1 La grossa Cadillac nera si muoveva come un

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1 La grossa Cadillac nera si muoveva come un
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La grossa Cadillac nera si muoveva come un pachiderma
sull’asfalto appiccicoso. Pesante, blindata, vetri scuri, dentro
l’aria condizionata doveva andare al massimo. La mia vecchia
wagon li seguiva con i finestrini tutti aperti. La Cadillac si
fermò davanti alla porta scrostata di un edificio grigio e polveroso. I quattro scesero dalla macchina e infilarono di corsa la
porta. Solo Jack Mannesman mi avvicinò, mi prese sottobraccio
e mi strattonò vigorosamente all’interno.
Atrio enorme, tetto di almeno dieci metri, sontuoso scalone,
corridoio di circa duecento metri e un’altra porta, scrostata. I
nostri passi risuonavano nel cavernoso palazzo come quelli
degli stivali delle SS. Sbatterono le ante della porta ed entrammo in una piccola sala moquettata, foderata di legno alle pareti,
una segretaria lavorava alacremente al suo computer. Bionda,
vestito fucsia, unghie laccate, non si voltò nemmeno all’entrata
del gruppo che si diresse direttamente verso una porta massiccia. Mannesman mi trascinò ancora una volta stringendomi il
braccio. La stanza era monumentale, pareti coperte di librerie e
pavimento da tappeti il cui pregio non avrei saputo valutare. Ci
aspettavano cinque sedie e un uomo grande e grosso, dal faccione rubizzo, dietro una gigantesca scrivania. Aveva il collo
strizzato in una cravatta e una camicia di due o tre taglie inferiori, vestito grigio, occhiali di tartaruga.
– E quattro! – fece quando fummo tutti seduti.
Non doveva rivolgersi a noi, che eravamo cinque. Forse agli
altri quattro... forse erano dell’Fbi. Io no, o perlomeno non più,
ora facevo l’investigatore privato, lavoravo poco, mi godevo più
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che altro la pensione, ma, a causa del mio vecchio capo, il capitano Mannesman, che mi aveva arbitrariamente nominato consulente speciale del Bureau, ogni tanto mi trascinavano in qualche maledetto pasticcio, soprattutto quando non pigliavano
pesci. A me non andava granché, ma la paga era buona, anzi
buonissima, e, si sa, l’uomo, anche il più sfaticato, è debole di
fronte al denaro.
Il quarto in questione capii che era un ricco uomo d’affari.
– Abbiamo chiuso il giro: uno a sud, poi a ovest, quindi a
nord e adesso a est.
Dall’intonazione intuii che erano tutti morti. Ricordavo
vagamente di aver letto qualcosa sul giornale.
– San Francisco, Minneapolis, New York e Miami. Tutti ricchi importanti, impegnati politicamente. Tutti uccisi al club o al
loro bar preferito. Zac, una punturina di curaro e via all’altro
mondo.
– Un dayako della Malesia – scherzai, tanto per spezzare la
tensione. Dieci occhi mi incenerirono.
– Proprio lei, eh? Ecco un po’ di roba sui quattro – e l’uomo dalla camicia stretta buttò sul tavolo una cartellina che era
accatastata su una delle tante pile di carta che ingombravano la
scrivania.
– Guardi... c’è poco da ridere, quattro cadaveri eccellenti in
sei mesi. Tutti uccisi da una micidiale soluzione di cianuro e di
una tetrodossina che provoca subito la paralisi muscolare. La
massiccia dose di cianuro, poi, li stecchisce immediatamente. E
tutti liquidati senza ragione
– Apparente... – aggiunsi subito. Non mi andava di essere
trattato da pivellino nemmeno da quell’individuo che non conoscevo neppure di nome. Poteva anche essere il capo dell’Fbi.
Mannesman come al solito mi aveva telefonato: “Sii pronto con
la macchina, ti passiamo a prendere”. Punto. Senza sapere
come, perché, dove si andasse a fare e cosa. Ed ora mi trovavo
trascinato davanti a questo alto funzionario, (ma alto quanto?)
che sembrava aspettare da me, che ignoravo tutto, qualcosa che
loro non avevano scoperto.
– Certo, senza motivo apparente, – questa volta era
Mannesman che parlava – niente furto, niente vendetta, niente
sesso, nessuna estorsione, niente di niente. Chiaramente ognuno
di loro era un potente e aveva sicuramente dei nemici, ma il
quartetto di cadaveri è a dir poco curioso e cosí, tutti insieme
uccisi a distanza di qualche giorno uno dall’altro, pone le cose
sotto una luce singolare...
– Ma forse si cono...
– No, non si conoscevano, avevano età diverse, convinzioni
politiche differenti, interessi finanziari che non si tangevano,
non erano sposati, nemmeno in età da testamento, nessuna tresca con la mafia, non si drogavano, insomma erano anche puliti. Il che, per dei pezzi grossi come loro, è anche un po’ strano.
– Già, più che strano, quasi sospetto... – osservai.
– No, attenzione, siamo nella normalità più ovvia. C’era
qualche piccolo guaio con il fisco, qualche multa per eccesso di
velocità, un paio di cause con domestici o dipendenti licenziati,
piccole beghe con ex-mogli ma, insomma, ordinaria amministrazione.
A quel punto il signore dietro la scrivania aveva acceso un
grosso sigaro e iniziava a dare tirate vigorose. Io intanto avevo
preso la cartellina e osservavo le foto dei tizi da morti e da vivi,
i rapporti della polizia e i referti medici.
– Beh, Coleman, che ne dice? – fece sbuffando il fumatore
di sigaro.
– Signore, non ne sapevo nulla, fino a sei minuti orsono. Ora
ne so poco e sicuramente meno di voi. Non sono un mago e per
di più ho dimenticato a casa il formulario, quello per i miracoli.
Inoltre non ho il piacere di conoscere né lei, né i tre signori che
accompagnano il comandante.
– Ma Mannesman mi aveva assicurato che siete un cervello
fino... che avete delle intuizioni a volte geniali...
– Grazie Jack per i complimenti. Una domanda: da quanto
tempo lavorate su questi casi e in quante persone?
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– Lo consideriamo un caso unico. Non è nemmeno un mese
e siamo una decina tra federali, Cia e consulenti.
– Bene, e ora io invece in sei minuti vi risolvo il caso. No?
Grazie per la fiducia...
Silenzio di tomba.
– Signor Coleman, quelli insieme a Mannesman sono l’ispettore Forrester della Cia, poi c’è il consigliere del Presidente,
professor Sanderson, ed infine il capitano Davis del dipartimento investigativo della sezione tributaria, – presentò l’innominato. – Io... no, io non sono importante, siete voi che dovete tirare
fuori la soluzione. Anche perché ci aspettiamo altre morti...
– Un serial killer di lusso... ma non aveva detto che il cerchio era chiuso: sud, ovest, nord ed est...
– Caro Coleman, la sensazione di tutti è che questo macello
sia, per cosí dire, dimostrativo e che non si fermerà tanto presto.
E sembra che sia opinione generale: abbiamo pressioni da tutte
le parti, dal congresso, dalla federazione degli industriali, dai
governatori degli stati e dulcis in fundo anche dal Presidente...
– Già, quel brav’uomo...
Il professor Sanderson si schiarí la voce.
– Quel brav’uomo, come dite voi, non può permettere che la
crema della politica, dell’industria e della finanza sia esposta in
questo modo, la voce si è sparsa e già in molti hanno fatto i
bagagli... e non sono partiti per le ferie, le assicuro...
– Signori, la conversazione si sta facendo oziosa per i miei
gusti e si sta perdendo fin troppo tempo. Mannesman! – tuonò
l’uomo strizzato nella camicia, – non volevo quattro zitelle che
si sbertucciassero una con l’altra. Bisogna sbattersi sul campo,
setacciare tutti i sospetti, spulciare i precedenti, muovere il culo
e trovare subito qualcosa: voglio quel killer qui prima possibile.
Signori, avete cinque giorni, se non si faranno passi avanti ve ne
andate tutti in pensione. Ve lo assicuro!
– Io già ci sono, e da qualche anno, quindi questo non mi
riguarda e, per conto mio, non mi va tanta fretta – risposi con
tutta tranquillità. – Qui bisogna lavorare poco e pensare molto.
Questo signore, sempre che sia sempre lo stesso e che non sia
un’organizzazione, non solo si diverte ad uccidere dei ricchi ai
quattro angoli del paese; sta facendo un gioco molto sottile di
cui, a quanto ho intuito, non riuscite a capire nulla: chi è, da dove
viene, se fa tutto da solo o no, gli obiettivi, le motivazioni, il
modo in cui agisce... quindi cerchiamo di non sbracciarci troppo
e facciamo funzionare il cervello, se vogliamo qualche risultato.
Ciò detto mi alzai, portando con me la cartellina dei documenti. Mannesman si alzò a sua volta per fermarmi.
– Lo lasci, lo lasci andare a riflettere, chissà che non abbia
ragione – fece l’uomo senza nome.
Gli altri finirono per seguirmi in silenzio. La bionda digitava ancora al computer e per le scale, oltre ai passi, non si sentiva nemmeno una parola. Quando fummo fuori, Mannesman ci
arringò, ma era una pallida imitazione del grassone.
– Professor Sanderson, lei cerchi di aver tutte le informazioni su chi, negli States, è esperto di curaro e di queste tetrodossine che vengono estratte dal quel pesce asiatico... il “fugu”.
Tutti sgranammo gli occhi.
– Ma sí, il fugu... una specie di pesce palla. Insomma voglio
sapere chi tratta il cianuro e queste sostanze. Chi le vende, chi
le importa, chi le sa usare e per quali motivi, quanto curaro gira
dentro i nostri confini e faccia un elenco degli specialisti su
quelle maledette tetradossine. Capitano Davis, cerchi tutti i collegamenti delle società detenute dai quattro morti: partecipazioni, palesi e occulte, voglio i conti in tutte le banche del mondo,
le cassette di sicurezza, voglio parlare con i loro commercialisti,
i consulenti finanziari e i direttori generali delle loro aziende, i
loro tirapiedi, i loro leccaculi politici e i lobbysti che lavoravano per loro. Chiaro? Lei, invece, ispettore Forrester, deve tirare
fuori tutti i precedenti di omicidi con il curaro da dieci anni a
questa parte, in tutti gli stati e lo stesso chieda anche alle polizie degli stati nostri alleati...
– Ma...
– Ma niente, tutto in cinque giorni, altrimenti... in pensione!
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Io mi occuperò di sguinzagliare i migliori agenti per scoprire se
nel nostro territorio ci siano gruppi terroristi o sette occulte che
abbiano a che fare con il curaro, che se la facciano con i potenti degli stati nemici o che possano minimamente avere a che fare
con questo tipo di casino...
– Ehi, Mannesman, non ti basterà il Madison Square Garden
per radunare tutta questa gente e tanti documenti. – La cosa
stava assumendo aspetti ridicoli e non mi volevo prestare a quello stupido gioco. – Mica ti aspetterai di poter fare tutto in cinque giorni come ha detto quel ciccione. E per di più con questa
sorta di mobilitazione civile? Car... rar... ma... to, non hai pensato che ci potrebbe essere utile anche un carrarmato...?
Per tutta risposta Mannesman allungò il braccio per tirarmi
un cazzotto, lo faceva spesso quand’era il mio capo e io lo sfottevo. Cercai di scansarmi, ma non serví a nulla.
Mannesman, prima di prendermi, cadde a terra come un
sacco di patate, colpito sotto la spalla, abbastanza vicino al
cuore. Si abbandonò, rantolando, sulle scale su cui ci stava
arringando, lasciando una copiosa scia di sangue.
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Miss Natasha Gutierres era in piedi davanti a un gran tavolo lucido. Ci fissava come per imprimersi bene le nostre facce
nella mente. Aveva due cartelle in mano: una voluminosa e una
più smilza.
– Allora, signori, vi comunico ufficialmente che ho preso il
posto del comandante Mannesman nella conduzione di questa
operazione. Quindi procediamo a sentire quello che...
Non erano nemmeno ventiquattr’ore che quel poveretto era
rotolato sanguinante sulle scale. C’era stato un gran fracasso,
imprecazioni, telefonini che chiamavano la polizia, il pronto
soccorso, il comando dell’Fbi, reparti speciali della Cia. In
breve: macchine, ambulanze, agenti di tutti i corpi e persino il
grassone erano lí a intralciarsi l’un l’altro, tra spintoni, ordini,
squilli di cellulari e sirene. Quella che doveva essere una riunione segreta, aveva finito per risvegliare l’interesse di tutto il
quartiere. Ma quando il grassone dette ordine a tutti di sgombrare, appena partita l’ambulanza, nel giro di cinque minuti il
posto era ridiventato deserto e silenzioso.
Ognuno era tornato dalle proprie parti, e verso le cinque del
pomeriggio aveva ricevuto una convocazione per le dieci del
giorno dopo, questa volta in un lussuoso albergo alla periferia di
New York.
Tutti si aspettavano di vedere il grassone e di avere notizie
di Mannesman, ma soprattutto di sapere cosa era successo. Chi
aveva sparato. Perché. Anche se per la verità ognuno sembrava
più preoccupato per la propria integrità: gente dell’Fbi o della
Cia, ma di quelli abituati a lavorare dietro a una scrivania, non
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in prima linea, non avvezzi a lavorare sul campo e a rischiare
la vita. L’idea di una pallottola faceva tremare tutti seriamente.
Comunque, l’annuncio che a sostituire Mannesman era quella
stanga di donna, capelli neri, tratti mediterranei, occhi azzurri,
aveva rincuorato quel gruppo di maschi e aveva fatto passare in
secondo piano gli interrogativi e le preoccupazione per l’attentato subito da Mannesman. Ma il piglio, il tono e l’atteggiamento della donna facevano decisamente pensare al grassone.
– Allora signori, il comandante Mannesman sta meglio, ma
non potrà partecipare attivamente alle operazioni per un certo
periodo. Ora vorrei sapere se ci sono stati dei progressi da ieri,
se avete qualche novità.
– Ma se non è passato nemmeno un giorno e, poi con quello che è successo... – azzardò il professor Sanderson.
– Signori, – fece perentoria la donna, – qui dobbiamo lavorare solo al nostro scopo: fermare questi omicidi. Chi dovesse
avere qualche perplessità farà bene ad alzarsi ora da questo
tavolo e uscire da quella porta.
Cosí dicendo ruotò violentemente la testa verso la porta dietro di lei e la sua massa di capelli neri dai riflessi blu ruotarono
insieme a lei, attirando l’attenzione di tutti, che ebbero una
buona scusa per distrarsi dalla brusca domanda.
– Bene, allora qui abbiamo un messaggio del Presidente che
esorta questa commissione a fare più in fretta possibile.
Ah, cosí già siamo diventati una “commissione”, pensai.
Poi tirò fuori la cartellina più poderosa, facendola cadere
pesantemente sul tavolo.
– Questi sono i dati che il comandante Mannesman ha fatto
reperire. Almeno una sessantina di associazioni che avrebbero
motivo di destabilizzare il nostro paese e che potrebbero avere
qualche confidenza con i veleni, il curaro in particolar modo. Ce
n’è una copia per ognuno. Bene, la riunione è finita. Buon lavoro, signori. Sarete contattati al più presto.
– Cioè questo pomeriggio? – feci polemico.
La signora Gutierres non mi rispose, anche perché era attor-
niata dai miei colleghi che, petulanti, la incalzavano di domande. Poi però tutti quanti uscirono dalla stanza parlottando. Io
invece stesi maleducatamente i piedi sul tavolo, chiusi gli occhi
e iniziai per la prima volta a pensare seriamente a tutta questa
storia. Quante erano le probabilità che fosse un unico pazzo?
Oppure non era più facile che si trattasse di un’organizzazione?
Ma quello che mi chiedevo era: perché? Certo i ricchi fanno
invidia a tutti e ci sono un mucchio di ragioni perché un miliardario, magari anche influente in politica, venga ammazzato. Ma
qui erano quattro. Uccisi forse simbolicamente ai quattro angoli del paese. E poi c’era quella messa in scena della miscela al
curaro che faceva tanto pensare a uno di quei romanzetti alla
Agatha Christie.
Mentre ero assorto in questi pensieri, mi sentii battere
sulla spalla.
– Signor Keith, ha bisogno di riposare?
Era Natasha Gutierres.
– No, cercavo un attimo di concentrazione e capire il perché
di queste morti. Se non partiamo da lí, cara mia, non ne usciamo fuori. Ne hanno ammazzato qualcun altro?
– No.
– Lei che fa nella vita? Conosce bene il capitano
Mannesmann?
– Ho lavorato con lui gli ultimi tre anni. Prima ero agli affari speciali dell’Fbi. E ora eccomi qui, è la mia grande occasione. Se troviamo questi pazzi. Per me sarebbe un salto di qualità.
– Di carriera e di soldi...
– ...Signor Coleman, lei è un cinico senza ideali o un idealista che pensa che gli altri siano tutti cinici?
– Sono uno che ha passato vent’anni all’FBI, sposato e
separato due volte, ferito in guerra e da cinque anni ficco il
naso nei fatti sporchi della gente come investigatore privato.
E lei mi chiede se sono cinico? No. Ma ormai sono un pessimista cronico e vedo le cose sempre dal loro lato peggiore.
– E non si sbaglia mai?
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– Ormai sempre meno e, quando succede, mi meraviglio
un po’.
– E allora si meravigli.
Ciò detto mi si avvinghiò da dietro, mi torse il collo e mi...
baciò in bocca.
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Uno squillo interruppe il bacio. Era il cellulare di lei, quello
di servizio e non poteva non rispondere. La sua faccia portava
cattive notizie. Mentre parlava, aveva tirato fuori un note-pad su
cui aveva preso appunti. Finita la telefonata crollò sulla sedia.
– Era Mannesman...
– Sta male?
– No. Ne hanno ammazzato un altro. Bill Goodman, ex senatore a Miami. Sempre al bar di un hotel e sempre con lo stesso
veleno.
I lineamenti di Natasha erano tesi. Gli occhi divenuti una
fessura. Era un’altra persona rispetto a quella che mi aveva
baciato qualche secondo prima. Mi aveva sorpreso da dietro, poi
da in piedi s’era seduta sul bracciolo della sedia e quindi mi era
scivolata addosso. Morbida. Questa la sensazione che avevo
avuto al contatto con il suo corpo. Invece ora era dura e tesa
come una corda di violino e io come se fossi scomparso. Dal suo
note-pad inviò un paio di e-mail, poi prenotò due biglietti per
Miami.
– Uno è per me, spero
– S Í, – leggo anche nel pensiero... – occorre essere lí prima
di tutti.
Auto di servizio con la sirena subito, poi jet dell’Fbi, quindi
elicottero che ci porta fino all’albergo sulla pista d’atterraggio
per vip o eliambulanze. Avevamo fatto davvero in fretta e non
c’era stato tempo e molta intimità per parlare di quel bacio.
Io sono abbastanza fatalista e prendo per buono quello che arriva, ma stavolta avrei gradito sapere il perché di quell’atteggiamento
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in una donna come lei, in quel momento e proprio con me.
A terra ci aspettava il direttore dell’albergo che aveva chiuso subito il locale e messo un suo uomo della sicurezza a controllare. All’ora dell’omicidio il bar era vuoto, ci confermò il
barman. Erano quasi le due e mezza e il bar, con veranda e terrazza sulla piscina, erano deserti. La gente era in camera a dormire o a godersi il fresco dell’aria condizionata. Anche la piscina dopo pranzo era vuota. Ospiti di passaggio? Quasi nessuno,
tutti smaltivano a letto sontuosi pranzi. Giravano soprattutto il
barman, i camerieri e qualche inserviente.
Keith e Natasha si guardarono negli occhi e iniziarono a esaminare minuziosamente il cadavere, pur senza toccarlo. La piccola freccia era conficcata proprio sotto l’orecchio. Non era proprio una freccia, ma una di quelle mini-siringhe che gli zoologi
sparano per addormentare gli animali di piccole dimensioni e
poi catturarli. Quasi non si notava, era del tipo che appena colpito il bersaglio vuotava il suo contenuto. Il povero destinatario
era rigido, seduto sulla poltrona, dritto con il suo bicchiere di
tequila ancora in mano. Era l’effetto paralizzante della tetrodossina e poi la massiccia dose di curaro aveva fatto il resto.
Anche l’avesse guardato qualcuno non si sarebbe accorto
che era passato a miglior vita, a patto che quella che conduceva
su questa terra non fosse piacevole. Bill Goodman aveva anche
da morto un’aria paciosa e soddisfatta, solo l’abbronzatura della
pelle stava virando in un grigiastro cadaverico.
Natasha si attaccò al cellulare e, dopo qualche minuto, quel
bar pullulava di agenti, uomini della Cia, c’era il medico legale,
parenti del morto. In quella bolgia infernale chiamò Mannesman
per sapere gli sviluppi della situazione.
Natasha mi passò il telefono.
– Allora? – fece perentorio.
– Che vuoi, sono qui a Miami a farmi una vacanzetta con i
soldi dello stato, l’albergo non è proprio di quelli che preferisco,
ma su, non mi posso lamentare. Certo, adesso è un po’ affollato, ma credo che tra qualche ora sarà molto più tranquillo. Tu
piuttosto come stai? peggio di me vero?
– Non spreco tempo e soldi per risponderti, ma per sapere da
te cosa è successo...
– Beh allora potevi anche non telefonare. Lo stesso degli
altri, stessa tecnica, ora il dottore ci dirà che è sempre curaro e
tetradossina, identica situazione degli altri: nessuno ha visto
nulla e, una volta ammazzato, il riccone è rimasto seduto buono
buono con il suo bicchiere in mano. Due sole cose differiscono...
– E cioè?!
– Che questo è il quinto morto e che siamo a Miami...
– Coleman, falla finita con quel sarcasmo da investigatore di
terz’ordine...
– Senti Jack, parliamoci seriamente, finché non se ne va questa marea di gente non c’è modo di ragionare e di capirci qualcosa. Ci sentiamo stasera.
Ripassai il telefono a Natasha e mi cercai un angolo relativamente tranquillo dove bere un drink, fumare qualcosa e pensare.
Questo maledetto, o questi maledetti, erano determinati a
sterminare tutti i ricchi del paese? Ma perché poi, quale
disegno si celava dietro tutto ciò? Forse era un segnale. Ma
per chi e poi che razza di segnale “Ricchi di tutta America
state in campana”?. Non c’erano furti, niente ricatti.
Insomma un non-sense. Dovevamo capire cosa voleva o
cosa voleva dimostrare questo pazzo o questa banda di sterminatori. Era probabile che si trattasse di esecuzioni esemplari, dimostrative, perché non c’era alcuna conseguenza o
precedente di tipo malavitoso. Solo una volta nella mia carriera mi era capitata una faccenda cosí: una donna, Mary
Ross, una pazza furiosa che infilzava le sue vittime con
quello che sembrava un ferro da calza e invece era uno spillone d’acciaio che perforava il cuore. Motivo: nessuno.
Arrestata dichiarò che si divertiva un mondo a vedere le
facce spaventate di quelli che infilzava come tordi.
Lí era una donnetta che agiva senza criterio e cui solo il
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caso aveva permesso di agire indisturbata e ammazzare cinque persone prima di essere presa fortuitamente da un agente di pattuglia.
Qui no. C’era lontana un miglio puzza di organizzazione,
razionalità, preparazione. Era gente di alto livello.
Mi accorsi che in un angolo della stanza c’era il professor
Sanderson che parlava fitto con Natasha. Mi avvicinai a loro.
Gli occhi di Sanderson brillavano e Natasha stava esaminando
un rapporto voluminoso.
– Caro Coleman, abbiamo la soluzione. Ecco qui, – fece lui
indicando il rapporto e, guardando l’orologio, – a quest’ora i
nostri uomini della Cia stanno già facendo il loro dovere.
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Il dossier era molto circostanziato. Descriveva una setta
composta da vetero-comunisti e vaneggianti profeti di prossime
sventure, se non fossimo tornati tutti in povertà. Agiva da oltre
cinque anni, aveva adepti in una decina di stati, tra cui quelli
dove erano successi i delitti. Per quanto riguardava i veleni si
rifacevano a una antica dottrina orientale che prendeva dai veleni il bene e il male, le proprietà curative e quelle mortali. Erano
finiti sotto inchiesta un paio di volte per la morte di due loro
adepti fuoriusciti, morti avvelenati, ma non essendoci prove, i
processi finirono entrambi con un’assoluzione. Il capo della
combriccola si chiamava Bajaga Sagaman, al secolo Steve
Right, un piccolo imbroglione, pluricondannato che guidava ora
una schiera di oltre trecento indottrinati. Non sembrava che si
fosse arricchito troppo, almeno come altri suoi colleghi. Abitava
comunque nei quartieri bene di Los Angeles.
Mentre leggevo il documento, Natasha telefonava a
Mannesman. Sanderson intanto sembrava non stare più nella
pelle.
Io e Natasha ci guardavamo con una certa diffidenza. Anche
questa volta mi passò il capo al telefono.
– Jack, ho letto tutto il dossier. La mia opinione è che siamo
a meno del cinquanta per cento di probabilità di aver messo le
mani su quelli giusti. Tutti gli assassinii sono stati ben organizzati e pensati. Questa della setta è gente con la testa tra le nuvole, che quando arriva la noti lontano un miglio.
– Ma c’è la storia del veleno, dell’odio verso la ricchezza, la
dislocazione territoriale...
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– ...sí, c’è qualcosa, forse pure il movente, ma quello che
non mi convince è la tecnica... secondo me i nostri sono profes sionisti.
– Sono d’accordo con te Keith, ma questi li torchieremo lo
stesso. Tu e la signorina Gutierres andate avanti per la vostra
strada, ma... non distraetevi troppo... eh...
– Ma cosa dici Mannesman, Natasha potrebbe essere mia
figlia...
Click. La comunicazione era stata interrotta.
Sanderson nel frattempo era sparito.
– È ripartito per Los Angeles, vuole essere presente agli
interrogatori – mi informò Natasha.
– E tu perché non sei partita? Nemmeno tu credi alla storia
della setta?
– Mai dire mai. Ma il mio intuito femminile mi dice che la
strada è un’altra.
– Stavolta anche l’intuito maschile, il mio, dice lo stesso.
– Beh allora, come dici tu, potremmo prenderci una pausa di
riflessione e, sempre come dici tu, pensarci su, in pace, magari
proprio qui in albergo.
– Non vorrei pesare troppo sulle spese del governo...
– Hai ragione, prenderemo un stanza sola, cosí risparmieremo la metà, no?
– Guarda che Mannesman sa che io e te...
– Io e te cosa?
– Beh insomma... ma poi come lo sa?
– Sono stata io... Perché?
Il direttore ci trattò bene. Una specie di suite, ultimo piano,
bella vista sulla città, frigobar stracolmo e un salottino delizioso. In qualche minuto i nostri minuscoli bagagli erano disfatti.
Io mi collegai a internet con il mio note-pad, mentre Natasha
si dava da fare con il suo portatile e il suo cellulare.
Mi misi in contatto con un vecchio informatore, uno che
aveva fatto più anni dentro che fuori per reati connessi al software e alla telematica, una sorta di super-hacker. Io non sapevo
che faccia avesse, dove abitasse, neanche lui sapeva nulla di me,
ma tramite e-mail mi aveva fornito un sacco di indicazioni utili
e io, diciamo che gli avevo reso la vita più facile, almeno un
paio di volte, quando era stato pizzicato a girellare negli archivi
della Cia e dell’Fbi.
Questa volta gli fornii tre input: tutte le informazione su
curaro e tetradossine, newsgroup sulla rete che avevano nel
mirino personaggi famosi e ricchi, l’esistenza o meno di killer,
magari anche ex galeotti che maneggiavano veleni. Non gli dissi
per chi lavoravo. Tanto l’avrebbe scoperto da solo. Nonostante
tutti gli sforzi per tenere separati i fatti e le smentite a ripetizione da parte di autorità, polizia, Fbi e compagnia bella, sia i giornali che le tv iniziavano inevitabilmente a collegare le cose.
Quando ebbi finito mi accorsi che Natasha era sul letto, non
propriamente vestita. E sussurrò:
– Vogliamo finire quel discorso iniziato a New York in sala
riunioni?
– Ecco brava, a proposito, si può sapere cosa ti è preso, io
sono un rispettabile signore quasi della terza età, non molti
capelli, quasi tutti bianchi, non ho fisico da palestra, sono
addirittura in pensione e anche come investigatore privato
sono ormai agli sgoccioli. Non sono ricco e l’età, oltre agli
acciacchi, mi ha portato fisime e difetti. E inoltre, come dicevo a Mannesman potrei essere tuo padre... Basta cosí o vuoi
che vada avanti?
– Un po’ avanti a destra, cosí arrivi sul bordo del letto, ti
siedi e inizi a farmi un bel massaggio alla schiena.
Quella donna aveva il dono di farsi ubbidire. E io ero più
arrendevole del solito. Dai massaggi alla schiena, passammo
a forme più complesse di manipolazioni. Lei metteva più
energia, io, dalla mia, mi servivo dell’esperienza che con il
minimo sforzo fa raggiungere il massimo del risultato possibile. Alla fine la signorina Gutierres sembrava assai soddisfatta. Delle due: o era molto educata e sapeva fingere bene
o ancora una volta ero riuscito a salvare la faccia con l’altro
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sesso. La stanchezza della giornata ebbe il sopravvento e
nonostante desiderassi mangiare e fumare un bel sigaro
prima di finire tra le braccia di Morfeo, gli occhi si chiusero
sopra questi miei desideri.
La mattina mi svegliai perfettamente riposato. Aprii un
occhio e vidi che avevo dormito quasi dieci ore. Aperti tutti e
due gli occhi mi accorsi che Natasha non c’era più. La chiamai,
forse era in bagno. Nulla. Allora mi alzai ed esplorai meglio
quella suite. Niente, in bagno, in terrazza, nel salottino. Pensai
allora che fosse giù al bar a fare colazione, d’altronde anche io
avevo fame. Chiamai la reception e chiesi di passarmi la signorina Gutierres che probabilmente stava facendo colazione. Mi
risposero che la signorina aveva lasciato l’albergo e che era partita per giunta assai presto.
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Decisi di fare uno spuntino in camera. Prenotai un dozzinale aereo di linea e feci chiamare uno squallido taxi per l’aeroporto.
Suonò il cellulare dopo che avevo fatto fuori una bella omelette e mezzo bicchiere di pompelmo.
Era Natasha.
– Scusami, ma Mannesman mi ha chiamato di corsa e cosí
ho dovuto...
– Già la solita trafila: elicottero, jet privato e auto della polizia, magari con la scorta di motociclisti, perché a New York a
quest’ora c’è traffico...
– Keith, non ho voglia di discutere... Invece Mannesman ti
ha combinato un incontro con un giornalista, un certo Binder.
Verrà lí da te in albergo. Sembra stia indagando su alcuni traffici di Goodman, forse qualche cosa può saltar fuori. Vorrà dei
soldi per le informazioni, ma tu dirai che stai investigando privatamente e che per la questione dei soldi devi chiedere al tuo
cliente. Deve essere assolutamente convinto che tu non lavori
per il governo. Chiaro?
– E io come ti rintraccio? Sul display del mio cellulare non
compare alcun numero.
– Ti chiamo io, altrimenti mettiti in contatto con Mannesman.
Ciao, a presto.
Autoritaria, sbrigativa ed essenziale. Era tornata la Gutierres
delle sale riunioni.
Io finii in santa pace la mia colazione e, in attesa del giornalista, buttai giù alcuni appunti su quello che era successo.
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GREGORY K. GARRISON
APPUNTAMENTO FATALE
Intanto un bip mi informava dell’arrivo di un e-mail. Era il
mio informatore via web. Omicidi commessi con il curaro
tanti, ma se si passava a quelli con le freccette, come le chiamavo io, si arrivava a nemmeno una dozzina in dieci anni.
C’erano molti orientali, ovviamente, alcune sette (una magari
era quella scoperta a Los Angeles da Sanderson), gli altri erano
tutti medici, infermieri, portantini, tutta gente che aveva a che
fare con gli ospedali.
Concentrai la mia attenzione sugli orientali. La pazienza, il
gusto dei simboli, la geometricità dei luoghi degli omicidi, che
con l’ultimo di Miami formavano una specie di cerchio geografico, la minuziosa precisione della zona del corpo in cui tutte le
vittime erano state colpite, insomma tutto mi faceva pensare a
una mentalità orientale. Questi erano tutti stati processati, ma
non tutti condannati. C’erano nomi, cognomi, carceri, date dei
processi, le città. Mi informava anche, se già non lo sapessi, che
esistono delle pistole che sparano queste siringhe, non sono
molto precise per cui occorre essere abbastanza vicino al bersaglio per colpirlo in una zona adeguata, ad esempio al collo. Per
le altre informazioni niente, ci voleva più tempo.
Scorsi i nomi degli orientali, c’erano cinesi, giapponesi,
coreani, un malese e due filippini.
Molti, come il malese, avevano usato però una specie di cerbottana, due si erano serviti di siringhe e altri di questa specie di
pistole. Mi concentrai su un giapponese con dei precedenti.
Aveva ucciso un cugino mentre dormiva, ma al processo fu
assolto per insufficienza di prove. Poi fu coinvolto in un rissa in
cui era stato trovato morto un cinese: sempre una puntura, sempre veleno, pare anche lí curaro. Visti i precedenti fu incriminato, ma anche qui niente prove e niente galera. Lo presero sul
fatto quando stava per rapinare un drugstore. Minacciava la cas siera con una siringa e intanto ordinava al padrone di riempire
di soldi una busta di plastica. Ma fu visto dalla vetrina da un
agente che si nascose, aspettò che, uscito, salisse in macchina e
quindi gli sparò prima alle gomme proprio quando stava parten-
do e poi lo ferí a una spalla.
Aveva in tasca ancora la siringa con tanto di veleno e di
impronte digitali. Non avendo ammazzato nessuno, se la cavò
con cinque anni che scontò nella prigione di Atlanta.
Certo qui c’era la siringa e non la pistola e sembrava un tipo
dedito a delitti di piccolo cabotaggio, ma i cinque anni passati in
quell’università del crimine che sono le prigioni di stato, potevano averlo fatto maturare. Magari aveva concepito un’operazione di livello più alto, forse voleva vendicarsi o più probabilmente aveva conosciuto qualcuno che gli aveva fatto fare un
salto di qualità. Ma pensava sempre di più a un personaggio ben
più sofisticato, qualcuno che avesse doti e obiettivi più alti.
Mentre era immerso in questi pensieri squillò il telefono: gli
annunciavano il giornalista.
Scese con calma nella hall e andò dritto alla reception.
Chiese di Binder.
Gli indicarono un dondolo sulla terrazza. Arrivò e trovò, invece del solito reporter scalcagnato, una rossa, sulla quarantina, fors’anche quarantacinque ben portati, in un professionale tailleur
grigio, una documentazione in mano e, invece della solita borsetta, una cartella di quelle maschili. Occhiali da presbite dalla montatura azzurra come i suoi occhi: unico vezzo femminile.
Coleman stava facendo marcia indietro, quando sentí chiamarsi:
– Piacere, mister Coleman, sono Glenda Binder del “Post” di
Miami.
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