Fondamenti Storico-Epistemologici della

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Fondamenti Storico-Epistemologici della
March 6, 2005
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Fondamenti Storico-Epistemologici
della Matematica
Breve inquadramento storico
Alberto Zanardo
Si può ritenere con buona approssimazione che il problema dei fondamenti della
matematica sia stato sollevato solo nel XIX secolo. È infatti una delle peculiarità
della matematica di questo secolo l’analisi critica dei numerosi risultati ottenuti nei
secoli precedenti, e tale analisi non poteva prescindere dalla ricerca del rigore logico che a sua volta coinvolgerà una riflessione sulla natura degli enti e del pensiero
matematici. Per esempio, possiamo affermare che il calcolo differenziale è basato sulla
nozione di numero reale e di funzione, per cui diventa essenziale poter disporre di una
definizione rigorosa di tali nozioni. Se l’intuizione di retta reale e di funzione da R in
R può fornire un valido appoggio per affrontare gli elementi di base dell’analisi, nel
momento in cui vogliamo raffinare i risultati diventa essenziale poter disporre di una
definizione precisa. Un primo passo verso le indagini sui fondamenti della matematica
non viene quindi da un interesse di tipo meramente filosofico, ma da una necessità di
tipo matematico.
In questo contesto si inserisce il riduzionismo ottocentesco, il tentativo cioè di ridurre,
tramite definizioni, nozioni complesse a nozioni più semplici. Un esempio di riduzione
che incontriamo costantemente in matematica, al punto da non rendercene conto, è
la rappresentazione dei numeri complessi come coppie di reali, per cui possiamo ricondurre la teoria dei complessi alla teoria dei numeri reali. Anche se non è sempre
facile dire se una nozione sia più semplice di un’altra, nel caso dei numeri reali, la
possibilità di rappresentare queste entità basandosi esclusivamente sulla nozione di
numero naturale venne universalmente ritenuto un passo in avanti verso una chiarificazione del concetto di numero reale. L’intuizione di numero naturale sembrerebbe
quanto di più immediato e solido per fondare la matematica. In questo senso è emblematica la famosa affermazione di Leopold Kronecker (1823-1891): “il buon Dio
ha creato i numeri naturali, tutto il resto è opera dell’uomo”. L’intera operazione
di ricondurre tutta la teoria dei reali alla teoria dei numeri naturali prende il nome
di aritmetizzazione dell’analisi e trova i suoi maggiori esponenti in Karl Weierstrass
(1815-1897), Georg Cantor (1845-1918) e Richard Dedekind (1831-1916).
Se accettiamo il punto di vista di Kronecker, con l’aritmetizzazione dell’analisi possiamo ritenere conclusa l’indagine fondazionale sulla natura degli enti matematici. In
altri termini, possiamo dire che, ritenendo affidabile e fondata la nostra intuizione di
numero naturale, possiamo ritenere altrettanto affidabile e fondata ogni teoria costruita in modo rigoroso partendo dalla nozione di numero naturale. Il problema sorge se
mettiamo in discussione la nostra intuizione del sistema dei numeri naturali. Già le
geometrie non-euclidee avevano messo in luce la possibilità di costruzioni teoriche alternative alla nostra intuizione spaziale (che si sarebbe poi, nel XX secolo, dimostrata
inaffidabile se vogliamo tener conto di effetti relativistici). Poteva diventare quindi
legittimo anche mettere in discussione l’intuizione di numero naturale.
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L’analisi della nozione di numero naturale fu dunque l’ulteriore grande passo di carattere fondazionale del XIX secolo. Grazie a lavori di Gottlob Frege (1848-1925) (che
cerca di ricondurre l’aritmetica a principi puramente logici) e di Georg Cantor (che
sviluppa una nuovissima teoria degli insiemi e dei numeri transfiniti) possiamo ora
dire che è possibile fondare la teoria dei numeri naturali sul concetto di insieme;
abbiamo cioè sostituito l’intuizione di numero naturale con l’intuizione di insieme.
Il percorso che porta a questa ulteriore riduzione, tuttvia, non è stato sicuramente
semplice. Nell’opera iniziale di Cantor e Frege, gli unici principi cui la nozione di
insieme doveva sottostare erano il principio di estensionalità, che asserisce che due
insiemi sono uguali se e solo se hanno gli stessi elementi, ed il principio di comprensione, secondo il quale ogni proprietà, espressa in un qualsiasi linguaggio, determina
un insieme, cioè l’insieme di tutti gli enti che verificano tale proprietà. Il principio di
comprensione non è altro che una precisazione di ciò che facciamo abitualmente quando diciamo “consideriamo l’insieme degli x tali che . . . ”. La semplicità e naturalità
di questi due principi sembrava dunque innegabile, al punto che Frege era convinto
di avere basato l’aritmetica sulla logica. Bertrand Russell (1872-1970) scoprı̀ però
che accettando senza riserve il principio di comprensione si arrivava ad una contraddizione. Nel famoso paradosso noto ora come paradosso di Russell viene considerata
la proprietà di “essere un insieme che non appartiene a sé stesso” e viene applicato il
principio di comprensione a tale proprietà; viene cioè considerato “l’insieme degli x
tali che x è un insieme che non appartiene a sé stesso”. Detto R l’insieme definito in
questo modo, ricaviamo facilmente che R appartiene a sé stesso se e solo se R non
appartiene a sé stesso, cioè una contraddizione.
Il paradosso di Russell, oltre a mettere in luce una particolare contraddizione, aveva
soprattutto evidenziato come potessero nascondere insidie anche principi, o addirittura lo stesso apparato logico deduttivo, che intuitivamente saremmo propensi ad
accettare. Veniva dunque meno il ruolo fondante dell’intuizione (di numero naturale
o di insieme) come base della costruzione matematica. A questo problema vennero
date varie soluzioni che sostanzialmente rendevano meno arbitrario l’uso del principio
di comprensione. Riguardo a tali soluzioni è importante sottolineare che spesso possono essere messe in stretta relazione con concezioni filosofiche diverse che avevano
cominciato a delinearsi anche indipendentemente dal problema della non contraddittorietà. Tra queste ricordiamo il predicativismo e l’intuizionismo, che non è possibile
trattare in questa breve introduzione. Diamo invece spazio maggiore alla concezione
formalista della matematica, il cui maggiore rappresentante è David Hilbert (18621943), perché probabilmente tale concezione corrisponde al modo di fare più frequente
nella matematica moderna e anche perché nel relativo contesto si collocano i famosi
teoremi di incompletezza di Kurt Gödel (1906-1978).
Una volta venuto meno il ruolo fondante dell’intuizione, secondo Hilbert una teoria
matematica poteva dirsi “fondata” quando se ne fosse dimostrata la coerenza, cioè la
non contraddittorietà. L’esclusione dell’evidenza intuitiva dai criteri fondanti di una
teoria matematiche ampliava notevolmente il numero di teorie “accettabili”, come
del resto già avveniva per le geometrie non euclidee e l’algebra astratta del XIX secolo, dove le proprietà delle strutture studiate erano spesso generalizzazioni ed astra-
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zioni alle quali non corrispondeva un immediato significato intuitivo. Nella visione
di Hilbert tuttavia continuavano ovviamente ad esistere teorie intuitivamente più o
meno interessanti, ma il criterio fondante rimaneva comunque la coerenza. Bisognava
dunque dimostrare che gli assiomi della teoria considerata non consentivano deduzioni
che si concludessero con una proposizione e la sua negazione e, in base alle difficoltà
messe in luce dal paradosso di Russell, ciò si poteva realizzare solo attraverso un controllo completo dell’apparato deduttivo, cioè di tutti quei meccanismi che permettono
di “fare dimostrazioni”. Doveva dunque essere precisata la struttura, cioè la forma,
di tutte le assunzioni poste alla base della teoria, tra cui gli assiomi, e la struttura
che devono avere tutti i procedimenti che permettono di passare dagli assiomi a nuovi
risultati, cioè i teoremi.
Sulla base delle nuove esigenze di carattere formalista, le teorie degli insiemi sviluppate in seguito si differenziavano in modo sostanziale dalla teorie di Cantor e di Frege
basate sui principi di estensionalità e comprensione. Si trattava di complesse teorie
matematiche, i cui assiomi generalmente stabilivano l’esistenza di insiemi in particolari relazioni con insiemi dati. Queste nuove teorie assolvevano ancora al compito
di sviluppare al loro interno una teoria dei numeri naturali, ma i loro assiomi non
avevano più il carattere di semplicità e naturalità degli assiomi di estensionalità e
comprensione.
Tornando al problema della coerenza, nel XIX secolo erano già state prodotte dimostrazioni di coerenza relativa. Il fatto che internamente alla geometria euclidea
siano definibili modelli delle geometrie non euclidee mostra che, se la prima è coerente anche le seconde lo sono. Analogamente, il fatto che i numeri reali siano definibili
tramite operazioni insiemistiche sull’insieme dei numeri naturali mostra che la teoria
dei reali è coerente se tale è la teoria dei numeri naturali. Chiaramente risultati di
questo tipo rimandano il problema della coerenza di una teoria al problema della coerenza di un’altra teoria. Ciò che invece Hilbert voleva era una dimostrazione assoluta
di coerenza: la teoria stessa doveva essere in grado di dimostrare la propria coerenza.
Più precisamente, dato che le formule e le dimostrazioni di ogni teoria formalizzata in ultima analisi non sono altro che insiemi finiti di simboli, dotati di una certa
struttura, si poteva sperare che la teoria degli insiemi fosse in grado di provare che i
propri assiomi e le proprie regole per produrre dimostrazioni non possono portare ad
una contraddizione. In questo caso si sarebbe potuto parlare di una dimostrazione
assoluta di coerenza.
Nel 1931, Kurt Gödel, con il famoso Teorema di Incompletezza diede una risposta definitiva e negativa al problema. La teoria che il Teorema di Incompletezza considera
non è la teoria degli insiemi, ma la teoria dei numeri naturali, e il primo problema
affrontato non è quello della coerenza, bensı̀ quello della completezza, cioè se tale
teoria sia in grado di dimostrare tutte le formule vere nella struttura dei numeri naturali. Ciò corrispondeva ad un altro problema posto da Hilbert: la determinazione
di una teoria assiomatica in grado di dimostrare tutte le verità sui numeri naturali. Il
Teorema di Incompletezza stabiliva che non esiste una teoria coerente con queste proprietà. Da questo risultato seguiva poi anche quello relativo alla coerenza della teoria
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dei numeri naturali: se tale teoria è coerente, allora non è in grado di dimostrarlo.
Il passaggio dai numeri naturali agli insiemi a questo punto è immediato perché i
risultati di Gödel riguardano ogni teoria in grado di sviluppare al proprio interno la
somma e la moltiplicazione tra naturali con le usuali proprietà e la teoria degli insiemi
rientra in questo ambito.
Con questi risultati il programma di Hilbert era definitivamente pregiudicato. Nel
frattempo tuttavia la teoria degli insiemi aveva mostrato tutta la sua potenza come
fondamento della matematica e la quantità di lavoro svolto su di essa, senza che
venisse trovata una contraddizione, faceva aumentare la fiducia nel fatto che gli assiomi fossero stati scelti accuratamente e che di fatto la teoria fosse coerente. La
posizione della matematica moderna, basata in grandissima parte sulla teoria degli
insiemi, è appunto una posizione di fiducia anche se a priori non possiamo escludere
che possa essere trovata una contraddizione.

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