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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI MARSALA
SEZIONE CIVILE
in persona del dr. Pier Luigi Tomaiuoli, in funzione di Giudice
unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado, iscritta al n. 1683 R.G. degli Affari
Civili Contenziosi dell'anno 2000 e vertente
TRA
M. M., M. M., elett.te dom.ti in Marsala, Via Lungomare Boeo n. 24,
presso lo studio dell’Avv. Lorenzo Carini, rappresentante e
difensore come da procura a margine dell’atto di citazione;
- attori E
M. G., elett.te domiciliata in Marsala, via G. Amendola “pal.
Impero”,
presso
lo
studio
dell’Avv.
Sergio
Sanfilippo,
rappresentante e difensore unitamente all’Avv. Giovanni Gaudino,
come da procura in calce alla copia notificata dell’atto di citazione;
-
convenuta –
OGGETTO: Divisione ereditaria giudiziale.
CONCLUSIONI come da rispettivi atti introduttivi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 4.12.2000 M. M. e M. M.
convenivano in giudizio la sorella M. G., chiedendo al Tribunale
adito di disporre in tre quote uguali la divisione dei cespiti ereditari
rientranti nell’asse della loro madre deceduta L. G., e di condannare
la convenuta alla corresponsione della quota parte dei frutti loro
spettante per il godimento esclusivo dell’immobile a far data dal
2.2.1999; con vittoria di spese.
A sostegno delle proprie domande gli attori allegavano che in data
2.4.1973 era deceduta L. G., lasciando a succederle in via legittima i
tre figli (gli attori e la convenuta), oltre che il coniuge M. G., titolare
dell’usufrutto
uxorio
su
un
terzo
dell’asse
ereditario;
che
quest’ultimo era deceduto il 2.2.1999 e l’usufrutto si era pertanto
consolidato alla nuda proprietà; che l’asse ereditario relitto dalla L.
era composto da 1) immobile sito in Marsala, ad angolo tra la via
G. Amendola e la via Dagotti, n. 6, iscritto in catasto al NCEU,
partita n. 1023633, foglio di mappa 204, parti. 204, sub B; 2) la metà
indivisa di due piccoli vani di secondo piano siti in Marsala, via
Dagotti, distinti in catasto al NCEU, partita 1023634, foglio di
mappa 204 all c, particella 203 sub 7; 3) la metà indivisa di un vano
di terzo piano soprastante i due vani di cui sopra; 4) la metà
indivisa di mq 30 di superficie coperta con terrazza di mq. 21,
sovrastante l’appartamento; che gli eredi, in quanto fratelli
legittimi, erano titolari ciascuno della quota di un terzo; che a far
data dal 2.2.1999, deceduto il padre che abitava l’immobile con la
convenuta, quest’ultima era rimasta nell’esclusivo godimento
dell’immobile ereditario e, pertanto, doveva corrispondere agli altri
eredi una quota parte dei frutti tratti.
Si costituiva M. G., eccependo l’usucapione della quota di due terzi
dell’immobile ereditario, avendo ella goduto di tale quota ideale sin
dal decesso della madre, e dovendosi pertanto procedere alla
divisione del solo terzo rimasto in comunione perché oggetto
dell’usufrutto uxorio in capo al padre; che la richiesta di
corresponsione di £ 200.000 a titolo di quota parte dei frutti ricavati
dal
godimento
esclusivo
dell’immobile
non
teneva
in
considerazione il reale valore locativo dell’immobile e delle quote
spettanti agli attori; tutto quanto sopra premesso, concludeva per la
divisione dell’asse ereditario, con attribuzione a sé della quota di
due terzi dell’immobile.
La causa, istruita con produzione di documenti, audizione di
testimoni ed esperimento di consulenze tecniche d’ufficio, veniva
trattenuta
in
decisione
all’udienza
del
6.12.2006,
previa
assegnazione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda congiunta di divisione dei beni in comunione
ereditaria deve essere rigettata per i motivi di cui appresso.
E’ pacifico tra le parti che oggetto dell’asse ereditario sia il seguente
bene immobile identificato dal c.t.u.: appartamento di secondo e
terzo piano sito ad angolo tra le vie Dagotti ed Amendola, iscritto in
catasto al n.c.e.u. del Comune di Marsala, f.m. 208, particelle 204,
sub 4 e 203 sub 7.
Il detto appartamento, pur sviluppandosi su due piani, costituisce
un unicum abitativo come emerge dalla relazione di c.t.u. e
dall’allegata planimetria (dalla quale si evince che il primo piano è
sostanzialmente adibito a camere da letto e soggiorno, mentre il
secondo, al quale è il primo è collegato da una scala interna,
presenta diversi vani, tra cui cucina e tinello).
E’ oggetto di controversia, per contro, la consistenza delle quote
ideali di ciascun coerede, posto che la convenuta ha eccepito in via
riconvenzionale l’avvenuta usucapione di due terzi dell’immobile
in questione, per averlo abitato da oltre 20 anni e sino al 1999 con la
propria famiglia unitamente al padre, titolare dell’usufrutto sul
restante terzo dell’immobile.
L’eccezione è infondata.
E’ vero che il coerede può, prima della divisione, usucapire la quota
degli altri coeredi, senza che sia necessaria una vera e propria
interversione del titolo del possesso, ma è anche vero che tale
possibilità passa per l’esclusività del godimento dei beni ereditari
(ex multis: Cass. Civ., Sez. II, 25.9.2002, n. 13921; Cass. Civ., Sez. , II,
20.8.2002, n. 12260; Cass. Civ., Sez. II, 7.7.1999, n. 7075), con il
relativo corpus possessionis ed animus rem sibi habendi uti dominus (e
non già uti condominus).
Nel caso di specie, invece, è pacifico che ad abitare l’immobile sino
al 1999 siano stati la convenuta ed altro coerede, il defunto genitore
attributario dell’usufrutto sulla quota ideale di un terzo, con la
conseguenza che il bene ereditario non è stato nell’esclusiva
disponibilità della convenuta, la quale pertanto non può eccepire
l’avvenuta usucapione delle altrui quote.
Dalla relazione di c.t.u. depositata agli atti emerge, però, oltre alla
non comoda divisibilità del bene in tre lotti, che “parte delle
fabbriche di terzo piano sono state costruite sopra un cornicione” e
che per esse “non erano state rilasciate autorizzazioni né
concessioni”.
Dei 104 mq di terzo piano, dunque, ben 54 sono stati costruiti
abusivamente (cucina, tinello, disimpegno e wc).
Viene all’esame di questo giudice, quindi, la questione relativa alla
divisibilità o meno della comunione ereditaria formatasi su un
immobile (parzialmente) abusivo.
La giurisprudenza di merito maggioritaria ritiene che osti a tale
divisibilità il disposto di cui all’art. 17, I comma, legge 1985 n. 47
(oggi abrogato e sostituito dall’analogo art. 46, d.p.r. 2001 n. 380), a
mente del quale “gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma
privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o
scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o
loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo l’entrata in vigore della
presente legge, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi
non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della
concessione ad edificare o della concessione in sanatoria”; ovvero il
disposto di cui all’art. 40 della stessa legge che analogamente
dispone per gli abusi edilizi realizzati prima della sua entrata in
vigore in mancanza di presentazione della concessione in sanatoria,
ovvero della relativa istanza accompagnata dal versamento della
rate di oblazione previste.
La comminazione della sanzione della nullità per gli atti inter vivos
sopra detti risponde alla ratio pubblicistica di impedire il
consolidarsi
di
gravi
violazioni
urbanistiche
mediante
la
circolazione dei beni abusivi, circolazione ritenuta confliggente con
l’interesse superindividuale ad un ordinato assetto del territorio.
La tesi della non divisibilità della comunione ereditaria, tuttavia, è
stata sconfessata dalla Corte di Cassazione con la pronunzia n.
15133 del 28.11.2001, secondo cui la sanzione in questione, stando al
tenore letterale della norma, trova applicazione unicamente con
riferimento agli atti tra vivi, con esclusione di quelli mortis causa, tra
cui dovrebbe annoverarsi lo scioglimento della comunione
ereditaria.
Sempre secondo tale pronunzia, la divisione ereditaria, pur
attuandosi dopo la morte del de cuius, “costituisce l’evento
terminale della vicenda successoria e, quindi, rispetto a questa non
può considerarsi autonoma”.
La conferma della natura derivata della divisione ereditaria sarebbe
data dall’art. 757 c.c., che assegna efficacia retroattiva alle
attribuzioni scaturenti dall’atto divisionale.
Si osserva, peraltro, che diversamente opinando “si perverrebbe ad
irragionevoli differenze di trattamento rispetto a situazioni
sostanzialmente
omogenee,
non
potendosi
in
alcun
modo
giustificare l’esigenza dell’applicazione della norma in esame alla
divisione ereditaria e la non applicazione di essa alla divisione
operata dal testatore oppure l’applicazione della norma in ipotesi di
attribuzione ereditaria di un edificio a più soggetti e la non
applicazione all’ipotesi di attribuzione ereditaria dello stesso
edificio ad un solo soggetto”.
L’argomento principale della tesi sopra esposta è, dunque, la natura
mortis causa dello scioglimento della comunione ereditaria, in
quanto mero atto dipendente dall’apertura della successione e
dall’efficacia dichiarativa.
Esso, tuttavia, non convince appieno.
Va precisato, in primo luogo che - come riconosciuto anche dalla
citata sentenza della Cassazione - la pronunzia giudiziale di
scioglimento della divisione, avendo funzione suppletiva di quella
negoziale, di certo incontra gli stessi limiti di quest’ultima, poiché
altrimenti opinando si finirebbe per attribuire alla prima una
funzione elusiva delle norme imperative che governano la seconda.
E’ stato osservato, poi, che la divisione ereditaria giudiziale (al pari
di quella amichevole) non è equiparabile od assimilabile ad un atto
mortis causa, sebbene dalla morte di un soggetto tragga la sua causa
remota (Trib. Termini Imerese 12.5.2003, in Giur. It. 2004, 987; Trib.
Napoli 16.10.2002, in Giur. Napoletana 2003, 32).
Con l’apertura della successione, infatti, i coeredi divengono, sin da
tale momento, titolari del diritto ad una quota ideale del tutto, ma
le operazioni divisionali (sia amichevoli che giudiziali) sono volte a
trasformare tali diritti già acquisiti su quote ideali in diritti di
proprietà individuali sui singoli beni (Trib. Napoli 15.10.2003, in
Giur. Merito 2004, pg. 1110), diritti di proprietà che nascono da
un’autonoma iniziativa di soggetti diversi dal de cuius.
Quivi si nota la differenza sostanziale con la non omogenea ipotesi
della divisione operata dal testatore, laddove l’attribuzione di
singole proprietà è operata direttamente dal de cuius, di guisa che
essa prescinde da una vera e propria comunione.
La tesi della natura meramente dichiarativa dello scioglimento della
comunione ereditaria, sottesa alla pronunzia della Corte, è del resto
attualmente recessiva in dottrina, ove si sottolinea la sostanziale
identità nella sistematica del codice del negozio di divisione, a
prescindere dalla fonte della comunione (inter vivos o mortis causa),
e la sua natura costitutiva (si veda per una chiara affermazione in
tal senso, sia pure quale obiter dictum, Cass. Civ., Sez. II, 29.4.2003, n.
6653, in parte motiva).
A tale configurazione non sembrerebbe ostare il disposto di cui
all’art. 757 c.c., in forza del quale il coerede è reputato immediato
successore in tutti i beni attribuitigli in seguito alla divisione,
poiché tale disposizione si limita, con una fictio iuris e per ragioni di
certezza nella circolazione dei beni giuridici, a far retroagire gli
effetti (costitutivi) della stessa.
Lo stesso tenore letterale della norma, a mente della quale il
coerede “si reputa” e non già “è” coerede, deporrebbe per
l’esclusione della natura meramente dichiarativa della sentenza di
divisione.
Né, infine, la tesi della natura costitutiva della divisione (anche)
ereditaria sembra comportare un irragionevole disparità di
trattamento tra l’ipotesi dell’attribuzione di un bene a più coeredi e
quella di attribuzione ad un solo soggetto.
In tale ultima ipotesi, infatti, mancando la comunione, manca anche
il negozio di scioglimento che rientra tra gli atti vietati dalla norma
de qua, la quale non sanziona l’abusività in sé ma (di nullità) il
conseguente traffico giuridico.
Anche a non volere condividere la tesi della natura di atto inter
vivos del negozio di scioglimento della comunione ereditaria (con i
riflessi evidenziati sulla sostitutiva pronunzia giudiziale), vi è di
certo che nell’ipotesi, come quella di specie, in cui lo scioglimento
debba avvenire non già mediante attribuzione di singoli beni (o
parte di beni) ai condividenti ovvero con assegnazione del tutto
indivisibile ad un coerede richiedente, ma mediante vendita
giudiziale (stante la non divisibilità e la mancata richiesta di
assegnazione da alcuna delle parti), non può sostenersi la non
applicabilità dell’art. 17, comma I, legge 1985 n. 47 (oggi art. 46
d.p.r. 2001 n. 380).
In questo caso lo scioglimento della comunione passa per l’atto di
vendita ad un soggetto terzo, il quale all’evidenza è estraneo alla
vicenda successoria, sicché il suo acquisto non può di certo essere
qualificato mortis causa per il semplice fatto che i suoi danti causa (i
comunisti) hanno acquistato il bene in via ereditaria.
Così opinando, infatti, si dovrebbe (non condivisibilmente) ritenere
che qualsiasi acquisto da un soggetto cui il bene sia pervenuto in
via ereditaria debba qualificarsi mortis causa.
Alla luce delle considerazioni che precedono, dunque, la domanda
di scioglimento della comunione ereditaria deve essere rigettata.
Vale la pena di osservare che siffatta conclusione non determina
chiaramente uno stato di permanente coatta comunione, ben
potendo i comproprietari, nei modi e nei limiti previsti
dall’ordinamento a tutela delle loro facoltà di comunisti, attivarsi
per eliminare l’abuso e procedere indi a divisione.
Va disposta la trasmissione di copia della presente sentenza alla
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Marsala per le
proprie determinazioni in ordine all’abuso di cui in parte motiva.
La parte attrice ha, poi, spiegato domanda di condanna del coerede
alla corresponsione della quota parte dei frutti derivati dal
godimento esclusivo del bene comune.
Non avendo il c.t.u. fornito risposta al quesito postogli al riguardo,
la causa deve essere rimessa sul ruolo per l’accertamento del
canone di locazione ritraibile dal bene in questione a far data dal
2.2.1999.
Spese al definitivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Marsala, non definitivamente pronunciando, ogni
altra istanza, domanda od eccezione disattese, così provvede:
1. rigetta la domanda di divisione;
2. rimette la causa sul ruolo come da separata ordinanza
per l’ulteriore istruttoria di cui in parte motiva;
3. spese al definitivo.
Così deciso in Marsala, 14.12.2006.
Il Giudice
Pier Luigi Tomaiuoli