Vedere con il cuore

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Vedere con il cuore
Vedere con il cuore
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Siamo sinceri: come viviamo quando nella vita non c’è un po’ di amore? Ci siamo
accorti che la qualità delle nostre giornate dipende in gran parte dal fatto di saperci o
no amati, e se riusciamo a nostra volta ad amare? Il mondo odierno spesso tenta di
convincerci che l’amore abbia poco a che fare con la felicità della vita, e vuole
sostituirlo con il denaro e con il sesso. Lo dipinge come parole vuota, evanescente,
che dura il tempo che dura, quando non addirittura illusoria.
Serpeggia sempre più la convinzione che spendere la vita per amare trasformerebbe
l’esistenza in una specie di via dolorosa scandita da delusioni. Certo, ci sono forse
cose che sembrano più importanti dell’amore, perché più concrete, palpabili, anche più
comprabili: l’amore invece appartiene a ciò che non ha prezzo, perché è in se stesso
dono. Come ci si sta allontanando dalla verità!
Ma nella misura in cui si diviene indifferenti a Dio, si diventa indifferenti all’amore. E
così la vita si popola di passioni tristi, provvisorie, che durano l’attimo presente e poi
svaniscono, lasciando la persona più vuota di prima. Essa diventa una corsa sfrenata a
riempire di cose e sensazioni lo spazio che dovrebbe essere colmato dall’amore, e che
solo l’amore lo può colmare dando senso ad ogni attimo del tempo.
Ed il cuore, che nell’immaginario rappresenta la capacità di dare e ricevere amore,
diventa un organo qualsiasi, non più il centro dell’essere e del divenire. Perde la
capacità di vedere l’essenziale, invisibile agli occhi del corpo e percettibile solo da chi
sa vedere con il cuore.
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Desiderio di amare
"Cara Madre Teresa ho bisogno di te!... Santa Teresa, dammi tanta forza e tanta luce!
Voglio una sola cosa, tu lo sai: una cosa solamente: glorificare il più possibile nostro
Signore Gesù Cristo, amarlo quanto più posso... questo ti chiedo e ti imploro, Madre
cara; dammi tutto quello che serve perché io realizzi questo desiderio... Madre
carissima, vieni in mio soccorso...”.
È una preghiera di Charles de Foucauld che don Enzo ha fatto sua: sia perché Santa
Teresa era la sua Santa Madre, Fondatrice dell’Ordine Carmelitano riformato; sia
perché chiedeva la cosa più necessaria, essenziale per chi aveva risposto si a Dio col
dono della vita. Chiedeva di glorificarlo il più possibile, di amarlo quanto più avesse
potuto: "Amarlo, il Signore, con un amore purissimo di eucaristia, per accettare ogni
giorno di morire a noi stessi come il seme, per nascere nuova creatura, per dare gloria
solo a Lui nella condivisione piena".
Parlare di amore è parlare di cuore. In questa preghiera riecheggia lo sfondo di
un’altra pagina carmelitana: quella di S. Teresa di Gesù Bambino. Era stato l’incontro
con la sua Autobiografia che lo aveva affascinato e gli aveva rivelato la volontà del
Signore sulla sua vita. E certamente lo avrà colpito la confessione della stessa santa
che narra la scoperta della sua vocazione profonda: quella di essere nel cuore della
Chiesa l’amore. Solo così sarebbe stata tutto, perché sarebbe stata l’amore senza
limiti. L’amore assoluto. L’amore di Dio dato agli uomini in Gesù Cristo.
Non c’è realtà più grande di questo Amore e non c’è nulla di più grande che riuscire a
trasferirlo nella propria vita e in quella di coloro che ci stanno attorno. Non c’è nulla di
più grande che vivere di amore, per amore, amando fino – se necessario – a morire di
amore e per amore. Questo slancio si traduce in concreto nella volontà di amare fino
alla donazione totale di sé a Dio e di partecipare, in virtù di ciò, alla morte redentrice
di Cristo.
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Essere “il cuore”
Essere nella Chiesa un cuore che pulsa di amore per Dio e per ogni uomo: anche don
Enzo desiderava essere capace di tale e tanto amore. Non di un amore puramente
naturale, ma dello stesso amore di Dio.
Forse non è un caso che quando si parla di amore si pensi al cuore. Se riflettiamo un
attimo sul suo movimento, constatiamo che è un ritmo costante di contrazione ed
espansione. Quasi un raccogliere le risorse vitali per poi rilanciarle per la sussistenza
del corpo intero. È un ricevere per donare, come lo è per l’amore. Non solo in campo
umano ma, oserei dire, soprattutto nei confronti di Dio.
Come è umanamente vero che l’uomo è capace di ciò che ha fatto esperienza, è
ugualmente certo che nella misura in cui ha gustato e conosciuto l’amore di Dio per lui
saprà ridonare amore al Signore e ai fratelli con la sua stessa gratuità, tenerezza e
misericordia: "Perseguitami con il tuo Amore - scrive don Enzo - che non trovi mai
pace nei beni di questo fugace mondo, ma in te solo. Amarti sempre Gesù, amarti
sempre per non morire più. Sì vorrei amare tutti, amare sempre, perdonare sempre,
ringraziare sempre, confortare sempre" (Certosa di Pavia, 13 gennaio 1970).
Don Enzo aveva compreso l’amore di Dio per lui e di questo amore viveva. L’aveva
scoperto poco a poco nella preghiera, in quel rapporto intimo e prezioso con chi era
divenuto l’Amato del suo cuore. Una preghiera che "deve caricarci al punto tale da
sprigionarsi e stemprarsi in tutte le nostre azioni, da essere il respiro costante e vitale
dell'anima, il punto d'incontro tra il cuore di Dio e il cuore dell'uomo” (Con Gesù sulla
strada, 1995, p. 27).
Per don Enzo il rapporto profondo di comunione con Dio ha costituito la scoperta di
nuove, più vere e più ampie possibilità di incontrare gli altri. Ciò è importante e
consente di interpretare il suo bisogno di preghiera non come un intimismo egoista. Il
fatto che in Dio si intensifichino anche i rapporti con gli altri, non deve apparire come
un dato marginale; è semplicemente la trascrizione a livello di realtà ed esperienza
umana del Dio-Trinità che sta a fondamento di tutto. Ed è proprio il vivere in e con lui
che dà la capacità vera di stabilire e di sviluppare autentici rapporti umani: di vivere
davvero la nostra realtà di uomini creati a immagine sua. È scoprire ogni giorno la
nostra identità sorgiva.
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Le due facce dello stesso Amore
Con il passare del tempo don Enzo sentiva crescere in lui l’urgenza di contraccambiare
l’amore che viveva e che gustava. Non solo attraverso un sentimento interiore e
profondo verso Dio, ma in una concretezza fedele nei confronti degli uomini. Verso i
suoi confratelli, quando era al Carmelo. Verso ogni uomo che il Signore gli ha messo
sul cammino nella sua vita di sacerdote. Soprattutto verso i giovani, i poveri, gli
emarginati, gli ultimi. Chiedeva al Signore, nella preghiera di “essere liberi da noi
stessi per imparare ad amare Lui, Sommo Bene, i fratelli e tutta la vita" (Direttorio,
1984, p. 27). Questa preghiera diventava, giorno dopo giorno, concretezza di vita.
Don Enzo sentiva sempre più l’urgenza di amare Dio in concreto, di amarlo con quella
purezza di amore che è propria dei santi. Ma aveva anche imparato, alla scuola della
vita e dei santi del Carmelo, che un amore così si ottiene a prezzo del crogiuolo della
sofferenza e della croce: "Ti chiedo, o Gesù la sola gioia della preghiera, amarti nella
preghiera, amarti nella sofferenza, amarti nel silenzio. Amarti sempre quando sarò
dimenticato e disprezzato da tutti. Ti chiedo, o Gesù, la grazia della preghiera, la
grazia di un profondo silenzio interiore, la grazia di soffrire quando tu soffri per i miei
peccati, per tutti i peccati" (Certosa di Pavia, 29 gennaio 1970).
L’amore vero, saper amare con lo stesso amore di Dio, non è una realtà sdolcinata,
una via da percorrere su un tappeto di rose prive di spine. Non lo è stato per Gesù,
che ha dimostrato il suo grande amore per l’uomo donando la sua vita; non lo sarà
per nessun credente in lui.
Perciò non deve stupire se don Enzo aveva sì compreso l’amore di Dio per lui, ma era
pronto a pagarne il prezzo per divenire strumento di Amore e di Misericordia per tutti.
"Con la preghiera e la contemplazione del Crocefisso ti convincerai della necessità di
una purificazione interiore, accettando con semplicità la volontà del Signore per dura e
faticosa che sia" (Le radici del servizio, 1993, p. 119). "Gesù, Gesù umile che trovi con la
tua morte in croce mille modi di sconfessarmi, con le tue atroci sofferenze in croce,
aiutami a sconfiggere quella non umiltà che si chiama autoesaltazione dell'amore. Sì.
dopo tanti anni finalmente ho trovato l'Amore. Il Dio immenso, umanato, storicizzato,
annichilito nell'incomprensibile e ineffabile mistero eucaristico, trova ancora tra noi, i
nascosti contemplativi bramosi ed ardenti di adorazione?" (Eremo di Campiglioni (FI), 23-29
gennaio 1977).
La fatica di tale purificazione "che spesso è deserto, solitudine, incomprensione,
fallimento umanamente parlando, ti libera da tante pastoie e tante piccole schiavitù,
per alleggerirti e rendere il tuo cammino di santificazione più spedito e capace di
grandi imprese per amore di Dio solo e dei fratelli" (Le radici del servizio, 1993, p. 119);
"per riscaldare i fratelli il nostro cuore deve consumarci e farci sacrificio in unione al
sacrificio della croce del Signore Gesù” (L'alternativa, 1983, p. 123).
Chi ama desidera assimilarsi all'Amato, condividere il mistero della Redenzione,
sentirsi vicino a Gesù che ha accettato la Croce per amore nostro. E l'accettazione
amorosa e non passiva della Croce è ciò che rende più conformi a Cristo, che allena il
nostro cuore ad amare come il suo. Dio ha bisogno di un cuore libero, non occupato di
sé per poter agire in profondità, per poterlo colmare della sua stessa vita. E questo
svuotamento si attua solo condividendo il mistero della croce. Il Don aveva capito la
preziosità nascosta della Croce e il valore redentivo di ogni sofferenza: materiale,
morale, fisica, spirituale. Sentiva vuote le giornate senza sofferenza, senza la
compartecipazione alla vita di Gesù, senza un morire che diventa vita e produce
Amore: "Ancora tante amarezze perché il mio tempo è passato povero di bene e
pesante di peccato. Mi sento vecchio quando la sofferenza, l'implorazione, la speranza
non accompagnano il mio giorno. Senza sofferenza mi sento senza amore, senza vita,
senza Dio. Gesù aiutami a portare la Croce per sentire in me un grande Amore per Te"
(Certosa di Pavia, 2 gennaio 1971). Ma - viene da chiederci – c’è mai stata nella sua vita
una giornata priva di questo?
Scrive: "Sono giorni di grande amarezza con i quali sto sperimentando il dolore del
fallimento: se il chicco di frumento non marcisce non porta frutto [..] Non pensavo di
dovere soffrire così tanto. Sembra di dover dire che più si amano i fratelli, i giovani e
più si deve soffrire. Ebbene: "Ave Maria e avanti!" Soprattutto con queste sofferenze
sento che un po' della vita del Signore Gesù, della sua sofferenza, della sua grazia e
della sua Resurrezione entrano nella mia povera vita e l'Amore prende vita e la vita si
fa amore. Grazie Gesù!" (Focolare Valle Cima, 23 dicembre 1980).
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Dall’amore per Dio a quello per l’uomo
Nella luce dell'amore per Dio totale ed assoluto troviamo la ragione dell'amore per il
prossimo. La carità verso Dio e verso il prossimo in don Enzo coincidono. Una è la
fonte dell’altra; la seconda è l’emanazione ed il prolungamento della prima. Oserei
dire che è la sovrabbondanza del cuore che straripa e raggiunge tutte le persone che
gli sono vicino: “Per Gesù, per i poveri voglio consumarmi come il grano di frumento,
la semente del Vangelo (...) Gesù aiutami. Vieni Signore Gesù!" (Eremo di Campiglioni (FI)
23- 29 gennaio 1977).
La purificazione progressiva del cuore che abilita ad amare con il Cuore stesso di Dio,
lo sguardo fisso su Gesù che ci illumina, toglie ogni nebbia dalla vista interiore e ci
rende capaci di vedere, di guardare il fratello con uno sguardo nuovo. A questo don
Enzo intende educare: "Cerca il Signore e brama di contemplare il suo volto,
lasciandoti prendere da lui, come Pietro, Giacomo e Giovanni che portò sopra un
monte alto, in un luogo appartato, loro soli e si trasfigurò davanti a loro" (Direttorio,
1984, p. 28).
Solo l’amore rende capaci di vedere con il cuore. E solo se si impara a vedere con gli
occhi del cuore ci si accorge dei bisogni degli altri: cresce in l’urgenza di farsi prossimo
a chi ha bisogno di aiuto, ancor prima che lo chieda.
Don Enzo aveva affinato una vista interiore acutissima e il suo amore verso i poveri, i
giovani, gli ultimi trova la sua ragione - e soprattutto la fedeltà, la perseveranza, la
radicalità – solo in una carità soprannaturale: "Ho lavorato molto per i poveri - scrive
nel 1977 - per i giovani disadattati, ma con quanta fragilità di amore e di purezza! Ho
incontrato miserie a non finire, direi che sono stati anni presi nel vortice della miseria
umana. Gesù benedetto mi ha fatto incontrare e mi ha fatto ospitare qualche centinaia
di giovani martoriati dalla povertà materiale e spirituale più ancora. Ma quanta
ambiguità nel mio comportamento! Eppure Tu lo sai che li amo perché Ti amo o
Signore!” (Eremo di Campiglioni (FI), 23-29 gennaio 1977).
Se pensiamo agli uomini di Dio come persone statiche, ci sbagliamo. Al contrario,
sono uno stimolo per noi: un invito sempre nuovo ad amare e a donarci. Tutti siamo
invitati a fare nostre le parole del Don e a continuare a percorrere la sua stessa via.
Riprendendo un’immagine di san Paolo, è come se ci attendesse – dopo aver
terminato la sua corsa nel tempo - per consegnarci il testimone nel punto in cui il suo
cuore ha smesso di battere per contemplare l’Amore di Dio nell’eternità: “Altre cose,
Signore, vorrei fare perché vorrei amarti e farti amare sempre più, perché vorrei che
tanti poveri ti amassero”.