonari. I meccanismi
implicati sembrano essere una combinazione variabile di due fattori: l’incremento del flusso sanguigno intratoracico (blood shift) e l’aumento della
pressione esercitata dai muscoli respiratori (con
meccanismo analogo a quello dell’edema polmonare a pressione negativa o post-ostruttivo).
Ulteriori studi sono necessari per chiarire a fondo i
meccanismi fisiopatologici e gli aspetti epidemiologici e clinici di questa patologia.
DICHIARAZIONE DI CONFLITTO DI INTERESSI: Gli autori non
hanno relazioni finanziarie con un’entità commerciale che
abbia interesse nell’oggetto di questo articolo.
TABELLA IV: RIASSUNTO DELLA LETTERATURA SULL’EDEMA POLMONARE SVILUPPATO DURANTE IMMERSIONE CON AUTORESPIRATORE
Autore
Wilmshurst, 1989 [33]
N soggetti
/maschi
Età media
range
Temp. minima
dell’acqua
Profondità
(m)/durata
Sintomi
H/LOC
Ricorrenza
(D, S)
11/8
45,6 (38-60)
<12 °C
nd
6/2
2(S)
Pons, 1995 [34]
3/2
30,7 (26-39)
<6 °C
24-42/nd
2/0
1(D,S)
Roeggla, 1996 [35]
1/0
54
14 °C
5/10 min
1/0
0
Cosgrove, 1996 [36]
1/0
58
11 °C
10/5 min
1/0
0
Hampson, 1997 [37]
6/2
43,3 (24-60)
4-27 °C
4-30/5-20min
2/1
4(D)
Gnadinger, 2001 [38]
1/1
52
25 °C
3/2 min
1/0
0
Slade, 2001 [3]
8/3
52,4 (45-61)
10-26 °C
4-34/nd
6/0
3(D)
Halpern, 2003 [39]
1/1
50
media
12/25 min
0/0
0
Cochard, 2005 [31]
5/4
49,4 (37-56)
10-17 °C
43/7-24 min
3/1
2(D)
Definizioni delle abbreviazioni: H, emottisi; LOC, perdita di coscienza; D, immersioni con autorespiratore; S, nuoto.
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MRM
213
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Multidisciplinary Focus on: HIV and the lung
edited by / a cura di Sabina Antoniu
AIDS e polmone
AIDS and the lung
Michela Conti, Angelo Cazzadori, Ercole Concia
UO Malattie Infettive, Università di Verona
RIASSUNTO
Nonostante la presenza di numerosi batteri, funghi, virus e protozoi nell’aria che respiriamo, il nostro sistema respiratorio è
dotato di meccanismi di difesa così efficienti da rendere non
comuni le infezioni polmonari. L’AIDS fu identificato per la
prima volta quando alcuni soggetti precedentemente sani svilupparono una polmonite da Pneumocystis carinii, infatti il
grado di deficit immunitario indotto dall’infezione da HIV è il
fattore determinante del rischio di sviluppare specifiche patologie polmonari sia infettive che non infettive. Prima dell’avvento della terapia antiretrovirale combinata (cART) le polmoniti batteriche, la tubercolosi e la polmonite da Pneumocystis
carinii (PCP) - oggi Pneumocystis jirovencii - erano le infezioni
polmonari più frequenti. Con l’avvento della cART le infezioni
polmonari opportunistiche sono rimaste appannaggio dei soggetti che non assumono terapia, perché ignorano il loro stato
di infezione da HIV o perché rifiutano o non tollerano tali terapie polifarmacologiche, o che presentano un’infezione da virus
polirestenti ai farmaci antiretrovirali. Tuttavia il bagaglio di
conoscenze acquisito risulta utile nella gestione clinica dei
sempre più numerosi pazienti con immunodepressione da chemioterapia onco-ematologica o da terapie antirigetto nei trapianti.
Parole chiave: AIDS, HIV, infezioni polmonari opportunistiche,
terapia antiretrovirale.
ABSTRACT
Despite the numerous bacteria, fungi, virus and protozoa present in the air we breathe, our respiratory system is equipped
with such efficient defence mechanisms that lung infections
are a rare event. AIDS was identified for the first time when
some previously healthy subjects developed pneumonia from
Pneumocystis carinii; in fact the level of immune deficit induced
by HIV infection is the factor that determines the risk of developing specific lung diseases, both infective and non infective.
Before the advent of combined antiretroviral therapy (cART)
bacterial pneumonia, tuberculosis and pneumonia from
Pneumocystis carinii (PCP) - today Pneumocystis jirovencii –
were the most frequent lung infections. With the advent of
cART, opportunistic lung infections now remain the heritage of
those subjects who do not undergo therapy, either because
they are unaware of their condition of HIV infection or because
they refuse or do not tolerate such polypharmacological treatments, or because their infection is due to a virus that is
polyresitant to antiretroviral drugs. In any case, the large body
of knowledge now acquired is useful in the clinical management of the ever increasing number of patients with immunodepression due to onco-hematological chemotherapy or to anti-rejection therapies in organ transplantation.
Keywords: AIDS, antiretroviral therapy, HIV, opportunistic lung
infections.
La superficie dell’apparato respiratorio si estende
per circa 140 m2 e rappresenta la più estesa interfaccia tra l’ambiente esterno e quello interno del
corpo umano.
Tale superficie viene ventilata approssimativamente
da oltre 12.000 litri di aria ogni giorno mentre un
soggetto è a riposo e può essere raddoppiata o triplicata anche da una minima attività fisica.
L’aria che noi respiriamo contiene numerosi microrganismi ed inquinanti gassosi e particolati che possono essere nocivi [1].
Nonostante la presenza di numerosi batteri, funghi,
virus e protozoi nell’aria che respiriamo, il nostro
sistema respiratorio è dotato di così efficienti meccanismi di difesa da rendere non comuni le infezioni polmonari.
Questi meccanismi di difesa iniziano nel naso e si
estendono fino agli alveoli e, per semplificare, possono essere distinti in due grandi gruppi: meccanismi
di sorveglianza e meccanismi di amplificazione [2].
Tra i meccanismi di sorveglianza vengono considerati le barriere anatomiche come le angolazioni
delle vie aeree, la clearance muco-ciliare, i riflessi
della tosse e della broncocostrizione, la produzio-
+ Ercole Concia
UO Malattie Infettive, Università di Verona
Piazzale L. A. Scuro 10, 37134 Verona, Italia
email: [email protected]
Data di arrivo: 02/09/2008 – Accettato per la pubblicazione: 14/11/2008
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2009; 4(3): 214-216
214 MRM
MRM 03-2009_def:Layout 1 24/06/09 11:27 Pagina 215
che l’immunità decresceva e l’eziologia, che inizialmente era simile alle polmoniti che colpiscono
la popolazione in generale, con la deplezione linfocitaria si modificava, con il riscontro sempre più
frequente di polmoniti da germi Gram negativi,
soprattutto Pseudomonas aeruginosa, mentre le
polmoniti atipiche (Legionella spp, Chlamydia spp,
Mycoplasma spp) risultavano assai rare [7].
Anche la tubercolosi, benché una delle prime
malattie che possono comparire nella storia naturale dell’infezione da HIV, era più frequente quando
il deficit immunitario era manifesto e assumeva
aspetti clinici atipici spesso simili alle forme di
tubercolosi primaria progressiva con coinvolgimento sia parenchimale che linfonodale o forme diffuse
di tipo miliarico, mentre la tipica forma di tubercolosi polmonare cavitaria appariva più rara man
mano che l’immunità decresceva [8].
La PCP di solito era la malattia che dava inizio alla
sindrome dell’AIDS e compariva quando la deplezione linfocitaria era notevolmente ridotta (CD4+
< 200/µl) e rappresentava il primo gradino di quella
sindrome che in breve tempo avrebbe condotto il
soggetto con infezione da HIV ad una totale devastazione delle difese immunitarie [9].
Accanto a queste forme infettive polmonari, le localizzazioni viscerali di sarcoma di Kaposi, i linfomi
non Hodgkin ed il carcinoma polmonare erano frequenti forme neoplastiche polmonari che complicavano l’infezione da HIV [10].
Altre malattie polmonari quali la polmonite interstiziale linfocitaria (LIP) nel bambino, la polmonite
interstiziale non specifica e l’ipertensione polmonare idiopatica erano segnalate con una certa frequenza [11].
Con l’avvento della cART le infezioni polmonari
opportunistiche sono rimaste appannaggio dei soggetti che non assumono terapia, perché ignorano il
loro stato di infezione da HIV o perché rifiutano o
non tollerano tali terapie polifarmacologiche, o che
presentano un’infezione da virus polirestenti ai farmaci antiretrovirali [12].
Le infezioni polmonari non opportunistiche come le
polmoniti batteriche e la tubercolosi, si sono notevolmente ridotte in frequenza nei soggetti trattati con
farmaci antiretrovirali, così come alcune forme di
neoplasie quali il sarcoma di Kaposi ed il “primary
effusion lymphoma”, entrambe ritenute causate da
infezione da HSV 8; sono invece rimasti invariati in
frequenza i linfomi non Hodgkin ed il carcinoma
polmonare, segno che tali neoplasie hanno un’eziologia multifattoriale più complessa [13].
La terapia combinata antiretrovirale ha messo in
evidenza una patologia in precedenza non conosciuta, la sindrome da immunoricostituzione, definita come un peggioramento sintomatico acuto o
paradosso di un’infezione o neoplasia correlato al
recupero dello stato immunitario.
La patogenesi di tale sindrome sembra dovuta allo
smascheramento di un’infezione latente o in incubazione, o ad una risposta infiammatoria amplificata ad antigeni presenti in basse quantità nei tessuti.
Il polmone è una delle sedi più frequenti e gravi del
M Conti, A Cazzadori, E Concia
Aids e polmone - Aids and the lung
ne locale di immunoglobuline, il surfactante, i
macrofagi alveolari.
Questi meccanismi appaiono sufficienti a mantenere sterile il basso tratto respiratorio nella maggior
parte delle circostanze e non dipendono necessariamente dallo stato immunitario del soggetto.
Il meccanismo di amplificazione interviene quando
il meccanismo di sorveglianza è meno efficiente o
sopraffatto ed è caratterizzato da una risposta
infiammatoria dovuta al reclutamento di cellule
effettrici come polimorfonucleati e linfociti sotto
controllo dell’immunità umorale e cellulare.
È evidente che la sindrome da immunodeficienza
acquisita (AIDS) conseguente all’infezione da virus
dell’immunodeficienza umana (HIV), la quale
deprime profondamente l’immunità cellulare
mediante la progressiva deplezione dei linfociti T
helper (CD4+) e altera l’immunità umorale mediante un’anomala iperproduzione di gammaglobuline,
rende particolarmente suscettibile l’apparato respiratorio ad infezioni sostenute da qualsiasi microrganismo che si trovi nell’ambiente esterno capace di
replicarsi nell’uomo [3].
L’AIDS fu identificato per la prima volta quando
alcuni soggetti precedentemente sani svilupparono
una polmonite da Pneumocystis carinii [4].
In seguito numerose infezioni polmonari, sia da
patogeni comuni che da microrganismi opportunistici, e malattie polmonari non infettive risultarono
frequenti nei soggetti con infezione da HIV [5].
Il grado di deficit immunitario indotto dall’infezione da HIV è il fattore determinante del rischio di
sviluppare specifiche patologie polmonari sia infettive che non infettive.
Nella fase precoce dell’infezione da HIV, quando il
sistema immunitario non è gravemente compromesso, le infezioni polmonari che colpiscono i soggetti sieropositivi sono simili a quelle che colpiscono la popolazione generale, mentre in una fase
avanzata della compromissione immunitaria risultano frequenti le infezioni opportunistiche, le neoplasie e le patologie infiammatorie.
Questa ampia gamma di patologie polmonari sia
infettive che non infettive che possono coinvolgere il
polmone nelle fasi avanzate di immunodeficit HIVindotto fa sì che la diagnosi risulti assai complessa e
si rendano spesso necessari approcci diagnostici
invasivi (broncoscopia e biopsie chirurgiche).
La conta dei linfociti T CD4+ è tuttora l’unico surrogato della valutazione della funzione immunitaria e del rischio di infezioni opportunistiche, mentre la carica virale misurata attraverso le copie di
HIV-RNA presenti nel sangue sono il surrogato per
valutare la progressione della malattia e l’effetto
della terapia antiretrovirale [6].
Prima dell’avvento della terapia antiretrovirale
combinata (cART) le polmoniti batteriche, la tubercolosi e la polmonite da Pneumocystis carinii (PCP)
- oggi Pneumocystis jirovencii - erano le infezioni
polmonari più frequenti.
Sebbene le polmoniti batteriche potessero colpire il
soggetto con infezione da HIV ad ogni livello di
immunità, queste erano più frequenti man mano
MRM
215
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manifestarsi della sindrome da immunoricostituzione soprattutto nelle infezioni micobatteriche e virali, ma anche nella PCP e nelle neoplasie polmonari. Il quadro clinico è quello di un peggioramento
del quadro infettivo o neoplastico o la comparsa di
quadri polmonari interstiziali simili alla sarcoidosi o
alla fibrosi polmonare idiopatica. Il problema terapeutico è incentrato sul quesito se tale sindrome sia dovuta ad un’infezione attiva o ad una risposta infiammatoria anomala ad antigeni persistenti [14]. Spesso il
dubbio rimane e viene instaurata sia una terapia antimicrobica che una terapia antinfiammatoria.
In conclusione l’epidemia dell’infezione da HIV ha
dato un enorme impulso alle conoscenze sulle infezioni opportunistiche polmonari sia da un punto di
vista diagnostico che profilattico-terapeutico. Con
l’avvento della terapia antiretrovirale queste infezioni si sono ridotte di frequenza, ma il bagaglio di
DICHIARAZIONE DI CONFLITTO DI INTERESSI: Gli autori non
hanno relazioni finanziarie con un’entità commerciale che
abbia interesse nell’oggetto di questo articolo.
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conoscenze acquisito risulta utile nella gestione clinica dei sempre più numerosi pazienti con immunodepressione da chemioterapia onco-ematologica
o da terapie antirigetto nei trapianti.
L’epidemia dell’infezione da HIV ha dato inoltre un
enorme impulso alla chemioterapia antivirale praticamente sconosciuta fino ad alcuni anni fa ed ha
aperto uno spiraglio sull’eziologia virale di alcune
neoplasie.
Inoltre del tutto recentemente si stanno comprendendo alcuni meccanismi che stanno alla base dell’interazione tra microrganismo e risposta infiammatoria dell’ospite con importanti ripercussioni
pratiche soprattutto sul piano terapeutico.
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Multidisciplinary Focus on: HIV and the lung
edited by / a cura di Sabina Antoniu
HIV and lung mycoses
HIV e micosi polmonari
Stefania Cocchi, Roberto Esposito
Department of Internal Medicine and Medical Specialties, Clinic of Infectious and Tropical Diseases, University of
Modena and Reggio Emilia
ABSTRACT
Following the introduction of effective antimicrobial prophylaxis strategies against opportunistic infections and of potent
combination antiretroviral therapies, the incidence of pulmonary complications has declined substantially among patients infected with human immunodeficiency virus (HIV).
Nevertheless, lung disease remains the leading cause of morbidity and mortality in this population. In particular, pulmonary mycoses continue to be an important cause of illness
and death among patients with acquired immunodeficiency
syndrome (AIDS). In this setting, the most common opportunistic lung fungal infection is due to Pneumocystis jiroveci,
especially as a presenting illness in patients not yet known to
be infected with HIV. Although P. jiroveci pneumonia is the
most common AIDS-associated lung mycosis, HIV-infected patients are considered to be at greater risk of developing other
opportunistic pulmonary fungal infections such as aspergillosis, candidosis, cryptococcosis, and zygomycosis. Moreover, in
specific populations or geographic areas, endemic mycoses are
important causes of HIV-associated lung disease.
Keywords: AIDS, HIV, fungal infections, lung, mycoses.
RIASSUNTO
In seguito all’introduzione di efficaci misure profilattiche nei
confronti delle principali infezioni opportunistiche e alla disponibilità di potenti terapie antiretrovirali di combinazione, le
complicanze polmonari nei pazienti con infezione da virus dell’immunodeficienza acquisita (HIV) hanno subito un netto
decremento in termini di incidenza, pur continuando, tuttavia,
a rappresentare i principali determinanti di morbilità e letalità.
In particolare, le micosi polmonari rimangono importanti cause
di malattia e morte nei pazienti con sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS). In questo contesto, la più comune infezione fungina opportunistica è la polmonite da Pneumocystis
jiroveci (PCP), soprattutto come malattia di esordio in pazienti
che non sono ancora a conoscenza della loro sieropositività per
HIV. Sebbene la PCP sia la più comune micosi polmonare indicativa di AIDS, i pazienti con infezione da HIV presentano un
rischio più elevato di sviluppare altre complicanze fungine pol-
monari come l’aspergillosi, la candidosi, la criptococcosi e le
zigomicosi. Inoltre, in popolazioni specifiche o in determinate
aree geografiche, le micosi endemiche rappresentano cause
significative di malattia polmonare associata ad HIV.
Parole chiave: AIDS, infezioni fungine, HIV, micosi, polmone.
The introduction of effective antimicrobial prophylaxis strategies against opportunistic infections and
of potent combination antiretroviral therapies has
changed the incidence and the epidemiology of
pulmonary diseases associated with human immunodeficiency virus (HIV) infection [1-5]. In particular,
the advent of protease inhibitors (PIs)-containing
regimens in recent years had resulted in a dramatic
decrease of HIV-related morbidity and mortality in
industrialized countries [6]. As a result of the reconstitution of the immune system under antiretroviral
therapies, the incidence of pulmonary infections
has also declined substantially among persons living with HIV in countries where these regimens are
available [7]. Nevertheless, lung disease remains
the leading cause of morbidity and mortality in
patients infected with HIV [2,8-9].
Bacterial pneumonia and Mycobacterium tuberculosis infection are the most important HIV-related
pulmonary disorders in industrialized and developing countries, respectively, especially where appropriate prophylaxis is unavailable or when compliance with such therapy is poor [9,10]. Along with
the progression of HIV disease, the incidence and
severity of acquired immunodeficiency syndrome
(AIDS)-associated respiratory infections appear to
increase as well as their mortality rate. In this setting, lung mycoses continue to be an important
cause of illness and death among patients with
AIDS [11].
+ Stefania Cocchi
Clinic of Infectious and Tropical Diseases, University of Modena and Reggio Emilia
Via del Pozzo 71, 41100 Modena, Italy
email: [email protected]
Data di arrivo: 02/09/2008 – Accettato per la pubblicazione 14/11/2008
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Fungal respiratory involvement consists of fungal
colonization, allergy, and infections of respiratory
tract and lungs. Fungi may cause lung disease
through direct infection of pulmonary tissue,
through infection of pulmonary air spaces/lung cavities, or through their ability to trigger an immunological reaction when fungal material is inhaled.
The latter mechanism operates in cases of allergic
bronchopulmonary aspergillosis, aspergillusinduced asthma and extrinsic allergic alveolitis due
to fungi, while the diseases caused by direct fungal
infection of the lung are different clinical entities
(fungal pneumonias). Table I shows the main
endemic and opportunistic fungal pathogens
responsible for pneumonia in HIV-infected patients.
In this setting, the most common opportunistic lung
infection is due to Pneumocystis jiroveci, especially as a presenting illness in patients not yet known
to be infected with HIV. P. jiroveci is widespread in
nature and rarely causes disease except in people
such as those with AIDS who have a severe impairment of their immune system. About 80% of HIVinfected individuals will experience an episode of
Pneumocystis pneumonia (PCP) at some time [12].
Early in the HIV epidemic, it was noted that the
principal risk factor for development of HIV-related
PCP was a reduced CD4+ cell count. Data from the
Multicentre AIDS Cohort Study (MACS) showed that
the risk of developing PCP in patients with CD4+
cell count below 200 cells/µL was significantly
higher compared to those with CD4+ cell count
between 200 and 350 cells/µL (6% versus 0.5%)
[13]. After the widespread use of P. jiroveci prophylaxis, patients with PCP are usually severely
immunosuppressed. Stansell and colleagues in the
Pulmonary Complications of HIV Infection Study
(PCHIS) showed that 95% of the 145 cases of PCP
occurred in subjects whose median CD4+ cell
count was 29 cells/µL [14]. These data confirmed
the results already published by MACS group [13].
Recently, Fujii and colleagues described the clinical
features of 34 episodes in 32 patients with AIDSassociated PCP and reviewed the existing literature.
As for symptoms, the frequency of fever, cough, and
TABLE I: FUNGAL PATHOGENS RESPONSIBLE FOR
PULMONARY DISEASES ASSOCIATED WITH HIV-INFECTION
Opportunistic fungal pneumonia pathogens:
• Aspergillus species causing aspergillosis
• Candida species causing candidiasis
• Cryptococcus neoformans causing cryptococcosis
• Pneumocysti jiroveci causing pneumocystosis
• Rhizopus, Absidia, Mucor, Rhizomucor, and Cunninghamella species
causing zygomycosis
Endemic fungal pneumonia pathogens:
• Blastomyces dermatitidis causing blastomycosis
• Coccidioides immitis causing coccidioidomycosis
• Histoplasma capsulatum causing histoplasmosis
• Penicillium marneffei causing penicilliosis marneffei
• Paracoccidioides brasiliensis causing paracoccidioidomycosis
218 MRM
dyspnea was 74%, 74%, and 65%, respectively, but
the complete triad was present in only 14 of the 34
episodes on first examination. Nevertheless, PCP
tended to have an insidious clinical course.
Laboratory findings were generally nonspecific, and
a wide variety of other radiographic findings were
observed, although typical radiographic features of
PCP are bilateral, symmetrical ground-glass opacities. Familiarity with the clinical features of PCP is
crucial for prompt diagnosis, even if the patient is
unaware of his HIV serostatus [15].
Thus, care providers need to be aware that PCP
remains a frequent sentinel opportunistic infection
for patients who are not aware of their HIV seropositivity and that this is also a risk factor for severe disease. Recrudescence of "treated" infection as a
manifestation of the immune reconstitution syndrome may become more commonly encountered,
as more patients are treated with potent PIs combination therapies [12].
Although PCP is the most common AIDS-associated
lung fungal disease, HIV-infected patients (especially those having CD4+ cell counts in the range of
100/µL) are considered to be at greater risk of developing other opportunistic pulmonary mycoses such
as aspergillosis, cryptococcosis, and zygomycosis
[16]. Moreover, in specific populations or geographic areas, endemic fungal diseases are important clinical conditions (Table I); in non-endemic
regions these infections are rarely a cause of HIVassociated pulmonary disease [17].
Among opportunistic lung mycoses, aspergillosis is
now recognized as a significant problem in patients
with advanced AIDS although it was removed from
the list of AIDS-defining illnesses by the Centers for
Disease Control and Prevention (CDC) since very
few cases were reported [17]. Aspergillosis is a clinicopathological entity that is difficult to diagnose
(since it requires the availability of tissue samples,
normally of the lung where the pathogenic effect of
the fungi may be seen) and thus a consistent number of cases are found only at necropsy. In patients
with HIV infection, the real incidence has not been
clearly defined; it may be higher than reported, but
this infection continues to be associated with poor
outcome. González and colleagues published a
series of necropsy reviews performed in Spain over
a five year period (January 1993 to December 1997)
in 23 patients with HIV infection. Of these, 4
(17.3%) presented invasive aspergillosis, 3 of whom
with disseminated involvement. Premortem diagnosis had not been performed in any of the cases. The
recognised risk factors for aspergillosis were: CD4+
cell count less than 50 cells/µL (in 3 patients), use
of glucocorticoids (in 2 cases) and severe neutropenia (in one other patient). They concluded that
invasive aspergillosis is found at autopsy with relative frequency in HIV-infected patients with severe
immunodepression [18].
Serological and molecular detection of Aspergillus
spp. antigens or fungal DNA may improve the diagnosis of pulmonary aspergillosis, but the sensitivity
of these tests is variable and more studies are need-
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diagnosis. Patients with apparently isolated cryptococcal pneumonia should be evaluated for
meningeal involvement through cerebrospinal fluid
even in the absence of neurologic signs or symptoms [23,24].
Zygomycetes, such as Rhizopus, Absidia, Mucor,
Rhizomucor, and Cunninghamella species, commonly cause rhinocerebral disease or pneumonia in
patients with predisposing conditions such as diabetes, neutropenia, lymphoproliferative disorders,
immunosuppression after organ transplantation,
severe burns, chronic steroid use, chemotherapy,
and deferoxamine administration [25]. Coinfection
with zygomycosis and HIV is rare: it occurs primarily in patients with low CD4+ cell counts, does not
always require the usual predisposing conditions
for zygomycosis, and may be the presenting opportunistic infection among HIV-infected persons. As
the widespread use of PIs combination therapies
can predispose to diabetes, zygomycosis may
become more common in this population [24,26].
Transient episodes of neutropenia occurring within
4 months before presentation may be a risk factor
for this disease [27]. Zygomycosis may arise in multiple sites including the basal ganglia, cutaneous tissue, kidney, liver, spleen, respiratory tract, and
stomach [28,29]. Occurring more commonly in,
but not restricted to, injection drug users, it is significantly associated with sites other than basal ganglia in those patients with advanced HIV disease or
AIDS. The presenting symptoms are related to the
site of involvement, and the illness may develop
insidiously or progress rapidly to a fulminant
course. Disseminated infection may also occur; it
tends to be aggressive and has a poor outcome,
with an overall mortality rate of 80% or more, and
it is significantly associated with sites of disease
inaccessible to surgical debridement [27].
Because of the significant morbidity and mortality
associated with pulmonary mycoses, knowledge of
the clinical syndromes, early diagnosis, and prompt
institution of therapy are crucial for a favourable
outcome. In the case of disseminated or invasive
fungal infections, suppressive therapy must be continued to prevent relapse [11].
Development of new early diagnostic tools and
well-designed multicentre evaluations of diagnostic
methods and therapeutic regimens available at
present must be accomplished in the next future
[16].
S Cocchi, R Esposito
HIV and lung mycoses - HIV e micosi polmonari
ed [16].
Pulmonary candidiasis can be acquired either by
haematogenous dissemination causing a diffuse
pneumonia or by bronchial extension in patients
with oropharyngeal candidiasis. Aspiration of yeasts
from the oral cavity has also been reported in
infants. Candida pneumonitis is rare, and the diagnosis should not be made in the absence of tissue
invasion seen on biopsy specimen. Because oral
thrush is common, identification of Candida
species on smear or culture of respiratory specimens is nonspecific and blood cultures may also be
negative. The diagnosis is difficult to establish due
to non-specific radiological and culture findings,
and in most patients, especially those with granulocytopenia, lung involvement is documented at
autopsy [17]. Unfortunately, only histopathology
can provide a definitive diagnosis and this is not
always possible in patients with coagulation disorders.
In an autopsy series, Candida pneumonia was not
diagnosed antemortem in four of four patients [19].
Cryptococcosis is a common opportunistic infection in AIDS patients. Severe meningoencephalitis
is the commonest presentation in this setting.
Although the lung is most likely the entry portal of
Cryptococcus neoformans, isolated pulmonary
cryptococcosis is underdiagnosed in HIV-infected
patients and without appropriate treatment the fungal infection leads to severe dissemination [20,21].
It is unclear if disseminated cryptococcosis always
represents the progression of lung infection,
because many individuals have no evidence of pulmonary involvement at the time of diagnosis of systemic disease [21]. Given the relatively nonspecific
clinical signs and symptoms, variable radiographic
signs, and increased frequency of other lung opportunistic infections, it is likely that pulmonary cryptococcosis is not recognized until dissemination. In
a retrospective study aimed at determining the etiology of pulmonary symptoms in HIV-infected
patients with cryptococcal meningitis, 14 of 18
patients (78%) reported respiratory symptoms within 4 months prior to the diagnosis of meningeal
involvement [22]. Other reviews suggest that a high
proportion (63-90%) of HIV-infected patients with
pulmonary cryptococcosis have concomitant extrapulmonary disease [20,21]. Lung involvement is
manifested primarily by cough and fever, and most
but not all the patients have diffuse interstitial
abnormalities on chest radiographs. Cryptococcal
antigen in serum can be negative in patients with
pulmonary disease, especially in the absence of
meningitis. Demonstration of the organism by
smear or culture in sputum or, more commonly, in
bronchoalveolar lavage fluid generally provides the
CONFLICT OF INTEREST STATEMENT: The authors have no
conflict of interest to declare in relation to the subject of this
manuscript.
MRM
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Multidisciplinary Focus on: HIV and the lung
edited by / a cura di Sabina Antoniu
HIV and tuberculosis: dilemmas and
challenges
HIV e tubercolosi: dilemmi e sfide
Giovanni B. Migliori1, Rosella Centis1, Anna Scardigli2, Lucica Ditiu3, Alberto Matteelli4
1
WHO Collaborating Centre for TB and Lung Diseases, Fondazione S. Maugeri, Care and Research Institute,
Tradate, Italy
2
International Center for AIDS Care and Treatment Programs (ICAP), Mailman School of Public Health, Columbia
University, Maputo, Mozambique
3
Tuberculosis Control, WHO Regional Office for Europe, Copenhagen, Denmark
4
University of Brescia, Brescia, Italy
ABSTRACT
Tuberculosis (TB) and human immunodeficiency virus
(HIV)/acquired immunodeficiency syndrome (AIDS) infection
have been defined as the ‘cursed duet’ because of their capacity to influence and potentiate each other. The epidemiological
relationship between the two diseases is well known, and an
adequate control strategy was proposed more than 15 years
ago. The aim of this article is to briefly discuss the epidemiology of TB, HIV and TB/HIV co-infection and, then, the co-infection control strategy proposed by the World Health
Organization (WHO). Finally, the core elements relevant for
the control of this co-infection in Italy will be discussed.
Keywords: Co-infection, collaborative activities, HIV, tuberculosis.
RIASSUNTO
Tubercolosi (TB) e infezione da HIV/AIDS (acquired immunodeficiency syndrome) sono stati precocemente definiti “duetto
maledetto” per la loro capacità di influenzarsi a vicenda. I rapporti epidemiologici tra le due malattie sono noti da tempo e
una strategia di controllo è stata proposta più di 15 anni or
sono. Verranno rapidamente discusse l’epidemiologia della TB,
dell’HIV e della co-infezione e, successivamente, la strategia di
controllo della co-infezione proposta dalla World Health
Organization (WHO).
Infine verranno discussi gli elementi chiave per il controllo
della co-infezione in Italia
Parole chiave: Attività collaborative, coinfezione, HIV, tubercolosi.
INTRODUCTION
Tuberculosis (TB) and HIV/AIDS infection (acquired
immunodeficiency syndrome) have been defined as
the ‘cursed duet’ because of their capacity to influence and potentiate each other [1].
The epidemiological relationship between the two
diseases is well known [2-5], and an adequate control strategy was proposed more than 15 years ago
[6]. The aim of this article is to briefly discuss the
epidemiology of TB, HIV and TB/HIV co-infection
and, then, the co-infection control strategy proposed by the World Health Organization (WHO).
Finally, the core elements relevant for the control of
this co-infection in Italy will be discussed.
Tuberculosis
WHO estimates that about one third of the global
population is currently infected by Mycobacterium
tuberculosis. Every year 8.8 million cases (corresponding to 141 cases per 100,000 inhabitants) are
affected by TB disease, and more than 2 million
people die [6].
75% of cases affect the most productive age-groups,
i.e. in the age range of 15 to 54 years. More than
95% of deaths occur in developing countries (DC),
where TB is responsible for 26% of the preventable
deaths in adults. Over 80% of the TB cases notified
+ Giovanni B. Migliori
WHO Collaborating Centre for TB and Lung Diseases, Fondazione S. Maugeri,
Care and Research Institute/ TBNET Secretariat (TuBerculosis Network in Europe Trialsgroup)/ Stop TB Italy
Via Roncaccio 16, 21049 Tradate (VA), Italy
email: [email protected]
Data di arrivo: 03/03/2008 – Accettato per la pubblicazione 14/11/2008
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are concentrated in 22 countries, called “high burden countries”. In the top positions are India,
China, Indonesia and South Africa, with the number
of cases ranging from 1.2 million to 250,000. In
Europe, the top position is occupied by the Russian
Federation, placed in the 12th position in this overall list, with possibly more than 124,689 TB cases
(all?) notified in 2006. In 2006, the global TB incidence was still growing by about 1% per year, as a
result of the rapid case growth registered in subSaharan Africa and Eastern Europe coupled with a
decrease in the other WHO Regions. Preliminary
2007 data seem to indicate that a plateau in TB case
notifications had probably been reached, and a
decline might be obtained if the global effort
against the disease will be further potentiated. In
2006, in the 53 member states of the European
Region of WHO, 359,735 TB cases were notified, of
which 26% were from member states of the
European Union.
In Italy the most updated data available (2005) are
as follows: 3,975 new cases (7 per 100,000 pop.),
of whom 1,764 were sputum smear positive (3 per
100,000) and 1,275 were new pulmonary sputum
smear positive; 242 were HIV-seropositive (< 1 per
100,000), 85 being sputum smear positive; 462
died (< 1 per 100,000), 27 being HIV seropositive.
New sputum smear positive cases account for 46%
of pulmonary cases, and the extrapulmonary cases
are 27% of the total number [6,7]. WHO estimates
that Italy presently notifies 72% of infectious cases
and 96% of the overall number of existing cases
(estimated case detection rate) [6].
HIV/AIDS infection
According to the latest global data available [8], a
plateau situation has been reached as regards both
the prevalence of HIV infection in adults (in the
age-group 15-49 years the proportion is close to
1%) and the number of individuals affected by
HIV/AIDS (33.2 million). A peak in prevalence of
HIV has been observed in sub-Saharan Africa (1549 year age-group): since 2001 the prevalence has
gradually decreased from 5.8% in 2001 to 5% in
2007. While in the other WHO Regions the prevalence is below 1% in this age-group, in the
Carribean the prevalence remains as high as 1%
without showing signs of a possible decrease [8].
WHO/UNAIDS estimate that 6,800 HIV infections
per day (2.5 million per year) occurred in 2007,
> 95% of them in countries with low or intermediate income. Among them, 1,200 cases occur in
paediatric age and 5,600 in the adult population
(40% in the 15-24 year age-group).
The number of deaths is estimated to be 3.1 million [8].
In Europe the 2007 estimated number of HIV infected individuals ranges between 760,000 (Central
and Western Europe) and 1.6 million (Eastern
Europe and Central Asia). In Central and Western
Europe, in particular, the newly notified HIV infections in adults and children are 31,000 per year,
with a prevalence of HIV infection of 0.3% in adults
222 MRM
and a mortality for AIDS yielding 12,000 deaths per
year.
The situation in Central and Western Europe has
slightly improved in comparison to 2001: in spite of
a modest increase of the total number of infected
individuals and of HIV prevalence in adults, the
number of new HIV infections per year has
decreased (32,000 per year in 2001).
In Eastern Europe and Central Asia, however, the
number of AIDS cases notified is 150,000 per year,
with a 0.9% prevalence in adults and a mortality
corresponding to 55,000 deaths per year.
In comparison to 2001, in this region, unfortunately, the total number of individuals affected by HIV
is increasing regularly, while the number of new
infections has decreased to 230,000/year. The number of deaths has also increased from 8,000 in 2001
to 55,000 in 2007 [8].
HIV-TB co-infection
The increase of TB notifications still observed in
Sub-Saharan Africa is stricly related to the HIV pandemic [9]. Three mechanisms have been described
to explain how HIV infection is able to increase the
HIV pandemic:
1) HIV infection triggers the progression of latent TB
infection (or of a recently acquired infection) to
active TB disease;
2) HIV infection increases the probability of relapse
(through partial suppression of the pool of bacilli
following anti-TB chemotherapy or exogenous
re-infection);
3) HIV infection increases the number of TB cases in
the general population, with increased risk of transmission of TB infection to other individuals [2].
According to the data available, the risk of developing active TB disease given infection in HIVseronegative individuals, is 5-10% lifelong. This risk
in HIV-seropositive individuals is as high as 10%
per year, with an overall lifetime risk of 50% [3]. A
linear relationship between the HIV prevalence in
the general population and the incidence of TB has
been described: the TB incidence increases by 26
new cases per 100,000 population for each
increase of 1% of HIV seroprevalence in the general population [10]. TB is still the HIV-related disease
with the highest impact in terms of both morbidity
and mortality [11-16].
WHO estimates that approximately one third of the
40 million persons living globally with HIV infection are co-infected by Mycobacterium tuberculosis
[11,13]. The number of deaths due to TB/HIV coinfection is estimated to be over 1 million. The
prevalence of HIV in TB patients in Africa has been
estimated to be approximately 40%; the incidence
of TB disease is > 8 times higher in HIV-seropositive
patients than in HIV-seronegative ones [13,14].
Unfortunately, the management of TB/HIV co-infection is becoming more and more complicated also
in Asia and Eastern Europe [17].
In western countries the prevalence of HIV infection in TB patients ranges from 8 to 15% [18].
In Europe, after the introduction of effective, com-
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The New “Stop TB Strategy” and the WHO Interim
Policy on TB/HIV collaborative activities
In order to tackle effectively the new HIV/AIDS
challenge (as well as other burning emergencies,
e.g. multidrug resistance TB/Extensively DrugResistant Tuberculosis) WHO has expanded the
classical “DOTS (Directly Observed Treatment
Short-Course) Strategy” within a more comprehensive strategy including several other interventions
on top of a quality implementation of DOTS. One
of the 6 strategic elements of the new strategy is
represented by the implementation of TB/HIV collaborative activities [27].
A recent document jointly published by WHO,
CDC, American Thoracic Society and other partners
[28,29], known as International Standards for TB
Care, emphasizes the role and contribution of quality in applying the principles of diagnosis, treatment
and control of TB.
These principles are summarized in a series of 17
practical standards.
Four of these standards describe how to manage
patients diagnosed or suspected to be TB/HIV coinfected. They include standard 8 (treatment of
TB/HIV co-infected cases), standard 12 (counselling
and testing), standard 13 (antiretroviral treatment)
and standard 17 (treatment of latent TB infection).
WHO has recently developed specific recommendations to manage TB/HIV co-infection through 12
specific activities (Table I). In spite of the initial
progress achieved, much still needs to be done. At
TABLE I: TB/HIV COLLABORATIVE ACTIVITIES
A. Establish mechanisms for collaboration
1. Set up a coordinating body for TB/HIV activities at all levels
2. Conduct surveillance of HIV prevalence among tuberculosis
patients
3. Carry out joint TB/HIV planning
4. Conduct monitoring and evaluation
B. Decrease the burden of tuberculosis in people living with
HIV/AIDS
1. Establish intensified tuberculosis case-finding
2. Introduce isoniazid preventive therapy
3. Ensure tuberculosis infection control in health care
and congregate settings
C. Decrease the burden of HIV in tuberculosis patients
1. Provide HIV testing and counselling
2. Introduce HIV prevention methods
3. Introduce co-trimoxazole preventive therapy
4. Ensure HIV/AIDS care and support
5. Introduce antiretroviral therapy
G Migliori, R Centis, A Scardigli, L Ditiu, A Matteelli
HIV and tuberculosis - HIV e tubercolosi
bined, antiretroviral therapy (HAART), TB incidence
has been estimated to be 4.7 cases per 1,000 person-year for the first three years following HAART
prescription [19].
Although a stable increase of the prevalence of HIV
infection is still observed in Western Europe and
North America, in these countries the TB incidence
is, on the contrary, slowly decreasing after antiretroviral treatment (ART) has been widely introduced
[20-26].
In general the HIV impact on TB has several consequences, including:
1) an increase in the number of cases of TB (confirmed or suspected), implying an extraordinary
burden on the health system in terms of needs for
human resources development, implementation
of adequate preventive, diagnostic, treatment and
control measures, mainly for the prevention of
nosocomial transmission;
2) an increase of HIV prevalence among TB cases;
3) a diagnostic delay coupled with missed diagnoses as the identification of cases is more challenging (larger numbers of sputum smear-negative and extrapulmonary TB);
4) an increase in the overall clinical complexity of
these cases.
the global level, under international pressure, 53%
of 211 WHO member states adopted a policy
including the systematic offer of HIV testing of TB
patients in 2004, although only 4.2% of the 4.4 million individuals notified as affected by TB/HIV coinfection had been tested [31].
The proportion of HIV patients undergoing “counselling” (125,000 estimated in Africa at the end of
2005) is expected to increase (according to the
Global Plan) in coming years to reach 600,000 in
2006 and 25 million in 2015 [7]. At the global
level, also the administration of cotrimoxazole and
isoniazid preventive therapy are expected to
increase as well as the availability of ARVs.
WHO estimated that at the end of 2006 only 15,000
co-infected patients had been treated with ARVs in
Sub-Saharan Africa, and have put the target for this at
3 million patients to be treated by 2015 [7].
The European Region of WHO has recently published a European-adapted version of the recommendations to manage TB/HIV co-infection [32]. In
countries like Italy, the minimum public health
intervention is represented by implementation of a
working group on the co-infection as well as the
set-up of an effective surveillance system. The first
activity is essential to analyse the epidemiological
situation and to define the need for specific interventions. The second activity is essential to inform
the first one. Surveillance is also essential to allow
effective public health planning and cost-effective
allocation of resources [33].
CONFLICT OF INTEREST STATEMENT: The authors have no
conflict of interest to declare in relation to the subject of this
manuscript.
MRM
223
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UNAIDS/01.22E.
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Multidisciplinary Focus on: HIV and the lung
edited by / a cura di Sabina Antoniu
HIV-related lung cancer in the age of HAART
Il tumore polmonare associato ad HIV nell’epoca
della terapia antiretrovirale ad elevata efficacia
(HAART)
May Stancliffe, Tom Powles, Mark Bower
Department of Oncology, Imperial College School of Medicine, The Chelsea and Westminster Hospital, London,
United Kingdom
ABSTRACT
Early in the human immunodeficiency virus (HIV) epidemic it
was recognised that the risk of malignancy was raised in people with HIV and that this included the risk of lung cancer. The
introduction of highly active antiretroviral therapy (HAART) a
decade ago was followed by a decline in the incidence and
mortality of both Kaposi’s sarcoma and non-Hodgkin’s lymphoma, the commonest acquired immune deficiency syndrome
(AIDS) defining tumours.
The effects of HAART on the non-AIDS defining malignancies
is, however, less clear. This review focuses on the effects of
HAART on the incidence and outcome of lung cancer in people
living with HIV.
Keywords: AIDS, HIV, HAART, lung cancer, NSCLC.
RIASSUNTO
Nel corso dell’epidemia di infezione da virus dell’immunodeficienza acquisita (HIV) si è notato ben presto che il rischio di
neoplasie era incrementato nelle persone portatrici di HIV e
che questo includeva un aumentato rischio di tumore al polmone. L’introduzione della terapia antiretrovirale ad elevata
attività (HAART) circa un decennio fa è stato seguito da un
decremento di incidenza e mortalità sia del sarcoma di Kaposi
che dei linfomi non-Hodgkin, i tumori più comuni associati
all’infezione da HIV.
Tuttavia gli effetti dell’HAART sui tumori non indotti da AIDS
sono assai meno chiari. Questa rassegna si incentra sugli effetti dell’HAART su incidenza e conseguenze del tumore polmonare nelle persone che convivono con l’HIV.
Parole chiave: AIIDS, cancro al polmone, HIV, HAART, tumore
polmonare non a piccole cellule
INTRODUCTION
Since the early days of the human immunodeficiency
virus (HIV) pandemic, it became apparent that a
number of specific cancers occur more frequently
in individuals with HIV. These cancers include
Kaposi’s sarcoma and non-Hodgkin’s lymphoma.
Both are strongly linked to viral oncogenes, and
their incidence is related to the degree of immune
suppression. These cancers became acquired
immune deficiency syndrome (AIDS) defining diagnoses and along with cervical cancer they are designated as AIDS defining cancers.
Data from immuno-suppressed organ transplant
patients suggest that a number of other malignancies, including lung cancer, also occur with
increased frequency in the setting of immune suppression [1]. Lung cancer is not known to be associated with a viral oncogene but the incidence
increases with age and is strongly associated with
cigarette smoking. Therefore it was somewhat of a
surprise to find an increased incidence of lung cancer in people living with HIV prior to the introduction of highly active antiretroviral therapy (HAART)
[2,3]. It has been speculated that this increase is
unrelated to either immune suppression or HIV, but
due to an increased proportion of HIV positive individuals smoking cigarettes [2,4,5].
However, recent work casts doubt on this explanation [6,7]. Moreover, the observation that immune
suppressed organ transplant recipients have an
increased incidence of lung cancer also brings into
+ Mark Bower
Department of Oncology, Imperial College School of Medicine, The Chelsea and Westminster Hospital
369 Fulham Road, London SW10 9NH, United Kingdom
email: [email protected]
Data di arrivo: 17/04/2008 – Accettato per la pubblicazione: 14/11/2008
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question this assumption [1].
In addition, it has been suggested that patients with
HIV-related lung cancer have more advanced and
aggressive tumours, which are refractory to therapy
[8-10]. Whilst it is clear that HAART has improved
the outcome of patients with AIDS defining cancers,
it remains less certain whether this is the case for
the non-AIDS defining cancers, particularly lung
cancer. This review aims to consider the incidence
and aetiology of lung cancer in the era of HAART
and the outcome of treatment for lung cancer in the
era of HAART.
The incidence and aetiology of lung cancer in people with HIV
Although early studies showed no increase in the
incidence of lung cancer in HIV, a recent meta
analysis published in The Lancet shows a relative
risk of 2.72 (95% confidence interval [CI]: 1.913.87) compared to matched populations [1]. This is
similar to the risk for immune suppressed allograft
organ transplant recipients with a relative risk of
2.18 (95% CI: 1.85-2.57) [1], suggesting that
immune suppression itself may be responsible for
the increased risk of lung cancer, rather than other
factors such as smoking or mode of HIV transmission. There are, however, limitations to the published data on the incidence of lung cancer in people with HIV. For example, many of the larger studies only included individuals with an AIDS defining
diagnosis [3] and nowadays the majority of patients
with HIV who have access to HAART have not had
an AIDS defining illness. Nevertheless, smaller
more recent cohort studies that included all HIV
positive individuals have consistently found an
increased risk of the disease [4,11,12]. This
increased risk occurs irrespective of gender, age or
race [4,6]. The disease appears confined to nonsmall cell lung cancer (NSCLC), particularly adenocarcinoma, as opposed to small cell lung cancer
which does not occur with increased frequency in
this population [9,11], although it should be
recalled that adenocarcinoma is more common in
younger adults, as is HIV infection [13].
Why does lung cancer occur with increased incidence in people with HIV?
Most of the epidemiological hypotheses to account
for the increased risk of lung cancer have focused
on cigarette smoking as the cause. It is known that
people with HIV smoke more than their HIV negative counterparts, which accounts for at least part of
the increased risk of the disease [14]. Indeed, some
authors speculate that smoking accounts for all of
the excess risk and changes in smoking habits are
responsible for any change in incidence in the
HAART era [2,4]. However, a detailed investigation
by Engels et al. published in the Journal of Clinical
Oncology investigated this issue specifically by
controlling for cigarette smoking and showed that
the excess risk with HIV persisted (standardized
incidence ratio 2.5; 95% CI: 1.6 – 3.5) [6]. A further
published study also found that smoking may
226 MRM
account for some, but not all, of the excess risk [7].
Engles et al. went on to speculate that there may be
an amplification of the carcinogenic effect of tobacco smoke in people with HIV [6]. This is supported
by the observation that these patients have reduced
glutathione and antioxidant levels as well as elevated levels of lysosomes and RANTES in bronchoalveolar fluid [15-18]. In addition, work with
tumour samples has shown that HIV-related lung
cancers have increased genetic instability which in
turn could predispose to the development of lung
cancer [19]. It is expected that this process would
take place over a number of years [11]. Whether
exposure to other carcinogens, such as tobacco, is
essential in this setting is unknown and this is an
area for further investigation.
The effect of HAART on the incidence of the disease
In 1996 HAART became widely available in Europe
and the United States. These drugs revolutionised
the outcome of patients and slashed the number of
AIDS-related illnesses. At the same time mortality
related to non-AIDS related cancers increased substantially [20,21]. However the effect of HAART on
the incidence of HIV-related lung cancers is not
clear because the published cohort studies are
small with short follow up in the HAART era
[4,10,12,22,23]. What data is available is contradictory, with reports showing the incidence as
either stable or increasing. However, the most
recent data for people with HIV includes 9 years of
follow up in the HAART era and gives a standardized incidence ratio (SIR) of 5.5 (95% CI 3.7-8.1)
[12]. It may be premature to draw firm conclusions
but it appears that HAART has not dramatically
reduced the risk of lung cancer, unlike the reduction in risk of Kaposi’s sarcoma and non-Hodgkin’s
lymphoma. One reason for this disparity may be
that the incidence of AIDS defining cancers is proportional to the degree of immune suppression
[24,25], whilst this is not the case for HIV-related
lung cancer, where the degree of immune suppression appears irrelevant to the development of the
disease [6].
The outcome of treatment for lung cancer in the
era of HAART
Lung cancer in HIV positive patients has been
described as a more aggressive and extensive disease; it also occurs in younger people [8-10,26,27].
The outcome in the pre-HAART era was poor,
although these studies were not well matched to
control populations [8,9,27]. Nevertheless in the
pre-HAART era the median length of survival
reported was just 2 months. This is short by any
standard and consistently lower than that for the
general population with lung cancer. The published
data from the pre-HAART era paints a picture of
patients presenting with advanced disease, who
were not necessarily immune suppressed
[2,8,9,27]. It is striking that less than 10% of these
patients were offered potentially curative treatment
with either radiotherapy or surgery. The reasons put
MRM 03-2009_def:Layout 1 24/06/09 11:27 Pagina 227
previous data, we can presume that the small number of patients who were offered potentially curative surgery had significantly prolonged survival
and that the combination of early diagnosis and
radical curative treatment is the key to survival for
these patients.
Whilst late diagnosis remains a recurrent issue in
lung cancer, the results of radiological screening
studies with low dose CT scans remain controversial and no national screening program has been
instituted.
However, the higher risk of lung cancer amongst
patients with HIV infection may make this approach
more successful in this population.
CONFLICT OF INTEREST STATEMENT: The authors have no
conflict of interest to declare in relation to the subject of this
manuscript.
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M Stancliffe, T Powles, M Bower
HAART and HIV-related lung cancer - HAART e tumore polmonare associato ad HIV
forward to account for this therapeutic nihilism
ranged from reluctance to treat these patients in the
same fashion, to an inability to deliver the treatment
successfully and without undue delays [2,810,20,27,28]. Indeed delays in diagnosis were an
area of particular concern for these patients [20].
Since the introduction of HAART, a thorough investigation has shown that the survival of these patients
has improved [29], although it is not clear from the
data if HAART use in itself was responsible for this
improvement. This publication also showed that
patients with localized disease had extended survival, underlying the importance of early diagnosis.
The largest cohort study from the HAART era reported a median survival of 8 months. However the
duration was only 5 months for those with
advanced disease which is comparable to some
pre-HAART studies [8,9,26,27]. Therefore, as with
MRM
227
Multidisciplinary Respiratory Medicine 2009; 4(3): 225-228
MRM 03-2009_def:Layout 1 24/06/09 11:27 Pagina 228
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MRM 03-2009_def:Layout 1 24/06/09 11:27 Pagina 229
RUBRICA
Interdisciplinary pages EDITED BY / A CURA DI MARIO POLVERINO
Questa rubrica si propone come spazio interdisciplinare con lo scopo di raccogliere notizie, informazioni, opinioni, contributi metodologici e casi clinici tratti dalle varie discipline che interagiscono con la
Medicina Respiratoria.
email: [email protected]
Spotlight on Respiratory Endoscopy
Completion of ERS/AIMAR Joint Fellowship:
a short report
Breve resoconto di un’esperienza di ERS/AIMAR
Joint Fellowship
Michela Bezzi
Endoscopia Respiratoria, Spedali Civili di Brescia, Brescia, Italy
e-mail: [email protected]
I am a pulmonologist and I work as a pulmonary
endoscopist in a University Hospital in Brescia
(Italy) where I was trained by Dr. Sergio Cavaliere.
He has been conducting respiratory endoscopy research for about 25 years dealing mainly with airway stents and laser surgery.
I felt nonetheless the urge to experience something
new, possibly in a different country. During the ERS
meeting in Stockholm in 2007 I met Prof. Marc
Noppen in a session focusing on new techniques in
pulmonary endoscopy. He spoke about the endoscopic treatment of emphysema and giant bullae
using the Emphasys valves.
Thereafter we kept in contact and shared opinions
about a few patients who could benefit from that
particular kind of device. Finally I asked Prof.
Noppen if I could spend a few months at his
Institution in Brussels. I applied for an ERS/AIMAR
Joint Fellowship grant, and was accepted. I left for
Brussels (my host institution was the Endoscopy
Unit at the UZ Brussel) on April 1st 2008 and returned to Italy after completion of the full term of
the fellowship in July 2008.
I used to attend my host department every day. The
Endoscopy Unit at the UZ Brussel in Brussels is
equipped with outstanding and unique technology
that was immediately made available to me. I assisted in the VENT trial (Endoscopic treatment of emphysema) on course in that period in the Unit. Even
if the principal objective of my fellowship was to be
trained in the bronchoscopic treatment of emphysema, I also learnt a lot about thoracoscopy, attending
the operating room twice weekly and taking part in
the medical team meetings. During my fellowship I
was also introduced to Prof. V. Ninane (St Pierre
Hospital) who initiated me in the technique of
echoendoscopy (EBUS) and twice a week, in the afternoon, I used to assist him during his echoendoscopy sessions.
Prof. Noppen and his colleagues took part in the
VENT trial; thanks to Prof. Ninane I also had the
possibility to be introduced to a different kind of device aimed at the endoscopic treatment of pulmonary emphysema: the Spiration IBV. Once back
in Italy I became principal investigator for the
Italian site of investigation in the SPIRATION multicenter international trial. I am learning a lot about
clinical trials and research through my work in this
trial.
The ERS/AIMAR Joint Fellowship gave me the opportunity to be actively engaged in clinical research
in pulmonary medicine and clinical pulmonary
practice. I am the first author of a paper on the endoscopic treatment of giant bullae using the
Emphasys valves, which has now been submitted
for publication. Thanks to the fellowship, I have
been well trained in a lot of different “new” techniques: Emphasys and Spiration valves, EBUS and
also thoracoscopy which were almost new to me.
I would like to thank prof. Marc Noppen and his
team, as well as prof. Vincent Ninane for providing
me with such a wonderful clinical and research environment. I would also like to thank the ERS and
AIMAR associations: my ERS/AIMAR Fellowship
has undoubtedly strengthened my passion for clinical research and allowed me to improve my clinical
practice.
MRM
229
RUBRICA
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AIMAR Newsletter / Notiziario AIMAR
EDITED BY /A CURA DI STEFANO NARDINI
email: [email protected]
Associazione Scientifica Interdisciplinare
per lo Studio delle Malattie Respiratorie
Dopo il Congresso di Napoli (vedi Notiziario
AIMAR del numero scorso di MRM) l’Associazione
non è stata con le mani in mano.
Il primo atto è stato la convocazione della prima
riunione del nuovo direttivo, eletto al congresso
AIMAR di Napoli. La riunione si è svolta il 1 aprile
2009, all’Hotel Regina Palace di Stresa.
Durante i lavori si è proceduto alle elezioni del
nuovo esecutivo: sono risultati eletti CF. Donner,
Presidente, F. De Benedetto e CM. Sanguinetti Vicepresidenti e S. Nardini Segretario-tesoriere.
Si è quindi passati all’esame e all’approvazione della proposta di regolamento organizzativo redatto da
F. De Benedetto e si è giunti alla designazione delle rimanenti posizioni societarie. Sono stati nominati coordinatori, rispettivamente: delle Assemblee
scientifiche il prof. Lucio Casali, delle sezioni regionali il dr. Mario Polverino, dell’ECM il prof. Giorgio
W. Canonica; Direttore scientifico è stato nominato
il prof. Luigi Allegra e si è convenuto che egli dovrà
riformulare la lista dei Professionisti che fanno parte del comitato scientifico, al fine di garantire la
massima operatività del comitato stesso.
Dopo una relazione del presidente sulla conferenza di Napoli e una discussione sugli eventi scientifici successivi, De Benedetto ha relazionato i presenti sui contenuti di una riunione, cui ha partecipato, sulla riforma dell’ECM, oramai in dirittura di
arrivo.
Il secondo atto è stato bandire una gara per l’assegnazione dell’esclusiva per l’organizzazione degli
eventi nazionali AIMAR, in programma per il 2010
(la Seconda Consensus Conference e la rete dei
convegni regionali).
Alla gara hanno partecipato nove agenzie di servizi, che si sono ridotte a cinque dopo un primo processo di scrematura.
A queste cinque agenzie è stato chiesto di rispondere
ad alcuni quesiti nati dall’esame delle rispettive proposte, e, dopo di ciò, è stata convocata una riunione
230 MRM
con ciascuna di loro, che ha avuto luogo nei primi
giorni di giugno.
La scelta della gara per affidare l’organizzazione
degli eventi a una agenzia esterna si è resa necessaria perché le due iniziative citate (Consensus
Conference e Congressi regionali/interregionali) sono di elevato profilo e ad esse è prevista un'ampia
e articolata partecipazione di Colleghi, afferenti a
diverse specialità: l’entità del budget e la complessità dell’organizzazione hanno costituito l’elemento che l’esecutivo AIMAR ha preso in considerazione, ma – ovviamente - AIMAR continuerà, con il
suo ufficio di Borgomanero, a organizzare corsi,
convegni ed eventi di medie e piccole dimensioni,
in particolare i seminari di esperti che sono diventati oramai una costante dell’attività di formazione
e aggiornamento portata avanti da AIMAR.
Un esempio di quest’ultimo tipo di evento ECM è
per l’appunto il convegno, parte del progetto
AIMAR TOP SEMINARS, che si è tenuto a Stresa
dall’1 al 4 aprile su: “Infiammazione ed infezione
delle alte e basse vie respiratorie” organizzato di
concerto con la Società Italiana di Otorinolaringoiatria (SIO). Il successo del seminario, superiore a ogni aspettativa, ha ancora una volta sottolineato la bontà della scelta dell’interazione interdisciplinare alla base di tutte le azioni di AIMAR. I
punti a favore di questi seminari sono diversi: contenuto numero di partecipanti, relatori e "discussant" di profilo internazionale, scelti sulla base della consultazione dei principali database medici, argomenti non consueti affrontati con approccio interdisciplinare, ampio spazio destinato alla discussione interattiva. Non ultimo: l’impegno alla pubblicazione degli atti, comprendenti sia relazioni
che discussioni.
La formula, assolutamente innovativa, piace e ci
sembra destinata a continuare. Nel frattempo, l’idea
dell’approccio multidisciplinare fa proseliti e al
congresso nazionale della SIO, tenutosi a Rimini
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dal 13 al 16 maggio, è stata organizzata una tavola
rotonda tra AIMAR e SIO sulla gestione delle patologie rino-bronchiali, che ha visto la nutrita partecipazione dei Colleghi ORL.
Il propagarsi dell’influenza “messicana” ha impedito all’Esecutivo AIMAR di partecipare al Congresso
ATS, in programma a San Diego e quindi di presentare gli abstract che erano stati inviati e accettati da
parte della nostra società. Si trattava dei report sullo studio ICE, sui progetti SOS-Respiro, Foxter,
Primavera AIMAR, e, non ultimo, ICEPERG. A proposito di quest’ultimo, si è svolto a Milano, sempre
nella sede dell’Istituto Nazionale dei Tumori, il secondo seminario del progetto, comprendente sia
Colleghi già intervenuti al primo seminario, sia
Colleghi che iniziavano l’apprendimento delle raccomandazioni ERS per la disassuefazione dal fumo
nei malati pneumopatici.
Che l’argomento sia assolutamente importante è testimoniato anche dal fatto che alla fine dello scorso
maggio l’Osservatorio Fumo, Alcol e Droga
dell’Istituto Superiore di Sanità ha diffuso i dati dell’abitudine al fumo nell’ultimo anno, rilevando che,
dopo un periodo di progressivo seppure lento calo
della prevalenza di fumatori, nel nostro Paese si è
registrato un aumento.
Questo dato non può non sottolineare il ruolo fondamentale degli specialisti in medicina respiratoria
sia nella prevenzione che nella terapia del fumo e
la necessità di continuare sulla strada intrapresa dal
progetto ICEPERG.
Non si può terminare questo notiziario senza un accenno alla partecipazione di AIMAR alla oramai
prossima (al momento in cui scriviamo) assemblea
mondiale della GARD, che quest’anno, anche per
merito della nostra Associazione, si terrà a Roma il
12 e il 13 giugno 2009.
Come è noto AIMAR ha partecipato a tutte le
Assemblee mondiali fin dal varo di GARD, avvenuto nel 2006, presentando nel 2007 e nel 2008 relazioni sulle attività portate avanti in Italia.
La nostra partecipazione all’assemblea di Roma
sarà ancora più convinta che alle precedenti dato
che si tratta di un’occasione speciale: contemporaneamente verrà anche varata la GARD italiana (denominata dal Ministero GARD-I). Non si può sottovalutare questo impegno del Ministero - del resto
già comunicato nella sessione dedicata alla GARD
del congresso AIMAR di Napoli - che consentirà di
portare all’attenzione della popolazione italiana il
problema delle malattie respiratorie attraverso un’idonea campagna di comunicazione.
Un impegno a dedicare risorse alla medicina respiratoria che peraltro ne chiama un altro, a dedicare
impegno all’unità di intenti da parte di tutte le società e associazioni che fanno parte della galassia
pneumologica. Il fatto che moltissime abbiano già
aderito alla GARD italiana è un segnale che fa ben
sperare e che va nella direzione che AIMAR ha
sempre auspicato.
MRM
231
RUBRICA
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CFC Pages / Angolo del CFC
Prosegue su Multidisciplinary Respiratory Medicine, a fronte della collaborazione tra AIMAR e Collegio
Federativo Cardiologia (CFC), la pubblicazione di review, opinioni, informazioni e notizie pertinenti al
Collegio e di comune interesse per la Medicina Respiratoria
email: [email protected]
Primary coronary artery disease prevention in the
era of plaque imaging
La prevenzione primaria della malattia coronarica nell’era
dell’imaging della placca
Cesare Rusconi
Former Chief of Cardiology/Cardiac Rehabilitation Unit and Director Department of Medical Sciences, S. Orsola
Hospital, Brescia; President of the International Research Center Gino Giribardi Gymnasium Science and Prevention
of Cardiovascular Aging, Brescia, Italy; President of the European Society for Non Invasive and Preventive Cardiology
e-mail: [email protected]
ABSTRACT
It has been demonstrated that atherosclerosis is present from
the early decades of life and responsible for major cardiovascular events and the associated high morbidity/mortality.
However, conventional risk factor assessment predicts only 6065% of future events. As atherosclerosis is a diffuse disease it
follows that its presence in one vascular territory predicts its
presence in other segments of the arterial tree. In recent years
ultrasound imaging of the carotid/femoral arteries has become
a distinct noninvasive opportunity for identifying subjects at
highest risk. By means of this approach a more effective primary prevention of cardiovascular events is possible.
Keywords: Atherosclerosis, cardiovascular risk, coronary calcium
score, imaging, plaques.
RIASSUNTO
È stato dimostrato che l’aterosclerosi è presente sin dai primi
decenni di vita e responsabile dei maggiori eventi cardiovascolari e dei relativi alti tassi di comorbidità/mortalità. Tuttavia, la
valutazione del fattore di rischio convenzionale è in grado di
prevedere solo il 60-65% degli eventi futuri. Poiché l’aterosclerosi è una malattia diffusa essa ne consegue che la sua presenza in un territorio vascolare predice la sua comparsa in altri segmenti del sistema arterioso. Recentemente la tomografia a ultrasuoni delle arterie carotidi/femorali è diventata una nuova
opportunità non invasiva per identificare soggetti a rischio.
Grazie a questo approccio è possibile una prevenzione primaria
più efficace degli eventi cardiovascolari.
Parole chiave: Aterosclerosi, coronary calcium score, imaging,
placche, rischio cardiovascolare.
Atherosclerosis begins early in life and then remains
clinically silent for decades. Autopsy and angiographic studies in western countries show that at an
232 MRM
age of less than 50 years this process, usually in the
absence of flow limiting lesions, is a common finding in the general population and that a diffuse atherosclerotic process is present since the early
decades of life [1,2]. This process is in the end responsible for major and premature morbidity and
mortality.
During the past decades many efforts have been
made to improve our ability to identify patients who
may benefit from preventive strategies based on risk
factor assessment and control. As a consequence, in
the last three decades in most western countries
there has been a gradual decrease in the number of
people developing coronary artery disease (CAD)
and in mortality rates from cardiovascular disease
[3,4]. This reduction has mainly been achieved
through nationwide atherosclerotic risk factor control programs. Nevertheless cardiovascular diseases
still remain the major cause of premature death
both in USA and in Europe, and the prevention of
CAD events in the large population of asymptomatic individuals (primary prevention) needs to be
further improved and implemented.
In fact, despite the above reported success it has become progressively clear that conventional risk factor assessment predicts only 60-65% of future
events and that approximately one third of vascular
events cannot be attributed to conventional risk factors [5]. Currently, a number of non-invasive approaches are available for plaque imaging and they
include B-mode ultrasonography of carotid (and
femoral) arteries, computed tomography (CT) for
coronary calcium score (CCS), CT coronarography,
and magnetic resonance imaging. A number of
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high-quality studies have demonstrated that these
tests can predict the risk [6].
Developments in non invasive diagnostic procedures enabling direct visualization of the arterial lesions have recently put forward the logical idea
that, compared with risk factor assessment, atherosclerotic plaque imaging could allow more specific
and effective preventive measures against future
plaque-related events. Among these techniques,
carotid intimal media thickness (IMT) and plaque
imaging by B-mode ultrasound scanning, first introduced in the mid eighties by Tremoli’s group [7]
from Milan, have become largely available in the
last fifteen years. Moreover, the finding that in the
course of time the atherosclerotic plaques mineralize (by calcium deposition) has prompted the use of
multislice computed tomography (MSCT) measurement of CCS as a quantitative index of the amount
of preclinical CAD in the individual subject. Both
these techniques have demonstrated a graded and
strong predictive power for future coronary events.
Thus, identification of subclinical stages of the disease has recently become a distinct opportunity for
early interventions, and the concept that atherosclerosis must be viewed as a preventable disease
which should be approached not only in terms of
risk-factor control but also in terms of early disease
detection, plaque stabilization and even plaque regression, has rapidly gained acceptance. These developments have prompted the paradigm shift in
primary prevention strategy from risk factor assessment to direct plaque imaging and from vulnerable
plaque to vulnerable patient [8].
According to these findings, it has become clear
that many young adults, even though classified at a
low short-term risk by traditional risk factor assessment, have a much higher lifetime risk if preclinical
atherosclerosis is demonstrated by carotid or
femoral arteries ultrasound scanning or by CCS with
MSCT. As a consequence, an aggressive treatment
for risk factor control with use of statins targeted to
atherosclerosis stabilisation and regression has become a real opportunity to prolong the life and well
being of these subjects.
On the other hand, these improved diagnostic abilities have been paralleled by results in many trials
indicating that risk factor control combined with
statin treatment can reduce disease progression and
even induce atherosclerosis regression in patients
with established coronary artery disease.
Both observational and intervention studies indicate the appropriateness of using carotid atherosclerosis as a surrogate marker for CAD and its application in studies is based on the assumption that
carotid plaques and changes in carotid IMT are related to the presence of coronary atherosclerosis
and the incidence of CAD events, respectively.
Accordingly, carotid plaque imaging by ultrasound
has become an integral component of CAD events
risk prediction and occupies a unique position in
atherosclerosis research. Recently, in the St. Francis
Heart Study [9], CCS was performed in 4,903
healthy individuals who were followed up for an
average of 4.3 years. The CCS predicted CAD events
independently of standard risk factors and was superior to the Framingham risk score in the prediction of CAD events. Compared with individuals
with a CCS score less than 100, individuals with a
CAC score of 100 or higher had a 9.2- to 11.1-fold
increased risk of all cardiovascular events and CAD
events. Randomised trials using carotid ultrasonography have demonstrated that intensive lipid-lowering therapy can induce atherosclerosis regression
or reduce its progression even in low-risk individuals. This occurred also in patients with known CAD
despite normal/below average cholesterol levels.
Accordingly, noninvasive atherosclerosis imaging
has evolved into a central method in clinical cardiology. Expert recommendations have endorsed the
use of these imaging modalities in the primary prevention setting, allowing a step-up progression towards an individualised CAD prevention program
through more effective use of drugs.
Finally, for the assessment of preclinical atherosclerosis in the primary prevention setting an abbreviated protocol of carotid (and femoral) arteries scanning has been suggested [10]. I strongly support this
approach (Figure 1). The assessment of CCS adds
FIGURE 1: PROPOSED ALGORITHM FOR CARDIOVASCULAR RISK ASSESSMENT USING AN ABBREVIATED CAROTID (AND
FEMORAL) ULTRASOUND CLINICAL SCREENING FOR PRECLINICAL ATHEROSCLEROSIS IN SUBJECTS AT LOW-INTERMEDIATE
RISK BY TRADITIONAL RISK FACTORS
Carotid scanning
Plaque absent
Normal
Optimize RFC
Increased
Optimize RFC and consider to start
treatment
IMT
Low-Intermediate Risk Subjects
(by traditional risk factors)
Carotid scanning
Plaque present
Optimize RFC and start treatment
(statins)
Definition of abbreviations: IMT, intimal medial thickness; RFC, risk factor control.
From [10] mod.
MRM
233
MRM 03-2009_def:Layout 1 24/06/09 11:27 Pagina 234
specific information about the plaque burden at
coronary level.
However, due to the radiation risk and the need for
repeated examination, I do not suggest the use of
CCS which, differently from carotid ultrasound
scanning, has also the limit of false negative results
due to its inability to identify early non-calcified
plaques.
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8. Naghavi M, Libby P, Falk E, Casscells SW, Litovsky S,
Rumberger J, Badimon JJ, Stefanadis C, Moreno P,
Pasterkamp G, Fayad Z, Stone PH, Waxman S, Raggi P,
Madjid M, Zarrabi A, Burke A, Yuan C, Fitzgerald PJ,
Siscovick DS, de Korte CL, Aikawa M, Juhani Airaksinen KE,
Assmann G, Becker CR, Chesebro JH, Farb A, Galis ZS,
Jackson C, Jang IK, Koenig W, Lodder RA, March K,
Demirovic J, Navab M, Priori SG, Rekhter MD, Bahr R,
Grundy SM, Mehran R, Colombo A, Boerwinkle E,
Ballantyne C, Insull W Jr, Schwartz RS, Vogel R, Serruys PW,
Hansson GK, Faxon DP, Kaul S, Drexler H, Greenland P,
Muller JE, Virmani R, Ridker PM, Zipes DP, Shah PK,
Willerson JT. From vulnerable plaque to vulnerable patient:
a call for new definition and risk assessment strategies: Part
I. Circulation 2003;108:1664-1672.
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RUBRICA
L'Angolo della Cultura (non solo Medicina...)
A CURA DELLA REDAZIONE
La redazione intende lasciare questo spazio a disposizione per la presentazione di contributi culturali, anche non strettamente inerenti l'area medica. Gli interessati possono pertanto sottoporre alla redazione
qualunque contributo (articolo, poesia, ecc.) che possa essere di interesse per i lettori e/o stimolare una riflessione ed un eventuale dibattito culturale.
email: [email protected]
Triplice follia
Triple folly
Francesco Iodice
Già Direttore U.O. s.c. di Fisiopatologia Respiratoria, Ospedale A. Cardarelli, Napoli
e-mail: [email protected]
Lasciami andare a vedere il sogno,
non fermarmi con uno sguardo triste,
questa notte lasciami vivere laggiù,
solo questa notte, poi tornerò.
Alessandro Baricco, T-shirt “Scrivere”, 2007
La professione di “dottore” raggiunse la punta numerica più alta negli anni ‘60 e ‘70: tutti (pure chi
scrive) scelsero come facoltà universitaria quella di
medicina (un collega confessò di aver esaminato
una candidata che aveva trovato accesso alla facoltà con l’inverosimile diploma di ‘figurista commerciale’; e così ora abbiamo un poco invidiabile
primato mondiale: 607 medici ogni 100.000 abitanti); il dottore diventò il sogno matrimoniale di
ogni ragazza (un ricco proprietario terriero riuscì a
far impalmare le sue cinque figliole da altrettanti
medici; un portiere licenziò in malo modo il suo
medico curante, appena le sue tre daughters si laurearono in medicina).
A distanza di 40 anni le conseguenze di questo afflusso scriteriato alla facoltà di medicina (furono gli
anni del “grande parcheggio” nelle università) ci
appaiono in tutta la loro drammatica evidenza: oggi i medici in circolazione sono tanti – il numero
chiuso produrrà i suoi effetti solo tra alcuni anni –
che ad ognuno dovrebbero toccare come clienti i
suoi parenti o condomini, sempre che nel fabbricato non ci siano le tre dottoresse del portiere! Dal
punto di vista economico, nella maggior parte dei
casi – escludendo alcuni luminari con superonorari – solo uno stipendio ospedaliero o dell’ASL può
consentire di arrivare dignitosamente alla fine del
mese. Se consideriamo poi l’aspetto psicologico
della professione, sentiamo sempre più parlare di
“infelicità”, “frustrazione”, “demotivazione”.
Certamente non tutti sono completamente infelici
(e non lo sono sempre), ma quando i medici si riuniscono, la loro conversazione verte prima o poi sui
disagi della professione medica e sulla voglia di
pensionamento anticipato.
In realtà le cause di insoddisfazione sono molteplici. Stipendio e carico di lavoro, questi i primi imputati chiamati in causa; turni ospedalieri – talvolta
massacranti, specie nei reparti di terapia intensiva e
di rianimazione – sono spesso al di sopra delle normali possibilità umane. Ma da soli non sono sufficienti a spiegare l’insoddisfazione, tanto è vero che
sono comuni anche a sistemi sanitari a miglior retribuzione e che garantiscono più tempo al rapporto medico-paziente.
La vera ragione è stata la tragica decisione di portare la medicina sotto il controllo gestionale ed economico di governi ed imprenditori, cioè di non-medici. Quando nel 1970 un magistrato divenne presidente del più grande ospedale del Mezzogiorno,
il saggio e intuitivo primario sussurrò nell’orecchio
di un suo collaboratore: “Oggi i medici hanno perduto, e per sempre; in futuro, saremo sempre più
subordinati. Non sarà più un primario a nominare
altri primari, ma un fantoccio asservito a questo o a
quel partito politico”. Ipse dixit: parole profetiche.
La perdita di autonomia della professione medica
cominciò subito a manifestarsi e si aggravò sempre
di più fino al punto che oggi qualche direttore generale nega qualsiasi appuntamento al personale
medico, asserendo che lui riceve solo ‘categorie’ –
per lo più, boriose e aggressive sigle sindacali – e
non ‘persone singole’ - anche quando queste rappresentano le esigenze di un intero reparto -. E così, aumentano le linee guida, i controlli, le ispezioni e molti vivono questo fatto come una perdita di
stima e considerazione verso la propria vita professionale. Non mancano peraltro i benefici di questa
situazione perché alcuni medici – i cosiddetti
“aziendalisti” – sono molto soddisfatti ed il loro
rapporto con i dirigenti maximi è decisamente migliorato, con conseguente aumento dell’efficienza
della produttività.
Ma la condizione generale dei medici – ed è queMRM
235
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Un medico raccoglie l’anamnesi di un paziente nel suo studio.
sto l’aspetto che in questa Sarabanda vogliamo considerare – si è notevolmente aggravata perché il rapporto con il paziente (ed i suoi familiari) è peggiorato, anche per colpa dei media che hanno fomentato un clima decisamente ostile, a seguito di casi
di malasanità. Il punto principale è la crescente insostenibilità di una relazione fra soggetti (medico,
paziente, familiare) che potremmo definire una follia a tre.
Il primo folle è il malato che, quando si rivolge al
medico, crede di essere andato da Dio, per cui ha
una irrealistica aspettativa sull’efficacia degli interventi; la seconda follia è quella del medico che ha
paura – pena la perdita di potere e credibilità verso
il malato – di ammettere che una parte importante
di queste aspettative andrà delusa; il terzetto viene
completato dai familiari che interferiscono, talvolta
in modo pesante e disastroso, nel già precario rapporto medico-paziente con le loro ansie, le loro
paure e la loro aggressività (specie quando sono loro a pagare l’onorario). Come esempio, si può citare il caso di quel medico che, al capezzale di una
malata, nel tentativo di familiarizzare e di stabilire
comunque un approccio con lei, cominciò a raccontare che l’aveva conosciuta molti anni prima ad
una riunione familiare (i famosi e mai tanto deprecati “balletti” di una volta!) e che bruscamente fu
interrotto da un figlio nevrotico e angosciato con
queste parole: “ Invece di perdere tempo in chiacchiere, fate quello che dovete fare e visitate mamma!”; e, continuando con gli esempi, il medico
ospedaliero prova ancora spavento quando pensa a
quella terribile notte in cui, chiamato nel reparto X
per un malato con emoftoe, trovò tre mammasantissimi dei mazzoni del basso Volturno (quelli della
mozzarella di bufala doc e della onorata società)
intorno al letto e fu così apostrofato: “Se papà muore, ti uccidiamo!”).
Pertanto, da una parte c’è il medico che si rende
conto dei limiti della medicina, della sua potenziale pericolosità, della difficoltà di accedere ad una
informazione credibile, ma per lo più non lo dice.
Dall’altra il malato (ed i suoi familiari) che identifi236 MRM
ca – anche perché a ciò lo porta il continuo bombardamento dei media, qualche volta strumentalizzati – nella scienza medica (e quindi nel medicopersona) la soluzione di tutti i problemi della sua
salute e ritiene che il medico sappia tutto quello
che c’è da sapere e sia aggiornato su utilità e controindicazioni di test diagnostici e trattamenti.
Ma quali sono oggi le possibili soluzioni di queste
gravi problematiche?
Innanzitutto, la medicina promette sempre nuovi rimedi e fa intravedere la possibilità di progressi illimitati; il mercato della salute d’altra parte ha bisogno di creare nuove malattie per assicurarsi margini di profittabilità. In questo scenario il medico non
sempre è in grado di essere il broker delle conoscenze e delle informazioni per conto del paziente,
anche perché non ha la necessaria indipendenza
culturale in quanto, di fatto, è escluso dal processo
di produzione della conoscenza e dal campo della
ricerca di alcuni farmaci. Inoltre, il medico oggi vive alcuni conflitti di interesse tra cui uno da rimozione – che porta, come abbiamo già detto, a negare l’incertezza, massimizzando i benefici degli interventi e sottovalutandone i rischi – e un altro da
corporazione – che lo spinge al rifiuto di accettare
la pratica della multi-disciplinarietà e della multiprofessionalità. Infine, c’è il problema dell’appropriatezza (clinica, organizzativa, economica, etc.)
che deve obbligare il medico a riconoscere i diversi ‘punti di vista’ e confrontarsi cioè con quelli dei
colleghi, del paziente e dei responsabili dell’amministrazione della sanità.
Alcuni possibili e parziali rimedi potrebbero consistere sul piano culturale nel recupero della consapevolezza dei limiti della medicina: questo dovrebbe divenire centrale per l’Università che forma gli
operatori sanitari; la formazione di questi ultimi dovrebbe cambiare rotta: la creazione di corsi, master,
etc., posti rigorosamente a lato dell’insegnamento
ufficiale e destinati a far restare l’attività universitaria un business, non deve essere spacciata per un
Una delle tante vignette che contribuisce al clima ostile al medico:
è spiritosa, perfino divertente, ma acida e sarcastica.
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nuovo modo di fare informazione. Al centro dovrebbe andare la valutazione critica delle informazioni, ma soprattutto, la consapevolezza della loro
parzialità. Sul piano strutturale bisognerebbe adoperarsi per agire su formazione, ricerca e comunicazione tra mondo scientifico e rappresentanze dei
cittadini/pazienti.
Accanto alla ricerca, cosiddetta commerciale, andrebbe sviluppata la ricerca indipendente o no-profit, le cui priorità cioè vengono definite in ambiti interdisciplinari e multiprofessionali, a partire dai
quesiti di reale interesse.
In conclusione, “sapere, sapere essere, saper fare”
sembrano essere i tre dogmi che sintetizzano le
qualità che dovrebbe avere un medico del ventunesimo secolo, evitando di reinventarsi superspecialista con il rischio reale di considerare il paziente so-
lo come patologia e non come persona, accettando
il confronto intra- e interspecialistico, sforzandosi
di migliorare i rapporti interpersonali con tutti i colleghi e, principalmente, mettendo da parte le beghe
interne che, specie in epoca di dirigenza medica
(tutti ‘uguali’, tutti “purtualli” = fine dell’équipe medica!) fanno pensare a vicende che nulla hanno a
che spartire con la vita del malato e delle sue necessità. La triplice follia potrebbe così lasciare il posto ad un confronto sereno tra il medico ed il paziente (più i suoi familiari); ne guadagnerebbero
tutti: il medico, che sarebbe molto meno infelice e
la cui autostima aumenterebbe; il paziente, che sarebbe curato meglio; i familiari, che vedrebbero
svanire – quando possibile – le loro angosce.
E soprattutto, i malati si affiderebbero di meno a
maghi, guaritori e medicine alternative.
MRM
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RUBRICA
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Meeting Calendar
Questa rubrica informa i lettori dei prossimi eventi congressuali, nazionali ed internazionali, nell’ambito
della Medicina Respiratoria; fornisce un recapito a cui rivolgersi per ottenere ulteriori informazioni.
email: [email protected]
WHEN
WHERE
WHAT
WHO TO CONTACT
June 5-6
Rome
(Italy)
June 6
Pollenzo, CN
(Italy)
Warsaw
(Poland)
Aspen, CO
(USA)
Napoli
(Italy)
Rome
(Italy)
Bari
(Italy)
Corso di aggiornamento: “Approccio
multidisciplinare a BPCO e Polmoniti.
L’internista, lo specialista e il paziente”
Convegno: Riabilitazione nelle Malattie
Cardio-Polmonari Croniche
XXVIII Congress of the European Academy
of Allergology and Clinical Immunology
Thomas L. Petty Aspen Lung Conference
2009
June 6-10
June 10-13
June 11-12
June 13-14
June 18-20
June 25-27
Perugia
(Italy)
June 26
Telese Terme, BN
(Italy)
Mannheim
(Germany)
June 27-30
July 31-August 4
August 9-13
September 11-12
September 12-16
September 18-20
September 20
238 MRM
X Corso nazionale di Biologia Cellulare
e Molecolare in Pneumologia – BIOCERFirst World Conference of COPD Patients
Congresso: “Errore in Medicina. Appropriatezza
diagnostica e terapeutica. Programma Strategico
BPCO”
Convegno Nazionale: “La Medicina dello Sport
e la Società: lo sport non solo per i campioni”
Seminario: "Aggiornamenti sull'ossigenoterapia
a lungo termine"
1st Meeting of the European Academy
of Oto-Rhino-Laryngology, Head and
Neck Surgery (EAORL-HNS)
San Francisco, CA 13th World Conference on Lung Cancer
(USA)
Bonn
2nd International Congress of Respiratory
(Germany)
Science (ICRS)
Rome
Congresso: “…ancora Attualità e Controversie
(Italy)
in Orl”
Vienna
European Respiratory Society
(Austria)
Annual Congress 2009
Issyk-Kul
Central Asian International Conference Respiratory
(Kyrgyz Republic) Support and Rehabilitation of Lung Disease
Ravenna
Convegno: “Rinite ed Asma”
(Italy)
September 30October 3
Trieste
(Italy)
October 2-3
Capoliveri
Isola d’Elba, LI,
(Italy)
I Congresso Nazionale della Federazione
delle Società Italiane di Immunologia,
Allergologia ed Immunologia Clinica (IFIACI)
II Raduno di Otorinolaringoiatria Subacquea
= evento AIMAR
Full Day, Roma
[email protected]
www.fullday.com
Granda Esprit Convegni, Cuneo
[email protected]
[email protected]
www.congrex.com/eaaci2009
[email protected]
www.aspenlungconference.org
Aim, Firenze
www.aimgroup.it
[email protected]
www.internationalcopd.org
Intermeeting, Bari
tel. +39 080 5482005
[email protected]
Euromeeting, Perugia
[email protected]
www.euromeetingeventi.it
[email protected]
[email protected]
www.eaorl-hns.org
[email protected]
www.2009worldlungcancer.org
[email protected]
www.respiratory-science.org
Nord Est Congressi, Udine
[email protected]
ERS, Lausanne (Switzerland)
www.ersnet.org
[email protected]
www.thorax.ed.kg
Mael Impruneta, Firenze
+39 055 2373684
[email protected]
Aim, Firenze
www.aimgroup.eu/2009/ifiaci
[email protected]
= evento patrocinato da AIMAR
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WHEN
WHERE
WHAT
WHO TO CONTACT
October 6-8
Baltimore, MD
(USA)
Johns Hopkins Medical Asthma
and Allergy Center – Critical Care and ILD
Lecture Series
[email protected]
www.aimarnet.it
October 8-10
Roma
(Italy)
7° Congresso Nazionale Collegio Federativo
Cardiologia - ICCP
Nadirex International Srl, Pavia
[email protected]
www.nadirex.com
October 12-15
Tehran
(Iran)
The 4th International Congress on Pulmonary
Disease, Intensive Care and Tuberculosis
[email protected]
congress.nritld.ac.ir
October 15-17
Alexandropoulis
(Greece)
Course: “Medical Thorascopy”
[email protected]
www.ersnet.org
October 23-24
Rome
(Italy)
4th GRACE Workshop
[email protected]
www.ersnet.org
November 12-14
Venice
(Italy)
EAACI 2009 Pediatric Allergy & Asthma
November 14-18
Seoul
(Korea)
14th Congress of the APSR and 3rd Joint Congress
of the APSR/ACCP
[email protected]
www.apsr2009.org/
November 25-27
London
(UK)
New Drugs and Targets for Asthma and COPD
[email protected]
Milano
(Italy)
X Congresso UIP – XL Congresso Nazionale AIPO
Certezze Scientifiche e Criticità Organizzative
in Pneumologia
iDea Congress, Roma
Buenos Aires
(Argentina)
XXI World Allergy Congress
Ana Juan Congress, Buenos Aires
www.anajuan.com
December 2-5
December 6-10
[email protected]
www.eaacipediatrics-venice20
www1.imperial.ac.uk/medicine
[email protected] www.ideacpa.com
2010
May 14-19
= evento AIMAR
New Orleans, AL
(USA)
ATS 2010 International Conference
[email protected].
= evento patrocinato da AIMAR
MRM
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Cara/o Collega,
il Consiglio Direttivo di AIMAR mi ha incaricato qualche tempo fa di curare l'organizzazione di un sistema assembleare interno
all'Associazione, analogamente a quanto già presente in altre Società Scientifiche nazionali ed internazionali (ad esempio
European Respiratory Society).
Nell’accingermi al lavoro ho rilevato che circa il 40% degli iscritti non ha dichiarato la propria attività corrente e questo elemento
è imprescindibile da un tentativo di costituire Assemblee con caratteristiche dottrinali e pratiche soddisfacenti.
Poiché la nostra Associazione è largamente multidisciplinare appare fondamentale inquadrare al meglio il “corpus” societario prima di formulare delle proposte che dovrebbero per quanto possibile venire incontro alle attese.
Chiederei pertanto a tutti i soci di rispondere a questo breve e semplice questionario al fine di impostare i passi successivi
prima di sottoporli al vaglio del Consiglio Direttivo.
Un cordiale saluto
Lucio Casali
Coordinatore delle Aree Scientifiche e di Ricerca
Da restituire alla segreteria AIMAR Fax +39 0322 869737
QUESTIONARIO INFORMATIVO
Cognome e Nome: ______________________________________________________________________________________________________________
Età:____________________________________________________________________________________________________Sesso: ___________________
via:_______________________________________n: __________cap: ____________città: _________________prov:_______________________
e-mail: ________________________________________________ telefono ___________________________________________________________
Anno di laurea: __________________________________________________________________________________________________________________
Titolo e anno delle specializzazioni conseguite (possibilmente in ordine cronologico):
1) ________________________________________________________________________________________________________________________________
2) ________________________________________________________________________________________________________________________________
3) ________________________________________________________________________________________________________________________________
4) ________________________________________________________________________________________________________________________________
5) ________________________________________________________________________________________________________________________________
Quale di queste specialità viene esercitata quotidianamente?
________________________________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________________________
In quale delle seguenti categorie collochi la tua attività?
o
o
o
o
o
o
o
Università
Ospedale
Territorio
Medico di Medicina Generale
Specialista convenzionato
Sanità Pubblica
Altro (specificare): _____________________________________________________________________________________________________________
N.B. è possibile indicare più di una categoria (ad es. Università + Ospedale)
Oltre alla tua attività corrente svolgi anche ricerca?
o
o
o
o
SI
NO
Saltuariamente
In caso affermativo, in quale campo?
________________________________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________________________
Come vorresti sviluppare in futuro la vita di un’Associazione come AIMAR?
________________________________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________________________________________________________
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