IL GIRO D`ITALIA Era un gioco facile da organizzare
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IL GIRO D`ITALIA Era un gioco facile da organizzare
Il giro d'Italia Era un gioco facile da organizzare (non occorreva essere in gran numero, si poteva gareggiare anche in due soli), più semplice a farsi che a dirsi. Bastava uno slargo non troppo trafficato - sull'asfalto liscio era meglio, il marciapiede era rugoso e stretto un mozzicone di gesso che s'era sottratto dalla lavagna a scuola e una manciata di tappi a corona per le bottiglie. (quelli delle birre Peroni o Moretti andavano benissimo). In mancanza di meglio, c'era pure chi molava con pazienza certosina qualche coccio di mattonella di ceramica (nel turbinio della ricostruzione del dopoguerra in corso, ammonticchiati agli angoli delle vie, se ne trovavano molti), sfregandone i bordi contro un muro, sino a renderlo tondo come un soldo e ne utilizzava poi il dorso smaltato, che sarebbe scivolato alla grande sul percorso. Anzi, la "rasola", come il pezzetto di coccio si chiamava, si faceva talora preferire al tappo, perché si controllava meglio nel tiro e presentava un discreto rapporto forma/peso. Qualche volta, in versione prettamente balneare, si poteva preparare per le preziosissime biglie multicolori una pista sulla sabbia, e facendo mostra di essere dei provetti ingegneri, lavorare di palette e secchielli pieni d'acqua per rendere liscio e scorrevole il fondo e compatti i bordi. E non potevano mancare inoltre gli effetti speciali, quando si sarebbero dovuti oltrepassare arditi tunnel e si erano predisposti con cura degli strabilianti piani semi inclinati, sui quali la pallina potesse prendere brio e rincorsa. Al mare però tutto questo diventava purtroppo lezioso e fine a se stesso, buono per stupire gli infingardi che seguivano con finto disinteresse la costruzione, commentandone la sofisticata tecnologia e approfittando per dare con petulanza i loro non richiesti consigli. E si dovevano inoltre temere i bambinetti deficienti, che saltellavano sui cunicoli per vedere meglio, incuranti degli arditi ponti sospesi (dentro, un'anima fatta con un fuscello, ricoperto di rena bagnata e compressa) che, nonostante i meticolosi calcoli di statica effettuati, ti crollavano di botto tra le dita. Senza contare infine certi vecchietti decrepiti e gli altrettanto scostumati panzoni che, come mandrie di bufali, travolgevano gli argini con passo implacabile nella ricerca del pediluvio perpetuo che caratterizzava il clou della loro giornata balneare. Non restava quindi che raccogliere sconsolatamente le biglie, dopo aver smoccolato il giusto, ripulirle e celarle di nuovo nel loro sacchetto, giurando a se stessi che piste sulla sabbia non se ne sarebbero fatte più, almeno sino alla stagione successiva. Ma torniamo alla strada, insostituibile scenario per una vera corsa, e segnaliamo che i più brillanti atleti, i miti del quartiere, quelli che sapevano entusiasmare il volgo con la precisione e la forza del tiro, non si perdevano nemmeno un attimo appresso alle palline di vetro sulle battigie, alle "rasole" bene limate ed agli ordinari tappi di stagnola, e non accettavano altra macchina che non fosse il maestoso coperchio del lucido da scarpe. Come avevano atteso con impazienza che la "cromatina " finisse, e scialavano nel passarla sulle scarpe luccicanti, e si offrivano di pulire i mocassini paterni, per consumarla in fretta spargendola senza parsimonia, per vedere spuntare finalmente il fondo argenteo della scatola tra le striature nerastre del grasso! Con abile mossa, prima che il vuoto finisse stupidamente nel secchio dei rifiuti, il coperchio veniva incamerato, ripulito a perfezione e serbato gelosamente per il tempo dei giochi. L'avevano lavorato amorevolmente, e riempito sino a metà con la pasta semimolle del sapone da bucato (marca Scala), o con la cera, perché prendesse corpo e consistenza strutturale. Al centro del cerchio, mentre il sapone andava rapprendendosi, era stata orgogliosamente inserita la figurina del ciclista. (non solo Coppi o Banali : banale. Io - per esempio - una volta avevo preferito Bevilacqua, un corridore dell'epoca molto bravo negli arrivi in volata e discreto pistard. E poi la figurina mi era sembrata aerodinamica, con quella torsione finale del busto nello sforzo dello sprint e così moderni i suoi occhiali scuri). Il marciapiede in genere era abbastanza lungo e si poteva disegnare una pista pari a tutta la sua profondità.(Ma, volendo, si poteva pure sconfinare oltre : di auto, si sa, ne passavano poche, e se ce n'era proprio bisogno, ci scansavamo). Fuori il pezzetto di gesso, quindi, ed organizziamo questo "Giro d'Italia" per un parterre altamente professionale, tutti giocatori muniti di quei citati preziosissimi coperchi (da non confondersi perciò coi vili surrogati, tappi e tappetti e materiali affini, strumenti degni dei più piccini), con le curve al punto giusto, le anguste strettoie e gli slarghi improvvisi, un circuito tondo un po' prima dell'arrivo e l'ultimo pezzo in rettilineo, per favorire lo scatto fulminante. Mettiamoci a quattro zampe e, carponi, cominciamo a tirare, dopo aver preso la mira e calibrata la forza, col colpo secco del pollice - contrapposto, a seconda delle esigenze tecniche, ad uno qualunque degli altri diti - tentando di non far uscire il coperchio dal tracciato (verresti rinviato alla posizione di partenza) per occupare le posizioni di testa. Qualche eretico si proverà a colpire con l'indice accavallalo sul primo dito, ma da questa erronea impostazione non potrà mai venirne fuori nulla di buono, e comprenderemo subito che chi la praticherà non è di scuola alta, e chiuderà ni coda, confuso nel gruppone. Non si possono toccare gli altri "corridori", altrimenti si incappa nella penalità prevista e devi restare mestamente sul bordo del percorso per una sosta obbligata, e questo avvantaggerebbe gli altri concorrenti. Tiro dopo tiro - le curve, i pianori e le strettoie si sono susseguiti - si giunge al velodromo, che è praticamente il perimetro di un circolo da fare tre volte. Qui la tua bravura sarà messa a repentaglio, e la conclusione sarà dopo l'anello, su quello che rappresenta il vialone finale, delimitato da una doppia striscia sulla quale è stato scritto pomposamente "Traguardo", con a fianco due bandierine triangolari che dovrebbero garrire nell'aria. Volano i coperchi od i tappi o quant'altro nel colpo liberatorio, scoccato con forza esplosiva senza più le remore dei tiri tattici di accostamento, sfrecciano sulla linea d'arrivo le nostre scatole, con i volti e le figure dei Minardi, i Carrea, i Bobet, i Robic, i campioni ed i gregari tutti universalmente noti ed amati, sbiaditi ed azzeccati con lo sputo sul sapone o con la pressione dei polpastrelli sulla cera molle. Immaginiamo ora difendere la folla festante e di portarci con passo stanco e felice verso Benito il radiocronista che, inguaribilmente eccitato, potrà finalmente intervistarci, e diremo anche noi con la gioia finta e vera la solita banalità : "sono contento di essere arrivato uno !" e indirizzeremo un saluto agli immaginati parenti, facendo ciao ciao con la manina. (e che altro, sennò?). Mancano tuttavia le vere miss con i fiori, e Mariella, la bella di passaggio, richiesta del canonico bacio al vincitore, fa sdegnosamente spallucce e ci ignora. Poveretta lei, che si perderà la prima e la più ghiotta delle occasioni per assaggiarci e vedere quanto siamo cresciuti, bulli e tosti, e che differenza c'è ormai tra noi e quei ragazzoni queruli con cui si confrontava appena un anno fa.