Italia: quando i cavalieri creano lavoro

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Italia: quando i cavalieri creano lavoro
27/2/2017
Italia: quando i cavalieri creano lavoro
EDITORIALE
Italia: quando i cavalieri creano lavoro
Giorgio Vittadini
venerdì 10 febbraio 2017
Uno degli aspetti che crea angoscia quotidiana all'italiano di oggi è dato dalle continue analisi sullo stato della
nostra economia che sembrano non dare scampo. Il Pil cresce pochissimo, la produttività è tra le più basse
d'Europa, il rapporto tra debito e Pil aumenta, lo spread tra Btp e Bund è aumentato in questi giorni. Soprattutto,
la disoccupazione non diminuisce e per alcuni comparti geografici e fasce di età aumenta. E quando si parla di
lavoro, la questione non è più un dato statistico, ma diventa un fatto doloroso, se non tragico, che tocca la singola
persona e le famiglie.
C'è però un dato sorprendente reso noto da Alleanza Cooperative Italiane (che questa settimana ha festeggiato i
130 anni di vita): tra il 2008 e il 2015, mentre a livello generale si è perso l'1,7 per cento dei posti di lavoro,
l'occupazione nelle cooperative è aumentato del 6,1 per cento. Il comparto rappresenta l'8 per cento del Pil
nazionale e in esso vi lavorano 1.350.000 le persone.
E' una storia antica quella delle cooperative, che affonda le radici nella storia stessa del nostro Paese: le prime
Società operaie e quelle di Mutuo Soccorso risalgono alla metà dell'800, mal viste e spesso osteggiate dai governi
dell'epoca. A ispirare queste realtà le due principali forze popolari italiane, quella cattolica e quella socialista.
L'impresa cooperativa è in sintesi un soggetto economico e sociale basato sul possesso collettivo dei mezzi di
produzione, sulla solidarietà, sul lavoro non inteso come corsa al profitto di pochi, ma di equa distribuzione delle
risorse fra tutti.
Utopia? Una domanda che potrebbe utilmente essere rivolta ai 65 abitanti di Succiso, piccolo borgo
sull'Appennino Tosco­Emiliano. Quando agli inizi degli anni Novanta rischiava di essere abbandonato, alcuni
suoi abitanti si sono riuniti in cooperativa ("La valle dei cavalieri") e hanno riattivato il bar, il negozio di generi
alimentari, aperto un agriturismo, alcune attività turistiche, sostenuto l'allevamento di ovini, sono entrati nella
gestione delle visite del Parco nazionale. In una parola, hanno ridato vita (e lavoro) ai loro concittadini.
Le prime cooperative sono nate per favorire l'accesso a un consumo sostenibile. Al loro fianco, in sinergia, si
svilupparono: scuole popolari, microcredito, mutue sanitarie e previdenziali. Il loro modello non è quello della
competizione "conflittuale" (fra economia e società, fra impresa e welfare, fra spiriti del mercato e controlli), ma
quello di un tentativo concreto di coniugare meriti e bisogni: di vincere per quanto possibile la disuguaglianza.
Ma nell'ordoliberismo, abbracciato da economisti, editorialisti e politici di ogni colore, solo poco tempo fa era
considerato un settore finito.
Eppure, l'economia globalizzata impone qualità crescente dei prodotti e organizzazione del lavoro sempre più
efficace. In un mercato fortemente competitivo come questo, i risultati si ottengono là dove si sviluppano
relazioni di collaborazione e si riducono i rapporti conflittuali. In questa sfida il mondo delle cooperative è
avvantaggiato grazie alla concezione stessa della sua missione. In una cooperativa il lavoratore è anche
imprenditore senza esserne il "padrone", è suo interesse primario essere parte attiva del processo e del controllo
produttivo. La cooperazione, popolata di imprenditori­lavoratori, "una testa, un voto" e avendo la mutualità come principio
di governance, è l'esatto contrario di un'economia rigidamente suddivisa fra investitori finanziari, imprenditori­
manager e dipendenti (in fondo senza soluzioni vere di continuità fra capitalismo industriale "di classe" e
turbofinanza globalmente divisa fra l'1 per cento di ultraricchi e il 99 per cento di "sempre più poveri").
Nella coop da manuale, il denaro non è mai principio e fine, ma mezzo. L'impresa stessa nasce per "servire" altre
imprese coop (basti pensare a tutte quelle di servizio del settore agrario).
Nello sport nazionale di buttar via il bambino con l'acqua sporca, qualche scandalo di qualche cooperatore corrotto
è servito per dire che le cooperative fossero da rottamare come parte di un mondo clientelare e in declino.
E invece non solo resistono, ma aumentano gli occupati. Anziché massimizzare il profitto, massimizzano
l'occupazione: proprio quello di cui c'è più urgenza oggi. Esse sono senz'altro un modello di auto­occupazione in
un momento di grave crisi. Ma ci dicono anche che accanto ai modelli di impresa tradizionale, c'è bisogno di
perseguire fini che, anche senza negare il profitto, intendono andare oltre al profitto stesso, in una logica
mutualistica e sociale. C'è bisogno di un pluralismo di imprese che dal confronto fra di loro sul mercato possano
offrire una logica che valorizzi tutte le categorie coinvolte nell'impresa: proprietari, soci, lavoratori, clienti,
comunità di riferimento. Papa Francesco ha parlato di "una profonda crisi antropologica", di negazione del primato dell'essere umano,
"ridotto a uno solo dei suoi bisogni, il consumo". Di fronte ai danni evidenti di una tale mentalità è necessario
avere delle valide alternative. © Riproduzione riservata.
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